Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia Agribusiness Paesaggio & Ambiente -- Vol. XI (2007) n. 2, Marzo 2008 Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia Ensete and Migratory Process: the Ethiopia Guaraghe. More than any other plant, ensete, aset for the Gurage, has contributed to the representation and self-representation of the Gurage, a segmentary society of the Ethiopian Highlands. In the taxonomic classification aset is Ensete ventricosum (Ensete edule). This pulpy plant is in fact a giant herb, like the common banana, the Musa sapientum, which belongs to the same order and family. It grows best between 1600 and 2400m above sea level, in the valleys and wet slopes of the high plateaux, along the rivers, in the forests. It is not easy to define when and how ensete was adopted by the Gurage. But its cultivation allows a production of about ten tons food per hectare: in a Gurage perspective this is the definitive argument in favour of intensive ensete cultivation. If we finally take into account that its cultivation requires a relatively low input of work concentrated in the months at the beginning of the Gurage year, and mostly group work, i.e. institutionalised work groups, we then understand how the working activities which do not concern agriculture, first of all the rentable seasonal migrations of the Gurage, can take place thank to the ensete without damaging the domestic unit of production, i.e. the household, the abarus. Cultivation of ensete is presented to the outside world above all by the urban Gurage as a part of their identity of which they can be proud, but also as the only possible solution to the extreme scarcity of good farmland due to overpopulation, to the impoverishment of the soil because of over-exploitation and rain erosion and to the severe lack of accessible water supply etc. L’encomio della unicità dell’Etiopia è noto da tempo. Gli stessi etiopi, e la auto-definizione non è certo delle più semplici, amano rappresentarsi in questa unicità complessa, facendone LUIGI PALMISANO risalire l’origine in Università di Trieste tempi remoti, fino a congiungere la loro storia con quella della Israele biblica.1 Dall’introduzione del cristianesimo nel paese (IV secolo d.C.) fino ad oggi, una straordinaria molteplicità di gruppi etnici, culturali ed economici si è confrontata con il processo di espan- sione territoriale, ipso facto di fondazione di uno Stato chiamato prima “abissino” e poi “etiopico”. Ma non tutti i gruppi “etiopici”, insediati negli altopiani a nordovest e a sudest della Rift Valley come pure nelle stesse depressioni e vallate, intendevano adottare forme centralizzate della organizzazione politica del loro mondo e dell’amministrazione del territorio, imposte o non dagli “abissini”. Mentre, da una parte, gruppi etnici come Amhara e Tigrini strutturavano in termini centralistici la propria società –basata su un modo agricolo di produzione caratterizzato dall’aratro trainato da buoi- mirando a costituire una amministrazione ben articolata e capillare, dall’altra, società di pastori o di cacciatori e raccoglitori, ad esempio Oromo, Afar, Somali e Hamar, cercavano di mantenere la 129 Controsservatorio ambiente e territorio ANTONIO LUIGI PALMISANO propria struttura e organizzazione politica non centralizzata così come l’avevano ereditata dagli antenati –basata su forme altre della produzione-, confidando nel sistema delle classi di età e nella segmentazione dei clans e dei lignaggi. Un immenso spazio geologicamente diviso in tre parti dalla grande Rift Valley è stato ed è ancora oggi il palcoscenico dell’azione sociale di tutti questi gruppi, ognuno con un proprio preciso programma di territorializzazione. Non sempre questi programmi hanno coinciso. Non sempre questi territori si sono pacificamente sovrapposti. Non sempre vi è stata una chance di dialogo fra questi attori sociali. Ed in questo contesto geografico e politico, un gruppo etnico di particolare interesse per la sua specifica concezione di territorializzazione dello spazio è rappresentato dai Guraghe.2 Il paese dei Gurage è situato a sud ovest di Addis Ababa, al di là del fiume Awash.3 Il sistema del Rift si incontra ad ovest dei Laghi Shala, Abiyata, Langano e Zeway con l’Altopiano Etiopico Centrale. Questo territorio, dai 7°30’ agli 8°30’ di latitudine nord e fra i 37°45’ e i 38°30’ di longitudine est è abitato da Silte, Sabat Beyt e Soddo, le tre grandi confederazioni di tribù e clan che costituiscono il gruppo etnico guraghe. Oggi, la regione dei Guraghe è amministrativamente autonoma. I Guraghe classificano se stessi in tre gruppi principali: un gruppo centrale, le Sabat Beyt:4 Muher, Ezha, Chaha, Gheto, Ennamor, Endagagn (Aklil), 1) Si tratta di una congiunzione “matrimoniale” fra una regina misteriosa e affascinante, Saba, e un re dall’ineguagliabile saggezza, Salomone. E’ da allora che le dinastie di re ed imperatori d’Etiopia hanno considerato attuata la fondazione del loro Stato, una entità dai confini molto incerti ma dai precisi simboli: un’arca, un anello, un leone (Palmisano 2005). 