La fusione nucleare potrebbe soddisfare la nostra

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La fusione nucleare
potrebbe soddisfare
la nostra crescente
fame di energia
green
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Energia
illimitata
green
imitando
ilgreen
sole
di Piero Martin
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Energia illimitata Imitando il sole
Portare sulla terra l’energia
che alimenta il sole: la fusione
termonucleare.
Sostenibile, pulita, sicura,
potenzialmente illimitata.
Questa è la sfida che la comunità
internazionale sta affrontando con
un sistema di ricerca scientifica e
tecnologica d’avanguardia e che vede
oggi negli esperimenti ITER
(www.iter.org) e NIF (lasers.llnl.gov)
le sue punte di diamante.
Questo è quello di cui parleremo:
della sfida, di dove siamo arrivati,
di dove andiamo, di quanto sia
importante la ricerca e la formazione
di giovani studenti e ricercatori
Il controllo attivo,
nella natura, nella
scienza, nella tecnologia
Per cominciare la nostra discussione è opportuno porci una domanda che può sembrare un po’ singolare e che riguarda anche
il nostro quotidiano. Cosa c’è in comune
tra il sistema di riscaldamento di casa,
un’automobile, un moderno aeroplano e un
esperimento per studiare la produzione di
energia tramite la fusione termonucleare?
Sembrano in effetti sistemi piuttosto diversi, ma un punto in comune ce l’hanno:
tutti funzionano anche grazie ad un sistema
di controllo in controreazione - o, come si
dice in inglese, in “feedback” - un processo
alla base della scienza e della tecnologia
d’avanguardia.
Prendiamo l’esempio del sistema di riscaldamento di casa: in una giornata d’inverno
supponiamo di voler mantenere una temperatura di 19°C. Una perturbazione, ad
esempio l’apertura di una finestra, raffredda l’ambiente. Il termostato misura la temperatura: ad esempio, 17 °C. La paragona
con il valore di riferimento, ovvero quello
che desideriamo, 19 °C, e rileva una differenza in difetto di 2 °C. Sulla base di questa discrepanza il termostato - che quindi è
in grado di “calcolare” questa differenza e
reagire in base ad essa - impartisce un comando alla caldaia accendendola così da
riscaldare la stanza. La temperatura viene
costantemente misurata e quando essa arriva a 19 °C, ovvero nel momento in cui la
differenza col valore di riferimento è nulla, il termostato dà il comando di spegnimento. Pertanto esso controlla la caldaia
basandosi su una differenza di una grandezza fisica (la temperatura) da un valore
di riferimento, prescelto dall’utente. Questo è il principio del controllo in feedback,
ed è lo stesso che viene usato ad esempio
nel sistema di frenata con ABS (Advanced
Braking System) delle nostre automobili.
Qui la grandezza da tenere sotto controllo
è la velocità di rotazione delle ruote, il controllore è un sistema composto da sensori
e da un minicomputer e gli “attuatori”, ovvero i sistemi che agiscono per riportare la
grandezza al valore prefissato, sono i quattro freni delle singole ruote. Se una cessa
di ruotare - sintomo ad esempio che essa
è finita su una superficie molto scivolosa
come il ghiaccio - il controllore corregge
SUMMARY
Harnessing the same process
that powers the Sun on
Earth:
nuclear
fusion.
Sustainable, clean, safe, and
potentially unlimited. This
is the challenge that the
international community is
tackling with a joint scientific
and technological effort, with
ITER (www.iter.org) and NIF
(lasers.llnl.gov) being its most
advanced experiments. This is
the subject that we will deal
with in the present article: the
challenge, where we are, where
we are going, how important
the research is along with the
training of young researchers.
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adeguatamente la forza di frenata proprio
su quella ruota per evitare la sbandata.
Il volo dei moderni aeroplani è garantito
proprio da un avanzato sistema di control
controllo, che integra diversi sensori - tra cui quel
quelli di posizione, altezza, velocità, vento e al
altre condizioni esterne - con diversi attuatori
come timoni, alettoni e potenza dei motori.
L’Airbus A320 è stato il primo aereo civi
civile totalmente
basato sul concetto
“fly-by-wire”,
ovvero su
un sistema
di controllo dell’aeroplano
che non prevede un collega
collegamento meccanico, bensì uno elettrico, tra
lo strumento di controllo (la cloche nella
cabina di pilotaggio, ad esempio) e l’og
l’oggetto da controllare (per esempio il timo
timone o gli alettoni). E se gli aerei civili sono
ancora progettati con un certo livello di
stabilità passiva, ovvero sono in grado di
volare anche in assenza di una certa parte
di strumenti di controllo o di attuatori, pen
pensiamo al recente esempio dell’aereo amma
ammarato a New York sul fiume Hudson a
motori spenti, i caccia militari sono
invece spesso passivamente instabili.
Ciò significa che in assenza di con
controllo in controreazione essi non sono in
grado di volare, neppure di planare. Solo
grazie al sistema di controllo possono sta
stare in aria, cosa altrimenti impossibile per
le leggi dell’aerodinamica. Questo perché
l’essere passivamente instabili li rende più
maneggevoli e aumenta le loro prestazio
prestazioni, proprietà molto importanti per un aereo
militare. Si sfidano quindi le leggi dell’ae
dell’aerodinamica facendo completo affidamento
sul controllo in feedback.
