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ME21
INCONTRO CON L’AUTORE
IL DRAMMA DELLA LIBERTA'
Mercoledì, 27 agosto 2003 ore 20.00
Relatore:
Davide Rondoni, Poeta e Scrittore
Moderatore:
Michele Faldi
Moderatore: Diamo inizio alla serata d'incontro con l'autore. La prima parte della serata è
dedicata al volume edito da Rizzoli, e che compare nella collana di “I libro dello Spirito
Cristiano”: Il dramma della libertà di William Shakespeare, che è la raccolta di tre lavori di
Shakespeare, pubblicati insieme con una unica prefazione di Davide Rondoni, che abbiamo il
piacere di avere qui questa sera. Io spenderò pochissime parole, come al solito, per introdurre
l'incontro. Alcune di queste sono su Davide, che io conosco da tempo, e che non ha bisogno di
grandi presentazioni. Poeta critico, curatore editoriale, direttore di un centro studi universitario,
ma soprattutto un vecchio amico. Approfittando di questa amicizia porrò a Davide
fondamentalmente tre domande, che sorgono dalla sorpresa di vedere pubblicato un volume di
questo genere. La prima domanda riguarda l'autore del volume, Shakespeare. Perché oggi, in
un mondo che comunque di questo autore forse ha visto fin troppo (fino ad arrivare alle ultime
esperienze cinematografiche, lo si vede al teatro, ci sono decine centinaia di edizioni di lavori
di Shakespeare), perché la scelta di utilizzare ancora questo autore?, di andare ancora su questo
autore?, di individuare ancora in lui un autore che ha ancora qualcosa da dire? Ed è la prima
domanda con la quale vogliamo aprire la serata.
Davide Rondoni: Grazie a Michele, grazie a voi per essere qui in questo momento, che
dovrebbe essere dedicato alla piadina, e alla pizza al fresco. Cercheremo di fare una cosa
semplice e non pesante. Dicevi perché Shakespeare, perché provare a fare attenzione a
Shakespeare! Direi che si potrebbe quasi un po’ rivoltare la faccenda: io credo che Shakespeare
sia un autore molto attento a noi, cioè che sta dedicando molta attenzione, in qualche modo, a
noi uomini contemporanei. Cioè i grandi autori sono “animali” di questo genere: più che essere
oggetto di attenzione, ci accorgiamo che continuano ad essere con la loro opera attenti alla
nostra condizione di vita, alla nostra condizione esistenziale, filosofica, anche sociale. Si può
dire che Shakespeare, come veniva detto prima, ha un grande successo. Oggi è sicuramente lo
scrittore più conosciuto, più interpretato, più tradotto, più rappresentato, più ridotto
cinematograficamente, è l’autore universalmente conosciuto per tanti motivi secondari, ma il
motivo principale è che in qualche modo Shakespeare nella sua opera è profondamente attento
all’uomo di oggi. E' un autore adeguato, nel senso vero. Adeguato non vuol dire che dice cose
che già sappiamo, che sono scontate, ma in qualche modo afferra la condizione umana per
come la viviamo, in quello che intendiamo per modernità occidentale, per intenderci, l’afferra
nelle sue radici più vere. Questo è il motivo per cui vale la pena che noi facciamo attenzione a
Shakespeare, visto che lui fa così attenzione a noi, fa così attenzione a certe caratteristiche
fondamentali della vita contemporanea. Quindi ogni volta che ci si confronta con Shakespeare,
siamo costretti a esporci, cioè ad avere un rapporto che non sia come un rapporto di qualcuno
che studia una farfalla morta sotto una teca, piuttosto il rapporto di qualcuno che si lascia
mettere in questione dall’autore, da quello che l'autore dice e rappresenta. Per questo dico che,
come sempre, fare attenzione a un classico significa in fondo provare a riconsiderare anche
quello che noi siamo e quello che stiamo vivendo. Questo per dire la ragione generale del
perché vale la pena tornare su Shakespeare, anche -come dicevi tu-, anzi proprio perché
Shakespeare è molto conosciuto, è molto noto, è molto tradotto, è molto presente. Nel farlo, io
l’ho fatto come sono stato capace nell’introduzione, anche discutendone con gli amici che mi
hanno aiutato: ho tenuto presente, soprattutto, di questa disponibilità mia a espormi al giudizio
di Shakespeare, più che provare a giudicare io Shakespeare. Per incontrare un autore conviene
sempre farlo così: lasciare che sia l'autore a giudicarti, piuttosto che il contrario. Ho trovato
questo fondamentalmente (lo dico poi nell'introduzione meglio di quello che si può dire
adesso): Shakespeare è un autore che ha tanti segreti, ha tanti segreti nella sua biografia, tanti
segreti nella sua opera, è un autore che, tra l'altro, condivide con l’altro grande, Dante
Alighieri, uno strano destino: delle sue opere principali non ci è mai arrivato un originale.