2) Per il concetto di territorializzazione qui impiegato, e i processi connessi, cfr. ad esempio Raffestin, per il quale questo processo inizia Gumer, (Maqorqor; Wallani-Woriro); un gruppo nord, i Soddo; un gruppo est, i Silte (Zeway; Harari). Nella regione dei Guraghe iniziano già nel XVI secolo i tentativi di fondare un principio di Stato ad opera degli Amhara, che la considerano prima come parte dell’impero etiopico e poi come unità indipendente. I tentativi di creare uno Stato centrale in questa zona proseguono ancora, anche se con minore determinazione, nei secoli XVII e XVIII ad opera di ras amhara, di guerrieri di diversi gruppi etnici ed avventurieri vari. Così come proseguono i pagamenti dei tributi annuali ai vari re ed imperatori d’Etiopia; tributi in oro, bestiame, pelli ed altro. Ma nel 1840 il re Sahla Selassie (1813-1847), nonostante gli fossero sempre stati pagati i tributi, assoggetta allo Scioa gli Aymallal, un gruppo di clan a sud dei Soddo, dove si erano asserragliati i discendenti di Azmach Sebeate. Alcuni anni dopo, infine, Menelik II intraprende la conquista dell’intero paese guraghe. Nel maggio 1875 conduce una prima spedizione assoggettando cinque distretti e nel 1889 incorpora tutta la regione nell’impero amhara; e costituisce le neftegna, unità amministrative e fiscali, stabilendo il sistema di relazioni neftegna-gabar con una nuova concezione di esazione dei tributi. 5 I Guraghe cominciano le migrazioni verso est e verso sud in cerca di denaro. E l’ensete assume un nuovo ruolo sociale e economico nella strutturazione dell’identità dei Guraghe. Come gli Oromo, gli Afar, i Somali e gli con “... la proiezione nello spazio concreto o astratto di una informazione ‘giusta’ di cui l’Io e/o il Noi sono portatori " (Raffestin 1986:84ss.). 3) Per la citazione di toponimi ed etnonimi sono stati adottati i termini in uso presso la Ethiopian Mapping Authority. Ogni sostantivo in guraghe o in amharico, infine, è stato lasciato nella forma singolare per facilitare il riconoscimento in altri contesti descrittivi. 4) Sabat beyt significa, letteralmente, “sette case”. 130 5) Il sistema di esazione dei tributi chiamato neftegna-gabar è letteralmente traducibile come un sistema di relazioni “soldato-contadino". Si trattava di relazioni di servitù e di esazione di tributi che, dalla base, si estendevano verticalmente verso l’apice della piramide sociale. Lo stesso soldato finiva per essere profondamente legato a quella terra che più che mai era interessato a difendere: per conto proprio, ma sempre in nome dell’imperatore. Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia Hamar, i Guraghe hanno dunque strutturato la propria società in modo segmentario, sfruttando le dinamiche di fissione e di fusione dei lignaggi, senza aver quindi costituito istanze centrali. Ma a differenza di quanto accaduto ai primi, il pastoralismo e la transumanza al seguito delle mandrie non rappresentano per i Guraghe l’ideale di vita al quale rinunciare solo se il proprio mondo venisse distrutto. Come gli Amhara e i Tigrini, invece, i Guraghe condividono l’appartenenza al gruppo linguistico semitico e orientano e strutturano la propria società basandosi sul modo agricolo di produzione. Ma questo modo di produzione non è caratterizzato dall’aratro trainato da buoi: il modo guraghe di marcare lo spazio e di definirlo in contrapposizione allo spazio delle società centralizzate si è espresso e si esprime nella coltivazione di una pianta molto particolare: lo ensete. E’ in questo rapporto fra struttura segmentaria dei lignaggi e coltivazione dell’ensete che si costituisce la specificità della società guraghe, la sua identità. 1. L’identità etnica dei Guraghe Alla base della società guraghe vi è una particolare forma dell’agricoltura e dell’orticoltura: la coltivazione dell’ensete. E questa pianta sembra rappresentare per i Guraghe il punto di riferimento culturale e perfino emotivo per il confronto con ogni altra società e per la strutturazione della propria, permettendo così la fissazione della organizzazione e della struttura economica, soprattutto politica, culturale e perfino religiosa della stessa società. La coltivazione dell’ensete ha altresì permesso la formazione della moderna identità Guraghe, una identità di migrazione con una estensione del territorio dall’ambiente rurale a quello urbano: una sorta di migrazione istituzionale della campagna in città. Perfino le tappe del processo migratorio sono da porsi dunque in relazione alle specificità della coltivazione dell’ensete: migrazioni ed ensete sono attributi dell’identità di un Guraghe, proprio in prospettiva guraghe. Le principali tappe del processo migratorio dei Guraghe possono così essere datate. Nel 1888 iniziano i primi spostamenti in massa dei Guraghe verso la città, come prigionieri di guerra dei vittoriosi soldati di Menelik II. Nel 1900 migrano i soli uomini che, impiegati come manovali, vendono giornalmente la loro forza lavoro nei mercati di Addis Ababa insieme a persone provenienti da tutta Etiopia. Nel 1910 sono circa 2.000 i Guraghe residenti in Addis Ababa, ovvero il 3% dei 60.000 residenti. Nel 1925 lavorano come servi ma anche, ancora, come schiavi e si concentrano in una zona, lo Hapte Georgis sefer. Nel 1929 il Governo emana un Land Act decisivo per la storia della urbanizzazione in Etiopia: la riscossione delle tasse riguardanti le attività agricole e fondiarie avverrà ora esclusivamente in moneta, non più in natura. Nel 1952, con il 17,2% degli abitanti, i Guraghe sono ormai il secondo gruppo etnico in Addis Ababa dopo gli Amhara: 52.951 su 306.759 della popolazione totale. Nel 1964 i Guraghe sono sempre il secondo gruppo, anche se rappresentano solo il 7,2% della popolazione. Nel 1984, in seguito ad altri profondi movimenti migratori –una vera fuga dalle campagne, seguita alla disastrosa politica economica degli anni ‘70 e ‘80-, i Guraghe in Addis Ababa sono 265.132, ovvero il 18% circa della popolazione residente, il terzo gruppo etnico dopo Hadare e Dorze. L’urbanizzazione di Addis Ababa è dunque indubitabilmente connessa strettamente all’inurbamento dei Guraghe. Che cosa altro significa allora, oggi, “essere