Parte II Giurisprudenza Alberto Piantelli, L’efficacia e la natura della cancellazione della società di persone dal registro delle imprese: l’“apparente” orientamento innovativo delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (nota a Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4060) Carlo Limatola, Note sulla responsabilità del socio ex art. 2476, 7° comma, c.c. (nota a Trib. Salerno, 9 marzo 2010) Giuseppe Giunta, Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c. (nota a Trib. Catania, 23 giugno 2011) 4/2011 873 CASSAZIONE, Sezioni Unite, 22 febbraio 2010, n. 4060 – VITTORIA Presidente – FORTE Relatore – Spano Pietro Clemente c. Sassu Salvatore e Nieddu Antonio s.n.c. Società di persone – Società in nome collettivo – Società di capitali – Società per azioni – Liquidazione – Cancellazione dal registro delle imprese – Art. 2495, 2° comma, c.c., modificato dall’art. 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – Effetti (Artt. 2312. 2495 c.c.; 10 legge fall) In tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495, 2° comma, c.c., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venire meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore (massima non ufficiale) (1). (Omissis). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Tribunale di Sassari, con la sentenza di cui in epigrafe, ha rigettato la opposizione agli atti esecutivi di P.C.S., proposta con atto notificato l’8 marzo 2001 ed ha dichiarato il diritto della S.S. e N.A. s.n.c. di procedere all’esecuzione per il pagamento di una somma di danaro dovuta a causa di sentenza del giudice di pace di Alghero, condannando l’opponente alle spese di causa. Ritenuta irrilevante la nullità della notificazione del titolo esecutivo costituito dalla sentenza sopra richiamata e del precetto, notifica nella cui relata non si era dato atto della irreperibilità o del rifiuto del destinatario di ricevere l’atto, perché l’opposizione agli atti esecutivi proposta negli otto giorni successivi comunque evidenziava il raggiungimento dello scopo dell’atto, il Tribunale, con sentenza emessa ai sensi dell’art. 281-sexies, ha ritenuto infondata la tesi dell’opponente della avvenuta estinzione della società opposta, a seguito dell’atto di scioglimento della stessa per notar Lojacono in Sassari del 22 dicembre 1992, che l’aveva posta in liquidazione, e per effetto dell’approvazione del bilancio liquidatorio in data 26 luglio 1993, cui era seguito il provvedimento del giudice delegato che aveva disposto la cancellazione della società dal registro delle imprese, depositato nella cancelleria del Tribunale in data 21 febbraio 1994, ai sensi dell’art. 2312 c.c. Ad avviso dell’opposta, invece, la cancellazione non aveva prodotto l’effetto estintivo della società e il Tribunale ha accolto tale deduzione, richiamando la unanime giurisprudenza di legittimità, per la quale la cancellazione della società dal registro delle imprese non determina la estinzione di essa, quando siano ancora pendenti rapporti giuridici o contestazioni giudiziali (in sentenza si citano Cass. 24.9.2003 n. 14147, Cass. 28.5.2004 n. 10314), né fa venir meno la legittimazione processuale della società (Cass. 1.7.2000 n. 8842), permanendo la rappresentanza sostan- 874 ziale e processuale di essa, per i rapporti in sospeso e non definiti, a mezzo degli stessi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. 12.6.2000 n. 7972). Ritenuta sussistente la capacità giuridica e la legittimazione processuale della società opposta, si è quindi respinta la connessa eccezione di nullità della procura come effetto dell’estinzione della società, in realtà non ancora avvenuta, per non essersi dedotto che essa non era stata conferita per la fase di esecuzione, ma solo che era venuta meno per l’estinzione denegata della società commerciale. Per la cassazione di tale sentenza, del 17 febbraio 2005, notificata al difensore domiciliatario della società in data 1 giugno 2005, lo S. ha proposto ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., articolato in tre motivi e notificato il 1 luglio 2005, e la società in nome collettivo opposta non s’è difesa in questa sede. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.1. Il primo motivo di ricorso dello S. denuncia violazione degli artt. 140, 156 e 160 c.p.c., per avere il tribunale erroneamente ritenuto nulla, invece che inesistente, la notificazione in cui non era stato dato atto della irreperibilità del destinatario o del rifiuto di questo di ricevere la copia del titolo esecutivo, costituito dalla sentenza n. 145/00 del giudice di pace di Alghero, e del precetto, né s’era dato atto del compimento delle formalità di cui al citato art. 140. Erronea è stata quindi anche l’affermazione che l’opposizione agli atti esecutivi intervenuta solo otto giorni dopo la predetta notifica provasse il raggiungimento dello scopo della stessa con effetti sananti, non essendo legittima la sanatoria di atti inesistenti: la relata di notificazione non contiene il motivo per cui s’è proceduto ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non essendosi dato atto della irreperibilità o del rifiuto di ricevere la copia del titolo e del precetto, né dell’affissione dell’avviso di notifica sulla porta del destina- tario né del deposito dell’atto presso la casa comunale e dell’avviso di deposito con lettera raccomandata. Data l’inesistenza della notificazione, la costituzione dello S. non poteva avere effetti sananti; in ogni caso erroneamente si afferma in sentenza che l’opposizione è stata notificata entro otto giorni dalla notifica del titolo e del precetto del 3 marzo 2001, essendosi avuta in data 8 marzo 2001, cioè entro cinque giorni dalla notificazione. 1.2. Con il secondo motivo lo S. lamenta violazione dell’art. 83 c.p.c. per avere il Tribunale respinto l’eccezione sulla nullità e mancanza di procura sull’assunto che l’opponente non aveva eccepito che la procura non era stata conferita per la fase di esecuzione. Il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare la mancanza della procura ad intimare il precetto perché l’opposta non ha prodotto l’atto di citazione del 24 novembre 1992, pur prevedendo l’art. 83 c.p.c., che la procura stessa sia conferita in calce o a margine di quest’ultimo o con atto pubblico o scrittura privata autenticata ad substantiam. 1.3. Si deduce infine violazione degli artt. 2272, 2274, 2275, 2278, 2310 e 2312 c.c., e artt. 83 e 480 c.p.c., perché il tribunale ha rigettato l’opposizione affermando che la società in nome collettivo S.S. e N.A. aveva conservato capacità processuale e giuridica dopo la iscrizione nel registro delle imprese della sua cancellazione, conservando quindi la legittimazione processuale nella presente causa e che la rappresentanza sostanziale e processuale di essa permanesse nei rapporti pendenti e non definiti per gli stessi organi che la rappresentavano prima della cancellazione. Il giudice avrebbe dovuto accogliere l’opposizione perché con atto per notar Lojacono del 22 dicembre 1992, registrato l’8 gennaio 1993, i due soci avevano deliberato lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, che, dopo l’approvazione del bilancio della gestione liquidatoria in data 26 luglio 1993 e il riparto del patrimonio e degli utili e delle perdite tra i soci, era stata cancellata dal registro delle imprese con provvedimento del giudice delegato allo stesso del Tribunale di Sassari del 21 febbraio 1994. Con la cancellazione si era determinata la estinzione della società ed erano venute meno la capacità processuale e giuridica di essa; sin dalla fase di liquidazione, non vi era più la rappresentanza dei suoi organi ordinari, potendo solo il liquidatore nominato S.S. esercitare i poteri di questi ultimi, mentre nel caso il precetto del 26 febbraio 2001 con notifica presunta del 3 marzo 2001, è stato notificato in base alla procura conferita il 24 novembre 1992 dagli organi della società prima dello stato di liquidazione per la causa svoltasi dinanzi al giudice di pace, che aveva emesso la sentenza del 14 dicembre 2000 fonte dell’obbligo di pagamento dello S. Alla data della notifica del precetto (3 marzo 2001) pertanto, solo il liquidatore avrebbe potuto rappresentare la società stessa e per effetto dell’estinzione doveva ritenersi venuto meno ogni potere conferito all’avv. Dore nel 1992. Anche ad affermare l’ultrattività della procura, questa non poteva comunque avere effetto dopo la sentenza del 2000 sopra citata e la mancata notifica del precetto a cura del liquidatore, cui non si fa cenno nell’atto notificato così come nell’atto di costituzione nella presente causa nella quale il S. si è costituito come socio amministratore e liquidatore. 2. Su detto ricorso, la terza sezione civile di questa Cor- te, con ordinanza n. 8665 del 5 febbraio – 9 aprile 2009, premesse le circostanze di fatto sopra richiamate, ha rilevato l’esistente contrasto di giurisprudenza. Infatti, “secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese, così come il suo scioglimento, con l’instaurazione della fase di liquidazione, non determina l’estinzione della società ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non determina, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti la perdita della legittimazione processuale della società e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. 15 gennaio 2007 n. 646, 23 maggio 2006 n. 12114, 12 giugno 2000 n. 7972, 2 aprile 1999 n. 3221)”. È quindi riportato il diverso indirizzo giurisprudenziale per il quale “a seguito della modifica apportata all’art. 2945 c.c., comma 2, dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003, entrato in vigore il primo gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società, anche in presenza di rapporti non definiti ed anche se è intervenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina, ed ha riguardato una società di persone con conseguente perdita della capacità processuale della società e passaggio della rappresentanza dagli organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. 15 ottobre 2008 n. 25192, 18 settembre 2007 n. 19347, 28 agosto 2006 n. 18618)”. Su tale contrasto gli atti sono stati rimessi al primo presidente per assegnare alle sezioni unite la risoluzione dello stesso, per il quale anche la I sezione civile con ordinanza del 15 settembre 2009 n. 19804, ha chiesto di assegnare altra causa a questa Corte a sezioni unite. 3. Il terzo motivo di ricorso dello S., che censura la decisione di merito che ha adottato la prima delle due indicate soluzioni, chiedendo di applicare il nuovo orientamento favorevole all’efficacia estintiva anche delle società di persone il cui atto costitutivo sia stato depositato nella cancelleria del tribunale ai sensi dell’art. 2296 c.c., oggi ufficio del registro delle imprese istituito con la legge n. 580 del 1993, va trattato per primo, perché logicamente preliminare agli altri. 3.1. Come si è detto, fino alla riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, era stata unanime la scelta ermeneutica dei giudici di legittimità di ritenere la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di una società commerciale, di persone o di capitali, mera pubblicità dichiarativa, che non produceva l’estinzione della società stessa, in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, per cui permaneva la legittimazione processuale di essa e il processo già iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle persone che già la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento alle fasi di impugnazione (con le già citate Cass. n. 646/07, 12114/06, 7972/00, 3221/99, cfr. pure Cass. 21 agosto 2004 n. 16500, 28 maggio 2004 n. 10324, 20 ottobre 2003 n. 15691, 2 agosto 2001 n. 10555, 1 luglio 2000 n. 8842, 15 giugno 1999 n. 5941, 20 ottobre 4/2011 875 1998 n. 10380, 16 novembre 1996 n. 10065, tra altre) ovvero negli eventuali procedimenti di esecuzione, relativi ai medesimi rapporti accertati con sentenza costituente titolo esecutivo a base dei crediti da esigere (Cass. 8 agosto 1964 n. 2273). Dal punto di vista formale, la Relazione al libro del lavoro del codice civile, sul neo istituito registro delle imprese (n.ri 98 e ss.), afferma che lo stesso (art. 2188 e ss. c.c., modificati dalla citata legge 29 dicembre 1993 n. 580 istitutiva del registro di cui sopra presso le Camere di commercio, sotto la vigilanza del giudice delegato) ha avuto lo scopo “di attuare un sistema completo ed organico di pubblicità legale, idoneo a portare a conoscenza del pubblico l’organizzazione dell’impresa, le sue vicende e le sue trasformazioni” (n. 99). Chiarisce la relazione che l’”iscrizione ha normalmente efficacia dichiarativa. Eccezionalmente, e solo in quanto la legge espressamente lo dichiari, come avviene ad es. per la costituzione delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni, delle società a responsabilità limitata e delle cooperative, la iscrizione ha efficacia costitutiva" (n. 100)”, e “crea la presunzione juris et de jure che i fatti iscritti siano noti a tutti” (n. 100). Il rilievo di regola solo dichiarativo della pubblicità attuata con l’iscrizione nel registro delle imprese è riaffermato nell’art. 2193 c.c. per il quale le iscrizioni delle vicende societarie rendono opponibili le stesse ai terzi; il regime speciale di pubblicità vuole tutelare la esigenza dei terzi, in specie dei creditori sociali, di conoscere le vicende dell’impresa collettiva e accertare da esse sia la capienza del patrimonio sociale per la responsabilità della società per i debiti di essa che la eventuale estensione di essa ai soci, con riferimento alle società che svolgono attività di impresa e si qualificano in genere commerciali, di cui ai capi III e ss. del Titolo V del Libro V del c.c. (art. 2200), siano esse di persone e prive di personalità giuridica (s.n.c. e s.a.s.) o persone giuridiche (s.p.a., società in accomandita p.a. e cooperative ex art. 2325, art. 2518 e ss. c.c.). Le iscrizioni nel citato registro riguardano vicende della impresa collettiva, dalla nascita alla cessazione delle sue attività d’impresa che determina l’estinzione della società, fino alla quale è esclusa ogni responsabilità dei soci per le società persone giuridiche, il cui patrimonio è totalmente autonomo rispetto a quelli dei soci, costituendo la personalità il limite e la misura della capacità di essere titolare e di gestire i beni conferiti all’impresa collettiva, sussistendo comunque per essi una capacità giuridica delle società iscritte ritenute “soggetti” di diritto, diversi e distinti dai soci, anche quando non vi sia la