Abbiamo questa strana cosa nella nostra storia: dei nostri autori principali, come di Dante non
abbiamo un manoscritto della Divina Commedia, di Shakespeare non abbiamo le sue edizioni,
volute, autorizzate delle opere, come firmate dall’autore. E questo è una cosa strana, come se
questi due giganti della letteratura non avessero lasciato una traccia diretta quasi del loro
scritto. E questo è uno dei segreti. La storia dell’edizione di Shakespeare è quasi una storia a sé,
è una storia che appassiona filologi e studiosi da tanto tempo. Ci sono dei segreti biografici,
perché ci sono delle zone, anche della vita di Shakespeare che sono ancora in ombra,
nonostante grandi biografie a lui dedicate, non solo zone della sua personalità, ma anche zone
di periodi. E’ soprattutto un autore (e su questo anche la critica più avvertita è concorde), ha un
segreto perché - e qui ho citato Eliot all'apertura della mia prefazione, perché Eliot dedica delle
pagine importanti a Shakespeare - è un autore che non si lascia afferrare in una teoria. Nessuno
riesce a spiegare del tutto qual è il pensiero di Shakespeare. Sembra un autore che non abbia
una filosofia, un pensiero, una visone del mondo particolare. Un critico inglese dice che
Shakespeare è stato un infaticabile drammaturgo che cercando di soddisfare il pubblico provò
se stesso. Non è un autore che ha messo un pensiero precostituito, preconfezionato nelle sue
opere, ma, dice il critico, era un grande lavoratore che voleva soddisfare il pubblico, ed è stato
una grande macchina da teatro, un autore molto prolifico che ha fatto opere di tutti i generi che
potevano andare in teatro; e aggiunge: “è stato proprio facendo così che lui ha trovato se
stesso” . Non è che Shakespeare era una cosa che esisteva prima, che si dà nelle sue opere, ma
è facendo questo lavoro che Shakespeare si è trovato. Questo, credo che valga un po’ per tutti
gli scrittori; in realtà i tanti studiosi che sono penetrati nell'opera di Shakespeare non sono mai
riusciti (quelli meno dozzinali), a dire “il succo del pensiero di Shakespeare è questo”. Perché
da quello che dicono i personaggi non si capisce mai dove è Shakespeare, se la sua voce è più
in uno o in un altro, se c’è una filosofia prevalente, se ci sono cose contrastanti. Non voglio
farla lunga. C'è un aspetto segreto, che fa parte della personalità di Shakespeare, della sua
natura di autore. Ma c’è un altro aspetto, che ho provato a mettere in luce di più
nell’introduzione, rifacendomi non solo a queste opere ma anche ad altri studi: c'è un aspetto
che è il motivo della fratellanza che avverto con Shakespeare, cioè in qualche modo
assomigliamo tutti a Shakespeare. C'era un famoso scrittore americano che diceva che
saremmo diventati un po’ come Rimbaud. Ed è vero questo, è vero che nella nostra epoca
abbiamo tutti delle caratteristiche che troviamo in quel grande strano poeta francese. Ma io dico
che siamo un po’ tutti degli Shakespeare, perché mi è sembrato di vedere un segreto
inafferrabile in Shakespeare. Perché quello che muove in qualche modo, quello che appassiona,
il motore segreto, invisibile il più delle volte,il dramma che agisce in Shakespeare è questo
tentativo, questo continuo di definire, ridefinire, mai definire completamente, cosa sia la libertà
umana. Quando vediamo un’ opera di Shakespeare a teatro (si può leggerlo ma bisogna
vederlo), la grande forza di Shakespeare è di essere teatro e non di essere testo. La lettura di
Shakespeare è un’operazione un po’ incongrua. E’ scritto per essere teatro non per essere letto
come opera letteraria, e una sola lettura di Shakespeare non consente di incontrarlo realmente.
