Le forme dell`amore - Mediavia

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Le forme dell’amore - MEDIAVIA - Domenica 17 febbraio
Le inestimabili ricompense dell’amore
Che cosa è la coniugalità?
I possibili surrogati dell’affetto
UNA LETTURA ANTROPOLOGICA
Non esistono sentimenti capaci più dell'amore e
dell’affetto di rigenerare le persone, di risvegliare la
gioia dell'esistere, di dare consistenza all’identità
personale. Nessuna esperienza ha, oggi, la forza di
convinzione e la potenza emozionale quanto la
relazione affettiva. I mondi virtuali mai potranno
reggere il confronto con l’esperienza reale dei
legami affettivi.
Le gioie e le gratificazioni più intense, come pure le
sofferenze più distruttive e le delusioni più
tormentose, avvengono, infatti, nei nostri mondi
affettivi.
I nostri affetti sono, infatti, le esperienze nelle quali
noi ci aspettano di essere considerati in tutti gli
aspetti della nostra persona e di essere ritenuti
unici. Questa aspettativa riguarda al massimo
grado i nostri legami familiari ma può essere estesa
proporzionalmente anche agli amici che sono come
una famiglia allargata. Più la società diventa
complessa, anonima e disgregata, più aumenta il
bisogno di un mondo comprensibile e affidabile.
Meno viviamo la solidarietà, più cresce il desiderio
di appartenere a qualcuno, di essere accettati per il
valore della nostra persona.
L'affetto è la rassicurante esperienza di un “altro
che mi fa vivere”.
L’amore e l’affetto che lo esprime, è il mondo vitale
di ogni persona e il mistero più emozionante della
vita. Nasce da un’apertura all’altro che viene dal
più profondo della nostra libertà, della nostra
volontà. Amare è poter dire all’altro: “Per me è un
bene che tu esista, sono contento che tu ci sia, voglio
essere con te e vorrei che tu fossi con me, così come
sei, non per quello che mi piace o mi serve. Senza
condizioni”. Nell’amore tocchiamo le profondità
più originarie del vivere umano. Affidandoci
all’amore dell’altro siamo liberati dall’angoscia e
dalla paura, non abbiamo più bisogno di cercare il
nostro tornaconto e il nostro piacere perché
confidiamo che sia l’altro a pensarci. Nell’amore ci
sentiamo riconfermati: non dobbiamo più
nasconderci sotto maschere artificiose, ci possiamo
accettare come siamo, perché ci sentiamo accolti.
Per questo chi è capace di gesti di amore, liberi e
disinteressati, sperimenta una gioia intima, una luce
intensa che rivela finalmente il senso autentico della
vita e il suo centro luminoso.
Quando non è riconosciuta e convalidata
nell’amore, la persona si sente senza identità e senza
radici.
Solo nell’amore e nell’affetto possiamo quindi
conoscerci e riconoscerci. Noi apprendiamo di
valere come persone ogni volta che ci sentiamo
considerati, trattati, apprezzati per la nostra sola
persona, prima e di là dei risultati conseguiti,
indipendentemente dai tratti del carattere, dalle
caratteristiche dell’aspetto, dal giudizio che
possiamo ricevere da altri. Nessuna esperienza è
più emozionante, gratificante, costruttiva del
riconoscimento personale: sentirsi unici per
qualcuno; nulla è più rassicurante della fiducia di
non essere sostituiti da altri, come invece è normale
aspettarsi, nella società della competizione e del
confronto. Allo stesso modo nulla è più umiliante,
distruttivo, infelice che essere scartati, scambiati,
sostituiti quando si pensava di essere unici (come
nel tradimento o nell’abbandono familiare) o di
essere messi a confronto quando si credeva di essere
esclusivi (come nella sessualità disimpegnata).
Essere, per me, non significa niente di meno che
essere-amato. L’inglese lo suggerisce a modo suo: to
be loved può dirsi in un’unica parola: beloved.