guraghe”? Un Guraghe necessita uno spazio per esprimersi, dunque per operare, oscillando fra campagna e città; cerca uno spazio nel quale proiettare segni, segnali, informazioni, uno spazio quindi da territorializzare. E per compiere questa opera di territorializzazione, l’attore sociale si muove insieme ad altri attori sociali, anche diversi per cultura e società, anche in competizione gli uni con gli altri: per territorializzare lo spazio, il Guraghe necessita “l’altro”; nel confronto con questo “altro”, quello spazio diventa il suo territorio. Ma la stessa domanda, rivolta ad un consesso dello yejoka, il consiglio degli anziani, ha ricevuto la seguente e per certi versi sorprendente risposta: “Un buon Guraghe coltiva 131 Controsservatorio ambiente e territorio ANTONIO LUIGI PALMISANO 132 Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia 133 Controsservatorio ambiente e territorio ANTONIO LUIGI PALMISANO l’ensete. Poi, alleva il bestiame, ha cura degli alberi da costruzione e da legna, mangia a colazione (qurs) grano, orzo, fagioli ecc. e si preoccupa di coltivare le cipolle!”6. E’ probabile che questa descrizione per mezzo di prodotti alimentari, fatta da una istituzione politica e giuridica che esercita una profonda influenza nella vita di tutti i Guraghe, sia la premessa di una antropologia politica. Infatti, è certo che questa alimentazione, nel suo complesso e in particolare per l’uso dell’ensete, non rispecchia le forme agricole praticate dai vicini, ovvero dallo “altro”, né l’alimentazione degli Amhara, cultura politicamente e storicamente dominante in Etiopia fino al più recente passato. 2. L’ensete 2.1 Cenni di botanica Il nome scientifico dell’ensete, aset per i Guraghe, è Ensete ventricosum (Ensete edule). Fa parte della famiglia delle Musaceae ed è conosciuto in italiano come “falsa banana”. 7 Come il banano comune, questa pianta polposa è un’erba gigante. Cresce anche fuori dall’Etiopia; ad esempio, in Sudan, in Uganda, in Africa Centrale e, in misura minore, in Sud Africa. Ma cresce anche, nelle sue numerose varietà, nel sud est asiatico ed in Estremo Oriente: India, Tailandia, Indonesia, Filippine, Cina ecc. Si ambienta al meglio fra i 1600 e i 2400 metri sul livello del mare, sui pendii umidi degli altopiani, nelle valli e lungo i corsi d’acqua nelle foreste. Cresce ottimamente nella zona agroclimatica del woyna dega, a clima umido e piovoso, ma bene anche nelle zone basse del qolla e perfino alle alte quote del 6) Durante un periodo di studi in Etiopia sulle relazioni politiche e territoriali fra i Guraghe, durato ininterrottamente dal settembre 1992 al luglio 1996, la specifica ricerca nelle Sabat Beyt si è protratta dal marzo 1995 al luglio 1996, con frequenti periodi di survey negli anni seguenti. Alla beyt dei Gheto, con i quali ho dega:8 nel centro-sud dell’Etiopia, fra Kambata, Hadiya e, soprattutto, Guraghe, l’ensete è coltivato estensivamente fino a quasi 3000 metri di altitudine. Sotto l’aspetto botanico, l’ensete, un monocotiledone monocarpico, è un’erba fogliacea, alta 6-12 metri, a base rigonfia, il cosiddetto “falso gambo”, formato dalla base delle foglie. Queste ultime, ben ampie, crescono a spirale, ciascuna fino a 6 metri di lunghezza e 1 metro di larghezza; sono di colore verde, lucido, con nervo mediano saliente di colore rossastro, e guaina corta di colore rosso. La lamina fogliacea cade col tempo. I fiori formano lunghi grappoli penzolanti di 2-3 metri di lunghezza; sono bianchi, protetti da ampie brattee di colore rosso scuro, ed hanno un solo petalo e 5 stami che producono un polline appiccicoso. I frutti formano piccoli caschi, apparentemente di banana; ma non sono commestibili. Ogni frutto, che ha una consistenza vagamente legnosa, misura circa 9 centimetri di lunghezza, contiene numerosi semi duri, di colore nero-marrone e di circa 2 centimetri di lunghezza, e solo un piccolo strato di polpa. Il frutto indica la fine del ciclo vitale e la prossima morte della pianta.9 La propagazione della pianta avviene per succhione. L’impollinazione viene di solito eseguita dai pipistrelli che trasportano il polline appiccicoso da una pianta all’altra. (Cfr. Azene Bekele Tesemma 1993) La sua maturazione dura, a secondo delle zone, dai 15-17 anni degli altopiani agli 8-10 anni dei bassopiani. Vi sono ottime ragioni per l’adozione della coltivazione dell’ensete: “Il consumo di ensete si aggira su 0,5-1,5 chilogrammi al giorno per persona. Dato quindi che un raccolto medio è di circa 9-10mila chi- trascorso e trascorro parte della mia vita, va tutto il mio affetto e tutti i miei ringraziamenti. 7) In inglese: wild banana; in amharico: enset, guna-guna, koba; in hadiya: wesa; in kaffa: kocho; in kambata: wese; in oromo: koba, weke, wese; in wollaita: uta, yecha. 8) Le temperature variano al variare 134 delle quote e, come per il resto dell’Etiopia, dai Guraghe si usa distinguere tre principali zone agro-climatiche: qolla, la zona a clima tropicale, fra 1040 e 1700 metri l/m, ridotta per i Guraghe esclusivamente alle sole, profonde valli del fiume Ghibe e del Wabe; woyna dega, la zona a clima subtropicale, fra 1700 e 2400 Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia logrammi per ettaro l’anno, l’ensete può sostenere una densità di popolazione per unità di territorio, maggiore di quella permessa da qualsiasi altro raccolto”. (Cfr. Taye Bezuneh 1984:114) Un ettaro coltivato ad ensete può quindi nutrire 20-25 persone. Se a questo aggiungiamo che la sua coltivazione richiede una attività lavorativa relativamente bassa, concentrata nei mesi all’inizio dell’anno guraghe, e per lo più svolta in