Che cos’è il sistema finanziario
Il sistema finanziario è l’insieme organizzato di mercati, intermediari e strumenti finanziari. Rappresenta la struttura
attraverso cui, in un ‘economia moderna si svolge l’attività finanziaria, cioè la produzione e l’offerta dei servizi
finanziari. Gli strumenti finanziari sono una particolare categoria di contratti aventi per oggetto diritti e prestazioni di
natura finanziaria. I mercati finanziari sono mercati specializzati nella negoziazione di strumenti finanziari. Gli
intermediari finanziari sono una speciale classe di imprese che svolgono essenzialmente attività finanziaria, un’attività
cioè basta sulla produzione e sulla negoziazione di strumenti finanziari e sull’offerta di servizi connessi con la
circolazione degli strumenti stessi. Il funzionamento del sistema avviene in un contesto di regole e di controlli, la
quarta componente della struttura del sistema è quindi costituita dalle autorità di vigilanza.
Il sistema finanziario realizza tre fondamentali processi del funzionamento di un’economia moderna:

Il regolamento degli scambi

l’accumulazione del risparmio e il finanziamento degli investimenti

la gestione dei rischi.
La natura e le caratteristiche degli strumenti finanziari
Gli strumenti finanziari sono contratti che incorporano diritti patrimoniali (credito, proprietà) e non patrimoniali (es.
azioni e relativi poteri amministrativi). Gli strumenti finanziari costituiscono una forma di rappresentazione della
ricchezza, una forma che ne rende enormemente più semplice la detenzione e il trasferimento. Il capitale produttivo
di un paese (impianti, stabilimenti, scorte…) e le altre forme di ricchezza reale (immobili…) vengono di fatto
rappresentati negli strumenti di finanziamento delle società che detengono questi cespiti reali nel loro capitale
investito. La detenzione della ricchezza reale attraverso gli strumenti finanziari rende possibile a un investitore di
partecipare ai redditi futuri di un’impresa, senza la complicazione della proprietà fisica del suo capitale produttivo.
Funzioni degli strumenti finanziari:

Denominazione della ricchezza: il singolo investitore ha fondi disponibili solo per una piccola frazione del
valore complessivo di un’azienda produttiva, o della spesa della P.A.. Se questo valore viene incorporato in strumenti
finanziari diviene possibile regolarne l’importo unitario per un ammontare sufficientemente piccolo in modo che il
loro acquisto sia accessibile anche per l’investitore più modesto.

Trasferimento della ricchezza: la circolazione degli strumenti finanziari avviene in modo molto più rapido e
semplice rispetto a quanto accade per la ricchezza reale. Di conseguenza gli investitori godono di un grado più elevato
di liquidità dei loro impieghi (possibilità di comprare e vendere in un mercato).
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Diversificazione del rischio: gli strumenti finanziari rappresentano quote di ricchezza reale e sono
intrinsecamente rischiosi. L’esposizione al rischio è più sopportabile se ogni investitore può ripartire la propria
ricchezza tra un numero ampio di impieghi piuttosto che destinare tutto a un singolo investimento.

Separazione del rischio: la possibilità che ogni strumento finanziario sia definito e costruito contrattualmente
in modo da incorporare specifiche dosi di rischio. Si possono disegnare strumenti a bassissimo rischio (titoli di Stato a
breve termine) e titoli a più alto rischio (azioni). Una gamma infinita di strumenti tra questi due, a rischi più alti
corrispondo aspettative di reddito più alte. Tutto ciò a soddisfare la necessità di categorie di investitori che si
distinguono per le diverse propensioni al rischio.
Quali funzioni svolge il sistema finanziario
Tali funzioni soddisfano specifiche esigenze del sistema economico, rendendo così possibile lo sviluppo dei processi
produttivi e distributivi: il regolamento monetario degli scambi, il trasferimento delle risorse finanziarie dalle unità in
surplus (risparmiatori) a quelle in deficit, il trasferimento e la gestione dei rischi.
L’offerta di strumenti di regolamento degli scambi
Un sistema che basa la propria funzionalità sulla specializzazione e sulle diversità di posizioni deve disporre di
meccanismi di scambio e di regolamento degli scambi molto sviluppati ed efficienti. Uno dei fattori alla base della
funzionalità degli scambi è il sistema dei pagamenti, e quindi l’adeguatezza degli strumenti monetari attraverso cui le
transazioni commerciali e non commerciali possono essere regolate.
L’accumulazione del risparmio e il finanziamento degli investimenti: il trasferimento delle risorse finanziarie
la crescita di un sistema economico è basata sul volume e sulla natura degli investimenti realizzati in un determinato
arco di tempo. Il volume degli investimenti finanziabili è condizionato dalla capacità di accumulazione del risparmio. La
natura degli investimenti dipende in parte dalle scelte di allocazione del risparmio investito in forma finanziaria.
Accumulazione e allocazione del risparmio costituiscono due aspetti fondamentali dell’attività del sistema finanziario.
Presuppongono che il sistema rei le condizioni più favorevoli: alle decisioni di risparmio (propensione
all’accumulazione), alle decisioni di investimento di risparmio (quali modalità di impiego del risparmio adottare), alle
decisioni di finanziamento dei soggetti in deficit (quali soggetti finanziare). Rischio: indica il grado di incertezza al
rendimento futuro di un investimento.
La funzione di trasferimento delle risorse del sistema finanziario si innesta in una condizione di diversità di posizione
dei soggetti dell’economia. Alcuni di essi dispongono di potere d’acquisto in eccesso e sono disposti a scambiarlo con
potere d’acquisto futuro (risparmiatori e i detentori di ricchezza), a patto che i termini contrattuali siano adeguati e
che ne derivi un vantaggio economico (rendimento) senza sopportare rischi troppo alti. Altri soggetti si trovano in
posizione di deficit di potere di acquisto che possono risolvere utilizzando risorse altrui, procurate attraverso contratti
di finanziamento, con l’opportunità di fare investimenti reali di ammontare superiore all’autofinanziamento
disponibile.
Il trasferimento dai soggetti in surplus ai soggetti in deficit richiede che vi sia un certo grado di finanziarizzazione
dell’economia, che sia cioè possibile incorporare il reddito non consumato e la ricchezza accumulato in appositi
contratti che rappresentato: per il creditore una forma di investimento finanziario, per il debitore un modo per
raccogliere risorse finanziare aggiuntive. La finanziarizzazione produce due risultati:

La ricchezza reale, se rappresentata da strumenti finanziari, ha un grado di liquidità e di trasferibilità molto
più elevato.

I soggetti con funzione di investimento reale possono mobilitare risorse finanziarie ben oltre la capacità
individuale.
È comprensibile che, in un sistema elementare a ricerca diretta tra risparmiatori e utilizzatori finali, non tutti i
potenziali rapporti di trasferimento di risorse possono realizzarsi (elevati costi di ricerca, alti rischi). Il sistema
finanziario opera in diversi modi al fine di rendere funzionale ed efficiente il processo di trasferimento delle risorse: la
definizione delle forme contrattuali, lo sviluppo dei mercati come momento organizzato di incontro di soggetti con
esigente contrapposte, la produzione di informazioni di prezzo, la presenza di intermediari finanziari in grado di
svolgere funzioni integratrici dello scambio di mercato puro di offrire servizi che agevolano la circolazione degli
strumenti finanziari.
Il sistema finanziario crea le condizioni (forme contrattuali, mercati, intermediari) perché il trasferimento nel tempo e
nello spazio delle risorse finanziarie avvenga in modo efficiente.
Le funzioni del sistema finanziario nell’ambito del trasferimento delle risorse
Elementi che rappresentano le modalità attraverso cui il sistema finanziario rafforza e rende più efficiente il processo
di trasferimento delle risorse finanziarie:

L’informazione: se il rischio percepito dal datore di fondi è quello relativo al rimborso alla scadenza, diventa
fondamentale il meccanismo dell’informazione. È necessario avere informazioni accurate ex ante sulla potenziale
controparte per valutarne l’affidabilità, ma è inoltre necessario continuare a raccogliere informazione ex posti rispetto
alla stipula del contratto per monitorare l’utilizzo corretto dei fondi. Al tempo stesso è necessario mettere a punto
contratti che rappresentino il mezzo di pressione per il rispetto dell’accordo stesso. Gli intermediari finanziari e i
mercati organizzati hanno la funzione di ridurre il gap di informazione cui è esposto il creditore. Due contributi: quello
che serve per affrontare il problema della misurazione del rischio (selezione ex ante e monitoring ex posti) e quello
che deriva dalla funzione di informazione di prezzo e che consente un processo allocativo decentrato guidato dai
segnali di convenienza espressi attraverso la quotazione degli strumenti finanziari.
In relazione alla scrittura dei contratti un aspetto essenziale riguarda la moltiplicazione e la standardizzazione delle
forme contrattuali. I contenuti tecnici ed economici del contratto possono essere riassunti in due dimensioni: il
rendimento e il rischio. Sulla base della combinazione rendimento/rischio i contratti finanziari possono essere
classificati lungo un’ideale curva del mercato in cui per rischi crescenti, si hanno rendimenti attesi più elevati.
L’ampiezza delle forme contrattuale disponibili nel sistema finanziario facilita la copertura degli svariati schemi di
preferenza espressi da creditori e debitori: da quelli più avversi al rischio a quelli che cercano un’alta esposizione al
rischio. A seconda del tipo di contratto, la produzione di informazione (per colmare il gap tra datore e prenditore di
fondi) rappresenta un elemento essenziale di ogni scambio finanziario e di ogni forma contrattuale.

La liquidità: se il rischio percepito dal creditore è di avere bisogno di riutilizzare il risparmio investito prima
della scadenza del contratto, allora diventa importante il requisito della liquidità, cioè della possibilità di smobilizzare
l’investimento prima della data di rimborso fissata contrattualmente. La liquidità è funzione della natura degli
strumenti finanziari: essi possono essere negoziabili (hanno un grado di liquidità che dipende dalla durata residua e
dalla possibilità di negoziare gli strumenti in un mercato) e non negoziabili. È funzione in oltre del tipo di strumento e
della presenza di mercati organizzati, mercati in cui lo scambio può avvenire con costi di transazione molto bassi e
prezzi trasparenti. La presenza di meccanismi di liquidità contribuisce a ridurre i rischi per il datore di fondi, a ridurre il
premio di rendimento richiesto, e a rendere più agevole l’incrocio di scambi con i prenditori di fondi.

La trasformazione del rischio: nonostante l’informazione, la scrittura di contratti impegnativi per il debitore e
la presenza di meccanismi di liquidita, i creditori più avversi al rischio possono ritenere non finanziabile quella parte
dei prenditori di fondi che presenta livelli di rischio più elevati.
Fondamentalmente, il sistema finanziario opera una trasformazione del rischio: ciò rende possibile che il datore di
fondi trovi forme di investimento che soddisfano la sua bassa propensione al rischio; dall’altro lato, che il prenditore di
fondi sia finanziabile nonostante presenti un rischio elevato o ricorra a strumenti più rischiosi. Due meccanismi:
1.
Un intermediario finanziario si interpone tra datore e prenditore di fondi, assumendo sul proprio bilancio una
parte dei rischi del prenditore (es. raccolta fondi a breve per finanziare a lungo termine). La trasformazione del rischio
presenta due aspetti distinti: il primo è la trasformazione delle scadenze, il secondo deriva che il datore di fondi ha
come controparte un intermediario finanziario, quindi rischio molto più basso.
2.
I datori di fondi hanno la possibilità di impiegare il risparmio sotto forma di partecipazione a un portafoglio di
strumenti di diversi emittenti. In questo modo il rischio assunto è relativo a un insieme diversificato di prenditori di
fondi, quindi è più basso.
La gestione dei rischi
Il rischio è l’essenza dell’attività finanziaria. Il sistema finanziario, oltre alla funzione di trasformazione del rischio,
svolge anche una funzione di gestione dei rischi. Vi sono due componenti essenziali di questa attività: i contratti a
termini e l’attività assicurativa.
I contratti a termine comprendono una vasta gamma di applicazioni: da quelli sulle merci a quelli sugli strumenti
finanziari. La negoziabilità a termine delle merci è un modo per favorire lo sviluppo degli scambi, attraverso le
transazioni a termine (regolamento a una data futura di un prezzo fissato oggi), un operatore può gestire il rischio che
affronta in relazione alla sua posizione per quella determinata merce. Il problema è rilevante, in particolare in
relazione all’andamento futuro del prezzo della merce stessa. La gestione del rischio nel senso accennato può essere
fatta attraverso appositi contratti a termine negoziati nei mercati organizzati. Il collocamento in un mercato
organizzato ha la funzione di ridurre i rischi degli operatori e di limitare i costi di ricerca delle controparti. I mercati a
termine di strumenti finanziari sono una derivazione dei mercati delle merci: l’oggetto è il rischio di una molteplicità di
grandezze finanziarie: il cambio delle valute, il prezzo dei titoli, i tassi di interesse, gli indici di borsa.
L’attività assicurativa ha per oggetto la negoziazione dei rischi puri, i rischi cioè che si manifestano sotto forma di
perdite o danni futuri e incerti nella frequenza e nella gravità. La gestione dei rischi puri tramite una polizza
assicurativa comporta il trasferimento del rischio a un intermediario specializzato (compagnia assicurativa):
l’assicurato trasforma un evento futuro dannoso e incerto nella gravità e nella frequenza in un costo certo (premio
della polizza). La compagni è in grado di far fronte ai suoi impegni di risarcimento attraverso un processo di pooling,
assumendo cioè un numero sufficientemente alto e diversificato di rischi, per il complesso dei quali è possibile
prevedere con buona approssimazione il costo complessivo. L’attività assicurativa è un fattore di sviluppo economico
perché rende possibile sopportare il rischio di molteplici attività, favorisce quindi l’iniziativa imprenditoriale e
promuove un sistema di relazioni stabile e ordinato.
Lo sviluppo dell’economia monetaria
Dal baratto all’economia monetaria
Nel tempo si sono utilizzate forme di moneta rappresentate da beni. In epoche successive i metalli, e in particolare i
preziosi, hanno cominciato a essere coniati, conferendo così al bene una funzione specifica di mezzo di pagamento
con un valore facciale. Più tardi si sono sviluppate varie forme di circolazione cartacea. Oggi la moneta può essere
definita come l’insieme dei mezzi generalmente accettati come strumento di pagamento. La moneta è rappresentata
da tutti i beni di natura reale e finanziaria che nell’ambito di un determinato assetto istituzionale svolgono la funzione
di mezzo di scambio.
In un’economia privata gli scambi erano basati sul baratto delle merci, il baratto richiede una doppia coincidenza di
prestazioni, cioè che le due controparti offrano beni di reciproco interesse e che i beni siano divisibili. La soluzione del
problema si ha quando i beni cominciano a essere scambiati a fronte di un corrispettivo, cioè di un bene di generale
accettazione; nasce in questo modo la funzione di beni-moneta. Passaggio dal baratto allo scambio regolato da un
mezzo di pagamento: perché si accresce la possibilità di scambio, aumenta il numero dei fabbisogni soddisfatti, i tempi
e i costi dello scambio si riducono, la possibilità di scambio incentiva la produzione.
Economia monetaria si riferisce all’organizzazione di un sistema economico in cui gli scambi di beni e servizi sono
regolati attraverso la moneta.
L’evoluzione nel tempo della moneta
L’evoluzione della moneta è segnata fortemente dal passaggio dalla moneta-merce alla moneta-segno. La moneta
merce è inizialmente un bene; nel tempo questo ruolo viene svolto sempre più dai metalli preziosi. Presupposto è la
simmetria tra valore facciale e valore intrinseco che può perdersi per diverse ragioni: frodi, leghe o tosatura, cambio di
valore del conio. Tutto ciò comporta l’esigenza di effettuare verifiche e di raccogliere informazioni ai fini
dell’accertamento della qualità della moneta, il suo utilizza comporta comunque dei costi e dei rischi. Il passaggio
fondamentale verso la moneta-segno si ha allorché prende piede la possibilità di sostituire la moneta-merce con titoli
rappresentativi della stessa. Il risultato è la riduzione dei costi di informazione e trasporto e dei rischi di qualità, furti e
smarrimenti.
La sostituzione della moneta-merce con titoli rappresentativi si verifica perché i mercanti del Rinascimento trovarono
più economico e sicuro fare uso di certificati di deposito piuttosto che trasferire fisicamente la moneta stessa. Nasce
così la moneta-segno. Un altro passaggio chiave si verifica quando i banchieri si rendono conto che la circolazione di
certificati non richiede l’integrale copertura metallica, è infatti molto improbabile che tutti i depositanti si presentino
simultaneamente a ritirare il loro deposito; ciò consente di fare prestiti per un importo pari a una parte dei depositi
raccolti.
Nel tempo la funzione di emettere titoli utilizzabili come moneta diviene un monopolio degli stati: nasce cosi la
moneta cartacea con corso legale. Nasce poi quella che viene chiamata moneta bancaria, la cui diffusione ha come
presupposto la fiducia del pubblico nell’affidabilità dei debiti bancari come mezzi di pagamento. Con l’Itc moneta
elettronica.
I fattori che influenzano l’evoluzione della moneta
Il costo: gli oneri da sostenere in relazione alla produzione, utilizzo e mantenimento della moneta.
L’evoluzione è segnata dalla ricerca di mezzi con costi di produzione e transazione più bassi.
Il rischio, cioè la possibilità che un mezzo di pagamento possa generare perdite
La funzionalità, cioè la capacità del mezzo monetario di rendere un servizio in termini di tempo di esecuzione
dello scambio, affidabilità, informazione.
Le funzioni della moneta
Moneta come mezzo di scambio
Moneta come unità di conto, cioè l’unità di misurazione del valore di attività reali e finanziarie e degli scambi
Moneta come riserva di valore, possibilità di trasferire il valore nel tempo e di poterla utilizzare per l’acquisto
di beni e servizi.
Che cos’è oggi la moneta
M1: in senso più restrittivo, la definizione di moneta comprende il circolante, cioè la moneta legale (banconote e
moneta metallica) detenuta dal pubblico, e i depositi monetari, cioè i depositi che per la natura del contratto
consentono un utilizzo come mezzo di pagamento (assegni).
M2: il secondo aggregato monetario rappresenta la somma di M 1 e dei depositi con scadenza a 2 anni. La componente
aggiunta è rappresentata da strumenti finanziari (compresi i certificati di deposito) che non consento al titolare un
diretto utilizzo come mezzo di pagamento.
M3: rappresenta un aggregato ancora più esteso, fino a ricomprendere componenti quali i titoli di mercato monetario,
le quote di fondi comuni monetari, le obbligazioni con durata fino a 2 anni.
I circuiti reali e i circuiti monetari
Ogni scambio si caratterizza per due flussi di segno opposto: quello dei beni/servizi dal venditore al compratore e
quello della moneta dal compratore al venditore. Produttore e utilizzatori sono collegati da un duplice circuito, uno di
natura reale e uno di natura monetaria:
Circuito dei beni/servizi e dei fattori produttivi (circuito reale)
Circuito dei prezzi (ricavi) e delle remunerazioni del lavoro e del capitale (circuito monetario).
In più si osserva un’ulteriore distinzione tra:
Circuito dei beni/servizi, costituito dai prodotti che vengono venduti agli utilizzatori finali (circuito reale) e dai
ricavi corrispondenti sotto forma di prezzo pagato ai produttori (flusso monetario)
Circuito dei fattori produttivi, rappresentato dalle prestazioni di lavoro o dagli apporti di capitale (flusso reale)
e dai redditi pagati come compenso delle prestazioni stesse (flusso monetario)
I valori risultanti da questi due circuiti sono equivalenti: il valore dei beni/servizi prodotti e venduti corrisponde alla
somma delle remunerazioni che sono state pagate per la loro produzione.
Il prodotto finale (Y) può essere visto come somma del valore dei beni e dei servizi destinati al consumo (C) e del
valore dei beni di investimento utilizzati nelle attività produttive (I): Y = C + I (formula del PIL: prodotto interno lordo,
cioè un aggregato rappresentativo della produzione finale del paese e riferibile alle unità produttive operanti
all’interno del paese stesso).
Il reddito nazionale equivalente può essere visto nella sua ripartizione tra spesa per consumi (C) e quoti di reddito non
consumati, cioè risparmio (S): Y = C + S.
Il risparmio accumulato nel sistema è alla base delle spese di investimento. In un’economia chiusa deve essere S = I,
vale a dire che la formazione del capitale reale (I) è vincolata all’accumulazione di risparmio e che la produzione deve
essere sostenuta, oltre che dalla domanda per consumi (C), da una domanda per investimenti (I) che corrisponde al
pieno utilizzo del risparmio (S). In un’economia aperta la formazione del capitale si raccorda con l’accumulazione di
risparmio e con il saldo degli scambi del paese nei confronti dell’estero. Ciò significa che l’economia potrebbe avere un
surplus di investimenti rispetto al risparmio disponibile, il tal caso la differenza sarà finanziata con risorse risparmiate
in altri paesi (saldo negativo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: import > export).
La struttura finanziaria dell’economia
Il risparmio e il patrimonio delle unità economiche
Un soggetto in un determinato intervallo di tempo presenta un equilibrio economico espresso dalla differenza tra
ricavi e costi. Tale differenza, se positiva, costituisce il risparmio. Per le famiglie il risparmio è la differenza tra i redditi
percepiti e le spese per consumi; se si tratta di un’impresa, è la differenza tra ricavi e costi d’esercizio; se si tratta di un
ente della P.A., il risparmio misura la differnza fra entrate e uscite correnti.
Il reddito si distribuisce tra spesa per consumi e risparmio (Y=C+S). Il patrimonio netto è la voce di collegamento al
conto economico, in quanto in essa si accumulano i risultati d’esercizio, cioè il saldo risparmio.
La variabile stock e la variabile flusso
Il risparmio è una variabile flusso, cioè misura la dimensione di un fenomeno nel corso di un determinato intervallo di
tempo. Il patrimonio è una variabile stock, cioè la misura di un fenomeno in un dato momento. Questi concetti
valgono per tutte e grandezze economiche.
Attività e passività finanziarie
Strumento finanziario: contratto che prevede prestazioni di natura patrimoniale e che intercorre tra un emittente
(debitore) e un investitore (creditore). Per l’investitore, tale strumento può essere visto come un diritto patrimoniale
(insieme ad altri diritti), esso assume quindi la natura di attività finanziaria. L’investitore vanta un diritto nei confronti
del reddito e della ricchezza presenti e futuri dell’emittente dello strumento finanziario, il quale, a sua volta, ha un
impegno a soddisfare questo diritto.
Il concetto di passività finanziaria è speculare: lo stesso strumento finanziario, visto dalla parte dell’emittente
rappresenta un impegno patrimoniale, cioè appunto una passività finanziara.
Distinte dalle attività finanziarie sono le attività reali: sono beni aventi un valore intrinseco in quanto possono
produrre servizi di utilità reale e immediata per il possessore. Le attività finanziarie non hanno un valore intrinseco,
generano redditi per il possessore ma per l’economia tali redditi non corrispondo a produzione di beni/servizi.
Il concetto di saldo finanziario
I + variazione Af = variazione Pf -+ S
Il saldo finanziario di una unità economica sarà definito come divario tra risparmio e investimento: SF=S-I.
In questo modo si vuole misurare il surplus o il deficit di risorse a fronte dei fabbisogni per investimenti
(rispettivamente SF > 0, SF < 0). Il caso SF > 0 rappresenta quelle che saranno chiamate unità in surplus (riequilibrio
attraverso nuovi investimenti), il caso SF < 0 le unità in deficit (ricorso a nuove passività finanziarie).
SF = variazione Af – variazione Pf
Il SF misura quindi l’equilibrio tra disponibilità di risorse (risparmio) e utilizzo di risorse (investimenti reali).
I settori istituzionali
Sono normalmente indicate come settori istituzionali del’economia:
Società non finanziarie: società e quasi-società (società di persone, società semplici, imprese individuali con
più di 5 addetti) private e pubbliche.
Società finanziarie: comprendo i soggetti che costituiscono il sistema finanziario (intermediari finanziari, le
autorità di controllo come Banca d’Italia, CONSOB e ISVAP)
Amministrazioni pubbliche
Famiglie e istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie
Resto del mondo
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La struttura dei saldi finanziari settoriali
Le famiglie rappresentano il settore in surplus per eccellenza, mentre imprese e amministrazioni pubbliche sono
settori in deficit; le risorse finanziarie sono quindi trasferite dalle prime alle ultime. Il saldo del resto del mondo indica,
se negativo, un deflusso netto di risparmio dell’economia del paese verso l’estero; se positivo, un afflusso netto.
Nel tempo i SF si riducono progressivamente: le famiglie diminuiscono l’accumulazione del risparmio, le
imprese aumentano la capacità di autofinanziamento, le amministrazioni pubbliche riducono il deficit di bilancio.
SF decrescenti corrispondono a un minore fabbisogno di trasferimento di risorse finanziarie dai settori in
surplus a quelli in deficit.
I limiti nel significato dei saldi finanziari settoriali
Descrivono l’articolazione del processo di risparmio e di investimento fra grandi comparti dell’economia. Hanno
diversi limiti, tra cui il fatto che la rappresentazione dei SF settoriali è basata su dati ex post, quindi potrebbero esserci
dei divari significanti rispetto al fabbisogno ex ante (ad es. le unità finali possono cercare strumenti finanziari che il
mercato non offre o vi sono divergenze di aspettative). Se si verifica qualcosa del genere, le conseguenze sono:
Effetto di quantità: alcuni operatori modificano le preferenze ex ante
Effetto composizione: il mix di AF e/o delle Pf degli operatori che non trovano gli strumenti desiderati viene
cambiato.
Il sistema finanziario, attraverso la capacità di soddisfare la domanda delle unità finali, svolge un ruolo chiave per le
performance dell’economia reale.
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I parametri di valutazione della struttura finanziaria dell’economia
La struttura finanziaria dell’economia è riassumibile nell’insieme di elementi che descrivono il comportamento
finanziario delle unità economiche finali e nell’insieme dei caratteri strutturali e funzionali del sistema economico.
Inoltre:
Il grado di separazione tra funzione di risparmio e funzione di investimento (∑ |SFi / PIL|): la sommatoria in valore
assoluto dei SF dei diversi settori dell’economia esprime la misura della dissociazione delle due funzioni: dato il
risparmio nazionale, la sua concentrazione presso le unità che non investono comporta una funzione di trasferimento
più ampia.
Il rapporto di interrelazione finanziaria (Af/Ar): indica il grado di sviluppo dell’economia finanziaria e sottintende
l’ipotesi di una relazione significativa tra sviluppo economico e sviluppo finanziario.
Il rapporto di intermediazione finanziaria (Af intermediate / Af): misura l’importanza relativa delle attività finanziarie
emesse da intermediari, rispetto al totale delle attività finanziarie. Segnala quindi il peso degli intermediari nei circuiti
finanziari.
La struttura finanziaria dell’economia e l’intermediazione finanziaria
I fattori determinanti del livello dei saldi finanziari
Il livello dei saldi è alla base del fabbisogno di trasferimento delle risorse finanziarie in un sistema economico; quindi è
importante per capire il modo di operare del sistema finanziario e il modello di finanziamento dell’economia. In
termini generali, si può assumere che ogni settore occupi una posizione che si colloca fra due estremi:
Equilibrio finanziario: con S = I e quindi SF = 0
Divergenza finanziaria: con S = 0 e quindi SF = I, oppure con I = 0 e SF = S.
La dimensione dei saldi settoriali è tanto più elevata quanto più ci si avvicina alla situazione del secondo tipo. A sua
volta, ciò dipende dalle condizioni strutturali della distribuzione del reddito tra settori e da altri fattori istituzionali.
La dimensione dei saldi finanziari e il fabbisogno di trasferimento
Una situazione di divergenza finanziaria sottintende quindi una specializzazione settoriale: alcuni settori si
caratterizzano per la funzione di accumulazione del risparmio, altri per la funzione di investimento: si verifica così
quella che viene chiama dissociazione risparmio-investimento: indica una situazione per cui chi ha le risorse non le
impiega direttamente in investimenti reali, chi fa gli investimenti non ha le risorse sufficienti per finanziarli. Si tratta di
metter in relazione le due relazioni, nasce così la condizione fondamentale per lo sviluppo dei circuiti finanziari fra
unità in surplus e unità in deficit e cioè un processo allocativo efficiente. La funzione allocativa è una delle ragion
d’essere del sistema finanziario.
