concessione di servizio pubblico e cooperazione: nuove prospettive

annuncio pubblicitario
CONCESSIONE DI SERVIZIO PUBBLICO E COOPERAZIONE: NUOVE
PROSPETTIVE PER UN ISTITUTO ANTICO
di Michela Passalacqua
Sommario: 1. “Servizi privati” resi ad un soggetto pubblico e “servizi pubblici” resi al pubblico
da un prestatore. 2. Obblighi di servizio pubblico e funzione di vigilanza. 3. Concessione di
servizi e concessione traslativa di funzione. 4. Concessione e contratto di servizio. 5. La
concessione tra funzione pubblica e servizio pubblico: riflessioni conclusive.
1. “Servizi privati” resi ad un soggetto pubblico e “servizi pubblici” resi al
pubblico da un prestatore
Di recente, la Commissione europea (1) ha ritenuto opportuno chiarire i tratti tipici
di un istituto giuridico dalla tradizione assai antica presso diversi Stati membri, benché
poco utilizzato nel diritto comunitario, vale a dire la concessione amministrativa.
In realtà, l’interesse mostrato dalla Commissione potrebbe in un certo qual modo
apparire sconcertante (2), atteso che da tempo la concessione stessa, spesso eretta a
baluardo dei privilegi rivendicati dai pubblici poteri, pareva prestarsi ad essere associata
a quel sistema di rapporti economici in cui convivono riserve di attività e monopoli, in
un assetto ben lontano dal rispetto delle regole di concorrenza imposte dal diritto
comunitario stesso.
Se, dunque, la concessione amministrativa è messa sotto accusa dalla nostrana
autorità garante della concorrenza e del mercato (3), oltre che da una certa dottrina che
la equipara ad una sorta di riparo dal vento della concorrenza (4), il “custode” del diritto
(1) Comunicazione della Commissione Comunità europee, 12 aprile 2000, Comunicazione interpretativa
sulle concessioni nel diritto comunitario, in GUCE, 29 aprile 2000, n. C-121. Per un primo commento si
veda: F. LEGGIADRO, Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto
comunitario, in Urb. App., n. 10, 2000, p. 1071 ss.; D. SPINELLI, L. QUARTA, Appalti pubblici
europei: la comunicazione interpretativa della commissione in tema di concessioni, in Riv. It. Dir. pubb.
com., 2000, p. 585 ss.; E. VALLANIA, Le innovazioni apportate dalla Comunicazione interpretativa
della Commissione nel settore delle concessioni pubbliche, in Riv. trim. App., n. 4, 2000, p. 838 ss.
(2) Invero, anche dalla lettura dell’Introduzione della stessa Comunicazione da ult. cit. pare emergere la
consapevolezza di una sorta di inversione di tendenza dell’atteggiamento delle Istituzioni comunitarie
avverso l’istituto in esame, cfr.: “1.2. Negli ultimi anni, taluni fattori, quali le restrizioni di bilancio e la
volontà di limitare l’intervento dei poteri pubblici e di rendere partecipe il settore pubblico delle
esperienze e dei modi di funzionamento di quello privato hanno determinato il recupero di interesse per
la concessione (corsivo nostro)”.
(3) Vedi segnalazione 28 ottobre 1998, AS 152 concernente Misure di revisione e sostituzione di
concessioni amministrative, in Boll., 2 novembre 1998, n. 42; si veda, altresì, il commento di G.
LOMBARDO, Il rapporto sulle concessioni, in Gior. Dir. amm., n. 6, 1999, p. 587 ss.; M. D’ALBERTI
(a cura di), Concessioni e concorrenza, in Autorità garante della concorrenza e del mercato, temi e
problemi, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1998, passim; e da ultimo segnalazione 14
gennaio 2002, AS226, Riforma della regolazione e promozione della concorrenza, in Boll., 28 Gennaio
2002, n. 1-2.
(4) L’espressione è di G. DI GASPARE, Tra stato e mercato: l’insostenibile leggerezza della concessione
amministrativa, in Politica Dir., n. 3, 1998, p. 518.
1
comunitario la configura, invece, come uno dei più importanti strumenti di
cooperazione tra pubblico e privato (5).
Merita, allora, fare chiarezza su questa contraddittoria visione del medesimo
istituto.
Innanzi tutto, occorre comprendere quali siano i presupposti che giustificano il
ricorso ad una concessione intesa come strumento idoneo a garantire una sorta di
partenariato tra pubblico e privato, poiché soltanto tale tipo di concessione pare essere
incentivata dal diritto comunitario.
Va da sé che il soggetto pubblico ritiene opportuno cooperare col soggetto privato
quando vi sia l’esigenza di tutelare interessi generali. Tale ipotesi può realizzarsi anche
qualora questi ultimi si intersechino con aree di pertinenza prettamente privatistica. Ciò
accade sia con riferimento ai grandi lavori infrastrutturali destinati al pubblico, che
potrebbero, una volta realizzati, essere gestiti da imprenditori privati; sia in relazione ai
servizi pubblici, i quali, pur risolvendosi, spesso, in prestazioni economiche erogabili da
operatori privati, devono corrispondere a caratteristiche minime essenziali per l’effettivo
soddisfacimento degli interessi sottesi, che solo un soggetto pubblico può garantire.
In entrambe le circostanze sussistono i margini per una contrattazione: ora il
soggetto pubblico necessita di capitali privati per garantire il soddisfacimento
dell’interesse generale alla realizzazione di opere infrastrutturali, per cui è disposto a
lasciare che sia l’imprenditore privato ad assicurare tale soddisfacimento nell’esercizio
del diritto di impresa di cui è titolare, limitandosi a vegliare sulla corretta esecuzione dei
lavori; ora il soggetto privato che decide di erogare servizi pubblici, consapevole di
dover adempiere ad obbligazioni predeterminate, accessorie al diritto di impresa di cui è
titolare (6), è disposto ad accollarsele in vista dei futuri profitti, mentre l’autorità
preposta alla tutela del buon funzionamento del servizio a favore degli utenti ha tutto
l’interesse a trovare l’imprenditore in grado di far fronte agli obblighi connessi,
limitandosi, nella fase post-contrattuale, a svolgere una funzione di vigilanza.
In secondo luogo, va precisato che la stessa Comunicazione interpretativa
riconduce le concessioni agli atti dello Stato aventi ad oggetto prestazioni di attività
economiche (7), con espressa esclusione degli atti amministrativi di autorizzazione
all’esercizio di un’impresa (8), in cui l’atto autorizzatorio si limita a svolgere una
funzione di controllo circa la presenza dei requisiti richiesti dalle norme per l’esercizio
di determinate attività, configurandosi come una barriera all’ingresso (a vantaggio degli
(5) Nel Progetto di Comunicazione interpretativa della Commissione, elaborata in data 24.02.1999, sulle
Concessioni nel diritto comunitario degli appalti pubblici (in GUCE, 7 aprile 1999), n. C-94, al punto
1.3, si legge, infatti, “La collaborazione tra settore pubblico e settore privato ha assunto anche forme
diverse nel tempo e a seconda dei paesi. Alcuni paesi hanno definito, talvolta da secoli, il regime
giuridico applicabile a queste relazioni. Per lo più, esse prendono la forma di contratti di concessione”.
Ancora al punto 1.4. “Il partenariato pubblico-privato e, in particolare, il regime della concessione, che è
in pieno sviluppo, presentano un interesse di primo piano nel quadro della realizzazione del mercato
unico”. Del pari, riferimenti alla natura collaborativa delle concessioni si ritrovano anche nella stesura
definitiva della Comunicazione cit., dove, al punto 1.6., si precisa come esse si distinguano dagli appalti
pubblici “in ragione della delega di servizi d’interesse generale effettuata da questo tipo di cooperazione”.
Infine, merita ricordare che già la Comunicazione della Commissione, adottata l’11 marzo 1998,
concernente Gli appalti pubblici nell’Unione europea, Com (1998) 143, al punto 2.1.2.4. si soffermava
sul Trattamento delle concessioni e delle altre forme di partenariato pubblico/privato, stabilendo in
esordio che “Il concetto di partenariato pubblico/privato riguarda le diverse forme di partecipazione dei
capitali privati al finanziamento e alla gestione di infrastrutture e di servizi pubblici.”
(6) Si potrebbero configurare, mutatis mutandis, come qualcosa di analogo alle obbligationes propter rem,
note al diritto privato, benché queste ultime gravitino attorno al diritto di proprietà.
(7) Sono quindi esclusi gli atti relativi ad attività non economiche, come la scuola dell’obbligo o la
sicurezza sociale, v. Comunicazione, 12 luglio 2000, cit., pt. 2.4.
(8) La stessa Commissione annovera esemplificativamente tra tali atti abilitativi le concessioni di taxi,
così come, le autorizzazioni concernenti distributori di benzina.
2
operatori economici preesistenti) solo quando difetti ab origine un interesse pubblico
tale da giustificare il sovrapporsi di una regolamentazione esterna rispetto alle regole del
mercato (9). In tali ipotesi non pare necessaria una cooperazione tra pubblica
amministrazione e privato imprenditore al fine di assicurare l’erogazione di un servizio
al pubblico, in quanto il mercato è in grado di adempiere a tale compito a prescindere da
un invasivo potere di "vigilanza" pubblicistica. Infatti, tali servizi si caratterizzano per
essere tendenzialmente redditizi anche al variare delle aree territoriali e dei segmenti di
mercato in cui vengono svolti (si pensi, ad esempio, all'erogazione di alimenti e
bevande); inoltre, anche qualora siano scarsamente remunerativi, si tratta pur sempre di
servizi aggiuntivi la cui mancanza non esclude la tutela effettiva di libertà fondamentali,
assicurate proprio dai cd. servizi pubblici di base (esemplificando tale rapporto sussiste
tra servizio di taxi e servizio di trasporto urbano di linea).
In terzo luogo, prima ancora di analizzare natura e caratteri della concessione di
servizi, di cui ci occuperemo nel presente studio, merita fare chiarezza in ordine al suo
oggetto, distinguendo tra “servizi privati” resi ad un soggetto pubblico da un operatore
privato (e in quanto tali disciplinati dalla cd. direttiva servizi (10) recepita con D.LGS n.
157/1995 (11)) e, “servizi pubblici” nel senso di resi al pubblico dal prestatore (12).
Nel primo caso l’aggettivo “pubblico” si riferisce, per un verso, al soggetto
richiedente (13) l’erogazione del servizio, per l’altro, al contratto stipulato tra il privato
(9) Cfr. Autorità garante della concorrenza e del mercato, Relazione annuale sull’attività svolta, Roma,
1996.
(10) Direttiva 92/50 del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di servizi, in GUCE, 24 luglio 1992, n. L-209/1, modificata dalla direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1997, 97/52, in GUCE, 28 novembre 1997, n. L-328. Ricordiamo,
inoltre, che recentemente la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio (proposta di direttiva n. 500/275), relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture di servizi e di lavori. Lo scopo di tale nuovo intervento
normativo in materia è di semplificare il quadro giuridico esistente, risolvendo eventuali dubbi
interpretative e riunendo le tre direttive “classiche” in un unico testo normativo. Nello stesso senso si sta
muovendo il legislatore nazionale, prevedendo nell’ultima legge annuale di semplificazione
amministrativa (art. 1, c. 6, lett. o, L. n. 340/2000, in GU, 24 novembre 2000, n. 340), la creazione di un
testo unico contenente le norme in materia di appalti pubblici di servizi e forniture. Il rischio è, però, di
anticipare il nuovo intervento normativo comunitario, e di dover così rimetter mano alla normativa interna
di nuovo conio.
(11) In Suppl. ord. GU, 6 maggio 1995, n. 104, recentemente modificato dal D.LGS n. 65/2000, in GU, 24
marzo 2000, n. 70, di attuazione, fra l’altro, della direttiva 97/52/CEE cit.
(12) Tale distinzione appare ormai pacifica per la miglior dottrina, cfr.: R. CAVALLO PERIN, Comuni e
provincie nella gestione dei servizi pubblici, Napoli, Jovene, I, 1993, p. 61-66; A. ROMANO, Profili
della concessione di pubblici servizi, in Dir. amm., n. 4, 1994, p. 468; A. POLICE, La concessione di
servizi pubblici: regole di concorrenza e “privilegi” dell’amministrazione, in Riv. trim. App., 1995, p.
372 ss. In giurisprudenza si veda: Tar Emilia Romagna, Parma, 18 settembre 1995, n. 317, Soc. Teckal c.
Com. Reggio Emilia, in Riv. trim. App., 1996, p. 720 ss.; Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 1995, n. 240,
Comune di Arco c. soc. A.I.P.A., in Cons. Stato, 1995, I, 218 ss.; C. Conti, sez. contr., 11 settembre 1996,
n. 125, Min. tesoro, in Cons. Stato, 1996, II, p. 2191; Tar Toscana, sez. II, 15 maggio 1998, n. 410, Cassa
di risparmio di Pisa s.p.a. c. Provincia di Pisa, Banca Toscana s.p.a. e altro, in Foro amm., 1999, p. 158
ss.; Tar Sicilia, Catania, sez. II, 10 giugno 1999, n. 1137, in Urb. App., 1999, p. 897; Tar Toscana, 4
marzo 1999, n. 242, Soc. S. c. Regione Toscana, in TAR, 1999, I, p. 1955; Tar Lazio, Latina, sez. I bis, 30
giugno 2000, n. 5351, Soc. P.U. c. Istituti fisioterapici ospedalieri, in TAR, 2000, I, p. 3096; Cons. Stato,
sez. V, decr. Pres. 4 novembre 2000, n. 6, in giust.it, riv. on line. Si veda, infine, la nota sentenza della
Cass. civ., sez. un., 30 marzo 2000, n. 71, Asl Roma D c. Farmafactoring s.p.a., in Riv. Giur. quadrim.
pubb. serv., n. 2, 2000, p. 169 ss., in part. p. 171 dove si precisa che “Le prestazioni rese
all’amministrazione sanitaria per consentire ad essa di ottenere i beni utilizzati per gestire il servizio
sanitario si collocano “a monte” di tale servizio e non possono confondersi con le prestazioni del servizio
pubblico, il quale si caratterizza per il fatto che è erogato al pubblico degli utenti”.
(13) Per la definizione di amministrazione aggiudicatrice che va a delimitare sul piano soggettivo l’ambito
di applicazione del D.LGS n. 157/1995, si veda l’art. 2 dello stesso. Su tale nozione si rimanda a L.
RIGHI, L’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo del D.lgs. n. 157/1995: amministrazioni
3
erogatore e la stazione appaltante consistente appunto in un appalto pubblico (14) ovvero
connotato da profili di specialità rispetto al contratto di appalto disciplinato dal c.c.;
infine, alla procedura da seguirsi per la scelta del contraente (15).
Nel secondo caso, invece, il connotato della pubblicità si riferisce alla cerchia dei
destinatari del servizio stesso, coincidente con il pubblico.
Quindi, i servizi privati di cui abbisogna la pubblica amministrazione (come, ad
esempio, il servizio di informatizzazione (16) della stessa), in quanto erogati
direttamente alla P.A. e necessari all’espletamento delle sue funzioni (17), a certe
condizioni (18), dovrebbero sempre trovare la loro disciplina (19) in un contratto di
appalto di servizi (20), caratterizzato, come abbiamo visto, da peculiari procedure per la
aggiudicatrici e appalti pubblici di servizi, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Appalti pubblici di
servizi e concessioni di servizio pubblico, Padova, Cedam, 1998, p. 67-111; P. LO GIUDICE, I soggetti
dell’appalto pubblico di servizi, in TAR, 1998, II, p. 475 ss.; S. LO RUSSO, Servizi pubblici e organismi
di diritto pubblico, in Riv. trim. App., 2001, p. 696 ss.; R. IANNOTTA, Osservazione a C. Giustizia
Comunità Europea, C. plenaria, 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann Anlangenbau Austria AG
c. Strohal Rotationsdruck GesmbH, in Foro amm., 1998, p. 2298 ss.; G. GRECO, Organismo di diritto
pubblico: atto primo, in Riv. It. dir. pubb. com., 1998, p. 733 ss.
(14) Per una approfondita analisi sulla natura di tale istituto si rinvia a E. STICCHI DAMIANI, La nozione
di appalto pubblico. Riflessioni in tema di privatizzazione dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè,
1999; si veda, inoltre: M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle
pubbliche amministrazioni, Napoli, Jovene, 1981, p. 331 ss.; G. MORBIDELLI, M. ZOPPOLATO,
Appalti pubblici, in Trattato di diritto amministrativo europeo, (diretto da M.P. CHITI e G. GRECO),
Milano, Giuffrè, 1997 p. 214 ss.; F. LAURIA, Appalti pubblici comunitari. (Gli accordi internazionali in
materia di), ivi, p. 285 ss.
(15) Sulle procedure ad evidenza pubblica si veda: F. P. PUGLIESE, R. ROTA, Le procedure di
conclusione dei contratti delle amministrazioni pubbliche, in Riv. trim. App., 1993, p. 587 ss.; P. LO
GIUDICE, L’aggiudicazione nell’appalto pubblico di servizi: procedure e criteri, in TAR, 1999, II, p. 13
ss.; M. DE PAOLIS, voce Gara, in I contratti della pubblica amministrazione, Raccolta coordinata di
giurisprudenza e legislazione, Padova, Cedam, 1999, p. 261-276, oltre ai richiami alle altre voci ivi
suggeriti; A. CAROSI, Modalità e criteri di affidamento degli appalti di servizi sotto e sopra soglia:
bando, selezione, aggiudicazione, in App. Urb. Edilizia, 1999, p. 3 ss.
(16) Sul punto vedi G. LOMBARDO, Il rapporto sulle concessioni, cit., p. 588-589.
(17) È superfluo ricordare che anche in tali ipotesi i destinatari “mediati” (rectius: indiretti) del servizio
saranno pur sempre tutti i cittadini, ma ciò si atteggia ad elemento intrinseco di ogni attività della P.A.
(18) Per un’indicazione sulle attuali soglie di applicazione della normativa comunitaria in materia di
appalti di servizi: M. URBANI, Appalti di servizi, forniture e lavori alla luce della nuova direttiva n.
97/52/CE, in Nuova Rass., n. 1, 1997, p. 43-45; R. COLAGRANDE, Gli appalti pubblici di servizi a
seguito del DLGS 25 febbraio 2000, n. 65, in Nuove Leggi civ. comm., n. 5, 2000, p. 916-918.
(19) Questo non accade, ad esempio, per l’attività di gestione, manutenzione e sviluppo dei servizi
informativi automatizzati nelle pubbliche amministrazioni, sopra menzionati, poiché il legislatore
interviene con leggi ad hoc sancenti il regime concessorio (si veda, ad esempio, la L. n. 194/1984, in GU,
5 giugno 1984, n. 153 e la L. n. 81/1992, in GU, 14 febbraio 1992, n. 37, oltre alla L. n. 39/1993, in GU,
20 febbraio 1993, n. 42, contenente norme generali in materia). In tali casi la concessione va a
sovrapporsi al campo di applicazione del contratto di appalto perdendo la propria identità giuridica,
esaurendosi così in un mero nomen iuris, con l’unico intento di aggirare le procedure di evidenza
pubblica, anche se, come vedremo, tale scopo appare frustrato da una corretta lettura delle norme di
diritto positivo.
(20) Per un esame della disciplina degli appalti pubblici di servizi si veda: I. DEL CASTILLO, C.
GALTIERI, U. REALFONZO, Appalti pubblici di servizi, Analisi e commento del DLGS 17 marzo 1995,
n. 157 di recepimento della direttiva n. 92/50/CEE, Appendice normativa aggiornata con la direttiva 13
ottobre 1997, n. 97/52/CE, seconda edizione, Milano, Pirola, 1998; G. GRECO, Gli appalti pubblici di
servizi, in Riv. It. Dir. pubb. com., 1995, p. 1285 ss.; S. GIACCHETTI, Gli appalti pubblici di servizi,
questi sconosciuti, in Rass. Giur. energia elett., 1996, p. 865 ss.; P. LO GIUDICE, I caratteri propri
dell’appalto di servizi, in TAR, 1998, II, p. 419 ss.; Id., Gli appalti pubblici di servizi nella disciplina
comunitaria e nazionale, ivi, 1998, II, p. 365 ss.