Perché non posso accettare di essere se non
all’espressa condizione che esista la possibilità che
qualcuno mi ami? Perché, nella misura in cui sono,
io resisto all’assalto della vanità (l’inutilità di tutte
le cose) solo sotto la protezione di questo amore o,
almeno, della sua possibilità. In quanto persone
umane, noi siamo liberi e autonomi: siamo dotati di
una sussistenza che ci rende veri soggetti. Eppure
possiamo ben dire che la persona che noi siamo la
“riceviamo” dal riconoscimento degli altri, dal
momento che la nostra autonomia risiede nelle
relazioni vitali che stabiliamo con gli altri.
“Volendoti bene io riconosco in te la persona che tu
sei. Volendomi bene tu riconosci in me la persona
che io sono”. In questa reciprocità prende corpo la
nostra identità personale. Quando ci sentiamo amati
superiamo tutte le difficoltà, affrontiamo sfide e
problemi, che cu sarebbero apparsi insormontabili.
Prima ancora di constatare: “Io esisto”, prima di
impormi “Io voglio”, prima di affermare “Io sono”
devo ammettere un debito: “Io sono stato voluto”.
Gli individui da soli non sono gli artefici della
propria personificazione: traggono la loro
consistenza sempre da una relazione elettiva,
gratuita e forte: l’affetto. Per sapere di esistere è
sufficiente osservarsi allo specchio. Per sapere che la
propria persona ha valore, non serve ripeterlo
osservandosi. La mente non smette fin dalla prima
infanzia di porre domande, vuole sapere il perché.
La riflessione del pensiero, tuttavia, non è
sufficiente per rispondere al dubbio: “Io chi sono?”.
Più ci si tormenta di pensieri e meno si è sicuri di
essere. Perché la persona “senta” di esistere (non
solo lo sappia) ci vuole qualcuno che s’interessi a
lei.
- Che cosa è la coniugalità?
La sessualità è stata rivoluzionata dai nuovi costumi
ma gli innamorati continuano a sognare l’amore
unico e a desiderare di renderlo stabile nel tempo.
Perché chiedere di sposarsi se si sostiene di vivere
più liberi e felici senza legami solidi e duraturi?
Che cosa aggiunge il matrimonio all’amore di
coppia? Il matrimonio è una pratica sociale,
conosciuta da tutta la storia e da tutta l’umanità, che
rende stabile il legame coniugale e genitoriale. Il
legame stabile fonda la famiglia e la rende
istituzione sociale, intendendola come “cellula
dell’organismo sociale” o come “sottosistema vitale”
con la sua funzione insostituibile della
personificazione degli individui.
Il contributo di un’istituzione è definibile mediante
due criteri, diversi ma indisgiungibili, che si
rinforzano reciprocamente: l’identità e il
riconoscimento.
L’identità di un’istituzione è stabilita dal suo
“codice”, cioè dall’elemento specifico che la
contraddistingue e affida a essa un compito
particolare (una mission) a servizio di tutta la
società. L’identità della famiglia consiste nella
personificazione, al massimo livello, dei membri che
la compongono: la diversità di gender, la comununione tra uomo e donna nella coppia, la
procreazione, la cura e l’inserimento nella società
dei figli, l’incontro tra i sessi, le generazioni e le
stirpi. L’evoluzione in senso individualistico della
società ha provocato, a livello dell’identità familiare,
una profonda incertezza che sta scompaginando il
ruolo della famiglia, il suo significato e la sua
fisionomia. La sessualità, da linguaggio dell’intimità
e della comunione è diventata, nella comunicazione
sociale (ma non nelle attese delle persone che si
amano), innanzi tutto prestazione e ricerca di
gratificazione individuale. La coppia è considerata
appagante, finché contribuisce allo sviluppo di sé.
La fedeltà è vissuta come valore “a durata
determinata”, impegno valido solo fino a nuovo
avviso. La trasmissione della vita umana si è
drasticamente ridotta, scompigliando l’equilibrio
delle età. La cura familiare è intesa prevalentemente
come risposta alle esigenze materiali e più
immediate dei figli e l’educazione è vissuta
prevalentemente come adeguamento agli standard
di vita riconosciuti. Il compito dell’inserimento nella
società è stato sottratto alla famiglia, considerata
quasi esclusivamente un’impresa affettiva e privata.