Altri fattori esplicativi del volume di attività finanziaria
Anche se ci troviamo in condizione di equilibrio finanziario in un determinato settore vi sarebbe comunque bisogno di
trasferimento per diverse ragioni:
Le attività finanziarie hanno, oltre a funzioni di finanziamento/investimento anche una funzione monetaria e
anche funzioni di gestione di rischi;
SF = 0 indica un equilibrio del settore; naturalmente nulla ci dice circa la distribuzione dei saldi delle singole
unità che compongono il settore. A livello di infrasettore vi può essere un fabbisogno di trasferimento
importante, che nel dato settore scompare per la compensazione tra posizioni negative e positive;
Un’unità economica con SF = 0 può avere ugualmente fabbisogno di trasferimento;
Inoltre un’unità economica in equilibrio può avere un fabbisogno di servizio finanziario per gestire lo stock
(ricomposizione di portafoglio).
Il fabbisogno di trasformazione delle risorse finanziarie
Cosa accade quanto i portafogli di Af e Pf dei settori hanno composizioni fra loro incompatibili?
Se per esempio le Af preferite dalle unità in surplus sono prevalentemente a breve termine, mentre la domanda di
fondi (Pf) dei prenditori è prevalentemente a lunga scadenza, come possono chiudere i circuiti di trasferimento delle
risorse? In queste condizioni, il trasferimento delle risorse non può evidentemente avvenire in modo diretto con
l’emissione di uno strumento finanziario da parte delle imprese da collocare presso le famiglie. I circuiti finanziari
devono essere organizzati in modo da rendere possibile il finanziamento a lungo termine con una posizione di credito
iniziale a breve. In altri termini avviene quella che è definita come trasformazione delle risorse finanziarie, che fa
riferimento a diverse funzioni dei sistemi finanziari. La prima è rappresentata dalla trasformazione delle scadenze e
serve per risolvere l’incompatibilità tra preferenze delle unità in surplus e di quelle in deficit. La seconda è la
trasformazione dei rischi, nel senso che non tutte le unità in surplus sono disposte a investire direttamente in
strumenti finanziari emessi dalle unità in deficit (rischio dell’emittente, rischi alti); la presenza di intermediari
finanziari riduce questa difficoltà, e riduce i rischi.
I circuiti diretti e i circuiti indiretti
Il trasferimento delle risorse dalle unità in surplus alle unità in deficit può avvenire:
Attraverso un circuito finanziario diretto, cioè attraverso strumenti finanziari che rappresentano un rapporto
contrattuale tra l’investitore e l’emittente;
Attraverso un circuito indiretto, cioè l’inserimento, tra le unità finali, di uno o più intermediari.
I circuiti di trasferimento diretti sono basati su strumenti finanziari di mercato che contengono rapporti contrattuali
diretti tra datori e prenditori di fondi. Il circuito di trasferimento indiretto è basato sull’emissione di due o più
strumenti finanziari: uno tra unità in surplus e intermediario e un altro tra intermediario e unità in deficit. Gli
intermediari sono un soggetto dei rapporti contrattuali che assumono di volta in volta la posizione di debitore e del
creditore. Gli intermediari possono svolgere parte della loro attività di provvista e di impiego con strumenti finanziari
negoziati nei mercati e possono essere coinvolti nel funzionamento tecnico dei mercati stessi, cioè nei processi di
collocamento, negoziazione e pricing.
Il sistema dei controlli sul sistema finanziario: fondamenti, assetti istituzionali e obiettivi
I fondamenti dei controlli sul sistema finanziario
Il sistema finanziario è una parte dell’economia sottoposta a un insieme articolato di controlli da parte dei pubblici
poteri. Le ragioni fondamentali del controllo pubblico sul sistema finanziario sono riconducibili ai quattro punti
seguenti:
1. La funzione monetaria e il governo monetario dell’economia: la parte del sistema finanziario rappresentata
dalle banche è alla base dell’offerta di moneta. La moneta cioè è costituita oltre che dalla moneta legale
(emessa dalla Banca centrale) anche dalla moneta scritturale (moneta bancaria), vale a dire da speciali forme
di debito delle banche che sono comunemente accettate come mezzo di pagamento. Vi è un interesse
generale al buon funzionamento del sistema dei pagamenti, sia per ragioni di sicurezza e stabilità, sia per
ragioni di efficienza. Vi è interesse generale nel poter regolare la quantità di moneta a disposizione
dell’economia (equilibrio domanda/offerta) e/o governare altre grandezze chiave della condotta della politica
monetaria.
2. La tutela del risparmio e la protezione degli investitori: il sistema finanziario svolge una seconda funzione:
mobilitazione e trasferimento del risparmio finanziario dalle unità in surplus verso quelle in deficit. Vi è un
interesse generale nel fare in modo che il risparmiatore rafforzi la propria fiducia nei confronti dei prenditori
di fondi, fra essi in primis gli intermediari finanziari. È opportuno fissare regole cui devono sottostare i
soggetti che offrono strumenti di investimento ai risparmiatori, in modo da rafforzare l’affidabilità dei
debitori.
3. Le esternalità negative: considerando le banche, la crisi bancaria può provocare esternalità negative per il
sistema economico, sotto forma di contagio verso altre istituzioni finanziarie, sfiducia e panico dei
depositanti, corsa agli sportelli per il ritiro dei depositi. Una crisi bancaria o una crisi finanziaria possono
determinare instabilità nella stessa economia reale.
4. L’asimmetria informativa e il fallimento del mercato: il rapporto tra creditore e debitore è intrinsecamente
caratterizzato da un difetto di informazione a danno del creditore. Ne deriva un limite all’efficace selezione
dei prenditori di fondi; in particolare, l’informazione non è sufficiente a stabilire una precisa graduatoria di
rischio e, quindi a definire il prezzo del credito in funzione del rischio. I prezzi tendono verso un livello medio
che non discrimina in base alla qualità del prenditore: i migliori pagano prezzi troppo altri, la fascia di qualità
bassa paga un premio al rischio insufficiente. Se così è, i prenditori di qualità migliore tendono a rinunciare ai
fondi, perché non vogliono pagare un premio per il rischio ingiustificato. Di conseguenza, la qualità media dei
prenditori di fondi si ridurrà; il premio al rischio medio aumenterà ancora, inducendo un’ulteriore caduta di
domanda da parte del segmento di buona qualità. Si arriva a dimostrare che le carenze informative
determinano il fallimento del mercato. Lo scambio di beni come gli strumenti finanziari, per i quali il prezzo è
strettamente legato all’informazione, non può raggiungere un equilibrio se è lasciato alle libere forze di
mercato.
L’assetto istituzionale delle autorità di controllo
Interventi ai diversi livelli dei poteri dello Stato:
Legislativo: per quanto attiene alla normativa primaria volta a creare un quadro di regole base per tutte le
aree componenti il sistema finanziario: bancaria, mobiliare, assicurativa.
Esecutivo: con riguardo ai poteri di intervento attribuiti al Governo o a ministri che si traducono in politiche
di indirizzo, o in normazione secondaria.
Amministrativo: rappresentato dalle autorità di controllo che operano sul terreno tecnico attraverso
politiche e strumenti di regolamentazione e vigilanza.
La Banca centrale è l’istituzione cui spetta la tutela del valore della moneta.
L’assetto istituzionale del sistema finanziario italiano prevede la presenza di diverse autorità di controllo:
La Banca d’Italia: concentra diverse funzioni che riguardano l’attuazione della politica monetaria in via
sussidiaria rispetto alla BCE, la vigilanza creditizia e finanziaria, la tutela nella concorrenza nel mercato del
credito.
La CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa): ha il compito di controllare il settore
mobiliare, i mercati, l’attività di intermediazione mobiliare, gli obblighi informativi delle società quotate e le
offerte al pubblico di strumenti finanziari, la nascita di nuovi mercati, il comportamento dei soggetti vigilati.
L’ISVAP (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo): esercita il controllo del
mercato e delle imprese di assicurazione attraverso le sue funzioni di regolamentazione, vigilanza e
autorizzazione.
La COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione): è chiamata ad assicurare la funzionalità del sistema
di previdenza complementare e vigila sulla corretta e trasparente amministrazione e gestione dei fondi.
L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM): a essa compete la sorveglianza e la repressione
dei comportamenti (intese, posizioni dominanti, concentrazioni) che mettono in discussione la libertà di
concorrenza.
Esigenze di integrazione e di coordinamento poiché i confini delle rispettive competenze non sono netti.
Gli obiettivi del controllo del sistema finanziario
Gli obiettivi del controllo del sistema finanziario si articolano nei due grandi ambiti degli obiettivi della politica
monetaria e degli obiettivi della regolamentazione e vigilanza. I secondi sono identificati negli obiettivi di stabilità e di
efficienza del sistema finanziario. La stabilità risponde alle esigenze di tutela del risparmiatore, di funzionalità del
sistema dei pagamenti e di efficacia del governo monetario dell’economia. Efficienza è intesa nella duplice accezione
di efficienza operativa e allocativa. Nel primo aspetto, si fa riferimento alla minimizzazione del costo per l’economia
reale dell’attività finanziaria. Con il termine di efficienza allocativa si indica la qualità del processo di distribuzione
delle risorse verso gli impieghi alternativi. In questo caso il grado di efficienza corrisponde alla capacità di selezionare
gli impieghi secondo una priorità data dal livello della redditività attesa. Gli obiettivi di stabilità ed efficienza sono
interdipendenti. In un aspetto, si tratta di un trade-off: massimizzare i risultati da un lato (stabilità) comporta costi
crescenti dall’altro (efficienza). Nel lungo periodo, il rafforzamento dell’efficienza degli intermediari finanziari è
condizione necessaria per accrescerne la capacità competitiva e quindi la stabilità.
Le autorità di controllo del sistema finanziario
La Banca d’Italia
Nasce nel 1893 come risultato della fusione di: Banca Nazionale del Regno, Banca Nazionale Toscana e Banca Toscana
di Credito. Ha quattro principali aree funzionali:
Come banca centrale, la Banca d’Italia (parte del SEBC e dell’Eurosistema) concorre a definire gli indirizzi della
politica monetaria attraverso la partecipazione del Governatore al Consiglio Direttivo della Banca centrale
europea e ad attuarne l’esecuzione in base al principio di sussidiarietà.
Come organo di vigilanza, l’attività della Banca d’Italia si esercita nei confronti delle banche e degli
intermediari finanziari, secondo i principi della sana e prudente gestione e con l’obiettivo di rafforzare le
condizioni di stabilità e di efficienza del sistema finanziario (con CONSOB e ISVAP).
Come organo di vigilanza, la Banca d’Italia esercita la sorveglianza del sistema dei pagamenti.
La CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa)
Istituita nel 1974 con il compito di controllare il mercato mobiliare, svolge un’attività orientata alla tutela degli
investitori e al miglioramento dell’efficienza e della trasparenza del mercato. La sua attività si articola su diverse
modalità e poteri di intervento:
regolamentazione: ha competenze in merito alla prestazione dei servizi di investimento da parte degli
intermediari, agli obblighi informativi delle società quotate e alle offerte al pubblico di strumenti finanziari;
-
autorizzazione: i suoi poteri riguardano la pubblicazione dei prospetti e dei documenti relativi alle offerte
pubbliche, l’istituzione di nuovi mercati regolamentati, l’esercizio delle attività di gestione accentrata degli
strumenti finanziari;
vigilanza: funzionamento ordinato e trasparente delle negoziazioni, trasparenza e correttezza di
comportamento degli intermediari;
controllo: sulle informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi promuove offerte al pubblico di
strumenti finanziari;
monitoraggio: riguarda le eventuali anomalie nell’andamento delle negoziazioni, soprattutto in relazione
all’eventuale abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e all’aggiotaggio.
le grandi aree dell’intervento della CONSOB:
la sollecitazione all’investimento
gli obblighi di trasparenza degli emittenti di strumenti finanziari quotati.
i mercati regolamentati e i soggetti che li gestiscono.
L’ISVAP (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo
Nasce con la legge 576/1982. Le sue funzioni si concentrano nella vigilanza del settore assicurativo. Gli scopi
dell’attività sono di favorire la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, di sviluppare comportamenti
corretti e trasparenti e di sviluppare l’efficienza, la stabilità e la competitività del sistema assicurativo.
La COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione)
È prevista dal D.lgs. 124/1993. Alla commissione sono riservate le seguenti funzioni:
vigilanza: intesa sia come autorizzazione dei fondi pensione a esercitare l’attività, sia come monitoraggio
della correttezza della gestione dei fondi e della loro adeguatezza organizzativa;
analisi e ricerca: analisi e previsioni sull’andamento delle attività previdenziali utili sia a fini di conoscenza
generale, sia come supporto per le proposte di modifica legislativa e regolamentare.
L’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato)
Istituita nel ‘90 con il compito di vigliare su tre aspetti rilevanti del funzionamento delle regole di mercato:
le intese restrittive della concorrenza;
gli abusi di posizione dominante;
le operazioni di concentrazione tra imprese che comportino il pericolo di una riduzione della concorrenza.
Gli obiettivi sottostanti sono due: garantire condizioni di libertà di impresa e di accesso al mercato e di parti
opportunità di competizione; tutelare i consumatori facendo in modo che la libera concorrenza si traduca in prezzi e
qualità dei prodotti più favorevoli.
La banca centrale e la politica monetaria
Alcune considerazione generali
La politica monetaria rientra nell’ambito più generale della politica economica, cioè nel sistema di strumenti di
governo dell’economia avente come obiettivi finali: la crescita del reddito, l’occupazione, la stabilità interna della
moneta (livello dei prezzi), l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Si potrebbe dire che la politica monetaria si
riassume nella regolazione della quantità di moneta e del livello dei tassi di interesse per raggiungere obiettivi di
politica economica. Gli interventi della politica monetaria sono particolarmente rilevanti ai fini della stabilità della
moneta. Ragioni per le quali il tema della politica monetaria è rilevante per il sistema finanziario:
obietti di stabilità del sistema finanziario.
Il sistema finanziario è un canale di trasmissione della politica monetaria.
La politica monetaria si svolge all’interno di un contesto più generale, che è quello della struttura finanziaria
dell’economia, e ne viene condizionata.
La Banca centrale europea, l’Eurosistema e il Sistema europeo di banche centrali.
Con la Terza fase dell’Unione economica e monetaria, iniziata il 1° gennaio 1999, le funzioni di politica monetaria sono
passate dalle Banche centrali nazionali alla Banca centrale europea e al Sistema europeo di Banche centrali (SEBC). I
paesi partecipanti all’area dell’euro rinunciano alla sovranità monetaria nazionale e la trasferiscono a istituzioni
sovranazionali. Ciò è avvenuto prima con la fissazione dei tassi di cambio irrevocabilmente fissi tra monete nazionali e
con l’adozione poi della moneta unica (euro). Passaggio delle competenze della politica monetaria dalle banche
centrali nazionali alle istituzioni europee. Queste sono organizzate in tre entità:
La Banca centrale europea rappresenta il vertice istituzionale e operativo del sistema; gli organi decisionali
della BCE governano il SEBC e l’Eurosistema.
Il Sistema europeo di Banche centrali è composto dalla BCE e dalle BCN dei paesi che facevano parte dell’UE.
L’Eurosistema è composto dalla BCE e dalle BCN dei paesi che hanno adottato l’euro.
La distinzione tra Eurosistema e SEBC deriva dal fatto che la gestione della politica monetaria comune si applica solo ai
paesi che hanno adottato la moneta unica.
Dal punto di vista organizzativo, il SEBC opera sotto la guida di tre organi decisionali:
Il Consiglio direttivo: organo decisionale più importante. Le sue competenze riguardano le decisioni
fondamentali della politica monetaria: definizione indirizzi, direttive per l’implementazione e la supervisione
dell’attuazione della politica monetaria.
Il Comitato esecutivo: ha il compito di dare attuazione alle decisioni di indirizzo di politica monetaria
formulati dal Consiglio: esso rappresenta l’organo di gestione ordinaria della BCE.
Il Consiglio generale: la sua funzione è limitata al coordinamento tra autorità monetarie nazionali soprattutto
verso i paesi in deroga.
I compiti istituzionali del SEBC sono stabiliti dal Trattato di Maastricht in quattro punti:
definire e attuare la politica monetaria della comunità;
svolgere le operazioni sui cambi;
detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta degli Stati membri;
promuovere e regolare il funzionamento dei sistemi di pagamento.
Gli obiettivi del Sistema europeo di Banche centrali
Il trattato di Maastricht stabilisce in modo netto che l’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità
dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo di stabilità, il SEBC può operare per il sostenimento delle politiche economiche
generali della Comunità. Queste sono delineate nell’articolo 2 dove si ricorda che la Comunità ha il compito di
promuovere: uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche; una crescita sostenibile, non
inflazionistica, che rispetti l’ambiente; un elevato grado di convergenza dei risultati economici; un elevato livello di
occupazione e di protezione sociale; il miglioramento dei tenero e della qualità della vita, la coesione economica e
sociale e la solidarietà tra stati membri.
I meccanismi di trasmissione della politica monetaria
L’obiettivo da raggiungere è la stabilità dei prezzi. In che modo la politica monetaria influenza l’economia e i prezzi? Il
punto di partenza è rappresentato da una variazione (rialzo) dei tassi ufficiali della BCE sulle operazione di
rifinanziamento del sistema bancario. Per le banche diventa più costoso procurarsi le riserve di base monetaria ed
esse trasferiranno il maggior costo sul credito sotto forma di tassi attivi più elevati; le imprese e gli altri soggetti
debitori subiranno così l’impatto dell’azione di politica monetaria. La decisione della BCE ha effetti di annuncio
(influenza sulle aspettative della futura politica economica) e questo, assieme alla variazione dei tassi di mercato
monetario, influenzerà gli altri tassi di interesse a m/l termine.
È importante che l’offerta di moneta sia in equilibrio con il fabbisogno dei mezzi di pagamento corrispondente ai beni
disponibili e ai prezzi: un eccesso di offerta di moneta porterebbe a una domanda insoddisfatta di beni e quindi a un
rialzo dei prezzi; una carenza di offerta avrebbe invece effetti restrittivi sull’attività economica. Dal punto di vista
operativo la capacità della BCE di attuare il suo disegno di politica monetaria si basa sulla determinazione del livello
dei tassi a breve, livello che a sua volta è strettamente legato alla liquidità del mercato monetario.
Il controllo della quantità di moneta
L’offerta di moneta è legata alla quantità di base monetaria che la Banca centrale mette in circolazione e alla relazione
che intercorre tra la stessa base monetaria e le altre componenti dell’offerta di moneta, cioè i depositi bancari.
L’offerta di moneta è direttamente proporzionale alla base monetaria e a un termine che dipende dal livello della
propensione di liquidità del pubblico e delle banche. Questo termine è comunemente denominato moltiplicatore e
rappresenta un elemento importante negli interventi della Banca centrale ai fini del controllo dell’offerta di moneta.
Dato cioè il moltiplicatore, si può stimare quale debba essere l’intervento sulla base monetaria per raggiungere un
determinato risultato in termini di moneta complessiva.
Gli strumenti di controllo dell’offerta di base monetaria
Il modello del moltiplicatore mostra la rilevanza del controllo della base monetaria ai fini della regolazione dell’offerta
di moneta secondo gli obietti fissati di politica monetaria. Si tratta ora di vedere in che modo la BCE può attuare il
controllo stesso. La BCE opera attraverso due categorie di operazioni:
le operazioni di mercato aperto: si tratta di operazioni di pronti/termine in cui la Banca è acquirente di titoli
a pronti quando vuole immettere base monetaria e venditore a pronti quanto vuole ridurre la base monetaria
disponibile al sistema bancario. Dal punto di vista tecnico si distinguono: 1. Operazioni di rifinanziamento
principale, con durata massima una settimana, frequenza settimanale e modalità competitiva (asta standard);
2. Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, con durata di 3 mesi, frequenza mensile e modalità
competitiva; 3. Operazioni di fine tuning, con durata e frequenza standardizzate, sono svolte per attenuare gli
effetti di squilibri di liquidità imprevisti sui tassi di interesse; 4. Operazioni strutturali, sono effettuate
mediante l’emissione di certificati di debito.
-
Operazioni su iniziativa delle controparti: si tratta di finanziamento marginale o di deposito marginale di
durata overnight (24ore) e con frequenza discrezionale delle controparti. Hanno lo scopo di consentire alle
singole banche di risolvere momentanee carenze/eccessi di base monetaria, senza influenzare in modo
significativo il volume complessivo ed evitando che gli squilibri si traducano in eccessiva volatilità dei tassi
interbancari.
La domanda di base monetaria del sistema bancario
Le banche sono al centro del sistema dei pagamenti, cioè di una complessa rete di transazioni monetarie che servono
al regolamento degli scambi sia dell’economia reale che finanziaria. La partecipazione al sistema dei pagamenti
comporta quindi la gestione di flussi di incasso e di pagamento cui corrispondo entrate e uscite di base monetaria. È
comprensibile che ogni banca debba garantire sistematicamente la propria capacità di far fronte a tutte le richieste di
pagamento delle controparti; sarà quindi necessario detenere scorte monetarie adeguate rispetto alle previsioni di
fabbisogno, e cioè ai deficit di liquidità generati da temporanei surplus di uscite sulle entrate.
L’altra parte della domanda di base monetaria che le banche manifestano è data dalla riserva di liquidità obbligatoria:
si tratta di un vincolo di riserva minima che le banche devono detenere presso la Banca centrale in una determinata
percentuale (2%) delle passività con durata inferiore a 2 anni. Riserva obbligatoria: funzione di tutela dei depositanti,
controllo monetario, strumento di politica finanziaria; ora nel SEBC serve per creare una domanda stabile di riserve
bancarie.
La regolamentazione e la vigilanza del sistema finanziario
La vigilanza strutturale
Si tratta di un approccio alla regolamentazione e al controllo del sistema finanziario che ha come campo di intervento
la struttura del mercato. Si propone di determinare la configurazione (numero di imprese, quote di mercato, campo di
attività di ogni impresa, assetto di controllo del capitale proprio) più idonea a perseguire gli obiettivi propri della
vigilanza. Regolando la struttura del mercato si può influenzare il livello di efficienza del sistema e il suo trade-off
rispetto alla stabilità (es. nella struttura dei mercati ci sono elementi da cui dipende la condotta concorrenziale, la
concorrenza stimola la ricerca di migliori performance che è un modo in cui può essere rappresentato l’obiettivo di
efficienza della vigilanza, però l’accentuata concorrenza favorisce l’instabilità del mercato nel breve periodo).
È possibile osservare gli interventi sulla struttura del mercato anche come funzionali a generare la migliore
combinazione possibile tra: dimensione e mix produttivo dei singoli intermediari, condizioni da cui deriva la possibilità
di ottimizzazione rispetto alla funzione di costo; il grado di soddisfazione più elevato per gli utilizzatori dei servizi
finanziari. La vigilanza strutturale si propone di regolare la struttura dell’offerta in un determinato mercato con lo
scopo di disegnare una configurazione che massimizzi la dialettica competitiva (con il vincolo di non superare un
accettabile livello di instabilità). Gli strumenti di intervento toccano le seguenti aree: l’entrata nel mercato; l’assetto
organizzativo degli intermediari operanti; la gamma delle attività che ogni categoria di intermediari può svolgere; i
requisiti degli azionisti degli intermediari e l’assetto di controllo societario; gli interventi amministrativi sulle quantità e
sui prezzi degli intermediari.
La vigilanza prudenziale
Si tratta di strumenti di vigilanza che assumono la forma di criteri di gestione cui gli intermediari devono attenersi e
che sono finalizzati al controllo e alla delimitazione dei rischi. Gli interventi di natura prudenziale evitano di
condizionare direttamente il mercato (a differenza degli strumenti strutturali): esprimono delle regole del gioco che
riguardano come si opera nel mercato stesso; non intervengono direttamente sulla struttura del mercato; sono regole
oggettive e neutrali tra i diversi soggetti dell’offerta; sono trasparenti e stabili ex ante così da guidare in forma di
incentivo e/o di vincolo gli intermediari verso equilibri economico-finanziari-patrimoniali desiderabili. I principali
strumenti di vigilanza prudenziale comprendo i seguenti:
Le regole che si applicano in materia di struttura di bilancio e che rientrano in una più generale finalità di
controllo e limitazione dei rischi assunti nella gestione.
L’adeguatezza organizzativa e dei controlli interni.
I requisiti di onorabilità, di competenza e di esperienza che devono possedere i soggetti che assumono
posizioni nell’ambito degli organi amministrativi e di controllo o che rivestono responsabilità di direzione.
La vigilanza informativa
Si tratta di un ambito della vigilanza che comprende tutti gli strumenti di comunicazione e informazione che possono
contribuire a ridurre le asimmetrie informative tipiche dell’attività finanziaria. Vi sono diversi ambiti di applicazione:
Le operazioni finanziarie (caratteristiche tecniche)
Gli emittenti i titoli
Gli intermediari che eventualmente intervengono nei confronti di emittenti e investitori, e nei confronti delle
autorità di vigilanza.
-
Gli organismi responsabili del funzionamento e della gestione dei mercati mobiliari chiamati a informare il
mercato circa l’andamento tecnico e le autorità di vigilanza sul mercato stesso.
Il risultato finale atteso da questa serie di interventi di vigilanza informativa si colloca nell’area della trasparenza e
della correttezza informativa per il mercato e per gli organismi di controllo.
Requisito dell’efficienza del mercato: prevede che la quotazione degli strumenti finanziari rifletta in modo completo
tutta l’informazione disponibile. Adeverse selection: asimmetria informativa (gli investitori hanno meno informazioni
dei soggetti finanziati)  incapacità di valutazione corretta del prezzo delle attività  aumento dei tassi  rinuncia al
finanziamento per discriminazione di rischio  fallimento del mercato.
La vigilanza protettiva
Si fa riferimento in questo caso a strumenti di vigilanza applicati con finalità di gestione delle situazioni di crisi degli
intermediari. L’importanza della gestione accurata delle situazioni di crisi si ricollega poi al problema delle esternalità:
una situazione di crisi del singolo intermediario, attraverso fenomeni di contagio, può estendersi a una vasta area del
sistema finanziario trasformando un problema circoscritto in una condizione di instabilità sistemica. Vi sono due
principali ambiti di intervento:
Quelli destinati alla prevenzione, cioè a evitare che situazioni aziendali di temporanea difficoltà possano
degenerare in uno stato di crisi grave, non recuperabile;
Quelli che invece sono attivati allorché la crisi si rivela irreversibile e l’unica soluzione è quella della messa in
liquidazione dell’intermediario.
A riguardo del primo ambito di intervento gli strumenti utilizzati sono: 1. i flussi di documentazione che intercorrono
tra intermediari e organo di vigilanza, che costituiscono la base di valutazione dello stato di salute degli intermediari e
su cui si possono innestare tecniche di allarme preventivo; 2. le situazioni di illiquidità delle banche, che possono
essere affrontate attraverso gli interventi di rifinanziamento della Banca centrale; 3. le situazioni di difficoltà più seria
che possono dare luogo a provvedimenti come l’amministrazione straordinaria.
Le crisi irreversibili che conducono alla liquidazione dell’intermediario prevedono l’intervento dei fondi di garanzia: si
tratta di strumenti che si propongono di tutelare i creditori degli intermediari messi in liquidazione facendo così fronte
a due esigenze: 1. la tutela del risparmiatore; 2. la limitazione del rischio sistemico, si assume cioè che i risparmiatori
non perdano la fiducia nel sistema proprio perché possono contare sulla garanzia del recupero del loro credito
(presupposto per evitare fenomeni di contagio: es. ondata di ritiro dei depositi).
La nozione di ordinamento delle attività finanziarie
Con il termine ordinamento si intende l’insieme organico e complessivo delle norme che disciplinano le attività e le
istituzioni dell’intermediazione finanziaria in un dato contesto politico-amministrativo, che in genere coincide con lo
Stato, oppure con un contesto più ampio come l’UE, che è una comunità di Stati. Nel nostro paese tali norme possono
avere origine comunitaria, statale, o di origine inferiore.