Ma vedendo le sue opere, noi abbiamo sempre questa netta sensazione che l’azione che stanno
svolgendo i protagonisti, nelle varie situazioni non è mai frutto di una premeditazione, c’è
sempre un dramma della libertà in gioco. Le cose potevano andare così, ma potevano andare
anche in un altro modo. “Re Lear” va così, ma poteva andare in un altro modo. La storia di
Amleto va in questo modo, ma avrebbe potuto andare in un altro. Abbiamo, continuamente,
vivissimo il dramma che si sta svolgendo, è un dramma che riposa, o meglio che non riposa,
che si appoggia drammaticamente su quel fattore un po’ segreto che è la libertà dell’uomo.
Cosa intendo per libertà? (per questo l'abbiamo chiamato Il dramma della libertà). Intendiamo,
intendo, non tanto la libertà di scegliere se vestirsi rosso o blu, o verde, quella è una libertà
limitante, poter scegliere molto vuol dire far esperienza del limite, perché se io scelgo fra il
rosso e il blu, e scelgo il rosso vuol dire che rinuncio al blu, quindi vuol dire che faccio
un’esperienza di limitazione della mia vita, e non di libertà. Intendo invece la libertà come
possibilità di aderire a qualcosa che giustifica la mia vita. In Shakespeare, che vive in un certo
periodo storico (ma su questo rimando all'introduzione), sicuramente è il problema di che cos’è
la giustizia di una vita di un uomo, la giustificazione, qui non uso il termine in senso teologico
o protestante, ma giustificazione esistenziale. Che cos’è che rende giusta la mia vita, che la
rende vivibile, che la rende adeguata alle circostanze? Il problema di che cos’è la
giustificazione della mia vita è un problema che noi troviamo continuamente emergere in questi
tre drammi in maniera particolare, e la libertà credo che sia l’energia con cui un uomo aderisce
a ciò che giustifica la sua esistenza, cioè la capacità che ha un uomo di riconoscere ciò che
rende giusta la propria esistenza. Giusta non nel senso di non fallibile, ma giusto nel senso di
giustificata, situata nel momento giusto al posto giusto. Shakespeare, secondo me, in queste
opere in modo particolare fa emergere questa questione, nei personaggi che ci sono. Poi, cos'è
questa questione? che cos’è che rende giusta la vita di Amleto piuttosto che la vita dei
protagonisti di Misura per misura? Questo è il problema che si avverte sempre. E la libertà è la
capacità che un uomo ha di aderire, di affezionarsi, di legarsi a ciò che giustifica la sua
esistenza. Questo in Shakespeare è il motore, che muove tante cose in modo diverso, secondo
generi diversi, secondo una grandissima capacità di scrittore. Shakespeare riesce a essere
assolutamente commovente in un pezzo, e poi cinque righe dopo sa essere grottesco. Ha una
grande capacità di mescolare, e così intrattenendo, sapeva una regola elementare del teatro,
comunque della buona scrittura di un certo tipo, che non può essere tragico sempre. Ci vuole
una certa varietà, quindi sapeva alternare i momenti, perché il pubblico ascoltasse. Perciò la
questione che ha colpito soprattutto è questo fatto che Shakespeare, come noi, è come se non
sapesse, è come se cercasse in qualche modo che cos’è che giustifica la vita umana nel tempo.