personalità giuridica. Iscritta la cancellazione dell’iscrizione delle società (art. 2191 e 2192 c.c.), su istanza dei liquidatori o di uffici, viene comunque meno la opponibilità delle vicende dell’impresa collettiva ai terzi, anche se questa può conservare una soggettività ancora più limitata e per singoli atti, non diversa da quella delle società semplici o di fatto (art. 2297 c.c.). In tale contesto normativo anteriore alla riforma del 2003 delle società di capitali e cooperative, pienamente giustificato era l’indirizzo ermeneutico giurisprudenziale, sostanzialmente unanime in sede di legittimità, favorevole alla prosecuzione della capacità giuridica e della soggettività delle società commerciali, anche dopo la cancellazione della iscrizione nel registro delle imprese e dopo il loro scioglimento e la liquidazione del patrimonio sociale. Tale posizione, oltre a rispettare la natura dichiarativa 876 della pubblicità, garantiva il ceto creditorio con l’affermazione del permanere di una soggettività attenuata e di una limitata prosecuzione della capacità processuale della società la cui iscrizione era stata cancellata (su tale tipo di soggettività cfr., in particolare, Cass. 15 giugno 1999 n. 5941 e 13 luglio 1995 n. 7650), consentendosi l’assoggettamento di tale società alla procedura fallimentare anche successivamente all’anno dalla c.d. “formalità” della cancellazione dell’iscrizione a sua volta iscritta, delle società commerciali di persone (art. 2312) e di quelle per azioni (art. 2456), così semplificando il recupero dei crediti, senza costringere i loro titolari ad agire contro una pluralità di soci, con le incertezze conseguenti, già in rapporto alla loro individuazione, pur a riconoscere loro una posizione poziore rispetto a quella dei creditori particolari dei soci. Mentre di regola i creditori della società, per il principio di responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), possono rifarsi sul patrimonio di essa finché è in vita, essi, dopo l’estinzione, non possono che soddisfarsi sui singoli soci, con prelazione sui creditori personali dei soci stessi (art. 2280 c.c. applicabile ai sensi del previgente art. 2452 c.c., 1 comma, anche alle società di capitali e per l’art. 2297 a quelle commerciali di persone, per le quali è prevista la previa escussione del patrimonio sociale ex art. 2268), essendo comunque meno garantiti per la soddisfazione dei loro diritti. La posizione giurisprudenziale esposta, costituente jus receptum, era stata criticata da quasi tutta la dottrina, in base alla lettera del combinato disposto dei già vigenti artt. 2312, 2324 e 2456 del codice civile, norme per le quali, “dopo la cancellazione” delle iscrizioni, sia delle società di persone che di quelle di capitali, “i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci” delle società in nome collettivo e di quelli accomandatari delle s.a.s., illimitatamente, e nei confronti dei soci delle persone giuridiche in proporzione alla rispettiva quota di riparto per questa parte come con l’attuale art. 2495 (giacché la novella del 2003 per le società con personalità giuridica ha lasciato in sostanza immutata la precedente disciplina). Peraltro la mancata espressa previsione, nella previgente normativa, di una estinzione della società con personalità giuridica e di una perdita della capacità giuridica e della soggettività delle società commerciali di persone, quale effetto della cancellazione della iscrizione della società, e la previsione dell’azione dei creditori sociali anche contro i liquidatori se vi è loro colpa nell’inadempimento e non quali successori dell’impresa collettiva estinta ma per responsabilità extracontrattuale, sono state circostanze che, in diritto, hanno concorso a formare il richiamato indirizzo ermeneutico dei giudici di legittimità, che, in rapporto al previgente art. 2456, per la natura dichiarativa della pubblicità anche in ordine agli atti di scioglimento e di messa in liquidazione della società, affermavano correttamente che, nella scansione degli eventi relativi alla vita della società resi pubblici, non la cancellazione ma solo la cessazione di ogni attività imprenditoriale (art. 2195 c.c.) ne determinava la estinzione. Quest’ultima non era una vicenda resa opponibile ai terzi con la pubblicità della cancellazione, da sola inidonea a produrre l’effetto estintivo, per cui, in caso di sopravvenienze attive o passive della società stessa e di pendenza sussistente di processi nei quali essa era parte, alla stessa doveva riconoscersi una limitata soggettività e capacità come società semplice o di fatto (art. 2268 c.c.) per proseguire la causa. 3.2. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000, ha rilevato come la lettura delle norme sugli effetti della pubblicità della cancellazione delle società espressione dell’allora diritto vivente comportasse una chiara disparità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto per l’imprenditore persona fisica la stessa era consentita entro un anno dalla cancellazione mentre per le imprese collettive, rimaneva sempre incerto il momento della loro fine o estinzione, da cui far decorrere il termine di un anno entro cui, ai sensi dell’art. 10 previgente della legge fallimentare poteva essere dichiarato il loro stato di insolvenza. Per i giudici della legge l’approccio ermeneutico della Corte di cassazione era irrazionale, perché poteva escludere in fatto la stessa possibilità dello stato d’insolvenza dell’imprenditore collettivo, da accertare in rapporto ad un soggetto non operativo per il quale quindi non potevano sussistere la pluralità di inadempienze che dà luogo a detto stato; così come per l’imprenditore individuale la cancellazione costituiva il momento finale dell’attività d’impresa e quello di decorrenza del termine di un anno di cui all’art. 10 allora vigente del R.d. 16 marzo 1942, n. 267, anche per le società commerciali, con o senza personalità giuridica, la stessa vicenda doveva determinare l’inizio del termine di decadenza, non potendo avere rilevanza le sopravvenienze attive e passive e la pendenza di processi per escludere ai fini del fallimento la loro estinzione. La sentenza della Corte costituzionale è da leggere in collegamento con la precedente decisione n. 66 del 12 marzo 1999, che aveva invano sollecitato i giudici di legittimità a dare una interpretazione del sistema normativo di riferimento costituzionalmente orientata, fissando per ogni impresa una data certa, cioè quella della cancellazione dell’iscrizione della società dal registro delle imprese, quale dies a quo di decorrenza del termine annuale per dichiarare il fallimento del citato art. 10 della legge fallimentare, oggi sostituito dall’art. 9 della riforma delle procedure concorsuali (d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5). Proprio il permanere dell’interpretazione prevalente di cui sopra ha determinato la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo, perché in contrasto con l’art. 3 della carta fondamentale e con il principio della certezza dei rapporti giuridici, l’art. 10 sopra citato, “nella parte in cui prevede(va) che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l’impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società invece che dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese”. Affermare la irrilevanza di tale pronuncia sulla questione, così come sembra dirsi nell’ordinanza interlocutoria citata n. 8665/2009 della prima sezione civile, per essere essa relativa solo alla disparità di trattamento dell’impresa individuale rispetto a quella collettiva in ordine ai tempi per dichiararne il fallimento, non è condivisibile, se si tiene conto del citato dispositivo della sentenza del giudice delle leggi, da cui appare chiaro il rilievo che per essa ha la disciplina della cancellazione della società, da equiparare alla liquidazione di tutti i rapporti facenti capo alla stessa, alla fine della sua capacità giuridica e alla estinzione della sua soggettività o personalità, così equiparando impresa individuale e collettiva ai fini del loro fallimento dopo la cancellazione. Per la Corte costituzionale, nel sistema, così come la ces- sazione dell’impresa commerciale individuale si presume assolutamente per l’iscrizione della cancellazione di essa dal registro delle imprese (art. 2196 c.c.), per non lasciare indefinito il termine entro cui chiedere il fallimento dell’imprenditore collettivo con ogni conseguenza in rapporto ai singoli soci, è indispensabile individuare l’identico dies a quo del termine annuale di cui all’art. 10 della legge fallimentare per dichiarare il fallimento, facendolo decorrere dalla cancellazione della iscrizione della società nel registro delle imprese, al fine di garantire la certezza dei rapporti e la tutela dell’affidamento dei terzi e riconoscendo la rilevanza di tale pubblicità ai fini dell’estinzione non riconosciuta invece in sede giurisdizionale, in caso di permanenza delle attività d’impresa. Pur potendo il legislatore regolare diversamente l’impresa collettiva e quella individuale, per la eguaglianza dei terzi creditori nelle due fattispecie, la Corte costituzionale è quindi intervenuta sul previgente art. 10 della legge fallimentare, per il quale la cessazione dell’impresa consentiva di dichiarare il fallimento entro un anno da essa solamente “se la insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, rilevando che, come per l’imprenditore individuale, la norma comporta che il termine di cui sopra decorra dalla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese che rende nota ai terzi la cessazione dell’attività, altrettanto è a dirsi per le società commerciali, per le quali la cancellazione deve produrre il medesimo effetto. Il giudice delle leggi, pur non qualificando la iscrizione della cancellazione delle società costitutiva della estinzione, ha chiarito che, ai fini del fallimento, la qualifica di impresa dei soggetti operanti in forma societaria, deve presumersi venuta meno con la cancellazione, la quale, per le imprese collettive, comportava anche la fine della loro personalità o soggettività coincidente con la misura della capacità giuridica delle società non persone giuridiche, per cui, solo entro un anno da tale pubblicità, anche sussistendo rapporti pendenti, della società poteva dichiararsi lo stato di insolvenza. 3.3. L’anno successivo alla detta sentenza della Corte Costituzionale c’è stata la legge di delega per la riforma del diritto societario n. 366 del 2001, che all’art. 8, relativo allo scioglimento e alla liquidazione della società, al comma 1, lett. a, prevede che la legge delegata semplifichi le procedure di accertamento delle cause di scioglimento e dei procedimenti di nomina dei liquidatori, dando mandato al legislatore delegato di provvedere a “disciplinare gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese”. All’art. 9 della stessa legge relativo alla ”cancellazione” della iscrizione della società dal registro delle imprese, si dispone che il futuro decreto legislativo semplifichi e precisi le circostanze in presenza delle quali devono cancellarsi le società di capitali dal registro delle imprese, prevedendo pure “forme di pubblicità della cancellazione dal registro” che, nella legge di delega, è considerata vicenda societaria da iscrivere nel registro, con gli effetti sostanziali e processuali di cui all’art. 2495 c.c. tra i quali, per la prima volta, espressamente si prevede la estinzione della personalità delle società di capitali e di quelle cooperative. La riforma delle società di capitali e cooperative di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, entra in vigore il 1° gennaio 2004 e in essa vi è l’art. 2495 c.c., novellato con l’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 e sostitutivo del previgente art. 2456, il cui contenuto è rimasto immutato nella previsione 4/2011 877 del primo comma delle condizioni e presupposti della cancellazione, costituiti dallo scioglimento della società e dalla procedura di liquidazione, essendosi modificato il solo secondo comma, con l’inserimento in esso dell’inciso preliminare “ferma restando l’estinzione della società” dopo la cancellazione e la nuova previsione della notifica, entro un anno da detto effetto estintivo, presso la sede della società estinta, delle domande dei creditori sociali nei confronti dei soci di essa, che risponderanno di tali debiti nei limiti della parte di capitale a ciascuno di loro ripartito o dei liquidatori in colpa per l’inadempimento, con disciplina analoga a quella della notificazione dell’atto riassuntivo della causa ai successori, in caso di morte della parte del processo. La riforma introdotta tiene conto della cancellazione della iscrizione della società come istituto sostanziale da pubblicizzare, di cui alla legge di delega, e prevede che resta “ferma ... la estinzione della società, dopo la cancellazione”, considerando quindi la prima effetto della seconda, secondo la lettera della legge, che è in palese contrasto con il diritto vivente elaborato da questa Corte, ritenuto emendabile dal giudice delle leggi, con una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 10 previgente della legge fallimentare, denegata in assenza di una norma che prevedesse la natura estintiva della cancellazione sulla società. Nessun eccesso vi è stato dai limiti della delega della riforma societaria per la quale erano da disciplinare, come detto, “gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese”, non precisandosi se l’evento indicato da pubblicizzare dovesse essersi avuta prima o dopo l’entrata in vigore della legge delegata che, per i dati testuali dell’art. 2495 c.c. è ultrattiva e produce i suoi effetti, tra cui quello estintivo della società per cancellazione, solo dal 1° gennaio 2004, data d’entrata in vigore della novella (in tal senso sembra pure l’art. 223-bis disp. att. c.c.). Non può non rilevarsi che, ai sensi dell’art. 2193 c.c. e della richiamata relazione al codice civile in materia di pubblicità nel registro delle imprese, soltanto la previsione “espressa” per legge può provocare l’effetto estintivo, cioè costitutivo, della cancellazione dell’iscrizione delle società di capitali e cooperative, e tale previsione si è avuta per la prima volta con l’art. 2495 novellato; ciò comporta che l’estinzione può aversi, per le cancellazioni precedenti alla data di entrata in vigore del 1° gennaio 2004, del d.lgs. n. 6 del 2003, solo a detta data, dovendosi ritenere contestuale per l’avvenire con ciascuna cancellazione successiva, per il principio di ultrattività delle norme, di