Il riconoscimento è l’approvazione, la convalida
collettiva che, attraverso simboli e valori condivisi,
consente di dare senso e significato all'esperienza
individuale. L’identità, infatti, è comprensibile solo
se collocata in un mondo di relazioni e di simboli,
perché la persona, la cui libertà cresce solo
all’interno dei legami interpersonali, orienta e
realizza se stessa sostenuta e condizionata dal
costume sociale. Nell’antichità il riconoscimento era
affidato a pratiche culturali molto complesse come
la mitologia (narrazioni orali oppure letterarie,
rappresentazioni e drammatizzazioni) che
diffondeva i simboli che legittimavano la vita
sociale. La società complessa, pluralista e
cosmopolita, non ammette più una “mitologia”
comune. Il problema del riconoscimento si pone,
così, in termini spesso drammatici.
Il riconoscimento della famiglia richiede un nucleo
di conoscenze condivise e di ritualità collettive
efficaci: quando le identità non sono chiare e
coerenti o si contrappongono visioni differenti e
inconciliabili, il riconoscimento diventa un
problema di difficile soluzione. Il riconoscimento
permette, infatti, alle famiglie di sentirsi, con pari
dignità, in comunicazione con le istituzioni della
società, la scuola, i corpi intermedi,
l’associazionismo, la municipalità.
- I possibili surrogati dell’amore
L'attesa d’amore è smisurata, come enormi sono le
sue ricompense. L'amore, però, esige reciprocità,
una conquista difficile e impegnativa, una regola
implacabile che rende problematica la sua normale
conduzione. La pedagogia tradizionale aveva molto
insistito su questa precondizione che era indicata
con il termine "sacrificio", dal momento che è la
reciprocità e non l'emozione che rende sacra
(“separata”, importante per qualcuno) la vita, che
trasforma in persone l'impersonalità degli individui.
Oggi l'esigenza rimane la stessa, anzi la sensibilità
per i valori personali è molto evoluta, perché la crisi
della lealtà ha prodotto un cumulo crescente di
sofferenze. Nella società del consumo è offerta a
tutti la possibilità di acquistare i simboli stessi
dell'identità personalizzata dall'amore, con tanto di
approvazione sociale e di promozione dal mercato.
L'amore è l'esperienza della personalizzazione
(sentirsi considerati come persone che hanno valore
per sé e non le prestazioni che danno) al massimo
livello. Dell'amore sono disponibili diversi
surrogati, facilmente realizzabili o acquistabili.
a) La seduzione
Attraverso l'esposizione ad arte del corpo, la
seduzione stimola nell'altro la desiderabilità,
insieme all'intensa emozione, che l'accompagna, del
sentirsi voluti, cercati, preferiti. Il seduttore, nella
pluralità delle occasioni che gli si presentano, cerca
sempre l’unico assoluto, senza però esserne mai
pago. La seduzione, dell'amore è solo un surrogato,
una maldestra imitazione: l'altro non viene attratto
e considerato nell’univocità della sua persona. Il
suo volto è intercambiabile; l’ebbrezza del desiderio
lo trascina nell’indeterminatezza. Il corpo
dell'adolescente, spontaneo e immediato, dice bene
l'ambivalenza della seduzione: l'emozione del
desiderio subito si cambia nell'imbarazzo di chi si
sente oggetto. Mentre si espone disinibito,
arrossisce di vergogna; si mette in vista e si sottrae
con lo stesso movimento.
b) L'amore a pagamento
Esistono forme d'"amore" che non sono gratuite
(condizione che, sempre, l'amore richiede) ma
esigono pagamento: si compra l'impressione di
essere amati. Si possono stabilire contratti che
prevedono un trattamento personale simile, “come
se” fossero relazioni orientate alla persona ma
dell'amore sono un surrogato, perché, mancando la
gratuità, cessano per contratto. Lo psicoterapeuta
nel suo studio (il personal trainer in palestra…) è un
professionista il cui rapporto di lavoro è stabilito da
una convenzione di natura economica; eppure
diventa anche un amico, un confidente, l'intimo
conoscitore che fruga in ogni angolo del cliente e ne
conosce paure ed ansie, ambizioni e sconfitte. Al
suo fianco ci si sente unici, con il suo sostegno si
diventa forti, la sua guida può essere più sicura di
quella di un padre, più fidata di un amico e il costo
reclamato si limita al solo denaro. E' una
simulazione d'amore. L'ambivalenza di questa
proiezione diventerà evidente, non appena la
remunerazione economica sarà considerata
insostenibile.
c) L'ebbrezza degli acquisti.