Anche in questo caso la natura si rivela ma
maestra: gli esseri viventi sono dotati infatti di
un sistema di controllo in controreazione,
più o meno sofisticato a seconda del loro
grado evolutivo, capace di mantenerne la
stabilità dei parametri vitali nonostante i
cambiamenti dell’ambiente esterno. È il
cosiddetto processo di omeostasi che nel
corpo umano è in grado di mantenere la
temperatura corporea o il pH del sangue,
entro un intervallo di valori estremamente limitato, al di fuori del quale si possono
avere conseguenze letali.
Seppur tutto ciò sia molto interessante, vi
chiederete cosa c’entra con la fusione termonucleare e con l’energia. Eccovi di seguito la risposta.
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Un paniere energetico
per uno sviluppo
sostenibile
Energia, una parola chiave di oggi, ma soprattutto, di domani. Un elemento cruciale
per lo sviluppo sostenibile, termine con
cui intendiamo la capacità di soddisfare le
necessità di oggi senza compromettere la
possibilità delle generazioni future di fare
altrettanto. Esso necessita di fonti energetiche accessibili e distribuite equamente,
il cui sfruttamento implichi un limitato
impatto ambientale, capaci di soddisfare il
fabbisogno mondiale in continua crescita a
causa di vari motivi, come l’aumento della
popolazione e della richiesta dei paesi in
via di sviluppo e, ancor più importante, per
rispondere alla questione etica e sociale alla
povertà. Pensiamo solo alla drammatica
realtà di un miliardo e seicento milioni di
persone nel mondo senza elettricità e ai due
miliardi e trecento milioni che soddisfano
il loro fabbisogno energetico solamente
tramite biomasse. Dato quest’ultimo non
meno drammatico del primo, perché non
solo la mancanza di energia è sinonimo di
bassa qualità della vita, ma tale è anche la
sua disponibilità in forme poco “pulite”
per il consumatore. Per noi abituati a prelevare gran parte dell’energia che ci serve
per l’uso domestico da una comoda presa
a muro, o bruciando gas in una moderna
caldaia, può non essere facile realizzare che
due milioni di donne e bambini muoiono
prematuramente ogni anno nel mondo a
causa dell’uso di combustibili solidi, spesso
bruciati in ambienti con pessima areazione.
A fronte di una crescente domanda di
energia dobbiamo fare i conti con l’esaurirsi delle fonti fossili tradizionali e con
una sempre maggior opportuna attenzione all’impatto ambientale. Tutto ciò suggerisce una strategia di diversificazione
dell’approccio energetico - il cosidetto
“energy mix” - in cui il fabbisogno venga
soddisfatto da un pool di sorgenti diverse,
supportando fortemente, nel contempo, la
ricerca interdisciplinare sull’energia.
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Una grande ragionevole
speranza: la
fusione termonucleare
In questo paniere energetico per un futuro
sostenibile, la fusione termonucleare con-
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Energia illimitata Imitando il sole
trollata rappresenta una grande e ragionevole speranza. Essa già funziona in natura
come fonte di energia: è il processo che alimenta il sole e le stelle, e possiamo quindi
dire che è alla base della vita nel nostro pianeta. Il sole brucia 600 milioni di tonnellate
d’idrogeno al secondo; la sua grande massa
tiene confinato il combustibile e permette
la realizzazione della fusione termonucleare. Nel processo di fusione (Fig. 1) che si
cerca di produrre in laboratorio i nuclei di
due isotopi dell’idrogeno - il deuterio (D) e
il trizio (T) - si fondono dando origine ad
un atomo di elio e a un neutrone, secondo
la reazione:
Fig. 1 - La reazione di fusione
tra deuterio (2H) e trizio (3H).
I protoni sono rappresentati
dalle sfere arancioni, i neutroni
da quelle grigie.
D2 + 1T3 → 2He4 (3,5 MeV) + 0n1 (14,1 MeV)
1
Nella reazione di fusione la massa totale
dei prodotti di reazione (elio e neutrone) è
inferiore della somma delle masse dei reagenti (deuterio e trizio). Si ha quindi un
cosiddetto “difetto di massa” Δm: la massa mancante non è scomparsa, ma è stata
convertita in energia secondo la ben nota
relazione di Einstein E = mc2, nella quale E è appunto l’energia, m la massa e c
la velocità della luce nel vuoto. L’energia
prodotta nella reazione di fusione termonucleare è disponibile come energia cinetica
dell’atomo di elio e del neutrone che viene
quindi utilizzata per scaldare il plasma, nel
caso dell’elio, o convertita in calore in un
mantello esterno alla camera di reazione
nel caso del neutrone. È proprio questo calore che sarà utilizzato in un reattore per la
produzione di energia elettrica con un tradizionale ciclo termico.
L’energia che si può ricavare da trasformazioni nucleari - la fusione, ma anche la più
nota fissione - è enorme rispetto a quella, di
tipo chimico, che si può ricavare da trasformazioni atomiche come la normale combustione di combustibili fossili. Solo per fare
un esempio, se tutta la materia contenuta
in 500 kg fosse convertita in energia, essa
darebbe origine a 45 miliardi di miliardi di
Joule, pari al consumo elettrico globale di
un anno dell’intero pianeta.