4
scelta del contraente, volte ad evitare che il soggetto pubblico possa approfittare della
propria posizione contrattuale per falsare il libero gioco della concorrenza (21).
Mentre i servizi pubblici, ovvero destinati alla collettività, fuoriescono
dall’oggetto tipico del contratto di appalto pubblico e, per converso, sfuggono alla
disciplina normativa sancita per tale fattispecie negoziale.
Da ciò segue che non si verifica alcun tipo di violazione della normativa-appalti
qualora un servizio pubblico venga erogato da un imprenditore in forza di una
concessione. Ci preoccuperemo di chiarire nel prosieguo della trattazione quale senso
abbia il ricorso a tale atto concessorio nell’ambito di un sistema di mercato in cui vanno
scemando le riserve originarie o esclusive di attività a favore dei pubblici poteri (22).
Appare, dunque, possibile sostenere che appalto pubblico di servizi e concessione
di servizi pubblici rappresentino figure giuridiche ben distinte (23). E proprio dalle linee
distintive sopra evidenziate, la stessa Commissione trae il corollario, peraltro già
affermatosi in dottrina (24) e presso una recente giurisprudenza (25), per cui, nel contratto
di appalto, l’appaltatore non si assume alcun rischio di gestione, gravando, non a caso,
sulla pubblica amministrazione il corrispettivo del servizio reso (26), mentre, nella
concessione di servizi “l’operatore si assume i rischi di gestione del servizio (sua
(21) È evidente come in tal modo si garantisca pure il rispetto dell’art. 97 cost., e conseguentemente il
miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico, che si sostanzia nella possibilità di discernere l’offerta
più vantaggiosa.
(22) Vedi, infra, § 2.
(23) Contra: A. ROMANO TASSONE, La concessione a terzi dei servizi pubblici locali, in Regione gov.
loc., n. 1-2, 1992, p. 84-86; G. DI GASPARE, Tra Stato e mercato: l’insostenibile leggerezza della
concessione amministrativa, cit., p. 508 e 518 ss., dove l’autore sostiene che la concessione di servizi è
figura dalla “intrinseca inconsistenza giuridica” finendo per concludere che “oltre che dal punto di vista
della struttura del contratto, anche dal punto di vista funzionale non si riscontra possibilità alcuna di
riconoscere autonomo rilievo alla concessione di pubblico servizio rispetto all’appalto”; E. PICOZZA,
Appalti pubblici di servizi, Rimini, Maggioli, 1995, p. 242, secondo cui “quando un istituto, che, secondo
la regolamentazione nazionale costituirebbe concessione di pubblico servizio, compare nell’allegato della
direttiva 92/50, esso diventa a tutti gli effetti un appalto pubblico di servizi”; M. TUCCI, Appalto e
concessione di pubblici servizi, profili di costituzionalità e di diritto comunitario, Padova, Cedam, 1997,
p. 70-95, il quale conclude che la concessione di pubblico servizio “sembra aver perso a seguito
dell’evoluzione tecnologica, forse, la propria stessa ragion d’essere. Si è convinti che siamo infatti in una
fase di evoluzione al termine della quale la P.A. perderà molti dei propri “privilegi” e dovremo forse
riscrivere molte delle regole che disciplinano il rapporto tra P.A. e cittadino. Regole destinate a
incrementare i rapporti paritetici con drastico ridimensionamento o scomparsa di figure, come quella della
concessione, che detta pariteticità non postulano”.
(24) Si veda in particolare A. POLICE, La concessione di servizi pubblici: regole di concorrenza e
privilegi dell’amministrazione, cit., p. 378 ss.; A. M. BALESTRERI, Note sulla distinzione fra “appalti
pubblici di servizi” e “concessioni di servizi pubblici”, in Riv. trim. App., 1996, p. 735; B. MAMELI,
Servizio pubblico e concessione. L’influenza del mercato unico sui regimi protezionistici e regolamentati,
Milano, Giuffrè, 1998, p. 451-452; G. GRECO, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico
servizio, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio
pubblico, op. cit., p. 9; Id., Le concessioni di lavori e di servizi nel quadro dei contratti di diritto
pubblico, in Riv. It. Dir. pubb. com., 2000, p. 997.
(25) Tar Puglia, Bari, sez. II, 23 aprile 1998, n. 367, Soc. Puliappalti c. Comune di Bari, Soc G.E.P.I. e
C.G.I.L. ed altri, in TAR, 1998, I, p. 2753 ss. Si veda anche Tar Puglia, sez. I, 20 marzo 2000, n. 1067,
Consorzio L.Q. c. Regione Puglia, in TAR, 2000, I, p. 2790. Indicazioni in tal senso si traggono anche da
C. Giustizia Comunità europea, 26 aprile 1994, causa C-272/91, Commissione c. Italia, in Racc., 1994, I,
p. 1409; Id., 24 settembre 1998, causa C-76/97, Togel c. Niederosterreichische Gebietskrankenkasse, in
Urb. App., 1999, p. 221 ss., con nota di M. PROTTO.
(26) Esemplificando, la banca appaltatrice del servizio di tesoreria di un ente locale, non si assume alcun
rischio nella gestione del servizio, poiché una volta aggiudicatole l’appalto, riceverà periodicamente il
corrispettivo dall’ente appaltante e non dai cittadini che mediatamente ne beneficiano, i quali ultimi non
scelgono la banca cui rivolgersi in quanto la scelta è già stata fatta a monte dal soggetto pubblico.
5
istituzione e gestione) rifacendosi sull’utente, soprattutto per mezzo della riscossione di
un qualsiasi tipo di canone.” (27)
La distinzione così delineata tra concessione e appalto non deve affatto essere
interpretata come la premessa per l’elusione delle regole procedurali poste a tutela della
concorrenza (28). In realtà, nell’ambito dell’ordinamento interno a tale conclusione si
doveva giungere anche prima dell’espressa presa di posizione della Commissione in tal
senso (29). Infatti, l’agire della pubblica amministrazione deve sottostare al rispetto dei
principi di imparzialità, buona amministrazione ed economicità sanciti dall’art. 97 cost.
e oggi dall’art. 1 Legge n. 241/1990 (30). Non pare, quindi, compatibile con la disciplina
pubblicistica che regola la materia il riconoscimento di un potere puramente
discrezionale della P.A. nella scelta del concessionario (31).
(27) Comunicazione della Commissione, 12 aprile 2000, cit. pt. 2.2.
(28) La necessità di garantire l’esperimento di una gara è sostenuta da una parte della dottrina sulla base di
diverse argomentazioni cfr.: E. PALMIERI, La scelta del concessionario nella concessione di pubblici
servizi: evidenza pubblica o discrezionalità?, in Riv. trim. App., 1988, p. 1044 ss.; G. TURCO LIVERI,
Appalto e concessione dei servizi pubblici, in Comuni d’It., 1993, p. 1180; F. FRACCHIA, Servizi
pubblici e scelta del concessionario, in Dir. amm., n. 3, 1994, p. 408; C. MALINCONICO, Le
concessioni e le convenzioni, in Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Atti del XLI
Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 21-23 settembre 1995, Milano, Giuffrè,
1997, p. 119-120; F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, in
Foro amm., 1998, p. 2282-2284. Si veda da ultimo: R. CAVALLO PERIN, I principi come disciplina
giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno ed ordinamento europeo, in Dir. amm, n. 1, 2000,
p. 60-61 e p. 70; G. GRECO, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico servizio, op. cit.,
p. 27-29; Id., Gli affidamenti “in house” di servizi e forniture, le concessioni di pubblico servizio e il
principio della gara, in Riv. It. Dir. pubb. com., 2000, p. 1464-1466.
(29) La Commissione ha, infatti, precisato che, benché, non sussista allo stato attuale, un regime giuridico
specifico per le concessioni di servizio, ciò non significa che queste possano derogare alle norme del
Trattato come interpretate dalla Corte di Giustizia. Dovranno, quindi, essere rispettati i principi di non
discriminazione, di parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità (cfr.
Comunicazione della Commissione, 12 aprile 2000, cit., pt. 3). Ritiene, invece, che l’obbligo di esperire
una gara per il conferimento di concessioni di servizio pubblico non sia ricavabile dai principi del Trattato
F. GIOSIS, Rapporto di controllo, scelta del gestore di servizio pubblico, principi del diritto comunitario,
in Dir. proc. amm., n. 2, 2000, p. 589 ss. e p. 618 ss.
(30) In GU, 18 agosto 1990, n. 192.
(31) Cfr.: Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 1971, n. 749, Soc. p. az. Armasarda di Cagliari c. Min. Marina
mercantile e soc. p. az. Rimorchiatori sardi, in Cons. Stato, 1971, I, p. 1898; Cons. Stato, sez. VI, 31
ottobre 1972, n. 696, Soc. gestione rimorchiatori in Genova c. Consorzio autonomo porto di Genova e
Soc. rimorchiatori riuniti, in Cons. Stato, 1972, I, p. 1830; Tar Lazio, sez. I, 8 aprile 1981, n. 317,
Antonelli c. Co. Re. Co. di Roma, in TAR, 1981, I, p. 1469; Tar Liguria, 4 marzo 1986, n. 73, Società
Aereanavale c. Consorzio autonomo porto Genova, in Quad. reg., 1986, p. 366; Tar Lombardia, Milano,
sez. I, 8 giugno 1988, n. 767, Comune di Turate c. Regione Lombardia, in Riv. trim. App., 1988, p. 1040
ss.; Tar Piemonte, sez. II, 11 aprile 1995, n. 235, Sacagica s.r.l. c. Comune di Vinovo, S. Germano s.r.l. e
altri, in Foro amm., 1995, p. 1946 ss.; Cass. civ., sez. un., 6 maggio 1995, n. 4989, Siena Parcheggi s.p.a.
c. Impresa ing. Fortunato Federici s.p.a., in Foro amm., 1996, p. 32 ss.; Tar Lombardia, Milano, 23
settembre 1998, n. 2167, Soc. CO.RE.GAS c. Com. Stradella e altro, in Giur. merito, 1999, p. 864; C.
Cost., 19 giugno 1998, n. 226, Brumital s.p.a., in Giur. cost., 1998, I, p. 1765 ss., di cui, attesa
l’autorevolezza del giudicante merita riportare una parte della massima: “Anche se pertiene
indefettibilmente all’appalto il profilo, istituzionalizzato, della scelta del contraente, finalizzata alla
migliore realizzazione dell’interesse pubblico, secondo i principi della concorrenza tra imprenditori e
della parità di trattamento dei concorrenti nella gara, non si può ignorare che il principio di acquisizione
della prestazione alle condizioni più favorevoli per la pubblica amministrazione non rimane estraneo
neppure alle concessioni di pubblico servizio, in vista dell’esigenza della migliore soddisfazione
dell’interesse pubblico che l’imprenditore è tenuto a realizzare, attraverso una ricerca di mezzi adeguati e
pertinenti allo scopo, tale da comportare una selezione tra gli stessi (soprattutto in tempi di eliminazione
dei regimi monopolistici) [..]”. Si vedano, inoltre, le recenti pronunce di: Cons. Stato, sez. V, 24
settembre 1999, n. 1172, Soc. I.G.M. c. Com. Barlassina, in Giur. It., 2000, p. 849; Tar Lombardia, sez.
III, 29 giugno 1999, n. 2523, Soc. I. c. Comune di Cassano d’Adda e Soc. A., in TAR, 1999, I, p. 3211;
6
Inoltre, talvolta l’obbligo di garantire l’esperimento di procedure aperte deriva già
da speciali norme di legge, come nel caso dell’abrogato art. 267 del RD n. 1175/1931
(32) il quale prevedeva, come modalità di scelta del concessionario, la regola dell’asta
pubblica, contrapposta a licitazione o trattativa privata, esperibili soltanto qualora
“circostanze speciali in rapporto alla natura dei servizi lo consiglino”. Tale obbligo
trovava, inoltre, conferma nell’art. 56 della L. n. 142/1990 (33), come modificato
dall’art. 14 L. n. 265/1999 (34), e ora trasfuso nell’art. 192 D.LGS n. 267/2000 (35)
recante Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (36).
Un altro esempio della necessità di esperire una gara per la scelta del
concessionario si ritrova anche nella legge in materia di servizi idrici (37), il cui art. 20,
c. 1, nel disciplinare l’istituto della concessione di gestione del servizio a soggetti
estranei alla P.A., stabilisce espressamente che “La concessione a terzi della gestione
del servizio idrico nei casi previsti dalla presente legge, è soggetta alle disposizioni
dell’appalto pubblico di servizi degli enti erogatori di acqua in conformità alle vigenti
direttive della Comunità europea in materia, secondo modalità definite con decreto del
Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente. [..]”.
Benché a ben sette anni di distanza da tale previsione, l'attuale Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio ha provveduto ad emanare il decreto contenente
le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico
integrato (38), ribadendo che il concessionario deve essere scelto mediante gara.
Correttamente, poi, nella relativa circolare interpretativa (39) il Ministro sottolinea
che l'affidamento in concessione deve coesistere con un sistema di gara aperto al fine di
risultare compatibile con gli artt. 49 ss. del Trattato CE e con i principi di trasparenza e
parità di trattamento.
Esiste, dunque, un denominatore comune tra le due figure giuridiche dell’appalto
e della concessione: entrambi possono e devono garantire la concorrenza per il mercato.
Ciò impedisce, allora, di sostenere che le concessioni si caratterizzino per un intrinseco
contrasto con il principio della gara, che anzi vi si può ben coniugare.
Viene, quindi, a cadere la ratio stessa del disappunto che spesso si accompagna
all’analisi dello strumento concessorio. Infatti, il dito dovrà essere semmai puntato
contro quelle prassi di utilizzo della concessione quale mezzo per non applicare le
procedure ad evidenza pubblica, magari riconducendo scorrettamente i servizi privati
resi alla pubblica amministrazione nell’ambito dei servizi pubblici e
contemporaneamente ritenendo che la concessione di servizi sia addirittura al di sopra
Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2000, n. 4688, Com. S. Vittore Olona c. Enpa, in Urb. App., 2000,
p.1264; Tar Lazio, sez. II, ord. 11 gennaio 2001, n. 179, in giust.it, riv. on line.
(32) In Suppl. ord. GU, 16 settembre 1931, n. 214, recante Testo Unico per la finanza locale, ricordiamo
che l'art. 35, c. 13, della legge finanziaria 2001 ne ha abrogato gli artt. 265-267.
(33) In Suppl. ord. GU, 12 giugno 1990, n. 135.
(34) In Suppl. ord. GU, 6 agosto 1999, n. 183.
(35) In Suppl. ord. n. 162/L, GU, 28 settembre 2000, n. 227.
(36) Per chiarezza espositiva si riporta il testo dell’art. 192, da ultimo citato: “Determinazioni a
contrattare e relative procedure. 1. La stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita
determinazione del responsabile del procedimento di spesa indicante: a) il fine che con il contratto si
intende perseguire; b) l'oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali; c) le modalità
di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche
amministrazioni e le ragioni che ne sono alla base. 2. Si applicano, in ogni caso, le procedure previste
dalla normativa della Unione europea recepita o comunque vigente nell'ordinamento giuridico italiano”.
(37) Si tratta della Legge 5 gennaio 1994, n. 36 (in Suppl. ord. GU, 19 gennaio 1994, n. 14), recante
Disposizioni in materia di risorse idriche.
(38) Si tratta del DM, 22 novembre 2001, in GU, 1 dicembre 2001, n. 280.
(39) Circolare 22 novembre 2001, n. GAB/2001/11560/BOI contenente Esplicazioni relative alle modalità
di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell'art. 20,
comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, ibidem.
7
delle norme del Trattato (40), visto che nessuna direttiva, per il momento, se ne occupa
(41). Ma sarà facile intuire come, in tali ipotesi, non ci si trovi innanzi all’applicazione di
un istituto obsoleto, bensì alla sua applicazione scorretta rientrante a pieno titolo
nell’ambito della patologia giuridica.
2. Obblighi di servizio pubblico e funzione di vigilanza
A questo punto, ci si potrebbe, chiedere che senso abbia rispolverare l’istituto
della concessione di servizi nell’era delle liberalizzazioni, in cui si è cercato di garantire
il superamento dei regimi di riserva del diritto di impresa in capo ai soggetti pubblici, in
quanto tale ultimo assetto, convivendo con la formazione di monopoli, finiva per
determinare spesso violazioni del diritto comunitario della concorrenza (42).
In realtà, a parere di chi scrive, il rinnovato interesse da parte delle istituzioni
dell’Unione per la figura della concessione conferma come essa non si possa
configurare come un provvedimento amministrativo con cui il soggetto pubblico, unico
titolare del diritto di impresa (43), amplia la sfera giuridica del privato destinatario
ammettendolo all’esercizio di un diritto, di cui quest’ultimo non ha la titolarità. Se così
fosse, si dovrebbe assistere all’estinzione dell’istituto, quanto meno nell’ambito dei
(40) Un simile errore inficia, fra l’altro, le pronunce di: Cass. civ., sez. un., 29 novembre 1989 n. 5222,
Banca popolare Castelfranco Veneto c. Comune Vedelago, in Giust. civ. Mass., 1989, f. 11; Tar Emilia
Romagna, Bologna, sez. I, 13 luglio 1995, n. 622, Carimonte Banca s.p.a., Comune di Bologna c. Cassa
di risparmio di Bologna e altro, in Riv. trim. App., 1995, p. 353 ss.; Tar Lazio, sez. I, 2 dicembre 1995, n.
2022, Banca Roma c. Asl Roma A e altro, in Foro amm., 1996, p. 1666; Tar Emilia Romagna, sez. Parma,
6 febbraio 1996, n. 27, Banca Carimonte c. Az. ospedaliera Parma e altro, in TAR, 1996, I, p. 1384; Tar
Liguria, sez. II, 22 novembre 1996, n. 445, Cassa risp. La Spezia c. Com. Bolano e altro, ivi, 1997, I, p.
176; Tar Lombardia, Brescia, 6 ottobre 1999, n. 837, O.S.A. ed altro c. Ministero interno ed altri, ivi,
1999, I, p. 4725.
(41) Merita ricordare, come, in passato vi fu il tentativo, poi fallito, di regolamentare con una direttiva la
concessione di servizi pubblici. Infatti, il 28 agosto 1991 la Commissione presentò al Consiglio una
proposta aggiornata di direttiva per il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi (proposta di direttiva n. 91/250, in GUCE, 25 settembre 1991, n. C-250/4), in cui ci si
preoccupava anche di definire la concessione di servizi pubblici come “un contratto diverso dalla
concessione di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 1, lett. d) della direttiva 71/305, concluso fra
un’amministrazione e un altro ente di sua scelta, in forza del quale l’amministrazione trasferisce all’ente
l’esecuzione di un servizio al pubblico di sua competenza e l’ente accetta di svolgere tale attività avendo
come corrispettivo il diritto di sfruttare il servizio, ovvero tale diritto accompagnato da una
controprestazione pecuniaria”. Il prosieguo degli eventi, com’è noto, portò all’eliminazione di ogni
riferimento alla concessione di servizi pubblici nell’ambito della direttiva di coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (direttiva 92/50/CEE del Consiglio, cit.). Per
alcune osservazioni sulla portata dell’originaria proposta di direttiva si veda: A. POLICE, La concessione
di servizi pubblici: regole di concorrenza e “privilegi” dell’amministrazione, cit., p. 369 ss.; M.
RAMAJOLI, Concessioni di pubblico servizio e diritto comunitario. Autonomia e responsabilità degli
Stati membri nei confronti del disegno liberalizzatore comunitario, in Dir. amm., n. 4, 1993, p. 564 ss.; F.
CHIACCHELLA, M. CAMPANALE, Prospettive per la regolamentazione europea di servizi e
concessioni, in Regione gov. loc., n. 1-2, 1992, p. 249 ss., dove vi è un’interessante analisi dello studio in
materia di concessione svolto dal Comitato consultivo sulle commesse pubbliche (studio Booz, Allen e
Hamilton – CC 91/05), oltre che della ricerca condotta dal gruppo di lavoro Eureau (Commissione III –
legislazione e appalti).
