Semiologia, Eco La semiologia deriva dal termine greco σημεῖον

Semiologia, Eco
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La semiologia deriva dal termine greco σημεῖον semeion, che significa "segno") è la
disciplina che studia i segni ed i i fenomeni di significazione e di comunicazione.
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Il segno è "qualcosa che rinvia a qualcos'altro“.
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Per significazione si intende ogni relazione che lega qualcosa di materialmente
presente a qualcos'altro di assente
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Ogni volta che si mette in pratica o si usa una relazione di significazione si attiva un
processo di comunicazione.
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Le relazioni di significazione definiscono il sistema che viene ad essere presupposto
dai concreti processi di comunicazione.
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La semiologia contemporanea si identifica nelle opere e nelle riflessioni di due figure
fondamentali:
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il filosofo statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914)
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il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913).
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La prima definizione della semiologia è creata negli anni Sessanta del XX secolo nel
opera di Ronald Barthes (1915-1980) Elementi di semiologia, pubblicata nel 1964.
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Nella semiologia convivono fin da principio due differenti prospettive: una filosofica,
legata alle teorie di Peirce, e una linguistica derivata da de Saussure.
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Roland Barthes nel suo libro (Elementi di semiologia) rovescia il rapporto tra
linguistica e semiologia: è la seconda a essere parte della linguistica e non il contrario.
Perché?
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Secondo Barthes, solo nel linguaggio è possibile concepire e identificare il significato
delle diverse forme di significazione che incontriamo nel contesto sociale e culturale:
cinema, pubblicità, moda, televisione.
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La semiologia studia le "grandi unità significanti" del discorso sociale. In questo modo
Barthes trova punti di contatto tra le ricerche di discipline quali l'antropologia (in
particolare l'antropologia strutturale di Claude Levi-Strauss), della psicanalisi (Jacques
Lacan), della sociologia, e dell'analisi letteraria o teoria della letteratura (narratologia).
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Nel testo del 1964 Barthes prende in considerazione alcune coppie di concetti chiave
del pensiero linguistico di de Saussure e ne cerca un'estensione per l'applicazione al
settore culturale e sociale (langue/parole; significante/significato; sistema/processo
(sintagma); denotazione/connotazione).
Peirce e de Saussure propongono due concezioni del segno differenti.
De Saussure = il segno è DIADICO (composto da due elementi ed costituito dal rapporto tra
un significante e un significato - il concetto di ciò a cui si vuole rinviare.
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La semiosi di Peirce avviene invece tra tre elementi:
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un Representamen - la parte materiale del segno
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un Oggetto, il referente a cui il segno fa riferimento
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un Interpretante, ciò che deriva o viene generato dal segno
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Il punto di partenza della semiosi di Peirce è nella realtà esterna, dove in Saussure il
Referente aveva invece un ruolo solo accessorio nel definire la relazione tra il
significante e il significato.
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L'Oggetto qual’è nella realtà viene definito da Peirce Oggetto dinamico.
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A partire dall'oggetto dinamico si definisce quello che Peirce chiama l'Oggetto
Immediato che sembra corrispondere al significato di Saussure.
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L'oggetto immediato nasce dal 'ritagliare' o dal mettere in rilievo alcune delle
caratteristiche dell'oggetto dinamico, quindi dell'oggetto reale. Questo vuole dire che
l'oggetto immediato ci dà dell'oggetto dinamico solo una prospettiva tra le tante
possibili.
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nel segno quindi il representamen (significante) ritaglia o identifica attraverso
l'oggetto immediato (significato) un particolare punto di vista sull'oggetto dinamico
(referente).
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L'aspetto più interessante del processo di semiosi come è stato pensato da Peirce
consiste nel concetto di interpretante.
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L'interpretante di Peirce = un ulteriore segno che sorge dal rapporto tra il
representamen e l'oggetto immediato; come dire che un segno genera un altro segno
attraverso un processo di interpretazione. Tale processo di generazione di un
interprentante da un segno, e poi di un altro segno-interpretante successivo e così via,
identifica un processo potenzialmente interminabile detto di semiosi illimitata. Quindi
il concetto di segno o della semiosi in Peirce è triadico.
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Il processo cognitivo fondamentale nell'uomo sia il costante passaggio dalla
condizione del dubbio a quello della credenza.
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il nostro rapporto con il mondo sia dettato dalla continua produzione di ipotesi
riguardo al modo in cui possiamo superare una condizione di incertezza, o di dubbio
cognitivo, e quindi riposare la nostra mente nella sicurezza della credenza.
