Per capire l’inflazione abbiamo bisogno: • La curva AD si ottiene dal modello di equilibrio economico generale IS-LM • La curva AS dalla situazione del mercato del lavoro Casi di disequilibrio p AS AD’ AD AS’ AD AS Il significato e la relazione sottostante la curva AS • Con lo studio della AS si possono cogliere gli effetti sia sui prezzi che sulle quantità generati dalla domanda. • Così facendo entra in gioco un altro importante fenomeno che è l’inflazione. • Gli squilibri del sistema economico possono essere identificati non solo in termini di domanda (quando c’è recessione e inflazione?) ma anche attraverso le dinamiche dell’offerta. • Questo comporta la necessità di affidarsi a schemi teorici in grado di spiegare il fenomeno della recessione e inflazione per mezzo delle scelte di comportamento delle imprese. La pressione autonoma della domanda: breve periodo • Si supponga un aumento della domanda globale. In caso di non piena occupazione l’adeguamento avviene per effetto di un aumento dei prezzi e della quantità. L’entità dei fenomeni dipende dalla pendenza della curva dell’offerta (ipotesi estreme keynesiana e classica). p e1 As e Ad’ Ad classica q Es. Inflazione da domanda keynesiana La pressione autonoma dei salari: breve periodo • Un aumento dei salari monetari spingerà le imprese a ridurre l’occupazione e la produzione in corrispondenza di un dato livello dei prezzi. Si assiste perciò ad una contrazione dell’offerta. • W N Y AD>AS p P W/P N Y As’ As C B Es. inflazione da salari A Ad q Inflazione mista • Se all’inflazione provocata dalle maggiorazioni salariali si associa un’inflazione da domanda, cosa accade? P’’ P’ As’ As Ad’ Ad Y= piena occupazione Pressione salariale nel lungo periodo • Non sempre le variazioni dei salari provocano inflazione. Nel lungo periodo lo stato della tecnica varia, quindi l’aumento dei salari sarà compensato dall’aumento della produttività. • Pertanto non viene alterato l’equilibrio delle imprese. L’offerta non si contrae e quindi c’è compatibilità tra le grandezze. • Verso una POLITICA DEI REDDITI? (vedremo questo punto più avanti - cfr. cap. 15 di Acocella) Occorre chiarire il nesso tra inflazione e disoccupazione • L’inflazione è una situazione caratterizzata da un aumento continuo e generalizzato del livello dei prezzi. • L’inflazione misura il tasso percentuale di aumento dell’indice generale dei prezzi • Il tasso può assumere valori contenuti (al di sotto del 10%) o elevati (galoppante o addirittura iperinflazione - oltre il 20%). • Quando viceversa i prezzi indicano tassi di crescita negativi si parla di deflazione. • Ragioniamo in questi termini: perché l’inflazione è un costo e quindi perché la politica economica si pone come obiettivo il suo contenimento Analisi dell’inflazione e delle politiche anti-inflazionistiche • I COSTI DELL’INFLAZIONE: • L’inflazione comporta dei costi e quindi un’inefficienza nell’aggregato dell’economia. Va tuttavia precisato che talvolta può essere utile avere un tasso di inflazione positivo (vediamo perché) • Un tasso di inflazione positivo non vuol dire che i prezzi di tutti i beni aumentano allo stesso tasso percentuale. In realtà, i prezzi di alcuni beni aumenteranno in misura più rilevante di altri e questo significa che l’inflazione si accompagna a modificazioni nella struttura dei prezzi relativi. • Così vi saranno beni che diventano relativamente più costosi di altri. L’inflazione porta a una redistribuzione di risorse. La redistribuzione avviene su diversi livelli (settori e gruppi sociali). • Con l’inflazione esiste chi si avvantaggia e chi viene danneggiato (tassa da inflazione) e comunque comporta un costo generalizzato che determina un’inefficienza di ordine macroeconomico da combattere. I costi comportati dall’inflazione • I costi di un’inflazione prevista (anticipata). Se gli operatori si attendono inflazione, la incorporeranno nei propri comportamenti e, nel prendere decisioni, considereranno l’aumento dei prezzi che immaginano avrà luogo. • I costi di un’inflazione non prevista (non anticipata). In questo caso il movimento dei prezzi avviene in modo non anticipato. Ciò rappresenta un elemento di incertezza che rende i segnali informativi dei prezzi meno chiari. Pertanto, gli