Sembrerebbe fatta, ma trasportare in un reattore ciò che avviene nel sole è decisamente non banale. Nella pratica, per produrre
energia occorre far avvenire le reazioni
termonucleari in un reattore di dimensioni
limitate; per realizzare tali reazioni in maniera efficiente il combustibile - e cioè gli
isotopi dell’idrogeno deuterio (D) e trizio
(T) - deve essere portato a temperature di
decine di milioni di gradi, e tenuto insieme, o confinato, per usare un termine tecnico, per un tempo sufficientemente lungo
e con una densità sufficientemente elevata.
A quelle temperature la materia si trova nel
quarto stato della materia, il plasma.
Per capire cos’è un plasma pensiamo ai
vari stati in cui possiamo trovare l’acqua:
a temperature sotto lo zero l’acqua si trova
allo stato solido, noto come ghiaccio. Se si
aumenta la temperatura, il ghiaccio fonde e
l’acqua si trova nello stato liquido. Se s’innalza ancora di più la temperatura, l’acqua
bolle e raggiunge lo stato gassoso, sotto
forma di vapore. Se a questo punto riscaldiamo ulteriormente il gas, arriviamo al
punto in cui esso è ionizzato: gli elettroni si
staccano dagli atomi e il gas è composto da
una miscela di nuclei carichi positivamente
ed elettroni carichi negativamente, entrambi liberi formando il plasma. Quest’ultimo
rappresenta l’ambiente in cui si possono
verificare le condizioni adatte affinché i
nuclei possano fondere e produrre energia. Questo può essere fatto percorrendo
due vie principali, entrambe finalizzate a
portare il plasma nelle condizioni in cui le
reazioni possono avvenire efficacemente: il
confinamento inerziale e quello magnetico.
Nel primo caso - quello del confinamento
inerziale - il combustibile, iniettato nella
camera di combustione sotto forma di piccoli bersagli, viene compresso tramite intensi fasci laser a densità elevatissime, fino
a 1.000 volte superiori a quelle dello stato
solido. L’esperimento di punta nel mondo
è la National Ignition Facility (NIF), un
sistema composto da 192 potenti laser in
funzione presso il Lawrence Livermore
National Laboratory negli Stati Uniti. Purtroppo lo spazio non consente di entrare nel
dettaglio di questo concetto, ma se siete curiosi potete curiosare nel loro interessante
sito web (lasers.llnl.gov).
Un principio diverso, che sfrutta le interazioni elettromagnetiche, è utilizzato negli
esperimenti a confinamento magnetico.
Qui il plasma, composto da particelle ca-
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Fig. 2 - Schema di principio di un
esperimento per lo studio della
fusione termonucleare controllata
mediante confinamento magnetico.
(Fonte: EFDA-JET; www.jet.efda.
org/multimedia/photo-gallery/)
mo dagli esperimenti che si facevano alle
scuole medie. Negli esperimenti per lo studio della fusione termonucleare a confinamento magnetico si utilizzano impianti di
forma toroidale, cioè con la forma di una
ciambella col buco in mezzo, dove si produce, si riscalda e si studia il plasma. Uno
schema di principio di questi esperimenti è
rappresentato in Fig. 2.
Fig. 3 - L’esperimento ITER in
costruzione a Cadarache.
(Fonte: ITER organization;
www.iter.org)
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ITER, International
Thermonuclear
Experimental Reactor
riche, è mantenuto confinato da campi
magnetici, prodotti con bobine esterne alla
camera di reazione. Una corrente elettrica
che circola in un filo produce un campo
magnetico, come probabilmente ricordia-
La punta di diamante della ricerca sulla fusione a confinamento magnetico è
l’esperimento ITER, attualmente in fase
di costruzione nel sito di Cadarache, nel
sud della Francia (Fig. 3). L’avvio della
fase realizzativa di ITER avviene nel 2006,
grazie all’accordo dei suoi partner: la Cina,
l’Unione Europea, la Corea, il Giappone,
l’India, la Russia e gli Stati Uniti. Sette
realtà, politicamente e socialmente molto diverse, che raccolgono più della metà
della popolazione mondiale. L’obiettivo di
ITER è di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica di un reattore a fusione.
ITER è un impianto sperimentale, il suo
scopo è quello di produrre una quantità di
potenza dieci volte superiore a quella che
è necessaria per il suo funzionamento. Per
fare un esempio numerico, immettendo 50
megawatt (MW) di potenza, ITER dovrebbe produrne 500 MW da reazioni di fusione. Esso deve condurci al passo successivo
che sarà quello di un reattore sperimentale
di potenza, chiamato DEMO, in grado di
dimostrare su larga scala la produzione di
energia elettrica. Se tutto va bene, quest’ultimo porterà la fusione nella sua era “industriale”.
La costruzione di ITER è entrata ora nella fase operativa: il progetto è ormai quasi
terminato e sono già stati appaltati ad industrie dei sette partner i lavori per la costruzione dei principali componenti della macmac
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Energia illimitata Imitando il sole
china. L’Italia, peraltro, giocherà un ruolo
molto importante nella realizzazione, dato
che alcune nostre imprese si sono aggiudicate le gare per la costruzione di elementi
chiave come la camera di reazione ad ultra
alto vuoto e il magnete per la produzione
del campo magnetico di confinamento. Secondo le previsioni ITER dovrebbe entrare
in funzione nel 2019, ma per arrivare allo
sfruttamento commerciale della fusione ci
vorrà ancora qualche decennio in più. Ma
30-40 anni sono un orizzonte credibile - e
non dissimile da quello necessario per la
penetrazione di altre fonti energetiche innovative -, se le risorse che la comunità
internazionale impiegherà per questo progetto saranno adeguate.