cui agli artt. 10 e 11 preleggi e dall’art. 73 della Cost., che consentono deroghe espresse a tale regola per cui ogni legge e anche l’art. 2495 opera solo per l’avvenire, salvo a volere riconoscere una natura “interpretativa” che non sembra giustificarsi sulla base della lettera della delega e del dato normativo novellato, che, anzi, con gli artt. 218 e 223-bis, ultimo comma, disp. att. di cui alla novella, conferma l’ultrattività della disciplina non contestabile per i profili processuali dell’articolo, regolati dal principio “tempus regit actum”. Resta dunque l’interrogativo se – fermo restando che anche le società cancellate prima di tale data, a partire dal 1° gennaio 2004 debbono considerarsi estinte a causa dell’entrata in vigore della nuova legge – gli effetti di tale estinzione debbano essere fatti risalire a tale data o a quella della precedente cancellazione. In quest’ultimo senso appare orientata la sentenza n. 18618 del 2006 che, per la prima volta, dà rilevanza er- 878 meneutica generale, nella disciplina dei rapporti tra creditori e società, alla previsione dell’art. 2495 c.c., in rapporto alla pubblicità delle cancellazioni precedenti e anche ai fini del fallimento delle imprese collettive, cui avevano fatto riferimento le sentenze citate della Corte Costituzionale, per rilevare l’incidenza della nuova disciplina della pubblicità nel registro con effetti su altri tipi di società sia pure su un piano meramente processuale. Si afferma infatti, in tale sentenza, che, nell’applicare l’art. 10 della legge fallimentare in rapporto ad una società di fatto venuta meno con il trasferimento dell’azienda di questa ad una società di capitali, operato con atto notarile avente data certa e pubblicizzato nel registro delle imprese in cui era iscritta detta società, il termine annuale per la dichiarazione di insolvenza della società di fatto, non poteva che decorrere da tale richiamata pubblicità, pur essa estintiva della limitata soggettività della società dante causa, a garanzia delle esigenze di certezza nei rapporti con i terzi sottostanti la disciplina legale, cui si era dato rilievo con la sentenza della Corte costituzionale n. 319/2000, tenuto pure conto delle sentenze della stessa Consulta n. 361 del 7 novembre 2001 e 131 dell’11 aprile 2002. Tali interventi del giudice delle leggi avevano dato identico rilievo alla pubblicità della cessazione della attività delle imprese individuali e di quelle collettive, più che alla prosecuzione di questa in fatto, per escludere la violazione di norme costituzionali e del principio di eguaglianza tra i loro creditori e quelli delle società, dopo la riforma del registro delle imprese di cui alla legge n. 580 del 1993. Per la prima volta si afferma dalla Corte di legittimità che il carattere dichiarativo della pubblicità non comporta che la cessazione di fatto dell’attività di impresa possa prevalere sulla cancellazione iscritta nel registro, che rende certa e opponibile ai terzi la diversa data di detta cessazione dell’attività d’impresa, producendo l’opponibilità del venir meno della capacità giuridica della società, anche ai fini della decorrenza del termine annuale per la declaratoria di insolvenza, facendo presumere detto adempimento pubblicitario la conclusione dell’attività imprenditoriale, a garanzia dei terzi che, dalle iscrizioni degli eventi relativi alle imprese, hanno conoscenza “legale” di essi, con ogni riflesso anche processuale di tale affermazione. 3.4. Tuttavia la citata sentenza del 2006 della Cassazione afferma che il nuovo art. 2495 c.c. “non disciplinando le condizioni per la cancellazione ma gli effetti della stessa, cioè la estinzione della società cancellata, si applica anche alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore”, senza nulla osservare in ordine alla retroattività o ultrattività degli effetti della legge. Appare evidente l’incidenza sui giudici di questa Corte della legge di delega che tali effetti aveva espressamente chiesto di disciplinare, senza precisare se gli stessi potessero retroagire, ma non escludendo che la legge delegata potesse riferirsi anche a cancellazioni già avvenute, con la conseguenza che, per le cancellazioni anteriori all’entrata in vigore della riforma, l’effetto dell’estinzione non poteva che riconoscersi e “restare fermo” alla data del 1° gennaio 2004. Lo stesso novello art. 2495 è scritto in modo da regolare i soli effetti estintivi a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del diritto societario anche in rapporto alle cancellazioni precedenti, avendo carattere di jus superveniens ultrattivo e produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni, in rapporto a quanto previsto nelle preleggi e in Costituzione (cfr. sul tema Cass. 5 marzo 2007 n. 5048) e non emergendo, dal suo contenuto letterale della norma, una pretesa natura meramente interpretativa e ricognitiva di essa, che ne avrebbe comportato la retroattività e il superamento per il passato del diritto vivente superato dalla novella. Non può quindi configurarsi l’art. 2495 c.c. introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 2003, che ha sostituito il previgente art. 2456, come norma interpretativa della pregressa disciplina e retroattiva, espressione di una lettura in consapevole contrasto con il precedente ius receptum, che negava natura costitutiva alla cancellazione della iscrizione della società dal registro delle imprese, come afferma invece la citata sentenza di questa Corte n. 25192 del 2008, per la quale la novella costituirebbe solo una lettura orientata costituzionalmente del sistema normativo precedente. Anche la tutela dell’affidamento dei cittadini in rapporto agli effetti della loro conoscenza dell’iscrizione della cancellazione che, all’epoca in cui la stessa avvenne, non poteva escludere la continuazione dell’esistenza in vita della società e l’effetto estintivo previsto poi dalla novella, induce a ritenere, la irretroattività delle norme, non prevista testualmente dalla legge nei sensi indicati, in conformità alle Preleggi e alle norme costituzionali. La citata pronuncia del 2008 deve invece condividersi per la parte in cui afferma che, se per le società con personalità giuridica si riconosce dalla nuova norma la erroneità del pregresso indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel sistema è logico riconoscere al novellato art. 2495 c.c. un effetto espansivo che impone un ripensamento della pregressa giurisprudenza anche per le società commerciali di persone, in adesione ad una lettura costituzionale della norma. Le società in nome collettivo e in accomandita semplice non hanno personalità giuridica ma solo una limitata capacità per singoli atti di impresa e, con la cancellazione della loro iscrizione dal registro, come si estingue per l’art. 2495 la misura massima di detta capacità, cioè la personalità delle società che di essa sono dotate, deve logicamente presumersi che venga meno anche detta ridotta capacità delle società di persone, rendendola opponibile ai terzi con una pubblicità solo dichiarativa della fine della vita di essa, della stessa natura cioè di quella della loro iscrizione nel registro a decorrere dal 1° gennaio 2004 e per l’avvenire, come sopra già precisato. Pertanto, anche per le società di persone, può presumersi, che la cancellazione della loro iscrizione nel registro delle imprese comporti la fine della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali e le cooperative, anche se in precedenza per esse si era esattamente negata la estinzione della società e della capacità giuridica e di agire di essa, fino al momento della liquidazione totale dei rapporti facenti ad essa capo, in difetto di una espressa previsione dell’effetto estintivo per le società di capitali della pubblicità della cancellazione. Tale soluzione ermeneutica, oltre che nelle indicate ragioni logiche e sistematiche che inducono a uniformare la disciplina dei diversi tipi di società, trova giustificazione anche nell’art. 10 della legge fallimentare, come novellato con il citato art. 9 del d.lgs. n. 5 del 2006, il cui primo comma consente, per gli imprenditori individuali e collettivi, come già detto, la dichiarazione di fallimento “entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se la insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, con chiaro identico rilievo dell’i- scrizione della cancellazione per ogni tipo di società commerciale, sia di persone che di capitali. Non si viola in tal modo l’art. 2193 c.c. né il rigido formalismo della relazione al codice sul carattere assoluto della presunzione di conoscenza delle vicende societarie iscritte nel registro, facendo salvo il secondo comma del citato art. 10 della legge fallimentare, la facoltà di dimostrare “il momento dell’effettiva cessazione dell’attività” imprenditoriale, “da cui decorre il termine del primo comma” per la declaratoria del fallimento, per entrambi i tipi di società, solo nel caso la cancellazione sia stata ordinata di ufficio e non sia quindi dovuta a richiesta dei liquidatori, potendo le società, in tale condizione peculiare, considerarsi cessate ed estinte anche in un momento diverso dalla cancellazione stessa se si dimostri che il provvedimento si fondava su dati di fatto errati. Il riconoscimento alla cancellazione delle società di persone di un effetto solo dichiarativo della estinzione della stesse da riconoscere al primo gennaio 2004 o successivamente, resta confermato dalla disciplina delle azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci per debiti della società di persone, riconosciuta dall’art. 2312 c.c., come accade per quelle con personalità giuridica cancellate ed era già previsto dal previgente art. 2456 c.c. e risulta confermato dall’attuale art. 2495, con una chiara differenza delle due discipline delle azioni nei due casi, connessa alla natura dei due tipi societari. Differenti sono infatti i limiti della responsabilità dei soci, nelle società di persone di regola illimitata, dopo l’escussione del capitale sociale, ai sensi dell’art. 2304 e 2324 c.c. (cfr. pure artt. 2267 e 2268 c.c. per le società semplici), e invece, in quelle di capitali e nelle cooperative, coerentemente con il sistema, limitata fino alla concorrenza di quanto riscosso nel riparto del capitale sociale, dal socio chiamato a rispondere dei crediti sociali, in ragione dell’accentuata e totale autonomia del patrimonio delle società aventi personalità giuridica, che non consente una soddisfazione che superi quanto di esso è stato ripartito tra i soci e resta comunque destinato a soddisfare i creditori della società, nei limiti della sua capienza anche dopo la ripartizione. Consegue quindi che l’inciso “ferma restando la estinzione della società”, che la novella ha inserito con riferimento espresso alle società di capitali e alle cooperative, integra comunque il presupposto logico, nel sistema, per una lettura della cancellazione delle iscrizioni di società di persone dichiarativa della cessazione della loro attività dal momento dell’entrata in vigore della legge, anche per le cancellazioni precedenti e dalla data della cancellazione dell’iscrizione per quelle successive al 1° gennaio 2004, consentendo quella interpretazione costituzionalmente orientata delle norme da sempre sollecitata dal giudice delle leggi e favorevole ad un identico trattamento di tutti i creditori delle imprese individuali e collettive di qualsiasi tipo, oggi possibile in ragione della riforma del 2003. Infatti il venir meno della società costituisce il medesimo presupposto della analoga disciplina delle azioni dei creditori delle società contro i soci di cui all’art. 2312, secondo comma, e dell’art. 2324 c.c., soggetti che rispondono per l’eventuale inadempimento, in solido e illimitatamente, previa escussione del patrimonio sociale, ove sia cessata la vita della società. Per le società di persone, sembra logico ritenere che l’espressa disciplina della responsabilità dei soci subentrati alla 4/2011 879 società verso i creditori sociali per effetto della cancellazione ha come presupposto, il venir meno della soggettività e della capacità giuridica limitata di esse, parallelo all’effetto costitutivo-estintivo della cancellazione dell’iscrizione delle società di capitali di cui all’art. 2495 (così le cit. Cass. n. 19347/07, relativa a società consorziate e 29242/08), riaffermandosi, per le società commerciali senza personalità giuridica, la natura dichiarativa dell’effetto al 1° gennaio 2004 per le cancellazioni precedenti l’entrata in vigore della novella e quella contestuale alla pubblicità per quelle future. 3.5. Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “L’art. 2495, secondo comma, c.c., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, è norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire e riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci dopo l’entrata in vigore della norma, con le novità previste agli effetti processuali per le notifiche intrannuali delle citazioni, in applicazione degli artt. 10 e 11 preleggi e dell’art. 73, ult. comma, Cost. Il citato articolo, incidendo nel sistema, impone una modifica del diverso e unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità, fondato sulla natura all’epoca non costitutiva della iscrizione della cancellazione che, invece, dal 1° gennaio 2004 estingue le società di capitali nei sensi indicati. Dalla stessa data, per le società di persone, esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione, per ragioni logiche e di sistema, può affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, opponibile dal 1° gennaio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., in base ai quali si giunge alla presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse operante negli stessi limiti temporali già indicati, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le esse sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società, da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione delle società di capitali per la novella. La natura costitutiva riconosciuta per legge, a decorrere dal 1° gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali e le cooperative, che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, si abbia una vicenda estintiva analoga con la loro estinzione contestuale alla pubblicità, che resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate che, per analogia juris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa. Per le società di persone, come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa, anche la fine della loro legittimazione e capacità è soggetta a pubblicità della stessa natura, desumendosi l’estinzione di esse dagli effetti della novella dell’art. 2495 sull’intero titolo V del Libro quinto del codice civile dopo la riforma parziale di esso, ed è evento sostanziale che la cancellazione rende opponibile ai terzi 880 (art. 2193 c.c.) negli stessi limiti temporali indicati per la perdita della personalità delle società oggetto di riforma.” L’enunciato principio relativo agli effetti della cancellazione dell’iscrizione del registro dell’impresa delle società garantisce una soluzione unitaria al problema degli effetti della iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di società o imprese collettive ed è coerente anche con l’art. 10 della legge fallimentare novellata, facendo comunque decorrere dalla data della iscrizione della cancellazione stessa, l’anno per la dichiarazione di fallimento ed evitando incertezze su tale punto. 