operatori si trovano ad operare al di fuori del punto per essi ottimale. L’allocazione dei consumi può non essere ottimale: gli operatori osservano l’aumento del prezzo di un bene, ma non conoscendo l’aumento del livello generale dei prezzi, non sono in grado di stabilire quale sia il prezzo reale dello specifico bene. • Inoltre l’inflazione produce una redistribuzione settoriale e reddituale (da salari a profitti e rendite). • Nel caso di iperinflazione si avvertono tutte le condizioni che possono determinare il passaggio ad un’economia di baratto o spingere gli operatori a non utilizzare moneta domestica. Le politiche di controllo dell’inflazione (Cellini R., 2004, Introduzione alla politica economica, cap.20) • Per cogliere gli effetti dell’inflazione valutiamo le diverse interpretazioni sotto il profilo teorico. • A) teoria quantitativa della moneta • B) monetarismo • C) keynesismo • D) scuola della spinta da costi • C) l’inflazione strutturale e il morbo di baumol Teoria quantitativa della moneta (1/) € • Economisti di riferimento (Fischer, Pigou) • Il punto di partenza è un’equazione di identità • • • • • MV = Py (valore nominale degli acquisti = valore delle vendite) M= moneta V=velocità di circolazione P= livello dei prezzi Y= produzione • L’equazione può essere trasformata in un’equazione comportamentale • M= • La quantità di moneta è proporzionale al livello dei prezzi e della produzione e inversamente correlata con la velocità di circolazione 1 Py v Teoria quantitativa della moneta • L’evidenza empirica dimostra che v può essere interpretata come costante e differenziando l’equazione rispetto al tempo, avremo: • M + v = p + y con v costante • p=m-y • Questa equazione è centrale per la teoria dell’inflazione che deriva dalla teoria quantitativa della moneta. Essa afferma che il tasso di inflazione è pari alla differenza tra la crescita monetaria e della produzione reale. 2 IMPLICAZIONI: 1) quando y è costante (nel breve) risulta che p = m; ci sarà inflazione solo se vi è un aumento della moneta; 2) quando y varia (lungo) l’aumento della moneta può essere compatibile con l’assenza di inflazione se essa avviene allo stesso tasso in cui aumenta la produzione reale. • • • • • L’inflazione è da attribuire al fatto che la quantità di moneta cresce più velocemente della crescita della produzione reale. È una crescita eccessiva della moneta che determina inflazione. L’inflazione per i monetaristi (1/2) • • Economista di riferimento: Friedman. Il monetarismo rivisitando in chiave moderna il pensiero classico descrive il funzionamento del sistema economico generale e approda a conclusioni di non intervento della politica economica. • Il richiamo è alla teoria quantitativa della moneta. La crescita monetaria è l’unica vera causa dell’inflazione. La moneta è vista come una merce, in relazione alla quale gli operatori si pongono problemi di domanda. Esiste pertanto perfetta sostituibilità tra moneta e le altre merci. • • Quando cresce l’offerta di moneta si crea un eccesso. Gli operatori nel liberarsi di tale eccedenza domanderanno beni, facendo salire il livello dei prezzi. • Questo ci porta a dire che secondo la chiave monetarista la crescita dell’offerta di moneta è la vera e unica causa dell’aumento generale dei prezzi. L’inflazione secondo i monetaristi • Ragionamenti sul ruolo delle politiche economiche. • POLITICA FISCALE ESPANSIVA NON FINANZIATA (effetto crowding-out) i LM IS’ IS y Non si assiste a Significativi spostamenti della Ad (quindi inflazione Contenuta) L’inflazione secondo i monetaristi • POLITICA FISCALE FINANZIATA CON UN AUMENTO DELL’OFFERTA DI MONETA I LM LM’ IS’ Non si alza il tasso di interesse quindi si ha effetto pieno sulla AD Si crea inflazione IS Y La assunzione monetarista è che l’aumento dell’offerta di moneta è l’unica causa di inflazione Scuola keynesiana • L’inflazione è generata da spostamenti autonomi della domanda e offerta aggregata. (shock presentati in precedenza) • L’inflazione può avere cause monetarie (politica monetaria espansiva) ma non solo. Espansione della domanda non finanziata da emissione di moneta ma da debito pubblico. As As’ As Ad’ Ad Ad La scuola della spinta da costi (1/8) • Si parte da due ipotesi: • A) i