Nei suoi sonetti, anche qui un’opera che fu pubblicata senza il suo volere, per tanti motivi,
Shakespeare dice chiaramente che per lui, e qui sembra quasi una dichiarazione, per lui la scena
del mondo è una scena in cui tutto è apparenza, l’unica cosa che domina nella scena del mondo
è il tempo, e il tempo è ciò che in qualche modo annulla le cose. Allora se è così, la domanda
che i personaggi di Shakespeare ci riconsegnano, cioè “che cos’è che giustifica la mia vita nel
tempo, che cos’è che in qualche modo non rende la mia vita solo mera apparenza?” è ancor più
drammatica. Per questo abbiamo chiamato Il dramma della libertà la raccolta assolutamente
arbitraria, si poteva fare di altre opere, ma in queste ci sembrava particolarmente possibile
questa vicinanza, questa drammatica vicinanza. Abbiamo chiamato “Il dramma della libertà”
questa raccolta perché quello che noi viviamo oggi è simile. Nell’epoca in cui viviamo, per
tanti motivi, abbiamo anche noi un po’ lo stesso problema. E questo, credo che sia il motivo
della riconoscibilità, della vicinanza che il pubblico di tutto il mondo avverte. Che cos’è che
giustifica, che cos’è che ci rende uomini giusti, anche irreprensibili, anche buoni, ma che cos’è
che giustifica la nostra esistenza? E’ forse l’adesione al potere? Sono drammi di potere. E’
forse la riuscita dell’amore? Sono drammi di amore. E’ forse la fama? Sono tutte queste cose,
che erano poi grandi temi della cultura cinquecentesca, da cui Shakespeare veniva, da una
cultura che ha ancora i termini della cultura cristiana (il perdono, la colpa), ma non è più
cristiana come sentimento, quindi sono termini che vengono usati, agiti, non più secondo certe
modalità, ma secondo altre. Ecco, un uomo con questa cultura si trovava pienamente in questo
problema. E in qualche modo è una caratteristica che ci avvicina: che cos’è che oggi può
rendere pienamente giusta la nostra vita? Leggo solo un pezzo, brevissimo, anche per quello
che dicevo prima, Shakespeare va ascoltato. A un certo punto Angelo, questa figura che viene
messo a capo del governo di Vienna. Come mai è ambientata Vienna? Come mai spostata in
quella città? Comunque, questi semmai sono approfondimenti più specialistici… Questo
Angelo, che è questo uomo giusto, che è l’uomo che dovrebbe mantenere l’ordine, il dovere, la
morale, e fa di questo proprio il punto di onore nello Stato. E noi viviamo in un periodo in cui
sembra che il compito dello Stato sia mantenere la morale, le mani pulite, l’ordine fondato
sull’etica. Quest’uomo, il campione di questa cosa si accorge, invece, di non essere così, di non
essere morale. E c’è un momento e dice: “… e quando io voglio pregare e pensare…”è Angelo
che parla, pensate che ha messo in carcere un tizio, e viene avvicinato dalla sorella di questo
tizio che viene a implorare pietà per il fratello. La sorella è una novizia, è una donna che vuole
farsi monaca, e questo Angelo, campione della moralità, del governo, ecc. dice alla ragazza che
se acconsente di stare con lui, alle sue voglie, le libera il fratello. Lui, dopo questo fatto dice:
“ … quando io voglio pregare e pensare, mi accade di pensare e pregare a sproposito. Il cielo
riceve le mie vuote parole, mentre la mia fantasia, senza udir punto quel che dice la mia lingua
resta ancorata su Isabella – che è la ragazza di cui parlavamo – Il cielo è sul mio labbro, come
se io non facessi che masticarne il nome, ma il mio cuore siede il male violento del mio
desiderio. La dignità che ho cercato di attingere – è questo il pezzo che mi interessava - è come
un buon libro, che tuttavia dopo esser stato letto e riletto più volte diviene arido e attediato. La
dignità è come una cosa che non si sa più che cos’è. Sì la mia stessa gravità, per la quale tanto
inorgoglivo, io la scambierei ora con la piuma vagabonda che l’aria sostiene indifferente. O
dignità del potere, o apparenze adesso legate, quanto spesso con la vostra scossa, con le vostre
vesti strappate, la reverenza e gli sciocchi vincolati allo spirito dei più saggi mostri false
sembianze …”. Qui, è come detta in maniera più sintetica, il problema del dramma della
libertà: dice che cos’è che dà la dignità alla mia esistenza, a cosa aderire liberamente, perché la
mia vita abbia dignità? E dice : “… la dignità che ho cercato di attingere è come un buon libro
che tuttavia letto e riletto più volte diventa arido e attediato…”. Ecco, questa ricerca di un
motivo che ti dia dignità, credo sia il dramma della libertà che aveva Shakespeare.