4. Fissato il punto che, per effetto della sua cancellazione avvenuta in data anteriore al 1° gennaio 2004, la società convenuta è da considerare estinta da tale data, la Corte sarebbe chiamata ad affrontare il problema, se sia valida la notifica che del ricorso per cassazione le è stata fatta, presso il difensore costituito nel giudizio di appello, indirizzandola a S.S., già amministratore e poi liquidatore della società, ma anche suo socio. E questo sotto l’aspetto del poterle essere la notifica eseguita presso il difensore e non presso il socio personalmente, una volta cessata l’esistenza della società nel corso del giudizio di merito, senza che il difensore l’avesse dichiarato. Ritengono peraltro queste sezioni unite di poter prescindere da tale esame, perché, anche alla stregua dei principi di diritto prima enunciati, i motivi di ricorso si rilevano infondati. Il terzo motivo di ricorso è infatti infondato per il principio enunciato per la risoluzione del contrasto e la riconosciuta estensione dell’effetto estintivo della società intimata in conseguenza della pubblicità data alla cancellazione solo a decorrere da 1° gennaio 2004, per cui fino a tale data le vicende processuali si erano regolarmente svolte nei confronti dalla società ancora in vita. Pertanto la s.n.c. S.S. e N.A., sciolta con atto per notar Lojacono di Sassari del 22 dicembre 1992 e posta in liquidazione con tale atto, a seguito dell’approvazione del bilancio liquidatorio del 26 luglio 1993, era stata cancellata con provvedimento del giudice delegato al registro del 21 febbraio 1994 e, a causa di tale cancellazione, era da ritenere estinta solo in data 1° gennaio 2004, dopo che la sentenza costituente il titolo e il precetto a base della procedura esecutiva, erano state depositate il 26 febbraio 2001 e che, in data 8 marzo 2001, era stata notificata l’opposizione del ricorrente in questa sede a detta società ritenuta correttamente ancora non estinta, in base alla previgente disciplina e al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che consentiva il permanere della legittimazione di ogni società anche dopo la cancellazione della iscrizione stessa della società. 5. Anche il primo motivo di ricorso è infondato, perché la notificazione del precetto, contenente mere omissioni formali nella relata, in quanto nel caso non era specificato se la mancata consegna dell’atto fosse dovuta alla irreperibilità o al rifiuto di esso da parte del destinatario, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., determina comunque che la notificazione sia ritenuta affetta da nullità sanabile e non da inesistenza, che si avrebbe allorché la notifica non fosse riconoscibile come tale né potesse raggiungere il suo scopo (Cass. 24 ottobre 2008 n. 2573, 16 aprile 2008 n. 9988, 12 febbraio 2003 n. 2079, e 3 agosto 1988 n. 4806). Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, deducendo violazione dell’art. 83 c.p.c., per la prima volta denuncia, in sede di legittimità, la mancata produzione nel merito dell’atto contenente la procura valevole anche per l’azione esecutiva, nella citazione introduttiva del giudizio concluso dalla sentenza costituente il titolo esecutivo a base del presente procedimento, con conseguente inammissibilità della questione nuova prospettata in questa sede per la prima volta della mancata produzione in atti di detto atto, essendosi invece nel merito dedotta solo la nullità della procura e non l’inadempimento da parte della società di persone intimata in questa sede, dell’onere di depositare il detto documento contenente il conferimento dei poteri al difensore, denunciando solo una pretesa invalidità e nullità della procura nella fattispecie. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e non essendosi la s.n.c. intimata difesa in questa sede, le spese di questa fase di legittimità devono porsi a carico della ricorrente che le ha anticipate, in difetto di ogni difesa dell’intimata. P.Q.M La Corte rigetta il ricorso. (1) L’efficacia e la natura della cancellazione della società di persone dal registro delle imprese: l’“apparente” orientamento innovativo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 1. Il caso La sentenza in commento costituisce la prima di una triade di decisioni coeve, pubblicate il giorno 22 febbraio 2010, recanti i numeri 4060, 4061 e 4062, mediante la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tentano di comporre, con funzione deliberatamente nomofilattica, il contrasto maturato tra i precedenti indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’individuazione del momento estintivo delle società di persone e di capitali, nonché riguardo all’efficacia e alla natura della loro cancellazione dal registro delle imprese 1. Con essa, quella delle tre riguardante specificatamente una società di persone 2, la Suprema Corte as1 A commento delle tre sentenze delle Sezioni Unite, si v. i contributi di ALLECA, “Le Sezioni Unite e l’estinzione delle società a seguito della cancellazione”, Riv. dir. civ., 2010, II, 637 ss.; BOGGIALI-RUOTOLO, “Efficacia estintiva della cancellazione delle società di capitali e di persone dal registro delle imprese”, Riv. not., 2010, 1396 ss.; DALFINO, “Le Sezioni Unite e gli effetti della cancellazione della società dal Registro delle imprese”, Società, 2010, 1011 ss.; FIMMANÒANGIOLINI, “Gli effetti della cancellazione della società alla luce delle pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione”, Riv. not., 2010, 1465 ss.; MAZZÙ, “Variazioni sul tema della soggettività giuridica: l’estinzione delle società”, Notariato, 2010, 376 ss.; PEDOJA, “Fine della “immortalità”: per le Sezioni Unite la cancellazione delle società dal registro delle imprese determina la sua estinzione”, Corr. giur., 2010, 1013 ss.; ROSSANO, “La cancellazione dal registro delle imprese e la società di persone”, Giur. comm., 2010, II, 707 ss.; SPOLIDORO, “Nuove questioni sulla cancellazione delle società davanti alle Sezioni Unite”, Notariato, 2010, 643 ss. 2 Il caso conosciuto dalle Sezioni Unite nella sentenza in epigrafe riguardava una società in nome collettivo, la quale, iniziata una causa nel 1992 avanti al giudice di pace di Alghero, aveva ottenuto nel 2000 una sentenza che condannava il convenuto a pagarle una determinata somma di denaro. Nel frattempo, nel 1993, la società si era sciolta, il bilancio di liquidazione era stato approvato ed infine, nel 1994, la società era stata cancellata dal registro delle imprese. L’avvocato che serisce, tanto per le società di capitali quanto per le società di persone, il realizzarsi, probabilmente definitivo 3, dell’effetto estintivo in coincidenza della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese, con l’assai rilevante precisazione, tuttavia, che l’adempimento pubblicitario per le prime ha natura costitutiva, mentre per le seconde, oggetto di specifica analisi in questa sede, ha natura dichiarativa. Dal non limpidissimo principio di diritto dettato dalla sentenza in epigrafe (si vedano, in particolare, i parr. 3.4 e 3.5 di essa) si evince che, con l’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, come avviene per le società di capitali, si verifica l’estinzione delle società di persone, col conseguente venir meno della loro capacità e legittimazione. Tuttavia, ben specificandosi che si tratta di una mera «presunzione» e ben evidenziandosi che l’adempimento pubblicitario ha mera «efficacia dichiarativa», sembra consentirsi, ancora oggi, a coloro che ne abbiano interesse di fornire una prova volta a superare la mera «presunzione del venir meno della capacità e legitaveva ottenuto la sentenza, sulla base della procura alle liti conferitagli dall’amministratore della società per il giudizio introdotto di fronte al giudice di pace, aveva intimato il precetto. Il condannato, opponendosi agli atti esecutivi, aveva fatto valere, tra l’altro, la nullità della procura nonché il venir meno della capacità processuale e giuridica della società in conseguenza della sua cancellazione e susseguente estinzione. 3 Il 9 aprile 2010 le Sezioni Unite sono tornate in argomento con due nuove sentenze, recanti i numeri 8426 e 8427 (Notariato, 2010, 639 ss.), con le quali sembrano introdurre una limitazione del principio d’irreversibilità dell’estinzione affermato nelle tre decisioni precedenti almeno per quanto attiene alle società di capitali, affermando che la cancellazione di queste dal registro delle imprese ha, sì, effetto estintivo, «ma non impedisce che la cancellazione stessa sia a sua volta cancellata», laddove si accerti la prosecuzione dell’attività d’impresa. Per un approfondimento delle questioni poste dal nuovo orientamento interpretativo delle due sentenze delle Sezioni Unite, cfr. v. FIMMANÒ-ANGIOLINI (supra, n. 1), 1465 ss.; SPOLIDORO (supra, n. 1), 643 ss. 4/2011 881 timazione»: in altre parole, secondo il principio espresso dalla Sezioni Unite, se la società personale deve, sì, presumersi estinta in quanto cancellata, sembra restare pur sempre salva la possibilità di affermare, fornendo la prova della continuazione dell’attività di impresa e, probabilmente, anche della stessa esistenza di rapporti pendenti, il perdurarne dell’esistenza, con la conseguenza che non sempre il momento in cui si estinguono le società personali coincide con l’espletamento della formalità pubblicitaria. Al fine di comprendere i motivi e di fornire un giudizio dell’interpretazione delle Sezioni Unite, pare anzitutto necessario analizzare in breve e criticamente le posizioni della giurisprudenza e della dottrina al riguardo, sia prima che dopo la riforma societaria. 2. La normativa di riferimento e gli orientamenti giusdottrinali ante riforma Il tema dell’individuazione del momento estintivo delle società di persone, nonché dell’efficacia e della natura della loro cancellazione dal registro delle imprese, è da sempre fortemente dibattuto, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, posto che non esiste nessuna norma che espressamente sancisce il momento in cui si verifica l’estinzione delle società personali. Invero, il codice civile non contiene alcuna disposizione al riguardo per quanto attiene alla società semplice, mentre per la società in nome collettivo la questione è solo parzialmente disciplinata dall’art. 2312 c.c. («Cancellazione della società»), secondo il quale: «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese» (1° comma); «Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi» (2° comma) 4. 4 La norma speculare all’art. 2312 c.c. disciplinante la cancellazione dal registro delle imprese delle società di capitali è l’art. 2495 c.c., secondo il quale: «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese» (1° comma); «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi»; «La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società» (2° comma). Il testo dell’art. 2495 c.c. coincide con il disposto del previgente art. 2456 c.c., ad eccezione di due punti emendati con la riforma di diritto societario, riguar- 882 Eppure, individuare con esattezza il momento in cui si realizza il fenomeno estintivo assume un’importanza fondamentale, attese le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e le istanze di tutela dei creditori sociali che in tali momenti conclusivi della vita sociale assumono tipicamente rilievo 5. Ora, il problema dell’individuazione del momento in cui si verifica l’effetto estintivo si è posto storicamente in termini differenti per le società di persone registrate e per quelle non iscritte nel registro delle imprese. Per queste ultime, infatti, giurisprudenza e dottrina sono sempre state essenzialmente concordi nello sposare un criterio sostanzialistico, ritenendosi che l’estinzione non si verificasse prima dell’integrale definizione di tutti i rapporti sociali: in altri termini, la chiusura del procedimento di liquidazione determina l’estinzione della società non registrata, sempreché la relativa disciplina sia rispettata e siano soddisfatti tutti i creditori sociali; in mancanza di ciò, la società non registrata, soprattutto a causa dell’assenza di un atto formale che segni chiaramente il momento finale della sua vita, deve considerarsi ancora esistente 6. danti, l’uno, la parte introduttiva del secondo comma e, l’altro, la chiusura dello stesso: con il primo, ovvero con l’introduzione della precisazione «ferma restando l’estinzione della società dopo la cancellazione», il legislatore della riforma ha indicato che la cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società; mentre col secondo, ossia con l’aggiunta conclusiva «la domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società», si è cercato, in qualche modo, di salvaguardare la posizione, non certamente agevole, del creditore sociale dinnanzi ad un fenomeno estintivo meramente collegato ad un adempimento pubblicitario. Per approfondimenti al riguardo si v., tra gli altri, BASSO, sub 2495, in FAUCEGLIA-SCHIANO DI PEPE (diretto da), Codice commentato delle S.p.A. (Torino, 2007), 1588 ss.; BONECHI, sub 2495, in ABRIANI-STELLA RICHTER (a cura di), Codice commentato delle società (Torino, 2010), 2174 ss.; DIMUNDO, sub 2495, in LO CASCIO (a cura di), La riforma del diritto societario (Milano, 2003), 205 ss.; FACCHIN, sub 2495, in GRIPPO (a cura di), Commentario delle società (Torino, 2009), 1151 ss.; NICCOLINI, sub 2495, in NICCOLINI-STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali. Commentario (Napoli, 2004), 1836 ss.; PASQUARIELLO, sub 2495, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Il nuovo diritto delle società (Padova, 2005), III, 2277 ss.; VAIRA, “La cancellazione della società (art. 2495)”, in COTTINO-BONFANTE-CAGNASSO-MONTALENTI (diretto da), Il nuovo diritto societario (Bologna, 2004), 2144 ss. 5 Sul punto cfr. CIVERRA, “Presupposti ed effetti della cancellazione di società dal Registro delle imprese”, Società, 2005, 766; FERRI, “Delle società”, in Commentario ScialojaBranca (Bologna-Roma), 1987, 457; GHIDINI, Società personali (Padova, 1972), 887. 