L’obiettivo politico-istituzionale dell’UE consiste nella creazione di un ambito amministrativo in cui sia consentita e
possibile la libera circolazione delle persone e delle informazioni, dei capitali, delle merci e dei servizi. In tale
prospettiva si collocano il concetto di mercato unico dei servizi finanziari e tutte le azioni preordinate a istituirlo e
realizzarlo. L’azione comunitaria si è perciò proposta l’obiettivo prioritario e preliminare di realizzare un livello
sufficiente di armonizzazione minima fra gli ordinamenti vigente negli stati membri disciplinando i seguenti profili
degli intermediari finanziari: elenco delle attività esercitabili, capitale minimo iniziale, controlli sugli assetti proprietari
e sulle partecipazioni, sistema di garanzie dei depositi…. Inoltre l’UE ha scelto un modello di ordinamento che
minimizzasse la distanza fra ogni ordinamento nazionale: il modello di ordinamento comunitario. I cui fondamenti
sono:
non specializzazione degli intermediari per attività svolta, quindi possibilità di svolgere congiuntamente
attività di intermediazione creditizia, mobiliare e di servizio finanziario;
attribuzione delle attività di investimento collettivo in valori mobiliari a organi specializzati;
regolazione del grado di separazione fra banca e impresa industriale sia a monte che a valle.
Nell’esercizio del dovere di recepimento-attuazione gli Stati comunitari hanno un grado di discrezionalità (a patto che
non venga utilizzato in modo opportunistico e non possa superare il criterio dell’armonizzazione minima: condizione
necessaria affinché gli ordinamenti nazionali possano condividere i principi di libertà di prestazione di servizio e di
liberta di stabilimento di ogni intermediario autorizzato nel territorio, quindi convivere nel mercato unico dei servizi
finanziari).
Gli ordinamenti dell’attività bancaria e creditizia
La definizione di banca e di attività bancaria
Viene definita banca l’impresa che è autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria (D.lgs. 385/1993, art.1). La banca è
impresa, esiste e opera in forza di un’autorizzazione formale delle autorità competenti. La norma afferma che la
raccolta del risparmio e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria (insieme), la quale ha quindi natura
necessariamente composita. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. Le altre attività finanziarie
esercitabili dalla banca sono quelle ammesse al mutuo riconoscimento (cioè quelle attività che le banche possono
esercitare in qualunque paese comunitario in forza dell’autorizzazione ricevuta dal paese di origine: principio
dell’home country control). Tali attività sono: raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione; operazioni
di prestito; leasing finanziario; servizi di pagamento; emissione e gestione mezzi di pagamento; rilascio di garanzie e di
impegni di firma; operazioni per proprio conto o per conto della clientela; partecipazioni alle emissioni di titoli e
prestazioni di servizi connessi; consulenza alle imprese; servizi di intermediazione finanziaria del tipo money broking;
gestione o consulenza nella gestione dei patrimoni; custodia e amministrazione di valori mobiliari; servizi di
informazione commerciale; locazione di cassette di sicurezza; altre attività di minor rilievo. La raccolta di fondi a vista
e ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento è in via assoluta riservata alle
banche.
Per differenza, si forma la nozione giuridica di intermediario finanziario in quanto soggetto operante nel settore
finanziario ed esercente attività finanziaria secondo modalità che non integrano la definizione di attività bancaria
(esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessioni di finanziamenti sotto
qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi). È importante rilevare che la
definizione giuridica di intermediario finanziario è difforme da quella economica che colloca la banca nella categoria
degli intermediari finanziari.
Le condizioni dell’autorizzazione all’attività bancaria
La banca esiste e opera in forza di un’autorizzazione formale della autorità competenti. L’autorizzazione viene
concessa dalla Banca d’Italia quando ricorrono le seguenti condizioni:
la forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata;
il versamento del capitale minimo richiesto;
la presentazione del programma concernente l’attività iniziale, con l’atto costitutivo e lo statuto;
i requisiti di onorabilità stabiliti per i soci;
la struttura proprietaria e abbia quindi i presupposti dell’autorizzabilità;
i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo abbiano i requisiti richiesti di
onorabilità e di professionalità.
Le condizioni esposte vengono verificate dalla Banca d’Italia, che nega l’autorizzazione quando esse non garantiscono
la sana e prudente gestione. È necessario che la Banca d’Italia motivi l’eventuale rifiuto all’autorizzazione. L’evidente
corollario del principio di autorizzazione è l’esistenza di un apposito albo in cui la Banca d’Italia iscrive le banche
autorizzate e le succursali delle banche comunitarie nel territorio nazionale.
La partecipazione al capitale delle banche: vincoli normativi e regime autorizzativo
Il problema dei rischi derivanti dalla possibilità che l’esercizio dell’attività bancaria venga controllato da soggetti
portatori di interessi estranei, diversi o confliggenti con quelli istituzionali della banca, è sempre stato oggetto di
attenzione da parte delle autorità di controllo, preposte in via primaria alla tutela della stabilità della banca. In
proposito, il D.lgs. 385/1993 persegue l’obiettivo di autonomia o di separatezza sottoponendo ad autorizzazione
preventiva l’acquisizione diretta o indiretta di partecipazioni superiori al 5% del capitale della banca o che comportino
il controllo della stessa. Nella concessione dell’autorizzazione la Banca d’Italia deve accertare che ricorrano le
condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca interessata. Inoltre vieta l’acquisizione diretta o
indiretta di partecipazioni superiori al 15% o comunque di controllo ai soggetti che svolgono in misura rilevante
attività di impresa in settori non bancari e non finanziari. In presenza di accordi all’esercizio di voto che possano
pregiudicare la sana e prudente gestione della banca, la Banca d’Italia ha facoltà di sospende il diritto di voto dei soci
partecipanti all’accordo.
La regolamentazione dell’attività bancaria: gli aspetti prudenziali
Il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) attribuisce alla Banca d’Italia funzioni e poteri di
vigilanza, finalizzati prevalentemente al tutelare la sana e prudente gestione della banca, la stabilità complessiva,
l’efficienza e la competitività del sistema finanziario. Emana disposizioni di carattere generale avente per oggetto:
l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, le partecipazioni detenibili,
l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni.
Le disposizioni riguardanti l’adeguatezza patrimoniale impongono alle banche il mantenimento di un coefficiente
patrimoniale minimo obbligatorio, detto coefficiente di solvibilità (rapporto minimo fra patrimonio di vigilanza e attivo
patrimoniale ponderato al rischio, non inferiore all’8%): ha la funzione di tutelare la solvibilità della banca. Con il fine
di tutelare la stabilità, le disposizioni regolanti il contenimento del rischio disciplinano i requisiti patrimoniali connessi
con l’assunzione di rischi specifici secondo diverse configurazioni: la concentrazione dei rischi per grandi fidi (regolano
la dimensione massima dei grandi fini), la trasformazione delle scadenze e l’esposizione al rischio di interesse (perché
le scadenze delle attività sono più lunghe delle passività); i rischi di mercato.
Per quanto riguarda le partecipazioni detenibili, le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia attuano in via preliminare
la suddivisione fra due insiemi: partecipazioni in banche, in società finanziarie e strumentali e in imprese di
assicurazione; partecipazioni in altri soggetti indicati come imprese non finanziarie (un limite complessivo che
definisce il valore massimo totale delle partecipazioni detenibili, un limite di concentrazione, un limite di separatezza).
Le disposizioni riguardanti il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni assumono grande rilevanza ai
fini della gestione bancaria per due aspetti: da un lato pongono confini all’attività bancaria, dall’altro attribuiscono
peso e criticità alla variabile economia del patrimonio, che diviene sostanzialmente il perno principale e fondamentale
della gestione.
La nozione di gruppo bancario
Il gruppo bancario è composto alternativamente:
dalla banca italiana capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa controllate;
dalla società finanziaria capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa controllate,
quando nell’ambito del gruppo abbia rilevanza la componente bancaria, secondo quanto stabilito dalla Banca
d’Italia.
Le società finanziarie sono le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente: l’attività di assunzione di
partecipazione aventi le caratteristiche indicate dalla Banca d’Italia; una o più delle attività ammesse al mutuo
riconoscimento, escluse la raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione; i servizi di informazione
commerciale e la locazione di cassette di sicurezza. Le società strumentali sono le società che esercitano, in via
esclusiva o permanente, attività che hanno carattere ausiliario dell’attività delle società del capogruppo, comprese
quelle di gestione di immobili e di servizi anche informatici. L’azienda capogruppo deve avere nazionalità italiana e
autonomia da qualsiasi altra persona giuridica controllante. Nel gruppo viene a crearsi un disegno imprenditoriale
unitario a direzione strategica accentrata e la capogruppo, avendo ruolo di referente della Banca d’Italia ai fini della
vigilanza consolidata, esercita attività di direzione e coordinamento, ed esercita pure un controllo strategico e un
controllo gestionale, nell’interesse della stabilità del gruppo. Obbligo di pubblicità.
Nell’ordinamento vigente le attività di intermediazione finanziaria possono essere esercitate secondo due modelli
istituzionali diversi:
il modello della banca universale, che consiste nel tipo di banca che esercita congiuntamente e direttamente
l’attività bancaria propria e le altre attività finanziare ammesse, con una diversificazione che può essere
definita universale;
il modello del gruppo bancario, che consiste nell’esercizio di attività bancarie e finanziare da parte di un
unico soggetto economico mediante aziende giuridicamente separate, ma dirette e coordinate secondo un
disegno imprenditoriale unitario a direzione strategica accentrata.
Altri soggetti operanti nel settore finanziario
Artt. 106-114 del D.lgs. 385/1993: altri soggetti, identificati residualmente rispetto alla banca, la legge applica la
denominazione di intermediari finanziari. Svolgono professionalmente nei confronti del pubblico attività di:
assunzione di partecipazioni, concessioni di finanziamento sotto qualsiasi forma, prestazione di servizi di pagamento,
intermediazione in cambi. Obbligo di iscrizione in elenchi tenuti dalla Banca d’Italia.
La trasparenza delle condizioni contrattuali
L’ordinamento vigente prevede pure una dettagliata normativa per la trasparenza delle operazione e dei servizi
bancari e finanziari, che disciplina gli ambiti di applicazione, le modalità di pubblicità delle condizioni contrattuali
applicate, le forme dei contratti, le regole della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali e delle
comunicazione periodiche alla clientela. È importante rilevare che la normativa sulla trasparenza persegue un fine di
tutela della controparte contrattuale che viene considerata debole o inconsapevole.
La disciplina dei mercati di strumenti finanziari
Dai mercati pubblici ai mercati impresa
Uno dei cambiamenti più importanti avvenuti nel corso degli anni 90 nell’assetto dei mercati di strumenti finanziari è
stato quello dell’adozione sistematica di forme giuridiche, proprietarie e comportamentali di carattere strettamente
privatistico. Le motivazione di questa trasformazione: si intensifica la competizione sovranazionale tra intermediari
finanziari e mercati; nella stessa direzione opera l’innovazione tecnologica, che consente il passaggio dai mercati fisici
ai mercati telematici; la rottura dei confini spaziali apre la strada a un confronto concorrenziale diretto tra mercati,
ognuno interessato ad accrescere il flusso di scambi controllato; è comprensibile che tutto questo esalti la criticità
dell’adozione di una visione imprenditoriale nella condotta e nell’organizzazione di un mercato, visione in cui devono
prevalere elementi quali l’autonomia gestione e l’autoregolamentazione rispetto al sistema di indirizzi amministrativi
propri della forma pubblicistica.
L’organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati
Autonomia gestionale e autoregolamentazione non significato scomparsa dell’interesse dei pubblici poteri al controllo
dei mercati finanziari. Si tratta piuttosto dello spostamento delle autorità di vigilanza verso un ruolo più generale,
incentrato sul compito di determinare le caratteristiche fondamentali dei mercati e degli intermediari che vi operano.
La società di gestione dei mercati
L’art. 61 del D.lgs. 58/1998 recepisce la tendenza verso il modello privatistico e lo rende operativo stabilendo che
l’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari ha carattere di impresa ed è
esercitata da società per azioni, anche senza scopo di lucro (società di gestione).
Il regolamento del mercato
L’organizzazione e la gestione del mercato sono disciplinate da un regolamento delibero dall’assemblea ordinaria della
società di gestione. Il regolamento deve determinare obbligatoriamente alcuni aspetti essenziali dell’operatività del
mercato:
le condizioni e le modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori e degli strumenti
finanziari dalle negoziazioni;
le condizione e le modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli operatori e
degli emittenti;
le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi;
i tipi di contratti ammessi alle negoziazioni.
Poteri di adottare le disposizioni e gli atti necessari a prevenire e identificare gli abusi di informazioni privilegiate e la
manipolazione del mercato.
L’autorizzazione dei mercati regolamentati
L’autorizzazione è di competenza della CONSOB, che procede sulla base di due principali fasi di accertamento:
l’esistenza dei requisiti richiamati relativamente alla società di gestione; la conformità del regolamento alla disciplina
comunitaria e la sua idoneità ad assicurare trasparenza del mercato, ordinato svolgimento delle negoziazioni e tutela
degli investitori.
L’ordinamento delle attività di gestione dei servizi di investimento
Definizione di servizi di investimento, di strumenti finanziari e di servizi accessori
Secondo l’art.1 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, per servizi e attività di
investimento si intendono le seguenti attività, quando hanno per oggetto strumenti finanziari: negoziazione per
contro proprio, esecuzione di ordini del cliente, sottoscrizione e/o collocamento, gestione di portafogli, ricezione e
trasmissione ordini, consulenza, gestioni di sistemi multilaterali di negoziazione.
Nozione di strumento finanziario aggiungendovi: azioni e altri titoli di rischio negoziabili nel mercato dei capitali,
obbligazioni e altri titoli di debito….
Servizi accessori, la cui accessorietà è riferita allo svolgimento di servizi di investimento e all’impiego di strumenti
finanziari: custodia e amministrazione di strumenti finanziari, locazione di cassette di sicurezza, concessione di
finanziamenti agli investitori per operazioni relative a strumenti finanziari, consulenza alle imprese, servizi connessi
all’emissione o al collocamento di strumenti finanziari, intermediazione in cambi.
Le imprese di investimento: soggetti, autorizzazione, svolgimento dei servizi
L’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi di investimento è riservato alle imprese di investimento
e, previa autorizzazione della Banca d’Italia, alle banche. Le imprese di investimento si distinguono in tre categorie:
quelle italiane, denominate società di intermediazione mobiliare (SIM), quelle comunitarie e quelle extracomunitarie.
Le SIM possono prestare professionalmente nei confronti del pubblico i servizi accessori e altre attività finanziarie,
nonché attività connesse e strumentali, fatte salve le riserve di attività previste dalla legge. Alle imprese di
investimento è vietata la raccolta del risparmio fra il pubblico, ogni attività di intermediazione dei pagamenti e
l’emissione di titoli, documenti e certificati comunque rappresentativi dei diritti dei clienti.
Il regime autorizzativo delle imprese di investimento. Trasparenza della proprietà
Le società di intermediazione mobiliare devono essere iscritte a un apposito albo istituito presso la CONSOB, che
autorizza l’esercizio di servizi di investimento quando ricorrano specifiche condizioni, che riguardano: la forma
societaria, l’ammontare del capitale versato, il programma di attività, la struttura organizzativa, i requisiti di
professionalità e di onorabilità dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo e i requisiti
di onorabilità dei soci.
I profili normativi caratterizzanti lo svolgimento dei servizi di investimento
Il Testo Unico provvede a definire sia i criteri generali sia le forme contrattuali cui devono conformarsi i soggetti
autorizzati nello svolgimento dei servizi di investimento. I criteri generali si riferiscono ai seguenti aspetti:
-
diligenza, correttezza e trasparenza dei comportamenti;
acquisizione dell’informazione necessaria dai clienti;
adeguatezza dell’informazione fornita ai clienti;
scelta e comunicazione del benchmark, cioè del portafoglio virtuale di investimento pubblicamente e
oggettivamente rilevabile;
predisposizione di modalità organizzative idonee a prevenire rischi di conflitto di interessi;
assicurazione al cliente di adeguate condizioni di trasparenza e di equo trattamento;
disponibilità di risorse e procedure atte ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi;
modalità di gestione indipendente, sana e prudente;
adozione di misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sugli strumenti finanziari e sul denaro affidati.
L’ordinamento delle attività di gestione collettiva del risparmio
la gestione collettiva del risparmio è il servizio che si realizza attraverso la promozione, istituzione e organizzazione di
fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; attraverso la gestione del patrimonio
di organismi di investimento collettivi del risparmio (OICR), di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento
avente per oggetto strumenti finanziari, creditizi o altri beni mobili e immobili. Gli organismi di investimento collettivo
del risparmio (OICR) sono i fondi comuni di investimento (sono patrimonio autonomo suddiviso in quote, di pertinenza
di una pluralità di partecipanti; fondo aperto  possibilità di rimborso quote; fondo chiuso  rimborso quote solo a
scadenze predeterminate) e le società di investimento a capitale variabile (SICAV: hanno per oggetto l’investimento
collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta al pubblico di proprie azioni). Le parti di OICR sono le quote di
fondi comuni di investimento e le azioni di SICAV. La società di gestione del risparmio (SGR) è la società per azioni con
sede legale e direzione in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio (gestibile appunto
dalle SGR o anche dalle SICAV).
I fondi comuni di investimento aperti
Il fondo comune di investimento è un patrimonio collettivo costituito dalle somme versate da una pluralità di
partecipanti e investite in strumenti finanziari. Ciascun partecipante detiene un numero di quote, tutte di uguale
valore e uguali diritti, proporzionale all’importo versato. Il patrimonio è autonomo e separato da quello della SGR e
dei singoli partecipanti. Il fondo è mobiliare in quanto il suo patrimonio è investito solo in strumenti finanziari emessi
da imprese o enti quotati. È aperto in quanto il risparmiatore può sottoscrivere quote del fondo o richiederne il
rimborso totale o parziale. La Banca d’Italia, sentita la CONSOB, ne autorizza l’esercizio se esistono tali condizioni:
forma di spa, capitale sociale maggiore di 1milione di euro, sede in Italia, requisisti di professionalità e onorabilità
degli amministratori e dei dirigenti. A ogni fondo viene attribuito dalla SGR un benchmark, cioè un portafoglio di
riferimento pubblicamente rilevabile.
Le società di investimento a capitale variabile (SICAV)
Alle SICAV si applica in gran parte la disciplina dei fondi comuni di investimento. Gli elementi caratterizzanti sono:
coincidenza fra patrimonio gestito e attivo patrimoniale della società gerente, variabilità del capitale sociale,
possibilità d’esercizio di voto per corrispondenza, riduzione quorum deliberativi, periodicità settimanale
dell’emissione/rimborso a discrezione del sottoscrittore, unicità del tipo di azioni (nominative: numero di voti pari al
numero di azioni; al portatore: un solo voto).
I fondi comuni di investimento chiusi
L’autorizzazione è concessa dal ministro del Tesoro, sentita la Banca d’Italia, a società aventi per oggetto esclusivo la
gestione di fondi comuni di investimento collettivo in valori mobiliari e deve avere specifico riferimento alla gestione
di fondi chiusi. Quindi, la società stessa può essere autorizzata a gestire insieme fondi aperti e fondi chiusi (in questo
caso capitale sociale minimo 3,5 milioni di euro). L’ammontare del fondo è predeterminato, il termine massimo di
sottoscrizione è definito in un anno, la durata del fondo deve essere prestabilita (massimo 30anni), le quote
sottoscritte non possono essere riscattate prima della scadenza, il valore minimo della quota in fase di sottoscrizione è
elevato (50.000€). La società gerente può chiedere alla CONSOB l’ammissione delle quote alla negoziazione in un
mercato regolamentato. Nel caso del fondo chiuso la società di gestione, oltre ad applicare una commissione di
gestione, partecipa anche al risultato della gestione del fondo in due modi: investendo obbligatoriamente proprie
risorse in quote del fondo chiuso gestito, in misura del 2% dell’ammontare di questo, e partecipando ai proventi e al
risultato netto della gestione anche mediante una specifica commissione di performance.
Altri tipi di fondi comuni di investimento
I fondi riservati a investitori qualificati, aperti o chiusi, come le imprese di investimento, le banche, le SGR, le SICAV, i
fondi pensione…
I fondi speculativi: aperti o chiusi, il cui regolamento adotta norme prudenziali più rischiose, hanno un numero limitato
di partecipanti e una quota di sottoscrizione minima molto elevata.
L’ordinamento dell’attività assicurativa
Definizione di impresa di assicurazione e di attività assicurativa
Il Codice definisce le imprese di assicurazione come imprese cui è riservato l’esercizio dell’attività assicurativa (che
può essere appunto svolta solo dalle imprese assicurative). L’attività assicurativa si divide in ramo vita e ramo danni.
Una compagnia può essere autorizzata, alternativamente, a esercita o l’attività dei rami vita, o quelle dei rami danni
(principio della specializzazione). La sola parziale eccezione è data dalla possibilità di esercitare in modo congiunto i
rami vita e i rami danni malattia e infortuni. In campo assicurativo si applica il principio dell’attività assicurativa, nel
senso che le imprese di assicurazione devono limitare l’oggetto sociale all’esercizio dell’attività assicurativa,
riassicurativa e di capitalizzazione e delle operazione connesse, con l’esclusione dell’esercizio diretto o indiretto di
qualsiasi attività industriale o commerciale.
Le condizioni per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa
Condizioni: forma di spa, società cooperativa e di muta assicurazione, possesso del capitale sociale minimo richiesto,
presentazione di un programma di attività, di una relazione tecnica, dell’atto costitutivo, dello statuto, dell’elenco
degli amministratori e dei soci, i requisiti di onorabilità dei soci e di onorabilità e professionalità dei soggetti che
svolgono funzioni di amministrazione e controllo. Se sussistono queste condizioni, l’ISVAP rilascia l’autorizzazione e
pubblicazione sulla GU.
L’estensione geografica dell’attività esercitata
La compagnia autorizzata ha la facoltà di operare sul territorio nazionale e comunitario, in regime di stabilimento e in
regime di libera prestazione. Essa è sottoposta a un’unica autorità, a un unico regime autorizzativo e di vigilanza
(quello dello Stato di appartenenza), indipendentemente dalle differenti collocazioni geografiche delle sedi. Le
autorità del paese d’origine trasmettono a loro volta alle autorità dello Stato di stabilimento la documentazione e le
informazioni relative alle proprie compagnie che accedono ed esercitano l’attività assicurativa su tale mercato.
La partecipazione al capitale delle imprese di assicurazione
L’assunzione di partecipazioni dirette e indirette superiori al 5% nel capitale di imprese ed enti assicurativi deve essere
comunicata all’ISVAP e l’assunzione di partecipazione qualificate (più del 10%) o di controllo è comunque soggetta ad
autorizzazione dell’ISVAP. L’autorizzazione può essere negata a enti o imprese di Stati che non applichino il principio
della reciprocità di trattamento. L’autorizzazione è concessa se sussistono le condizioni per una sana e prudente
gestione della compagnia di assicurazione.
Altri profili di regolamentazione dell’attività assicurativa
Al fine di tutelare la stabilità della compagnia di assicurazione e gli interessi degli assicurati, le disposizione regolanti il
contenimento del rischio della gestione patrimoniale finanziaria disciplinano l’assunzione di rischi specifici secondo
diverse configurazioni. Queste ultime riguardano:
la concentrazione dei rischi: l’obiettivo di limitare l’eccessiva concentrazione dei rischi della gestione
patrimoniale è perseguito ponendo un tetto all’investimento in alcune classi di attività;
il rischio di cambio: il principio della congruenza valutaria prevede che le attività siano espresse nella
medesima valuta delle passività ad esse collegate;
il rischio di interesse: si manifestano in quanto la compagnia investe prevalentemente in attività in titoli il cui
rendimento può differire rispetto al costo delle passività. Quest’ultimo può essere assimilato al rendimento
necessario affinché la compagnia sia in grado di onorare gli impieghi nei confronti degli assicurati.
La regolamentazione MiFID (Markets in Financial Instruments Directive)
La MiFID è un corpo di regole entrato in vigore il 1° novembre 2007 che ridisegna profondamente la disciplina dei
mercati finanziari e dei servizi di investimento degli intermediari finanziari. Si colloca nella prospettiva della
costruzione di un mercato azionario europeo integrato, dove le imprese di investimento si avvalgono di un passaporto
unico e dove si arriva ad un uguale livello di protezione dell’investitore in qualsiasi sistema nazionale. La MiFID si basa
su alcuni principi base. In primo luogo, si adotta quella che viene chiamata una regolamentazione per i principi: si
preferisce mettere l’accento sugli obiettivi che gli intermediari devono perseguire, lasciando maggiore spazio
discrezionale alla modalità con cui li perseguono. Altro aspetto chiave è che si applica il principio dell’armonizzazione
massima: al fine di assicura l’applicazione uniforme in tutto lo spazio europeo delle disposizioni della direttiva, i singoli
Stati non possono introdurre obblighi aggiuntivi per gli intermediari. In terzo principio è quello della centralità degli
interessi del cliente. Ne deriva una forte tutela, in particolare per i soggetti del mercato retail, che si esprime
attraverso regole di contrattualizzazione e di contenuto informativo che, per chiarezza, correttezza e trasparenza,
devono dare al cliente una completa consapevolezza dell’insieme di diritti e obblighi conseguenti alla prestazione del
servizio di investimento. La MiFID  abbandono del principio della concentrazione degli scambi sui mercati
regolamentati  conseguenza: concorrenza tra mercati. Un’altra importante innovazione riguarda il sistema di
vigilanza. In Italia: la Banca d’Italia si occupa della materia del contenimento del rischio, della stabilità e della sana e
prudente gestione degli intermediari; la CONSOB è competente per la trasparenza e la correttezza dei comportamenti
degli intermediari.
Dal bisogno di trasferimento delle risorse finanziarie alle funzioni obiettivo dell’investitore e del prenditore di fondi
Le esigenze connesse al regolamento degli scambi
Nell’economia di mercato i soggetti entrano in possesso dei beni e dei servizi necessari per soddisfare i propri bisogni
attraverso processi di scambio. L’attività di scambio è onerosa: infatti i soggetti devono sopportare i costi derivanti sia
dalla ricerca della controparte con cui effettuare lo scambio, sia dal trasferimento materiale dei beni e dei servizi
scambiati. Questi costi possono essere ridotti in presenza di cinque condizioni che, nel corso del tempo, i sistemi
economici hanno continuamente sviluppato e perfezionato: l’organizzazione del mercato, l’esistenza e la progressiva
specializzazione di operatori commerciali, l’efficienza e il progresso della tecnologia dei trasporti e delle
comunicazioni, la moneta, il sistema giuridico.
La funzione della moneta si integra con quella più diversificata degli strumenti di regolamento dello scambio. Due tipi:
moneta legale e moneta bancaria. Il requisito fondamentale della moneta consiste nella circostanza che essa sia
accettata come mezzo di pagamento dalla generalità dei soggetti destinatari di pagamenti. I fattori che determinano la
condizione di accettabilità e quindi l’accettazione della moneta come mezzo di pagamento sono: il valore legale della
moneta (cioè il fatto che la legge rende obbligatoria l’accettazione della moneta come modalità di estinzione dei
debiti) e la fiducia degli scambisti. I soggetti emittenti moneta sono la Banca centrale che emette moneta legale, e la
banca commerciale, che emette moneta bancaria. Le banche commerciali offrono un efficace sostituto della moneta
legale, cioè il deposito in conto corrente che è in grado di ridurre in misura rilevante i costi e i rischi connessi al suo
uso.
La domanda di trasferimento di risorse finanziarie nel tempo: investimento e finanziamento
Nel corso del periodo considerato, ogni soggetto economico trasforma, mediante attività di scambio monetario, i
propri redditi o ricavi monetari in beni di consumo, servizi e investimenti reali, impiegano gli strumenti del
trasferimento delle risorse finanziario nello spazio. Al termine del periodo si forma un saldo finanziario positivo o
negativo cioè un avanzo o disavanzo di potere d’acquisto che segnalano rispettivamente l’esistenza di un bisogno di
investimento o di finanziamento. La formazione di saldi finanziari positivi o negativi identifica un bisogno di
trasferimento delle risorse finanziare nel tempo. Il soggetto che dispone di un SF positivo viene a trovarsi nella
necessità di conservare, ma in realtà di investire il potere d’acquisto temporaneamente eccedente. Il soggetto può
mantenere l’eccedenza in forma liquida (no rendimento) oppure acquistare attività finanziarie diverse dalla moneta. Il
soggetto con SF negativo viene invece a trovarsi nella necessità di procurarsi risorse finanziare per coprire il proprio
fabbisogno. Il trasferimento nel tempo avviene attraverso la costituzione di una passività finanziaria. Il trasferimento
delle risorse finanziare nel tempo si integra con quello nello spazio.