La scienza e la tecnologia della fusione
stanno facendo passi da gigante, molti risultati sono ormai sicuri e maturi, c’è quindi margine per essere ottimisti. E i costi
non sono certo stratosferici, se paragonati
con quelli spesi per altre fonti energetiche:
giusto per fare un esempio, l’incidente
della piattaforma petrolifera nel golfo del
Messico pare sia costato finora alla BP una
quarantina di miliardi di dollari, pari quasi al valore di tre ITER! O, giusto per fare
due altri paragoni, costa circa come mezza
giornata di bolletta energetica globale, o
come un paio di grandi portaerei. Una cifra
ragionevole, se rapportata all’importanza
del problema energetico e alle potenzialità che una fonte - pulita, intrinsecamente
sicura e senza produzione di CO2 - quale la
fusione può avere. Poiché essa è una fonte
intrinsecamente priva di pericoli: un reattore a fusione non potrà mai sfuggire al controllo, gli esperti usano dire che in caso di
guasto esso si comporta come un accendino che scivola di mano: si spegne da solo.
Il programma di ricerca
internazionale e il
contributo italiano
La fusione è una grande sfida che la comunità internazionale sta affrontando finanziando diversi progetti di ricerca d’eccellenza. Oltre a collaborare alla realizzazione
di ITER, i sette partner sopra citati stanno
sviluppando, assieme ad altri Paesi, programmi di ricerca locali sul confinamento
magnetico, fortemente integrati tra loro
e basati sull’uso di dispositivi sperimentali, sullo sviluppo di nuove tecnologie,
sull’utilizzo di nuovi materiali e su studi
teorici. Tre sono le tipologie di esperimenti maggiormente studiate: il tokamak, lo
stellarator e il reversed field pinch (RFP).
Tutte condividono la forma toroidale del
contenitore del plasma, ma si differenziano
per la struttura, la “forma”, se vogliamo,
del campo magnetico utilizzato per il confinamento del plasma.
Il tokamak è la tipologia di esperimento più
avanzata, sulla quale si sono concentrati negli ultimi decenni i maggiori investimenti e
che ha quindi ottenuto le pre-stazioni di punta. Il più grande esperimento di fusione oggi
in funzione nel mondo è il tokamak europeo
JET (Joint European Torus; www.jet.efda.
org). Si tratta di è un esperimento gestito collettivamente dal programma fusione europeo,
realizzato da più di 40 laboratori comunitari
sotto l’egida dell’Euratom (Fig. 4).
Fig. 4 - L’interno della camera di
scarica dell’esperimento JET, con
sovrapposta a destra un’immagine
del plasma presa nell’intervallo
della luce visibile.
(Fonte: EFDA-JET; www.jet.efda.
org/multimedia/photo-gallery/)
IL JET, JOINT EUROPEAN TORUS
JET è oggi il più grande esperimento di fusione a confinamento magnetico nel mondo: il volume del plasma prodotto in JET è di circa 80 metri cubi, confinato all’interno
di una camera di scarica toroidale con un diametro di 6 metri. Il campo magnetico
massimo prodotto in JET è di 4 tesla, e la corrente che fluisce nel plasma può arrivare
a 5 milioni di ampere. Caratteristica assai importante e unica di JET è quella di essere
l’unico esperimento attualmente in grado di operare con un combustibile di deuterio e trizio, che sarà quello utilizzato nei futuri reattori commerciali. In esperimenti
condotti nel 1997 con deuterio e trizio JET ha prodotto 16 megawatt di potenza da
fusione. Con i suoi risultati, e con un ricco programma di ricerca di punta, JET fornisce
un contributo importantissimo allo sviluppo della fusione: ad esempio, dal 2011, la parete interna della camera di reazione di JET sarà ricoperta di tungsteno e berillio, i due
materiali che verranno usati anche in ITER. Il sistema robotico di tele-manipolazione di
JET, consente di svolgere manutenzioni e attività tecnologiche complesse all’interno
della macchina senza la presenza dell’uomo.
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Per confinare il plasma, il tokamak necessita di un forte campo magnetico. Questo
consente di raggiungere elevate prestazioni; tuttavia la sua produzione presenta alcune difficoltà tecnologiche in vista di future
applicazioni in reattore. Il campo magnetico è infatti prodotto da grandi bobine presenti all’esterno della camera di scarica che
in un futuro reattore dovranno essere superconduttrici. In un tokamak anche i sistemi
per riscaldare plasma, fino alle temperature
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necessarie all’innesco delle reazioni termonucleari, sono piuttosto complessi.