mercati non sono concorrenziali (il prezzo non viene stabilito dall’incontro tra domanda e offerta) • B) le decisioni delle imprese sulla fissazione dei prezzi scaturisce dalla regola del mark-up (margine di profitto) • LEGGE DEL MARK-UP • Partendo dall’ipotesi che l’impresa somma al costo medio di produzione un certo margine di profitto (presubilmente costante, almeno nel breve) in modo da determinare il prezzo della merce • Cme= costo medio di produzione • (1+m)= margine di profitto • P= (1+m)Cme • (1+m)=g • P=gCme La scuola della spinta da costi • • • • P=gCme Un aumento dei prezzi può avere due cause: A) un aumento del margine di profitto (effetto redistribuzione reddito) B) un aumento dei costi medi di produzione • Soffermiamoci sul secondo aspetto. Il costo medio di produzione per semplicità lo distinguiamo in: • • A) materie prime (aumento dei prezzi a livello internazionale - es. petrolio - effetto domanda ed effetto valuta - la svalutazione) In questo caso si parla di INFLAZIONE IMPORTATA • • B) lavoro (CLUP - costo del lavoro per unità di prodotto) CLUP= WL/Y (spesa per lavoratori / volume produzione) La scuola della spinta da costi il costo del lavoro • Il CLUP si può anche esprimere: • CLUP= W Y /L esprime il rapporto tra il salario nominale e la produttività media del lavoro € Indichiamo π=Y/L così si può scrivere CLUP=W/π Il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta se aumenta il salario nominale, mentre diminuisce quando si registrano incrementi della produttività La scuola della spinta da costi il costo del lavoro • Richiamandoci alla precedente relazione del mark-up e indicando i costi medi di produzione come la somma del costo del lavoro + altri costi, avremo: • P= g * % $ • Ipotesi: altri costi medi tenuti costanti. #W & + altri costi( ' Π • €Se l’equazione viene scritta in termini di tassi percentuali di variazione, avremo: • • P=g+w-π L’inflazione è data dalla somma del tasso di variazione del fattore che contiene i margini di profitto + la variazione del salario nominale, meno il tasso di crescita della produttività P=g+w-π • Se ipotizziamo che non varino i margini di profitto (g=o), allora: • A) non c’è inflazione, i tassi delle grandezze w = π • B) c’è inflazione, w > π • Questa situazione è detta Regola aurea della politica economica applicata ai contratti di lavoro. • • • • QUALI FINALITA’NE CONSEGUONO DALL’EQUAZIONE? 1) incentivare i lavoratori a essere più produttivi 2) ridurre l’inflazione 3) mantenere inalterate le quote redistributive del reddito Quote redistributive del reddito • Se i margini di profitto restano costanti e i salari nominali crescono allo stesso tasso della produttività, la quota redistributiva al fattore lavoro rimane inalterata. • DIMOSTRAZIONE • S = WL quota distributiva al fattore lavoro espressa come PY monte salari sul valore del Pil € • S= WL PY W /P WL /P (divido per P) Y (divido per L) Y /L • Indico Y/L = π (produttività) e moltiplico per P € • S = W P*Π così € S= w - p - π € S= w - p - π • Se i salari crescono al tasso della produttività (w = π ) • In presenza di margini di profitto costanti • Allora p sarà uguale a zero e la quota distributiva al fattore lavoro rimane costante (s=p=0) • Questa politica raggiunge due obiettivi: • 1) frenare l’inflazione • 2) mantenere inalterata la quota del fattore lavoro sul reddito prodotto dal sistema economico Alcune interpretazioni • Se i salari crescono meno della produttività del lavoro ciò può determinare due esiti: • 1) se le imprese non modificano i loro margini di profitto, i prezzi dei beni diminuiscono; • 2) le imprese aumentano i loro margini di profitto, senza generare inflazione. In questo caso i lavoratori vedono ridursi la loro quota distributiva. • Se non variano nel tempo né i salari né la produttività, un aumento dei prezzi comporterà una minore quota distributiva per il lavoro • L’inflazione allora è connessa alle dinamiche di conflitto sociale. (la reale causa spesso dell’inflazione non è l’aumento dei salari nominali ma l’aumento relativo alla produttività e quindi il conflitto per la distribuzione del reddito). 