I potenziali investitori e prenditori di fondi ricercano rispettivamente opportunità di impiego degli avanzi e di
copertura dei disavanzi. Essi hanno di fatto interessi idealmente complementari e convergenti e sono quindi potenziali
scambisti: strumenti, mercati e intermediari definiscono e consento le modalità concrete dello scambio finanziario.
L’efficacia/efficienza degli strumenti finanziari deve essere riferita alla loro funzione d’uso, cioè alla loro concreta
capacità di soddisfare i bisogni degli scambisti e di realizzare gli obiettivi. Di norma la posizione di investitori in attività
finanziare è assunta dal settore famiglie, i prenditori di fondi sono il settore imprese non finanziarie e il settore
pubblico. Le posizioni possono anche invertirsi.
La funzione obiettivo dell’investitore
Le scelte finanziare dell’investitore, nell’ipotesi di razionalità del suo comportamento, sono guidate soprattutto dalle
variabili rendimento e rischio. Il rendimento di un’attività finanziaria può essere considerato l’espressione del risultato
economico dell’operazione, cioè una misura della redditività della stessa. La configurazione del rendimento di
un’attività finanziaria tiene pertanto conto dell’intero profilo finanziario dell’investimento e dunque di questi
elementi: il prezzo d’acquisto dell’attività finanziaria, i redditi periodici che essa offre, il valore di rimborso, gli oneri
fiscali, i costi di transazione. Tenendo conto delle prime tre variabili e mediante un processo di attualizzazione si
calcola il rendimento dell’attività finanziaria, se non sono noti si utilizzano metodi probabilistici. La determinazione del
rendimento consente un confronto tra differenti investimenti in attività finanziarie. Il rischio si lega all’impossibilità di
prevedere con esattezza il risultato di una determinata operazione. Principali tipi di rischi:
rischio di insolvenza: l’eventualità che il prenditori di fondi non sia in grado di mantenere i suoi impegni;
-
rischio di prezzo: tipico dei titoli mobiliari, il prezzo quotato subisce variazioni sia per ragioni riguardanti
l’emittente, sia per ragioni di carattere generale che riguardano la situazione dell’economia e del mercato;
rischio di tasso di interesse: colpisce le operazioni finanziarie nella forma del contratto di credito regolato da
un regime di tasso di interesse fisso;
rischio di cambio: riguarda un’attività denominata in valuta diversa da quella di riferimento per l’investitore;
rischio di perdita del potere d’acquisto: colpisce un’attività finanziaria in funzione dell’inflazione;
rischio di liquidità: di un’attività finanziaria corrisponde all’idoneità di quest’ultima a essere convertita in
moneta. Un’attività finanziaria è tanto più liquida quanto più ridotti sono i costi e i tempi di attesa per
ottenere la conversione in moneta.
La funzione obiettivo dell’investitore si esprime con riferimento alla combinazione fra rendimento e rischio. È intuitivo
pensare che fra i due fattori esista un rapporto di correlazione, nel senso che l’investitore è disposto ad accettare
combinazioni crescenti di rendimento e rischio. Il rischio deve essere remunerato: pertanto, l’investitore razionale
acquista un’attività finanziaria (rischiosa) soltanto se il suo rendimento atteso è remunerativo rispetto al suo rischio
stimato. Di fronte ad attività finanziarie alternative caratterizzate da eguale rendimento, l’investitore preferisce quella
dotata di rischio minore. Assumendo come riferimento il rendimento atteso di un’attività finanziaria priva di rischio
(risk free: es. titolo di stato a breve scadenza) il maggior rendimento atteso da un’attività finanziaria rischiosa viene
definito premio al rischio. Lo strumento della cosiddetta curva di indifferenza consente di determinare l’adeguatezza
del premio al rischio. Le curve considerate hanno pendenza crescente, a denotare la circostanza realista che in genere
l’investitore presenta un profilo caratteristico di avversione al rischio, cioè il maggior rendimento richiesto è più che
proporzionale al rischio accettabile. Esiste una soglia massima di rischio insuperabile, oltre la quale nessun premio al
rischio, per quanto grande, verrebbe considerato sufficiente e remunerativo. L’appartenenza del singolo investitore
all’una o all’altra classe di propensione al rischio dipende da una combinazione complessa di numerosi fattori: età,
stock di ricchezza finanziaria e reale posseduta, stato di salute, coperture assicurative, esperienza…
La funzione obiettivo del prenditore di fondi
La parte di fabbisogno finanziario non soddisfatta dalla disponibilità di risorse generate internamente può essere
coperta soltanto facendo ricorso a fonti esterne. Rispetto alla funzione obiettivo del prenditore di fondi assume
importanza primaria il costo dell’operazione di finanziamento. Questo è determinato dalle seguenti quantità:
l’importo del finanziamento ricevuto, gli oneri periodi che comporta, il valore di rimborso, gli effetti dell’imposizione
fiscale, l’insieme dei costi di transazione. Il metodo del calcolo del costo lordo del finanziamento fa riferimento alle
prime tre quantità, si tratta di un processo di attualizzazione, che rende possibile confronti tra vari finanziamenti. Il
prenditore di fondi è esposto ai seguenti tipi di rischi:
rischio di tasso di interesse, che tipicamente caratterizza i finanziamenti a tasso fisso: in caso di diminuzione
dei tassi di mercato nel corso della durata del finanziamento, il prenditore dei fondi si trova gravato da un
costo del capitale maggiore;
rischio di cambio: si concreta quando il prenditore sottoscrive una passività finanziaria denominata in una
valuta diversa da quella in cui egli effettua i propri calcoli di convenienza economica;
rischio di solvibilità o di bancarotta, correlato alla sostenibilità delle obbligazioni assunte;
rischio di instabilità delle fondi di finanziamento utilizzate, che dipende sia dalla scadenza del finanziamento,
sia dall’eventuale esistenza di clausole contrattuali (covenants) che disciplinano il comportamento del
prenditore e che possono determinare il diritto del finanziato di chiedere il rimborso prima della scadenza;
rischio di condizionamento da parte del finanziatore, quando questi abbia contrattualmente il diritto di
intervenire nell’indirizzo dell’attività dell’impresa (es. azioni e loro diritti patrimoniali e non patrimoniali).
Il prenditore di fondi, secondo razionalità, ha l’obiettivo di minimizzare il costo del finanziamento, dopo le imposte,
assumendo come vincoli determinate soglie dei diversi rischi che possono essere compendiati in una generale
esigenza di stabilità e di controllabilità delle fonti di finanziamento. L’osservazione della realtà conferma che fra costo
da un lato e stabilità/controllabilità dall’altro sussiste una relazione inversa: infatti, nella gran parte dei casi, il
prenditore di fondi ha la possibilità di utilizzare forme di finanziamento che consento maggiore protezione dai rischi a
condizione di sostenere un costo maggiore.
Le funzioni e le caratteristiche degli strumenti finanziari
Lo scambio diviene concretamente realizzabile se esiste la possibilità di definire i diritti e i doveri di entrambe la parti
contraenti in modo che le rispettive funzioni obiettivo trovino contestuale soddisfazione. Lo scambio finanziario si
concreta quindi nella formazione di un’attività (passività) finanziaria che anzitutto definisce un credito (debito) e ne
qualifica gli aspetti economici, finanziari e tecnici. Ogni attività finanziaria è una modalità di contrattualizzazione: essa
viene comunemente denominata anche strumento finanziario. La diversificazione degli strumenti finanziari costituisce
quindi una condizione fondamentale affinché possano ampliarsi le opportunità di scambio fra i soggetti della domanda
e dell’offerta dei fondi. Il processo costante di diversificazione, specializzazione e innovazione degli strumenti
finanziari è un fattore potente di evoluzione, di sviluppo e di perfezionamento dei mercati finanziari.
La natura dei diritti incorporati
strumenti che incorporano sia diritti di proprietà sia diritti di credito e che consentono quindi
necessariamente l’esercizio di diritti amministrativi funzionali ai primi (azioni);
strumenti che incorporano esclusivamente diritti di credito, e perciò il diritto ad ottenere prestazione
economico-finanziarie, secondo modalità contrattualmente prestabilite (contratti di credito, obbligazioni);
strumenti che incorporano il diritto discrezionale o/e l’obbligazione di comprare/vendere a termine una data
attività finanziaria: contratti a termine e strumenti derivati (future, swap, opzioni).
Con riferimento alla prima categoria, e in particolare ai titoli azionari i diritti amministrativi sono:
il diritto di voto;
il diritto di impugnativa, fondamentale forma di tutela dell’azionista;
il diritto di recesso, diritto di uscire dalla compagine sociale e rimborso quote;
diritto di opzione, che riconosce all’azionista il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione in
proporzione alla partecipazione posseduta, al fine di consentirgli il mantenimento della quota di
partecipazione.
Gli aspetti patrimoniali o economici che definisco il diritto di credito contenuto negli strumenti finanziari sono:
il diritto di partecipazione all’eventuale distribuzione degli utili nella misura della quota di partecipazione;
il diritto di rimborso totale o parziale del patrimonio della società.
La condizione di socio conferisce all’azionista il diritto di partecipare al risultato economico dell’attività di impresa, ma
ha carattere di residualità.
Gli strumenti che incorporano esclusivamente un diritto di credito si caratterizzano per la circostanza che il contratto
attribuisce al finanziatore il diritto a ricevere prestazioni economico-finanziarie secondo le seguenti modalità:
pagamento con frequenza prefissata di una remunerazione a titolo di interesse che può essere
predeterminata nell’importo (tasso fisso) sia incerta nell’ammontare (tasso variabile);
rimborso del capitale secondo scadenze e importi predeterminati.
Gli strumenti finanziari che incorporano esclusivamente diritti di credito (seconda categoria) attribuiscono al
prenditore di fondi un controllo minore delle risorse finanziare ricevute e nessuna discrezionalità per quanto concerne
la dimensione dell’onere finanziario sostenuto.
Gli strumenti, appartenenti alla terza categoria, che incorporano il diritto discrezionale o/e l’obbligazione di
comprare/vendere a termine una data attività finanziaria hanno oggetto e finalità diverse. L’oggetto degli strumenti
finanziari di partecipazione e/o di credito è il trasferimento a titolo oneroso di risorse finanziare nel tempo, e pertanto
la loro funzione consiste nell’investimento finanziario e nel finanziamento. Questi stessi strumenti possono a loro
volta diventare oggetto di altri contratti, gli strumenti derivati (la loro struttura presuppone l’esistenza di uno
strumento finanziario definito base, in quanto oggetto di ulteriore specifico contratto). Gli strumenti derivati hanno la
specifica funzione di trasferire i rischi incorporati nelle attività finanziarie sottostanti a cui i contratti fanno
riferimento. Nell’ambito degli strumenti derivati occorre distinguere, per la diversità dei diritti incorporati e quindi per
la loro diversa funzione:
gli strumenti che incorporano esclusivamente obbligazioni reciproche a termine, concordate fra le parti
(contratti future, financial future, contratti a termine e contratti swap);
gli strumenti che invece contengono il diritto discrezionale (opzione) di una delle due parti ad acquistare o
vendere a termine, nei confronti dell’altra parte, titolare della contrapposta obbligazione non discrezionale a
vendere o acquistare una data attività finanziaria (contratto di opzione).
In forza del contratto future il singolo contraente si obbliga ad acquistare o vendere a un termine futuro prestabilito e
a un prezzo determinato una certa attività finanziaria, tre diversi tipi di contratti:
gli interest rate future, in cui l’attività finanziaria sottostante è rappresentata da titoli di Stato a lungo
termine o da depositi interbancari a breve termine;
gli stock index future, in cui l’attività finanziaria sottostante è costituita da indici relativi ad azioni quotate su
mercati regolamentati;
i currency future, in cui l’attività finanziaria sottostante è rappresentata da una valuta.
La funzione economia fondamentale è di consentire al contraente di prendere posizione nei confronti dell’andamento
futuro dei prezzi di attività finanziarie sensibili ai tassi di interesse, oppure alle quotazione dei mercati azionari, oppure
ancora dei tassi di cambio (hedgers e speculatori). Pure il contratto swap è costituito da obbligazioni contrapposte
riferite a date future, ma ne è diverso l’oggetto, poiché i soggetti contraenti si impegnano a scambiare futuri
pagamenti di interessi oppure futuri pagamenti in valuta. Il regolamento degli scambi è generalmente attuato
mediante il pagamento delle differenze fra i valori delle obbligazioni delle parti.
Nel caso in cui una delle parti contraenti si riservi la facoltà discrezionale di esercitare il diritto di acquistare o di
vendere a un prezzo prestabilito una certa attività finanziaria, lo strumento derivato è un contratto di opzione: il
soggetto compra questa facoltà discrezionale pagando alla controparte venditrice un prezzo (premio dell’opzione) il
cui livello dipende dalla probabilità d’esercizio dell’opzione (possibilità di esercitare l’opzione a una scadenza
prestabilita, o contratti che prevedono l’esercizio dell’opzione entro una scadenza prestabilita). Il contratto di opzione
si caratterizza per il fatto che il suo esito può essere deciso da una delle parti al termine o nel corso del contratto
stesso, sia per la circostanza che l’eventuale perdita è predeterminata a fronte di una potenzialità incerta di guadagno
assai maggiore.
La trasferibilità, la negoziabilità e la liquidità
La trasferibilità è un aspetto tecnico-contrattuale assai rilevante poiché essa consente la circolazione degli strumenti
finanziari successivamente alla loro emissione, cioè nel cosiddetto mercato secondario. Gli strumenti di
finanziamento/investimento trasferibili per loro intrinseca natura sono i valori mobiliari, cioè le azione e le
obbligazioni. Il carattere tecnico-formale della trasferibilità determina una diversità sostanziale fra i mercati dei due
tipi di strumenti. Da un lato il mercato degli strumenti non trasferibili (depositi e prestiti bancari) è formato
esclusivamente da scambi finanziari fra soggetti produttori e soggetti che domandano prestiti o offrono depositi:
definito mercato del credito. Dall’altro lato il mercato degli strumenti trasferibili (azioni e obbligazioni) è formato
anche dagli scambi che attuano il trasferimento degli strumenti dopo che questo sono stati prodotti e collocati;
definito mercato mobiliare o mercato dei capitali. La nozione di mercato finanziario, che si riferisce allo scambio di
tutti gli strumenti finanziari, comprende quelle di mercato del credito e di mercato mobiliare.
La trasferibilità interessa soltanto come requisito tecnico e formale che consente l’effettivo trasferimento del titolo di
proprietà e/o di credito, cioè la sua negoziabilità. Quanto più standardizzato è uno strumento finanziario, tanto minori
sono la sua complessità e il connesso costo di informazione per l’investitore o acquirente. Anche la divisibilità, cioè la
possibilità di frazionare la negoziazione grazie sia al basso volume unitario dello strumento, sia alla bassa quantità
minima negoziabile, contribuisce ad accrescere la negoziabilità degli strumenti trasferibili la negoziabilità è requisito
necessario per definire la liquidità di uno strumento finanziario, intesa come convertibilità in moneta. Tale
convertibilità è tanto più concreta quanto minori sono il costo di ricerca della controparte, gli altri costi di transazione
e la perdita di valore eventualmente necessaria per ottenere un’immediata contropartita di scambio (misure della
liquidità). La liquidità dipende anche dalla durata residua, un titolo di credito è tanto più liquido quanto più è prossima
la sua scadenza contrattuale. L’assenza di rischio emittente è un altro fattore di liquidità. La nozione di liquidità dello
strumento finanziario si trasfonde infine nella capacità monetaria, che si definisce come capacità/idoneità di un dato
strumento finanziario a essere usato direttamente come mezzo di pagamento o comunque ad essere convertito in
moneta con costi, rischi e tempi praticamente nulli.
La cartolarizzazione degli strumenti finanziari non trasferibili
La cartolarizzazione (securitization) è una tecnica finanziaria appositamente progettata per trasformare strumenti
finanziari non trasferibili in altri strumenti finanziari trasferibili, e quindi negoziabili e perciò liquidi. Essa consiste nella
combinazione delle seguenti operazioni:
si identifica un certo blocco o portafoglio di crediti non trasferibili aventi caratteristiche di relativa
omogeneità, per stato di solvibilità o per forma tecnica;
il proprietario (in genere una banca, originator) di questo portafoglio ne effettua la cessione pro soluto cioè
liberandosi della responsabilità di qualsiasi insolvenza) per un dato prezzo a una società specifica e apposita,
detta società veicolo (o special purpose vehicle, SPV);
a fronte dell’acquisto la SPV emette titoli obbligazioni (asset backed securities o ABS, cioè titoli sostenuti da
altre attività), il cui collocamento nel mercato mobiliare produce l’entrata finanziaria che consente il
pagamento del prezzo di acquisto/cessione;
il portafoglio ceduto viene normalmente attribuito in gestione (servicing) alla stessa banca cedente
(originator) e i relativi flussi per interessi e capitali vengono trasferiti alla SPV che li destina al servizio, per
interessi e capitali, delle obbligazioni emesse;
le entrate di cassa della SPV possono essere eventualmente protette dai rischi di insolvenza dei crediti
cartolarizzati mediante garanzie interne e/o esterne.
La tecnica della cartolarizzazione offre ai soggetti cedenti opportunità di smobilizzo di attività non liquide e quindi di
reperimento di liquidità; contribuisce allo sviluppo quantitativo e qualitativo dell’offerta di materiale finanziario a
beneficio degli investitori, individuali e istituzionali, che ricercano opportunità di diversificazione del portafoglio
investimenti. La cartolarizzazione tende a trasferire i rischi del portafoglio cartolarizzato in capo agli investitori in ABS.
La SPV deve iscriversi nell’elenco speciale degli intermediari finanziari, i titoli da essa emessi sono sottoposti ai
controlli della Banca d’Italia.
Il rendimento, la sua prevedibilità e il rischio
Il rendimento di un’attività finanziaria è un carattere determinante della stessa poiché ne qualifica, insieme al livello di
rischio, l’idoneità a soddisfare la funzione obiettivo dell’investitore, rappresentabile secondo date curve di
indifferenza. Il rendimento di uno strumento finanziario può essere calcolato da un punto di vista previsionale
(rendimento ex ante) e da un punto di vista storico (rendimento ex post). La prima componente del rendimento,
definibile reddito staccato, è rappresentata dal pagamento periodico di cedole (obbligazioni) o di dividendi (azioni).
Presuppone l’esistenza di un flusso di cassa in uscita per l’emittente, che nel caso dei titoli obbligazionari sarà
determinato in funzione del tasso contrattuale definito in misura fissa o variabile, mentre nel caso dei titoli azionari
sarà definito dall’assemblea dei soci. L’esistenza dei cosiddetti titoli zero coupon che, pur non prevedendo il
pagamento di alcuna cedola, offrono comunque un rendimento, rende evidente l’esistenza di una seconda
componente del rendimento, identificabile nella differenza tra il valore di rimborso a scadenza e il prezzo d’acquisto.
Una terza componente che contribuisce a definire il reddito è rappresentata dai frutti ottenibili grazie al
reinvestimento dei flussi finanziari periodici prodotti dal titolo stesso. Bisogna prendere in considerazione anche le
ipotesi di insolvenza dell’emittente del titolo (rischio di credito), rischio di cambio, rischio di prezzo. La quantificazione
del rendimento avviene ipotizzando una pluralità di scenari futuri possibili e associando a ognuno di essi una
probabilità di accadimento e un’ipotesi di rendimento.
La durata residua
Per durata residua si intende il tempo che intercorre fra il momento presente e la data di estinzione contrattuale dello
strumento, o scadenza. La scadenza è facilmente identificabile nel caso dei titoli obbligazionari.
Si hanno strumenti finanziari a scadenza indeterminata con o senza preavviso delle parti contraenti (deposito a
risparmio, apertura di credito in conto corrente) oppure strumenti con scadenza a vista, a discrezione di entrambe le
parti (deposito in conto corrente). In altri casi la scadenza è prestabilita ma il contratto attribuisce
all’emittente/debitore la facoltà di estinzione anticipata, eventualmente verificandosi o meno date condizioni (call
option), oppure conferisce tale diritto all’investitore/sottoscrittore (put option). In altri casi la scadenza è un elemento
meramente nominale, come per le azioni, per le quali essa formalmente coincide con il termine della durata della
società emittente. In altri casi infine lo strumento finanziario non ha scadenza, è perpetuo e non prevede rimborso
(debito consolidato in rendita perpetua, emesso dallo Stato). La durata residua è importante poiché concorre sia a
qualificare il profilo di liquidità dello strumento finanziario, sia il suo rischio di prezzo nel caso in cui si tratti di attività
finanziaria trasferibile. In pratica la duration (durata finanziaria) è una misura della durata residua del titolo calcolata
ponderando ogni cadenza futura con il rapporto fra il valore attualizzato del relativo flusso di cassa e il prezzo corrente
del titolo. Tale rapporto in sostanza misura il contributo di ciascun flusso al valore complessivo del titolo: esso
quantifica la percentuale di rientro monetario dell’investimento alla scadenza indicata.
Altri caratteri degli strumenti finanziari: la convertibilità
Il contratto sottostante allo strumento finanziario può prevedere che esso possa essere trasformato, convertito in un
altro strumento finanziario, a date condizioni (es. titoli obbligazioni convertibili in azioni). La convertibilità può anche
consistere nella facoltà di una delle due parti di modificare un elemento contrattuale sostanziale dello strumento
considerato (es. da tasso fisso a tasso variabile). Le opportunità di modificare lo strumento finanziario consentono di
aumentarne utilmente la flessibilità e l’adattabilità rispetto alle funzioni d’uso richieste dalle parti.
La valuta di denominazione
La valuta in cui i flussi monetari di ogni strumento finanziario vengono pagati/incassati è definita dal contratto
sottostante. Contratti più complessi possono prevedere che la valuta di denominazione originaria possa essere
convertita in corso di contratto da una delle parti a date condizioni (titoli di credito dual currency). Nel caso dei
prestiti, tale condizione viene denominata clausola multicurrency. La valuta di denominazione è il fattore
determinante del già menzionato rischio di cambio.
Il costo di produzione e il costo di uso
La produzione di ogni strumento finanziario comporta svariati costi, in relazione alle sue specifiche caratteristiche
tecniche, giuridiche e contrattuali. Per esempio, l’emissione di titoli azionari comporta i seguenti costi: convocazione e
svolgimento dell’assemblea societaria, emissione e consegna dei certificati azionari, tassa di registro e così via. Inoltre
ogni strumento finanziario comporta pure specifici costi d’uso (es. costo di custodia che ogni investitore sostiene). I
costi di produzione e di uso specifico dei singoli strumenti finanziari fanno parte della più ampia categoria dei costi di
transazione.
La complessità e la scomponibilità
Si definisce complesso lo strumento che deriva dalla combinazione contrattuale di due o più strumenti semplici o
elementari. I titoli complessi vengono definiti titoli strutturati, per i quali la strutturazione consiste nella
configurazione dei caratteri elementari del titolo mediante contratti derivati, in genere nella forma di opzioni, a favore
di una delle due parti contraenti. Viceversa, uno strumento finanziario può essere scomposto in strumenti ancora più
elementari.
La presenza del rating
Gli strumenti finanziari, in particolare le obbligazioni quotate, possono essere o meno provviste di rating. Questo
consiste in una valutazione sintetica, indipendente e pubblicamente nota, prodotta appunto da un’agenzia di rating
(Standard & Poor’s), che esprime la probabilità che il soggetto emittente faccia fronte agli obblighi contrattuali assunti
(pagamento interessi e rimborso capitale). Esso è espresso secondo una scala decrescente (grade). Gli emittenti di
strumenti finanziari hanno convenienza a chiedere il rating (continuo monitoraggio) perché ciò consente agli
investitori potenziali una più agevole valutazione economica delle opportunità.
Il regime fiscale
Ogni strumento finanziario si caratterizza per un proprio regime di imposizione fiscale, che varia notevolmente in
relazione al soggetto considerato (prenditore o investitore), a seconda della sua natura giuridica e del sistema di
imposizione fiscale.
I prodotti e i servizi degli intermediari finanziari
1. Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di trasferimento del potere d’acquisto nello spazio, legati alla
necessità di eseguire e di ricevere pagamenti:
ordini di pagamento: assegni ordinari/circolari, bonifici, ordini di addebito, lettere di credito, carte di credito;
ordini di incasso: ricevute bancarie, effetti cambiari e altri titoli all’incasso;
servizi diversi: servizi di gestione monetaria o di cash management, servizi di cassa automatica, servizi di
erogazione automatica di contante (automated teller machines o ATM).
2. Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di investimento, legati quindi alle decisioni di accumulare ricchezza
finanziaria e di trasferire risorse finanziarie a tempi futuri:
passività nominali prodotte da intermediari finanziari: depositi in conto corrente, depositi a risparmio,
certificati di deposito, obbligazioni semplici o strutture o garantite;
passività di mercato prodotte da intermediari finanziari: quote di fondi comuni di investimento mobiliare,
aperti o chiusi, e azioni di società di investimento a capitale variabile;
servizi di negoziazione di valori mobiliari su ordine del cliente;
servizi di gestione patrimoniale individuale: l’intermediario, in forza del mandato conferito dal cliente,
gestisce il patrimonio di quest’ultimo investendolo in valori mobiliari secondo i criteri definiti dal contratto;
polizze assicurative.
3. Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di finanziamento, legati quindi alla necessità dei soggetti
richiedenti di anticipare nel tempo la disponibilità di potere d’acquisto in forza di un’obbligazione e di un’effettiva
capacità di rimborso a scadenza futura.
Prestiti di moneta e di titoli;
prestiti di firma: avvallo, fideiussione, lettera di credito; strumenti con cui la banca garantisce le obbligazioni
del suo cliente;
crediti speciali: locazione finanziaria o leasing e credito di factoring;
prestiti al consumo, finalizzati al finanziamento delle spese per l’acquisto di beni e servizi durevoli;
assunzioni di partecipazioni: nel caso in cui l’intermediario eroghi il finanziamento mediante acquisto di titoli
rappresentativi di capitale proprio di nuova emissione a favore di una società di capitali;
servizi diversi, accomunati sotto la denominazione di investment banking.
4. Strumenti e servizi destinati a rendere più efficiente la gestione dei rischi che caratterizzano la gestione finanziaria e
assicurativa del cliente. Gli intermediari si limitano a distribuire polizze prodotte da imprese di assicurazione
indipendenti, consortili o controllate, realizzando così il modello distributivo della bancassicurazione.
Le cause e le condizioni dell’innovazione degli strumenti finanziari
Forme di innovazione debole, rappresentate dall’evoluzione e dal cambiamento di strumenti già esiste, forme di
innovazione forti costituite dall’innovazione di strumenti diversi da quelli in uso. Il processo di innovazione è
endogeno ai mercati, nel senso che esso è attivato sia dai soggetti che sono direttamente interessati allo scambio di
risorse finanziarie, sia dai soggetti istituzionali che contribuiscono a organizzare gli scambi all’interno dei mercati. I
comportamenti innovativi di tali soggetti si formano all’internodi un complesso sistema di obiettivi/vincoli, nel quale
bisogna distinguere i fattori esogeni, la dinamica dei mercati rilevanti, le funzioni obiettivo dei soggetti interessati. In
genere la regolamentazione, perseguendo la finalità di imporre agli scambisti un dato codice di regole di
comportamento, a tutela del mercato e degli scambisti stessi, pone un insieme di vincoli all’operatività; in presenza di
regole, l’innovazione è un comportamento reattivo nel tentativo di aggirarle, lo stesso per quanto riguarda il regime
tributario. Il progresso tecnologico si propone come una continua opportunità e sfida di cambiamento. L’evoluzione
dei mercati finanziari è una causa propulsiva dell’innovazione. Essa si caratterizza per due profili fondamentali: da un
lato la globalizzazione che consegue lo sviluppo della mobilità delle risorse finanziarie tra i mercati nazionale, a livello
sovranazionale e su scala planetaria; dall’altro la maggiore volatilità dei prezzi delle attività finanziarie, dei tassi di
interesse, di cambio. Pure le funzioni obiettivo di tutti i prenditori e datori di risorse svolgono un ruolo determinante.
Dato che il mercato propone opportunità di rendimento/rischio e di costo/rischio più diversificate che in passato,
occorre sviluppare decisioni efficienti e realizzare con strumenti efficienti.