6 COTTINO-WEIGMANN, “Società di persone e consorzi”, in Trattato Cottino (Padova, 2004), III, 337; GHIDINI (supra, n. 5), 887. Principi differenti valgono, invece, per le società di persone registrate, riguardo alle quali, più specificamente, si è sviluppato l’accennato dibattito. Già ante riforma, dottrina e giurisprudenza assolutamente prevalenti, sulla base del semplice tenore letterale dell’art. 2312 c.c., ritenevano che l’atto formale di cancellazione dal registro delle imprese fosse, in ogni caso, condizione necessaria per l’estinzione della società, la quale fino a tale momento doveva considerarsi esistente 7. Ciò di cui si discuteva era, piuttosto, se la cancellazione dal registro delle imprese fosse anche condizione sufficiente. In particolare, il dubbio interpretativo, che una previsione normativa non felicissima creava, era se la persistenza di rapporti della società fosse in grado di influire sugli effetti della cancellazione della stessa e, in definitiva, sulla sua esistenza nel mondo giuridico. Al riguardo, la giurisprudenza pressoché unanime 8 ante riforma negava che si verificasse l’effetto 7 In giurisprudenza, ex multis, App. Milano, 29 novembre 2002, Società, 2003, 837 ss., con nota di ZAGRA, Poteri di rappresentanza processuale del liquidatore dopo la cancellazione della società dal registro imprese; Cass., 12 giugno 2000, n. 7972, Dir. prat. soc., 2001, 23, 97 ss.; Cass., 13 ottobre 1966, n. 2445, Foro it., 1967, I, 2249 ss. In dottrina cfr. BUONOCORE, “Società in nome collettivo”, in Commentario, Schlesinger (Milano, 1995), 470; CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società (Torino, 2002), 133; COTTINO, Le società. Diritto commerciale (Padova, 1999), I, t. 2, 185 ss.; COTTINO-WEIGMANN (supra, n. 6), 337; FERRARA jr.-CORSI, Gli imprenditori e le società (Milano, 2001), 332; GHIDINI (supra, n. 5), 883; GRAZIANI, Diritto delle società (Napoli, 1963), 558; PORZIO, L’estinzione delle società per azioni (Napoli, 1959), 204 ss. Ritengono invece che l’iscrizione della cancellazione produca solo l’effetto di rendere opponibile ai terzi la già intervenuta estinzione della società, fra gli altri, FERRI (supra, n. 5), 457; GALGANO, “Le società in genere. Le società di persone”, in Trattato Cicu-Messineo (Milano, 1982), 397 ss. 8 Si v., ex multis, Cass., 20 ottobre 2003, n. 15691, Mass. Giust. civ., 2003, 10 ss.; Cass., 24 settembre 2003, n. 14147, Giur. it., 2004, 1004 ss., con nota di SPIOTTA, Un orientamento giurisprudenziale duro a morire; Cass., 18 agosto 2003, n. 12078, Mass. Giust. civ., 2003, 7 ss.; Cass., 4 luglio 2003, n. 10606, Mass. Giust. civ., 2003, 7 ss.; Cass., 17 giugno 2002, n. 8685; Cass., 26 aprile 2001, n. 6068; Cass., 2 agosto 2001, n. 10555, Mass. Giust. civ., 2001, 1525 ss.; Cass., 1 luglio 2000, n. 8842, Mass. Giust. civ., 2000, 1478 ss.; Cass., 12 giugno 2000, n. 7972, Dir. prat. soc., 2001, 23, 97 ss.; Cass., 29 maggio 1999, n. 5233, Mass. Giust. civ., 1999, 1209 ss.; Cass., 14 maggio 1999, n. 4774, Società, 1999, 1326 ss., con nota di DI CHIO, Opponibilità ai terzi dei limiti ai poteri degli amministratori di società personali; Cass., 11 marzo 1998, n. 2676, Giur. it., 1998, 2099 ss.; Cass., 10 settembre 1990, n. 9318, Mass. Giust. civ., 1990, 9 ss.; Cass., 29 agosto 1987, n. 7139, Dir. fall., 1988, II, 35 ss.; Cass., 21 marzo 1980, n. 1902, Mass. Giust. civ., 1980, 3 ss.; Cass., 14 giugno 1979, n. 3345, Giur. comm., 1980, II, 697 ss.; Cass., 13 ottobre 1966, n. 2445, Foro it., 1967, I, 2249 ss.; Cass., 14 ottobre 1963, n. 2747, Giur. it., 1964, I, 1364 ss. Nella giurisprudenza di meri- estintivo finché facessero capo rapporti alla società, con la conseguenza di affermare, in tale eventualità, il permanere del potere di rappresentanza dei liquidatori e della capacità processuale della medesima. Secondo tale orientamento, affinché si potesse addivenire all’effettiva estinzione di un qualsiasi tipo sociale, era necessario che tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo – sia attivi che passivi, sia sostanziali che processuali – fossero irretrattabilmente definiti. Alla cancellazione si riconosceva, quindi, un valore meramente dichiarativo, essendo da sola insufficiente a realizzare l’effetto estintivo: essa costituiva una mera presunzione (non assoluta) di estinzione dell’ente, e da sola era considerata come condizione necessaria ma non sufficiente a determinarne l’estinzione 9. La tesi giurisprudenziale costituiva una scelta di campo netta, nel senso di assicurare, sempre e in ogni caso, sostanza alle ragioni di chi fosse entrato in rapporto con una società, ed era chiaramente volta a tutelare a tutti i costi la posizione dei creditori sociali 10, in tal modo salvaguardati da cancellazioni fraudolente, non costretti a frammentare la propria azione esecutiva fra vari soci (potenzialmente numerosi e non facilmente reperibili) nonché a subire le conseguenze negative della confusione dei patrimoni, con il relativo concorso con i creditori personali dei soci. to, si v., tra le altre, App. Milano, 12 marzo 2003, Società, 2004, 470 ss., con nota di LUPETTI, Cancellazione dal Registro delle imprese e momento estintivo delle società di persone; App. Milano, 2 dicembre 2003, Giur. it., 2004, 1213 ss.; Trib. Padova, 26 giugno 2003, Società, 2003, 1657 ss., con nota di GUSSO, Cancellazione illegittima, effetti e poteri del giudice del Registro delle imprese; Trib. Monza, 6 agosto 2002, Giur. mil., 2003, 38 ss.; Comm. trib. centr., 31 marzo 1992, n. 2516, Comm. trib. centr., 1992, I, 248 ss.; Comm. trib. reg. Pavia, 26 ottobre 1991, n. 129, Dir. prat. trib., 1992, II, 1349 ss., con nota di SPECA, La responsabilità del liquidatore di società: aspetti procedurali; Pret. Ferrara, 15 novembre 1989, Inform. previd., 1990, 517 ss.; Trib. Lecce, 15 ottobre 1986, Società, 1987, 1370 ss.; Trib. Milano, 28 marzo 1985, Fallimento, 1985, 676 ss. Tra le pronunce sia di legittimità che di merito diversamente orientate si v. Cass., 13 ottobre 1966, n. 2445, Foro it., 1967, I, 2249 ss.; App. Milano, 31 luglio 1956, Foro pad., 1957, I, 193 ss.; App. Genova, 20 settembre 1950, Rep. foro it., 1951, 346 ss. 9 Sul punto cfr. BALDASSARRE, “La cancellazione dal registro delle imprese e le società di persone: un nuovo indirizzo giurisprudenziale”, Notariato, 2009, 270; LUPETTI, “Cancellazione dal registro delle imprese e momento estintivo delle società di persone”, Società, 2004, 475. 10 In questo senso CIVERRA (supra, n. 5), 767; COTTINOWEIGMANN (supra, n. 6), 339; GALGANO (supra, n. 7), 395; RAGUSA MAGGIORE, “Le società in generale. Le società di persone”, in ID. (diretto da), Trattato delle società (Padova, 2000), I, 330-331; SALAFIA, “L’accertamento giudiziale dei crediti e dei debiti sociali sopravvenuti alla cancellazione della società dal registro delle imprese”, Società, 1984, 982. 4/2011 883 Tuttavia, una ricostruzione di questo tipo se, da un lato, concorre a sventare eventuali operazioni e manovre fraudolente 11 ed accresce la sicurezza del credito, potendosi perciò ritenere rispondente ad esigenze “non secondarie” del capitalismo maturo 12, dall’altro lato, accettando aprioristicamente che la liquidazione è posta nell’interesse esclusivo dei creditori sociali, ha di fatto privato di ogni valenza applicativa il 2° comma dell’art. 2312 c.c. 13 e svuotato l’iscrizione della cancellazione nei pubblici registri del principio di certezza pubblica. In realtà, l’intento del legislatore storico sembra essere assai differente 14 e, nello specifico, prevalentemente diretto ad attribuire alla chiusura della fase di liquidazione ed alla conseguente formalità pubblicitaria, un ruolo molto significativo: per utilizzare le parole di un autorevole Autore 15, il legislatore «voleva evitare l’indefinito protrarsi nel tempo del vincolo di destinazione impresso sui beni sociali; si era, manifestatamente, basato su più generali considerazioni di politica economica, per le quali il vincolo di destinazione è giustificato nella fase attiva della società, allorché i beni sociali costituiscono il supporto patrimoniale dell’impresa e, quindi, lo strumento per creare nuova ricchezza, mentre deve essere al più presto eliminato – non importa se con eventuale sacrificio delle ragioni di singoli creditori – dopo la cessazione dell’impresa, quando esso non ha più una funzione produttiva ed è opportuno che i beni sociali ritornino nella libera disponibilità dei soci per essere destinati a nuove iniziative economiche, creatrici di ricchezza». Alla luce del diritto vigente e della ratio effettivamente sottesa all’art. 2312 c.c., l’esegesi giurisprudenziale sostenitrice dell’efficacia dichiarativa lasciava insomma già perplessi; e tale perplessità 11 JAEGER-DENOZZA, Appunti di diritto commerciale, I, Impresa e società (Milano, 2000), 167 ss. 12 COSTI, “Estinzione delle società, esigenze del processo economico e politica dei giudici”, Giur. comm., 1974, II, 401 ss. 13 Così BUONOCORE (supra, n. 7), 472; CIVERRA (supra, n. 5), 766; LUPETTI (supra, n. 9), 474; MIRONE, “Cancellazione della società dal registro delle imprese, sopravvenienze attive e passive. Estinzione”, Riv. soc., 1968, 524-525. 14 Cfr. LUPETTI (supra, n. 9), 474-475, il quale evidenzia che il legislatore ha voluto «risolvere i problemi che si agitavano sotto la vigenza del codice del commercio il quale, non prevedendo un provvedimento formale di cancellazione della società (limitandosi a richiedere che i libri di questa venissero depositati e conservati presso il tribunale), aveva ingenerato il convincimento che la società restasse in vita sino alla definizione di tutti i rapporti giuridici alla stessa facenti capo». Sul punto si v. anche MIRONE (supra, n. 13), 517, il quale evidenzia come gli artt. 2312, 2324 e 2456 prev., c.c. vennero formulati proprio allo scopo di determinare il momento estintivo della società. 15 GALGANO (supra, n. 7), 399. 884 pare quanto mai ragionevole, come evidenzia altra autorevole Dottrina sul punto 16, in un sistema economico bene ordinato, quale quello capitalistico aspira ad essere, nel quale non possono essere trascurati anche gli interessi dei creditori particolari dei soci, non si può non garantire che il traffico commerciale si svolga regolarmente e che domini un’esigenza di certezza, che un ufficio pubblico deputato a fornire informazioni, qual è il registro delle imprese, deve contribuire a soddisfare. La dottrina 17, di contro, era già prevalentemente schierata nel far coincidere la cancellazione dal registro delle imprese con il momento estintivo della società stessa, attribuendo quindi alla cancellazione una efficacia costitutiva 18. Essa, interpretando rigorosa16 COTTINO-WEIGMANN (supra, n. 6), 339-340. E nello stesso senso già CARNELUTTI, “In tema di estinzione delle società commerciali”, Foro it., 1940, IV, 25 ss. 17 Per una panoramica delle diverse opinioni dottrinali si v. CIVERRA (supra, n. 5), 766 ss.; DIMUNDO (supra, n. 4), 210 ss.; LUPETTI (supra, n. 9), 475-477; UNGARI TRANSATTI, “Gli effetti della cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone e la continuazione dell’impresa in forma individuale del socio superstite”, Riv. not., 2005, 815-817; ZAGRA, “Poteri di rappresentanza processuale del liquidatore dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese”, Società, 2003, 843 ss. 18 In dottrina, inter alia, BASSO (supra, n. 4), 1588 ss.; BUONOCORE (supra, n. 7), 468 ss.; CAMPOBASSO (supra, n. 7), 133-134; CARANO, “Il mito della «immortalità» delle società è duro a morire”, Dir. fall., 2006, II, 248 ss.; CIVERRA (supra, n. 5), 767 e 769; COSTI, “La cancellazione della società per azioni e il problema delle sopravvenienze passive”, Giur. it., 1964, I, 1358 ss.; ID., “Le sopravvenienze passive dopo la liquidazione delle società per azioni”, Riv. dir. civ., 1964, I, 271; COTTINO (supra, n. 7), 185; FERRARA jr.-CORSI (supra, n. 7), 1966, 359 ss.; GHIDINI (supra, n. 5), 883-886; GRAZIANI (supra, n. 7), 558; GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano (Torino 1959), 445; GUSSO, “Cancellazione illegittima, effetti e poteri del giudice del Registro delle imprese”, Società, 2003, 1663 ss.; LUPETTI (supra, n. 9), 474; MARCHEGIANI, “Sulla soggettività delle società personali e sulla estinzione della collettiva regolare”, Giust. civ., 1999, 2971; MIRONE (supra, n. 13), 533; PANDOLFI, “L’estinzione delle società di capitali e il problema delle sopravvivenze e delle sopravvenienze attive”, Giur. comm., II, 2008, 712; PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese (Milano, 1954), 423; PERUGINI, “Il trattamento del residuo attivo in seguito alla cancellazione della società dal Registro delle imprese. Profili problematici alla luce del novellato del diritto societario e fallimentare”, Dir. fall., 2007, I, 633; PORZIO (supra, n. 7), 204; SPERANZIN, “Recenti sentenze in tema di estinzione di società: osservazioni critiche”, Giur. comm., 2000, II, 281 ss.; TONNI, “La cancellazione dal registro delle imprese della società liquidata ha sempre efficacia costitutiva?”, Foro pad., 1957, 195 ss.. Diversamente orientati sono, invece, fra gli altri, ARENA, “Sul momento dell’estinzione delle società commerciali”, Foro it., 1960, V, 14 ss.; DE MARTINI, “Sull’estinzione della personalità giuridica delle società commerciali”, Giur. compl. cass. civ., 1944, 102; DI SABATO, Manuale mente il testo dell’art. 2312 c.c., sulla base della chiara indicazione fornita dalla Relazione al codice civile 19 ed in coerenza con il reale interesse che il legislatore del ’42 ha voluto tutelare nella stesura degli artt. 2312 c.c. (2324 per le s.a.s.) e 2456 prev., c.c., vale a dire soprattutto quello di assicurare la delle società (Torino, 1995), 186-187; FERRI (supra, n. 5), 457; FUMAGALLI, “Società di persone e cancellazione dal registro delle imprese”, Società, 2006, 712 ss.; JAEGERDENOZZA (supra, n. 11), 167 ss.; MINERVINI, “In tema di estinzione di società di capitali”, Giur. it., 1952, I, 1, 880; NICCOLINI, “L’estinzione”, in Trattato Colombo-Portale (Torino, 1997), 7***, 708 ss.; OPPO, “Forma e pubblicità nelle società di capitali”, Riv. dir. civ., 1966, I, 109 ss.; RACUGNO, “Brevi osservazioni in tema di estinzione della società per azioni”, Giur. it., 1969, I, 2, 715; RAGUSA MAGGIORE (supra, n. 10), 330-331; SALAFIA (supra, n. 10), 982. Da questi ultimi, peraltro, il momento estintivo delle società personali non è unanimemente individuato: secondo una prima opinione [si v. FERRI (supra, n. 5), 457] esso coinciderebbe con la ripartizione del patrimonio sociale tra i soci e pertanto la cancellazione dal registro delle imprese non sarebbe causa, bensì conseguenza del fatto estintivo; una seconda opinione [si v. DI SABATO (supra, n. 18), 186-187] lo individua nell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla società; altri ancora fissano tale momento nell’approvazione del rendiconto finale di liquidazione; altra dottrina [si v. MINERVINI (supra, n. 18), 880], invece, movendo dalla considerazione che nella fase di liquidazione di una società di persone i liquidatori possono con colpa o con dolo chiedere la cancellazione della società pur in presenza di passività, ha proposto di distinguere la cancellazione effettuata in assenza di debiti da quella effettuata nonostante la loro conoscenza da parte dei liquidatori: nel primo caso, se risultassero passività non ancora saldate e ignote ai liquidatori, queste non pregiudicherebbero l’effetto estintivo determinato dalla cancellazione; nel secondo caso, invece, la cancellazione sarebbe nulla perché operata in mancanza dei presupposti di legge (ossia previo soddisfacimento dei creditori noti). Secondo tale ricostruzione l’estinzione dell’ente si verificherebbe quindi nel momento in cui siano esauriti solo i rapporti giuridici preesistenti alla liquidazione e conosciuti dai liquidatori al momento dell’estinzione delle società. 