Pur concentrando gran parte delle risorse
sul tokamak, la comunità internazionale
ritiene indispensabile diversificare le opzioni di approccio alla fusione magnetica
studiando anche altre tipologie sperimentali, diverse dal tokamak per la struttura
del campo magnetico. In questo senso lo
stellarator e l’RFP sono le principali alter-
IL TOKAMAK FTU
Lungo la linea dell’alto campo magnetico FTU, il tokamak dell’ENEA di Frascati, ha
ottenuto importanti risultati, in particolare per ciò che riguarda il riscaldamento del
plasma a valori record di temperatura, il confinamento di plasmi densi - e quindi di
interesse per la fusione - , la stabilizzazione del plasma e l’iniezione di onde elettromagnetiche. L’iniezione di onde elettromagnetiche, tramite antenne tecnologicamente
molto avanzate, rappresenta infatti uno strumento assai importante per il riscaldamento del plasma e per il controllo della sua evoluzione dinamica. Altro importante
contributo innovativo fornito da FTU è quello relativo all’utilizzo del Litio liquido come
elemento per la parete della camera di scarica e i componenti a contatto col plasma
stesso. Il litio - proprio l’elemento usato nelle normali batterie dei nostri telefonini può potenzialmente consentire prestazioni migliorate, i risultati di FTU sono incoraggianti e innovativi.
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Fig. 5 - L’esperimento Frascati native oggi studiate.
Tokamak Upgrade in funzione presso Un grande esperimento stellarator, Weni laboratori ENEA di Frascati delstein 7-X, è in fase di costruzione in
(Fonte: ENEA; www.fusione.enea.it)
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Germania, a Greifswald, presso i laboratori
del Max Planck Institut für Plasma Physik,
entrerà in funzione tra pochi anni (http://
www.ipp.mpg.de/ippcms/eng/pr/publikationen/W7X_engl.pdf).
L’RFP si differenzia invece dal tokamak
per la forma e l’ampiezza del campo magnetico. Nell’RFP quest’ultima è complessivamente di circa un ordine di grandezza
inferiore rispetto a quella di un tokamak
che opera con la stessa corrente di plasma,
il che potenzialmente significa una minor
complicazione tecnologica.
Questi studi sulle configurazioni alternative rappresentano una grande ricchezza,
perché questi dispositivi, se da un lato potranno costituire valide alternative per un
futuro reattore, consentono nel contempo
di esplorare i vari aspetti fisici e tecnologici della fusione da punti di vista diversi
da quelli del tokamak, favorendo la validazione di modelli interpretativi e di leggi di
scala, rendendo potenzialmente più rapido
il raggiungimento dell’obiettivo fusione.
Il nostro Paese ha laboratori e gruppi di
ricerca d’eccellenza nell’ambito della fusione termonucleare. Frascati, Milano e
Padova sono i tre poli principali, cui si uniscono altri importanti gruppi universitari. A
Frascati, presso il Centro Ricerche Energia
dell’ENEA, è in funzione il Frascati Tokamak Upgrade (FTU) rappresentato in Fig. 5
(www.fusione.enea.it). FTU è un tokamak
compatto ad alto campo magnetico e alta
densità di particelle, in cui viene studiato il
riscaldamento del plasma con onde a radiofrequenza di potenza (qualche megawatt).
Si tratta dell’esperimento di fusione operante col più elevato campo magnetico (8
tesla) e consente, quindi, di analizzare plasmi d’interesse per la fusione e per ITER
non ottenibili con altre macchine. Presso il
laboratorio di Frascati si svolgono inoltre
molte altre attività di ricerca sperimentale e
teorica; è in fase di studio il progetto di un
nuovo esperimento tokamak europeo di accompagnamento a ITER, chiamato FAST.
Una tradizione pluridecennale di ricerca scientifica e tecnologica caratterizza a
Milano l’Istituto di Fisica del Plasma del
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
(www.ifp.cnr.it). Attività di punta di questo
istituto è la ricerca sull’interazione di onde
elettromagnetiche ad alta frequenza con i
plasmi da fusione magnetica.
A Padova la ricerca sulla fusione è condotta dal Consorzio RFX, al quale afferiscono
in totale circa 150 persone con un’età media di 43 anni (www.igi.cnr.it). Esso costituisce un polo di ricerca interdisciplinare
dinamico e flessibile che associa l’Enea,
il Cnr, l’Università di Padova, l’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare e un partner
industriale, le Acciaierie Venete.
Due sono i principali programmi di ricerca del Consorzio RFX. Una struttura di
prova dove verrà sviluppato e realizzato
un importante componente di ITER (un
iniettore di atomi neutri che servirà per il
riscaldamento del plasma) e l’esperimento reversed field pinch (RFP) denominato
RFX-mod.
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Energia illimitata Imitando il sole
LA RICERCA ALL’ISTITUTO DI FISICA
DEL PLASMA DI MILANO
L’IFP del CNR di Milano è all’avanguardia sulla ricerca per l’utilizzo di onde elettromagnetiche
per migliorare le prestazioni di plasmi fusionistici. lI risultati di tale ricerca vengono quindi adoado
perati per predisporre ed effettuare esperimenti di riscaldamento, generazione di corrente non
induttiva e stabilizzazione di modi, iniettando radiofrequenza nel plasma di vari tokamak. VengoVengo
no sviluppate anche tecnologie relative all’uso della radiofrequenza. L’IFP, in particolare, ha rearea
lizzato per il tokamak FTU un potente e flessibile sistema per l’iniezione di onde a radiofrequenza
a 140 GHz, per una potenza totale di 2 MW. Tale sistema consente di controllare ed esplorare
molteplici proprietà dei plasmi fusionistici prodotti in FTU e sarà controllato in feedback, concon
sentendo quindi una precisa localizzazione spazio-temporale della zona di plasma in cui le
onde vengono lanciate. Sempre presso l’IFP si sviluppano diagnostiche avanzate di plasmi
termonucleari, a cui si aggiunge il coinvolgimento in numerosi altri campi di ricerca sui plasmi, sia in campo teorico che sperimentale. Sempre presso l’IFP si svolgono importanti
ricerche sulla chimica-fisica dell’interazione fra plasma e materiali, con ricadute sia per la
fusione che applicative a più ampio spettro.