I portafogli di strumenti finanziari
Il singolo operatore può soggettivamente utilizzare strumenti finanziari per comporre un portafoglio sia a scopo di
investimento (portafoglio di attività finanziarie), sia di finanziamento (portafoglio di passività finanziarie), sia di
intermediazione (portafoglio di attività e di passività finanziarie), conferendo al medesimo caratteristiche di
composizione idonee a perseguire tali finalità. Nel caso di attività finanziarie il rendimento del portafoglio coincide con
la media ponderata dei rendimenti delle singole attività che lo compongono. Diversamente, il rischio del portafoglio è
influenzato sia dai rischi specifici delle attività sia dalla correlazione fra i loro rischi. Risulta in pratica sempre
conveniente diversificare il portafoglio di attività finanziarie per ridurne il rischio.
I mercati finanziari
Il termine mercati finanziari definisce il concetto di complesso di scambi aventi per oggetto strumenti finanziari.
I mercati creditizi e i mercarti mobiliari
Il fattore distintivo è rappresentato dalla natura degli strumenti negoziati: in particolare, dalla presenza o meno dei
requisiti di trasferibilità/negoziabilità. Il rapporto tra le controparti è fortemente personalizzato nei mercati creditizi,
trattandosi di rapporti che vengono definiti su base bilaterale e destinati a prolungarsi per tutta la durata del
contratto. Nel mercato mobiliare il rapporto con l’emittente è più impersonale. Il significato dei prezzi è assai diverso:
nel mercato creditizio si tratta di prezzi negoziati bilateralmente e di cui si può avere solo una parziale informazione ex
post. Il grado di liquidità delle negoziazioni rappresenta un fattore di performance del mercato; indica la facilità di
provvista di fondi e di smobilizzo degli investimenti in essere. La liquidità è collegata a due fattori: lo spessore degli
scambi e la negoziabilità degli strumenti. In quest’ultimo aspetto, il mercato mobiliare ha il vantaggio di poter dare
luogo al circuito secondario degli scambi, cioè tra investitori diversi dall’investitore iniziale.
I mercati monetari e i mercati dei capitali
Il mercato monetario ha per oggetto strumenti finanziari a breve termine (entro i 12mesi);il mercato dei capitali ha
per oggetto strumenti a medio e lungo termine. Nel mercato monetario prevale la funzione di gestione della liquidità
degli operatori: si impegnano temporanee eccedenze di fondi e si finanziano temporanei fabbisogni. Il mercato dei
capitali alimenta invece circuiti finanziari che, in rapporto alla durata della disponibilità dei fondi, sono a fronte di
fabbisogni per investimenti in capitali fisso, comunque a impieghi che hanno un ciclo economico di rientro non breve.
I mercati cash e i mercati derivati
La distinzione si richiama alla natura degli strumenti finanziari e allo svolgimento temporale dello scambio. I mercati
cash sono quelli in cui oggetto di negoziazione sono gli strumenti base (azioni, obbligazioni, cambi) e in cui le
transazioni prevedono uno scambio tra titolo e denaro con consegna e pagamento immediati. I mercati derivati hanno
per oggetto contratti che derivano appunto dagli strumenti base, nel senso che presuppongono la circolazione e la
negoziazione degli strumenti stessi.
I mercati primari e i mercati secondari
La distinzione ha come riferimento l’attività del mercato mobiliare. Il mercato primario è rappresentato dagli scambi in
sede di emissione dei titoli: quindi, tra emittente e investitore iniziale. Il mercato secondario è costituito dalle
negoziazioni che hanno per oggetto i titoli mobiliari (trasferibili) in circolazione.
I mercati ad asta e i mercati con market making
Questa distinzione richiama un aspetto tecnico-operativo rappresentato dal sistema di negoziazione e di pricing
adottato dal mercato. Nel caso dell’asta, il pricing è il risultato di un processo order driven: i flussi di ordini di acquisto
e di vendita vengono incrociati sulla base di priorità di prezzo e di tempo. I prezzi negoziati si muovono al rialzo in
funzione del prevalere di ordini d’acquisto che attirano contropartite di vendita solo per prezzi via via più alti. Nel caso
del market making si svolge un processo di pricing quote driven. L’organizzazione del mercato prevede la presenza di
intermediari finanziari che oprano come dealer (prendendo posizioni in proprio) e con una specifica funzione di
market making, cioè di quotazione dei titoli. L’intermediario espone le proposte di prezzo e le quantità cui è disposto a
comprare o vendere. Gli operatori del mercato, quando concordano con le proposte possono chiudere lo scambio
direttamente in contropartita con il marke maker.
I mercati regolamentati e non regolamentati
La distinzione fa riferimento alla presenza, da un lato, di forme di mercato che l’ordinamento riconosce
espressamente e che sono oggetto di autorizzazione a operare e di regolamentazione in ordine ai requisiti minimi
della società che li gestisce e alle regole organizzative e di funzionamento, dall’altro lato, di sistemi di scambi
organizzati per i quali si applica un principio di informazione a tutela degli investitori. In pratica si prende atto
dell’affermarsi di nuovi sistemi di negoziazione che si affianco ai mercati regolamentati e si apre uno scenario in cui
quest’ultimi non potranno più godere di vantaggi sotto forma di obbligo di concentrazione degli scambi e in cui tutti i
sistemi sono in concorrenza tra di loro. Un caso particolare è quello cosiddetto over-the-counter. Si tratta di una
soluzione caratterizzata da strumenti finanziari con un alto grado di specializzazione, disegnati di volta in volta sulle
specifiche esigenze delle controparti.
I mercati pubblici e i mercati privati
La classificazione si richiama al problema dell’assetto istituzionale e proprietario del mercato. Due modelli: il primo
prevede che un mercato sia un’organizzazione del tipo mercato-impresa, un’organizzazione cioè che opera seconda
una logica di stretta economicità. Essa quindi deve ricercare un proprio spazio di operatività in concorrenza con altri
mercati e deve offrire performance competitive. Il secondo modello è quello del mercato-pubblico, che nasce
attraverso un processo istitutivo delle autorità pubbliche, rientra nella proprietà pubblica, è sottoposto a organi di
governo e di controllo in cui è forte la presenza pubblica. L’idea di fondo è che un mercato, soprattutto in campo
finanziario, sia un qualcosa di cui non basta organizzare la regolamentazione e la vigilanza; è necessario che abbia una
natura istituzionale pubblica per meglio tutela l’interesse generale.
I mercati al dettaglio e i mercati all’ingrosso – i mercati fisici e i mercati telematici – i mercati domestici e i mercati
internazionali.
La funzione e la struttura dei mercati mobiliari
La principale funzione dei mercati finanziari è quella di contribuire all’efficiente allocazione delle risorse finanziarie ai
fini della formazione del capitale produttivo. Funzioni dei mercati mobiliari:
funzione di finanziamento: l’emissione il collocamento dei titoli nel mercato primario (azioni, obbligazioni)
corrispondo a una provvista di fondi per il soggetto emittente;
funzione di pricing dei titoli negoziati e di determinazione del rendimento atteso per ogni titolo;
funzione di liquidità dei titoli: i titoli negoziabili danno luogo al mercato secondario, cioè a un sistema di
scambi alimentato dalle operazioni di investimento/disinvestimento degli operatori; un efficiente mercato
secondario rende quindi liquidi i titoli indipendentemente dalla loro durata contrattuale;
funzione di riduzione dei costi di transazione: i costi operativi del trasferimento delle risorse possono essere
ridotti se gli scambi stessi sono centrati in una struttura dotata di razionalità organizzativa
funzione di trasferimento del controllo delle società per azioni: con specifico riferimento al mercato
azionario, la negoziabilità dei titoli rende possibile la ricomposizione degli assetti di controllo azionario delle
società emittenti; ciò comporta la possibilità che il controllo stesso si sposti da un’azionista all’altro.
La struttura di un mercato mobiliare si articola su tre componenti principali: i soggetti, gli strumenti e le procedure. I
soggetti sono riassumibili in tre categorie principali: gli intermediari, i gestori dei circuiti di negoziazione, le autorità di
controllo. A queste categorie interne del mercato occorre aggiungere quelle degli operatori che utilizzano il mercato, e
cioè gli investitori e gli emittenti. Gli enti gestori sono i soggetti responsabili della messa a punto e del funzionamento
dei circuiti di scambio e di pricing. Rapporti tra intermediari ed emittenti-investitori; l’area dello scambio, cioè il cuore
dell’organizzazione di mercato; l’area del regolamento, cioè del completamento dello scambio con la consegna dei
titoli e del corrispettivo monetario. Scambio e regolamento rappresentano le due fasi di cui si compone, in senso
stretto, il processo produttivo del mercato.
Il mercato monetario e il mercato dei cambi
Secondo un’accezione ristretta, il mercato monetario è rappresentato dall’insieme delle transazioni (sottoscrizioni,
rimborsi, negoziazioni di mercato secondario) su titoli a breve scadenza (fino a 12mesi). In un’accezione più ampia il
mercato monetario viene identificato in un’ottica funzionale: la definizione fa riferimento a specifiche esigenze degli
operatori economici e alla capacità di un determinato segmento di mercato di soddisfare tali esigenze. Secondo tale
accezione ampia, si identifica il mercato monetario come l’insieme delle transazioni di attività e passività finanziarie
(negoziabili e non) che agevolano l’aggiustamento delle posizioni di liquidità dei diversi operatori. Al mercato
monetario sono cioè interessati operatori che necessitano di temporanee operazioni di investimento, di
finanziamento. In generale, la presenza di un mercato monetario efficiente consente di ridurre al minimo il costoopportunità della detenzione di riserve di liquidità, riserve che presentano rendimenti più bassi rispetto a impieghi
alternativi.
La funzionalità del mercato monetario: il caso italiano
Se il ruolo del mercato è di agevolare la gestione delle posizioni di liquidità degli operatori, occorre che i titoli
emessi/negoziati e l’insieme delle relative transazioni presentino alcune fondamentali caratteristiche: scadenza
nominale breve o brevissima, alta negoziabilità sul mercato secondario, impersonalità dei rapporti tra emittenti e
sottoscrittori e delle transazioni di mercato secondario (solo i buoni ordinari del Tesoro raggiungono la qualificazione
di attività di mercato monetario nel caso italiano).
Nello sviluppo del mercato pesano soprattutto le esigenze del Tesoro dello Stato, piuttosto che l’esistenza di un
razionale disegno di innovazione. In Italia, esiste una gamma di strumenti finanziari rispondenti ai requisiti formali del
mercato monetario, ma il loro sviluppo è rimasto di entità trascurabile. In linea generale, un titolo trasferibile non è
condizione sufficiente per consentire un’agevole cessione prima della scadenza. Occorrono altri requisiti, tra i quali
devono essere ricordati: un limitato rischio di insolvenza dell’emittente, tagli minimi di investimento e di negoziazione
su importi accessibili, efficiente forme di organizzazione del mercato secondario. In linea generale, l’emissione di un
titolo mobiliare, per sua natura, avviene comunque su basi tendenzialmente impersonali, senza cioè la definizione
puntuale delle caratteristiche dell’operazione tra investitori e prenditori di fondi. Si può considerare che solo
l’emissione di buoni ordinari del Tesoro avvenga su basi decisamente impersonali.
La struttura e il funzionamento del mercato dei cambi
L’oggetto delle transazioni nel mercato dei cambi è rappresentato da disponibilità di fondi denominate in valute
diverse. Fondamentalmente, vengono definiti i prezzi della moneta nazionale in termini di monete estere. Il
trasferimento fisico della valuta è del tutto episodico, la norma è invece quella dei trasferimenti contabili (le
transazioni avvengono prevalentemente via circuito telefonico o telematico). In secondo luogo, sul mercato dei cambi
vengono svolte operazioni di compravendita la cui struttura contrattuale è riconducibile alle forme tradizionali delle
operazioni a pronti e a termine e ai contratti derivati del tipo swap, future e option.
Alcune delle principali funzioni svolte :Pagamenti correnti: il mercato rende possibile il cambio delle valute necessario
per regolare scambi commerciali tra operatori di paesi diversi (e con monete diverse); in questo senso, rappresenta un
fattore di facilitazione dei flussi di import ed export tra paese. A questa funzione si aggiunge poi quella di copertura
del rischio di cambio associato ai pagamenti commerciali. Flussi finanziari internazionali: l’investimento dei capitali
nei mercati azionari e obbligazionari o in qualsiasi altro strumento finanziario prevede comunque la scelta della valuta
in cui effettuare l’investimento stesso; il mercato dei cambi consente quindi la sistematica ridefinizione della valuta di
impiego della ricchezza finanziaria. Speculazione: i movimenti dei prezzi delle valute creano l’opportunità di compiere
operazioni a termine basate sulle aspettative di profitto legate alla capacità di prevedere l’andamento dei prezzi
stessi: così, gli operatori che prevedono un rialzo del cambio compreranno a termine; quelli che prevedono un ribasso,
venderanno.
Al mercato dei cambi partecipano diverse categorie di operatori:
in primo luogo, vi sono operatori per i quali la valuta estera rappresenta un veicolo per concludere iniziative
di natura economica o finanziaria (utilizzatori finali);
inoltre, sul mercato operano i cosiddetti speculatori, i quali operano per realizzare profitti attraverso la
previsione dell’andamento futuro dei cambi;
sul mercato dei cambi operano inoltre i cosiddetti arbitraggisti: soggetti che mirano a inserirsi nelle
imperfezioni del mercato, per ottenere profitti unitariamente ridotti ma tendenzialmente certi;
il contatto tra i diversi operatori (utilizzatori finali, speculatori e arbitraggisti) richiede l’intervento di
intermediari che agevolino la conclusione dell’accordo. I loro profitti deriveranno dallo spread tra prezzi di
vendita e di acquisto delle valute;
un altro attore importante è rappresentato dalle Banche centrali: a esse compete la funzione di gestione
delle riserve valutarie del paese e possono agire, nell’ambito della politica economica, con la finalità di
influenzare l’andamento del cambio della moneta nazionale.
Le caratteristiche del rapporto tra operatori finali e intermediari nello svolgimento delle diverse operazioni in cambi
influenzano la forma organizzativa del relativo mercato. Il mercato dei cambi assume fisiologicamente natura globale,
le negoziazione presentano un carattere di continuità nel tempo, non comune su altri tipi di mercato. Possono essere
identificati due differenti modelli strutturale che convivono all’interno del mercato dei cambi nella sua accezione più
ampia. Vi è, in primo luogo, l’insieme delle transazioni tra banche e operatori non bancari. La parte restante delle
transazioni riguarda invece i rapporti tra banche istituzioni finanziarie in genere. Tali rapporti danno luogo a
trasferimento di valuta seconda la logica del mercato di dealer, mercato che si basa sull’assunzione di posizioni in
proprio da parte degli intermediari operanti.
Il mercato monetario e il mercato dei cambi: differenze e affinità
Il mercato dei cambi è l’insieme delle operazioni finalizzate a convertire la moneta di un paese di quella di un altro
paese. Tale semplice definizione mette in luce due elementi di differenziazione tra mercato monetario e mercato dei
cambi: nel primo, l’oggetto delle transazioni è rappresentato da titoli a breve scadenza, nel secondo, da disponibilità
in una valuta contra un’altra. Inoltre il primo può essere un mercato a rilevanza solo domestica, il secondo è invece
per definizione un mercato a carattere internazionale. Vi sono in realtà alcuni motivi per considerarli affini: su
entrambi i mercati un ruolo centrale è ricoperto dalle banche; entrambi i mercati sono oggetto dell’intervento della
Banca centrale.
Il mercato dei capitali
Funzioni e strumenti negoziati
Il mercato dei capitali è costituito dalla negoziazione degli strumenti finanziari con scadenza superiore ai 12mesi. Si fa
riferimento ai due grandi settori: quello dei titoli azionari e quello dei titoli di debito, e cioè delle obbligazioni emesse
sia dalle autorità pubbliche (Tesoro dello Stato o enti), sia da soggetti privati come imprese e istituzioni finanziarie.
Data la loro durata medio-lunga, gli strumenti del mercato dei capitali rappresentano la fonte elettiva per il
funzionamento degli investimenti in capitale fisso, cioè a ciclo di utilizzo pluriennale.
L’organizzazione e il funzionamento del mercato azionario
I titoli azionari rappresentano una quota di proprietà della società emittente. Per il sottoscrittore sono un
investimento con rendimento legato alla distribuzione degli utili (dividendi) e ai guadagni in conto capitale risultanti
dall’incremento di valore della società. A fronte, comportano un rischio relativamente elevato, in quanto influenza
dall’incertezza degli incrementi di valore e dalla posizione di residual claimant dell’azionista rispetto ai creditori. Per
l’emittente sono strumenti rappresentativi del capitale proprio della società e costituiscono, al tempo stesso, una
modalità di provvista di fondi e una formula contrattuale che contiene i diritti proprietari e i diritti relativi alle decisioni
fondamentali di indirizzo della società. Il settore del mercato dei capitali dedicato alle azioni è comunemente
denominato borsa (mercato azionario regolamentato); con questo termine si intende un mercato organizzato e
regolamentato, caratterizzato cioè da diverse specificità istituzionali, tecniche e operative. Gli elementi costitutivi e
qualificanti di una borsa sono i seguenti: la presenza di un soggetto giuridico e responsabile della gestione del
mercato; l’esistenza di una struttura fisica e logistica di un mercato; la definizione di requisiti per l’ammissione delle
società o dei titoli alla quotazione; la standardizzazione dei contratti di compravendita; la presenza di intermediari
ufficiali a cui gli operatori si rivolgono in via esclusiva per la conclusione delle transazioni; la definizione di procedure
standardizzate per le negoziazioni; l’esistenza di organi di controllo super partes.
Identificazione fisica del mercato: la maggior parte dei mercati organizzati è ormai funzionante con modelli di
negoziazione telematica. Si può quindi considerare che la sede fisica di un mercato abbia senso solo in quanto
corrisponde alla sede della società di gestione del mercato.
Requisiti di ammissione dei titoli: vengono stabiliti per offrire agli investitori titoli agevolmente negoziabili, emessi da
società aventi requisiti economico-finanziari adeguati. I requisiti di ammissione riguardano sia le società, sia i titoli
quotati; la Borsa Italiana adotta requisiti di questo tipo: le società devono possedere la capacità di generare ricavi in
condizioni di autonomia gestionale; i titoli devono essere liberamente trasferibili; inoltre, devono essere
adeguatamente diffusi tra il pubblico degli investitori, creando il cosiddetto flottante (25% del capitale), che eviti il
congelamento degli stessi nel portafoglio dei soci di maggioranza e garantisca almeno potenzialmente un’adeguata
fluidità alle transazioni; complessivamente, devono avere una capitalizzazione di mercato di almeno 5milioni di euro.
Standardizzazione dei contratti: sulla bora devono confluire infatti operazioni di compravendita, impostate e concluse
secondo strutture contrattuali standard, in modo che l’accordo tra le parti sia più rapido e agevole.
Intermediari ufficiali: l’organizzazione delle borse come mercati di broker o di dealer agevola le transazioni e
l’efficacia del pricing. È bene tuttavia specificare che la fluidità delle transazioni è potenzialmente crescente passando
da un mercato sul quale operano broker (che agiscono per conto altrui) a uno di dealer (che agendo per conto proprio
possono decidere di diventare controparte diretta di un’operazione), a uno di market maker (che si impegnano a
prezzi predefiniti a rendersi controparte diretta di una certa operazione). In realtà la funzione degli intermediari che
operano per conto terzi è normalmente associata a forme di mercato ad asta. In questo caso, gli intermediari broker
svolgono la funzione essenziale della raccolta degli ordini e della loro immissione nel processo di asta.
Standardizzazione delle negoziazioni e delle modalità di regolamento: la forme di negoziazione delle borse
riguardano le modalità con cui sul mercato vengono fatti confluire gli ordini di acquisto/vendita e il conseguente
meccanismo di fissazione del prezzo. Meccanismo di asta a chiamata: il sistema prevede che giornalmente a ogni
singolo titolo quotato vengano dedicati alcuni minuti, durante i quali i broker in possesso di ordini di acquisto o
vendita per quel titoli si confrontano verbalmente fino ad arrivare a determinare un prezzo che soddisfi la maggior
parte degli ordini portati sul mercato dagli intermediari. Tale prezzo rappresenta il prezzo ufficiale del titolo. Da diversi
anni la borsa adotta un altro sistema di negoziazione, detto di asta continua, un sistema cioè che accoglie i flussi
continui di ordini di vendita e di acquisto, incrociando automaticamente quelli compatibili per quantità e prezzo. Le
negoziazioni relative a un titolo quotato non si concentrano più in un dato momento, come accadeva in precedenza
con l’asta a chiamata, ma si distribuiscono lungo l’intero arco della giornata borsistica, dando luogo a tanti prezzi
ufficiali quante sono le negoziazioni concluse.
Autorità di controllo: la regolamentazione e la vigilanza sulla borsa riguardano diverse aree di intervento: i rapporti
tra investitori, emittenti e intermediari; l’organizzazione degli scambi; le procedure di regolamento. Queste aree
giustificano mix differenti di regolamentazione (CONSOB) e autoregolamentazione.
Il mercato obbligazionario
Il mercato obbligazionario è l’insieme delle transazioni sui titoli di debito aventi convenzionalmente scadenza
nominale superiore ai 12 mesi. I punti su cui si focalizzerà l’attenzione sono quelli dei rapporti tra emittenti e
investitori in sede di mercato primario e delle negoziazioni sul mercato secondario.
Mercato primario: dal lato degli emittenti si osserva negli anni l’elevata quota delle emissioni del settore pubblico.
Scarso rilievo hanno invece le emissioni obbligazionarie delle imprese industriali. Ciò dipende principalmente dalla
struttura societaria del nostro paese, incentrata sulle unità di piccole e medie dimensioni, e dal trattamento fiscale
relativamente oneroso cui, fino a ora, sono stati sottoposti gli interessi dei titoli in questione. Dal lato degli investitori,
risulta ancora più marcata la tendenza alla riduzione del ruolo delle banche, a fronte della crescita del peso del settore
privati (investitori individuali) e di quello degli investitori istituzionali (fondi comuni, gestioni patrimoniali,
assicurazioni). Si può quindi dire che oggi il principale circuito di emissione/sottoscrizione di titoli obbligazionari è
rappresentato dai rapporti tra settore pubblico (Tesoro in particolare) e investitori individuali. La situazione attuale:
gran parte delle obbligazioni è collocata nei portafogli di investitori individuali e per gli emittenti sorge il problema di
come attivare il contatto con il mercato dei sottoscrittori. Il Tesoro ha privilegiato i seguenti aspetti: sistematicità e
regolarità delle emissioni (in questo modo gli investitori interessati ai titoli di Stato conoscono il momento in cui
attivarsi per procedere con la sottoscrizione); meccanismo dell’asta (per procedere tecnicamente all’assegnazione
competitiva dei titoli tra gli investitori); utilizzo delle banche come intermediari nei confronti con il pubblico (solo le
banche e alcuni investitori istituzionali possono partecipare direttamente alle aste di collocamento dei titoli di Stato.
Il mercato secondario: si possono identificare due segmenti di transazioni sui titoli obbligazionari: quello al dettaglio e
quello all’ingrosso: ogni segmento è di fatto funzionale alle esigenze delle diverse categorie di investitori. Nel caso
italiano, la quasi totalità delle obbligazioni in circolazione è quotata. Nella Borsa di Milano vi è un circuito di
negoziazione al dettaglio ad asta continua (MOT), che riguarda da un lato i titoli di Stato e dall’altro le obbligazioni
private. Accanto a questo vi è un secondo segmento per le transazioni all’ingrosso. Inoltre, si rileva il funzionamento di
un segmento in parte analogo ai cosiddetti mercati over-the-counter, segmento che vede come protagonisti principali
gli investitori individuali e le banche. L’impulso alle transazioni viene generalmente dagli investitori individuali, nel
momento in cui effettuano operazioni di acquisto/vendita su obbligazioni in circolazioni, con fine di riaggiustamento di
portafoglio. Tali operazioni sono unitariamente ridotte riguardo alla loro dimensione, ma globalmente possono essere
numerose e continue, stante la notevole diffusione dei titoli presso il pubblico.
L’efficienza dei mercati finanziari
Tre aspetti dell’efficienza: allocativa, informativa e operativa
L’efficienza allocativa
Al mercato finanziario, nelle sue componenti creditizia e mobiliare, viene di norma attribuita la funzione primaria di
garantire un’efficiente allocazione delle risorse disponibili. In line teorica, esse devono essere distribuite fra le unità
richiedenti secondo un ordine di priorità basato sui rendimenti attesi dei possibili impieghi. In altri termini, perché
l’allocazione delle risorse possa definirsi efficiente, è necessario che la produttività marginale del capitale sia la
medesima per tutte le forme di impiego selezionate in modo che non vi sia spazio per procedere a una sua
riallocazione; un’eventuale azione ridistributiva non sarebbe in tal caso in grado di apportare un beneficio
incrementale. Le condizioni indispensabili perché si possa parlare di mercato efficiente sono individuabili nella
necessità che tutti gli attori del mercato siano esaurientemente informati sulle opportunità disponibili e nell’esigenza
che le norme di condotta e i modelli gestionali degli investitori finali, degli intermediari e dei prenditori siano orientati
da funzioni obiettivo convergenti verso la massimizzazione della propria funzione di utilità. Il si sistema dei prezzi
(rendimenti) svolge una funzione critica sotto vari aspetti: da un lato riveste un ruolo allocativo facendo affluire le
risorse la dove sono più scarse; da un altro lato sviluppa una funzione distributiva determinando, in base alle risorse
disponibili, le quantità scambiabili; per ultimo, ottempera a una funzione informativa aggregando informazioni e
convogliandole al mercato. Perché tutte e tre le funzioni possano essere assolte correttamente è necessario che i
prezzi siano significativi e riflettano uno stato di equilibrio.
L’efficienza informativa
L’efficienza allocativa presuppone che tutte le informazione rilevanti relative ai richiedenti fondi siano liberamente ed
economicamente disponibili a tutti i potenziali investitori. Si evoca così un principio di efficienza informativa che
appare strumentale e condizione necessaria perché le risorse disponibili siano distribuite in modo ottimale. Un
mercato può essere definito efficiente sotto il profilo informativo se: i prezzi riflettono costantemente tutta
l’informativa disponibile e, dato un certo set di informazioni, non è possibile ottenere un beneficio economico facendo
leva su di esso; e se gli operatori agiscono razionalmente in modo da massimizzare la propria funzione di utilità.
L’ipotesi di mercato efficiente può essere quindi disattesa a due diversi livelli del processo di formazione del prezzo;
più precisamente perché si crea un gap informativo fra i potenziali scambisti o perché questi ultimi, operando in
condizioni di razionalità limitata, non riescono a formare correttamente un’aspettativa di rendimento. Il livello di
efficienza informativa è inversamente proporzionale ai tempi di diffusione necessari al mercato per integrare nei
prezzi nuove informazioni e alla lunghezza del percorso che le informazioni devono compiere perché si possa
raggiungere un nuovo stato di equilibrio. Tre diversi stati di efficienza informativa: efficienza debole, semiforte, forte.
L’efficienza debole corrisponde allo stato in cui le attese di rendimento degli impieghi e i prezzi incorporano tutte le
informazioni storiche. Ciò vuol dire che non c’è informazione relativa al passato dell’emittente e alla storia dei prezzi
dello strumento che possa consentire di trarre un beneficio di prezzo, visto che la valenza positiva o negativa
dell’informazione è stata comunque già scontata dal mercato mediante aggiustamenti dei prezzi e quindi dei
rendimenti attesi. Soltanto chi disponesse di informazioni a carattere prospettico potrebbe quindi trarre profitto da
eventuali operazioni di arbitraggio, volte a ricomporre in modo ottimale il portafoglio o a ottenere guadagni di tipo
speculativo. La forma di efficienza semiforte presuppone che i rendimenti-prezzi riflettano l’informazione pubblica.
Sulla base di tale informazione quindi non è possibili conseguire profitti basati su aspettative di variazione dei prezzi.
Contiene informazioni anche sui scenari economici e sulle prospettive dell’emittente. Per ultima l’efficienza forte che,
partendo dal presupposto che i prezzi incorporano tutta l’informativa sia pubblica che privata, sia storica che
prospettica, porta a negare la possibilità di anticipare il mercato e quindi di negoziare valori mobiliari a condizioni
vantaggiose sul piano economico. Nonostante le regole di trasparenza, permangono informazioni private sfruttabili a
proprio vantaggio dagli insider trader.