19 Precisa, infatti, la Relazione al codice civile del 1942, n. 997: «Si è ritenuto indispensabile regolare la cancellazione della società dal registro delle imprese traendo dalla pubblicità che in tal senso viene data alla chiusura della liquidazione la conseguenza che, dopo di essa, i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci». Ancorché tali osservazioni vennero effettuate nella Relazione con riguardo alla cancellazione delle società di capitali, si ritiene che esse possano valere anche con riferimento alle società di persone, poiché sarebbe impensabile che il legislatore abbia voluto risolvere il problema con riguardo solo alle società di capitali, considerando le identiche esigenze di certezza, le quali richiedono uniformità di trattamento. Sul punto si cfr. LUPETTI (supra, n. 9), 471, il quale sottolinea che l’uso dell’avverbio «soltanto» non è casuale, e sta a significare che, dopo la cancellazione, i creditori possono agire solo nei confronti dei soci ed eventualmente dei liquidatori, e non anche nei confronti della società. certezza della posizione giuridica della società 20, già asseriva, infatti, che la cancellazione determinava l’estinzione dell’ente, anche qualora residuassero rapporti (prima) facenti capo alla società; non avrebbe avuto senso, altrimenti, prevedere uno specifico “meccanismo di trapasso” del rapporto ad altro soggetto 21, ossia precisare che i crediti non soddisfatti possono essere fatti valere nei confronti dei soci (e dei liquidatori, se il mancato pagamento dei creditori è dipeso da loro colpa), dal momento che se la società fosse ancora in vita sarebbe quest’ultima, quale debitrice, e non i soci, a garantire con il proprio patrimonio l’adempimento dell’obbligazione. Dal punto di vista logico-giuridico, del resto, essendo inequivocabilmente il rapporto che presuppone il soggetto e non il soggetto a presupporre il rapporto 22, non esiste alcun ostacolo a ritenere che la cancellazione estingue la società nonostante la pendenza di determinati rapporti 23. Pertanto, i creditori sociali possono agire nei confronti della società fino alla cancellazione della medesima dal registro delle imprese; mentre, avvenuta la cancellazione ed estintasi la società, essi devono agire nei confronti dei soci (anche con la prospettiva di dover concorrere con i creditori particolari di questi 24) od eventualmente del liquidatore (se il mancato pagamento sia a lui imputabile per dolo o colpa), e ciò sia nel caso in cui i creditori sociali insoddisfatti siano noti ai liquidatori, sia nel caso in cui siano ignoti 25. Per quanto riguarda le attività, invece, 20 Cfr. GALGANO (supra, n. 7), 399. 21 Sul punto cfr. MIRONE (supra, n. 13), 523. 22 CARNELUTTI (supra, n. 16), 25 ss. 23 In questi termini MIRONE (supra, n. 13), 522-523. 24 Su questo problema si v. GHIDINI (supra, n. 5), 883-886; UNGARI TRANSATTI (supra, n. 17), 815-817. 25 CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società (Torino, 2009), 125, secondo il quale è privo di fondamento il tentativo di riferire [in particolare, di MINERVINI (supra, n. 18), 880] l’art. 2312, 2° comma, c.c., alla sola ipotesi di debiti ignoti ai liquidatori, dato che la norma fa riferimento ad una responsabilità dei liquidatori che è inconcepibile rispetto a passività ignote. La norma è perciò applicabile tanto nell’ipotesi di debiti noti (c.d. sopravvivenze passive), quanto nell’ipotesi di debiti ignoti (c.d. sopravvenienze passive) e l’elemento di differenziazione risiede nell’esistenza, o meno, di una responsabilità aggiuntiva dei liquidatori. Nello stesso senso anche MIRONE (supra, n. 13), 538-539, il quale, constatata la presenza di un’azione nei confronti dei liquidatori per il loro fatto colposo o doloso, afferma che l’effetto estintivo si verifica anche nei casi in cui i liquidatori conoscessero o avrebbero potuto conoscere usando la normale diligenza le passività non liquidate. Secondo l’A., poi, la distinzione tra debiti noti e no ai liquidatori sarebbe difficilmente attuabile nella pratica, con l’aggravante che si risolverebbe, in ogni caso, in una sanzione nei confronti della società (mancata estinzione), dipendente esclusivamente dal comportamento doloso o colposo dei liquidatori. 4/2011 885 soprattutto per ragioni di simmetria con la disciplina sancita per le passività (art. 2312, 2324 e 2456 prev., ora 2495, c.c.), deve considerarsi sussistente, in seguito alla cancellazione, una comunione pro indiviso tra i soci (per i beni già sociali) od una situazione di solidarietà attiva (per i crediti già sociali), per quote corrispondenti alla pregressa partecipazione al capitale sociale 26. 3. Segue. La sentenza della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 319 e la riforma di diritto societario Ad avvalorare l’attendibilità di un orientamento dottrinale che, sulla base di un’interpretazione rigorosa del dato normativo e della ratio effettivamente sottesa all’art. 2312 c.c., già ante riforma deponeva a favore del carattere costitutivo dell’adempimento pubblicitario presso il competente registro delle imprese, è intervenuta successivamente la nota pronuncia della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 26 In questo senso, inter alia, BASSO (supra, n. 4), 1590; COTTINO (supra, n. 7), 188; COTTINO-WEIGMANN (supra, n. 6), 341; DE MARCHI-SANTUS, “Scioglimento e liquidazione delle società di capitali”, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società (Milano, 2004), 345; FIMMANÒ-ANGIOLINI (supra, n. 1), 1478; GALGANO, “Le società in genere. Le società di persone”, in Trattato Cicu-Messineo (Milano, 2007), 395; GHIDINI (supra, n. 5), 886; GRAZIANI (supra, n. 7), 559; MIRONE (supra, n. 13), 550, 573; NICCOLINI (supra, n. 4), 1841; PASQUARIELLO (supra, n. 4), 2294; PERUGINI (supra, n. 18), 623 ss. e 633 ss.; PORZIO, “La cancellazione”, in ABBADESSA-PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso (Torino, 2007), IV, 91 ss.; RUOTOLO, “Società cancellata dal registro delle imprese e sopravvenienze attive”, Studio C.N.N. n. 38-2006/I, disponibile sul sito www.notariato.it; SPERANZIN, “L’estinzione delle società di capitali in seguito alla iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese”, Riv. soc., 2004, 537; TONNI (supra, n. 18), 196; VAIRA (supra, n. 4), 2146. Diversamente orientati sono, fra gli altri, D’ALESSANDRO, “Cancellazione della società e sopravvivenze attive: opportunità e legittima riapertura della liquidazione”, Società, 2008, 896 ss.; PANDOLFI (supra, n. 18), 705 ss.; SALAFIA, “Sopravvenienza di attività dopo la cancellazione della società dal Registro imprese”, Società, 2008, 931; SPOLIDORO, “Seppellimento prematuro. La cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive”, Riv. soc., 2007, 837 ss. (il quale, in particolare, ritiene che, qualora dopo la cancellazione vi siano ancora posizione attive, si dovrebbe procedere a revocare la cancellazione della società ai sensi dell’art. 2191 c.c., in quanto avvenuta prima della conclusione della liquidazione. A sostengo di tale impostazione vi è soprattutto la considerazione che i creditori sarebbero notevolmente gravati di ulteriori spese qualora fossero costretti ad agire nei confronti dei soci e dei liquidatori); ZORZI, “Sopravvenienze attive e cancellazione ex art. 2191 c.c. della cancellazione della società”, Giur. comm., 2008, II, 1257 e 1265 ss. 886 319 27, con la quale si è dichiarata l’illegittimità dell’art. 10, legge fall. nella parte in cui non prevedeva che il termine di un anno dalla cessazione dell’esercizio dell’impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento della società decorresse dalla cancellazione della medesima dal registro delle imprese. Con tale sentenza il Giudice delle leggi, censurando l’orientamento dominante che faceva decorrere il termine annuale per la declaratoria di fallimento dal compimento della fase liquidatoria (coincidente con la liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società), ha dato un contributo sicuramente contrario all’impostazione della consolidata giurisprudenza che individuava, come momento estintivo della soggettività giuridica dell’ente, l’effettivo esaurimento dei rapporti giuridici ad esso facenti capo, restituendo, così, sia pure implicitamente, al 2° comma dell’art. 2312 c.c. la dignità di norma pienamente operativa 28. 27 Corte cost., 21 luglio 2000, n. 319, Corr. giur., 2000, 1174 ss., con nota di FRUMIGLI, Repetita iuvant: la Consulta ancora sui limiti temporali al fallimento in estensione; Giur. it., 2000, 1857 ss.; Dir. fall., 2000, II, 665 ss., con nota di RAGUSA MAGGIORE, Una sentenza attesa da tempo e che riconduce nei giusti termini la disciplina del fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili; Fallimento, 2001, 15 ss., con nota di GENOVESE, Una sentenza attesa da tempo e che riconduce nei giusti termini la disciplina del fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili. Questa sentenza si pone in linea con la sentenza della Corte cost., 12 marzo 1999, n. 66, Società, 1999, 815 ss., con nota di TARZIA, Revirement della Consulta sul limite temporale del fallimento del socio illimitatamente responsabile; Corr. giur., 1999, 970 ss., con nota di FRUMIGLI, Fallimento in estensione: un rèvirement della consulta ed altri motivi di riflessione; Giust. civ., 1999, I, 1561 ss., con nota di COSTANZA, Fallimento del socio illimitatamente responsabile; Riv. not., 1999, 1618 ss., con nota di CONTE, Limiti temporali di applicabilità dell’art. 147 l. fall. alla luce della sentenza della Corte cost. n. 66 dell’8-12 marzo 1999; Dir. fall., 1999, II, 235 ss., con nota di DI MAJO, Fallimento dell’ex socio e limite temporale nelle società di persone; Fallimento, 1999, 489 ss., con nota di GENOVESE, Scioglimento del rapporto sociale e limiti temporali al fallimento del socio; Giur. cost., 1999, 767 ss., con nota di PRINCIPATO, Fallimento di società. Soci a responsabilità illimitata; Giur. comm., 1999, II, 494 ss., con nota di MELONCELLI, L’albero di Porfirio e il limite temporale al fallimento dell’ex socio e del socio di società trasformata. Successivamente all’intervento della Corte costituzionale, a decorre dal 16 luglio 2006, la novella dell’art. 10, legge fall. è stata modificata, ad opera dell’art. 9, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, come segue: «Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo» (1° comma); «In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma». 28 In questi termini ALLECA, “Iscrizione della cancellazio- Successivamente all’intervento della Corte costituzionale, un ulteriore elemento che, innestandosi nella querelle relativa all’individuazione del momento estintivo della società di persone, ha significativamente incrinato il monolitico diritto vivente instaurato dalla giurisprudenza, è rappresentato dalla modifica apportata, con l’art. 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), all’art. 2495, 2° comma, c.c. In particolare, con l’inserimento dell’inciso «ferma restando l’estinzione della società» a quest’ultima norma, il legislatore ha voluto chiarire, una volta per tutte, come evidenzia attenta Dottrina sul punto 29, che «la cancellazione produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società in ogni caso, anche in pendenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti; che la cancellazione è condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente per l’estinzione; e che i creditori insoddisfatti possono esperire soltanto le azioni previste dal 2° comma dell’attuale art. 2495 c.c. e non anche, come prima, l’azione contro la società, per essere questa ormai definitivamente estinta, nonostante la sopravvivenza o la sopravvenienza fino alla cancellazione di rapporti sociali attivi o passivi». L’indicazione della Corte costituzionale ed il chiaro segnale fornito dalla riforma societaria furono peraltro disattesi dalla maggior parte della giurisprudenza successiva della Suprema Corte 30, la quale ha ne, estinzione e fallimento”, Riv. soc., 2010, 730; CIVERRA (supra, n. 5), 766; GALGANO (supra, n. 26), 396; LUPETTI (supra, n. 9), 475. 