2 implicazioni dell’inflazione da spinta dei costi • 1) l’inflazione strutturale • 2) il morbo di Baumol L’inflazione strutturale • Il sistema economico è composto da diversi settori. In ognugno di essi la relazione il regime di produttività è diverso, in relazione al tasso di innovazione. • Così la manifattura presenta una crescita della produttività maggiore dei servizi • Così come i settori industriali capital-intensive mostrano un regime di produttività maggiore di quelli labour-intensive • Tuttavia, la dinamica salariale non segue il più delle volte la logica settoriale. La contrattazione centralizzata tende a uniformare i salari, imponendo in alcuni settori una crescita dei salari nominali al di sopra di quella della produttività. Ciò è causa di inflazione strutturale Il morbo di Baumol • Vi sono settori in cui la dinamica della produttività non è cresciuta e non crescerà per nulla (aspetto messo in luce da Baumol per il settore delle arti dal vivo) • Tuttavia negli anni i costi medi di produzione aumentano (gli attori vogliono essere pagati di più). Quindi si crea una situazione difficile che alimenta inflazione (aumentano i prezzi per la fruizione degli spettacoli). • Per evitare un calo dell’offerta, i prezzi aumentano e vengono erogati sussidi pubblici. LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • Esempio: La politica dei redditi può proporsi di contenere l’aumento del salario, in modo da tenere basso il costo del lavoro, riducendo così la possibilità di un aumento dei prezzi 29 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • Si perviene così alla formula del mark up, che esprime il principio del costo pieno, in quanto considera la produttività media del lavoro pari a: 30 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • Otterremo per sostituzione la seguente: • Che ci ricorda il legame tra fissazione dei prezzi e distribuzione funzionale del reddito. 31 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • Le politiche dei redditi possono essere distinte in: • 1) POLITICHE DIRIGISTICHE • 2) POLITICHE DI MERCATO • 3) POLITICHE ISTITUZIONALI 32 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • Politiche dirigiste (salariali): • Le politiche limitate ai salari non garantiscono un risultato antinflazionistico, in quanto • l’eventuale crescita dei salari pari a quella della produttività non assicura • l’invarianza dei prezzi in presenza di possibili aumenti del margine di profitto. (necessità di controllo dei profitti?) 33 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • Questo assunto ha portato ad integrare la politica dei salari con la cd politica dei prezzi. • - ) Viene individuato un numero contenuto di beni i cui prezzi siano rappresentativi di tutta la struttura dei prezzi; • - ) Da un loro controllo è possibile garantire un controllo del livello generale dei prezzi. • Un ulteriore ostacolo alla realizzazione di una efficace politica generale dei redditi consiste nella consapevolezza che eventuali politiche di controllo dei prezzi: • -) impongono vincoli alle forze di mercato; • -) danneggiano l’efficienza del sistema economico. 34 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • POLITICHE DI MERCATO Vi sono due tipi di politiche: • 1) Vengono fissati incentivi o disincentivi per i comportamenti antinflazionistici, come la fissazione di aggravi fiscali o premi fiscali in funzione delle politiche di prezzo adottate ( tax-based incomes policies, TIP) • 2) l’inflazione viene considerata una sorta di diseconomia esterna, per cui viene fissato un limite massimo al diritto di ogni impresa di porre in essere comportamenti in grado di alimentarla. (presenza di permessi all’aumento dei prezzi) 35 LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI • LE POLITICHE ISTITUZIONALI • Tre sono i possibili modi attraverso i quali perseguire tali politiche: • 1) Obbligo esplicito di cooperazione con previsione di arbitrato finale; • 2) scambio economico che preveda dei vantaggi di natura economica e fiscale, a favore delle parti che si accordano per un comportamento non inflazionistico in materia salariale • 3) scambio politico, consistente nell’impegno assunto dal governo nel partecipare all’accordo tra le parti. Fissazione di un patto sociale che preveda orientamenti comunemente condivisi dalle parti sociali in materia economica e sociale. 36