L’efficienza operativa
il conseguimento dell’efficienza informativa, e quindi dell’efficienza allocativa, è condizionato anche dalla sussistenza
di condizioni di efficienza tecnica a livello microeconomico e di efficienza funzionale a livello di mercato. Nel primo
caso si intende fare riferimento alla necessità che gli intermediari, o gli stessi investitori finali in caso di scambio
diretto, razionalizzino la proprio struttura dei costi in modo da limitare il peso degli oneri di transazione; nel secondo,
invece, a tutte quelle condizioni atte ad agevolare l’incontro fra domanda e offerta e ad accrescere la significatività del
sistema dei prezzi e la sua attitudine a informare rapidamente e in modo efficiente gli operatori interessati. Entrambi i
concetti sono riconducibili a quello più generale dell’efficienza operativa. Le performance del mercato e la funzionalità
delle relative forme organizzative possono essere stimate sulla base dell’osservazione congiunta di parametri quali: lo
spessore, l’ampiezza, l’elasticità. Lo spessore di un mercato dipende dall’esistenza di ordini di acquisto o vendita basati
su prezzi sia superiori che inferiori a quello corrente, secondo una distribuzione ampia e fitta, tale da impedire
variazione dei corsi con forti discontinuità. È altresì necessario che gli investitori o chi agisce per loro conto siano
debitamente informati e possano intervenire tempestivamente sul mercato. L’ampiezza è invece funzione della
consistenza del volume di ordini da eseguire per ogni possibile livello di prezzo. In un mercato ampio, eventuali vuoti
fra domanda e offerta dovrebbero essere riassorbiti senza provocare oscillazioni troppo marcate dei prezzi. Il
presupposto fondamentale è di natura informativa e risiede nella rapidità con cui il più alto numero di operatori
possibile può venire a conoscenza dell’afflusso di nuovi ordini sul mercato e rivedere le proprie politiche di intervento.
L’elasticità del mercato dipende invece dalla tempestività con cui il mercato reagisce ai segnali impliciti nelle variazioni
di prezzo. Tale reazione deve evidentemente avvenire senza soluzione di continuità, in modo che eventuali squilibri fra
domanda e offerta generino flussi di ordini di segno opposto tali da produrre un effetto stabilizzatore dei prezzi.
Condizione atta ad aumentare l’elasticità del mercato è l’immediata diffusione delle informazioni su ordini eseguiti e
proposti e sui prezzi praticati. Tra le condizioni di funzionalità del mercato ed efficienza informativa vi è pertanto un
rapporto biunivoco: se, infatti, i parametri di spessore, ampiezza ed elasticità sono influenzati dal livello di efficienza
raggiunto dal processo di integrazione delle informazioni di mercato, essi stessi, a loro volta, contribuendo a dare
liquidità al mercato, accrescono l’efficienza dei meccanismi di pricing favorendo il costante e tempestivo
riallineamento dei prezzi al valore intrinseco dei titoli negoziati.
Gli elementi per una teoria dell’intermediazione finanziaria
L’organizzazione degli scambi nel sistema finanziario: scambio diretto, assistito e intermediato
Lo scambio diretto e autonomo: i datori e i prenditori di risorse finanziarie, o gli attori della domanda e dell’offerta,
scambiano senza fare ricorso ad alcun intermediario, se non per ragioni meramente tecniche. Lo scambio diretto e
assistito: gli attori della domanda e dell’offerta sono controparti dirette, ma non negoziano autonomamente perché
sono in vario modo assistiti da un intermediario senza il cui intervengo l’incontro degli scambisti non avrebbe luogo. In
questo caso l’intermediario svolge un ruolo sostanziale di ricerca e selezione della controparte per uno degli scambisti.
Lo scambio indiretto o intermediato: gli attori della domanda e dell’offerta non scambiano direttamente e quindi non
divengono controparti dirette della negoziazione. Il trasferimento di risorse finanziarie si realizza per circuito indiretto
o intermediato, mediante l’intervento di uno o più intermediari che assumono il ruolo di scambista intermedio.
Quest’ultimo si costituisce debitore nei confronti del datore primario di risorse finanziarie e creditore verso il
prenditore finale di risorse: in altri parole, l’intermediario interpone il proprio stato patrimoniale fra questi due
soggetti.
Nei primi due tipi di circuiti di scambio, gli strumenti finanziari impiegati sono in genere costruiti dagli stessi prenditori
finali delle risorse, secondo gli usi di mercato (in prevalenza valori mobiliari). Nel terzo tipo di circuito è lo stesso
intermediario che produce gli strumenti finanziari necessari per lo scambio. Nello scambio diretto assistito,
l’intermediario agisce in nome e per conto del cliente e perciò stipula contratti che hanno effetto giuridico ed
economico direttamente in capo a questi. Al contrario, nello scambio indiretto l’intermediario sottoscrive in proprio gli
effetti giuridico-economici dei contratti o strumenti posti in essere per realizzare il trasferimento delle risorse. Dal
punto di vista formale e terminologico il complesso delle attività svolte dall’intermediario nell’ambito dei circuiti di
scambio diretto e assistito viene definito intermediazione mobiliare, in quando si realizza in genere su strumenti di
mercato mobiliare. Diversamente, l’attività di scambio indiretto e intermediato viene definita intermediazione
creditizia per la veste di creditore/debitore dei sistemi e dei mercati finanziari.
I caratteri dello scambio finanziario: durata e incertezza. Utilità dell’informazione e della tecnica contrattuale
L’oggetto dello scambio è rappresentato dalle risorse finanziarie o dalla proprietà delle stesse per un certo periodo di
tempo. Lo scambio finanziario è costituito da prestazioni monetarie di segno opposto e distanziate nel tempo. Il
datore di risorse finanziarie effettua una prestazione attuale (trasferimento a titolo oneroso della proprietà di
determinate risorse finanziarie) in contropartita di una prestazione futura del prenditore (restituzione capitale e
rimunerazione pattuita). L’estensione temporale dello scambio produce necessariamente la conseguenza che le due
prestazioni costitutive del contratto hanno intrinsecamente diverso grado di incertezza. Infatti la prestazione del
datore è certa una volta effettuata mentre quella del prenditore è aleatoria. L’incertezza può anche essere interna al
contratto stesso, nell’ipotesi che questo esplicitamente contenga clausole che rendono variabile la prestazione dei
prenditore oppure consentano a esso un’espressione di discrezionalità. Il livello dell’incertezza dipende
dall’informazione previsiva che il datore di risorse/investitore riesce a ottenere in merito ai profili di rischio
dell’investimento. Per una decisione di investimento appropriata occorre disporre ex ante dell’informazione maggiore
e migliore possibile.
I fattori di imperfezione del mercato finanziario, con particolare riferimento ai circuiti dello scambio diretto
L’osservazione dei circuiti di scambio nei mercati finanziari rivela che esistono diversi fattori che condizionano,
limitano o impediscono lo scambio diretto di risorse finanziarie fra datori primari e prenditori finali. Le situazioni di
ricerca di opportunità di scambio creano soggetti insoddisfatti. Tale situazione di incompletezza e di imperfezione del
mercato consente di proporre spiegazioni convincenti dell’evoluzione dei mercati mobiliari e
dell’esistenza/funzionamento degli intermediari finanziari.
L’asimmetria informativa e il comportamento opportunistico: motivi di astensione allo scambio
L’analisi delle condizioni di contesto dello scambio finanziario evidenza che gli scambisti potenziali dispongono di
informazioni limitate o incomplete in merito all’esito prevedibile del contratto finanziario. Si pone il problema di
valutare se l’informazione disponibile sia sufficiente per formulare una decisione di scambio consapevole. Il rapporto
tra i potenziali scambisti è strutturalmente caratterizzato da una situazione di asimmetria informativa a svantaggio
dell’investitore potenziale. Inoltre, questi subisce il rischio di comportamento opportunistico della controparte che è
in grado di sfruttare la propria condizione di superiorità informativa e che spesso rappresenta la principale fonte di
informazione. Si noti che la situazione descritta si verifica prima della decisione di scambio: perciò si usa parlare di
asimmetria informativa ex ante e di comportamento opportunistico precontrattuale. Se l’informazione è insufficiente
e vi è aspettativa di comportamento opportunistico, l’investitore potenziale si astiene dallo scambio. Il mercato e il
sistema dei prezzi non riescono a determinare l’equilibrio fra domanda e offerta di fondi (quindi mercato imperfetto e
incompleto). La situazione di asimmetria informativa si mantiene anche dopo la decisione di scambio e si prolunga per
tutta la sua durata, con la condizione aggravante che, dopo la stipulazione del contratto, il processo informativo del
datore è più subordinato alla discrezionalità, ed eventualmente al comportamento opportunistico postcontrattuale,
della controparte che possiede la percentuale maggiore delle fonti di informazione rilevante e può mettere in atto
comportamenti discrezionali.
La divergenza delle preferenze degli scambisti
Nella formazione della decisione di scambio confluiscono le preferenze degli scambisti, le quali riflettono anzitutto le
propensioni dei soggetti che intendono scambiare. Si suolo distinguere fra propensione al rischio e propensione alla
liquidità. Assumendo l’ipotesi che gli scambisti dispongano di informazione sufficiente per formulare una decisione di
scambio, questo può di fatto realizzarsi soltanto alla condizione che le rispettive propensioni siano convergenti. In
altre parole, se il rischio e la scadenza impliciti nella domanda di risorse finanziarie del potenziale prenditore fossero
superiori ai livelli massimi di accettazione del datore potenziale, lo scambio non potrebbe avere luogo. La possibile
divergenza delle preferenze dei datori e prenditori individuali di risorse finanziare determina una situazione di non
fattibilità dello scambio. Mediamente, i soggetti dell’offerta di fondi esprimono minore propensione al rischio e
maggiore propensione alla liquidità dei soggetti della domanda di fondi. In sostanza: l’offerta di fondi per tipi di
investimento a basso rischio e a scadenza breve eccede la domanda, viceversa, la domanda di fondi per progetti
imprenditoriali ad alto rischio e a scadenza protratta eccede l’offerta. Ne deriva un certo numero di prenditori e di
datori di risorse finanziarie che non trova contropartita di scambio. Il mercato è incompleto.
La razionalità limitata
I soggetti che compiono scelte finanziarie in genere non dispongono di modelli adeguati e di conoscenza sufficiente
delle variabili rilevanti e fanno quindi uso di modelli semplificati e di criteri approssimativi. Nella teoria che analizza i
comportamenti decisionali degli operatori è largamente condiviso il riferimento al conetto di razionalità limitata, per
indicare il fatto che il processo decisionale non ha un fondamento esclusivamente e totalmente razionale; il limite
della razionalità del soggetto decisore dipende dalla combinazione di vari fattori (grado di intelligenza, livello di
professionalità, informazioni e conoscenze possedute….). Tutto ciò contribuisce a condizionare l’efficienza delle scelte
di scambio e, quindi, l’efficienza del funzionamento del mercato. Pertanto, il fenomeno della razionalità limitata è un
fattore di imperfezione del mercato. È interessante rilevare che la condizione di razionalità limitata interagisce con
quella di informazione limitata. Ogni scelta di scambio finanziario non può essere razionale se il soggetto non dispone
di un’informazione necessaria e sufficiente.
I costi di transazione
Un’ulteriore caratteristica dello scambio finanziario è la presenza di costi di transazione. Per costo di transazione si
intende l’insieme degli oneri che il soggetto sostiene per effettuare e gestire lo scambio. La considerazione delle
ipotesi alternative di informazione limitata, di razionalità limitata e di incertezza spiega l’esistenza dei costi di
transazione. I costi di transazione rilevanti possono essere identificati secondo le seguenti specificazioni analitiche:
costi di ricerca delle opportunità di scambio; costo di ricerca/acquisto delle informazioni; costo di valutazione delle
controparti potenziali; costo di selezione delle opportunità valutate; costi di esecuzione dello scambio; costi di
valutazione dei rischi derivati dagli effetti dei possibili cambiamenti di mercato sullo svolgimento dello scambio; costi
di gestione dello scambio nel periodo compreso fra la sua stipulazione e la sua scadenza. La frequenza dello scambio
consente di realizzare economie nello sfruttamento ripetuto di alcuni costi fissi. I costi di transazione possono
determinare la non convenienza degli scambi, riducendone il rendimento netto o aumentandone il costo netto. Il
questo contribuiscono a ridurre il volume degli scambi convenienti (e quindi fattibili), essi costituiscono un fattore
importante di imperfezione del mercato.
Le modalità organizzative dei mercati mobiliari e la riduzione dei fattori di imperfezione e incompletezza
I mercati finanziari fondati sullo scambio diretto sono quindi incompleti e imperfetti. Questa circostanza costituisce
una ragionevole spiegazione dell’esistenza e dell’economicità degli intermediari finanziari. Tuttavia, l’esperienza dei
paesi economicamente più progrediti dimostra che i sistemi finanziari tendono a orientarsi sempre di più ai mercati
mobiliari, cioè ai circuiti di scambio diretto, il cui flusso tende ad aumentare sia in valore assoluto, sia in rapporto al
valore totale degli scambi finanziari. Ciò accade perché gli stessi mercati mobiliari, in particolare quelli regolamentati,
diventano progressivamente più efficienti nel senso che il loro sviluppo attenua gli effetti dei ricordati fattori di
imperfezione.
L’organizzazione del mercato contribuisce in diversi modi attenuare l’asimmetria informativa, aumentando, per
quantità e qualità, l’informazione disponibile per il potenziale investitore. Ciò è caratteristico soprattutto nei mercati
regolamentati, nei quali vengono imposte normative sull’informazione da diffondere. Presenza agenzie di rating.
Nel contesto dei mercati regolamentati anche il problema dei comportamenti opportunistici trova efficaci, ancorché
parziali, soluzioni. La regolamentazione definisce norme comportamentali che limitano la discrezionalità degli
operatori e quindi stabiliscono degli standard deontologici.
A prescindere dalla regolamentazione, è la stessa logica fiduciaria intrinseca allo scambio finanziario che contribuisce a
una spontanea autolimitazione dei comportamenti opportunistici da parte dei soggetti interessati. I comportamenti
finanziari si conformano alle regole implicite delle relazioni di scambio continuative e durature, in cui la negoziazione
può essere mantenuta e ripetuta soltanto se le obbligazioni precedenti sono state contrattualmente assolte. Nella
prospettiva della ripetibilità dello scambio, l’emittente di passività ha un evidente interesse prevalente a mantenere e
a consolidare buona reputazione.
Per quanto riguarda la divergenza delle preferenze degli scambisti, nei mercati mobiliari si è gradualmente sviluppata
la diversificazione/specializzazione degli strumenti finanziari, con effetto di miglioramento della loro specifica
funzionalità rispetto ai bisogni degli operatori.
Infine, il miglioramento dell’efficienza dei mercati diretti si è manifestato nel progressivo abbassamento del livello dei
costi di transazione (per: accentramento delle negoziazioni, perfezionamento tecnologico, market making, aumento
informazione…).
In conclusione svariate condizioni esogene ed endogene concorrono a correggere e a rimuovere le condizioni di
impedimento allo scambio finanziario diretto e quindi a ridurre le situazioni di imperfezione dei relativi mercati. Le
condizioni di perfezionamento dei mercati diretti non possono essere realizzate in modo uniforme e a vantaggio di
tutti. Pertanto i fattori di imperfezione del mercato rimangono e producono ancora effetti rilevanti. Da ciò l’ipotesi che
i soggetti sono interessati a ricorrere a organizzazioni specializzate e professionali nell’attività sui mercati, e quindi non
è casuale che, parallelamente allo sviluppo dei circuiti di scambio diretto, si rivela uno sviluppo ancora maggiore delle
forme di scambio diretto assistito.
Gli intermediari finanziari, attori del completamento dei mercati finanziari
La funzione dell’intermediari finanziario rispetto alla situazione di asimmetria informativa può essere rappresentata
nel fatto che esso raccoglie, seleziona, elabora e utilizza informazione. L’intermediario creditizio, interponendosi tra
prenditori finali di fondi e datori primari, acquisisce in proprietà e gestisce attività finanziarie, selezionate e controllate
mediante l’informazione posseduta, assumendone in proprio i rischi, e contemporaneamente produce passività
caratterizzate da un livello di rischio assai inferiore. Risulta quindi evidente la circostanza che in concreto
l’intermediario creditizio colma il gap informativo esistente fra prenditori e datori e comunque opera in modo da
rendere irrilevante la condizione di svantaggio informativo del datore di fondi non informato. La fiducia di questi si
fonda principalmente sulla reputazione di professionalità, correttezza e solvibilità sviluppata dall’intermediario e
assicurata dalla sua esperienza e dalla sua notorietà. Il problema della divergenza delle preferenze fra i soggetti della
domanda e dell’offerta per quanto riguarda la durata dello scambio viene risolto dagli intermediari creditizi
negoziando nello stesso tempo con i prenditori e i datori di fondi rispettivamente contratti di credito e di debito con
profili di scadenza differenziati. Essi svolgono, pertanto, una funzione fondamentale di trasformazione delle scadenze,
soddisfacendo contemporaneamente bisogni di finanziamento a scadenza non breve e bisogni di investimento
caratterizzati da una prevalente propensione per la liquidità. Il problema della divergenza fra il livello di rischio
proposto dal prenditore di fondi e quello, mediamente inferiore, accettato dall’investitore trova soluzione nella
capacità dell’intermediario, in forza di una superiore competenza informativa, di valutare, selezionare, comporre e
controllare le opportunità di investimento. Oltre allo sfruttamento di un consistente vantaggio informativo,
l’intermediario è in grado di applicare modelli e tecniche di collettivizzazione del rischio che gli consentono di
realizzare strutture di portafoglio il cui profilo di rendimento/rischio è migliore della media ponderata dei profili di
rendimento/rischio dei singoli investimenti che compongono il portafoglio stesso (trasformazione del rischio).
Trasformando sia le scadenze sia i rischi, l’intermediario creditizio realizza l’obiettivo di produrre passività
caratterizzate da rischio attenuato o nullo e da scadenza breve o a vista, cioè molto liquide. Ciò spiega in che senso la
teoria degli intermediari finanziari affermi che essi svolgono una funzione di produzione di liquidità. Infine,
l’intermediario concorre pure a risolvere il problema dei costi di transazione, esso organizza combinazioni produttive
di tipo industriale, con criteri di professionalità elevata e di efficienza operativa, e impiegando tecnologie avanzate;
inoltre egli opera in condizioni di mercato competitivo.
I mercati e gli intermediari: concorrenza e complementarietà
Una misura significativa dell’orientamento al mercato o agli intermediari può essere data dal rapporto fra le attività e
le passività prodotte dagli intermediari e il totale delle attività finanziarie in essere. In conseguenza del
perfezionamento dei mercati mobiliari, le funzioni degli intermediari cambiano in senso evolutivo e innovativo: da un
lato fra mercati e intermediari esiste un rapporto di concorrenza (un trasferimento di risorse effettuato
dall’intermediario creditizio è sottratto al mercato diretto, e viceversa), dall’altro fra il funzionamento dei mercati
mobiliari e l’attività degli intermediari finanziari si sviluppano relazioni di complementarietà sempre più intense e
diversificate, nel senso che gli intermediari contribuiscono in misura crescente allo sviluppo degli scambi nei mercati
mobiliari, e questi ultimi offrono agli intermediari maggiori opportunità di attività e di servizio. La relazione di
complementarietà fra intermediari e mercati mobiliari si concreta nelle seguenti situazioni: l’intermediario creditizio
attualmente si finanzia in misura crescente con l’emissione di obbligazioni che concorrono allo sviluppo dimensionale
e alla diversificazione dei mercati mobiliari; l’intermediario mobiliare sviluppa attività complementari con il mercato
mobiliare, poiché da un lato esso sostiene e assiste le imprese che emettono strumenti di debito e di capitale e
dall’altro utilizza gli strumenti mobiliari per comporre portafoglio di investimento per la propria clientela. È importante
non dimenticare nello spazio dello scambio autonomo e assistito, la presenza degli intermediari creditizi in quanto
emittenti diretti o indiretti di obbligazioni. in definitiva, le tendenze attuali confermano una progrediente
compenetrazione fra intermediari e mercati mobiliari: in un certo senso si potrebbe anche dire che è in atto un
processo di bancarizzazione dei mercato mobiliari, da leggersi come mercatizzazione degli attivi e dei passivi bancari.
La cartolarizzazione dei crediti: innovazione radicale dei modelli di intermediazione?
La cessione di crediti con la tecnica di cartolarizzazione, cioè verso un soggetto terzo (lo special purpose vehicle, SPV)
che emette contestualmente proprie obbligazioni (asset backed securities), produce tre effetti potenti:
un effetto di velocità: la cessione di crediti genera immediatamente liquidità, cioè risorse finanziarie
nuovamente disponibili per la concessione di altri prestiti;
un effetto di allargamento dello opportunità di raccolta, poiché i titoli obbligazionari concessi dallo SPV
vengono in genere acquistati da investitori istituzionali che non fanno parte della clientela depositante della
banca;
un effetto istantaneo di disintermediazione programmata poiché è la stessa banca che, con propria decisione,
trasferisce l’intermediazione creditizia in capo allo SPV appositamente costituito e emittente di strumenti
mobiliari (le ABS) appositamente designati con clausole differenziate di prelazione, con rating di agenzie
esterne e con coerenti profili di rendimento, in modo da corrispondere alle preferenze rendimento-rischio di
investitori istituzionali.
La cessione di crediti mediante cartolarizzazione degli stessi costituisce una radicale reingegnerizzazione del processo
di intermediazione creditizia, il cui finanziamento viene sostenuto dagli investitori tipici dei mercati mobiliari. Si tratta
quindi di una sostanziale innovazione della tecnologia del processo di intermediazione creditizia, in quanto questa
viene di fatto esternalizzata. Il passaggio della banca dal modello originate-and-hold (la banca produce i prestiti e li
tiene in bilancio) al modello originate-to-distribute (la banca produce i prestiti e li trasferisce e in sostanza li
distribuisce poiché le ABS vengono appunto distribuite).
La domanda di prodotti e servizi finanziari e assicurativi
I profili di efficienza-efficacia della gestione finanziaria. La genesi e gli oggetti della domanda di servizi finanziari
Ogni soggetto ha la necessità di realizzare una gestione finanziaria finalizzata prioritariamente a conseguire e a
mantenere nel tempo l’equilibrio finanziario in condizioni di economicità. La gestione finanziaria è quindi preordinata
a governare sia l’equilibrio dei flussi di cassa, sia l’equilibrio delle strutture finanziarie, composte dalle attività e/o
dalle passività finanziarie generate dall’accumulo sequenziale dei saldi finanziari periodali positivi e/o negativi. La
gestione finanziaria, oltre a porsi obiettivi di equilibrio, è pure orientata a governare opportunamente sia intrinseci
profili di rischio, sia rilevanti profili di rendimento e/o di costo. In definitiva, la gestione finanziaria del singolo soggetto
considerato è subordinata a un fondamentale criterio di valutazione che riguarda sia l’efficacia, cioè l’idoneità a
conseguire l’obiettivo di equilibrio, sia l’efficienza, cioè la capacità di realizzare le condizioni di rendimento/rischio o,
alternativamente, di costo/rischio corrispondenti alle aspettative e alle propensioni del soggetto considerato. La
gestione finanziaria rappresenta il contesto in cui prende forma e da cui ha origine la domanda di prodotti e servizi
finanziari e assicurativi. La situazione finanziaria del singolo soggetto è la matrice dei bisogni finanziari che
compongono e alimentano la domanda. La situazione finanziaria trova origine nelle scelte di comportamento reale del
soggetto considerato (consumo, produzione e investimento), le quali ne costituiscono quindi la necessaria chiave
interpretativa.
La gestione finanziaria e il ciclo di vita della famiglia
Con riferimento alla famiglia è largamente accettato il conetto di reddito permanente o normale per indicare il flusso
desiderato di soddisfazioni, ovviamente rapportato alla composizione e all’evoluzione dei bisogni, in un dato periodo
di tempo. Poiché la spesa per i consumi correnti e quella per investimenti reali non corrisponde alla disponibilità, nello
stesso arco di tempo, di reddito monetario o corrente, il saldo finanziario (avanzo o disavanzo) funge da fattore di
aggiustamento interperiodale. Pertanto, il risparmio finanziario ha la funzione di adattare il reddito corrente al
reddito permanente. È importante evidenziare che la nozione di reddito permanente in sostanza rappresenta
l’allocazione desiderata delle risorse nel tempo, misurato dalla durata del ciclo di vita della famiglia, rapportato per
semplicità a quello del capofamiglia. La gestione finanziaria della famiglia è sottoposta a un vincolo di bilancio duplice:
l’equilibrio periodale dei flussi di cassa e quello multiperiodale.
La gestione finanziaria e il ciclo di vita dell’impresa
I profili caratteristici e le variabili rilevanti
La finanza di impresa è in genere caratterizzata dalla circostanza che i flussi di cassa in uscita precedono, per una varia
durata di tempo, i flussi in entrata, se si assume l’ipotesi che l’impresa regoli i propri scambi a vista, cioè senza
ricevere o concedere dilazioni di pagamento. Infatti l’impresa deve acquistare diversi fattori produttivi e con essi
organizzare i processi produttivi e distributivi che, secondo modalità cicliche, conducono diversi fattori produttivi e
con essi organizzare i processi produttivi e distributivi che, secondo modalità cicliche, conducono alla vendita del
prodotto. Quindi, l’impresa deve mantenere stabilmente da un lato una determinata disponibilità di capitale e,
dall’altro, una definita struttura di investimenti che corrispondono alle combinazioni economiche e produttive attuate.
Il ciclo finanziario dell’impresa può essere rappresentato con le seguenti quantità:
l’intensità di capitale, misurata dal rapporto fra capitale investito e vendite del periodo, cioè (Ci/Vt) che sta a
indicare la quantità di capitale che l’impresa deve costantemente mantenere investita in vari fattori
produttivi per realizzare un dato volume di vendite, in condizione di pieno utilizzo della capacità produttiva
disponibile;
il taso di sviluppo delle vendite (Tsv) che indica semplicemente la variazione del fatturato nel periodo
considerato;
la quantità incrementale di risorse finanziare generate nel periodo e quindi reinvestibili, al netto del
reinvestimento necessario per mantenere invariata la capacità produttiva e lo stock di fattori produttivi
necessari. Questa quantità rapportata al volume delle vendite dello stesso periodo (Fr t / V t) coincide con la
nozione di risorse incrementali generate internamente ed esprime perciò la capacità di autofinanziamento
dell’impresa rispetto alle vendite.
La rappresentazione dell’equilibrio finanziario dell’impresa
Tsv x (Ci/v) <=> (Fr (t-1))/(V (t-1))
Considerando il caso di uguaglianza fra i due membri, si ottiene la definizione del punto di equilibrio dinamico
dell’impesa: infatti l’eguaglianza sta a dimostrare che, da una certa intensità di capitale, qui considerata costante nel
tempo, le risorse assorbite dalla crescita delle vendite nel periodo precedente, e quindi che l’impresa è in grado di
coprire dall’interno, senza ricorso a fonti esterne e senza generazione di liquidità residua, il proprio fabbisogno
fisiologico di capitale. Nel caso in cui il membro di sinistra sia maggiore di quello di destra segnala che l’impresa
genera un fabbisogno finanziario esterno. Alternativamente, la circostanza che la disuguaglianza assuma segno
opposto sta a indicare che il flusso netto di cassa dell’impresa ha generato risorse reinvestibili in misura eccedente
rispetto all’assorbimento derivante dallo sviluppo delle vendite in date condizioni di intensità di capitale.
La dinamica dell’equilibrio finanziario e il ciclo di vita dell’impresa
È opportuno scegliere un modello che rappresenti il ciclo strategico dell’impresa. La metodologia di coniugare il ciclo
finanziario con il ciclo strategico offre l’opportunità di esprimere in modo particolarmente chiaro ed esauriente la
concatenazione e l’interdipendenza fra scelte finanziarie e scelte strategiche, in sequenza temporale. Uno dei modi
più semplici, ma anche espressivi, di rappresentare le strategie dell’impresa è quello proposto dal modello di ciclo di
vita dell’impresa. Il modello del ciclo di vita è rappresentato da una curva a S che pone in relazione il fatturato
dell’impresa e il tempo. Nel ciclo illustrato è possibile distinguere tre fasi tipiche: introduzione, crescita e maturità.