RFX-mod e FTU sono esperimenti di punta del programma europeo sulla fusione,
che si basa su 27 contratti di associazione
tra l’Euratom e i Paesi dell’Unione, inclusa
la Svizzera, i quali collaborano collettivamente ad un unico programma di ricerca,
coordinato e integrato.
L’esperimento RFX-mod
Per spiegare un po’ più in dettaglio come si
realizza un esperimento di fusione e quale
tipo di dati fornisce prendiamo ad esempio
RFX-mod, un esperimento di forma toroidale: in sostanza il “cuore” dell’esperimento è una camera ad ultra alto vuoto a
Il nuovo lanciatore di onde
RF per il tokamak FTU,
sviluppato dall’IFP di Milano.
Sarà controllato in feedback e
consentirà un accurato controllo
della stabilità.
(Per gentile concessione
dell’IFP-Cnr)
forma di ciambella (detta in geometria solida “toro”) con un raggio maggiore di due
metri e un raggio minore di 0,46 m (Fig. 6).
Essa ha un volume di circa 10 m3 e al suo
interno viene prodotto e confinato il plasma, le cui proprietà vengono studiate dai
ricercatori per capire come può funzionare
la fusione termonucleare in laboratorio. Le
attività di RFX-mod sono partite nel 2004,
si tratta di una versione modificata e migliorata del precedente esperimento RFX,
in funzione dal 1991 al 1999.
Il plasma è prodotto e studiato in esperimenti,
detti “impulsi”, della durata di circa mezzo Fig. 6 - L’esperimento RFX-mod
secondo. Durante l’impulso il plasma vie- in funzione presso il Consorzio
ne “osservato” da circa un migliaio di stru- RFX di Padova.
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Fig. 7 - Settore della struttura
toroidale di RFX-mod.
In verde le bobine per il
controllo attivo che circondano
la camera di scarica.
Il giallo le aperture circolari
che consentono l’ossevazione
del plasma con opportuni
strumenti di misura.
(Per gentile concessione
dell’Ufficio Tecnico
del Consorzio RFX)
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menti
di misura che forniscono
come risultato dei segnali digitali. Fra un
impulso e il successivo i dati sono trasferiti a potenti computer che ne permettono
l’analisi da parte dei ricercatori. Per produrre il plasma, prima dell’impulso si riempie la camera di scarica toroidale con
idrogeno gassoso. Per farlo divenire plasma, esso viene ionizzato da un intenso
campo elettrico che viene rapidamente applicato all’inizio dell’esperimento. Questo
accelera i pochi elettroni liberi naturalmente presenti nel gas di idrogeno innescando
un rapido processo a catena: in breve tutto
il gas si ionizza e diventa elettricamente
conduttore. A questo punto nel plasma,
composto di ioni ed elettroni liberi, scorre
una corrente elettrica che in RFX-mod può
raggiungere i 2 MA (ben due milioni di ampere). Questa corrente è indotta nell’anello
di plasma sfruttando la legge di Faraday,
ovvero provocando una variazione temporale del campo magnetico che attraversa il
“buco” centrale della ciambella.
La corrente elettrica che attraversa il plasma
svolge due principali funzioni: innanzitutto riscalda il plasma tramite l’effetto Joule
(vedi Green n. 8, pagg. 16-33) e inoltre produce parte del campo magnetico necessario
al confinamento del plasma stesso. La rimanente parte del campo magnetico necessario è prodotta da un sistema di 48 bobine
circolari equidistanti che circondano la ca-
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mera di scarica (il cosiddetto
solenoide toroidale). Grazie
alla corrente elettrica che lo attraversa, il
plasma ha raggiunto ad oggi temperature
dell’ordine di 15 milioni di gradi, che potranno ulteriormente essere incrementate.
Lo studio del riscaldamento del plasma
con la sola corrente elettrica fino alle temperature necessarie per il funzionamento di
un reattore a fusione è uno degli elementi cruciali del programma di ricerca RFP:
un aspetto complementare al tokamak che
arricchisce il panorama fusionistico. Il tokamak usa infatti per il suo riscaldamento
complessi sistemi basati sull’iniezione nel
plasma di onde elettromagnetiche e fasci di
particelle energetiche. Questi sistemi nel
tokamak hanno consentito di raggiungere
temperature record. Questi sistemi sono
però tecnologicamente complessi. L’utilizzo della sola corrente elettrica per il riscaldamento del plasma fino a temperature
termonucleari, con lo stesso principio del
riscaldamento di una resistenza, rappresenterebbe una notevole semplificazione. Un
altro potenziale vantaggio del RFP, prima
citato, è l’utilizzo di un campo magnetico
per il confinamento che è circa dieci volte
meno intenso di quello usato in un tokamak
attraversato dalla stessa corrente. Anche
questa può essere una notevole semplificazione per un reattore, poiché campi magnetici più bassi sono prodotti tramite bobine
tecnologicamente meno complicate, non
superconduttrici e con una struttura meccanica più leggera.