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La credenza o "abitudine" può essere assimilata ad un modello mentale, uno stereotipo
o una concezione culturale stabilita, che ci permette di affrontare la realtà con un
determinato successo.
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Per Peirce è fondamentale la nostra capacità di produrre ipotesi o abduzioni riguardo
al modo in cui vanno le cose.
Umberto Eco e il dibattito sul postmoderno
I testi chiave per la compresione delle tesi di Eco su postmoderno sono.
UMBERTO ECO, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962.
UMBERTO ECO, Postille a “Il nome della rosa”,
«Alfabeta», 49, 1983, pp. 19-32.
[Ripubblicato come volume separato (1984) e come appendice a Il nome della rosa , Milano,
Bompiani (1985)]
Umberto Eco già nel 1962, nel suo studio pionieristico Opera aperta, sottolineava che una
delle caratteristiche dominanti delle opere letterarie contemporanee era la ricerca comune di
modelli che giustificassero le ambiguità e il crescente disordine nato dal nuovo orizzonte
epistemologico creato nelle altre scienze. Il pensiero postmoderno non crede più nei
metaracconti, non crede neanche nel soggetto nel senso in cui lo definivano l'illuminismo e
Cartesio/Descartes che definisce la natura umana come sostanza pensante con la sua famosa
frase Cogito ergo sum/ penso, dunque sono. Secondo Descartes il sapere è visto come
categoria obiettiva, l’uomo non crea il sapere, ma lo scopre. Il pensiero postmoderno è
arrichito dalle scoperte della psicanalisi secondo la quale la parte conscia dell'uomo nasce
dall'incoscio che non si può superare, cioè il suo Io rappresenta solo una piccola parte del
soggetto. Siccome la lingua ha un ruolo importantissimo nella creazione del soggetto (nelle
teorie di S. Freud, ma soprattutto in quelle di J. Lacan), ogni identità è vista come virtuale,
soggettiva, dipendente dal contesto e dalla prassi discorsiva che la costituisce. Siccome non
esiste un soggetto unico e autonomo, non può esistere neanche l'originalità nel senso
modernistico e perciò non è possibile neanche il superamento delle forme tradizionali.
Con Eco il dibattito sul post-moderno arriva a un pubblico più vasto anche in Italia e questo
scrittore ci ha offerto una definizione diversa del fenomeno postmoderno in letteratura. Egli
arriva a considerare il postmoderno non solo come un movimento particolare della storia della
cultura, ma come una condizione ricorrente. Cosi si legge nelle Postille aggiunte a Il nome
della Rosa:
«Credo tuttavia che il post-moderno non sia una tendenza circoscrivibile cronologicamente,
ma una categoria spirituale, o meglio un Kunstwollen, un modo di operare. Potremmo dire che
ogni opera ha il proprio post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il proprio manierismo.
[...] L'avanguardia storica cerca di regolare i conti con il passato. L'avanguardia distrugge il
passato, lo sfigura [...] poi l'avanguardia va oltre, distrutta la figura, l'annulla, arriva
all'astratto, all'informale, alla tela bianca, alla tela lacerata, alla tela bruciata... [...] Ma arriva il
momento da cui l'avanguardia (il moderno) non può più andare oltre, perché ha ormai
prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi impossibili testi (l'arte concettuale). La risposta
post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere
distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo
non innocente» (Eco, 1980:529)
Nelle opere teoriche di Eco, il problema chiave è il problema dell'interpretazione. Secondo
egli, si tratta di una certa cooperazione interpretativa tra il lettore e le strutture del testo. La
genesi del concetto è elaborata in Opera Aperta (1962) ma il concetto viene esposto da Eco in
modo compiuto nel Lector in fabula (1979), ripreso e approfondito poi in Limiti
dell’interpretazione (1990).
Alla base c’è una riflessione sui concetti di Ch. S. Peirce di segno e interpretante (in quanto
altro segno che serve a definire, spiegare, parafrasare il segno di partenza nel processo di
semiosi illimitata e di fuga degli interpretanti). Eco
muove dall'idea che l'analisi delle
strutture del testo coincida con la ricerca delle sue potenziali strategie interpretative. Egli
definisce il testo "una macchina pigra" in quanto ritiene che il senso di un testo sia
determinato solo in parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti
dall'emittente (= autore), ma che un ruolo fondamentale venga svolto dal fruitore del testo
(= lettore) senza il cui intervento il senso resterebbe lettera muta. La costruzione del senso di
un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le strutture retorico-testuali e le
strategie di interpretazione del lettore.
 in Opera aperta veniva elaborata una estetica della ricezione testuale, in cui il ruolo
del lettore era fortemente attivo e creativo nei confronti della definizione del senso del
testo.