gruppo, ovvero in gruppi di lavoro istituzionalizzati (gez), comprendiamo come le attività lavorative esterne all’agricoltura, e con esse le migrazioni stagionali dei Guraghe, siano svolte senza danneggiare l’unità di produzione famigliare, lo abarus.10 La trasformazione dell’ensete in wusa (koccho), il principale e più amato cibo tratto dallo ensete, viene infatti realizzata fra il mese di edar e il mese di terer; mentre i grandi lavori di messa a dimora e di trapianto dei giovani ensete avvengono nei mesi di terer e mekas.11 2.2 Parti della pianta Agli occhi dei Guraghe, le parti della pianta dell’ensete sono ben identificate e classificate in qetar, gupa e qin. Il qetar è la parte fogliare, ovvero la parte verde superiore. Usata comunemente come cibo per gli animali durante la stagione secca,12 è impiegata anche come contenitore, ad esem- metri l/m, comprendente la parte più estesa del territorio guraghe (circa il 50-55%); dega, la zona a clima temperato, fra 2400 e 3400 metri l/m, comprendente la parte relativamente meno estesa del territorio (circa il 40-45%). 9) L’ensete si distingue dalla Musa sapientum, il vero banano, proprio per la forma della parte terminale dei fiori e per la sua morte a fioritura avvenuta, oltre che per la posizione delle foglie, più erette di quelle del banano. 10) Lo abarus è la famiglia in quanto unità di residenza: tutte le persone che vivono nella stessa casa, i componenti dell’unità domestica di pro- pio per il ketfo (carne cruda tritata finemente e condita con varie spezie); ma può essere anche usata come tappeto o addirittura come ombrello. Il qetar è composto da: a. enawa e kankasha, parti secche del fogliame: usate come combustibile o per realizzare corde, coperchi o contenitori per il trasporto di burro e di formaggio, sono anche adoperate per la fabbricazione di materassi (kapat, enachye); b. shira, il fiore, che appare alla fine del ciclo vitale della pianta;13 c. shimpina, il nervo della foglia, usato generalmente come cibo per animali e per costruire zattere, ma anche per la preparazione del letto di morte sul quale viene lavato e deposto il cadavere; d. mutettinye, la parte centrale della pianta, chiamata anche mama, cioè “madre”: rappresenta il principio vitale ed è impiegata come simbolo nelle metafore per indicare tutto ciò che è generazione, fertilità, abbondanza ecc.; e. wodera, picciolo, utilizzato nella fabbricazione di stuoie e altro; f. gunarye, la parte di transizione fra il qetar e il gupa. Il gupa è il cosiddetto “falso gambo”, ovvero è la parte principale della pianta, almeno ai fini alimentari, e comprende: a. kasra, il corpo: la maggior quantità di wusa proviene da questa parte della pianta così come duzione. Gli estranei al gruppo di discendenza, eppure componenti lo abarus, trovano ricovero nella casa, aiutano nelle faccende domestiche e nelle attività agricole ma consumano i pasti altrove. 11) Il calendario agricolo si basa sui tredici mesi dell’anno guraghe (ye gurage kere): 1. edar (settembre), 2. mesha, 3. terer, 4. mekas, 5. wato, 6. mehazya, 7. gurmat, 8. serya, 9. amra, 10. nahase, 11. masharu, 12. terqamt, 13. qwaqume (5-7 giorni). 12) Oltre metà delle precipitazioni annuali avviene durante l’estate, zar, la grande stagione delle piogge fra giugno e settembre. Nella piccola 135 stagione secca, mehena, che segue subito dopo, si hanno ancora poche piogge, sempre decrescenti, che permettono le attività agricole svolte dalle donne. Durante la grande stagione secca, abar, il tasso di umidità è minimo; si protrae da dicembre a febbraio e rappresenta il periodo di massima intensità delle attività agricole svolte dagli uomini. Segue infine una piccola stagione umida, werwer, con poca pioggia. 13) Una sola varietà di ensete, ye shira frey, può essere soddisfacentemente riprodotta con i semi. Controsservatorio ambiente e territorio ANTONIO LUIGI PALMISANO pure la maggior quantità di fibre ottimamente impiegate nella fabbricazione di corde e contenitori vari (jipe, yewodera ecc.); b. erchye, foglia carnosa ai lati del gupa; c. gupuwe, parte interna dello erchye; d. inqekina, parte bianca, morbida, cuore della pianta dell’ensete, impiegata come cibo per il bestiame. Il qin è la parte sotterranea della pianta e comprende: a. hewe, la parte di transizione fra il gupa e il wahta; b. wahta, la parte interna della radice, generalmente usata per la produzione di wusa oppure cotta insieme a patate - si presta anche ad una cottura rapida (ospiti inattesi)-, viene anche considerata un ottimo farmaco e come tale è impiegata; c. chipuwe, l’involucro del wahta; d. esir, le piccole radici che si dipartono dal wahta. 2.3 Riproduzione dell’ensete Il metodo classico impiegato dai Guraghe per riprodurre l’ensete si articola nelle seguenti fasi: - si lavora l’ensete a partire da piante in età dai 7 ai 9 anni. Si recide l’ensete ad un palmo circa al di sopra della linea hewe. Si prende tutto ciò che è al di sotto di questa linea, ovvero il wahta in tutte le sue parti, e lo si trapianta in un altro luogo, ricoprendolo di terra, dove lo si lascia per circa un anno. In questo modo spuntano e vanno a maturazione numerose piccole piantine di ensete, chiamate bosha (oppure fanfwa). Questa fase dura circa un anno; - si separano i bosha l’uno dall’altro, ottenendo i cosiddetti ye goryet (oppure masra), che vengono trapiantati –possono già avere raggiunto l’altezza di circa 60cm- in un altro luogo, dove restano in questa fase per circa due anni; - gli ye goryet sono nuovamente trapiantati in un’altro luogo e assumono la denominazione di bakar (oppure taqyat). Questa fase dura circa due anni; - alla fine di questo