(42) Si veda G.M. RACCA, I servizi pubblici nell’ordinamento comunitario, in Dir. amm., 1994, p. 225
ss.; G. PERICU, Il rapporto di concessione di pubblico servizio, in G. PERICU, A. ROMANO, V.
SPAGNUOLO VIGORITA (a cura di), La concessione di pubblico servizio, Milano, Giuffrè, 1995, p. 90;
B. MAMELI, Servizio pubblico e concessione. L’influenza del mercato unico sui regimi protezionistici e
regolamentati, op. cit., p. 150-157.
(43) La definizione della riserva quale titolarità esclusiva in capo all’amministrazione di diritti di proprietà
o di impresa è di M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 87 e p.
133-134.
8
servizi pubblici di rilevanza economica, mentre tale dato non pare trovare conferma nel
diritto positivo.
Infatti, a seguito del recente fenomeno di liberalizzazione che ha coinvolto le
public utilities, i privati divengono sempre più spesso titolari del diritto di impresa
anche nell’ambito di tali settori economici tradizionalmente riservati. Viene, dunque, da
chiedersi quale sia, allo stato attuale, il ruolo e la funzione da attribuire alla concessione.
In verità, alla luce dell’esperienza normativa, già da tempo una parte della
dottrina(44) ha avuto cura di avvertire che non sempre l’istituto della concessione si
accompagna ad una riserva di attività a favore dei pubblici poteri.
Ma prima di provare a fornire una migliore definizione della concessione di
servizio, pare necessario soffermarci sulla nozione stessa di servizio pubblico (45), nel
tentativo di coglierne i tratti peculiari e i relativi rapporti con il regime concessorio.
Occorre prendere atto che la materia dei servizi pubblici non può, oggi, essere
trattata ignorando gli orientamenti del diritto europeo; osservando, però, che la
giurisprudenza comunitaria si è curata di circoscrivere la nozione di servizio economico
d’interesse generale ai fini dell’applicazione dell’art. 86 (ex art. 90) del Trattato, il
quale, soltanto con riferimento a detta tipologia di servizio, ammette una deroga a
favore dei gestori al rispetto delle regole di concorrenza qualora l’applicazione di tali
norme impedisca l’adempimento “in linea di diritto e di fatto, della specifica missione
loro affidata”.
Dalle pronunce della Corte di giustizia si desume che è servizio d’interesse
economico generale il servizio di base (46) che le pubbliche autorità vogliono sia
assicurato ad ampie fasce di utenti che ne sono i diretti destinatari (47). Il motivo che si
(44) Vedi U. POTOTSCHING, I pubblici servizi, Padova, Cedam, 1964, p. 425 ss.; G. BERTI, La
pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, Cedam, 1968, p. 497 ss.; M. D’ALBERTI, Le
concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, op. cit., p. 318319 e p. 326; Id., voce Concessioni amministrative, in Enc. giur. Treccani, VII, Roma,1990, p. 6, con
ampi richiami bibliografici cui si rinvia; C. MALINCONICO, Servizi pubblici locali e nuove forme di
amministrazione, op. cit., p. 107; M. MAZZAMUTO, Concessionario privato ed evidenza pubblica, o
meglio concessionario privato e tutela della concorrenza, in Dir. pubb., 1997, p. 189 e in part. nota n. 6;
D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubb., 1999, p. 405, in part.
nota n. 90. Contra: E. SILVESTRI, voce Concessioni amministrative, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1961,
p. 371 e p. 376; S. CASSESE, Dalla vecchia alla nuova disciplina dei servizi pubblici, in Rass. Giur.
energia elett., 1998, p. 233; G. GRECO, Le concessioni di pubblici servizi tra provvedimento e contratto,
in Dir. amm., n. 3-4, 1999, p. 384; A.M. BALESTRERI, Monopoli legali nei cd. settori esclusi: rispetto
delle prerogative degli Stati membri o tutela effettiva della concorrenza?, in Riv. It. Dir. pubb. com.,
1993, p. 487-490 e in part. note nn. 15 e 21.
(45) Non essendo questa la sede opportuna per analizzare l’evoluzione e il significato della nozione di
servizio pubblico nell’ordinamento italiano, ci limitiamo a rinviare alla precisa ricostruzione di F.
MERUSI, voce Servizio pubblico, in Noviss. Dig. It., XVII, Torino, Utet, 1970, p. 215 ss., e a quelle più
recenti di B. MAMELI, Servizio pubblico e concessione. L’influenza del mercato unico sui regimi
protezionistici e regolamentati, op. cit., p. 3-391 e R. VILLATA, Pubblici servizi, discussioni e problemi,
seconda edizione, Milano, Giuffrè, 2001, p. 3 ss., e note nn. 4 e 5 per alcuni significativi rimandi
bibliografici.
(46) Cfr.: C. Giustizia della Comunità Europea, causa C-320/91, Corbeau c. Règie des Postes, in Racc.,
1993, I, p. 2533. Il servizio di base costituisce un’utilità minima fondamentale per il soddisfacimento
degli interessi sottesi, che non tiene conto delle specifiche e differenziate esigenze degli utenti, richiedenti
prestazioni supplementari rispetto a quelle normalmente rese. Cfr. G. TELESE, Servizio di interesse
economico generale e servizio universale nella giurisprudenza e nella normativa comunitaria, in Jus,
1999, p. 957. Nel caso di specie la Corte considerò servizio differenziato la raccolta domiciliare della
corrispondenza e il servizio di corriere rapido.
(47) C. Giustizia Comunità europea, causa C-179/90, Merci convenzionali porto di Genova s.p.a. c.
Siderurgica Gabrielli, in Racc., 1991, I, p. 5889, in part. p. 5919, Conclusioni dell’avv. gen. W. Van
Gerven.
9
pone a fondamento di tale volontà dovrebbe essere, in primis, quello di assicurare il
progresso sociale e, contemporaneamente, economico della collettività (48).
Benché, la nozione italiana di servizio pubblico (49), ricomprendendo anche la
prestazione di servizi non economici (50), non paia perfettamente coincidente, per
eccesso, con la figura comunitaria di servizio d’interesse economico generale (51), tale
giustificazione dell’intervento pubblico sembra emergere anche nell’ambito
dell’ordinamento interno. L’art. 112 del Testo Unico delle leggi sulle Autonomie locali
dichiara, infatti, espressamente che i servizi pubblici hanno ad oggetto produzione di
beni e attività “rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e
civile delle comunità locali”.
Inoltre, i pubblici poteri dovrebbero essere spinti ad ergersi garanti di quelli che
sono i caratteri fondamentali del servizio pubblico dalla circostanza che i servizi così
individuati finiscono per incidere sul contenuto concreto di diritti fondamentali di cui
gli utenti sono titolari (52). Intendiamo riferirci, ad esempio, alla libertà di
comunicazione in relazione al servizio postale e di telecomunicazione, alla libertà di
circolazione con riferimento ai servizi di trasporto, al diritto ad una certa qualità della
vita e al diritto di impresa, così come correlati ai servizi di fornitura di energia elettrica,
gas ed acqua (53), e così via.
La doverosità che connota tali servizi implica, dunque, che essi devono essere
erogati secondo predeterminate modalità e caratteri intrinseci, ovvero con regolarità,
(48) Basti pensare alla rilevanza che presentano alcuni dei servizi definiti di interesse economico generale
dalla Corte di Giustizia non soltanto per il soddisfacimento di esigenze fondamentali degli utenti, ma
anche per la vita economica della comunità. Intendiamo riferirci, ad esempio, al servizio di distribuzione
di energia elettrica (C. Giustizia Comunità Europea, causa C-393/92, Comune di Almelo e altri c. IJM, in
Racc., 1994, I, p. 1477); alla gestione del servizio postale (C. Giustizia della Comunità europea, causa C320/91, Corbeau c. Règie des Postes, cit.), e della rete telefonica pubblica (C. Giustizia Comunità
Europee, causa C-18/88, RTT c. GB-Inno-BM SA, in Racc., 1991, I, p. 5941); al servizio prestato
dall’ufficio federale tedesco per l’occupazione che garantisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro
(C. Giustizia Comunità Europea, causa C-41/90, Hofner c. Macrotron Gmbh, in Racc., 1991, I, p. 1979
ss.).
(49) Si ricorda che gli Stati membri sono liberi di definire ciò che considerano servizio di interesse
economico generale, purché non incorrano in errori manifesti, giustificanti l’intervento correttore delle
Istituzioni comunitarie. Così si argomenta nella Comunicazione della Commissione del 20 settembre
2000, di cui si dirà infra, alla nota n. 56.
(50) Merita, però, ricordare come una parte della dottrina ritenga che anche nell’ambito dell’ordinamento
interno i servizi sprovvisti di rilevanza economica vadano a creare una tipologia a sé stante, ovvero quella
dei servizi sociali. In tal senso vedi E. FERRARI, I servizi sociali. Introduzione, materiali e coordinate,
Milano, Giuffrè, I, 1986, p. 92, p. 193 e p. 175; Id. Diritto alla salute e prestazioni sanitarie tra
bilanciamento e gradualità, (Nota a C. Cost., 16 ottobre 1990, n. 455, Comune Trento c. Provincia
autonoma Trento), in Le Reg., 1991, p. 1513.
(51) Ora disciplinato dagli artt. 86 (ex art. 90) e 16 (ex 7 bis) del Trattato. Per le novità introdotte dal
Trattato di Amsterdam si veda L. G. RADICATI DI BROZOLO, La Nuova disposizione sui servizi di
interesse economico generale, in Dir. Unione Europea, 1998, p. 527 ss.
(52) Si veda il DPCM, 27 gennaio 1994, in GU, 22 febbraio, n. 43, al cui art. 1 si legge: “La presente
direttiva dispone i principi cui deve essere uniformata progressivamente, in generale, l'erogazione dei
servizi pubblici. Ai fini della presente direttiva sono considerati servizi pubblici, anche se svolti in regime
di concessione o mediante convenzione, quelli svolti a garantire il godimento dei diritti della persona,
costituzionalmente tutelati, alla salute, all'assistenza e previdenza sociale, alla istruzione e alla libertà di
comunicazione, alla libertà e alla sicurezza della persona, alla libertà di circolazione, ai sensi dell'art. 1
della legge 12 giugno 1990, n. 146, e quelli di erogazione di energia elettrica, acqua e gas”.
(53) Si ricorda che l’attività di servizio pubblico consiste, da un punto di vista oggettivo, nell’erogazione
di prestazioni che possono anche esaurirsi nella fornitura di beni, come, ad esempio, l’energia. In tale
ultimo caso il beneficiario diviene “utilizzatore del complesso di strutture e di attività che della consegna
del prodotto costituisce il contesto, di cui la consegna del prodotto si rivela essere solo il risultato ultimo:
del servizio, appunto”, così A. ROMANO, Profili della concessione di pubblici servizi, cit., p. 464.
10
continuità, qualità, sicurezza, parità di trattamento e via dicendo (54); solo così, infatti,
può essere garantita tutela effettiva di quegli interessi che godono di una protezione di
rango costituzionale (55). Ed è proprio tale doverosità, su cui sono chiamate a vigilare le
pubbliche Istituzioni, a giustificare le deroghe alle regole di concorrenza ammesse dal
Trattato, laddove non sarebbe altrimenti possibile assicurare il regolare adempimento
della prestazione.
La Commissione europea (56) è poi intervenuta più volte sul tema, per fare
chiarezza sul concetto di servizio pubblico universale, inteso come una species del
genus servizio d’interesse economico generale; non si tratta più di un servizio che deve
essere erogato in modo tale che una pluralità di soggetti possano averne garantito
l’accesso effettivo, bensì di un servizio corrispondente ad un predeterminato standard di
qualità cui tutti i potenziali utenti possano accedere in qualsiasi luogo geografico si
trovino e ad un prezzo abbordabile (57).
Si può, quindi, osservare come, una volta circoscritta la nozione interna di
servizio pubblico a quello concernente l’erogazione di prestazioni economiche, sia
possibile assimilarlo al servizio d’interesse economico generale, caratterizzandosi
entrambe le categorie giuridiche per quella destinazione al pubblico che è venuta ad
emergere anche nel nostro ordinamento nell’intento di distinguere, come si è visto
sopra, i servizi pubblici dai servizi resi alla P.A., e solo in quanto tali connotati da una
sfera di pubblicità.
Per quanto riguarda, invece, la figura del servizio pubblico universale essa è stata
introdotta nel nostro ordinamento a seguito del recepimento delle normative
comunitarie di settore (58), assumendone la stessa portata specificatoria.
(54) Cfr. D. SORACE, Servizi pubblici e (servizi economici) di pubblica utilità, cit. p. 393; R. CAVALLO
PERIN, I principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno ed
ordinamento europeo, cit. p. 60 ss. Vedi anche: C. Giustizia Comunità Europea, causa C-393/92, Comune
di Almelo e altri c. IJM, cit.
(55) In tal senso si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 123/1962, in cui il servizio
pubblico essenziale veniva definito come un’attività di preminente interesse generale in quanto afferente a
“interessi che trovano diretta protezione in principi consacrati nella costituzione”. Cfr. sentenza n.
31/1969.
(56) Intendiamo riferirci, in primis, alla Comunicazione della Commissione europea, adottata l’11
settembre 1996, 96/C, sui Servizi di interesse generale in Europa, in GUCE, 26 settembre 1996, n. C281/3, dove viene riportata la distinzione tra servizio di interesse generale, servizio di interesse
economico generale e servizio universale. Per un commento si veda: N. RANGONE, Commento alla
Comunicazione della Commissione su “I servizi di interesse generale in Europa” dell’11 settembre 1996,
in Giorn. Dir. amm., 1997, p. 386 ss.; nonché F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione
di “servizio pubblico”, cit., p. 2284-2287. Benché tale atto non sia vincolante per gli Stati membri, che
sono, invece, tenuti a rispettare le norme del Trattato in materia di servizi, non si può negare come funga
da punto di riferimento interpretativo al fine di comprendere rapporti e differenze tra la nozione di
servizio pubblico comunitaria e quella nazionale. Per una riflessione su tali diverse nozioni vedi: G.
TELESE, Il servizio di interesse economico generale e servizio universale nella giurisprudenza e nella
normativa comunitaria, cit., p. 459 ss.; B. MAMELI, Servizio pubblico e concessione. L’influenza del
mercato unico sui regimi protezionistici e regolamentati, op. cit., p. 157-175. La prima Comunicazione in
materia è stata recentemente aggiornata dalla Comunicazione del 20 settembre 2000, Com (2000) 580
def., pubblicata in GUCE, 19 gennaio 2001, n. C-17.
(57) Tale è il servizio di telecomunicazioni. In tale settore il riferimento al servizio universale si trova sia
nella direttiva CE, 13 dicembre 1995, n. 62, in GUCE, 30 dicembre, 1995, n. L-321, sia nella direttiva
CE, 30 giugno 1997, n. 33, in GUCE, 26 luglio 1997, n. L-199, sia nella direttiva CE, 26 febbraio 1998,
n. 10, in GUCE, 1 aprile 1998, n. L -101. Si veda anche il DPR n. 318/1997, recante Regolamento per
l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni, in GU, 22 settembre 1997, n.
221.
(58) Vi è chi ha sostenuto in dottrina che il servizio pubblico universale rappresenterebbe un affinamento
della nostrana nozione di servizio pubblico, affrettandosi, però, a precisare che non trattasi certo di un
affinamento inutile o irrilevante, obbligando l’interprete “a esplicitare una serie di questioni alle quali non
11
Ora, il fatto che i servizi pubblici debbano essere erogati secondo certe modalità e
standard di qualità non rappresenta una novità per il diritto interno (59); l’innovazione
riposa, invece, nella centralità che il diritto comunitario attribuisce a tale profilo (60), che
nella storia dell'istituto appariva meramente accessorio ai fini della definizione del
servizio pubblico, e, del pari, affrontato in modo del tutto occasionale e accidentale da
parte del legislatore (61) e della stessa dottrina. Insomma, nell’ambito degli intenti diretti
alla definizione del servizio pubblico, il punto di partenza di ogni ragionamento era
sempre il soggetto pubblico, o perché titolare del diritto di impresa, o, ancora, perché
predisponente i programmi e i controlli a cui sottoporre l’imprenditore privato in
mancanza della riserva. Anche quest’ultima ricostruzione, fondata sull’art. 41 cost., pare
poco convincente perché rischia di sussumere nella nozione di servizio pubblico anche
settori che col servizio pubblico nulla hanno a che vedere, come, ad esempio, i servizi
bancari, assicurativi e finanziari, semplicemente perché, allo stato attuale, tali attività
imprenditoriali non rappresentano il contenuto di altrettanti diritti fondamentali né
nell’ambito dell’ordinamento interno né di quello comunitario.
Se, invece, si ritiene quale elemento caratterizzante i servizi pubblici quello di una
gestione necessariamente protesa alla tutela dei diritti dei destinatari, ne seguirà che,
benché i privati siano titolari del diritto di impresa anche in questi settori nei limiti in
cui si è realizzato il relativo processo di liberalizzazione, continua a rimanere uno spazio
destinato ad essere occupato dai pubblici poteri. Infatti, soltanto delle autorità
pubbliche, estranee alla gestione imprenditoriale e alla logica dei profitti, possono
vegliare sul rispetto dei caratteri che il servizio deve avere perché gli utenti-cittadini
risultino realmente soddisfatti. Ecco, allora, che i pubblici poteri finiscono per espletare
funzioni di governo dei servizi, da non intendersi come interventi volti a dirigere le
scelte degli imprenditori privati in forza di un predeterminato disegno di politica
economica, ma come vigilanza per il rispetto delle regole stesse (62).
Questo insieme di regole che il privato dovrà rispettare va a costituire i cosiddetti
obblighi di servizio pubblico, i quali non sono, quindi, propri del solo servizio
universale né ammissibili per le uniche ipotesi di fallimento del mercato, intese come
quei casi in cui il mercato non garantirebbe il servizio perché non remunerativo (63).
Infatti, anche qualora il servizio pubblico venga erogato in un segmento di
mercato particolarmente redditizio (per cui non si pongano problemi di sopravvivenza
dello stesso), proprio perché tale servizio permette la soddisfazione di interessi
è stata dedicata in passato un’attenzione sufficiente”, così M. CLARICH, Servizio pubblico e servizio
universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, in Rass. Giur. energia elettr., 1998, p. 59.
(59) Basti pensare alla legge sulla tutela del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali: L. n.
146/1990, in GU, 14 giugno 1990, n. 137, recentemente integrata e modificata dalla L. n. 83/2000, in GU,
11 aprile 2000, n. 85.
(60) Cfr. Comunicazione 20 settembre 2000, cit., dove al p. 2.8 si afferma che “In veste di utenti di tali
servizi, i cittadini europei si aspettano di ricevere servizi di qualità a prezzi accessibili. Sono quindi gli
utenti e le loro necessità ad essere al centro dell’azione pubblica in questo settore”. È, però, importante
ricordare come per l'Unione l'utente sia ancora distinto dal cittadino e venga, quindi, considerato solo
come uno dei parametri rilevanti per il buon funzionamento del mercato interno.
(61) Soltanto in epoca recente si è posta concreta attenzione da parete del legislatore alla tutela degli
utenti, si veda, in particolare, oltre al DPCM del 27 gennaio 1994, cit., l’art. 2 del DL n. 163/1995, in GU,
12 maggio 1995, n. 109, convertito in L. n. 273/1995, in GU, 11 luglio 1995, n. 273, ora sostituito dalla
disciplina dell’art. 11, D.LGS n. 286/1999, in GU, 18 agosto, 1999, n. 193.
(62) Con specifico riferimento al servizio pubblico universale, si è affermato che sebbene i tratti tipici
della universalità emergessero anche dalla normativa del passato “essi, tuttavia, sono finalizzati al
raggiungimento di obiettivi di politica economica, piuttosto che alla garanzia di prestazioni essenziali per
i cittadini”, così G. NAPOLITANO, Il servizio universale e i diritti dei cittadini utenti, in Mercato conc.
Reg., n. 2, 2000, p. 18.