 La semiotica interpretativa sostiene che un testo è incompleto senza l’intervento del
lettore che ne riempia gli spazi vuoti con la sua attività inferenziale (deduttiva).
 Un testo è “intessuto di non detto” poiché lascia implicita una gran quantità di
informazioni che il destinatario è chiamato a estrapolare in base alla sua conoscenza
del contesto comunicativo.
 Rimane sempre dell’implicito in ogni comunicazione e si presuppone una certa
competenza enciclopedica del destinatario.
 In assenza di una comunità di interpreti competenti, cioè in possesso dei codici
necessari per comprenderne il contenuto, il testo non significa nulla.
 Il lettore è sempre chiamato ad avanzare delle ipotesi di senso e a sottoporre queste
ultime ad un processo di verifica o di confutazione testuale.
 ENCICLOPEDIA → definita come “insieme registrato di tutte le interpretazioni”,
“distillato di testi”, “la biblioteca delle biblioteche”.
 La metafora dell'enciclopedia serve ad Eco per evidenziare la differente struttura
interna del modello di sapere da lui utilizzata = si definisce come una rete di unità
culturali tra loro interconnesse, reticolo di testi.
 l'enciclopedia di Eco è un reticolo di testi

Il modello ad enciclopedia viene contrapposto a più rigidi modelli semantici a
dizionario in cui ogni significato è semplicemente definito da una serie di unità
minime tra loro interdefinite e autosufficienti (semantica strutturale).
 Il significato è infatti determinato dall'uso di concetti legati alla nostra generale
esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture culturalmente predefinite
che abbiamo appreso nel tempo e/o da altri testi (competenza intertestuale).
 La nozione di enciclopedia è quindi un postulato semiotico o ipotesi regolativa che
non può essere descritta nella sua totalità, ma che può rendere ragione dei meccanismi
di costruzione e negoziazione del senso nei diversi contesti comunicativi.
Concetti chiave della poetica di Eco
 Non si parla d’autore e lettore “in carne e ossa”, ma d’Autore e Lettore Modello in
quanto strategie testuali.
 Il Lettore modello è l’“insieme di condizioni , testualmente stabilite, che devono
essere soddisfatte perché il testo sia pienamente attualizzato nel suo contenuto
potenziale” (Eco, Lector in fabula, 1979, 62).
 L’Autore modello è la strategia testuale impiegata dall’autore empirico per
indirizzare nel senso voluto l’attività cooperativa del lettore.
 Lettore ingenuo/lettore critico
 «Ci sono due modi per passeggiare in un bosco. Nel primo modo ci si muove per
tentare una o più strade per uscirne al più presto. Nel secondo modo ci si muove per
capire come sia fatto il bosco, e perché certi sentieri siano accessibili e altri no.
Ugualmente ci sono due modi per percorrere un testo narrativo» (Eco, Sei passeggiate
nei boschi narrativi, 1994)
 Testi chiusi cercano di indirizzare in modo stringente l’interpretazione del lettore, in
modo che ogni termine, ogni modo di dire e ogni riferimento enciclopedico sia quello
che prevedibilmente il lettore può capire.
 Testi aperti sono strutturati in modo da lasciare al lettore un ampio margine di
manovra interpretativa, sfruttando la fondamentale ambiguità e incompletezza di ogni
testo a fini strategici.
 Le intenzioni del testo sono tre:
 INTENTIO AUCTORIS: intenzioni dell’autore, ciò che voleva dire l’autore empirico.
(Postille a Il nome della rosa )
 INTENTIO LECTORIS: intenzione del lettore, ciò che il lettore fa dire al testo in
riferimento ai propri sistemi di significazione o ai propri desideri, pulsioni, credenze.
 INTENTIO OPERIS: “intenzione” dell’opera, ciò che un’opera esprime di per sé, al di
là delle intenzioni di chi la produce o di chi la legge
 In seguito Eco ha notevolmente ristretto la libertà del lettore o fruitore del testo, prima
con la teoria della cooperazione interpretativa tra testo e lettore, poi con una vera e
propria definizione dei limiti dell'interpretazione.