periodo sono di nuovo trapiantati ed assumono il nome di hiba e come tali le piante restano in questa fase per circa due anni; - sono quindi sottoposti ad un ultimo trapianto per poi prendere il posto degli ensete adulti che sono andati distrutti, per malattia od altro, o che sono stati sottoposti al processo di lavorazione. Assumono dunque il nome di kapora e come tali restano intoccati per un numero di anni che varia a secondo dell’altitudine (3-4 anni nel bassopiano, 6 anni negli altipiani). Alla fine di questo periodo sono giudicati bworana.14 E’ solo ora che a pieno titolo possono essere chiamati aset, ovvero ensete. Ogni pianta che non sia stata giudicata bworana, ovvero ensete a pieno titolo, viene chiamata dapore. Questo termine fonda una serie di aspettative sociali ed individuali, con diritti e doveri ad esse collegate. La pianta in sé non è commestibile, se ne può mangiare solo la radice e solo in caso di estremo bisogno. E’ fertilizzata con lo sterco dei bovini; deve essere molto ben curata: l’erba attorno va strappata di continuo e la terra che la circonda viene lavorata con estrema attenzione. Tutte le volte che la pianta viene trapiantata durante il processo di crescita, la parte fogliacea è tagliata e data in pasto agli animali. Tutti i trapianti sono effettuati dagli uomini, mentre i lavori di cura e mantenimento sono svolti dalle donne, aiutate talvolta dai bambini. 2.4 Principali varietà di ensete Premesso che per i Guraghe le diverse varietà di ensete “sono più di tante migliaia”, se ne possono nominare qui almeno alcune principali e più diffuse: 1. gowarye, ottimo per il wusa, ma anche per la maggior parte dei dolcetti fatti in casa, come “per accelerare il processo di calcificazione di ossa fratturate”; 2. astara, ottimo per ricavarne wusa come “per curare ulcere o portare a maturazione gli ascessi”; 3. kebnar, ottimo per il wusa come “per far 14) Letteralmente “maturo, da mangiare”, dalla radice verbale bwrot, “mangiare”. 136 Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia rimarginare perfettamente le ferite e altre lesioni”; 4. dereqyet, ottimo per il wusa come “per curare le ferite”. Una canzone guraghe recita che, una volta mescolate assieme, le qualità gowarye, astara e kebnar sono “molto più dolci del miele”. Relativamente al valore nutritivo delle radici, le principali varietà di ensete sono: gowarye, astara, kebnar, sariwat, tatarat, farasye, tagadid, shertya, bowasarat, ye shira frey, ameratye, nechwa, kanchewa, boserat ecc. Relativamente al valore nutritivo del kasra sono invece: astara, ameratye, gafanye, kanewa, ye shira frey ecc. La principale qualità per il nutrimento del bestiame resta lo ye damert.15 2.5 Fasi della lavorazione del wusa Il processo di lavorazione dell’ensete, perché sia reso commestibile, è un processo lungo e complesso, faticoso, e che richiede gli sforzi congiunti dell’intero gruppo di discendenza, il t’ib, e/o di residenza, lo abarus.16 Anche le associazioni volontarie di mutuo soccorso (gez) sono attive in questa occasione. Comunque, le principali protagoniste in questa fondamentale attività lavorativa sono le donne. Lavorano in gruppo e cantano per ritmare l’azione comune ed armonizzarla. 1. Taglio della pianta: - si seleziona la pianta matura ed adatta; - si taglia il fogliame (gonnerot: “tagliare tutte le foglie”); - si tagliano le parti secche del gupa, col coltello murea piccolo o col gunjerea (tabacha) grande; - si eliminano le foglie erchye; - si libera la pianta dalla radice (con il coltello gunjerea) e si comincia a fare oscillare il kasra (per controllare se qualche radice fa ancora presa), usando anche il maresha ed il geso; 15) Si tratta di una varietà di ensete a foglie rosse, rossiccio esternamente anche nel fusto, utilizzato come medicinale veterinario; ad esempio, per fare rilasciare alle mucche la placenta: quando il parto è incompleto - si estrae la pianta per intero e si separa il wahta dal kasra (con diversi accorgimenti per non fare cadere il tutto nella buca risultata dalla estrazione della pianta); si capovolge il wahta lasciando una piccolissima parte di kasra in basso, mentre si lascia il resto del kasra in posizione orizzontale; - si separano i componenti del kasra l’uno dall’altro, definitivamente. 2. Raschiamento in situ: - si colloca un palo di circa 10 cm. di diametro fra due piante di ensete; - si istallano 2 o 3 watar con la necessaria inclinazione, dopo che il terreno più in basso è stato perfettamente ripulito; - la donna si siede sul gunarye già tagliato, dopo aver collocato sul posto un tekesha o un chefat, leggero sedile circolare fatto con foglie intrecciate. A questo punto, ogni donna, con la propria strumentazione e dopo essersi lavata perfettamente i piedi, con i quali afferra e blocca il kasra, I. lavora le fibbre pulendole con assoluta cura; II. lavora il kasra per preparare il macchi koccho, ovvero il wusa di prima scelta; III. lavora lo erchye (gupuwe) e il gunarye per preparare un wusa di seconda scelta. Si trasporta infine, con l’aiuto del matrasha, tutto il materiale così ottenuto nel luogo di spremitura, filtraggio ed essiccamento, il cosiddetto ye fokwamadar wusacha. 3. Spremitura in situ: - si preparano tutti gli strumenti: watar, sibisa, jewanjewa e vari tipi di coltelli; - si prepara il posto di spremitura: si pulisce il terreno in anticipo e con grande cura e lo si tappezza con foglie di tipo qetar e enawa; - nel posto di lavorazione superiore (a), le donne schiacciano la pasta di kasra (kisara) anche dentro a dei qerchat. Il fluido (shisheba) cola lungo il pendio (b) verso la buca (c), nel sotto- o è condotto con difficoltà, la mucca viene subito nutrita con ye damert, pratica ritenuta estremamente efficace dall’allevatore e contadino guraghe. 