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Il vantaggio dell’utilizzo di campi magnetici meno intensi comporta però dei problemi aggiuntivi da risolvere per stabilizzare
il plasma e migliorarne le prestazioni. Il
forte campo magnetico usato nel tokamak
ha infatti un robusto effetto stabilizzante:
in altri termini esso contribuisce a mantenere in posizione e con una forma “liscia”
la colonna di plasma, condizione necessaria per raggiungere prestazioni elevate ed è infatti
proprio nel tokamak che
si sono finora ottenute le
prestazioni record. Questo
effetto legato all’intensità
del campo è più debole nell’RFP, che sfrutta
piuttosto processi di autoorganizzazione per trovare la configurazione più
stabile.
Un più complesso controllo della stabilita è quindi
il prezzo che il RFP deve
affrontare in cambio di
una minore complicazione tecnologica. Una sfida
non banale: fino alla fine
dello scorso decennio vi
era una certa preoccupazione sulle possibilità di
coniugare l’approccio a
basso campo magnetico
dell’RFP con un livello di
stabilità che consentisse
prestazioni di interesse fusionistico, ma ora
la situazione è cambiata. Un ruolo molto
importante in questo positivo cambiamento lo ha avuto RFX-mod. Gli esperimenti
condotti dalla fine 2004 su RFX-mod, insieme a una serie di altri risultati positivi
ottenuti dagli altri RFP nel mondo, hanno
fortemente cambiato la visione e le prospettive di questa configurazione magnetica.
Siamo ora in grado di riprendere il nostro
racconto da dove siamo partiti, cioè dal
controllo attivo dei processi dinamici.
Il controllo attivo
fa la differenza
Avevamo interrotto la nostra trattazione
chiedendoci cosa c’entrava il controllo attivo con la fusione. Ebbene esso è fondamentale per ottenere delle buone prestazioni in un esperimento di fusione, e domani
lo sarà per un reattore operativo. RFX-mod
ci sta insegnando come ciò potrà accadere
e rappresenta una palestra per imparare a
migliorare sempre di più i nostri sistemi di
controllo. Infatti la maggior parte dei positivi risultati di RFX-mod sono stati ottenuti
grazie al miglior sistema per il controllo in
feedback della stabilita mai realizzato per
un esperimento di fusione termonucleare,
in funzione proprio su RFX-mod. È stato
interamente progettato dal gruppo di ri- Fig. 8 - L’architettura del
cerca del Consorzio RFX e realizzato con sistema di controllo di RFX-mod.
192 bobine poste all’esterno della camera
di scarica che coprono l’intera superficie
del plasma e con circa 600 sensori di campo magnetico e corrente elettrica (Fig. 7).
Ogni bobina è alimentata individualmente da un amplificatore. L’architettura del
sistema di controllo di RFX è illustrata in
Fig. 8. Il suo principio di funzionamento
ricalca l’esempio fatto in precedenza per
il controllo della temperatura, solo che nel
caso di RFX-mod le variabili da controllare (il plurale è d’obbligo, visto che sono
circa 200) sono i campi magnetici che si
trovano in varie posizioni nel plasma.
Le instabilità prodotte dal plasma, che
comportano un deterioramento delle prestazioni, si manifestano come campi magnetici spuri che si sovrappongono a quelli
intenzionalmente prodotti per confinare il
plasma; ricordando l’esempio che abbiamo
usato all’inizio, ciò è analogo alla perturbazione della temperatura della stanza che si
crea quando si apre una finestra. I sensori
rivelano queste perturbazioni di campo magnetico, la cui misura è elaborata da un sistema di calcolo in tempo reale e paragonata con la situazione ottimale non perturbata
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Fig. 9 - L’elica di plasma
con prestazioni migliorate
in RFX-mod.
In grigio sono visibili le 2.000
mattonelle di grafite
che rivestono l’interno
della camera di scarica.
(Per gentile concessione
dell’Ufficio Tecnico del
Consorzio RFX)
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che
si vorrebbe
raggiungere. A seconda dello scostamento dalla situazione ottimale, il sistema di
controllo invia una serie di comandi ai 192
amplificatori, che a loro volta alimentano le
singole bobine. Queste ultime producono un
campo magnetico addizionale che annulla
quello spurio. Il sistema di controllo della
stabilità di RFX-mod può trattare un così
elevato numero di misure e comandi in tempi estremamente rapidi, dell’ordine del millesimo di secondo. Potremmo dire che proprio il controllo ha fatto la differenza, non
solo tra la misura dei sensori e il valore di
riferimento (per essere in grado di riportare
il plasma il più vicino possibile a quest’ultimo), ma anche per le singolari prestazioni e
le prospettive dell’esperimento.
Da un lato, infatti, l’esperienza di RFXmod fornisce elementi chiave per il progetto dei sistemi di controllo di futuri esperimenti. A testimonianza di ciò scienziati dei
principali laboratori di fusione del mondo
collaborano con RFX-mod per sfruttare
tutte le enormi potenzialità di questo impianto. Dall’altro, il controllo attivo della
stabilità ha permesso di raggiungere livelli
record di corrente nel plasma, fino a 2 MA e
di accedere a stati di confinamento migliorato. Ad esempio, superata la soglia di circa 1 MA si è scoperto che la parte centrale
del plasma di RFX-mod tende ad assumere
una forma ad elica estremamente regolare
(Fig. 9). L’elica si avvolge sette volte attor-
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no al suo
asse prima
di richiudersi e occupa una significativa frazione
del volume del plasma (circa il 40%). In
questa configurazione, denominata in gergo SHAx (Single Helical Axis), il campo
magnetico assume una simmetria elicoidale, che è particolarmente efficace per contenere le particelle e l’energia del plasma, e
quindi ne migliora le prestazioni.