Le caratteristiche principali della narrativa postmoderna secondo Eco sono:
1. doppia codificazione (L. Hutcheon)
2. metanarratività
3. citazionismo
4. ironia intertestuale
1.La doppia codificazione (L.Hutcheon)
Linda Hutcheon, teorica canadese cercando di definire la poetica postmoderna nelle sue
opere Poetics of Postmodernism e Politics of Postmodernism si attiene al termine di double
coding, cioè la doppia codificazione che è elaborato nel campo dell’ architettura da Charles
Jencks. Nel suo libro The language of Postmodern Architecture Jencks spiega che la doppia
codificazione è la caratteristica più importante dell’architettura postmoderna e che essa
consiste nell’applicazione simultanea di due codici stilistici, uno moderno e un’altro codice
(classico, barocco, ecc.).
Il suo concetto di doppia codificazione L. Hutcheon lo applica alla letteratura postmoderna e
nel romanzo di Umberto Eco trova un esempio par excellance della doppia codificazione.
Similmente a Eco, anche Hutcheon ritiene che la doppia codificazione, (nel caso di Eco
consiste nella mescolanza dei generi) la metanarratività e l'ironia intertestuale siano le
caratteristiche formali principali del postmoderno.
Secondo Hutcheon, dagli anni Sessanta in poi non avviene una radicale rottura, bensì una
problematizzazione e reinterpretazione di questi e altri concetti chiave dell’estetica
modernista che prevedono una rilettura critica del passato. I testi postmoderni usano e
abusano parodicamente delle convenzioni letterarie per mettere in risalto il processo di
mercificazione che investe la cultura, sia popolare che accademica. Hutcheon identifica nella
parodia uno dei concetti cardine del postmoderno.
Ad Hutcheon va inoltre il merito di aver inventato il termine di «metafiction storiografica» o
«metafinzione storiografica» per un nuovo genere del romanzo storico. Lei sottolinea che:
»Le metafinzioni storiografiche non sono “romanzi ideologici” [...]: non cercano
attraverso lo strumento della finzione narrativa, di persuadere i loro lettori della
“correttezza” di un particolare modo di interpretare il mondo. Piuttosto rendono
dubbiosi i propri lettori sulle loro stesse interpretazioni (e di conseguenza su quelle
degli altri). Essi sono più “romanzi di ipotesi” che “romanzi a tesi« (Hutcheon,
1988: 180).
La letteratura postmoderna di questo genere, infatti, rende estremamente problematica la
relazione tra fatto (storico) ed evento (così come è accaduto), mettendo in crisi il concetto
umanistico di un ‘Io’ unificato e di una coscienza individuale, favorendo la provvisorietà e la
molteplicità di prospettive. Sia la storia1 che la letteratura sono discorsi, sistemi di significato
più o meno arbitrari che permettono di rendere sensato il passato senza però caratterizzarsi
come verità assolute. Il significato e la forma non si trovano negli eventi stessi ma nei sistemi
che trasformano gli eventi nei fatti storici. Il postmoderno non nega l'esistenza d'un referente
reale ma è conscio che esso ci è accessibile solo nella forma virtuale. La storia possiamo
conoscere solo attraverso le sue tracce (Vattimo).
A questo punto vale a dire che la metanarratività non è un invenzione postmoderna, ci sono
esempi nei grandi romanzi dall'Seicento e Settecento (Don Quijote, Tristam Shandy) ma nella
letteratura postmoderna la metanarrazione diventa elemento obbligatorio. Lei ritiene che non
si può dare una definizione stabile o fissa della letteratura postmoderna perché si tratta di una
poetica aperta, in continua trasformazione. In sintonia con Eco, anche lei sottolinea che la
letteratura postmoderna riflette la condizione postmoderna che mette in dubbio la coscienza
individuale unita e lineare, l'essere individuale, il rapporto tra il linguaggio e il referente, il
rapporto tra il testo con un altro testo, ecc. L'arte postmoderna si deve pensare come un
fenomeno paradossale che usa e nello stesso tempo abusa i concetti che affronta. Facendo
riferimento alla mostra di Portoghesi e la sua Strada Nuovissima sottolinea che la novità di
questa mostra consisteva nella parodia storica. Qui non si tratta del ritorno al premodernismo
ma di un riesame critico e un dialogo ironico con la storia d'arte e della società. Hutcheon
sottolinea che un simile modello si trova nel riesame postmoderno della pittura figurativa e
della narazione storiografica nella letteratura.