16) Il t’ib, il clan, è l’istituzione alla base della strutturazione della società 137 guraghe. E’ presente ovunque ci siano due Guraghe, in campagna come in città. L’eguaglianza dei t’ib è strutturale, ovvero politica: dipende dall’equivalenza del prestigio sociale e dalla isomorfa capacità dei Controsservatorio ambiente e territorio ANTONIO LUIGI PALMISANO posto luogo di lavorazione. Anche questa buca è stata preparata in precedenza, pronta a raccogliere la pasta, foderandola accuratamente con grandi foglie di tipo qetar, precedentemente essiccate (ye jakwora qetar); - quando la buca è colma, si smette di schiacciare la pasta presente nel luogo di lavorazione superiore (a) e si lascia riposare ciò che ora si trova nella buca per circa due giorni (preferibilmente dopo aver ricoperto la buca, ma non necessariamente); - si screma infine la pasta presente nella buca, eliminando l’acqua in superficie: resta solo lo atbeyt, la pasta migliore; - lo atbeyt viene conservato più tardi al centro della massa di wusa che viene messa a stoccare anche per lungo periodo all’interno della buca di conservazione definitiva. L’intero processo di preparazione del wusa si risolve in un lavoro estremamente faticoso, ma che viene eseguito in gruppo dalle donne: cantano, bevono caffè, mangiano insieme. Il lavoro diviene una occasione di attività di giudizio e di commento degli avvenimenti che coinvolgono la comunità, con uno scambio di informazioni decisamente importanti per le future attività economiche e politiche della comunità. Più in generale, tutto il periodo del raccolto e della lavorazione dell’ensete rientra nella cosiddetta ye eshta gor, “stagione del lavoro delle donne”, ovvero la piccola stagione delle piogge, mehena, da settembre a novembre. Il periodo di tempo impiegato in queste fasi di lavorazione dell’ensete, totalmente demandate alle donne, viene chiamato mahana o dawa, mentre il luogo si chiama wusacha, così come tutti gli strumenti adoperati in questo rispettivi t’ib di mobilitare solidarietà nei casi di necessità, come durante le faide o altre emergenze storicomilitari. Viene così evitata in anticipo ogni ipotetica rivendicazione – anche se solo data dalla situazione contingente- di sovrapposizione gerarchica di un t’ib all’altro. L’eguaglianza non è dunque definita sulla base della ricchezza economica dei contesto sono chiamati ye wusacha gebir. Per la preparazione/lavorazione della radice viene adoperato lo jewanjewa. Il wahta viene tagliato in forma di cuneo, dividendo in due parti principali l’intera massa dell’apparato radicale. Una porzione (la parte b) viene lasciata in regalo alle donne che lavorano,17 che la dividono in piccole parti e la mettono a bollire, “come si fa per le patate”, per poi consumarla a colazione e a cena. L’altra parte, il wahta, viene schiacciata e separata dalle fibre; assume il nome di burama, ed è il corrispettivo del kisara come prodotto della lavorazione/spremitura del kasra. Burama e kisara vengono generalmente mescolati insieme, dando un wusa di media qualità, ovvero il wusa per l’uso quotidiano.18 Il kisara viene coperto con foglie e lasciato riposare per almeno una settimana, durante la quale viene mescolato per due volte, di modo che ciò che sta nella parte superiore della buca venga a trovarsi in quella inferiore e vice versa. E’ poi depositato in una buca (ye sagoja), dove viene conservato dopo essere stato coperto da qetar cui sono state tolte le parti dure centrali, il picciolo ed il nervo mediano. In questo modo le foglie sono ben piatte e riescono a foderare perfettamente la buca e anche ricoprirla. Buca e contenuto sono poi protetti con grosse pietre, collocate al di sopra. Da questa buca, il kisara finisce direttamente in cucina ogni volta che ce ne è bisogno, trasportandolo in un apposito paniere (ye wusa qerchat) e nella quantità desiderata. 4. Spremitura in casa: - il wusa viene ulteriormente spremuto con le mani, in piccole quantità per volta, e con l’aiuto di uno strumento in fibra e pelle chiamato kabsara (ye wusa kabsara). Il fluido che ne esce, suoi componenti – comunque, difficilmente quantificabile-, anche se quest’ultima può oggi esprimersi nell’acquisizione di nuove terre e di infrastrutture da mettere a disposizione dei lignaggi. La definizione e dichiarazione di eguaglianza dipende piuttosto dalla coesione interna di un determinato t’ib in relazione alla coesione interna dell’altro t’ib: 138 strutturalmente contrapposti e complementari gli uni agli altri. 17) Accade ancora così nelle campagne guraghe, anche se sempre più spesso le donne vengono oggi ripagate in denaro. 18) Wusa è anche il termine che indica la mistura di kisara e bulla (atbeyt) già cotta, pronta per essere mangiata. Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia agaga o buya, viene dato agli animali così come è, oppure ai più bisognosi, ma dopo essere stato leggermente essiccato e quindi asciugato sulla piastra, arrostito (aterkuye) e raccolto in un apposito contenitore il mohayad; - il prodotto spremuto e seccato viene messo sullo zembone, un asse di legno, sul quale viene “tagliato” molto a lungo dalle donne e con assoluta cura, in un apposito luogo della casa (gefarar) oppure all’esterno, con il ye wusa senda; - una volta ben tagliato, divenuto una sorta di farina, è mescolato con acqua e impastato, infine schiacciato bene a forma di focaccia; - generalmente viene arrostito sui carboni (asheshat o ye wossari wusa); - oppure è posto su un piatto/padella di ferro (in amharico, metat), sopra ad ampi frammenti di shimpina e a foglie di ensete, ricoperto ancora con parti di shimpina e foglie di ensete, e arrostito rivoltandolo ogni tanto (dapa). Questo procedimento di cottura può essere ripetuto più volte, fornendo un cibo che costituisce il piatto preferito nei giorni di festa; - quando lo asheshat o il dapa avanzano, perché preparati in sovrabbondanza, vengono scaldati o nuovamente arrostiti il giorno seguente e consumati a pranzo (ye kokomi wusa) o a cena (ginzer). 