(63) Si pensi al collegamento con le isole in periodi di bassa stagione turistica, ovvero, alla prestazione del
servizio postale nello sperduto paesino di montagna.
12
costituzionalmente tutelati facenti capo agli utenti, l’imprenditore dovrà, comunque,
sottostare ad obblighi di servizio pubblico (64), in quanto il mercato non tende certo alla
non discriminazione dei contraenti, ad una qualità e quantità minima della prestazione
predefinita come adeguata al di là dell’incontro della domanda e dell’offerta, al
principio di partecipazione, o ancora, alla soluzione rapida e stragiudiziale delle
controversie.
Insomma, in materia di servizi pubblici tanto sono rilevanti gli interessi coinvolti
che i soggetti pubblici possono ritenere non opportuno affidarne il soddisfacimento ai
meccanismi di mercato, ma preferibile imporre dall’esterno degli obblighi a cui
corrispondono altrettanti diritti dell’utenza.
Ed è proprio su questo piano che si appresta a trovare nuova applicazione l’istituto
della concessione, la quale appare essersi affrancata dal suo originario legame con il
regime di riserva a favore dello Stato. Tale evoluzione sembra emergere da un confronto
tra la definizione di concessione di servizi pubblici contenuta nella recente
Comunicazione della Commissione in materia e quella contenuta nella proposta di
direttiva n. 91/250 di cui si è detto (65). Infatti, in quest’ultimo caso la concessione
comportava il trasferimento dall’amministrazione concedente al soggetto concessionario
dell’esecuzione di un servizio al pubblico di competenza della prima, mentre adesso il
servizio gestito eventualmente da un soggetto privato non viene più considerato di
competenza pubblica, bensì semplicemente ricadente “nell’ambito di prerogative dello
Stato”.
Nel rapporto concessorio trovano, quindi, regolamentazione interessi facenti capo
a due soggetti distinti: il privato-gestore che intende prestare il servizio pubblico in
quanto ritiene di poterne ricavare un utile; il soggetto pubblico che ha interesse a ché il
servizio venga erogato a spese del privato, ma con certe caratteristiche, potendo
esercitare appositi poteri perché i tratti tipici del servizio vengano assicurati. Sembrano,
allora, sussistere i margini di una contrattazione, quale moderno modo di agire della
pubblica amministrazione per raggiungere i suoi fini.
Quando, poi, nelle fattispecie concrete, si dovesse ritenere che l’imprenditore
privato non sia in grado, da sé stesso, di garantire i caratteri essenziali del servizio in
quanto non remunerativo, sussistendone tutte le condizioni sancite dal Trattato,
potrebbe essere possibile un intervento pubblico volto, ad esempio, a concedere ausili, o
a riconoscere diritti speciali o esclusivi (66). In tali casi la maggiore complessità della
vicenda si ripercuoterà sul tenore dell’accordo, in cui si dovrà tenere conto di un
maggior numero di variabili.
(64) La possibilità per uno Stato membro di effettuare un tale tipo di intervento ci sembra essere
confermata dalla recente Comunicazione sui Servizi di interesse generale in Europa da ultimo citata, al
cui pt. 3. 25 si precisa che “L’esperienza acquisita ha evidenziato una tipologia sufficientemente ampia di
strumenti atti a conciliare l’interesse generale e il rispetto delle norme di concorrenza e del mercato
interno. Come già detto, gli Stati membri possono scegliere tra diverse opzioni per garantire la
prestazione dei servizi d’interesse generale, che vanno da un’apertura alla concorrenza del mercato,
all’imposizione di obblighi di servizio pubblico, fino alla concessione di diritti speciali o esclusivi a un
solo operatore, o ad un numero limitato di operatori, con o senza meccanismi di finanziamento”.
(65) Vedi, supra, nota n. 41.
(66) Cfr. G. TELESE, Servizi di interesse economico generale e servizio universale nella giurisprudenza e
nella normativa comunitaria, cit., p. 949-950. Nella stessa Comunicazione su I servizi d’interesse
generale in Europa, del 20 settembre 2000, cit., al p. 3.14 si legge che “se le autorità pubbliche ritengono
che alcuni servizi siano d’interesse generale e che i meccanismi del mercato potrebbero non essere in
grado di garantire una prestazione soddisfacente, esse possono stabilire che le richieste di taluni specifici
servizi siano soddisfatte mediante obblighi di servizio d’interesse generale. Per l’esecuzione di questi
obblighi possono, ma non necessariamente devono, essere concessi diritti speciali o esclusivi, o anche
essere disposti specifici meccanismi di finanziamento.”
13
Quindi, partendo dalla nozione di concessione di servizio pubblico quale emerge
dall’interpretazione della Commissione europea, che a sua volta si ricollega alla figura
del servizio economico d’interesse generale, possiamo sostenere che per il diritto
interno il servizio pubblico di rilevanza industriale si configuri come un’attività
economica, svolta a favore del pubblico da soggetti privati o pubblici (67), la quale si
connota per essere strumento di sviluppo economico e di globalizzazione
dell’economia, e al contempo, per la sua capacità intrinseca di soddisfare bisogni
fondamentali e costituzionalmente tutelati dei cittadini-utenti.
A questi ultimi aspetti si ricollega l’esigenza dei pubblici poteri di vigilare su tale
attività (68), per cui vengono predisposte apposite organizzazioni a ciò abilitate, che però
incidono soltanto dall’esterno sulle attività di servizio pubblico, mediante i poteri di
vigilanza che sono loro propri (69). Insomma, tali autorità di regolazione non esercitano
mai poteri di gestione del servizio (70), a cui provvedono gli operatori economici di
settore.
In questo senso pare orientata anche la giurisprudenza amministrativa, la quale ha
recentemente sostenuto che “Nell’ordinamento vigente la nozione giuridica di pubblico
servizio comprende l’attività economica esercitata per erogare prestazioni indispensabili
a soddisfare bisogni collettivi incomprimibili in un determinato contesto sociale e
collocata in un ordinamento di settore al cui vertice è posta un’autorità pubblica che ne
vigila, controlla e coordina l’espletamento.” (71)
(67) Com’è noto, l’attività di gestione può essere svolta da imprese private o pubbliche, indifferentemente,
non sussistendo vincoli comunitari in tal senso, cfr. G. TELESE, Servizio di interesse economico generale
e servizio universale nella giurisprudenza e nella normativa comunitaria, cit., p. 950. Si veda anche il pt.
3. 21 della Comunicazione del 20 settembre 2000, più volte citata.
(68) Tale esigenza emergeva già nel Project de Charte européenne des services publics (in Bulletin
Européen du Moniteur, 15 febbraio 1993, n. 129), presentato dal governo francese alla Commissione. È
stato evidenziato come la Carta mirava a delineare dei principi validi per tutti i servizi pubblici, tra i quali
si annoverava anche la separazione della funzione di gestione da quella di regolazione, per cui “Il servizio
pubblico veniva individuato come qualsiasi attività che, nell’interesse generale, subisce imposizioni da
parte di pubblici poteri ed è soggetta ad interventi di regolazione”, così N. RANGONE, Commento alla
Comunicazione della Commissione su “I servizi di interesse generale in Europa” dell’11 settembre 1996,
cit., p. 388, nota n. 8.
(69) Evidentemente il modello giuridico preferibile per lo svolgimento di tali compiti è quello delle
autorità amministrative indipendenti, fra l’altro adottato per i servizi pubblici di telecomunicazione
energia e gas (in proposito vedi L. n. 481/1995, in Suppl. ord. GU, 18 novembre 1995, n. 270, recante
Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità; L. 249/1997, in Suppl. ord. GU, 31 luglio 1997, n. 249,
concernente l’Istituzione dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo). Il riferimento a tale modello di amministrazione è presente anche
nella Comunicazione del 20 settembre 2000, pt. 2. 11, dove si annovera tra i principi che incrementano la
tutela degli utenti in materia di servizi d’interesse generale “l’esistenza, ove necessario, di autorità di
regolamentazione indipendenti dagli operatori”. In tal senso si veda, infine, F. CAVAZZUTI, G.
MOGLIA, Regolazione, controllo e privatizzazione nei servizi di pubblica utilità in Italia, in Economia
It., n. 1, 1994, passim.; A. BOITANI, A. PETRETTO, Privatizzazione e autorità di regolazione dei
servizi di pubblica utilità: un’analisi economica, in Pol. Economica, n. 3, 1999, p. 271 ss. e in part. p.
280-283 e p. 289-295.
(70) Anche se nell’ambito di una riflessione dedicata al servizio universale, rinviamo a quanto sostenuto
da G. NAPOLITANO, Il servizio universale e i diritti dei cittadini utenti, cit., p. 28-29; si veda, inoltre, S.
CASSESE, Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato?, in Riv. It. Dir. pubb. com.,
1996, p. 388.
(71) Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325, Soc. S.T. c. Soc. S.C. e Ministero lavori pubblici, in
Cons. Stato, n. 11, 2000, I, p. 2535 ss. Conforme Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2001, n. 1514, Soc. P. c.
Regione Puglia e Comune di Bari, in Cons. Stato, n. 3, 2001, I, p. 674 ss. Si veda anche Cons. Stato, ad.
plenaria, Ord. 30 marzo 2001, n. 1, Borrelli c. A.S.L. Caserta n. 1 con intervento avvocati italiani
amministrativisti, sez. Campania, in Riv. Giur. quadr. pubb. servizi, n. 2, 2000, p. 154, dove con
riferimento ai servizi pubblici si ribadisce che “in considerazione degli interessi collettivi coinvolti,
l’ordinamento esige comunque standard della qualità dei servizi e delle attività imprenditoriali, svolte nei
14
In tale quadro il ricorso alla concessione non mira all’obiettivo di trasferire
pubbliche potestà in capo al concessionario (72), ma, al contrario, rappresenta, nel nostro
ordinamento, lo strumento giuridico più idoneo a garantire l’esercizio del potere di
vigilanza dell’autorità pubblica di settore. Questo perché, la concessione è un atto
amministrativo su cui si fondano potestà pubbliche in capo all’autorità concedente quali
il potere di revoca per motivi di pubblico interesse, il riscatto unilaterale e la
declaratoria di decadenza per grave inadempimento (73).
Per quanto riguarda la revoca della concessione, quale manifestazione
dell’autotutela della pubblica amministrazione, basterà ricordare che essa è
espressamente contemplata nell’art. 11, c. 4, L. n. 241/1990, dove si prevede che la
parte pubblica del contratto integrativo o sostitutivo del provvedimento (74) può sempre
recedere unilateralmente per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, salvo il
pagamento di un eventuale equo indennizzo a favore del privato danneggiato.
Derivando da tale disposizione generale la superfluità della previsione di tale potere in
un’apposita clausola contrattuale, com’è, fra l’altro, affermato in giurisprudenza (75).
Il potere di riscatto, invece, si differenzia dalla revoca perché non solo comporta
la cessazione del rapporto concessorio, ma anche il trasferimento, a favore della
pubblica amministrazione, della proprietà di tutti o parte dei beni organizzati per
l’esercizio del servizio (76). Si ritiene, comunque, che tale facoltà spetti solo nei casi
determinati dalla legge o dal contratto (77).
confronti del pubblico e di singoli utenti, e richiede che l’attività del gestore sia sottoposta all’attività di
vigilanza e di controllo, affinché l’interesse pubblico sia sempre perseguito”.
(72) Così A. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche
amministrazioni, op. cit., p. 333, con particolare riferimento alle note nn. 101 e 102; R. CAVALLO
PERIN, Riflessioni sull’oggetto e sugli effetti giuridici della concessione di servizio pubblico, in Dir.
amm., n. 1, 1994, p. 114.
(73) Per una trattazione su differenze e linee evolutive degli istituti di revoca e decadenza vedi: M.
D’ALBERTI, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche
amministrazioni, op. cit., p. 202 ss. e p. 348 ss.; E. BRUTI LIBERATI, I poteri dell’amministrazione nel
rapporto di concessione di pubblico servizio, cit., p. 516-527; M. RAMAJOLI, Orientamenti
giurisprudenziali in materia di rapporto concessorio, in G. PERICU, A. ROMANO, V. SPAGNUOLO
VIGORITA (a cura di), La concessione di pubblico servizio, op. cit., p. 382-384.
(74) Per l’inquadramento della concessione tra i contratti di diritto pubblico vedi, infra, § 4.
(75) Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2000, n. 1327, Comune di Paulo c. Soc. B.G., in Cons. Stato, 2000, III,
p. 553. Vedi anche Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n. 1016, Com. Formia c. Soc. Buonamano, in Foro,
amm., 1998, p. 1016; Tar, Campania, Napoli, sez. III, 15 giugno 1995, n. 357, Soc. Urciolo c. Reg.
Campania e altro, in TAR, 1995, I, p. 3851; Tar Lombardia, Milano, sez. I, 12 novembre 1998, n. 2597,
Comune di Buscate e Soc. P. c. Regione Lombardia e Soc. G., con intervento ad adiuvandum di L., in
TAR, 1999, I, p. 66 ss., dove si afferma che “Il potere di revoca muove dall’esigenza di riconsiderare la
pregressa situazione e si fonda sulla sussistenza di fatti nuovi che hanno reso l’assetto definito dal primo
provvedimento non più conforme all’interesse pubblico attuale, al punto da imporre il ritiro del
provvedimento medesimo”, conformi: Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 1994, n. 805, Di Monte c. Polignano
e altro, in Cons. Stato, 1994, I, p. 1073 e Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 1997, n. 178, Brizi c. Ruggi ed
altri, ivi, 1997, I, p. 325. In dottrina vedi per tutti M. D’ALBERTI, voce Concessioni amministrative, cit.,
p. 8 e p. 11 e D. SORACE e C. MARZUOLI, voce Concessioni amministrative, in Dig. disc. pubb.,
Torino, Utet, 1989, III, p. 285, con part. riferimento alla nota n. 40, per i rinvii letterari ivi contenuti; E.
BRUTI LIBERATI, I poteri dell’amministrazione nel rapporto di concessione di pubblico servizio, cit.,
p. 514-516; B. CARAVITA DI TORITTO, Le concessioni di servizi pubblici locali, in Finanza loc.,
1993, p. 1417.
(76) In dottrina si veda G. PERICU, Il rapporto di concessione di pubblico servizio, op. cit., p. 85; G.
GRECO, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico servizio, op. cit., p. 25-26.
(77) Cfr. E. SILVESTRI, Il riscatto delle concessioni amministrative, Milano, Giuffrè, 1965; E. BRUTI
LIBERATI, I poteri dell’amministrazione nel rapporto di concessione di pubblico servizio, in Dir. amm.,
n. 4, 1993, p. 513 e p. 534. Per una recente pronuncia di segno contrario si veda, però, Cons. Stato, sez. V,
1 ottobre 1999, n. 1224, Fall. soc. Ispef Italia c. Com. Voghera e altro, in Foro amm., 1999, p. 2061, in
cui si prevede che “ Il riscatto unilaterale e discrezionale, da parte della p.a., del servizio pubblico affidato
a terzi e' esercitabile prima della scadenza della concessione e costituisce un istituto proprio dei rapporti
15
L’istituto della decadenza, infine, viene espressamente contemplato dalla legge
istitutiva delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (78), quando come
espressione del potere sanzionatorio accanto alla sospensione della concessione,
quando, nella sua nozione più tradizionale, come mezzo per evitare la frustrazione
dell’interesse pubblico (79).
Alla luce di quanto appena esposto riteniamo che, esercitando il potere di revoca
della concessione o dichiarandone la decadenza, le autorità di regolazione dei servizi di
pubblica utilità finiscano per amministrare il servizio pubblico. Tali atti, infatti, non si
sostanziano in un mero controllo passivo del rispetto delle regole, cui possono
eventualmente seguire provvedimenti sanzionatori, ma consistono in decisioni adottate
per la tutela dell'utenza. Questo non significa, beninteso, negare l’estraneità dell’autorità
di settore alla gestione del servizio; si vuole semplicemente sottolineare che la vigilanza
si atteggia a funzione di amministrazione attiva, intesa come esercizio di un potere per il
soddisfacimento di un pubblico interesse, la quale non si sostanzia mai nella gestione
diretta dell’attività imprenditoriale, ma rientra sempre nell’ambito della funzione di
regolazione dell’attività economica che, in generale, le authorities sono chiamate a
svolgere.
Quindi, qualora si verificasse una grave violazione degli obblighi di servizio
pubblico da parte del concessionario; ovvero, questi non risultasse più idoneo a
soddisfare le obbligazioni assunte per il sopravvenire di un fatto nuovo rispetto al
momento della formazione della concessione, l’autorità di controllo, versandosi in
un’ipotesi di mancato rispetto delle regole del gioco, eserciterà la funzione di vigilanza
rilevando tale patologia e adottando i provvedimenti opportuni per porvi rimedio.
concessori pluriennali, non imposto specificamente da una norma ad hoc, ma correlato alla variabilità del
termine di scadenza di detti rapporti”.
(78) L. n. 481/1995 cit., il cui art. 2, c. 20, lett. c), prevede che l’autorità “in caso di reiterazione delle
violazioni ha la facoltà, qualora ciò non comprometta la fruibilità del servizio da parte degli utenti, di
sospendere l'attività di impresa fino a 6 mesi ovvero proporre al Ministro competente la sospensione o la
decadenza della concessione”. L’art. 2, c. 12, lett. o), della legge da ultimo citata, ammette, inoltre, che
all’autorità di regolazione sia riconosciuto il potere di proporre “al Ministro competente la sospensione o
la decadenza della concessione per i casi in cui tali provvedimenti siano consentiti dall'ordinamento”.
Per una recente pronuncia in tema di decadenza nel settore dei trasporti in concessione vedi: Cons. Stato,
sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5235, Soc. E.T.P. c. Regione Campania e Azienda consortile trasporti pubblici
di Napoli, più altri, in Cons. Stato, 2000, I, p. 2135 ss.
Si veda, altresì: Tar Basilicata, 13 maggio 1991, n. 52, Zienan c. Regione Basilicata, in Riv. Giur. circol.
trasp., 1992, p. 356; Tar, Campania, Napoli, sez. I, 30 giugno 1987, n. 413, Consorzio trasporti pubblici
Napoli c. Ministero trasporti, in Riv. Giur. circol. trasp., 1988, p. 346; Cass. civ., sez. lav., 6 giugno
1988, n. 3827, Marini c. Consorzio pistoiese, in Giust. civ. Mass., 1988, f. 6, conforme Cass. civ., sez.
lav., 13 febbraio 1988, n. 1576, Del Prote c. Consorzio trasporti pubblici Napoli, in Giust. civ. Mass.,
1988, f. 2; Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 1982, n. 496, Regione Calabria e altro c. Societa' autolinee
Foresta, in Riv. Giur. circol. trasp., 1983, p. 581.
(79) Questa doppia valenza dell’istituto della decadenza è stato rilevato in dottrina, argomentandosi che
“A tale ultimo strumento, infatti, è stato riconosciuto un carattere sanzionatorio, derivante dal fatto che
l’uso di esso è legittimato dalla previa constatazione di inadempienze del concessionario in ordine alle
obbligazioni assunte nella fase pattizia della concessione. Il carattere della sanzione, tuttavia, dovrebbe
venire meno di fronte all’assenza di colpa del concessionario, in questo caso lo strumento della decadenza
potrebbe corrispondere a quello del recesso per motivi di pubblico interesse. Nell’ipotesi in cui, dunque,
l’inadempimento non sia da riferirsi a fatto imputabile al concessionario, l’applicazione del generale
potere di recesso dell’amministrazione – giustificato principalmente dall’inopportunità di mantenere in
vita il rapporto, in contrasto con l’interesse pubblico – avrebbe come conseguenza anche il
riconoscimento del diritto del privato ad essere indennizzato in proporzione alle prestazioni regolarmente
eseguite, coerentemente con quanto previsto al comma quarto del citato art. 11”, così: A. PIOGGIA, La
concessione di pubblico servizio come provvedimento a contenuto convenzionalmente determinato. Un
nuovo modello per uno strumento antico, in Dir. pubb., 1995, p. 626.