29 30 DIMUNDO (supra, n. 4), 207. Si v., tra le altre, le seguenti pronunce sia di legittimità che di merito: Trib. Prato, ord., 6 agosto 2009, Società, 2010, 565 ss., con nota di SALAFIA, Estensione alle società di persone del nuovo art. 2495; Cass., 15 gennaio 2007, n. 646, Rep. Foro it., 2007, 2168 ss.; Cass., 23 maggio 2006, n. 12114, Dir. prat. soc., 2007, 5, 66 ss., con nota di LUPETTI, Conseguenze della cancellazione di società di persone dal Registro delle imprese; Cass., 11 maggio 2005, n. 9917, Società, 2006, 710 ss., con nota di FUMAGALLI, Società di persone e cancellazione dal Registro delle imprese; Cass., 17 giugno 2005, n. 13098; Cass., 8 luglio 2004, n. 12553, Riv. not., 2005, 812 ss., con nota di UNGARI TRANSATTI, Gli effetti della cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone e la continuazione dell’impresa in forma individuale del socio superstite; Trib. Padova, 13 agosto 2004, Società, 2005, 765 ss., con nota di CIVERRA, Presupposti ed effetti della cancellazione di società dal Registro delle imprese; Cass., 9 settembre 2004, n. 18191; Cass., 28 maggio 2004, n. 10314, Notariato, 2005, 244 ss., con nota di TOSCANO, Cancellazione dal registro delle imprese e riforma societaria. Sostengono, invece, l’efficacia costitutivo-estintiva della cancellazione Cass., 13 novembre 2009, n. 24037, Riv. not., 2010, 1395 ss., con nota di BOGGIALI-RUOTOLO, Efficacia estintiva della cancellazione delle società di capitali e di persone dal registro delle imprese; Trib. Treviso, 19 febbraio invece continuato a ribadire il proprio consolidato convincimento, a scapito di quel principio di certezza delle situazioni giuridiche e di coerenza del sistema che il Giudice delle leggi ed il legislatore della riforma, proprio mediante il proprio intervento, miravano a salvaguardare. In verità, alla luce della chiara precisazione del conditor iuris della riforma societaria, non sembra più possibile esimersi da una lettura del 2° comma dell’art. 2495 c.c. in parallelo con il 2° comma dell’art. 2312 c.c., dovendosi considerare ormai vigente nell’ordinamento nazionale, come anche recentemente affermato dalla stessa Corte di Cassazione 31, un principio generale disciplinante i rapporti tra cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione, valevole tanto per le società di capitali quanto per le società di persone. La reale sussistenza nell’ordinamento interno di un principio generale applicabile alle società capitalistiche e a quelle personali sembra, in effetti, confermata da alcuni elementi. Si pensi, anzitutto, alla coincidenza contenutistica tra le citate norme, in conseguenza della quale esse avevano avuto una comune sorte, tanto da potersi individuare una medesima fattispecie estintiva trasversale per i due sistemi delle società di persone e di quelle di capitali 32. 2009, Società, 2010, 355 ss., con nota di ZAGRA, Effetti irreversibili della cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese; Trib. Genova, sez. lav., 28 luglio 2009; Trib. Roma, sez. XII, 13 luglio 2009; Cass., 12 dicembre 2008, n. 29242; Cass., 15 ottobre 2008, n. 25192, Riv. dott. comm., 2010, 385 ss., con mia nota, L’effetto estintivo della cancellazione della società di persone dal registro delle imprese: un nuovo orientamento della Suprema Corte; Notariato, 2009, 268 ss., con nota di BALDASSARRE, La cancellazione dal registro delle imprese e le società di persone: un nuovo indirizzo giurisprudenziale; Società, 2009, 877 ss., con nota di RONCO, Cancellazione dal Registro ed estinzione della società di persone; Riv. not., 2009, 190 ss., con nota di TIMPANO, La cancellazione delle società di persone dal Registro delle Imprese; Cass., 18 settembre 2007, n. 19347, Foro. it., 2008, I, 2953 ss., con nota di PERRINO, In tema di cancellazione della società dal registro delle imprese; Trib. Torino, 12 gennaio 2007, Giur. it., 2007, 11, 2523 ss.; Cass., 28 agosto 2006, n. 18618, Società, 2007, 967 ss., con nota di PASCALI, Fallimento di società di fatto: applicabilità e decorrenza del termine annuale ex art. 10 l. fall.; Giur. it., 2007, 117 ss., con nota di BERTOLOTTI; Fallimento, 2007, 294 ss., con nota di ZANICHELLI; Dir. fall., 2008, II, 245 ss., con nota di CONEDERA, La rilevanza dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese alla luce delle modifiche intervenute nell’art. 2495 cod. civ. e l’applicabilità dell’art. 10 legge fallimentare alle società di fatto; Trib. Monza, sez. I, 6 giugno 2005, Giur. it., 2006, 72 ss. 31 Cass., 15 ottobre 2008, n. 25192, per i cui riferimenti si v. la nt. precedente. 32 Cfr. BALDASSARRE (supra, n. 9), 271; CIVERRA (supra, n. 5), 766; LUPETTI (supra, n. 9), 476. 4/2011 887 Ancora, si pensi al fatto che il preesistente indirizzo giurisprudenziale era indifferentemente applicato sia alle società di persone che a quelle di capitali 33; e che, solo dopo la riforma societaria, la giurisprudenza prevalente 34 ha incoerentemente diversificato il proprio indirizzo, finendo per individuare l’estinzione delle società di persone nell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici e l’estinzione delle società di capitali nella cancellazione dal registro delle imprese, con la contraddittoria conseguenza di creare, a dispetto di situazioni analoghe e di medesimi interessi e finalità 35, un vero e proprio “doppio binario” interpretativo. Del resto, non sembra proprio possibile, in seguito alla riforma del 2003, riscontrare dati utili a sciogliere il legame tra cessazione della società di capitali e di persone nel semplice fatto che l’inciso «ferma restando l’estinzione della società» non appare nell’art. 2312 c.c. A tale possibile obiezione è, infatti, fin troppo facile replicare che la delega legislativa riguardava le sole società capitalistiche e non quelle personali, con il risultato che sarebbe stato impossibile intervenire direttamente sull’art. 2312 c.c. 36. E a conferma dell’invariabilità di tale legame, la stessa Relazione al d.lgs. n. 6/2003, soffermandosi sugli artt. 2491-2496 c.c., afferma che «si è ritenuto di poter riprodurre sostanzialmente la disciplina esistente»: ed è di conseguenza inevitabile ritenere che, per effetto della riforma, nulla sia cambiato nella considerazione che il legislatore storico ha dato del momento estintivo della società, momento che coincide esattamente con quello della cancellazione dal registro delle imprese. E si pensi, infine, all’eadem ratio indubbiamente sottesa alle norme predette, quale elemento ulteriore in grado di accreditare la sussistenza di un principio generale applicabile in tema di estinzione sia delle società capitalistiche sia di quelle personali: tanto nelle prime quanto nelle seconde sussiste, infatti, la medesima esigenza di individuare con certezza il momento estintivo, soprattutto al fine di tutelare i soggetti terzi ai quali, in un sistema capitalistico moderno, non è possibile precludere di conoscere se la società sia ancora in vita sulla base del semplice affidamento generato dalle risultanze di pubblici registri 37. Detta esigenza appare, del resto, oggi imprescindibile per qualsiasi tipo sociale: la legge 11 novembre 2011, n. 180 («Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese») ha infatti riconosciuto, tra i «principi dell’ordinamento giuridico dello Stato», «il diritto dell’impresa di operare in un contesto normativo certo» (art. 2, 1° comma, lett. c)), diritto il quale concorre oggi a definire lo statuto di qualsiasi impresa, individuale o collettiva, personale o capitalistica. D’altronde, se la principale esigenza che ha condotto la giurisprudenza ad elaborare l’indirizzo sopra citato è quella di evitare facili frodi ai creditori le cui ragioni non siano state soddisfatte durante la liquidazione 38, il legislatore della riforma ha mostrato chiaramente che su tale esigenza nettamente prevale quella di certezza delle situazioni giuridiche, essendo la prima esigenza, tra l’altro, già salvaguardata da appositi strumenti di tutela 39. Sul punto, si consideri, anzitutto, la nota tutela di action offerta ai creditori sociali dall’art. 2312 c.c. (e dall’art. 2324 c.c. per la s.a.s.), in base al quale questi possono agire nei confronti dei soci, che restano personalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali insoddisfatte, nonché nei confronti dei liquidatori sociali, se il mancato pagamento è imputabili a loro colpa o dolo. Sempre a tutela delle prerogative dei creditori sociali, si rifletta poi, come evidenzia Dottrina 40, sul fatto che il legislatore, strutturando la fattispecie estintiva in una serie di atti (scioglimento, nomina dei liquidatori, liquidazione del patrimonio, pagamento dei debiti, redazione, deposito e approvazione del bilancio finale, cancellazione), ha predisposto un sistema di pubblicità finalizzato ad informare i terzi del progressivo procedere della liquidazione (sempre necessaria, secondo la dottrina prevalente, per addivenire alla estinzione di tutti i tipi sociali 41), rendendoli di conseguenza in grado, ancorché con un certo 37 LUPETTI (supra, n. 9), 475. 38 In questi termini MINERVINI (supra, n. 18), 882. 39 33 Si v. in giurisprudenza, ad esempio, le seguenti pronunce di merito: Trib. Lecce 15 ottobre 1986, Società, 1986, 1370 ss.; Trib. Catania 29 marzo 1984, Società, 1984, 1017 ss. In dottrina, cfr. BALDASSARRE (supra, n. 9), 271; CIVERRA (supra, n. 5), 769; LUPETTI (supra, n. 9), 476. 34 Si v., fra le altre, le pronunce indicate alla nt. 30. 35 NICCOLINI, “La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente”, in ADAMO-NICCOLINI (a cura di), Le liquidazioni aziendali (Torino, 2010), 38. 36 BALDASSARRE (supra, n. 9), 271; CARANO (supra, n. 18); CIVERRA (supra, n. 5), 769; DIMUNDO (supra, n. 4), 205; SPIOTTA, “Un orientamento giurisprudenziale duro a morire”, Giur. it., 2004, II, 1006; VAIRA (supra, n. 4), 2144. 888 Sul punto si v. CAMPOBASSO (supra, n. 25), 125; COTTINO-WEIGMANN (supra, n. 6), 338; LUPETTI (supra, n. 9), 476. 40 41 MIRONE (supra, n. 13), 539-540. CAMPOBASSO (supra, n. 25), 121; GRECO, “Sulla necessità del procedimento legale di liquidazione per le società soggette a registrazione”, Foro pad., 1951, III, 89; ID., nota a Cass. 9 giugno 1950, Riv. dir. comm., 1951, II, 34 ss.; GRAZIANI, Diritto delle società (Napoli, 1951), 357; MIGNOLI, “Sulla inderogabilità delle forme legali della liquidazione delle società di capitali”, Riv. dott. comm., 1951, 421; NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società (Milano, 1990), 662 ss.; PAVONE LA ROSA (supra, n. 18), 418; PRESTI-RESCIGNO, Corso di diritto commerciale (Bologna, 2009), 387. grado di diligenza, di tutelare i propri diritti 42. Il creditore diligente, avvenuto lo scioglimento, è infatti messo nella condizione di portare tempestivamente a conoscenza dei liquidatori l’esistenza del proprio credito; e una volta fatto ciò normalmente i liquidatori, in ottemperanza all’art. 2280 c.c. (e per evitare le sanzioni dell’art. 2633 c.c.), provvederanno ai relativi pagamenti. Ancora in un’ottica di protezione del credito, pare poi essenziale, come sottolinea Dottrina 43, attribuire il dovuto rilievo alla funzione di controllo dell’ufficio del registro, chiamato, dall’art. 2189 c.c., ad accertare «il concorso delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione». Ancorché la dottrina maggioritaria dia della norma un’interpretazione restrittiva (nel senso che l’ufficio sarebbe tenuto solo ad accertare l’esistenza materiale dell’atto), sembra preferibile la tesi di chi 44 ritiene che l’ufficio del registro sia tenuto ad esercitare un controllo di «legittimità sostanziale», ossia ad accertare che l’atto sia «non soltanto nella forma, ma anche nel contenuto, conforme alla legge». Infatti, come asserisce attenta Dottrina 45, non avrebbe senso, e sarebbe di scarsissima efficacia, se l’ufficio del registro, in presenza di un atto formalmente ma non sostanzialmente regolare, fosse obbligato ad operare la relativa iscrizione e non avesse alcuna possibilità di indagine sulla reale esistenza dei presupposti cui si riferisce l’art. 2189 c.c.; e sotto altro punto di vista, poi, un controllo meramente formale mal si adatterebbe alla funzione del registro di rendere pubblica la conoscenza di determinati atti e fatti, la quale postula necessariamente un controllo sugli stessi. In sede di cancellazione della società dal registro delle imprese, pertanto, è da ritenersi che l’ufficio sia chiamato a compiere un controllo sulle condizioni richieste dalla legge, e quindi anche sull’osservanza dell’art. 2280 c.c.: godendo di ampio potere discrezionale nella conduzione di tale indagine 46, l’ufficio esaminerà la documentazione prodotta dai liquidatori e, qualora accertasse l’esistenza di un credito non liquidato, richiederà la produzione di nuova documentazione e potrà legittimamente rifiutarsi di procedere all’iscrizione della cancellazione. Ulteriori presidi di tutela dei creditori sociali sono poi da individuarsi nei rimedi cautelari di carattere generale, vale a dire il sequestro conservativo dei beni sociali 47, nonché nella possibilità di esperire 42 PAVONE LA ROSA (supra, n. 18), 15 ss. 43 MIRONE (supra, n. 13), 544-545. 44 PAVONE LA ROSA (supra, n. 18), 597 ss. 45 MIRONE (supra, n. 13), 544-545. 46 Cfr. Relazione al Codice civile, Roma, 1942, n. 902; PA(supra, n. 18), 607. VONE LA ROSA 47 In questi termini MIRONE (supra, n. 13), 544-545, il qua- l’azione revocatoria per le ripartizioni dell’attivo già avvenute, naturalmente purché non sia avvenuta l’estinzione dell’ente e sussistano i relativi presupposti 48. E si consideri, infine, la tutela indirettamente offerta ai creditori sociali dalla fattispecie delittuosa di cui all’art. 2633 c.c., la quale, sanzionando penalmente l’indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, dissuade questi ultimi ad integrare condotte in senso lato contrarie al soddisfacimento delle prerogative dei primi. 4. Il commento La sentenza in epigrafe, come le altre due pronunciate lo stesso giorno dalla Sezioni Unite (salvo piccole varianti), afferma, quale principio di diritto soprattutto teso a garantire la “parità di trattamento dei terzi creditori” di tutti i tipi sociali, il realizzarsi, per le società di persone, in conseguenza dell’ademle, dopo aver considerato che al momento della cancellazione, qualunque tesi si segua circa la sua efficacia, ormai si è prodotto il danno maggiore per i creditori (i quali subiranno il concorso dei creditori personali dei soci sui beni ex sociali), evidenzia che l’interesse maggiore di essi deve essere rivolto ad un interevento tempestivo, il quale può essere attuato in modo efficace ricorrendo ai rimedi cautelari di carattere generale, e cioè al sequestro conservativo dei beni sociali. Al riguardo, l’A. osserva che, nel caso in cui il bilancio finale sia stato già depositato, il solo fatto della preterizione del creditore e della possibilità di immediata distribuzione delle somme con le relative conseguenze dovrebbe essere la prova più evidente del pericolo, così che sarebbe incontestabile l’esistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 2905 c.c. e 671 c.p.c.; e che lo stesso pericolo può sussistere anche prima del deposito del bilancio finale: in tal caso, starà al creditore dimostrarlo, facendo valere le sue richieste in relazione allo stato di liquidazione. L’intervento del creditore sequestrante, precisa lo stesso A., ha anche un effetto più intenso che va oltre la misura cautelare: l’esecuzione del sequestro nei confronti della società, infatti, impedendo la distribuzione, evita la possibilità che la società si estingua. 