2.6 Qualità di wusa La qualità del wusa, il suo sapore quindi ed il suo valore commerciale e sociale, è determinata dalla varietà e qualità dell’ensete lavorato, dalle parti di ensete dalle quali è stato tratto il wusa, dal periodo di fermentazione, non inferiore a sei mesi, e dal tipo di stoccaggio cui è stato sottoposto. Ogni famiglia, ogni gruppo di residenza, cerca di dimostrare con la qualità del proprio wusa quale è la propria posizione sociale e politica, traducendo in prestigio politico il sapore e l’abbondanza ottenuti dallo abarus, l’unità domestica di produzione. I principali tipi di wusa (koccho) sono: a. tequrea, di eccezionale qualità, viene conservato a lungo sottoterra, per portare perfet19) Il padre e la madre sono i principali destinatari di questo genere di tamente a termine il processo di maturazione, da un minimo di 3-5 anni fino anche a 30 anni. Il tequrea è stoccato in un posto segreto, conosciuto solo dalla padrona di casa e dal consorte, dopo essere stato ricoperto di erba o di piante. E’ un cibo molto ricercato per la sua rarità e per il suo sapore, considerato straordinario; non è facilmente reperibile sul mercato ed è di solito oggetto di dono fra parenti.19 b. amtarye, di qualità ottima; si tratta del kisara e del burama cui è stato aggiunto il gwoka, la radice spezzettata dell’ensete, preparata lasciandola in sito per oltre un mese dopo essere stata bucata in più parti con un coltellaccio; c. tikwot (zafya), di qualità buona; si tratta di un sorta impropria di wusa che ha vissuto un periodo minimo di stoccaggio e non è ancora perfettamente maturo (ye ra tikwot); d. anfurye (jewa), di qualità mediocre; si tratta del prodotto finale della lavorazione dello erchye e del gunarye, mescolati insieme al gyangya. Fra un piatto di wusa o di altri farinacei, comunque, un Guraghe sceglie il wusa, di qualunque tipo questo possa essere. Soprattutto un emigrato guraghe. 3. Dall’agricoltura all’antropologia politica Gli Amhara e gli altri gruppi etnici commentano così la straordinaria attività migratoria dei Guraghe: Guraghe na landrover yamidersubet yallam!, “non ci sono posti inaccessibili per un Guraghe o una Land Rover!”. Ma almeno una volta all’anno, per le festività di dicembre, ovvero per il trapianto dei giovani ensete, il Guraghe ritorna a casa. Tutti si aspettano che lo faccia, perché “chi non torna in quei giorni è maledetto”. Siccome, invece, è desiderio di tutti essere benedetti, anche lo shushiain, il ragazzino guraghe che lavora in città pulendo scarpe e lavando macchine insieme ai coetanei provenienti dallo stesso distret- doni così come pure gli ospiti illustri in occasioni cerimoniali, come fune- 139 rali, matrimoni e altre grandi feste religiose. Controsservatorio ambiente e territorio ANTONIO LUIGI PALMISANO to, pur in ristrettezze economiche, farà di tutto per rivedere i genitori, i fratelli maggiori e gli altri parenti; ed ottenere la loro benedizione. Ogni figlio ha non solo l’obbligo morale e perfino giuridico, secondo le leggi dello yejoka, di mantenere economicamente i genitori indigenti ma anche quello di sostenerli con la propria presenza, almeno a dicembre, per quanto saltuaria possa essere. Dicembre segna l’apertura della grande stagione secca, abar, la stagione delle attività lavorative maschili svolte in gruppo, chiamata anche ye gemeya gor, “stagione del lavoro degli uomini”. Dicembre è dunque il mese della messa a dimora dello hosha egoyat, la piantina di ensete pronta alla propaggine. E’ pertanto necessaria la presenza di tutti i maschi adulti: gli uomini svolgono a rotazione questa attività in gruppi di lavoro che si occupano di tutte le piantagioni del villaggio. Il resto del processo di lavorazione dell’ensete è compito delle donne, le assolute custodi della tradizione: nei lunghi periodi di assenza dei loro uomini, queste continuano ad occuparsi di tutte le fasi di lavorazione che seguono al trapianto. La funzione sociale e politica svolta dall’uomo è quella di ponte fra il mondo guraghe e il mondo dell’Etiopia in trasformazione. Le esigenze agricole e le caratteristiche della pianta dello ensete, così come le prestazioni agricole richieste all’uomo, lo permettono al massimo grado. L’orticoltura guraghe è molto sviluppata, e la stessa coltivazione dell’ensete è vicina alla orticoltura: tutto resta all’interno dello steccato, del recinto dello abarus e, nella ideologia guraghe, la donna risulta legata alla pianta dello ensete almeno quanto alla casa. Gli anziani guraghe amano ripetere ai loro visitatori: “Il nostro problema è la mancanza di terreni, di spazio, non la mancanza di capitali o di mezzi di produzione!”. Fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, l’imperatore d’Etiopia definisce per decreto i terreni taf presso i Guraghe, ovvero i terreni incoltivati, non occupati da agricoltori 20) Questo genere di migrazione verso Addis Ababa era già stato no- e pastori, e li destina ai soldati che avevano conquistato il paese, come forma di ricompensa per i servigi prestati nell’esercito imperiale. I terreni così distribuiti sono chiamati madaria, e sono il primo passo nella realizzazione del sistema terriero neftegna-gabbar, puntualmente introdotto in seguito ad ogni occupazione amhara. E’ così che molti guraghe cominciano a migrare, scendendo giù dai monti, e in meno di tre o quattro decenni si ritrovano a controllare tutta l’area che si estende al sud, fino al basso Wulbarag. Questo movimento migratorio determina un incremento della produzione agricola, una espansione degli insediamenti e, in seguito alla territorializzazione guraghe di questi spazi, un incremento della attività politica degli stessi a livello nazionale. Il processo di espansione degli insediamenti coincide quindi con il processo migratorio: inizialmente una migrazione per lavoro, non per commercio. La migrazione era infatti originariamente destinata alla vendita della semplice forza lavoro sui mercati di Sabata, Holeita, Addis Alem, Aqaqi, Entoto:20 impiegata nella costruzione di case, strade e ponti, in ogni lavoro di facchinaggio e di trasporto di merci e materiali pesanti, nella raccolta di legna da ardere e di acqua, soprattutto nella vendita al dettaglio delle bollenti acque termali, filwoha.Alla prima fase di integrazione nel mondo urbano in funzione di pura forza lavoro in vendita su un mercato, segue l’impegno dei Guraghe nel commercio e nel trading di prodotti agricoli e dell’allevamento. L’occupazione italiana degli anni ‘30 ha assunto per i Guraghe il significato di una occasione storica di emancipazione, con la creazione, in seguito a specifiche politiche coloniali, di nuovi luoghi nel tessuto urbano, come ad esempio Merkato, l’enorme luogo di mercato della Addis Ababa di quegli anni e di oggi. Per comprendere la situazione di quel periodo, cercando di recepirla nella prospettiva dei Guraghe, è sufficiente fare riferimento a chi si è occupato di intervistare gli stessi tato da alcuni attenti osservatori, come Vanderheym nel 1894 (Cfr. 140 Vanderheym 1896:153). 21) Fekadu Gedamu 1972. Ensete e processi migratori: i Guraghe dell’Etiopia Guraghe sui loro rapporti con il colonialismo italiano, quando era ancora in vita la generazione che lo aveva vissuto: “In 1935 the gabbar system in Gurageland and elsewhere in Ethiopia ended with the coming of the Italians. (...) The ‘liberation’ of the Gurage from Ethiopian domination set in motion a shortlived cycle or reorganization of their society along traditional lines. The most important phase of this cycle was land redistribution”. (Shack 1966:27) Ed è nell’area di Merkato, pianificata e voluta dall’amministrazione coloniale italiana che i Guraghe, acquisendo nuovi spazi e costituendo nuovi luoghi, cominciano ad importare e vendere verdura e frutta, merci sempre più spesso prodotte al di fuori della loro regione: mercanti guraghe acquistano da contadini oromo e rivendono ad Addis Ababa. Il caso dell’urbanizzazione, ovvero delle migrazioni e del pendolarismo dei Guraghe, è stato dunque del tutto particolare, proprio perché “...l’ensete permette un abbondante surplus di lavoro”.21 L’ensete permette l’allontanamento dell’orticoltore per lunghissimi periodi di tempo senza che la produzione venga compromessa, a patto che qualcuno si occupi semplicemente di controllarlo, ovvero di custodirlo. La sua coltivazione è in agricoltura ciò che più si avvicina all’allevamento del bestiame di grossa taglia: lo si osserva con attenzione sui pascoli e si fa in modo che sia ben ricoverato. Gli emigranti guraghe verso la città sono per la maggior parte stagionali, infatti, proprio perché le attività agricole fra febbraio e ottobre sono quasi ferme. Vi sono tuttavia anche emigrati permanenti, soprattutto se di successo, aiutati fra l’altro dalla politica del doppio matrimonio, socialmente non condannata: una prima moglie e rispettivo nucleo famigliare in campagna, dove il capofamiglia si reca per le festività, e una seconda moglie con rispettivo nucleo famigliare in città, dove il capofamiglia è residente. Emigranti temporanei sono poi uomini giovani in cerca di denaro contante, con l’ambizione di realizzare piccoli capitali, di acquisire esperienza di vita, di saziarsi di avventura, di portare a termine un’iniziazione al mondo degli adulti, di ottenere “una chance in più” per una migliore, futura posizione sociale e poi politica: si trattengono per qualche settimana ma anche per anni nella grande città, dopo aver iniziato il loro inurbamento come lustrascarpe. Ma tutti, giovani e meno giovani, rientrano nelle terre guraghe per uno o due mesi all’anno: a rigenerare l’ensete, e così rigenerarsi politicamente e socialmente. * Bibliografia Tesemma A. B. (1993), Useful Trees and Shrubs for Ethiopia, English Press, Nairobi. Getamu F. (1972), Ethnic Associations in Ethiopia and the Maintenance of Urban/Rural Relationships: With Special Reference to the Alemgana-Walamo Road Construction Association, University of London, Unpublished Ph.D. Dissertation. Palmisano A. L. (2005), Salomone e Saba: il mito nei processi politici e giuridici, in Atti del Convegno Miti Antichi e Miti Moderni, Centro Studi Heliopolis, Trieste 2 dicembre 2004, pp. 43-63, Edizioni Università di Trieste Raffestin C. (1986), Punti di riferimento per una teoria della territorialità umana, in Copeta C. (a cura di), Esistere e Abitare, pp. 75-89, Franco Angeli, Milano. Shack, William A. (1966), The Gurage: A People of the Ensete Culture, Oxford University Press, London. Bezuneh T. (1984), Evaluation of Some Ensete Ventricosum Clones for Food Yield with the Emphasis on the Effect of the Length of Fermentation on Carbohydrate and Calcium Content, in Tropical Agriculture, 61, 2. Vanderheym J.C. (1896), Une expédition avec le Négus MénilekLibrairie Hachette, Paris. 141