16
3. Concessione di servizi e concessione traslativa di funzione
La concessione di servizi cade spesso vittima di un’ulteriore confusione. Si
finisce, infatti, per non distinguerla da quelle ipotesi in cui lo strumento concessorio
viene utilizzato per trasferire una funzione pubblica ad un soggetto privato (80), in
assenza di alcuna forma di partnership tra soggetti di diversa natura per il
soddisfacimento di bisogni essenziali degli individui.
Nei casi di affidamento di funzioni pubbliche a soggetti privati si realizza, invero,
una discrasia tra il titolare della funzione, che continua ad essere il soggetto pubblico, e
l’esercente in concreto la medesima funzione, ovvero il privato concessionario. Tale
modalità di esercizio della funzione pubblica pare trovare, anche nell’attuale
ordinamento, spazi di applicazione proprio nell’ambito di quel processo di
privatizzazione teso a sfruttare la professionalità dei privati quando ciò rappresenti il
modo migliore di soddisfare i pubblici interessi (81).
Orbene, la concessione traslativa di funzioni va intanto tenuta ben distinta dalla
concessione di servizi: essa comporta, al contrario di quest’ultima, il trasferimento di
funzioni e potestà pubbliche in capo al concessionario (82).
Nell’ambito della concessione traslativa di funzioni si potrà, quindi, sostenere in
termini meramente descrittivi che il privato funge da sostituto o organo indiretto (83)
della pubblica amministrazione. Questo non significa che il privato, per il solo fatto di
esercitare circoscritti poteri pubblicistici, muti la sua natura per divenire un soggetto
(80) Sulla distinzione tra concessioni traslative di funzioni e concessioni come strumento di disciplina di
attività economica privata vedi F. MERUSI, voce Servizio pubblico, cit., ove, però, l’autore fa rientrare
entrambe le categorie nel novero delle concessioni di servizi pubblici. Si veda, altresì, D. SORACE e C.
MARZUOLI, voce Concessioni amministrative, cit., p. 282 e in part. nota n. 5 per i richiami dottrinari ivi
contemplati. Ricordiamo, infine, G. PERICU, Il rapporto di concessione di pubblico servizio, op. cit, p.
86-87, secondo cui “Per constatare la varietà delle situazioni che si riconducono alla categoria
concessione amministrativa, basta por mente al fatto che tra esse vi sono sia ipotesi in cui la pubblica
amministrazione dispone di beni demaniali per utilizzazioni omogenee alla natura pubblica del bene
ovvero per utilizzazioni disomogenee, sia ipotesi in cui la pubblica amministrazione provvede ad
assicurare la soddisfazione, mediante lo svolgimento di attività economiche, di esigenze fondamentali
della collettività, sia, infine, ipotesi in cui la pubblica amministrazione affida a soggetti privati l’esercizio
di funzioni pubbliche (concessioni di poteri o di committenza) ovvero commette loro la realizzazione di
opere pubbliche (concessione di costruzione)”.
(81) In particolare, S. CASSESE, Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato?, cit., p.
385, considera l’affidamento di funzioni pubbliche a privati come un tipo di privatizzazione, ricordando
fra i numerosi esempi le banche che agiscono come collettori delle imposte, per conto del Ministero delle
finanze. L’autore aggiunge, poi, che “Il regime che risulta da questo tipo di privatizzazioni è il seguente:
le funzioni rimangono statali, ma vengono svolte da privati per conto e nell’interesse dello Stato, che li
dirige [..]; i soggetti privati che svolgono le funzioni non sono retti da norme pubblicistiche, ma sottoposti
al diritto privato”.
(82) Tale configurazione della concessione come strumento comportante il trasferimento di funzioni e
potestà pubbliche al concessionario emerge costantemente in giurisprudenza, anche se la stessa non pare
in grado di distinguere questo tipo di concessione dalla concessione di servizi, finendo, così, per
confondere le due categorie giuridiche. Fra le tante pronunce in questo senso vedi: Tar Toscana, sez. II, 4
marzo 1999, n. 242, Soc. S c. Regione Toscana, in TAR, 1999, I, p. 1955; Tar Toscana, sez. II, 15 maggio
1998, n. 410, cit.; Tar Lazio, sez. II, 10 luglio 1996, n. 1394, C.G.I.L. e altro c. Comune di Roma e altro,
in TAR, 1996, I, p. 2975; C. Giustizia CEE, 26 aprile 1994, causa C-272/91, Commissione CEE c.
Repubblica It., in Riv. It. Dir. pubb. com., 1994, p. 1348.
(83) Per una breve ricostruzione di tale nozione che ruota intorno alla nota pronuncia delle Sezioni Unite
del 1990 n. 12221 (in Riv. trim. App., 1992, p. 779), vedi A. BENEDETTI, I contratti della pubblica
amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino, Giappichelli, 1999, p. 237-243. Offre, invece, un
excursus delle posizioni sostenute in materia dalla dottrina amministrativistica classica F. DE
LEONARDIS, Il concetto di organo indiretto: verso nuove ipotesi di applicazione dell’esercizio privato
di funzioni pubbliche, in Dir. amm., n. 3, 1995, p. 347 ss.
17
pubblico esercente attività amministrativa (84), ma, semplicemente, si produrranno tutti
quegli effetti giuridici che la legge riconduce all’esercizio di potestà pubblicistiche;
mentre il concedente, continuando ad essere titolare della funzione, sarà sempre
assoggettato alle regole dettate dal diritto amministrativo.
Qualora si verifichi una tale operazione di sdoppiamento lo strumento giuridico
noto al nostro ordinamento al fine di effettuare il trasferimento non potrà che essere una
concessione amministrativa, questa volta, però, di natura traslativa. La differenza
rispetto alla concessione di servizi è, infatti, evidente: oltre a quanto già si è detto, in
questo caso il privato concessionario, esercitando la funzione trasferitagli, presta
un’attività per conto e nell’interesse della pubblica amministrazione, che in ciò consiste
la sostituzione; mentre il concessionario di servizi pubblici svolge l’attività in nome e
per conto proprio, essendo lo stesso titolare ed esercente della relativa situazione
giuridica soggettiva.
Merita, poi, distinguere la concessione traslativa di funzioni dall’appalto di
servizi.
Invero, anche nel caso in cui il concessionario esercitasse prestazioni a favore
della pubblica amministrazione, queste implicherebbero l’esercizio di pubblici poteri,
consistenti, ad esempio, nell’avviare e portare a compimento un’istruttoria o
un’ispezione amministrativa. Mentre tutto ciò è estraneo alla materia degli appalti. Ad
esempio, la banca incaricata di compiere il servizio di tesoreria a favore di un soggetto
pubblico è del tutto sprovvista di potestà pubbliche, limitandosi a dare attuazione ad un
rapporto giuridico che, sotto questo profilo, non differisce da quello nascente da un
contratto di conto corrente di diritto privato se non per la natura del soggetto
correntista(85).
Esemplarmente, in conformità alla suddetta distinzione tra appalto di servizi e
concessione traslativa di funzioni, si è deciso (86) che la realizzazione di un sistema di
automatizzazione del gioco del lotto, non comportando alcun trasferimento di pubblici
poteri tipico della concessione – aggiungeremo traslativa - deve sottostare alla disciplina
degli appalti comunitari (87), mentre l’affidamento del concorso pronostici abbinato alle
estrazioni settimanali del gioco del lotto, comportando il trasferimento dell’esercizio di
una funzione pubblica per conto dello Stato, non è stato configurato come un appalto di
servizi, bensì come una concessione (88).
In relazione, poi, ai rapporti intercorrenti tra la concessione traslativa di funzioni e
le regole di concorrenza sancite dal diritto comunitario, ricordiamo come la Corte di
Giustizia sia più volte intervenuta in materia (89). In particolare essa ha distinto le
(84) Per qualche riferimento alla natura degli atti a contenuto amministrativo, ma compiuti da un soggetto
estraneo alla P.A. vedi M.S. GIANNINI, voce Atto amministrativo, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1959, p.
172. Ma si veda anche F. DE LEONARDIS, ult. op. cit., passim.
(85) L’ipotesi illustrata rientra nell’ambito dei servizi privati erogati a favore di una pubblica
amministrazione, su cui, supra, § 1.
(86) Corte Giustizia CEE, 26 aprile 1994, cit.
(87) Trattavasi, nella specie, di appalto di forniture, disciplinato dal D.LGS n. 358/1992, in Suppl. ord.
GU, 11 agosto 1992, n. 188, modificato dal D.LGS n. 402/1998, in GU, 24 novembre 1998, n. 275, al fine
di dare attuazione alle direttive comunitarie 93/36/CEE (in GUCE, 9 agosto 1993, n. L-199) e 97/52/CE
(in GUCE, 28 novembre 1997, n. L-328).
(88) Tar Lazio, sez. II, 21 luglio 1997, Lottomatica s.c.p.a. c. Ministero finanze, Sisal sport Italia s.p.a., in
Foro amm., 1998, p. 894 ss.
(89) Vedi: C. Giustizia Comunità Europea, 19 gennaio 1994, causa C-364/92, SAT Fluggesellschaft mbh c.
Eurocontrol, in Racc., 1994, I, 43 ss., dove si esclude l’applicazione del diritto comunitario della
concorrenza nei confronti di Eurocontrol (Organisation européenne pour la sécurité de la navigation
aérienne), poiché l’attività da questa svolta è strettamente legata all’esercizio di poteri di controllo e di
polizia dello spazio aereo, tipiche prerogative dei pubblici poteri prive di carattere economico. Vedi
anche: C. Giustizia Comunità Europee, 18 marzo 1997, causa C-343/95, Diego Calì e figli s.r.l. c. Servizi
ecologici Porto di Genova s.p.a., in Dir. marit., 1998, II, p. 810 ss., dove si statuisce che “la sorveglianza
18
ipotesi in cui lo Stato agisce esercitando il potere d’imperio da quelle in cui si limita a
svolgere attività economiche di natura industriale o commerciale consistenti nell’offrire
beni o servizi sul mercato. Soltanto nel primo caso, trattandosi di attività rientranti nei
compiti essenziali dello Stato e sprovviste di carattere economico non è giustificata
l’applicazione delle regole di concorrenza del Trattato.
A questo punto merita chiedersi se la scelta dell’incaricato all’esercizio della
pubblica funzione possa avvenire intuitu personae, ovvero, sia ugualmente opportuno,
nell’ambito del diritto interno, garantire l’esperimento di procedure aperte.
Per giungere ad una soluzione non può esserci di aiuto la disciplina degli appalti
pubblici, non risultando applicabile all’ipotesi in esame.
D’altro canto ogni dubbio interpretativo potrebbe svanire se si dovesse concludere
che la recente Comunicazione della Commissione sulle concessioni sia applicabile
anche alle concessioni traslative. Ciò era espressamente escluso dal progetto di
Comunicazione (90), ma una tale statuizione non si ritrova più nella formulazione
definitiva dove ci si limita a far salve le norme del diritto comunitario che potrebbero
essere applicabili (91) e in questo caso il riferimento parrebbe essere all’art. 45 (ex 55)
del Trattato, dove si ammettono deroghe al diritto di stabilimento e alla libera
prestazione di servizi per quelle attività che nello Stato interessato partecipino, anche
solo occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri.
In ogni caso, i vincoli alle modalità di scelta del contraente sembrano provenire
dallo stesso diritto interno. Invero, la pubblica amministrazione è pur sempre tenuta al
rispetto degli artt. 97 e 3 della costituzione, i cui principi verrebbero frustrati ove si
negasse il ricorso a procedure aperte.
Ricapitolando, possiamo dire che mediante una concessione traslativa di funzioni
il concessionario esercita una funzione pubblica per conto dell’amministrazione
concedente, verso la quale sarà responsabile del corretto adempimento del compito
affidatogli per il cui svolgimento riceve un corrispettivo da parte dell’amministrazione
stessa (92).
Orbene, un settore in cui ci pare trovarsi un ricorso massiccio a tale tipo di
concessione è quello degli interventi statali a sostegno dell’economia, in cui si cerca di
delegare a banche o ad altri intermediari finanziari lo svolgimento di determinate
attività.
Dall’esame della normativa speciale, peraltro piuttosto intricata, emergono tre
diverse situazioni. Talora, nell’ambito del credito agevolato, il legislatore (93) si limita
antinquinamento che la SEPG è stata incaricata di svolgere nel porto petrolifero di Genova costituisce una
missione di interesse generale che rientra nei compiti essenziali dello Stato in materia di tutela
dell’ambiente del settore marittimo. Siffatta attività di sorveglianza, per la sua natura, per il suo oggetto e
per le norme alle quali è assoggettata, si ricollega quindi all’esercizio di prerogative inerenti alla tutela
dell’ambiente che sono tipiche prerogative dei pubblici poteri. Essa non presenta carattere economico che
giustifichi l’applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato”.
(90) Al cui punto 1.2 si escludeva che la Comunicazione interpretativa riguardasse “atti come quelli
mediante i quali un’autorità pubblica affidi a terzi la gestione di servizi che partecipano dell’esercizio di
pubblici poteri”.
(91) Punto 2.4.
(92) Anche se ovviamente, come in materia di appalti, il concessionario può essere allettato all’assunzione
dell’incarico per le utilità che mediatamente possono pervenirgli dal contatto diretto con i destinatari
dell’attività svolta, si pensi, ad esempio, alla banca incaricata dello svolgimento delle istruttorie
prodromiche alla concessione di agevolazioni finanziarie, su cui ci soffermeremo tra breve.
(93) Si veda, ad esempio, DM n. 320/2000 (in Suppl. ord. GU, 7 novembre 2000, n. 260), concernente la
Disciplina per l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali, secondo i
principi contenuti nel D.LGS n. 123/1998 (in GU, 30 aprile 1998, n. 99), contenente Disposizioni per la
razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell'art. 4, comma 4, lettera
c), della legge 15 marzo 1997, n. 59.
19
ad attribuire alle banche l’incarico della gestione contabile ed erogazione concreta dei
contributi pubblici, evidentemente in forza di un contratto di appalto di servizi (94).
Talvolta, invece, le leggi di agevolazione affidano alla banca anche il compito di
deliberare la valutazione del merito creditizio (95) e di verificare che l’operazione abbia
titolo per essere ammessa al contributo; e se la valutazione del merito creditizio non è
altro che un servizio appaltato dalla P.A. al privato (96), non si potrà giungere alla stessa
conclusione con riferimento all’attività di verifica dei requisiti di ammissione al
beneficio, poiché trattasi di un’istruttoria amministrativa (97) ovvero un’attività
corrispondente all’esercizio di una pubblica funzione data in concessione alla banca. In
ogni caso, atteso il carattere misto di questo rapporto che lega il soggetto pubblico e
quello privato, la banca convenzionata a cui fanno capo entrambi i compiti dovrà essere
scelta secondo le procedure ad evidenza pubblica di cui al D.LGS n. 157/1995.
Può, infine, accadere che, in attuazione dell’art. 47, c. 2, del TU bancario, il fondo
pubblico di agevolazione (98) venga dato in gestione alla banca, la quale sarà, in tal
modo, incaricata dell’amministrazione contabile amministrativa e tecnica del fondo.
Tale gestione comporta l’adempimento di attività istruttorie di natura prettamente
amministrativa, e quindi non limitate alla valutazione del merito creditizio. Inoltre, nella
gestione amministrativa pare poter rientrare a pieno titolo anche l’attività di scelta dei
soggetti da ammettere al beneficio, come accade, ad esempio, per il fondo centrale di
(94) Correttamente l’art. 8 DM n. 320/2000 cit. prevede la necessità di applicare il D.LGS n. 157/1995 al
fine si selezionare gli istituti bancari competenti.
(95) Questo schema è, dunque, perfettamente conforme a quanto previsto dall’art. 47, c. 1, D.LGS n.
385/1993 (in Suppl. ord. GU, 30 settembre 1993, n. 230) e dalla relativa convenzione tipo elaborata dalla
sezione operazioni finanziarie e vigilanza sui mercati della direzione generale del Tesoro il 14 marzo
1997, in Circolari ABI, 1997, serie tecnica, n. 45.
(96) Un esempio in tal senso è offerto dal DM 3 luglio 2000 (in GU, 14 luglio 2000, n. 163) recante il
Testo unico delle direttive per la concessione e l'erogazione della agevolazioni alle attività produttive
nelle aree depresse ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito,
con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488, al cui art. 5, si legge che “Ai fini della
concessione delle agevolazioni finanziarie sono stabiliti i seguenti meccanismi: [..] lett. c)
l'amministrazione competente dovrà provvedere, nel più breve tempo possibile, alla determinazione delle
modalità, delle procedure e dei termini per la concessione e per l'erogazione delle agevolazioni,
prevedendo la stipula di apposite convenzioni con banche o società di servizi controllate da banche per
l'istruttoria delle domande di agevolazione i cui oneri sono posti a carico delle risorse stanziate per la
concessione dei benefici. Le suddette modalità e procedure dovranno rispettare i seguenti criteri: [..] lett.
c3) l'amministrazione competente fissa il termine per la presentazione all'amministrazione medesima
delle istruttorie dei soggetti convenzionati; l'istruttoria completa degli elementi di analisi di fattibilità e
redditività economico-finanziaria è svolta secondo le tipiche procedure di deliberazione ed erogazione dei
prestiti degli enti creditizi per progetti di investimento [..]”.
(97) Si pensi che l’art. 5, lett. c3) del DM 3 luglio 2000, cit. dispone, altresì, che “Ai fini della concessione
delle agevolazioni finanziarie in favore delle attività del settore turistico, le banche concessionarie
(corsivo nostro) incaricate dell'attività istruttoria valutano, attraverso il business plan dell'impresa
proponente, anche gli obiettivi del programma in termini di elevazione degli standard qualitativi o
quantitativi dell'offerta turistica; le banche concessionarie valutano altresì la validità del programma da
un punto di vista delle prestazioni ambientali attraverso specifiche dichiarazioni in materia che l'impresa
proponente allega alla domanda o alla richiesta di erogazione delle agevolazioni”.
(98) È stato correttamente osservato che “poiché la legge fa esplicito riferimento alle agevolazioni
creditizie, si ritiene che gli interventi del fondo non possano prescindere dall’esistenza di un
finanziamento bancario. Ciò non significa però che l’agevolazione debba necessariamente consistere in
un contributo in conto interessi. Anche un contributo a fondo perduto o la concessione di una garanzia
configurano un’agevolazione creditizia, se la concessione è comunque collegata all’esistenza di un
finanziamento bancario, del quale il contributo o la garanzia concorrono, rispettivamente, a contenere
l’onere o a favorire la concessione”, così G. CASTALDI, I finanziamenti agevolati, in P. FERRO-LUZZI,
G. CASTALDI (a cura di), La nuova legge bancaria. Il T.U. delle leggi sulla intermediazione bancaria e
creditizia e le disposizioni di attuazione. Commentario, I, Milano, Giuffrè, 1996, p. 738-739.
20
garanzia per il credito navale (99). In questo caso il rapporto tra banca e soggetto
pubblico competente integra gli estremi di una concessione, atteso che la prima diviene
affidataria di una pubblica funzione.
Merita però rilevare, come, anche in questo caso la banca assuma un ruolo
polifunzionale, poiché in parte esercita una pubblica funzione e in parte compie servizi
privati a favore della P.A.. Sarà, quindi, sempre necessario assicurare il rispetto delle
norme in materia di appalto di servizi (100), onde evitare violazioni delle regole di
concorrenza.
Fra l’altro, questa pluralità di compiti affidata al concessionario si realizza sovente
anche in materia di pubblici servizi dove, accanto alla concessione di pubblico servizio,
può perfezionarsi una concessione traslativa di pubbliche funzioni consistente, ad
esempio, nell’affidamento al privato del compito di erogare sanzioni amministrative nei
confronti di quegli utenti che abbiano violato il regolamento di servizio .
4. Concessione e contratto di servizio
Le riflessioni sulla natura giuridica della concessione di servizio pubblico hanno
conosciuto nel corso dell’evolversi del nostro ordinamento alterne vicende (101),
oscillando da concezioni di tipo contrattualistico ad altre di tipo provvedimentale. Le
prime si assestavano su una nozione della concessione prettamente privatistica, mentre
le seconde la configuravano come un atto amministrativo unilaterale, finché, i due
profili, pubblicistico e privatistico, non si sono trovati in comunione forzosa nell’ambito
della nota teoria giurisprudenziale del contratto accessivo al provvedimento (102).