Moderatore: A me veniva in mente, quando tu citavi questi dibattiti sui testi non autorizzati, mi
veniva in mente quello che diceva un mio professore universitario che proprio su Shakespeare e
Dante addirittura arrivava a dire: “siccome non abbiamo autografi di questi autori,
probabilmente gli autori potrebbero non essere esistiti”.
Davide Rondoni: Questa è una cosa che è sempre stata detta molto, che potrebbe essere stato un
italiano. In realtà, oggi la stenografia ha assodato molti dati biografici, addirittura la morte di
un figlio, quindi cose molto precise, periodi molto precisi. Shakespeare era come Confalonieri,
per fare un paragone… Shakespeare era un attore probabilmente, poi scriveva le storie. I suoi
primi critici dicevano che in realtà rubava le storie da drammaturghi e poi li ricomponeva
insieme. Un drammaturgo molto famoso dei suoi tempi, diceva che “era un corvo che si faceva
bello con le piume di loro aquile”. Un uomo di successo, che sapeva fare la fiction, come si
direbbe oggi. Con il successo divenne azionista, divenne proprietario della Compagnia del
Re”, la compagnia ufficiale, e divenne poi azionista del teatro principale di Londra, di quello
che era il mass-media, perché il teatro era il mass-media. Veniva descritto come un signore
molto tranquillo, molto schivo, tutto il contrario dell’immagine dell’artista romantico che noi
abbiamo ereditato, probabilmente un buon artigiano di storie, di scrittura drammaturgica, e si
era ben arricchito con questa cosa qui, … ed era un buon imprenditore del teatro, e gli ultimi
anni della sua vita visse tranquillamente nella sua casa in campagna, ormai sazio di quello che
aveva fatto, di quello che era successo, scrivendo ancora.
Moderatore: Arrivi a dire nella tua introduzione, che questo personaggio, così come lo hai
descritto tu è come se fosse un nostro fratello.
Davide Rondoni: Un famoso critico americano ha scritto e pubblicato un libro, adottato nelle
università del mondo, che è intitolato Il canone occidentale, parlo di una decina di anni fa,
ormai. In questo libro sostiene che al centro di questo canone non c’è Dante ma c’è
Shakespeare. … Non a caso due o tre anni dopo uscì a Holliwood uscì “Shakespeare in love”.
L’estetico occidentale, il modo in cui l’uomo artisticamente pensa a se stesso: il centro non è
Dante, ma è Shakespeare, e Holliwood si adeguò in qualche modo a questa idea. Che
Shakespeare sia il centro del canone è da discutere all’infinito, se è vero o no, se è meglio
Dante,… Vero è che, nel modo con cui l’uomo che siamo noi, l’uomo contemporaneo
percepisce se stesso e questo dramma della libertà, così come Shakespeare ce lo ripropone è
centrale, è più vicino sicuramente dell’uomo dantesco. L’uomo dantesco è uno straniero nel
mondo di oggi. Shakespeare è l’uomo al centro, è dentro al pensiero, è dentro il modo di
pensare. … Il fuoco centrale dell’opera di Shakespeare credo che ci riproponga una questione
che noi sentiamo molto nostra. Non la vita come viaggio, per dirla molto semplicemente, ma la
vita come scena, e una scena in cui nulla è certo, il tempo sembra l’unico vero domino di fronte
a cui tutto scompare, e in questa incertezza della scena che cosa rende giustificata la mia parte,
la mia entrata in scena, la azione che svolgo, ecco questo è il problema che l’uomo
contemporaneo apprezza moltissimo. E’ per questo dico che è nostro fratello, e che è un fratello
che ci inquieta perché ci dice questo di noi. …
Moderatore: Faccio un’ultima domanda a Davide, a questo punto, non a Rondoni amante
dell’umano nei testi letterari negli autori, ma a Rondoni curatore editoriale. Perché vorrei
approfittare, perché quest’opera di Shakespeare compare in una collana che si chiama “I libri
dello Spirito Cristiano”. Mi pare proprio quest’anno ricorre il decimo anniversario, è ormai
dieci anni che questa collana è nata, vissuta, ed ha avuto un incredibile sviluppo editoriale.