A causa della sua contraddizione e dell'agire dentro il sistema che si vuole sovvertire, il
postmoderno non si deve pensare come un nuovo paradigma. Esso non ha sostituito
l'umanesimo liberale. A questo punto arriviamo al concetto di Vervindung di Gianni Vattimo
che non significa il superamento dialettico del paradigma vecchio nel cui il vecchio si
abolisce e si sostituisce con un nuovo paradigma ma storcimento nel cui si conserva il veccio
paradigma ma se mette in dubbio.
A differenza di Jurgen Habermas, grande critico della poetica postmoderna2, L. Hutcheon
sottolinea che essa non è apolitica, al contrario, essa è molto impegnata nella misura in cui
La storia (dal greco antico ἱστορία, historìa, “ispezione [visiva]”) è la disciplina che si occupa dello studio del
passato tramite l'uso di fonti, di documenti, testimonianze e racconti che possano trasmettere il sapere.
1
2
insegna che tutte le prassi culturali hanno una base ideologica che determina le possibilità
della produzione del significato. La cultura postmoderna è conscia che non può sfuggire alla
partecipazione alle dominanti economiche (del tardo capitalismo) e ideologiche (del
liberalismo) del suo tempo e che l'unico modo di criticare la condizione esistente è
dall'interno. Perciò l'arte postmoderna e intenzionalmente contradditoria e in essa coesistono
sempre due tendenze: conservativa e sovversiva.
I critici della letteratura postmoderna spesso criticavano gli autori postmoderni per la loro
condiscendenza alla cultura di massa. L. Hutcheon risponde a queste accuse sottolineando che
la letteratura postmoderna cerca anche di sovvertire la cultura di massa del mondo
globalizzato narrando i temi locali e regionali. Gli autori postmoderni sono sempre consci del
contesto spaziale e temporale delle loro narrazioni, non si crede in una natura umana
universale né in un uomo universale o lettore universale. La soggettività non puo essere fissa
o autonoma, fuori della storia.
Una delle caratteristiche principali dei testi postmoderni è anche il riesame dei confini tra
finzione e non finzione e la vita e l'arte. I confini tra i generi letterari diventano fluidi,
sopratutto tra i romanzi e le autobiografie, tra romanzi e le raccolte delle novelle, ecc. Cosi le
storie che narra Eco ne Il nome della rosa appartengono alla letteratura e alla storia.
La parodia e una forma postmoderna par excellance perché essa include in sé quello che
parodia e in questo modo si crea un rapporto dialogico dell'identificazione e della distanza.
Hutcheon anche riesamina l'idea della fonte letteraria. La narrativa postmoderna non conosce
piü i narratori onniscenti e il soggeto non si pensa più come entità coerente che produce
significati, i naratori spesso diventano molteplici (Calvino) o sono instabili e mutabili
(Tabucchi).
Brian McHale, Postmodernist fiction, London/New York, Routledge, 1987.
Brian McHale sposta l’interessa dalle forme retoriche alle strategie conoscitive del
postmoderno. Da Jakobson prende il concetto di dominante (il procedimento retorico che di
volta in volta risulta gerarchicamente prevalente nel sistema dei generi e delle forme narrative
di ogni singola epoca storica).
La dominante della letteratura postmoderna non viene cercata nell’ambito dello stile e della
retorica ma nell’ambito delle strategie conoscitive:
Il tratto dominante della narrativa modernista è epistemologico. L'epistemologia è il campo
della filosofia che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere conoscenza scientifica
e dei metodi per raggiungere tale conoscenza.
Il romanzo modernista cerca le risposte alle seguenti domande seguenti: »Come posso
interpretare questo mondo di cui faccio parte? Che posto ho io in esso? »Cosa c’è in esso che
va conosciuto? Chi lo conosce?
D'altra parte il tratto dominante della letteratura postmoderna è ontologico.
L'ontologia, uno dei campi fondamentali della filosofia, è lo studio dell'essere in quanto tale, e
delle sue categorie fondamentali. Il romanzo postmodernista pone domande come quelle:
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Che cosa è un mondo? Quali tipi di mondi ci sono? Come sono costituiti? Che cosa
succede quando diversi tipi vengono posti a confronto o quando i confini fra i mondi
vengono violati? Qual è il modo di esistenza di un testo, e qual è il modo di esistenza del
mondo (o dei mondi) che esso rappresenta? Come è strutturato un mondo di cui viene
rappresentata un'immagine?
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Che cosa si deve fare in esso? Quali dei miei Io devono farlo?