(99) Istituito dalla L. n. 261/1997, in GU, 7 agosto 1997, n. 183. In particolare, il DM, 17 dicembre 1999,
n. 539 (in GU, 8 febbraio 1999, n. 31), Regolamento recante condizioni e modalità dell'intervento del
Fondo centrale di garanzia per il credito navale, prevede all’art. 4 che “Il gestore procede all'istruttoria
delle domande secondo l'ordine cronologico di arrivo ed adotta entro tre mesi dalla data di ricevimento
della domanda o di completamento della medesima le relative deliberazioni di ammissibilità alla garanzia
ovvero di inammissibilità, di improcedibilità o di rigetto dell'istanza”. Specificandosi, poi, nel successivo
art. 5 che “L'ammissibilità alla garanzia è disposta con deliberazione del gestore a seguito dell'esito
positivo dell'istruttoria volta all'accertamento dei requisiti soggettivi e alla valutazione della situazione
economico-finanziaria dell'armatore ed è subordinata all'esistenza di disponibilità impegnabili a carico del
Fondo”.
(100) Talvolta un simile richiamo può ritrovarsi nella normativa speciale, a riprova del fatto che
l’assegnazione e gestione di fondi pubblici a privati non coincide con un semplice appalto di servizi,
infatti, se così fosse sarebbe del tutto superfluo prevedere espressamente che la banca debba essere
prescelta mediante procedure di evidenza pubblica ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157,
perché questo dato sarebbe già implicito nella qualificazione stessa dell’operazione come contratto di
appalto. Per un esempio in tal senso, sempre con riferimento al fondo di garanzia per l’industria
cantieristica, si rimanda all’art. 1, c. 2, Legge n. 413/1998, (in GU, 3 dicembre 1998, n. 283), per il
Rifinanziamento degli interventi per l'industria cantieristica ed armatoriale ed attuazione della normativa
comunitaria di settore.
(101) La storia delle diverse ricostruzioni dogmatiche della concessione amministrativa, qui sinteticamente
riportate, vengono illustrate con particolare dovizia da M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative
aspetti di contrattualità delle pubbliche amministrazioni, op. cit., p. 3 ss.
(102) L’orientamento giurisprudenziale della “concessione-contratto”, “formalizza la rilevanza
dell’elemento consensuale in un contratto privatistico collegato a un provvedimento amministrativo
unilaterale (di concessione)”, così D. SORACE, C. MARZUOLI, voce Concessioni amministrative, op.
cit., p. 287. Riferimenti alla concessione-contratto tornano anche in pronunce recenti, si vedano, fra le
tante: Cons. stato, sez. VI, 26 giugno 1990, n. 671, Società GEPCO c. Provincia autonoma Trento e altro,
in Cons. Stato, 1990, I, p. 888; Cass. civ., sez. un., 22 novembre 1993, n. 11491, Gioè e altro c. Com.
Palermo, in Giust. civ. Mass., 1993, f. 11; C. Conti, sez. contr., 1 giugno 1995, n. 73, Min. poste, in Cons.
Stato, 1995, II, p. 1998; Tar Molise, 18 dicembre 1996, n. 456, Soc. Italgas c. Comune Castelpetroso, in
Foro amm., 1997, p. 1798; Cass. civ., sez. I, 14 agosto 1998, n. 8045, Gervasuti c. Soc. Canottieri
Querini, in Giust. amm. Mass., 1998, p. 1710; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1998, n. 8768, Soc. Comp.
21
A questo punto, il dilemma del giurista che si accingeva a delineare la struttura
giuridica della concessione era nuovamente divenuto quello di decidere a quale dei due
elementi, contrattuale o provvedimentale, dare prevalenza.
I termini dell’annoso problema hanno, però, finito per essere spostati da chi (103)
ha rilevato che probabilmente la soluzione non stava nel trovare il giusto equilibrio tra
categorie giuridiche tradizionali, quanto piuttosto nel teorizzare strutture giuridiche
ancora sprovviste di riscontro nell’ambito del diritto positivo, ma emergenti in tutti i
loro profili di novità nella prassi adottata dalla pubblica amministrazione. Si va, così,
sempre più affermando l’idea che accanto al contratto di diritto privato esista la figura
del “contratto” (rectius accordo) di diritto pubblico (104).
Tale dirompente affermazione ha dovuto, poi, fare i conti con quella parte della
dottrina che ha cercato di negare la sussistenza dei presupposti necessari a fornire
fondamento teorico alla nuova categoria concettuale. Ma, alla fine, sembra che il
dibattito sia stato quanto meno assopito dall’intervento del legislatore, il quale ha dato
un riconoscimento normativo ai “contratti” di diritto pubblico, disciplinando gli accordi
sostitutivi del provvedimento amministrativo nell’ambito della legge generale sul
procedimento (105).
Quindi se si può, oggi, affermare con una certa tranquillità che gli accordi
sostitutivi di provvedimento altro non sono che una tipologia a noi rivelatasi del
“contratto” di diritto pubblico (106), l’idea che le concessioni di pubblico servizio
rientrino in questa specie di accordi pare necessitare di qualche ulteriore riflessione.
Cauzioni e altro c. Com. Barletta e altro, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 1849; Cass. civ., sez. un., 19
febbraio 1999, n. 79, Acquedottica c. Com. Mancalieri, in Giust. civ. Mass., 1999, p. 436.
(103) G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche. Ammissibilità e caratteri, Milano, Giuffrè, 1984.
(104) Sul tema si vedano per tutti i recenti contributi di E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione nei
contratti di diritto pubblico, tra amministrazioni e privati, Milano, Giuffrè, 1996, passim, e in particolare
nota n. 76, dove l’autore, offre, fra l’altro, un’indicazione più che esaustiva degli esponenti antichi e
moderni della dottrina contrattualpubblicistica e F. FRACCHIA, L’accordo sostitutivo, studio sul
consenso disciplinato dal diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali
di esercizio del potere, Padova, Cedam, 1998, passim.
(105) Si tratta della L. n. 241/1990 cit., il cui art. 11, così, recita: “1. In accoglimento di osservazioni e
proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza
pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli
interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi
previsti dalla legge, in sostituzione di questo. 1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui
al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita,
separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati. 2. Gli
accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la
legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile
in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. 3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti
sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi. 4. Per sopravvenuti motivi di pubblico
interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla
liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. 5. Le
controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo
sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
(106) Cfr.: G. GRECO, Le concessioni di pubblici servizi tra provvedimento e contratto, cit., p. 381 ss.; F.
MERUSI, Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo le recenti riforme,
in Dir. amm., n. 1, 1993, p. 33 ss.; G. PERICU, L’attività consensuale dell'Amministrazione pubblica, in
L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di),
Diritto amministrativo, II, Bologna, Monduzzi editore, 1998, p. 1577 ss.; F.G. SCOCA, La teoria del
provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., n. 1, 1995, p. 46 ss., il
quale, pur ritenendo “probabilmente possibile identificare nell’accordo sostitutivo di provvedimento quel
tipo di atto che nell’ordinamento tedesco è conosciuto come <<contratto>> di diritto pubblico”, ha cura di
precisare che tale accordo è “una fattispecie a struttura consensuale ma funzionalmente legata alla cura
dell’interesse pubblico”, gli accordi disciplinati dalla legge sul procedimento non hanno, quindi, natura
contrattuale “essi costituiscono piuttosto la formalizzazione in atti consensuali della partecipazione degli
22
Dalla lettura dell’art. 11 della L. n. 241/1990 si desume che mentre gli accordi
determinanti il contenuto del provvedimento finale, e perciò detti integrativi, hanno
portata generale, gli altri, sostitutivi di quest’ultimo, possono essere adottati solo “nei
casi previsti dalla legge”. Si rende, così, necessario verificare se sussistano norme di
legge, in materia di concessione di pubblico servizio, secondo cui essa possa assumere
la struttura di un negozio giuridico bilaterale, piuttosto che di un provvedimento
unilaterale (107).
Un’espressa disposizione di legge in tal senso si ritrovava in materia di servizi
pubblici locali nell’art. 265 del RD n. 1175/1931, dove si indicavano le clausole da
inserire nei contratti coi quali gli enti locali davano in concessione all’industria privata i
servizi pubblici municipalizzati.
Inoltre, la L. n. 481/1995 in materia di servizi di pubblica utilità, successiva alla
legge generale sul procedimento amministrativo, sancisce tra i principi generali a cui si
ispira la normativa relativa alle Autorità (108), che “l’esercizio del servizio in
concessione è disciplinato da convenzioni” stipulate tra l’amministrazione concedente e
il soggetto esercente il servizio (art. 2, c. 36 (109)).
Sebbene tale disposizione possa apparire ambigua e addirittura volta a riproporre
l’idea che la concessione si esaurisca nella complessa figura del contratto accessivo al
provvedimento, una tale conclusione non è condivisibile.
Infatti, anche se sarebbe stato preferibile che la norma in esame contenesse un
espresso riferimento all’art. 11 della L. n. 241/1990, si dovrà concordare che nella
vigenza di tale legge generale, l’istituto contemplato dal legislatore non può non
<<interessati>> al procedimento. Attraverso gli accordi la partecipazione, che in via generale deve
intendersi come partecipazione al processo di formazione della decisione, diventa partecipazione alla
decisione (che si struttura in modo consensuale)”; G. SORICELLI, Premesse per un’analisi giuridica
degli accordi amministrativi ex art. 11 L. 7 agosto 1990, n. 241, in Foro amm., 2000, p. 1596 ss. e in part.
p. 1608-1609.
(107) Cfr. F. MERUSI, Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo le
recenti riforme, cit., il quale, ragionando sulla portata della necessità di una specifica disposizione di
legge a presupposto di operatività degli accordi sostitutivi, conclude sostenendo che “Una interpretazione
riduttiva porterebbe ad affermare che i contratti amministrativi sostitutivi di provvedimenti saranno
stipulabili quando singole leggi ne ammetteranno la possibilità. Una interpretazione, forse più coerente
con la espressa volontà del legislatore di dare, nella misura del possibile, una efficacia immediata alla
legge sul procedimento, condurrebbe invece a ritenere che contratti di diritto amministrativo fra la
Pubblica Amministrazione e i privati siano fin da ora ammissibili in tutte le ipotesi in cui singole leggi
prevedono l’ammissibilità di una qualche forma di contrattazione con i destinatari dell’atto.” Una
conferma in tal senso pare fornita dallo stesso parere che, in sede consultiva, diede il Consiglio di Stato
(Cons. Stato, ad. Gen., 19 febbraio 1987, n. 7, in Foro It., 1988, III, p. 22 ss.), sul progetto governativo di
quello che poi divenne l’art. 11 della L. n. 241/1990, auspicando “di riconoscere operatività agli accordi
sostitutivi dell’atto solo nei casi espressamente considerati dalla legge, come nel caso degli accordi bonari
in materia espropriativa”, rinviando, così, a titolo esemplificativo, all’art. 12 della L. n. 865/1971 (in GU,
30 ottobre 1971, n. 276), contenente norme sulla espropriazione per pubblica utilità, dove si prevede
semplicemente il diritto per il proprietario espropriando “di convenire con l'espropriante la cessione
volontaria degli immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento dell'indennità provvisoria”.
(108) Fra l’altro, detti principi generali sono espressamente richiamati dalla L. n. 249/1997 (in Suppl. ord.
n. 154/L, alla GU, n. 177, del 31 luglio 1997), istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,
infatti, a norma dell’art. 1, c. 21, “All’Autorità si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 14
novembre 1995, n. 481, non derogate dalle disposizioni della presente legge”.
(109) Nello stesso comma il legislatore si preoccupa, poi, di precisare che in tali convenzioni devono
trovare definizione “l’indicazione degli obiettivi generali, degli scopi specifici e degli obblighi reciproci
da perseguire nello svolgimento del servizio; le procedure di controllo e le sanzioni in caso di
inadempimento; le modalità e le procedure di indennizzo automatico nonché le modalità di
aggiornamento, revisione e rinnovo [..] della convenzione”.
23
rientrare nell’accordo sostitutivo di provvedimento (110), non essendovi più spazio, allo
stato del diritto positivo (111), per accordi pubblici di diversa specie (112).
Il quadro, così, delineato sembra essere confermato anche dagli indirizzi assunti in
materia dall’ordinamento comunitario, nell’ambito del quale è ormai pacifico che la
concessione di servizio pubblico possa assumere una struttura giuridica convenzionale.
Tale orientamento viene, infatti, fatto proprio nella recente Comunicazione della
Commissione sulle concessioni, le quali vengono definite come “gli atti riconducibili
allo Stato per mezzo dei quali un’autorità pubblica affida a un soggetto vuoi con un atto
contrattuale, vuoi con un atto unilaterale che abbia ricevuto il consenso di tale soggetto
(corsivi nostri) – la gestione totale o parziale di servizi [..].” (113)
Riteniamo, insomma, che la concessione di servizio si sia venuta sempre più
allontanando dal provvedimento amministrativo unilaterale (114), potendo manifestarsi
sotto forma di atto bilaterale. Ciò coerentemente con il mutare dei presupposti e degli
effetti giuridici della stessa, ormai affrancati dal principio della riserva di attività a
favore del soggetto pubblico, e connessi invece a nuove prospettive di collaborazione
tra soggetto pubblico e privato, nell’ambito della quale gli interessi sottesi possono
trovare un nuovo equilibrio (115).
Ci siamo, infatti, già preoccupati di rilevare come l’imprenditore privato gestore
del servizio pubblico si trovi in una posizione diversa rispetto a qualsiasi altro
imprenditore, non perché difetti della titolarità del diritto di impresa, ma per il semplice
motivo di esser tenuto ad adempiere a tutta una serie di obblighi di pubblico servizio,
per la tutela dei quali l’autorità pubblica continua ad essere titolare di potestà
pubblicistiche. Tali obblighi andranno, così, ad integrare il contratto pubblico di
concessione (116).
(110) Si veda anche l’art. 1, penultimo comma, della direttiva del PCM del 27 gennaio 1994, cit., in cui si
afferma che “Per i servizi erogati in regime di concessione o mediante convenzione e comunque svolti da
soggetti non pubblici, il rispetto dei princìpi della direttiva è assicurato dalle amministrazioni pubbliche
nell'esercizio dei loro poteri di direzione, controllo e vigilanza”, in tale sede, pare emergere la
consapevolezza che la convenzione sostituisce il tradizionale provvedimento concessorio, rientrando,
così, nell’ambito dell’art. 11, L. n. 241/1990.
(111) Cfr. L. ZANETTI, L’applicazione giurisprudenziale dell’art. 11 della legge sul procedimento, in
Riv. trim. App., n. 3, 2000, p. 526 ss., il quale correttamente afferma come “è incontroverso che tra enti
pubblici e soggetti privati si ricorra sovente alla sottoscrizione di atti convenzionali. La circostanza che
poi a questi atti sia o meno applicabile l’art. 11 non dipende dalla volontà delle parti, se non in misura
minima, bensì deriva da una lettura ermeneutica da operarsi in termini del tutto oggettivi”. In particolare,
la giurisprudenza ha cominciato a ritenere applicabile l’art. 11 alle concessioni-contratto; in materia di
concessioni di servizi pubblici si veda: Cass. civ., sez. un., 17 novembre 1994, n. 9747, Politecnico Italia
s.p.a. c. U.S.L. RM 2, in Giust. civ., 1995, I, p. 1275.
(112) Ad eccezione, ovviamente, degli accordi integrativi del provvedimento, estranei, però, alla fattispecie
in esame.
(113) Comunicazione 12 aprile 2000, cit., pt. 2.3.
(114) Per la ricostruzione della concessione di pubblico servizio quale unitario negozio giuridico bilaterale
dalla natura pubblicistica si rinvia a quanto già sostenuto da G. GRECO, Le concessioni di pubblici
servizi tra provvedimento e contratto, cit., p. 381 ss.; Id., Le concessioni di lavori e di servizi nel quadro
dei contratti di diritto pubblico, cit., p. 993 ss.
(115) Ricordiamo che la pubblica amministrazione è titolare della cosiddetta facultas alternativa, ovvero
del potere di scegliere se agire secondo un modulo convenzionale oppure mediante il tradizionale
provvedimento unilaterale, cfr. F. CANGELLI, Riflessioni sul potere discrezionale della pubblica
amministrazione negli accordi con i privati, in Dir. amm., n. 2, 2000, p. 292 ss. Così anche Cons. Stato,
sez. VI, 20 gennaio 2000, n. 264, Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e al., Industria
Sarda Zuccheri s.p.a. c. Eridania Zuccherifici del Molise s.p.a., in Riv. trim. App., n.3, 2000, p. 524 ss.
(116) Infatti, la direttiva del PCM recante i Principi sull’erogazione dei servizi pubblici, cit., prevede
all’allegato, pt. 3.2 che “Per i servizi erogati in regime di concessione o mediante convenzione e
comunque erogati da soggetti non pubblici, l’inosservanza dei principi della presente direttiva costituisce
inadempimento degli obblighi assunti contrattualmente dai soggetti erogatori”.
24
Ma, come abbiamo già evidenziato sopra, talvolta l’atto di concessione ammette a
favore del privato, disposto ad assumersi tali obblighi, una sorta di corrispettivo,
consistente, ad esempio, nell’acquisizione di diritti speciali o esclusivi, ovvero in ausili
finanziari; chiaramente tali pratiche, astrattamente distorsive della concorrenza, sono
ammissibili solo quando la fattispecie concreta consti di tutti i presupposti contemplati
nell’art. 86 (ex art. 90) del Trattato di Roma, vale a dire, semplificando, quando, in
mancanza di tali deroghe alle regole di concorrenza, i cittadini vedrebbero compromessa
la fruizione del servizio, con la conseguente negazione di quei bisogni fondamentali alla
cui tutela si ergono i singoli ordinamenti giuridici nazionali.
Orbene, il diritto comunitario ha coniato uno strumento ad hoc, avente lo scopo di
fungere da mezzo giuridico per l’applicazione concreta dell’art. 86 (ex art. 90): si tratta
del cosiddetto contratto di servizio pubblico (117), disciplinato in alcuni regolamenti
comunitari in materia di trasporti (118).
In questi atti normativi il contratto di servizio pubblico (119) viene definito come
un contratto stipulato tra le autorità competenti di uno Stato membro e l’operatore
economico erogatore del servizio, il quale si impegna a garantire un servizio sufficiente
anche qualora ciò non corrisponda al proprio profitto commerciale, adempiendo a tutta
una serie di obblighi, rimborsati da un compenso (120) a carico dello Stato.
(117) In materia si veda: M. RAMAJOLI, Concessioni di pubblico servizio e diritto comunitario.
Autonomia e responsabilità degli Stati membri nei confronti del disegno liberalizzatore comunitario, cit.,
p. 579 ss.; F. FRACCHIA, Servizi pubblici e scelta del concessionario, cit., p. 419 ss.; D. SORACE,
Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, cit., p. 395 ss.; G. M. RACCA, I servizi pubblici
nell’ordinamento comunitario, cit., p. 230 e p. 236 ss.; F. GHELARDUCCI, Privatizzazioni e servizi
pubblici locali, in Foro amm., 1996, II, p. 1750 ss.
(118) Regolamento (CEE) del Consiglio, n. 1893/91, del 20 giugno 1991 che Modifica il regolamento
(CEE) n. 1191/69 relativo all'azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di
servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, in
GUCE, 29 giugno 1991, n. L-169; Regolamento (CEE) del Consiglio, n. 2408/92, del 23 luglio 1992,
sull’ Accesso dei vettori aerei della Comunità alle rotte intracomunitarie, in GUCE, 24 agosto 1992, n.
L-240; Regolamento (CEE) del Consiglio, n. 3577/92, del 7 dicembre 1992, concernente L'applicazione
del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio
marittimo), in GUCE, 12 dicembre 1992, n. L-364.