I prossimi esperimenti avranno lo scopo
di aumentare anche la densità di particelle all’interno dell’elica tramite il lancio di
proiettili di idrogeno solido all’interno. La
scoperta degli stati elicoidali è un risultato di notevole importanza, che ha riscosso
grande interesse nella comunità scientifica.
Il lavoro è stato pubblicato da Nature Physics, una delle più prestigiose riviste internazionali di fisica.
Un obiettivo ambizioso
alla nostra portata
Eccoci quindi alla fine del nostro racconto.
Una storia ancora in parte da scrivere, con
un obiettivo ambizioso: portare il sole sulla
terra. Un obiettivo difficile, certo, ma alla
nostra portata. I progressi fatti nei laboratori di tutto il mondo in questi ultimi anni
lo dimostrano: la base scientifica e tecnologica per fare della fusione un elemento
cruciale di un paniere energetico libero da
CO2 è sempre più solida e ampia. La costruzione di ITER ormai è una realtà e in un
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decennio questo esperimento comincerà a
produrre i suoi risultati, con lo scopo di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione. Nel frattempo gli esperimenti esistenti e quelli che verranno, tra
i quali quelli italiani sono all’avanguardia,
continueranno a fornire informazioni importantissime che ci avvicinano sempre di
più al traguardo. Il progetto di un prototipo
di reattore commerciale, cioè il dispositivo
che seguirà ITER, sta per iniziare; e ancora
una volta l’Italia e l’Europa apporteranno
un contributo fondamentale. La ricerca
scientifica e la disponibilità di un buon par-co di esperimenti nazionali in Europa sono
quindi un elemento chiave per il successo
della fusione, anche perché è proprio con
gli esperimenti nazionali e con una forte
ricerca sulla scienza della fusione che si
formano le nuove generazioni di ricercato-ri. Il nostro Paese deve fare la sua parte e
mettere in campo le risorse per continuare
ad essere un leader nella fusione, come lo
è stato finora.
Tutti gli obiettivi della fusione, non facili,
ma entusiasmanti, sono infatti nelle mani
soprattutto delle giovani generazioni, degli
studenti e dei giovani ricercatori di oggi
che saranno i leader della fusione nell’era
di ITER. Ecco perché la formazione nel
campo della fusione termonucleare è così
cruciale ed è un’attività in cui l’Italia pri-meggia grazie alla radicata tradizione nella
formazione sulla fusione e ai molti inge-gneri e fisici connazionali che contribui-scono al successo di numerosi laboratori
nel mondo. Il Consorzio RFX, ad esem-pio, sin dalla sua fondazione ha messo la
formazione al centro dei suoi programmi:
oltre 200 tesi di laurea, master e dottorati
svolti presso le sue strutture negli ultimi 10
anni, 43 giovani ricercatori reclutati nello
stesso periodo, altri 25 giovani, formatisi
a Padova, che oggi lavorano in laboratori
internazionali sulla fusione in qualità di
studenti di dottorato di ricerca o di ricercatori. Ciò, oltre ad un dottorato europeo
realizzato in collaborazione con le Università di Monaco di Baviera e di Lisbona
(www.igi.cnr.it/education/index.php), consente a una trentina di studenti delle tre sedi
una formazione comune d’avanguardia. Il
futuro è nelle loro mani; sta ai ricercatori
e ai politici di oggi il compito di aiutarli a
costruirlo.
Piero Martin
Università di Padova
Consorzio RFX
PER APPROFONDIMENTI
Sul sito del Consorzio RFX è possibile trovare l’interessante libro “Fisica e ingegneria della fusione: la ricerca verso una nuova fonte di energia” che spiega, con parole
semplici, la fusione, lo stato della ricerca e come essa contribuisce alla soluzione del
problema energetico.
Il libro, appositamente prodotto per un pubblico non specialistico e per le scuole, si
trova all’indirizzo: http://www.igi.pd.cnr.it/wwwedu/opuscolo_web.pdf.
Altri siti dove si può reperire materiale didattico e informativo sulla
fusione:
• http://www.iter.org/
• http://www.jet.efda.org/
• http://www.fusion-eur.org/
• http://www.efda.org/fusion_energy/index.htm
• http://www.fusione.enea.it/WHAT/index.html.it
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• http://www.jet.efda.org/wp-content/uploads/EFDA-Cleaner-Energy-for-the-Future-2006.pdf
• http://www.jet.efda.org/wp-content/uploads/Energy-PoweringYour-World-2002.pdf
• http://www.jet.efda.org/wp-content/uploads/EC-Fusion-ResearchAn-Energy-Option-for-Europes-Future-2007.pdf
• http://www.ipp.mpg.de/ippcms/eng/pr/fusion21/index.html
• http://fusioned.gat.com/
• http://www.pppl.gov/
• http://www.plasmacoalition.org/
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