48 Così MIRONE (supra, n. 13), 544-545, il quale afferma che l’eventus damni è presente per il solo fatto della distribuzione in violazione dell’art. 2280 c.c., date le conseguenze che ne derivano (ivi compreso lo stesso concorso con i creditori personali del socio); mentre per il consilium fraudis dovrebbe essere sufficiente la scientia damni, visto che l’atto di disposizione è indubbiamente successivo al sorgere del credito (art. 2901, n. 1). Per quel che riguarda i soggetti, mentre per i liquidatori è sufficiente che conoscano l’esistenza del credito, per i soci è dubbio se l’atto possa essere considerato a titolo oneroso, nel qual caso occorrendo la loro conoscenza. Al riguardo, l’A. ritiene che l’atto debba considerarsi a titolo gratuito per la parte che doveva essere devoluta al creditore, in quanto eccedente il diritto alla quota netta prevista nel contratto sociale ed in quanto laddove si considerasse l’atto a titolo oneroso ben difficilmente potrebbe provarsi la conoscenza del pregiudizio da parte del socio. 4/2011 889 pimento pubblicitario della cancellazione dal registro delle imprese, di “una vicenda estintiva analoga” a quella delle società di capitali. Per le società personali, tuttavia, “così come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa”, la natura dell’adempimento pubblicitario non è costitutiva, ma “resta dichiarativa”, e precisamente “dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, opponibile dal 1° gennaio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., in base ai quali si giunge alla presunzione del venir meno della [loro] capacità e legittimazione”, e ciò “anche se perdurino rapporti o azioni in cui le esse sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società, da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione delle società di capitali”. Dalla non limpidissima formulazione del principio di diritto della Suprema Corte, sembra evincersi che essa intenda applicare alle società di persone le medesime conclusioni a cui è essa pervenuta in relazione alle società di capitali, sancendo che con la formalità dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese se ne verifica l’estinzione, col conseguente venir meno della loro capacità e legittimazione; ma che, nel contempo, essa intenda mantenere ferma la natura dichiarativa dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, sposando il consolidato orientamento giurisprudenziale. Tali finalità che la Corte intende contemporaneamente perseguire non appaiono tuttavia perfettamente conciliabili, posto che, come autorevole Dottrina 49 storicamente insegna, l’estinzione dell’ente a seguito della cancellazione dal registro delle imprese colora di costitutività l’adempimento pubblicitario, mentre l’efficacia dichiarativa rileva solo sul piano dell’opponibilità di un fatto o di un atto. Pertanto, ancorché in alcuni punti della decisione (ad esempio, laddove si afferma il realizzarsi di «una vicenda estintiva analoga con la loro estinzione contestuale alla pubblicità») sembri che la Corte sia quasi tentata di far derivare dall’efficacia dichiarativa dell’iscrizione nel registro delle imprese, per il tramite dell’opponibilità ai terzi, esattamente il medesimo regime previsto per le società di capitali, vale a dire il vero e proprio effetto costitutivo e il conseguente venir meno dell’ente, essa è obbligata semplicemente a presumere che l’estinzione della società di persone si verifichi con l’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese. 49 Si v. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Diritto dell’impresa (Torino, 2008), 120; RAGUSA MAGGIORE, “Il registro delle imprese”, in Commentario Schlesinger (Milano, 1996), 95 ss.; IBBA, “Gli effetti dell’iscrizione”, in MARASÀIBBA, Il registro delle imprese (Torino, 1997), 209 ss. 890 La tesi secondo cui con l’adempimento pubblicitario dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese si verifica (rectius: si presume che si verifichi) l’estinzione della società di persone è argomentata dalla Suprema Corte soprattutto sulla base dell’art. 10 legge fall., rinnovellato in seguito alla sentenza della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 319 e al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nonché sulla base della nuova novella dell’art. 2495 c.c. La prima norma, secondo la Corte, è in grado di attribuire «identico rilievo dell’iscrizione della cancellazione per ogni tipo di società commerciale, sia di persone che di capitali». Alla seconda, invece, deve attribuirsi un «effetto espansivo», imponendo essa «un ripensamento della pregressa giurisprudenza anche per le società commerciali di persone, in adesione ad una lettura costituzionale della norma»; in particolare, come con la cancellazione dal registro delle imprese si estingue per l’art. 2495 c.c. la personalità delle società di capitali, così per le società di persone, anche se perdurino rapporti o azioni, «deve logicamente presumersi che venga meno (…) [la loro] ridotta capacità», la quale viene resa opponibile ai terzi e ai creditori che agiscano contro i soci ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c. «con una pubblicità solo dichiarativa, della stessa natura cioè di quella della loro iscrizione nel registro». Quindi, per le società di persone può presumersi che la cancellazione dal registro delle imprese comporti l’estinzione dell’ente, «anche se in precedenza per esse si era esattamente negata l’estinzione della società e della capacità giuridica e di agire di essa fino al momento della liquidazione totale dei rapporti facenti ad essa capo», e ciò dal momento dell’entrata in vigore della legge (1° gennaio 2004) per le cancellazioni precedenti, mentre dalla data dell’iscrizione della cancellazione per quelle successive 50. 50 Le Sezioni Unite affrontano il problema dell’efficacia temporale delle cancellazioni intervenute prima dell’entrata in vigore della riforma (1° gennaio 2004), domandandosi se dette cancellazioni possano avere l’efficacia estintiva che sembrerebbe desumersi dalla lettera dell’art. 2495 c.c. Un precedente del 2006 (Cass., 28 agosto 2006, n. 8618, Giur. it., 2007, 9 ss., con nota di BERTOLOTTI, Nota sull’applicabilità alle società non iscritte nel registro delle imprese del termine annuale previsto dall’art. 10 L. Fall.) aveva affermato che la nuova disposizione ha natura innovativa, ma può essere applicata pure ai fatti pregressi, e che ciò non contrastata col principio di irretroattività della norma: il legislatore della riforma, infatti, non avrebbe disciplinato diversamente il procedimento della cancellazione, bensì i suoi effetti, con norma quindi di immediata applicazione secondo il principio tempus regit actum. In base ad un percorso interpretativo diverso, ancorché giungendo a medesimi risultati riguardo all’applicabilità della nuova norma alle cancellazioni avvenute prima dell’entrata in vigore della riforma, si era espressa invece altra pronuncia nel 2008 (Cass., 15 ottobre 2008, n. 25192, per i cui riferimenti si cfr. la nt. 30), la quale ha affermato la natura ricognitiva della L’efficacia dichiarativa della cancellazione dal registro delle imprese è, invece, sostenuta dalle Sezioni Unite sulla base dell’art. 2193 c.c., norma che dimostrerebbe che «soltanto la previsione “espressa” per legge può provocare l’effetto estintivo, cioè costitutivo, della cancellazione», e sulla base della simmetria che dovrebbe sussistere tra l’efficacia dell’iscrizione della cancellazione di una società personale e quella dell’iscrizione nel registro delle imprese del suo atto costitutivo (essendo, secondo la Corte, «l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione»). In verità, non sembra che dall’art. 2193 c.c. si possano ricavare elementi utili per escludere che l’iscrizione della cancellazione di una società di persone nel registro delle imprese abbia efficacia costitutiva, soprattutto tenuto conto che la norma disciplina solo gli effetti tipici dell’efficacia dichiarativa; e, in ogni caso, il dettato della medesima norma non sembra di per sé sufficiente a svalorizzare tutti quegli elementi che, come detto, sono in grado di qualificare in termini di costitutività la cancellazione dal registro delle imprese delle società personali. Quanto poi all’ulteriore argomentazione logica delle Sezioni Unite, che tentano di ricavare dalla dichiaratività dell’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese la dichiaratività dell’iscrizione della cancellazione, essa non pare pienamente convincente in quanto fondata su un presupposto solo in parte corretto: tale argomentazione sembra infatti scontare che l’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, prima che avere valenza dichiarativa, ha valenza normativa, trattandosi di formalità pubblicitaria soprattutto rilevante per determinare la regolarità, o meno, della società personale e per la conseguente applicazione della disciplina della s.n.c. (ed, eventualmente, della s.a.s.) oppure della s.s. Non trattandosi di adempimenti perfettamente “simmetrici” e di pari valore, non sembra quindi pienamente logico pretendere di ricavare dal primo la qualificazione del secondo. nuova norma, riconoscendone di conseguenza l’efficacia retroattiva (quindi la sua diretta applicazione anche alle cancellazioni intervenute prima del 1° gennaio 2004). Le Sezioni Unite ora, accogliendo la tesi proposta dalla Cassazione del 2006, ritengono che l’art. 2495 c.c. non costituisce norma interpretativa del passato, e che non è quindi possibile sostenere che essa abbia efficacia retroattiva in forza del principio di ultrattività delle norme di cui all’art. 11 delle preleggi. Tuttavia, poiché il nuovo art. 2495 c.c. non disciplina le condizioni per la cancellazione dal registro delle imprese, bensì i suoi effetti, cioè l’estinzione della società cancellata, esso si applica anche alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore. Pertanto, applicandosi l’art. 2495 c.c. anche alle società cancellate prima del 1° gennaio 2004, ma non avendo tale norma efficacia retroattiva, l’effetto estintivo per tali società si produce solo a partire dal 1° gennaio 2004. A ben vedere, se le finalità principali che le Sezioni Unite intendevano perseguire, soprattutto per il tramite dell’art. 10 legge fall., rinnovellato in seguito alla sentenza della Corte costituzionale, 21 luglio 2000, n. 319 e al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e per il tramite della nuova novella dell’art. 2495 c.c., erano quelle di «uniformare la disciplina [estintiva] dei diversi tipi di società» e di soddisfare le esigenza certezza attribuendo «chiaro identico rilievo dell’iscrizione della cancellazione per ogni tipo di società commerciale», sarebbe stato sufficiente, come recentemente asserito in modo condivisibile dalla stessa Corte 51, riconoscere all’adempimento pubblicitario natura costitutivo-estintiva, qualificazione come evidenziato senz’altro ammissibile, come metodologicamente insegna Maestro illustre 52, tenuto conto della disciplina complessiva della cancellazione, del sistema e delle significative spie normative considerate. Invece, ben specificandosi che l’estinzione costituisce una mera «presunzione» e ben evidenziandosi che l’adempimento pubblicitario ha mera «efficacia dichiarativa», tali finalità non sembrano essere soddisfatte, di fatto permettendosi, ancora oggi, a coloro che ne abbiano interesse di fornire una prova volta a superare la mera «presunzione del venir meno della capacità e legittimazione»: alla luce del principio espresso dalla Sezioni Unite nella sentenza in epigrafe, se la società personale deve, sì, presumersi estinta in quanto cancellata, sembra restare pur sempre salva la possibilità di affermare, fornendo la prova della continuazione dell’attività di impresa e, probabilmente, anche della stessa esistenza di rapporti pendenti 53, il perdurarne dell’esistenza, con la conseguenza che non sempre il momento in cui si estinguono le società personali coincide con l’adempimento pubblicitario, e che pertanto per le società personali l’apporto innovativo delle Sezioni Unite deve ritenersi tutto sommato contenuto. Analizzando, infine, la tesi delle Sezioni Unite sotto la lente dei costi e dei benefici che essa determina, essa nemmeno pare efficiente ed equilibrata. Un approccio “fattuale” di questo tipo, come insegna altro Maestro illustre 54, sembra quanto mai necessario ove non si voglia estraniarsi dal problema, e trarre il massimo giovamento nella considerazione dell’aspetto giuridico del fenomeno. Si consideri, al riguardo, che l’analisi economico-giuridica del diritto, posta in essere mediante una costs and benefits analysis, individuerebbe la soluzione (interpretativa) ot51 Cass., 15 ottobre 2008, n. 25192, per i cui riferimenti si cfr. la nt. 30. 52 Cfr. ASCARELLI, Problemi giuridici (Milano, 1959), I, 249. 53 Sul punto cfr. FIMMANÒ-ANGIOLINI (supra, n. 1), 1483. 54 Cfr. MIGNOLI, “Il giurista e il «fatto»”, Riv. soc., 1979, 1016 ss. 4/2011 891 timale in quella che fosse in grado di preservare i benefici ed abbattere i costi. Ora, se l’interpretazione delle Sezioni Unite ha certamente dei benefici consentendo, ancora oggi, una massima tutela delle prerogative dei creditori sociali (i quali, come detto, dimostrando la continuazione dell’attività d’impresa e, probabilmente, anche la stessa semplice esistenza di rapporti pendenti, riuscirebbero ad affermare il perdurare dell’esistenza dell’ente), essa rischia di determinare dei costi in termini certezza, tenuto conto che non sempre il momento estintivo della società personale è da identifi- carsi con la formalità pubblicitaria della cancellazione; costi che, come già affermato in altra sede 55, sarebbero invece risparmiati accogliendo la tesi, de iure condito senz’altro ammissibile, che assegna all’adempimento pubblicitario un’efficacia costitutiva, orientamento le cui conclusioni garantiscono maggiore efficienza ed equilibrio, poiché soddisfano sia le esigenze di certezza sia quelle di tutela dei creditori sociali (appunto garantiti dai menzionati strumenti di tutela 56) che in tali momenti conclusivi della vita sociale assumono tipicamente rilievo. ALBERTO PIANTELLI 55 Ci si permette di rinviare al mio “L’effetto estintivo della cancellazione della società di persone dal registro delle imprese: un nuovo orientamento della Suprema Corte”, Riv. dott. comm., 2010, 397-398. 56 Al riguardo si v. CAMPOBASSO (supra, n. 25), 125; COT(supra, n. 6), 338; LUPETTI (supra, n. 9), TINO-WEIGMANN 476. 892