(119) A norma dell’art. 14 del Regolamento CEE n. 1893/1991 cit. “1. Per contratto di servizio pubblico
s’intende un contratto concluso fra le autorità competenti di uno Stato membro e un’impresa di trasporto
allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto sufficienti. In particolare il contratto di servizio
pubblico può comprendere: servizi di trasporto conformi a determinate norme di continuità, regolarità,
capacità e qualità; servizi di trasporto complementari; servizi di trasporto a determinate tariffe e
condizioni, in particolare per talune categorie di passeggeri o per taluni percorsi; adeguamenti dei servizi
alle reali esigenze. 2. Il contratto di servizio pubblico comprende tra l’altro i seguenti punti: a) le
caratteristiche dei servizi offerti, segnatamente le norme di continuità, regolarità, capacità e qualità; b) il
prezzo delle prestazioni che formano oggetto del contratto, che si aggiunge alle entrate tariffarie o
comprende dette entrate, come pure le modalità delle relazioni finanziarie tra le due parti; c) le norme
relative alle clausole addizionali e alle modifiche del contratto, segnatamente per tener conto dei
mutamenti imprevedibili; d) il periodo di validità del contratto; e) le sanzioni in caso di mancata
osservanza del contratto”. Mentre secondo l’art. 2, pt. 3) del Regolamento CEE n. 3577/1992 cit. “per
obblighi di servizio pubblico si intendono gli obblighi che l’armatore comunitario, ove considerasse il
proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse
condizioni.” Tali obblighi di servizio pubblico imposti dagli Stati membri “si limitano alle esigenze
relative ai porti che devono essere serviti, alla regolarità, alla continuità, alla frequenza, alla capacità di
fornitura del servizio, alle tariffe richieste ed all’equipaggio della nave” (art. 4, c. 2, Regolamento da ult.
cit.).
(120) Riteniamo che detto compenso possa consistere oltre che in ausili finanziari anche nella concessione
di diritti speciali o esclusivi a favore del gestore. In tal senso pare orientato il REG. (CEE) n. 3577/92, che
sancisce il rispetto della parità di trattamento per tutti gli armatori comunitari, in relazione a “Qualsiasi
compenso dovuto per obblighi di servizio pubblico” (art. 4, c. 2) e il REG. (CEE) n. 2408/92, a norma
del quale “L'accesso ad una rotta sulla quale nessun vettore aereo abbia istituito o si appresti a istituire
servizi aerei di linea conformemente all'onere di servizio pubblico imposto su tale rotta, può essere
25
È, così, accaduto che il termine “contratto di servizio pubblico” ha cominciato a
comparire sporadicamente nei testi normativi italiani.
In particolare, per quanto riguarda il settore dei trasporti, la Legge n. 238/1993
(121), prevede che il Ministro dei trasporti e della navigazione trasmetta al Parlamento,
prima della stipulazione con le Ferrovie dello Stato s.p.a., i contratti di servizio, i
contratti di programma, e i relativi eventuali aggiornamenti.
Il decreto legge n. 26/1995 (122), nella parte dedicata alle società miste per i servizi
pubblici locali, contiene una disposizione (art. 4, c. 5), poi trasfusa nell’art. 116, c. 8,
lett. a), del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, per cui i rapporti
tra ente locale e azienda speciale sono disciplinati da un piano programma
comprendente un contratto di servizio (123).
La legge n. 481/1995, dopo aver fatto più volte riferimento a generiche
convenzioni e contratti di programma (124), si preoccupa di stabilire che l’esercizio del
servizio in concessione è disciplinato non solo da convenzioni, come già abbiamo detto,
ma a queste si possono aggiungere “eventuali (corsivo nostro) contratti di programma
stipulati tra l'amministrazione concedente e il soggetto esercente il servizio” (art. 2, c.
36). Nel medesimo articolo vi è, poi, un riferimento al contratto di servizio, al solo
scopo di prevedere che per poterlo stipulare è necessario il previo parere dell’autorità
garante della concorrenza e del mercato, così come per la concessione (125) e per gli altri
strumenti di regolazione dell’esercizio dei servizi pubblici nazionali (art. 2, c. 34).
Ancora, la delibera Cipe del 24 aprile 1996 (126), indicando tra gli strumenti di
regolazione il contratto di programma (127), tenuto distinto dall’atto di concessione (128),
limitato dallo Stato membro ad un unico vettore aereo per un periodo non superiore a tre anni al termine
del quale si procederà ad un riesame della situazione” (art. 4, c. 1, lett. d).
(121) In GU, 20 luglio 1993, n. 168, contenente Disposizioni in materia di trasmissione al Parlamento dei
contratti di programma e dei contratti di servizio delle Ferrovie dello Stato S.p.a.
(122) In GU, 31 gennaio 1995, n. 25.
(123) Su cui vedi D. SORACE, C. MARZUOLI, Le aziende speciali e le istituzioni, in Dir. amm., n. 4,
1996, p. 650 ss.; G. DE CANDIA, Il contratto di servizio nella gestione dei servizi pubblici locali
mediante società di capitali a partecipazione pubblica, in Nuova Rass., n. 19, 2000, p. 2045, dove si
precisa che “Nella realtà il contratto di servizio è un atto separato dal piano programma, che deve essere
redatto e concluso successivamente all’approvazione di quest’ultimo”.
(124) L’art. 2, c. 12, lett. b), riconosce a ciascuna autorità il potere di proporre “ai Ministri competenti gli
schemi per il rinnovo nonché per eventuali variazioni dei singoli atti di concessione o di autorizzazione,
delle convenzioni e dei contratti di programma”, oltre che (lett. d), a determinate condizioni, “la modifica
delle clausole delle concessioni e delle convenzioni, ivi comprese quelle relative all'esercizio in esclusiva,
delle autorizzazioni, dei contratti di programma in essere e delle condizioni di svolgimento dei servizi”.
Lo stesso art. 2, c. 12, lett. f), si riferisce al servizio universale come “definito dalla convenzione”. Infine,
alla successiva lett. g) si riconoscono determinati poteri alle Autorità sia nell’ipotesi di violazione di
norme contrattuali, sia qualora non si rispettino gli standard di qualità stabiliti nel contratto di programma.
(125) Riteniamo che il termine concessione venga utilizzato dal legislatore per indicare il provvedimento
amministrativo tradizionale di tipo unilaterale. Si veda anche la nota n. 108.
(126) Contenente Linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità, in GU, 22 maggio 1996, n.
118.
(127) Nel preambolo della delibera appena citata si legge che il contratto di programma è lo “[..]
strumento idoneo a definire il processo di evoluzione delle imprese interessate da situazioni di
inefficienza e distorsione verso condizioni di efficienza prossime a quelle garantite da mercati
concorrenziali, nonché verso condizioni di equilibrio finanziario compatibili con la realizzazione anche
di iniziative straordinarie di investimento volte alla modernizzazione dei servizi”. Così, l’art. 1, pt. 2,
prevede che “La regolazione del servizio di pubblica utilità, ove non diversamente disciplinato per legge,
è effettuata dalle amministrazioni competenti attraverso la stipula di contratti di programma con le
aziende erogatrici dei servizi. Il contratto di programma è strumento finalizzato a tutelare gli interessi dei
consumatori attraverso adeguate condizioni di concorrenza, efficienza ed economicità dei servizi
medesimi”.
(128) Ivi, art. 1, pt. 7, “ Il contratto di programma stabilisce le modalità di raggiungimento degli obiettivi
generali indicati nella convenzione di concessione, ove prevista”.
26
si preoccupa di evidenziare che “Qualora materie regolate dalla presente delibera siano
definite nell'ambito di contratti di servizio, le disposizioni precedenti, relative a tali
materie, si intendono valevoli anche per i contratti di servizio.” (129)
Disposizioni di questo tipo pongono all’interprete il problema di capire quali
siano le differenze tra i diversi strumenti convenzionali contemplati dal legislatore.
In questa sede ci limitiamo a rilevare che il contratto di programma (130) rientra tra
gli strumenti di politica economica che le amministrazioni pubbliche hanno a
disposizione per incentivare la realizzazione, fra l’altro, di “piani progettuali articolati
sul territorio, ovvero, in aree definite, atti a generare significative ricadute sull'apparato
produttivo, mediante prevalente attivazione di nuovi impianti e creazione di
occupazione aggiuntiva” (131), ovvero, di “iniziative facenti parte di organici piani per la
realizzazione di nuove iniziative produttive o di ampliamenti” (132).
Il contratto di programma non ha, quindi, nulla a che vedere con l’atto di
affidamento in concessione (133), potendo eventualmente affiancarsi ad esso. Infatti, il
collegamento con il servizio pubblico è del tutto incidentale e si coniuga con l’esigenza
di incentivare i necessari investimenti in infrastrutture, ovvero, di superare gli squilibri
finanziari in cui sono incorsi i gestori pubblici del servizio, come nel caso del contratto
di programma a suo tempo stipulato tra il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni
e il presidente dell'ente poste italiane (134).
Non dobbiamo però trascurare che gli obblighi di servizio pubblico possono
essere imposti anche nell’ambito di un contratto di programma, come, del resto, avviene
in quello appena richiamato relativo al servizio postale (135); ciò pare coerente con
quanto disposto dal diritto comunitario, il quale ammette che gli obblighi di servizio
pubblico siano imposti dagli Stati membri anche al di fuori di un contratto di servizio
(136). Questo può, però, contribuire a creare confusione tra contratti di programma e
contratti di servizio, in quanto i contenuti dei secondi possono finire per essere assorbiti
nei primi.
In realtà, se è vero che, qualora vi siano i presupposti per addivenire alla stipula di
un contratto di programma, può essere conveniente utilizzare la medesima fonte
convenzionale per imporre gli obblighi di servizio pubblico, è altresì vero, che detti
obblighi devono essere imposti e resi coattivi anche nel caso in cui non si possa o debba
procedere ad una contrattazione programmata. Residua, dunque, lo spazio per garantire
autonomia concettuale ai contratti di servizio (137) per l’ipotesi in cui il sacrificio
(129) Art. 1, pt. 19.
(130) Sul più generale tema della programmazione negoziata si veda il recente contributo di R.
FERRARA, La programmazione “negoziata” fra pubblico e privato, in Dir. amm., n. 3-4, 1999, p. 431
ss.
(131) Pt. 2, lett. a), deliberazione Cipe, 25 febbraio 1994, in GU, 21 aprile 1994, n. 92, recante Disciplina
dei contratti di programma.
(132) Ivi, pt. 2, lett. b). Si veda anche l’art. 2, c. 203, lett. a) ed e), della L. n. 662/1996 (in Suppl. ord. n.
233 a GU, 28 dicembre 1996, n. 303).
(133) Cfr. art. 1, pt. 5, della delibera Cipe contenente le Linee guida per la regolazione dei servizi di
pubblica utilità, per cui “La durata del contratto di programma coincide, di norma, con quella dei piani
pluriennali elaborati dal soggetto esercente il servizio e, comunque, non è inferiore a tre anni”. Vedi
anche nota n. 126.
(134) Si veda l’art. 8 del DL n. 487/1993 (in GU, 2 dicembre 1993, n. 283) convertito, con modificazioni,
dalla L. n. 71/1994 (in GU, 31 gennaio 1994, n. 24), e l’art. 2, c. 23, della L. n. 662/1996 cit.
(135) V. art. 2, c. 23, L. n. 662/1996, da ult. cit.
(136) Cfr. art. 4, c. 1, Regolamento (CEE) del Consiglio n. 3577/1992: “Uno Stato membro può concludere
contratti di servizio pubblico, o imporre obblighi di servizio pubblico come condizione per la fornitura dei
servizi di cabotaggio, alle compagnie di navigazione che partecipano ai servizi regolari da, tra e verso le
isole.”
(137) I quali vengono, oggi, stipulati seguendo le stesse procedure previste per la stipula di un contratto di
programma, così ha, infatti, disposto l’art. 1 della delibera Cipe del 22 giugno 2000, n. 63, in GU, 10
27
dell’imprenditore erogatore del servizio debba essere in qualche modo compensato dai
soggetti pubblici, in caso contrario, sarà la concessione a contenere tali obblighi di
servizio.
Per quanto riguarda, poi, le differenze tra il contratto di servizio previsto dal
diritto comunitario e l’istituto nazionale della concessione basterà ricordare che se
quest’ultimo strumento può essere usato per conferire diritti speciale o esclusivi, ovvero
sussidi pubblici a favore dei concessionari, tale effetto giuridico è solo eventuale,
mentre si atteggia ad elemento caratterizzante il contratto di servizio (138), in cui sempre
è previsto un compenso a favore del gestore.
Ricapitolando, se sussistono i presupposti per stipulare sia un contratto di
programma sia un contratto di servizio si eviteranno inutili duplicazioni di azioni
stipulandosi un unico atto convenzionale, ovvero il contratto di programma, al quale si
affiancherà, eventualmente, la concessione. Se, invece, difettano i presupposti del
contratto di programma, si potrà stipulare un contratto di servizio, come individuato dai
regolamenti comunitari citati, quando sia necessario derogare alle regole di concorrenza
ai sensi dell’art. 86 (ex art. 90) del Trattato.
Se, quindi, la caratteristica essenziale del contratto di servizio pubblico è di
fungere da strumento che permette ai pubblici poteri di intervenire a compensare i
sacrifici richiesti al soggetto erogatore, dobbiamo rilevare come nell’ordinamento
nazionale questo tratto tipico ha cominciato ad essere messo in ombra (139) a favore di
una ricostruzione più amplia dell’istituto, visto come un mezzo giuridico di regolazione
dei rapporti intercorrenti tra il soggetto pubblico e i gestori dei servizi.
Tale evoluzione ha finito, così, per creare una sorta di sovrapposizione concettuale
tra contratto e concessione di servizio.
Ad esempio, la norma che attua il decentramento delle funzioni pubbliche in
materia di trasporti (140) attribuisce (art. 18) a contratti di servizio (141) di durata non
superiore ai nove anni il compito di regolare l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico
regionale e locale “con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati”. Ne
segue che il rapporto tra ente locale e gestore è sempre disciplinato da un contratto di
servizio.
Ancora, il D.LGS n. 164/2000 (142), relativo alla liberalizzazione del mercato
interno del gas naturale, dopo avere classificato la distribuzione del gas come attività di
servizio pubblico e avvertito che tale servizio può essere affidato solo mediante gara,
riconosce agli enti locali affidanti le funzioni di vigilanza, controllo, indirizzo e
programmazione nei confronti degli affidatari, mentre rimette la regolazione dei
rapporti reciproci ad appositi contratti di servizio. Aggiungendosi, poi, che nell’ambito
di tali contratti sono stabiliti “la durata, le modalità di espletamento del servizio, gli
agosto 2000, n. 186, recante Regolazione dei servizi di pubblica utilità: direttive per la definizione della
procedura relativa alla stipula dei contratti di programma.
(138) In tal senso pare orientato anche C. TALICE, I contratti di servizio pubblico, in Riv. Giur. circ.
trasp., 1995, p. 275.
(139) Osserva correttamente F. FRACCHIA, L’accordo sostitutivo, studio sul consenso disciplinato dal
diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali di esercizio del potere, op.
cit, p. 297-298, come, “La progressiva armonizzazione del diritto degli Stati membri scaturisce da una
sorta di doppio binario: istituti elaborati dagli ordinamenti interni possono venir immessi nel circuito
comunitario, influenzando la produzione normativa che si sviluppa a quel livello; gli stessi istituti,
disciplinati da regole comunitarie, sono poi introdotti negli ordinamenti interni, i quali progressivamente
convergono verso un modello comune”.
(140) D.LGS n. 422/1997, (in GU, 10 dicembre 1997, n. 287), recante Conferimento alle regioni ed agli
enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4,
della l. 15 marzo 1997, n. 59.
(141) Ai quali viene interamente dedicato il successivo articolo 19.
(142) In GU, 20 giugno 2000, n. 164.
28
obiettivi qualitativi, l’equa distribuzione del servizio sul territorio, gli aspetti economici
del rapporto, i diritti degli utenti, i poteri di verifica dell’ente che affida il servizio, le
conseguenze degli inadempimenti, le condizioni del recesso anticipato dell’ente stesso
per inadempimento del gestore del servizio” (art. 14).
Anche nell'ambito della riforma dei servizi pubblici locali pare riscontrarsi
l’orientamento volto a configurare il contratto di servizio come lo strumento giuridico
più idoneo a garantire un intervento pubblico di tipo regolatorio in materia.
Una tale tendenza emergeva, infatti, già dall’esame dei vari progetti e disegni di
legge che si sono succeduti in parlamento tra una legislatura e l’altra (143).
In particolare, da ultimo, il progetto di legge sul “Riordino dei servizi pubblici
locali e modifiche al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267” (144), esordiva configurando i servizi
pubblici come quelli individuati dagli enti locali tra le attività non riservate ad
amministrazioni pubbliche (art. 1, c. 1, lett. a).
Ciò a conferma che la ragione giustificativa dell’intervento regolatore degli enti
locali non è la titolarità del diritto di impresa, quanto piuttosto la necessità di “assicurare
la regolarità, la continuità, l’accessibilità, l’economicità e qualità dell’erogazione in
condizioni di uguaglianza e di equità” (art. 1, c. 1, lett. a).
Tra i diversi modi in cui il progetto prevedeva che i servizi pubblici potessero
essere gestiti, vi era l’affidamento mediante gara, che prendeva il posto del tradizionale
affidamento in concessione (145). In questo caso, come in tutte le residue ipotesi in cui vi
fosse un affidamento diretto del servizio al gestore, i rapporti tra ente locale e
quest’ultimo venivano regolati da contratti di servizio, nei quali, “anche in attuazione
dei princìpi contenuti nei capo III del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, sono
stabiliti la durata, le modalità di espletamento del servizio, gli obiettivi qualitativi,
l'uguaglianza di opportunità di accesso degli utenti nella distribuzione dei servizi sul
territorio, gli aspetti economici del rapporto, che prevede sempre la corresponsione di
un canone, le modalità di determinazione delle eventuali tariffe, la carta dei diritti dei
fruitori del servizio, i poteri di verifica dell'ente locale, le conseguenze degli
inadempimenti, nonché le condizioni del recesso anticipato dell’ente locale” (art. 1, c. 1,
lett. c).
Orbene, un tale atto giuridico volto a regolare i rapporti tra ente locale e gestore
sembra ricordare da vicino l’istituto della concessione amministrativa: si pensi agli
obblighi che l’esercente il servizio deve rispettare e ai correlati poteri di controllo e
vigilanza dell’ente locale; alla previsione di generiche “conseguenze” a fronte di
inadempimenti; alla facoltà di recesso anticipato dell’ente che proprio per il fatto di
essere previsto soltanto a favore dell’autorità ricorda da vicino il recesso unilaterale per
(143) Già il disegno di legge recante Modifica degli art. 22 e 23 l. 8 giugno 1990 n. 142, in materia di
riordino dei servizi pubblici locali e disposizioni transitorie, A.S. 4014/XIII legislatura, prevedeva (art.
22, c. 2), che i servizi di distribuzione di energia, di erogazione del gas, di gestione del ciclo dell’acqua e
dei rifiuti solidi urbani ed assimilati, nonché di trasporto collettivo, definiti “servizi a rilevanza
industriale”, venissero affidati ad uno o più gestori tramite procedure di gara e regolati con contratti di
servizio. Per un’analisi di tale disegno di legge si rinvia a F. GALILEI, Il d.d.l. n. 4014 di riforma dei
servizi pubblici locali: note di commento, in Nuova Rass., n. 12, 2000, p. 1242 ss.
(144) Si tratta del progetto di legge A.C. 879/XIV legislatura, presentato il 15 giugno 2001.
(145) Tale tipologia di affidamento aveva una portata estremamente amplia, poiché l’art. 1, c. 1, lett. b) del
Progetto di legge prevedeva che “I servizi pubblici locali di erogazione di energia, esclusa quella elettrica,
di distribuzione del gas naturale, di gestione del ciclo dell'acqua, di gestione dei rifiuti e di trasporto
collettivo di linea, esclusi quelli a fune operanti in montagna, sono affidati dagli enti locali, anche in
forma associata, ad uno o più gestori, pubblici o privati, scelti esclusivamente in base a gara ai sensi
dell'articolo 114-ter. Alla scadenza del periodo di affidamento, la scelta del nuovo gestore è effettuata
mediante gara”.