I caratteri finanziari della fasi di introduzione
Nella fase di introduzione il fatturato tende in genere a crescere rapidamente, per cui il suo tasso di sviluppo aumenta.
L’intensità di capitale dell’imprese emergente o del prodotto nuovo si presenta inizialmente molto elevata, con
tendenza alla diminuzione. Questa circostanza è spiegata da varie considerazioni: spesso la capacità produttiva
inizialmente installata è sovradimensionata rispetto alle concrete possibilità di fatturato immeditato ed è progettata in
funzione dei livelli di fatturato attesi nei periodi successivi; inizialmente la dimensione complessiva dell’investimento è
elevato per il fatto che gli investimenti fissi e quelli tecnici non presentano un grado di ammortamento apprezzabile,
gli investimenti immateriali devono essere ancora in larga parte recuperati….
Il margine lordo di autofinanziamento è in genere piuttosto contenuto. La limitatezza del margine dipende soprattutto
dalle condizioni di equilibrio fra ricavi e costi e quindi dai margini di redditività lorda. A questo proposito particolare
rilevanza assume la politica dei prezzi iniziale: infatti, l’impresa o il prodotto possono beneficiare dell’opportunità di
applicare prezzi relativi positivi (più alti della media). Ciò accade quando l’impresa può far valere il vantaggio della
novità (es. tecnologia). Viceversa, l’equilibrio ricavi/costi si presenta meno favorevole quando l’impresa o il prodotto
per affermarsi sul mercato applica prezzi relativi negativi. In conclusione, durante la fase di introduzione è tipico che la
situazione finanziaria di impresa presenti una condizione di disavanzo: cioè il flusso di cassa periodale sia negativo ed
evidenti quindi un elevato fabbisogno finanziario esterno.
I caratteri finanziari della fase di crescita
Nella fase di crescita il tasso di sviluppo del fatturato in genere cresce fino a un valore massimo, successivamente esso
si stabilizza per tempi più o meno lunghi e infine, comincia a diminuire. L’intensità di capitale mantiene inizialmente
valori elevati poiché l’aumento delle vendite determina lo sviluppo della capacità produttiva e l’espansione degli
investimenti in capitale fisso procede con rapidità. Dopo il punto di flesso della curva del fatturato, le relazioni fra
queste variabile si modificano: lo sviluppo decrescente del fatturato provoca un rallentamento dei nuovi investimenti
in capitale fisso, mentre l’accumulazione degli ammortamenti procede in modo lineare. La capacità di
autofinanziamento lordo tende a stabilizzarsi su valori medi superiori a quelli della fase precedente e poi ad
aumentare ulteriormente nella parte avanzata della fase considerata. In definitiva, in ipotesi di successo competitivo
dell’impresa, il riassetto delle variabili nella parte avanzata della fase (diminuzione tasso di sviluppo del fatturato,
diminuzione intensità di capitale e aumento capacità lorda di autofinanziamento) porta l’impresa a un punto di
equilibrio. Al conseguimento del break-even finanziario, il fabbisogno finanziario cumulativo raggiunge il valore
massimo, così come la dimensione totale del capitale investito. Successivamente, il capitale investito totale comincia a
diminuire e la dimensione finanziaria dell’impresa si contrae.
I caratteri finanziari della fase di maturità
Nella fase di maturità, le tendenze già delineate si rinforzano. Il tasso di sviluppo del fatturato assume valori sempre
minori, fino ad annullarsi. L’intensità di capitale presenta pure una marcata diminuzione, dovuta principalmente al
fatto che l’investimento in capacità produttiva ha ormai raggiunto il massimo e non è più necessario destinare il flusso
di risorse generato dagli ammortamenti all’investimento in ulteriore capacità produttiva. La capacità lorda di
autofinanziamento aumenta ma, non essendo impiegata per il reinvestimento, genera liquidità. In questa fase,
caratterizzata dal fatto che l’impresa genere flussi di cassa progressivamente positivi si assiste al fenomeno della
rigenerazione monetaria delle risorse precedentemente impiegate e quindi alla ricostituzione del capitale finanziario
investito. Quest’ultimo viene alternativamente utilizzato per rimborsare i soggetti finanziatori originari oppure per
finanziarie nuove iniziative imprenditoriali. In ogni caso, il ciclo strategico dell’impresa considerata è giunto al termine.
Alcune considerazioni sugli strumenti idonei a soddisfare la domanda si servizi finanziari dell’impresa
Nella gestione finanziaria di impresa assumono rilevanza preminente i bisogno di finanziamento, dato che l’impresa ha
la necessità di progettare, mantenere e modificare nel tempo la propria struttura finanziaria (del passivo) in stretto
coordinamento con la dinamica presente e prospettica della situazione finanziaria. Nella fase iniziale del ciclo di vita
dell’impresa, l’offerta degli intermediari: concessione di credito a breve legato al fabbisogno di capitale di esercizio,
finanziamento a lungo termine per gli investimenti fissi. Nel successivo periodo gli intermediari possono strutturare
l’offerta di finanziamento secondo una maggiore ampiezza di forme tecniche e di scadenze, possono assistere
l’impresa nel collocamento di titoli di debito e di capitale proprio, con assunzione diretta o indiretta. Infine la gestione
finanziaria di impresa sviluppa una domanda di strumenti e di servizi di pagamento (bancari e postali).
Le attività degli intermediari finanziari
Nozione di attività
La nozione di attività è necessariamente generica e complessa: essa fa di volta in volta riferimento all’attore, al
destinatario, all’oggetto, al contenuto, alla modalità, alla funzione. L’analisi delle attività degli intermediari finanziari
può essere riferita alle seguenti chiavi interpretative:
prodotti e processi per i pagamenti, gli investimenti, i finanziamenti e la gestione dei rischi;
segmentazione dei destinatari: private banking, corporate banking e retail banking;
esistenza ed estensione delle delega conferita dal cliente: negoziazione in proprio o delegata;
tipi di strumenti finanziari: intermediazione creditizia, mobiliare e assicurativa.
La segmentazione dei destinatari: private banking, corporate banking e retail banking.
Se si concepisce l’intermediario finanziario in rapporto alla sua funzione di servizio nei confronti della clientela, diviene
logico riferire il concetto di attività sia al segmento di clientela cui è riferito il servizio, sia alla modalità con cui il
servizio viene reso. È consuetudine classificare le attività di intermediazione finanziaria nel modo seguente: private
banking, corporate banking, retail banking. Con il termine di private banking si intende identificare l’insieme dei
prodotti e dei servizi che l’intermediario finanziario offre per il soddisfacimento dei bisogni emergenti dalla gestione
finanziaria della clientela privata (persone fisiche individuali e famiglie), appratente a categorie di reddito e/o
ricchezza finanziaria elevate. Al concetto di private banking corrisponde un preciso modo di essere e di fare banca: il
contenuto di sevizio offerto è elevato, l’offerta di prodotto/servizio è personalizzata, la relazione di scambio è
orientata a produrre con continuità le migliori soluzioni dei problemi finanziari del cliente secondo una visione
integrata e unitaria della sua gestione finanziaria. Quindi il private banking presuppone una modalità di scambio
relazionale, usualmente denotato con il concetto di relationship banking. La logica sottostante al concetto di
corporate banking è del tutto analoga, spostando il riferimento alla clientela costituita da imprese di dimensioni non
piccole e dotate di forma societaria. Quindi il corporate banking costituisce un’area d’affari molto complessa ed
estesa, in cui il modello di offerta dell’intermediario aggrega continuamente e con mutevole composizione prodotti
elementari per consentire un’efficiente ed efficace gestione della finanza ordinaria e straordinaria dell’impresa. Anche
in questo caso si applica il concetto di relationship banking. Diversamente, la nozione di retail banking si riferisce a un
modello di attività bancaria, o di intermediazione finanziaria, che fa riferimento da un lato alla distribuzione al
dettaglio di prodotti/servizi finanziari, ai segmenti di clientela minore per dimensione individuale di relazione di
scambio e distinti per funzione economica; dall’altro lato, a una modalità di offerta focalizzata non tanto sul servizio
alla clientela, quanto sull’efficienza delle transazioni elementari di prodotti/servizi standardizzati, cui potrebbe essere
riferito il concetto di commodity. Nell’area di attività del retail banking, l’importo singolarmente piccolo delle
operazioni e l’oggetto elementare e standardizzato dello cambio non rendono conveniente e non consentono
all’intermediario la produzione di servizi rivolti a personalizzare le prestazioni. Pertanto, l’intermediario sviluppa una
modalità competitiva che, attuando una segmentazione di clientela centrata prevalentemente sull’omogeneità del
bisogno, focalizza l’offerta di prodotto/servizio sul segmento desiderato, standardizzando il primo all’interno del
secondo. L’orientamento al cliente individuale viene mediato e sostituito dalla focalizzazione sulla transazione
(ripetitiva, industrializzata ed efficiente). Perciò il modello del retail banking si riferisce a un modo di fare e di essere
banca che viene usualmente coniugato con il concetto di transaction banking.
L’esistenza e l’estensione della delega conferita dal cliente: negoziazione in proprio e negoziazione delegata
Fra intermediario e cliente esista una relazione contrattuale di credito-debito, oppure una relazione contrattuale di
mandato, oppure infine una semplice prestazione di servizi. Adottando tale criterio, le attività dell’intermediario
finanziario possono essere classificate in tre grandi categorie: negoziazioni in proprio, negoziazione delegata, servizi di
consulenza e di assistenza. Appartengono alla classe della negoziazione in proprio tutte le attività in cui l’intermediario
si pone come controparte diretta del cliente nello scambio finanziario: esso quindi agisce, negozia in proprio nome e
conto e lo scambio ha per oggetto il trasferimento temporaneo o definitivo della proprietà di un bene, in genere
riconoscibile nella moneta o nel capitale o in titoli rappresentativi degli stessi. Questo secondo profilo è importante
perché, avendo lo scambio l’effetto di modificare la dimensione e la composizione dei beni di proprietà
dell’intermediario, esso ne modifica pure la situazione patrimoniale, cioè il suo stato attivo e passivo. Gli scambi
classici al riguardo sono tutte le attività di finanziamento e di raccolta, costituite da sequenze di scambi con cui
l’intermediario rispettivamente cede o acquisisce la proprietà di risorse finanziare in contropartita di un diritto di
credito o di un’obbligazione di debito nei confronti del cliente finanziato o depositante. La negoziazione in proprio è
l’attività tipica dell’intermediario creditizio e comporta gestione e trasformazione del rischio. Vengono diversamente
come negoziazione delegata tutte le attività di scambio che l’intermediario svolge in nome e per conto del cliente, cioè
per sua delega o mandato. Le azioni del mandatario producono effetti economico-giuridici in capo al mandante: perciò
esse non determinano, se non indirettamente, modificazioni nella contabilità dei beni di proprietà dell’intermediario.
Trattando di negoziazione delegata assume evidente rilevanza l’aspetto fondamentale dell’ampiezza della delega
formale conferita. Al riguardo è opportuno distinguere le attività che consistono nell’esecuzione di ordini conferiti dal
cliente. In genere questi ordini si caratterizzano per il fatto di non lasciare all’intermediario una significativa
autonomia decisionale (es. ordini di pagamento e/o incasso). In una diversa sottoclasse occorre invece collocare tutte
le attività svolte in nome e per conto del cliente in cui l’intermediario riceve formalmente un mandato con un
contenuto più o meno ampio di delega decisionale il cui esercizio può modificare il rischio in capo al cliente (contratto
di gestione patrimoniale individuale (mandato di gestire e decidere gli investimenti mobiliari del cliente), gestione in
monte del risparmio, attività di progettazione, organizzazione e collocamento di emissioni di valori mobiliari in nome e
per conto di imprese clienti). La negoziazione in proprio e la negoziazione delegata si distinguono: per la diversa
intensità del rischio assunto dall’intermediario (maggiore nel primo caso), per la diversa focalizzazione al cliente
(maggiore nel secondo), per la diversa evidenza contabile: la prima è rappresentata nello stato patrimoniale
dell’intermediario.
Esiste infine una terza classe di attività di intermediazione finanziaria identificabile in rapporto al criterio sostanziale
della delega decisionale: i servizi di consulenza e di assistenza alla decisione finanziaria. Con tali servizi l’intermediario
contribuisce in modo talvolta fondamentale sia alla formazione della decisione finanziaria del cliente, sia alla
definizione delle specificità esecutive della medesima. L’elemento distintivo essenziale rispetto all’attività di
negoziazione delegata consiste nella circostanza che la decisione finanziaria viene assunta dal cliente, ma sulla base di
componenti di informazione, conoscenza e valutazione forniti dall’intermediario. Il contenuto di questa linea di
attività consiste: nella fornitura di informazione utile o necessario per il processo decisionale, nell’offerta di
consulenza finanziaria allo stesso fine, nella ricerca di controparti idonee per lo scambio finanziario progettato.
I tipi di strumenti finanziari utilizzati: intermediazione creditizia, mobiliari e assicurativa
Gli intermediari possono svolgere le proprie attività impiegando strumenti finanziari e strumenti non finanziari. Nel
caso dei secondi non si tratta propriamente di attività di intermediazione finanziaria, per il semplice fatto che gli
strumenti utilizzati non sono strettamente finanziari, quali: servizi di informazione, di consulenza, di ricerca di
controparte e così via. In relazione agli strumenti finanziari utilizzati, le attività di intermediazione si distinguono
invece in tre classi:
intermediazione creditizia, che comprende qualsiasi attività di scambio che impieghi strumenti finanziari
non trasferibili e appositamente prodotti dall’intermediario per lo scambio: prestiti e depositi,
essenzialmente, e comunque contratti di credito e di debito non trasferibili e prodotti a scopo di scambio con
uno specifico cliente;
Intermediazione mobiliare, che viceversa è formata dalle attività di scambio il cui oggetto sono strumenti
finanziari di tipo mobiliare, cioè trasferibili e standardizzati, emessi da imprese, amministrazioni pubbliche e
intermediari finanziari a scopo di finanziamento nel circuito diretto, oppure prodotti da organizzazioni di
mercato per consentire una più efficiente gestione dei rischi finanziari;
Intermediazione assicurativa, che si basa sull’emissione di strumenti finanziari (polizze) che hanno per
oggetto il trasferimento dei rischi puri dagli assicurati alle imprese di assicurazione: i premi pagati ex ante
dagli assicurati concorrono a formare il capitale necessario per sostenere gli impieghi dell’impresa al
verificarsi degli eventi previsti contrattualmente (danni e vita).
Le tre forme di intermediazione costituiscono congiuntamente l’intermediazione finanziaria. Per quanto riguarda in
particolare l’intermediazione creditizia e mobiliare, si tratta di forme di intermediazione che possono non solo
coesistere ed essere esercitate dallo stesso soggetto, ma anche integrarsi reciprocamente in un processo di
intermediazione unitario: es. un intermediario che si finanzia mediante la raccolta di depositi e investe parte di tali
risorse in valori mobiliari realizza di fatto una combinazione fra intermediazione creditizia e mobiliare.
Le banche
Le banche dopo la riforma del 1993
La definizione normativa di banca si basa sul criterio minimo dell’esercizio sistematico e congiunto delle attività di
raccolta del risparmio tra il pubblico e di concessione del credito. La normativa applicata dal ’94 (banca universale)
ammette un campo di operatività molto ampio: dall’intermediazione creditizia all’intermediazione mobiliare; dalla
negoziazione in conto proprio alla negoziazione delegata; dai servizi di pagamento all’attività di servizio; fino
all’assunzione diretta di partecipazione nel capitale di rischio delle imprese industriali. Si tratta di un campo di
operatività nel quale le banche hanno facoltà di entrare in misura più o meno estesa. In Italia, il sistema bancaria ha
operato fino alla riforma del 1994 in un quadro normativo basato sul principio della specializzazione funzionale e di
durata. Le banche si concentravano in prevalenza sulle brevi scadenze, mentre le operazioni creditizie a medio lungo
termine erano riservate, in linea generale, a una particolare categoria di intermediari, denominata istituti di credito
speciale. Dopo la riforma, le banche di deposito e gli istituti di credito speciale sono stati ricondotti all’unica categoria
delle banche.
Le caratteristiche distintive delle banche
Gli elementi distinti della banca sono legati essenzialmente ad alcuni principali aspetti economici.
Lo svolgimento della funzione monetaria, funzione che si basa sull’accettazione dei debiti bancari da parte del
pubblico come mezzo di pagamento. Tale accettazione presuppone che la singola banca e il sistema bancario
godano della fiducia del pubblico e che il sistema predisponga una serie di procedure operative e di strutture
ecologiche che rendano efficiente e sicuro l’uso della moneta bancaria.
La funzione di trasferimento delle risorse finanziarie tra unità finali in surplus e in deficit. La banca, nello
svolgimento di questa funzione, si qualifica per i seguenti motivi: si inserisce nel circuiti del credito, il che
comporta l’assunzione di posizioni di negoziazione in proprio e, dunque, potenzialmente, all’intero spettro
dei rischi, a cominciare dal rischio di credito; attua la trasformazione delle scadenze; svolge una funzione di
selezione ex ante e di controllo ex post, contribuisce, cioè, attraverso la sua capacità di informazione e di
valutazione, a discriminare la domanda di finanziamenti accettabili e non, e a sorvegliare i soggetti finanziari
perché non tengano comportamenti di moral hazard.
La funzione di trasformazione e gestione del rischio.
Tradizionalmente la banca si è dedicata e si dedica ad attività di retail banking mediante processi produttivi
industrializzati e standardizzati, canali distributivi diretti e capillari, e con modalità di scambio orientata alle
transazioni. Nel momento attuale e in prospettiva le banche tendono a dedicare attenzione molto maggiore alle
attività di private banking e di corporate banking, le quali presentano caratteristiche del tutto diverse: si tratta infatti
di strumenti e servizi complessi e integrati, messi a punto secondo un criterio di personalizzazione rispetto al bisogno
specifico del cliente, di dimensione unitaria non piccola, con valore aggiunto unitario elevato, negoziati all’interno di
una relazione di clientela duratura e consolidata, con profili di qualità elevati.
La trasformazione delle banche: dall’attività creditizia in senso stretto al corporate e investment banking
Il progressivo abbandono del modello storico strettamente ancorato all’attività creditizia e, per di più, a breve
termine. Uno dei campi di attività in cui la banca tende a diversificare la proprio attività è quello cosiddetto del
corporate e dell’investment banking. Con il termine corporate e investment banking vengono indicate diversi tipi di
attività finanziarie, che hanno in comune la specificità di offrire strumenti e servizi destinati alla gestione finanziaria
dell’impresa, della famiglia e della clientela istituzionale. In Italia il sistema finanziario si è sviluppato secondo un
modello prevalentemente centrato sull’intermediazione creditizia. Di conseguenza, le attività di corporate e
investment banking in quanto strettamente legate alla crescita del mercato mobiliare (che non si era sviluppato
insieme al mercato creditizio), non hanno avuto ne storia, ne riconoscimento istituzionale e normativo. È soltanto con
l’ordinamento attualmente vigente che si fa spazio al corporate e investment banking anche nel nostro sistema
finanziario. Infatti: le banche sono abilitate a svolgere direttamente attività di intermediazione mobiliare, sia di
mercato primario (collocamento per conto di emittenti imprese), sia di mercato secondario (negoziazione) e attività di
merchant banking, oltre a un’ampia gamma di attività e servizi; le società di intermediazione mobiliare vengono
abilitate a svolgere attività di intermediazione mobiliare come le banche; gli altri intermediari possono svolgere servizi
di assunzione di partecipazioni, di cash management, di intermediazione in cambi. In definitiva, nel nostro
ordinamento non esiste una relazione univoca fra le attività di corporate e investment banking e una specifica figura
istituzionale di intermediario: queste vengono quindi svolte da intermediari diversi, secondo scelte strategiche
soggettive di maggiore o minore diversificazione del portafoglio di attività.
Il credito
L’attività creditizia riguarda sia l’organizzazione di operazioni materialmente finanziate da altri soggetti (banche
commerciali) sia, più raramente, il finanziamento diretto delle operazioni stesse. Per quanto riguarda la prima attività
le banche organizzano la costituzione dei sindacati di prestito e la sindacazione di prestiti finalizzati all’acquisizione di
imprese; forniscono consulenza alle aziende in sede di negoziazione e prestano la loro assistenza nello studio di
fattibilità e nella successiva ricerca di fondi da destinare al finanziamento dei grandi progetti.
L’attività di corporate finance
L’area dei servizi di corporate finance rappresenta il campo di attività storica del corporate e investment banking. Si
tratta di un’area molto ampia il cui tratto distintivo è l’elevato contenuto di servizi delle attività svolte per il cliente.
L’elemento servizio è assolutamente dominante rispetto al puro finanziamento. All’interno dell’area corporate finance
sono inclusi: il mercato primario (azioni e debito), le operazioni di finanza straordinaria, l’assunzione di partecipazione
nel capitale di rischio. Per quanto attiene al mercato primario esso è costituito da tutto l’insieme dei servizi offerti ai
clienti che ricorrono all’emissione di titoli azionari o obbligazionari. La finanza straordinaria, a sua volta, comprende
diversi segmenti operativi: consulenza alle operazioni di fusione o acquisizione (consulenza che si attua attraverso la
ricerca dell’impresa target, la revisione dei conti aziendali, la determinazione del prezzo, la gestione della fase postacquisizione); consulenza alle imprese in crisi o in via di ristrutturazione; altri servizi collegati. Per quanto concerne
l’assunzione di partecipazioni nel capitale di rischio di imprese non finanziarie, essa può essere realizzata sia
direttamente, attraverso l’impiego di mezzi propri, sia indirettamente, attraverso veicoli di investimento. L’obiettivo
dell’acquisizione di partecipazioni è quello della detenzione per un periodo variabile da 3-5anni (massimo 6-7 anni),
nella prospettiva di cessione a un prezzo più elevato di quello pagato per l’acquisto.
L’attività di capital markets
Le attività di capital markets attengono al brokerage e al dealing di valori mobiliari sui mercati secondari, all’attività sul
mercato dei cambi e a quella in strumenti derivati per la copertura dei rischi. Strettamente collegati a queste ultime
sono i servizi di cash management, che hanno come obiettivo di base la gestione economica (cioè realizzata in modo
da minimizzare gli oneri finanziari) dei saldi monetari giornalieri di un’impresa.
L’attività di asset management
L’attività di asset management è costituita dai servizi che l’investment banking offre alla clientela per la gestione dei
patrimoni, più in generale per la gestione finanziaria complessiva, cioè attivo e passivo.
Gli altri intermediari finanziari
Le società di leasing
La società di leasing esercita la propria attività iscrivendosi nell’apposito elenco generale e risultando così sottoposta
alla vigilanza della Banca d’Italia. Le condizioni necessarie sono: forma di spa, società in accomandita per azioni, srl o
società cooperativa; versamento capitale sociale non inferiore a cinque volte in valore minimo previsto per le spa;
requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale della società e di professionalità degli esponenti aziendali.
Le società di leasing svolgono principalmente un’attività creditizia mediante la stipulazione di contratti di locazione
finanziaria, i quali hanno la funzione implicita di soddisfare fabbisogni finanziari emergenti da decisioni di
investimento. Il presupposto fondamentale del contratto presuppone l’esistenza di un bene utile per il cliente e
idoneo alla locazione. La disponibilità di un bene strumentale può avvenire in due modi: acquisto o contratto di
leasing. Quest’ultimo è definito come un contratto mediante il quale una parte (società di leasing, locatore) concede
in locazione all’altra (cliente, locatario), per un tempo determinato e in contropartita di un canone periodico, il bene
acquistato o fatto costruire dal locatore su scelta e indicazione del locatario, con facoltà per quest’ultimo di acquisire
la proprietà del bene al termine a condizioni prefissate. La funzione di finanziamento si esplica nel fatto che la spesa
per l’acquisto è sostenuta dal locatore e non dal locatario, il quale è finanziariamente avvantaggiato dall’opportunità
di pagare una serie di canoni dilazionati nel tempo. La conseguenza di questa formula è che la proprietà del bene
locato appartiene alla società di leasing, fino all’eventuale riscatto da parte del cliente. Le società di leasing finanziano
in genere investimenti produttivi, sia beni mobili, immobili, strumentali. In modo accessorio rispetto alla funzione
principale di finanziamento, la società di leasing produce ulteriore valore per il cliente locatario in diverse forme: la
capacità di esercitare forza contrattuale nei confronti del produttore del bene, con effetto favorevole sul presso; la
possibilità di risolvere problemi di relazione fiduciaria e finanziaria fra produttori e acquirenti; la produzione implicita
di vantaggi fiscali di cui il cliente può fruire. Il mantenimento della proprietà del bene da parte della società di leasing
ne condiziona in modo rilevante gli equilibri economici, finanziari e patrimoniali. In primo luogo, il flusso dei canoni
periodi corrisposti dal locatario deve consentire di coprire gli interessi passivi sui finanziamenti accesi per l’acquisto
del bene, e le relative quote di ammortamento. In secondo luogo, la società di leasing sopporta nella sua interezza il
rischio bene, relativo soprattutto alla possibilità della sua obsolescenza (nel caso di non riscatto, la cessione del bene
sul mercato può comportare plusvalenze o minusvalenze).
Vi sono due categorie di contratti: il leasing finanziario è quella nel quale si trasferiscono al locatario tutti i rischi e i
benefici connessi alla proprietà del bene, anche se il trasferimento di quest’ultima avviene solo al termine del
contratto; il leasing operativo è invece quello che non prevede il sostanziale trasferimento di rischi e benefici.
La rappresentazione nello stato patrimoniale si effettua secondo il cosiddetto metodo finanziario: la contabilizzazione
a bilancio del bene avviene da parte del locatario (anche se formalmente non è di proprietà). L’intermediario
contabilizza invece nel suo attivo la dimensione finanziaria del contratto, cioè il valore del diritto a riscuotere i canoni
di locazione, registrando così un credito. I canoni che il locatore riscuote dal locatario hanno quindi una doppia
componente: una quota di rimborso del capitale per i debiti che il locatore ha assunto per l’acquisto dei beni a leasing
e una quota di provento finanziario che remunera l’impiego del capitale e i servizi prestati.
Il conto economico della società di leasing è caratterizzato da tre voci principali: i ricavi da interessi a fronte dei crediti;
gli interessi passivi corrisposti sui finanziamenti accesi a titolo di debito; le commissioni nette e il risultato netto delle
operazioni finanziarie.
Le società di factoring
Le società di factoring sono intermediari finanziari il cui oggetto sociale, consente nell’esercizio dell’attività di
acquisto, dei crediti commerciali da imprese. L’attività si basa su un contratto di cessione, pro soluto (cioè con rischio
di credito a carico del cessionario) o pro solvendo (cioè con rischio a carico del cedente), di crediti commerciali a una
società specializzata (factor), a fini di gestione, di incasso ed eventualmente di finanziamento del cedente. Le società
svolgono pertanto un insieme di servizi finanziari e di altra natura, tra i quali trova pure posto l’attività di
intermediazione creditizia, secondo la seguente articolazione: servizi informativi riferiti alle condizioni finanziarie della
clientela commerciale; servizi di amministrazione, gestione, incasso dei crediti commerciali; servizi legali per il
recupero crediti; servizi di garanzia del buon esito dell’incasso (pro soluto); anticipazione parziale del valore dei crediti
ceduti.
In sostanza, con il contratto di factoring l’impresa cliente cedente può, in funzione della diversa ampiezza dei servizi
acquistati, esternalizzare la gestione dei crediti commerciali, ottenere finanziamento (nella forma sostanziale del
valore attuale dei crediti non ancora scaduti) e utilizzare servizi assicurativi. Tali diverse prestazioni delle società di
factoring trovano remunerazione in prezzi che, a seconda dei casi, assumono forma di commissioni, provvigioni e tassi
di interesse. La presenza di relazione con entrambe le controparti del contratto ceduto (il creditore cedente il credito
e il debitore ceduto) implica una duplice attività di valutazione del rischio, essendo questa estesa a entrambi i soggetti
del rapporto commerciale. L’attività di factoring presuppone la capacità di gestire grandi volumi di informazioni
connesse ai crediti trattati e, specularmente, al numero consistente di rapporti intrattenuti con i soggetti cedenti e
ceduti. Il grado di efficienza con cui opera una società di factoring, quindi è legato anche alla sua capacità di generare
consistenti economie di scalda nell’attività produttiva.