Si possono comprare i simboli dell'identità
personale che desidererebbe possedere (un kit
completo con tanto di approvazione sociale). Negli
acquisti oggi si compera uno stile di vita, una
distinzione. L'ambivalenza consiste nella
saturazione immediata: nelle società dei
consumatori è il desiderio ciò che conta, non la sua
soddisfazione. Sempre avidi di nuove sensazioni e
disposti a cercarle e a sostituire le delusioni con
nuove emozioni.
Anche la moda procura l'entusiasmo e l'euforia del
sentirsi unici e importanti (distinzione): gli
affascinanti frutti della relazione d'amore, che è
possibile simulare e assaporare, almeno
momentaneamente. Conformandosi alla moda e
acquistandone i prodotti si scelgono e si
acquisiscono i simboli dell'identità personale, in
misura del proprio desiderio. Lo stile di vita che si
ostenta non costringe all'impegno e alla coerenza e
dura solo finché lo alimenta il desiderio. Nella
reciprocità invece avviene uno scambio ed è sempre
compresa la rinuncia alla ricerca esclusiva e
individualistica di sé.
E intanto almeno un segno della fragilità sembra
diffondersi sempre più, Per i collezionisti di
esperienze, sempre avidi di nuove emozioni e
sempre disposti a sostituire le delusioni con nuove
sensazioni, non avere legami troppo impegnativi è
un guadagno. Il limite è evidente: l'impatto
immediato senza rischi si capovolge presto
nell'evanescenza. In questa ambivalenza si radica,
fin dalla preadolescenza, la dipendenza dal gruppo
degli amici, il condizionamento che coetanei e amici
impongono nella vita dei ragazzi.
d) L’esteriorità del corpo.
Il corpo può diventare un rifugio affidabile.
L'ambivalenza: la società fissa gli standard per la
forma desiderabile e approvata; fallire può generare
sentimenti di vergogna. L’ideale del fitness usa il
corpo come strumento per raggiungere quel tipo di
esperienza che renda la vita gradevole, divertente. Il
limite sta nel fatto che non ci sono limiti. Il corpo
diventa fonte di nuovi tormenti. Il dominio della
prestazione: l’erotismo soppiantato dalla
“sessualità” (“fare sesso”), dal valore della salute
alla passione per il fitness.
Le conseguenze sono evidenti: la domanda
affettiva si fa ancora più evidente ed esasperata: “mi
ami? Ami solo me?”. Gli individui hanno
costantemente bisogno di sapere se sono importanti,
se sono amati, se sono riconosciuti nella loro
singolarità, se valgono oltre e al di là delle loro
prestazioni. Anche in famiglia subentra un amore
pieno di ansia: “avrò fatto tutto il possibile, le altre
mamme fanno più di me?” L'ossessione del figlio
speciale.
Mettere a tema l’amore significa confrontarsi con la
vita intera. Imparare ad amare è il punto di arrivo
di una lunga e complessa trasformazione degli
impulsi più elementari e infantili. L'amore è una
carica dirompente, capace di risvegliare dal torpore.
Nel confronto della società ci si sente funzionali, lo
sguardo d'amore fa essere se stessi. L'amore rifiuta
il calcolo, l'interesse, il raggiungimento di uno
scopo: è il debole spazio della libertà pura.
Per la ricerca personale e in gruppo:
1. Riteniamo che sia rispondente alla realtà parlare di "corruzione del codice dell'amore"?
Come giudichiamo le metafore culturali dell’”amore liquido” (Z. Bauman) e dell’“uomo
senza prossimo” (L. Zoja) con cui oggi si parla dell’amore?
2. Come consideriamo il matrimonio? Che cosa aggiunge all’amore?. Riteniamo che difendere
il matrimonio sia una buona causa sociale?
3. Quale giudizio diamo della società individualista? E' possibile uscirne? L'amore si può
insegnare?
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