29
sopravvenuti motivi di pubblico interesse di cui all’art. 11, c. 4, L. n. 241/1990; alla
facoltà dell’ente locale di riscattare le reti e gli impianti (146).
Alla luce di quanto emerge dagli orientamenti normativi appena visti, meriterebbe
riflettere sulla natura giuridica di tali contratti di servizio, e in particolare se essi
debbano essere considerati contratti di diritto privato oppure accordi di diritto pubblico.
Pur non essendo questa la sede per esaurire una problematica così complessa,
possiamo limitarci ad esprimere dubbi in ordine alla condivisibilità della prima tesi, se
non altro muovendo da quella che abbiamo ritenuto essere la giustificazione
dell’intervento delle autorità in materia di servizi pubblici, in base alla quale la pubblica
amministrazione è titolare di una situazione di potere riconosciutole al fine di garantire
l’adempimento dei cosiddetti obblighi di servizio, assicurando, così, il perseguimento
dell’interesse pubblico. La regolamentazione del rapporto concordata nel contratto di
servizio deve, quindi, essere sempre compatibile con la tutela dell’interesse pubblico di
cui è portatrice una delle parti, e ciò incide ora sul regime giuridico ora sulla
vincolatività del contratto, che finisce, così, per perdere i tratti essenziali del contratto
privatistico (147).
Riguardo al secondo profilo ricostruttivo qui prospettato, si può sostenere, con
una certa tranquillità, che l’unico tipo di accordo pubblico cui si possa fare riferimento
sia quello degli accordi sostitutivi, posto che le norme sopra richiamate si riferiscono
esclusivamente ad un contratto, mancando qualsiasi collegamento o richiamo ad un
eventuale provvedimento amministrativo, che benché integrato dall’accordo sia unico
produttore di effetti.
Né si potrebbe sostenere che i contratti di servizio costituiscano il contenuto della
programmazione del servizio predisposta dalle autorità pubbliche, atteggiandosi ad
accordi integrativi, poiché ad una simile conclusione osterebbe lo stesso art. 13 della
legge n. 241/1990, il quale esclude, fra l’altro, l’applicabilità degli accordi agli atti di
pianificazione e programmazione della pubblica amministrazione.
Quindi, l’interprete che volesse tentare di ricondurre il contratto di servizio nel
novero degli accordi pubblici, potrà far riferimento soltanto agli accordi sostitutivi,
purché riesca ad individuare il provvedimento suscettibile di tale sostituzione.
(146) Così disponeva l’art. 1, c. 1, lett. c): “I bandi di gara e i contratti di servizio prevedono che la
proprietà delle reti nonché degli impianti, esclusi quelli a fune operanti in montagna, e delle altre
dotazioni dichiarate reversibili nel contratto di servizio, realizzati durante il periodo di affidamento, spetta
all'ente locale”, precisandosi, in prosieguo, che “Alla scadenza del periodo di affidamento del servizio le
reti nonché gli altri impianti e dotazioni rientrano in ogni caso nella disponibilità dell'ente locale ai fini
del nuovo affidamento.” Alla successiva lett. e) si prevedeva, inoltre, che “6. Il nuovo gestore, con
riferimento agli investimenti realizzati secondo il piano degli investimenti oggetto del precedente
affidamento, è tenuto, nel caso non siano stati ancora completati gli ammortamenti riferiti a tali
investimenti e solo per quanto ad essi riferibile, a subentrare nelle garanzie e nelle obbligazioni relative ai
contratti di finanziamento in essere o ad estinguere queste ultime ed a versare al gestore uscente una
somma pari al valore residuo degli ammortamenti di tali investimenti risultanti dai bilanci del gestore
uscente e corrispondenti ai piani di ammortamento oggetto del precedente affidamento, al netto dei mezzi
finanziari di terzi risultanti dal bilancio e dagli eventuali contributi pubblici a fondo perduto. Tale valore
residuo è rivalutato in base all'indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali riferito ai
beni finali di investimento, a decorrere dalla data di acquisizione del relativo cespite. Le modalità di tale
rivalutazione sono definite dall'autorità di regolazione del settore se istituita. 7. Gli oneri gravanti sul
nuovo gestore ai sensi del comma 6 sono indicati nel bando di gara. Il gestore subentrante acquisisce la
disponibilità degli impianti dalla data del pagamento della somma corrispondente agli oneri suddetti,
ovvero dalla data di offerta reale della stessa.”
(147) “E tra i caratteri essenziali del contratto e della sua disciplina privatistica possono essere annoverati
la stabilità del vincolo e la indifferenza della qualificazione degli interessi di una delle due parti, e cioè,
[..], degli interessi dell’amministrazione, i quali non sarebbero tutelati dal diritto in quanto
<<pubblici>>”, F. FRACCHIA, L’accordo sostitutivo, studio sul consenso disciplinato dal diritto
amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli altri strumenti unilaterali di esercizio del potere, op.
cit., p. 153.
30
In particolare, muovendo da ruolo e poteri che le pubbliche autorità sono chiamate
ad esercitare in materia di servizi pubblici di rilevanza economica (148), possiamo
sostenere che è sempre necessario un atto dell’autorità volto a dichiarare l’idoneità del
soggetto erogatore a prestare il servizio (149) con le caratteristiche pretese
dall’ordinamento e a disciplinare i rapporti intercorrenti tra le due parti: sia per il
gestore selezionato mediante gara, sia nelle ipotesi in cui la normativa ammetta
l’affidamento diretto (150).
A parere di chi scrive, dunque, il contratto di servizio potrebbe andare a sostituire
proprio tale atto di affidamento (151).
A questa conclusione non osta l’eventuale natura pubblica del gestore stesso,
infatti, proprio in materia di concessioni di pubblico servizio, l’esperienza ci insegna
che il destinatario del provvedimento sostituito dall’accordo poteva e può essere
un’impresa pubblica.
Se, allora, il fondamento di tale atto di autorità diviene, come ci pare corretto,
l’alterità tra il regolatore e il gestore del servizio, ne segue che esso si dovrebbe
escludere solo per le ipotesi di gestione in economia, come del resto disponevano le
norme richiamate.
Chiaramente se si dovessero accettare simili conclusioni in ordine alla figura del
contratto di servizio si dovrebbe anche ammettere una sua sostanziale equipollenza alla
concessione di servizio pubblico, purché quest’ultima assuma i tratti di quel moderno
istituto, al passo col diritto comunitario, che qui si è cercato di ricostruire.
È, poi, noto che il progetto di legge di cui sopra è decaduto, in quanto il governo
ha preferito inserire la nuova disciplina dei servizi pubblici locali nella legge finanziaria
per il 2002 (art. 35).
La nuova normativa continua comunque a far riferimento al contratto di servizio,
quale strumento atto a regolare i rapporti tra enti locali e società erogatrici,
soffermandosi però, assai meno sui suoi contenuti. In ogni caso, si prevede, in
continuità con il precedente progetto di legge, che la "titolarità" del servizio spetti a
società di capitali da individuarsi mediante procedure ad evidenza pubblica, restando
agli enti locali la funzione di vigilanza e controllo "in un quadro di tutela prioritaria
degli utenti e consumatori".
Ci pare, dunque, che anche con riferimento alla disciplina definitiva possano
continuare a condividersi le precedenti riflessioni.
(148) Vedi, supra, § 2.
(149) Anche nei casi in cui tale giudizio sia già ricavabile dal risultato del procedimento ad evidenza
pubblica conclusosi con l’aggiudicazione al miglior offerente, si renderà pur sempre necessario dare
attuazione alle clausole generali contenute nel bando di gara, completando così un negozio giuridico a
fattispecie complessa. Interessante è notare, come, in dottrina vi è stato chi ha ritenuto che la procedura di
gara produca un “contratto incompleto” a cui dovrà seguire una specificazione delle “obbligazioni
reciproche tra imprese ed ente locale contenute nel bando di gara e nell’offerta vincente”, così C. DE
VINCENTI, B. SPADONI, La costruzione del mercato dei servizi pubblici locali, note al margine del
DDL 7042, in Mercato conc. reg., n. 3, 2000, p. 660-661.
(150) Si pensi all’art. 5 del DPR n. 533/1996 (in GU, 21 ottobre 1996, n. 247) contenente il Regolamento
recante norme sulla costituzione di società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali,
dove, in relazione ai rapporti tra ente locale e società mista, si precisa che “La convenzione attribuisce
all'ente concedente gli opportuni strumenti per la verifica della economicità della gestione e della qualità
dei servizi, anche in relazione alle esigenze dell'utenza”. In particolare, anche se si esclude in dottrina la
sussistenza di un provvedimento concessorio, si è dovuto ammettere che “I rapporti tra ente pubblico e
società sono regolati all’atto costitutivo della società o con apposite convenzioni. Quindi il controllo sulla
gestione sembra soprattutto fondarsi, oltre che sulla base del potere regolamentare degli enti, sulla
valenza della regolazione, individuata caso per caso, nelle singole convenzioni”, così, P. BILANCIA, La
riforma dei servizi pubblici locali nell’ottica della sussidiarietà orizzontale, in Non profit, 2000, p. 218.
(151) Ed è poi sul rispetto dei contenuti di quest’ultimo atto, che, fra l’altro, si andrà ad esercitare in
concreto il potere di vigilanza, direzione e controllo della parte pubblica.
31
Benché, per un giudizio meditato sulla natura giuridica di tale contratto di servizio
dovrà attendersi l'emanazione non solo del regolamento attuativo delle norme contenute
nell'art. 35 della finanziaria, ma anche degli interventi regionali in materia. Infatti, a
seguito della riforma del titolo V della Costituzione (152), le regioni hanno acquistato
potestà normativa e regolamentare in materia di servizi pubblici locali, residuando allo
Stato la funzione legislativa e regolamentare solo in relazione alla determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni (153).
5. La concessione tra funzione pubblica e servizio pubblico: riflessioni conclusive
Nel corso della trattazione abbiamo sostenuto a più riprese, come, anche a seguito
dei noti fenomeni di privatizzazione e liberalizzazione delle cosiddette public utilities,
l’impresa erogatrice di servizi pubblici continui ad essere assoggettata ad una disciplina
peculiare, caratterizzata, a nostro parere, dall’imposizione di obblighi di servizio a
carico dell’imprenditore; i quali a loro volta si distinguono in obblighi di servizio
pubblico e obblighi di servizio universale (154).
A questi obblighi corrispondono altrettanti poteri delle autorità via via competenti
per materia, le quali intervengono, in linea di massima, non più gestendo il servizio, ma
vigilando sullo svolgimento dello stesso, mediante appositi strumenti giuridici.
Ma se allora il dilemma del giurista che si accingeva a studiare la materia è stato,
per lungo tempo, quello di districare i rapporti intercorrenti tra funzione pubblica e
servizio pubblico e soprattutto di capire quanto il servizio partecipasse della funzione
(155), oggi simili riflessioni paiono aver trovato una nuova sistemazione, quanto meno in
riferimento ai servizi pubblici economici.
Infatti, non essendo più il servizio erogato direttamente dalla pubblica
amministrazione, la gestione viene sussunta nella libertà di iniziativa privata, e non è,
così, più possibile configurarla come funzione amministrativa. L’unica funzione di cui
rimangono titolari i pubblici poteri è la funzione di vigilanza (156), mentre la funzione di
gestione potrà ancora rinvenirsi soltanto in quelle ipotesi marginali in cui l’ordinamento
ammetta lo svolgimento del servizio in economia.
Nei servizi pubblici economici liberalizzati si sta, quindi, assistendo ad una
separazione e distinzione tra servizio e funzione, rientrando il primo nella sfera
(152) Legge costituzionale, 18 ottobre 2001, n. 3, in GU, 24 ottobre 2001, n. 248.
(153) Proprio alla luce della ripartizione dei poteri derivante dalla nuova formulazione della Carta
costituzionale, da più parti si sono sollevati dubbi in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 35 della
finanziaria, ed alcune regioni, fra cui la Toscana, paiono intenzionate ad adire la Consulta.
(154) Cfr. pt. 5.1. 58 Comunicazione Commissione del 20 settembre 2000, sui Servizi d’interesse generale
in Europa, cit. Si veda anche F. SALVIA, Il servizio pubblico: una particolare conformazione
dell’impresa, in Dir. pubb., n. 2, 2000, p. 547.
(155) Si è, infatti sostenuto che “l’assunzione del servizio diventa fine dell’ente e l’attività funzione”, I.
MARINO, Servizi pubblici e sistema autonomistico, Milano, Giuffrè, 1986, p. 156 ss. Nello stesso senso
U. POTOTSCHNIG, Servizi pubblici essenziali: profili generali, in Rass. Giur. energia elettr., 1992, p.
272, “Invero, se il pubblico servizio è – per così dire – parte della funzione, la conseguenza logica è che
dove c’è l’assegnazione ai Comuni e alle Province di una funzione, lì c’è anche lo spazio necessario
perché Comuni e Province assumano la gestione di un servizio. Si spiega così anche perché l’art. 22 della
legge (n. 142/1990, n.d.r.) contenga un inciso col quale si precisa che Comuni e Province provvedono alla
gestione dei servizi pubblici <<nell’ambito delle rispettive competenze>>. Le competenze risultano in
effetti dalle funzioni, poiché sono le funzioni che determinano le competenze”.
(156) Possiamo notare come anche la funzione di vigilanza svolta dalle varie authorities competenti per
materia si può, di fatto, distinguere in regolamentare, informativa e ispettiva, avvicinandosi o addirittura
coincidendo con la cosiddetta funzione di regolazione. Sulla regolazione come funzione amministrativa
vedi S. FOIS, Servizi e interessi tra privatizzazioni e regolazione pubblica, in Dir. e soc., n. 1, 2000, p.
27-29.
32
privatistico-imprenditoriale, in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale (157),
anche se il servizio subisce una sorta di conformazione da parte della funzione ed è
proprio dalla sintesi di tale fenomeno che nasce il concetto di servizio pubblico.
Orbene, perché queste sinergie si realizzino è necessario assicurare un legame, un
punto di contatto tra funzione e servizio, ovvero tra parte pubblica e privata.
Come si sarà già capito, riteniamo che tale legame sia garantito proprio dalla
concessione, la quale non solo si fa mezzo di collaborazione tra le due parti, ma
garantisce anche l’esercizio della funzione.
Ad esempio, nel mercato dell’energia è la stessa Commissione europea a chiarire
che “Quando i mercati sono pienamente liberalizzati, il rispetto degli standard di
servizio pubblico (che rappresentano uno degli obblighi di servizio, n.d.r.) è garantito
con l’applicazione di condizioni minime di concessione. In caso di inadempimento di
dette condizioni, viene ritirata la concessione per la fornitura di energia elettrica o
gas.”(158)
Ancora, la stessa ammette che nel mercato dei servizi postali “Per quanto riguarda
i servizi non riservati che esulano dal campo di applicazione del servizio universale, gli
Stati membri possono introdurre autorizzazioni generali nella misura necessaria per
garantire la conformità con le esigenze essenziali. Per i servizi non riservati che
rientrano nel campo di applicazione del servizio universale, gli Stati membri possono
concedere licenze individuali, nella misura necessaria per garantire la conformità alle
esigenze essenziali e salvaguardare il servizio universale [..].” (159)
Insomma, tanto che si parli di concessione, di autorizzazioni o di licenza la
sostanza dell’atto amministrativo non muta (160): in nessuna di queste ipotesi si produce
un effetto costitutivo a favore del destinatario, per il semplice fatto che i servizi in
oggetto sono stati liberalizzati.
Purtroppo, nel nostro ordinamento, spesso si pensa che cambiando la
terminologia, riferendosi, ad esempio, a licenze piuttosto che a concessioni, si sia
operata una sorta di rivoluzione, benché, poi, nella realtà, queste licenze attribuiscono
all’autorità poteri analoghi a quelli di una concessione, svolgendo lo stesso identico
ruolo161.
Invero, una volta ammesso che la concessione non presuppone un regime di
riserva del servizio per poter operare, non pare più avere alcuna ragionevolezza
mantenere le distanze da essa.
Se è vero che la concessione, pur potendo coniugarsi con una concorrenza per il
mercato, non è sempre in grado di assicurare una concorrenza nel mercato (162), bisogna
anche ricordare che questa seconda evenienza si verifica allorquando il mercato non
possa, da se stesso, garantire l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, con il
rischio di impedire il realizzarsi di quella missione di interesse generale di cui allo
stesso art. 86 (ex art. 90) del Trattato, circostanza questa che non può essere esclusa a
priori.
(157) In argomento si veda per tutti G. PASTORI, La sussidiarietà “orizzontale” alla prova dei fatti nelle
recenti riforme legislative, in Sussidiarietà e ordinamenti costituzionali – esperienze a confronto, Padova,
Cedam, 1999.
(158) Comunicazione Commissione 20 settembre 2000, cit., p. 37.
(159) Ivi, p. 30.
(160) In ordine al superamento della classica distinzione tra autorizzazioni e concessioni, si veda per tutti
F. TRIMARCHI BANFI, Organizzazione economica ad iniziativa privata e organizzazione economica ad
iniziativa riservata negli articoli 41 e 43 della costituzione, in Pol. Dir., n. 1, 2000, p. 3 ss.
(161) Si pensi, a mero titolo di esempio, alla licenza individuale in materia di servizi di telecomunicazione.
(162) L. VASQUES, Autorità garante della concorrenza e del mercato e servizi pubblici locali, in Foro It.,
2000, III, p. 53 ss.
33
Concludendo, in tutti quei casi in cui il servizio può essere esercitato soltanto
previa emanazione di un atto di autorità e secondo le prescrizioni da questo disposte,
assistiamo ad una conformazione del diritto di impresa ai sensi dell’art. 41 cost., non
potendosi addurre ad argomento contrario il potenziale ampliamento a dismisura dei
servizi pubblici, poiché questi rimarranno pur sempre circoscritti ai servizi idonei a
soddisfare sia bisogni e libertà fondamentali, sia lo sviluppo economico settoriale e
globale, con la conseguente fuoriuscita di tutta una serie di servizi sprovvisti di queste
due caratteristiche.
In particolare, questa conformazione si realizza grazie all’esercizio della funzione
di regolazione da parte delle pubbliche autorità, le quali garantiscono, così, il rispetto
dei caratteri essenziali del servizio.
Si comprende, infatti, come il rispetto di tali caratteristiche non possa essere
rimesso alla mera autonomia privata, e come sia, al contrario, necessario adoperarsi per
garantirne l’inderogabilità. È dunque necessaria, quanto meno, una cooperazione tra
pubblico e privato in tal senso.
Lo strumento che possa, allora, fungere da base per la tutela effettiva di quei
caratteri contenuti in precisi obblighi di servizio, ci pare essere proprio la concessione,
in forza della quale i pubblici poteri possono continuare ad esercitare una funzione di
vigilanza, che non si sostanzi in un mero flatus vocis, ma consti di frecce al suo arco.
Questo assetto non ci pare in contrasto con la liberalizzazione e l’avvento della
concorrenza nel settore dei servizi pubblici, poiché anche qualora l’accesso al mercato
sia completamente liberalizzato, non sussistendo neppure il limite del superamento di
una gara, sarà sempre necessario che il servizio risponda a certi connotati, a meno che
non si voglia negare la stessa sostanza del servizio pubblico, che pare, però, al momento
supportata da molteplici riscontri di diritto positivo.
Orbene, la presenza dei requisiti minimi idonei a garantire tali caratteri
comporterà il rilascio di un atto di autorità che possiamo denominare autorizzazione in
senso amplio, il quale fungerà da fondamento dei poteri dei soggetti pubblici per reagire
ad eventuali violazioni degli impegni assunti(163).
Atteso poi che la partita della effettività di tale tipo di intervento nell’economia
si gioca sul piano dell’efficacia dei poteri esercitati dall’autorità per reagire a condotte
contrarie alle norme, e perciò lesive degli interessi dei cittadini-utenti, si comprende
bene quale sia il ruolo che la concessione, come teorizzata nel nostro ordinamento, sia
in grado di assumere in materia.
Gennaio 2002
(163) Quando si tratta di un servizio che non è pubblico, ad esempio perché integra un servizio particolare
e aggiuntivo sarà sufficiente la semplice denuncia di inizio attività.
34
Scarica