Con riferimento specifico al caso delle società di factoring, i crediti acquistati devono essere iscritti nell’attivo
patrimoniale, in apposite poste per operazione di factoring, per il loro valore di acquisizione. Al passivo, sempre in
poste apposite, deve essere iscritta la quota di tali crediti eventualmente non ancora corrisposta ai relativi soggetti
cedenti (debito del factor nei confronti di questi ultimi). Inoltre, nell’ipotesi in cui i crediti ceduti alle società di
factoring e da questa finanziati pro solvendo siano inesigibili, il riaddebito di tali crediti al cliente cedente dà luogo alla
formazione della voce attiva crediti per operazioni di factoring verso clientela. Le principali fonti di finanziamento che
caratterizzano il passivo delle società di factoring sono rappresentate dall’indebitamento bancario.
Il conto economico presenta, tra i ricavi, commissioni e interessi derivanti rispettivamente dall’attività di gestione e di
smobilizzo anticipato dei crediti; invece tra i costi che le società di factoring normalmente sostengono nel corso della
loro attività si trovano gli interessi passivi per la copertura del fabbisogno finanziario connesso all’anticipo dei crediti, i
costi operativi e le perdite su crediti.
Le imprese di assicurazione
L’assicurazione rappresenta una modalità, alternativa al risparmio, per fronteggiare bisogni economici conseguiti al
manifestarsi di un evento (perdita, minori redditi o fabbisogni di spesa futuri). Con il risparmio il singolo individuo
accumula l’intero ammontare dei mezzi necessari a coprire un bisogno. Tuttavia, il danno subito può essere di
dimensioni tali che il risparmio individuale risulta essere insufficiente. Con l’assicurazione l’individuo, previo
versamento di un importo (premio), che è tuttavia inferiore all’intero ammontare necessario per fronteggiare il
bisogno economico, ottiene quei mezzi da un altro soggetto allorché si verifichi l’evento. L’assicurazione si basa sul
principio mutualistico, in relazione al quale gli eventi negativi che provocano la perdita di una situazione goduta o
l’insorgere di un nuovo bisogno colpiscono solo alcuni dei soggetti appartenenti a una determinata collettività.
Pertanto, il costo complessivo degli accadimenti negativi viene ripartito fra tutti i partecipanti alla collettività stessa. Il
sistema mutualistico può essere attuato direttamente da una collettività di soggetti esposti al medesimo rischio, che si
impegnano reciprocamente a versare pro quota dei contributi a favore di coloro che sono colpiti dall’avvenimento.
Oppure il sistema mutualistico può essere attuato anche indirettamente, cioè tramite l’interposizione di un
intermediario, in forma di impresa (impresa di assicurazione) che, previa raccolta ex ante dei contributi pro quota, si
impegna a risarcire i partecipanti alla collettività colpiti dall’evento assicurato. In questo caso il rischio che il costo
complessivo degli eventi che colpiscono la collettività degli assicurati sia diverso da quello previsto, in relazione al
quale è stato definito il contributo pro quota (premio), è sopportato dall’assicuratore e rappresenta il rischio
imprenditoriale tipico delle gestioni assicurative. Volendo dare una definizione dell’impresa di assicurazione si può
dire che essa assume, mediante contratti dai caratteri omogenei, e gestisce, istituzionalmente e sistematicamente, i
rischi a essa trasferiti dagli assicurati. Le assicurazioni si distinguono in:
assicurazioni danni, relativi cioè ai rischi attinenti ai beni (es. rischi incendio, furto), ai soggetti (rischi
malattia, infortuni) e al patrimonio (responsabilità civile);
assicurazioni vita, relative ai rischi attinenti esclusivamente alla vita umana (rischi di morte e di
sopravvivenza).
Perché le imprese di assicurazione rientrano tra gli intermediari finanziari
L’attività assicurativa realizzata da un’impresa di assicurazione prevede quindi la raccolta ex ante dei premi allo scopo
di costituire i capitali necessari a onorare gli impieghi assunti verso la massa degli assicurati. Tali risorse finanziarie,
proprio perché acquistate anticipatamente rispetto agli esborsi, vengono investite dalla compagnia affinché i proventi
del loro impiego contribuiscano a coprire i costi aziendali, cioè contribuiscano a costituire i capitali necessari per i
risarcimenti e a formare il risultato economico. L’investimento sistematico dei premi porta a qualificare le imprese di
assicurazione come investitori istituzionali. Essi divengono intermediari finanziari nella misura in cui tali investimenti
sono indirizzati verso attività finanziarie emesse e non verso attività reali. Gradi di aleatorietà delle prestazioni:
incertezza del valore delle prestazioni (assicurazioni danni), incertezza nel verificarsi dell’evento…
I profili gestionali
La gestione tipica delle imprese di assicurazione può essere distinta in gestione tecnico-assicurativa e in gestione
patrimoniale finanziaria. La gestione tecnico-assicurativa si compone di varie fasi, relative:
all’assunzione dei rischi puri, direttamente tramite la rete di intermediari e indirettamente tramite
l’acquisizione di quote di rischi da altre compagnie;
alla costituzione e gestione del portafoglio rischi;
alla cessione di rischi ad altre compagnie;
all’ispezione dei sinistri;
alla valutazione e liquidazione dei risarcimenti.
Tradizionalmente la gestione tecnica è sempre stata considerata il core business dell’attività assicurativa. La gestione
patrimoniale-finanziaria è un’attività tipicamente accentrata e si caratterizza per un impiego più ridotto di strutture e
di risorse umane. La gestione patrimoniale-finanziaria include sia l’attività di tesoreria, relativa all’incasso dei premi e
di eventuali altri ricavi, al pagamento dei risarcimenti ai danneggiati, alla gestione dei flussi in entrata e in uscita
generati dalla gestione aziendale, sia l’attività di investimento delle riserve tecniche (le passività delle assicurazioni
danni). Obiettivi della gestione patrimoniale-finanziaria sono il conseguimento dell’equilibrio finanziario e il
raggiungimento di una composizione di portafoglio caratterizzata da combinazioni rischio-rendimento-liquidità
adeguate rispetto alle caratteristiche dei passivo e rispetto agli obiettivi del soggetto economico.
Il bilancio delle imprese di assicurazione
Poiché la commercializzazione di un prodotto assicurativo impegna la compagnia su orizzonti temporali medio-lunghi,
nasce immediatamente la necessità di introdurre norme che consentano di ridurre la possibilità di comportamenti di
breve periodo incoerenti con gli impegni assunti nel lungo e, nel contempo, di monitorare nel continuo l’effettivo
stato di salute della compagnia. Tale obiettivo viene perseguito attraverso tre insiemi di norme, che nel loro insieme
consentono di minimizzare i rischi insiti nello svolgimento dell’attività assicurativa e definiscono la struttura dello stato
patrimoniale delle imprese di assicurazione: 1. la disciplina sulle riserve tecniche, 2. la disciplina sulle attività a
copertura, 3. la disciplina in tema di margine di solvibilità.
1. La disciplina sulle riserve tecniche obbliga l’impresa a creare una sorta di fondo di accantonamento
sufficiente a consentire all’impresa di fare fronte, per quanto ragionevolmente prevedibile, agli impegni
derivanti dai contratti di assicurazione.
2. Le norme in tema di attività a copertura obbligano l’impresa a detenere attività non solo di ammontare
almeno pari agli accantonamenti di cui al punto precedente, ma che abbiano anche caratteristiche coerenti
con il tipo di prestazione promessa agli assicurati.
3. Da ultimo, la normativa in tema di margine di solvibilità obbliga la compagnia a disporre di ulteriori attività,
incluse nel patrimonio libero, destinate a coprire il rischio di base legato a eventuali disallineamenti
sfavorevoli tra gli impeghi assunti e le relative attività a copertura.
Le caratteristiche dello stato patrimoniale
Nello stato patrimoniale delle imprese di assicurazione figurano, al passivo, gli impegni nei confronti degli assicurati e,
all’attivo, le poste nelle quali sono investiti i premi. Le passività delle compagni di assicurazione si caratterizzano per le
riserve tecniche: riserva premi per i rischi in corso alla fine dell’esercizio; riserva sinistri, composta dalle somme
necessarie per far fronte al pagamento dei sinistri avvenuti nell’esercizio stesso o in quelli precedenti e non ancora
liquidati; riserva matematica, che tenga conto di tutti gli obblighi futuri dell’impresa, tra cui tutte le prestazioni
garantite e le future partecipazioni agli utili contrattualmente garantite e dichiarate o assegnate, tutte le opzioni a cui
ha diritto l’assicurato ai termini del contratto, le spese dell’impresa comprese le provvigioni. Per quanto riguarda
l’attivo, esso comprende le poste di natura patrimoniale, quali i beni mobili e immobili, i titoli, le partecipazioni, i
mutui e prestiti, la liquidità, gli attivi immateriali e le attività di natura tecnica, quali i crediti verso le altre compagnie,
verso gli agenti, i crediti diversi. Gli investimenti a copertura delle riserve devono avere caratteristiche di solidità,
redditività e liquidità coerenti con le peculiarità del passivo.
Le caratteristiche del conto economico
I ricavi tipici delle imprese di assicurazione sono costituiti dai premi, il cui volume raccolto nell’esercizio costituisce il
fatturato della compagnia. Quanto maggiore è la durata dei contratti assicurativi, tanto più il volume di premi di una
compagnia è in crescita, a meno che il tasso di abbandono delle polizze non superi il tasso di sottoscrizione di nuovi
contratti. I costi tipici del processo strettamente assicurativo sono i risarcimenti per sinistri e l’erogazione di capitali
maturati a scadenza o dovuti in caso di morte. A essi si aggiungono gli oneri di acquisizione dei premi, composti dalle
provvigioni e dagli altri proventi riconosciuti agli intermediari. Ai ricavi e ai costi tipici si aggiungono ricavi e costi delle
operazioni di riassicurazione. Alle voci di costo sopra menzionate si affiancano anche i costi gestionali sostenuti dalla
compagnia.
La classificazione sistemica dei rischi
I rischi caratteristici dell’intermediazione creditizia. Il campo d’analisi si restringe all’intermediario creditizio, di cui la
banca costituisce l’esempio più importante. La banca detiene istituzionalmente attività rischiose e fruttifere (prestiti e
titoli) e ne finanzia l’acquisizione e il mantenimento con l’assunzione di passività onerose. È inoltre importante tenere
presente che le attività e le passività della banca possono essere denominate sia con la moneta in cui viene redatto il
bilancio sia con monete diverse. La banca, assumendo attività e passività, in concreto prende posizione rispetto alle
variazioni eventuali di valore delle stesse. Il definitiva, affermare che la banca prende posizione significa in sostanza
che essa assume il rischio che l’attività oggetto di investimento abbia variazioni di valore positive o negative rilevanti
ai fini della formazione del risultato economico. Rischi:
Il rischio di insolvenza della controparte si configura nella possibilità che la controparte contrattuale,
obbligata a dare una certa prestazione, si riveli di fatto insolvente, cioè si riveli alternativamente non disposta
a pagare (volontà) o incapace di pagare (impossibilità).
Il rischio di mercato identifica la possibilità che le variazioni dei prezzi di mercato, prezzi delle attività
finanziarie, tassi di interesse e di cambio, influiscano sul risultato reddituale della gestione;
Il rischio operativo comprende rischi che caratterizzano in modo particolare l’operatività degli intermediari
finanziari: esso si riferisce prevalentemente all’eventualità che l’organizzazione aziendale presenti delle
disfunzioni, determini o subisca dei danni.
Il rischio di variazione del livello generale dei prezzi: l’inflazione influisca sulla redditività della gestione.
I rischi di insolvenza della controparte
Il contratto da cui ha eventualmente origine l’insolvenza della controparte può alternativamente essere un contratto
di credito oppure un contratto di compravendita di attività finanziarie: ciò spiega la distinzione concettuale e
terminologica fra rischio di credito e rischio di regolamento.
Il rischio di credito
Il rischio di credito consiste nell’eventualità che alle scadenza previste dal contratto il cliente finanziato si riveli
insolvente in misura totale o parziale per quanto riguarda il rimborso del capitale e/o il pagamento degli interessi
maturati. Lo stato di insolvenza così definito, cioè alla scadenza contrattuale, non consente di determinare l’effettiva
perdita a carico dell’intermediario che ha concesso il finanziamento. Occorre evidentemente attendere il risultato
della zioni di recupero del credito e del realizzo di eventuali garanzie reali (pegno, ipoteca) o personali (fideiussione)
che assistono il contratto. Pertanto, la perdita definitiva può essere determinata soltanto dopo tempi non brevi dal
momento in cui è stata inizialmente accertata la condizione di insolvenza. Ai fini del controllo e della remunerazione
del rischio di credito, gli intermediari creditizi adottano procedure e sistemi di gestione particolari, che devono essere
opportunamente inquadrate nella politica dei prestiti dell’intermediario. La politica dei prestiti riguarda tutti i profili
della gestione del portafoglio presiti, cioè dell’insieme delle posizioni di finanziamento assunte, e pertanto essa
determina la dimensione del portafoglio anche in senso dinamico, la composizione del portafoglio e i suoi
cambiamenti nel tempo e, infine, i criteri di valutazione dei singoli affidamenti. Ai fini del controllo e della
remunerazione del rischio di credito i profili rilevanti sono i quattro descritti qui di seguito:
il tasso di sviluppo desiderato dei prestiti in essere: la politica dei prestiti stabilisce un limite o una soglia di
accettazione del rischio per ciascuna singola posizione di affidamento;
la composizione del portafoglio prestiti: diversificare le singole posizioni di affidamento in funzione dei settori
di appartenenza delle aziende affidate e della loro localizzazione geografica, frazionare per classi di importo,
per la forma tecnico-contrattuale, tutto ciò per definire i profili intrinseci di rischio;
i criteri e i metodi di valutazione-selezione dei singoli affidamenti: tanto maggiore è l’efficienza delle attività
di valutazione-selezione ex ante, tanto minore è il rischio di credito assunto, e quindi tanto minore è la
probabilità di dover intervenire ex post per la gestione del rischio stesso;
-
la determinazione del prezzo del credito: il prezzo applicato al credito concesso deve remunerare sia le
risorse finanziare utilizzate, sia i costi operativi, sia anche il rischio implicito nella concessione del credito.
Il processo produttivo della concessione di credito, 9 fasi: 1. Ricerca di nuovi clienti richiedenti; 2. Raccolta e analisi
dell’informazione; 3. Valutazione dei risultati delle analisi; 4. Attribuzione al cliente richiedente del rating e della
relativa classe di rischio; 5. Selezione delle richieste sulla base dei criteri accettati; 6. Definizione dei profili tecnici e
contrattuali del finanziamento; 7. Determinazione del prezzo (tasso di interesse e altre condizioni) e
contrattualizzazione; 8. Concessione e utilizzo; 9. Monitoraggio ed eventuali interventi: rinegoziazione o
revoca/recupero.
La determinazione del prezzo di credito è fondamentale per assicurare l’economicità dell’attività creditizia. Risulta
egualmente importante, dopo la concessione e l’utilizzo, la fase attiva di monitoraggio per il controllo concomitante
del rischio. Le fasi di analisi-valutazione-selezione, denominate nella prassi bancaria istruttoria del fido, possono a
loro volta essere considerate da diversi punti di vista: le finalità conoscitive perseguite, gli oggetti di indagine, gli
strumenti e i metodi di analisi. La finalità conoscitiva ultima consiste nel determinare, riducendo l’incertezza al minimo
possibile, la capacità di rimborso del capitale e di pagamento degli interessi da parte dell’impresa finanziata. Il
rimborso del capitale e il pagamento degli interessi dipendono sia dalla volontà soggettiva del soggetto
contrattualmente obbligato, sia dalla sua capacità oggettiva di pagare. Vengono effettuate analisi e simulazioni di tipo
previsionale sull’evoluzione della situazione economica e patrimoniale dei soggetti finanziati, inoltre si effettuano
analisi storiche mirate a valutare complessivamente l’impresa nel presente.
La perdita attesa di un finanziamento è determinata ex ante dalla stima di tre rischi diversi: rischio di insolvenza,
rischio di recupero, rischio di esposizione. Gli intermediari creditizi possono sviluppare politiche di pricing coerenti con
i rischi di credito assunti. Se le stime dei rischi sono state eseguite correttamente e vengono perciò confermate a
posteriori, il prezzo applicato è in grado di coprire la perdita attesa, ovviamente con riferimento alla classe di rating o
di rischio considerata.
Il rischio di regolamento
Il rischio di regolamento si configura come rischio di insolvenza della controparte contrattuale obbligata a consegnare
una certa somma di denaro in contropartita di predeterminati strumenti finanziari o viceversa. A proposito del rischio
di regolamento e delle sue conseguenze, occorre considerare il problema da due diversi punti di vista: la contestualità
delle prestazioni contrattualmente previste e la scadenza temporale dell’esecuzione del contratto di compravendita,
alternativamente a pronti o a termine.
Nel caso di contestualità perfetta delle prestazioni nel contratto di compravendita a pronti il rischio di
regolamento può manifestarsi, ma le sue conseguenze sono limitate, poiché, di fronte all’insolvenza di una
delle parti, l’altra si astiene dalla propria prestazione (il danno è il costo per la ricerca di una nuova
controparte e l’incertezza delle nuove condizioni di scambio). Nell’ipotesi in cui, invece, il problema venga
riferito a un contratto di compravendita a termine, questo danno può assumere rilevanza maggiore. Infatti, il
soggetto he ha acquistato o venduto a termine a causa dell’insolvenza della controparte di fatto perde la
posizione e si trova quindi esposto all’eventuale costo derivante dalla sostituzione della controparte, a nuove
condizioni di prezzo.
Se fra le due prestazioni si interpone un intervallo di tempo, per quanto breve e determinato solamente da
fatti tecnici, il rischio di regolamento si manifesta anche in modo asimmetrico, cioè esclusivamente a carico
della parte contrattuale che ha di fatto anticipato la propria prestazione (pagamento o consegna). Se
nell’intervallo di tempo considerato la controparte si dichiara insolvente, o non effettua la prestazione dovuta
nel tempo previsto, il rischio di regolamento si trasforma in rischio di credito: la parte contrattuale solvente
diventa, suo malgrado, creditrice nei confronti di quella insolvente. La controparte solvente subisce tutte le
conseguenze e i danni dell’ipotesi di contestualità delle prestazioni, e in più viene a trovarsi nella situazione
sfavorevole di dover agire per l’incerto recupero di un credito la cui esigibilità è messa in dubbio dal fatto
stesso che esso è stato generato da uno stato di insolvenza.
I rischi di mercato
Per rischio di mercato si intende il rischio che le variazioni dei prezzi tipici dei mercati finanziari influiscano sul risultato
economico della gestione. Questi prezzi sono tipicamente: i tassi di interesse, i tassi di cambio, i prezzi (in genere
quotazioni) dei valori mobiliari e di altri attività finanziarie negoziabili. Con riferimento ad essi si parla rispettivamente
di rischio di interesse, di rischio di cambio e di rischio di prezzo. I rischi di mercato riguardano tutti gli intermediari che
esercitano l’intermediazione creditizia e/o quella mobiliare con assunzioni di posizioni in proprio e quelli che
comunque detengono un portafoglio di attività finanziarie negoziabili. Ne sono pertanto esclusi gli intermediari che
non prendono posizioni in proprio, e quindi si limitano ad attività di negoziazione delegata. Il rischio di mercato si
concreta solo ed esclusivamente quando l’intermediario prende posizione: prendere posizione significa fare una
scelta di investimento o di finanziamento a date condizioni, il cui risultato reddituale potrà a posteriori rivelarsi pià o
meno soddisfacente a causa dell’imprevista modificazione delle variabili che concorrono a determinare il risultato
medesimo. Non è vero che quante più posizioni l’intermediario assume, tanto maggiori sono i rischi che esso assume,
per due ragioni: anzitutto fra le diverse posizioni prese possono determinarsi effetti di compensazione dei rischi, per
un principio di copertura reciproca, totale o parziale, dei rischi stessi; in secondo luogo, occorre considerare che
all’interno dei portafoglio di attività e di passività detenuti dall’intermediario si producono situazioni di
compensazione di natura diversa per effetto di correlazione (la variabilità del rendimento di un portafoglio di attività
finanziarie è in genere inferiore alla media ponderata delle variabilità dei rendimenti delle singole attività finanziarie
presenti nel portafoglio stesso).
Il rischio di interesse
Le variazioni dei tassi d mercato influenzano sia il risultato dell’attività di intermediazione creditizia (cioè il margine di
interesse), sia il prezzo delle obbligazioni e degli altri titoli di debito presenti in portafoglio. Rischio di interesse con
riferimento all’attività di intermediazione creditizia. Il rischio in esame consiste nell’eventualità che l’andamento dei
tassi di mercato provochi variazioni divergenti del rendimento medio degli impieghi e del costo medio della raccolta,
con conseguenti ripercussioni sul margine di interesse. In dettaglio, il rischio di interesse scaturisce dalla presenza in
bilancio di un mismatching riguardante: la scadenza della attività e delle passività e le relative condizioni di rinnovo, se
previste dalle condizioni contrattuali; le condizioni di rivedibilità dei tassi; l’eventuale esistenza, nell’ambito dei conti
impieghi e rischi, di contratti di interest rate future che modificano le situazioni di matching o di mismatching.
Per misurare l’esposizione al rischio di tasso è necessario, dunque, analizzare le condizioni contrattuali che regolano la
rinegoziabilità dei tassi relativamente al complesso degli impieghi e della raccolta in essere. Il modello più semplice
per la misurazione del rischio di tasso si basa su una riclassificazione del bilancio che separi le attività e le passività a
tasso rinegoziabile da quelle a tasso non rinegoziabile nell’esercizio. La riclassificazione del bilancio si limita alle poste
o posizioni che generano flussi di interessi attivi o passivi, cioè le attività finanziarie fruttifere di interessi e le passività
remunerate da interessi (passività onerose: depositi e obbligazioni).
Il margine di interesse degli intermediari creditizi più capitalizzati è meno esposto al rischio di variazioni dei tassi di
interesse: di conseguenza essi godono, a parità di altre condizioni, del vantaggio competitivo di poter sostenere
all’occorrenza situazioni di mismatching più elevato.
Il rischio di cambio
L’operatività in moneta diversa da quella nazionale crea i presupposti per l’esposizione al rischio di cambio.
L’esposizione al rischio di cambio consegue all’assunzione di attività finanziarie o/e passività denominate in valuta,
poiché implicano pure l’assunzione di una posizione rispetto al futuro andamento dei tassi di cambio della valuta
considerata. Es. le attività in dollari sono maggiori della passività in dollari. In generale, un intermediario ha posizioni
in cambi positive e negative quando la composizione per valuta delle attività è diversa della composizione per valuta
della passività. Tornando all’esempio, si consideri l’ipotesi in cui l’evoluzione del mercato dei cambi determini un
apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro. Dato che le attività sono superiori alle passività in dollari, la
plusvalenza delle attività sarà superiore alla plusvalenza delle passività: in pratica. È importante osservare che le
plusvalenze/minusvalenze sulle posizioni valutarie in essere sono potenziali o non realizzate: soltanto la loro
estinzione e conseguente conversione in euro determinano corrispondenti e definitivi guadagni/perdite in cambi.
Si potrebbe pensare che mantenendo un matching perfetto tra attività e passività delle singole valute si possa attuare
un’immunizzazione del bilancio dal rischio di cambio, ma ciò non tiene conto della circostanza che le attività e le
passività considerate fruttano interessi attivi e passivi per l’intermediario: perciò, in condizioni di matching perfetto
fra attività e passività nominali queste formano comunque flussi di interesse attivi e passivi caratterizzati da tempi di
incasso/pagamento differenziati e da importi diversi, e si forma quindi un margine di interesse positivo in valuta.
Il rischio di prezzo
L’attività di negoziazione in proprio di valori mobiliari produce guadagni o perdite in conto capitale a seconda che il
prezzo di vendita sia superiore o inferiore al prezzo di acquisto (o di carico). La somma algebrica dei guadagni e delle
perdite in conto capitale, denominata risultato di negoziazione titoli, è una componente significativa del risultato
reddituale di periodo. Sui titoli presenti in portafoglio al momento della redazione del bilancio si formano invece
plus/minusvalenze a seconda del fatto che i prezzi di mercato siano superiori o inferiori ai prezzi originari di acquisto o
ai rispettivi prezzi di carico. Le variazioni dei prezzi di mercato dei titoli influenzano l’ammontare del risultato di
negoziazione e determinano l’entità delle plus/minusvalenze dei titoli presenti in portafoglio.
Vi sono conseguenze derivanti dalla diminuzione dei prezzi dei titoli in portafoglio. Un imprevisto fabbisogno di
liquidità può costringere a smobilizzare una quota dei titoli detenuti; in tal caso il rischio consiste nell’eventualità che i
prezzi di mercato dei titoli smobilizzati siano inferiori ai prezzi di carico, con conseguenti perdite da negoziazione.
Anche la capacità di contrarre nuovi debiti è influenzata dal valore di mercato del portafoglio titoli. Il potenziale
finanziatore tende a valutare il patrimonio netto del debitore facendo riferimento al valore corrente delle attività e
considerando i rischi di possibili deprezzamenti futuri. Un intermediario il cui portafoglio ha subito sensibili
deprezzamenti, o risulti particolarmente esposto al rischio di variabilità dei prezzi, può incontrare difficoltà a contrarre
nuovi debiti, o può essere costretto ad accettare condizioni più onerose.
Con riferimento a un titolo specifico o a date categorie di titoli è possibile definire il concetto di rischio di posizione,
che misura l’effetto prodotto da una data variazione di prezzo sul controvalore totale netto delle posizioni in essere.
Un’analisi più articolata delle cause che possono determinare una variazione dei prezzi conduce alla seguente
classificazione: variazioni dei prezzi dovute a mutamenti generali delle condizioni di mercato (rischi generali);
variazioni dei prezzi dovute a circostanze particolari riguardanti il singolo emittente (rischi specifici). Nella prima
categoria rientrano i rischi di interesse per i titoli di debito e il rischio legato all’andamento generale dei corsi del
mercato azionario per i titoli di capitale. Nella seconda categoria sono ricompresi i rischi di credito per i titoli di debito
e i rischi collegati alla specifica situazione economica dell’emittente per i titoli di capitale.
Il rischio operativo
Il rischio operativo è in sostanza il complesso dei rischi connessi con il regolare funzionamento dell’impresa. Una
definizione analitica ed esauriente del rischio operativo è di fatto impossibile, perché il concetto di disfunzione
operativa e di eventuale danno all’impresa è assai ampio e variegato. I rischi operativi derivano da:
profili interni dell’organizzazione aziendale: inadeguatezza e/o disfunzione delle procedure di protezione dei
dati, di prevenzione delle frodi, di controllo interno; insufficienza o inadeguatezza delle risorse umane cui
possono conseguire comportamenti non professionali e fraudolenti; possibili arresti e disfunzioni dei sistemi
hardware e software;
situazioni di responsabilità azienda verso i clienti determinate da: performance dei servizi e prodotti offerti;
comportamenti infedeli dei dipendenti (frodi a carico dei clienti); altri rischi legali;
situazioni di rischio reputazionale, quando comportamenti e prestazioni dell’intermediario deludono estese
classi di clientela e intaccano perciò l’avviamento e la reputazione dell’intermediario e danno luogo a estese
controversie;
possibili eventi esogeni che mettono a repentaglio il funzionamento dell’azienda: furti, frodi informatiche,
fatti catastrofici, distruzione archivi, cancellazione memorie informatiche.
I rischi di variazione del livello generale dei prezzi
Oltre ai rischi legati all’incertezza delle singole componenti passive e negative di reddito, tra i rischi economici deve
essere ricompreso anche il rischio di variazione del livello generale dei prezzi (inflazione). L’inflazione è un fenomeno
largamente noto e facilmente osservabile: la stessa quantità nominale di moneta consente di comprare, in periodi
successivi, quantità minori di beni e servizi. Per analizzare gli effetti prodotti dall’inflazione sugli intermediari,
soprattutto su quelli creditizi, si consideri anzitutto che la loro struttura finanziaria è composta prevalentemente da
crediti e debiti nominali, che prevedono alla scadenza il pagamento di un capitale predeterminato nel suo importo
monetario. Questi crediti e debiti subiscono la svalutazione del potere d’acquisto della moneta.