Volevo chiedere a Davide, che cos’è stata l’esperienza sua, collaborando alla realizzazione di
questa collana insieme a colui che la dirige, l’ideatore, a colui che l’ha pensata, al monsignore
Giussani. Che cosa sono stati questi dieci anni di lavoro editoriale, e che frutti hanno portato, e
che prospettive intravede.
Davide Rondoni: Molto brevemente. I frutti sono, da una parte per Rizzoli 1000 di libri
venduti; … Per chi come me, …, c’è solo il grande esito di una posizione che paragona una
posizione cristiana con quelle che sono le grandi genialità, le grandi espressività della storia
letteraria, e non solo della storia umana.
E da questa posizione si ricava sempre la certezza che la proposta cristiana è in grado di
incontrare tutto, è in grado di paragonarsi con tutto. Nel caso di Shakespeare, per esempio, il
fatto che giustifica una vita umana, una vita umana che si propone di essere campione umano,
come nel caso di Angelo, e non lo è. Che cos’è che giustifica, o che cos’è come nel caso di
Amleto, che giustifica o che sostiene una vita la quale sembra quasi soverchiata da una colpa
che non è propria. L’Amleto, come dice Eliot, è un uomo che deve fare i conti con le colpe
della madre, e quindi è deve fare i conti con una cosa enorme, è incommensurabile. In tutte
queste cose si avverte che in Shakespeare agisce una mentalità cristiana, ma come da
riconquistare, come da ricapire, e questo è appassionante vedere cosa significa. Non a caso Von
Balter dedicò un saggio molto importante a Shakespeare sul tema del perdono. Ma al di là di
Shakespeare, il gusto di questa collana e di questa sua scommessa vinta in parte, perché è dieci
anni che c’è, ma la passione di questa collana è proprio il fatto che fa mostrare a noi che la
facciamo, innanzitutto, ma a chiunque la incontra che la posizione cristiana è, oggi una di
quelle più vivaci nell’incontrare la cultura. E’ una di quelle più vivaci, più attente, meno
pregiudizievoli, meno riparate, meno scontate. … In questi anni ci siamo accorti di questa
fertilità, e questo viene perché può venire solamente in un caso. Quand’è che incontrando
un’altra persona molto diversa da sé, quand’è che poi l’incontro è ricco, è ricco di scoperte, di
correzioni magari? Guarda che tu sei vivo! C’è una condizione sola, che tu sei vivo. E
l’esempio di questa collana, che poi è stata anche copiata, è il fatto che c’è una posizione
cristiana viva, e questa incontra e si arricchisce perché incontra ciò che è molto diverso. Però
bisogna essere vivi. Noi normalmente, per tanti motivi, perché la cultura cattolica è come il
debito dello stato, lo ereditiamo senza volerlo. Possiamo vedere la cultura cattolica come se
fosse una cosa un po’ morta, una cosa che si passa in eredità senza vita. In questo caso qui è la
dimostrazione che è una tradizione viva, e una tradizione viva incontra tradizioni molto diverse
e da questo nasce nuova vita.
Moderatore: Grazie Davide, grazie per quello che ci hai detto introducendoci a Shakespeare,
grazie per il lavoro che stai facendo, e soprattutto perché questa sera, mi pare, introducendoci a
Shakespeare, non voglio assolutamente tirare una sintesi di quello che ha detto lui, però ci hai
dato un suggerimento metodologico interessante: quello di leggere gli autori cercando di farsi
giudicare da loro.