L’Interesse.
1) Cosa è l’interesse (nel suo significato più noto e superficiale)
Che per usare i beni altrui sia necessario pagare un prezzo, è
assolutamente naturale: nessuno trova illogico od iniquo che per
abitare in un appartamento di un altro gli si debba pagare l’affitto e che
per noleggiare un’auto a Milano o un pedalò a Riccione si debba
pagare.
Il prezzo per l’uso degli immobili altrui (case e terreni) è
spesso chiamato “affitto”, il prezzo per l’uso dei beni mobili altrui
(auto, ombrelloni) è chiamato “noleggio” e il prezzo per l’uso del denaro
altrui è chiamato “interesse”.
Affitto, noleggio e interesse hanno, quindi, la stessa natura: sono il corrispettivo ( = il
compenso, il prezzo) da pagare per usare i beni degli altri.
Mi preme (= ci tengo molto) far notare che solo una parte dell’affitto e del noleggio che
l’utilizzatore paga serve a indennizzare il proprietario per l’usura provocata al bene, un’altra parte è
invece il corrispettivo per il solo uso.
Infatti, se anche il bene non si usurasse sarebbe comunque inevitabile dover pagare per il suo
uso: se, per assurdo, le cose che usiamo fossero indistruttibili e inconsumabili (come è la moneta) e ci
fosse la possibilità di prenderle a noleggio gratuitamente, nessuno acquisterebbe nulla, essendo più
conveniente sfruttare gratis i beni acquistati dagli altri. Ma se nessuno acquistasse, nessuno
produrrebbe per vendere agli altri, e allora si tornerebbe all’economia del paleolitico, quando ognuno
produceva da sé tutto ciò che gli serviva e non c’erano scambi, si tornerebbe cioè nel mondo che i no
global e altri che nulla sanno di economia sognano e in cui, però, tutti morirebbero di stenti.
Morale: pagare un prezzo per l’uso dei beni altrui (e non solo per indennizzare la loro, eventuale, usura) è
necessario per uscire dalle caverne.
Se è naturale pagare un prezzo per l’uso dei beni altrui, è quindi anche naturale pagare un
prezzo (l’interesse) per usare il denaro degli altri, e cioè che il debitore, per usare il denaro del
creditore, gli debba pagare un compenso, sebbene il denaro non si usuri con l’uso (può stupire,
piuttosto, che pretendere l’interesse sia stato considerato, per tanti secoli e in varie civiltà, una colpa).
Se il prezzo dell’uso di un tandem è 5 € l’ora, ad un gruppo di amici l’uso di 4 tandem per 3
ore costerà 4 x 5 x 3 = 60 €, essendo ovviamente il prezzo complessivo direttamente proporzionale alla
quantità usata (4 tandem), al prezzo unitario (5 € per un tandem per un’ora) e al tempo di utilizzo (3 ore).
Allo stesso modo, per determinare quanto costa usare 6.000 euro per 2 anni sarà sufficiente
conoscere il prezzo unitario e moltiplicarlo per la quantità e per il tempo. Il prezzo dell’uso di 1 euro
(o di una qualsiasi altra unità di moneta diversa dall’euro, come di una sterlina o di un dollaro ecc.) viene in
genere riferito, invece che ad un’ora come per il tandem o a un mese come per gli appartamenti, ad un
anno di tempo, e viene chiamato “tasso d’interesse” e simboleggiato con “i” oppure con “r” se è
espresso in percentuale (cioè in centesimi).
Così se “i” viene fissato in 0,07 € (che può anche essere scritto r = 7% o 7/100) significa che chi
usa il denaro altrui paga 7 centesimi di euro per ogni euro preso in prestito per ogni anno di tempo che
1
lo si è utilizzato. L’uso dei 6.000 euro per 2 anni costerà 6.000 x 0,07 x 2 = 840 euro. In simboli: I =
Cxixt
Quasi sempre nella pratica commerciale il prezzo dell’uso del denaro viene espresso con
la percentuale (cioè 5% invece di 0,05) e simboleggiato con “r” (invece che con “i”). Invece in
matematica finanziaria si utilizza spesso il simbolo “i” e il valore in unità (cioè non in percentuale).
E’ chiaro, comunque, che dire “pago 0,05 € per usare un euro per un anno” è la stessa cosa
che dire “pago 5 € per usare 100 euro per un anno”: è solo un modo diverso per indicare uno stesso
prezzo, così come 0,5 € all’etto è la stessa cosa di 5 € al chilo.
Lo riscrivo: I = C x i x t segnala che il prezzo complessivo che si paga per usare il denaro
altrui (I = interesse) è proporzionale alla quantità di denaro usata (C = capitale), è proporzionale al
prezzo unitario (i = tasso d’interesse, cioè quanto si paga per usare 1 euro per 1 anno) ed è proporzionale al
tempo (t = per quanti anni o frazione di anno si usa il denaro altrui, perché il tempo deve essere espresso in
ANNI).
Ecco allora che:
-
Se presto 7.500 € al tasso dello 0,08 (o 8%) per 40 giorni allora, essendo 40 giorni pari a
40/365 (quaranta trecentosessantacinquesimi) di anno, guadagno 65,75 € di interesse.
Infatti: I = C x i x t → 7.500 x 0,08 x 40/365 = 65,75;
-
Se prendo in prestito 5.000 € al tasso del 6,25% (o 0,0625) per 18 mesi allora, essendo 18 mesi
pari a 18/12 (diciotto dodicesimi) di anno, devo pagare 468,75 € di interesse.
Infatti: I = C x i x t
→ 5.000 x 0,0625 x 18/12 = 468,75.
La formula dell’interesse ( I = C x i x t ) è composta di quattro grandezze fra loro legate dalla
relazione della proporzionalità diretta; se tre di esse sono conosciute allora risulta possibile individuare
la quarta, qualunque essa sia ( I, C, i oppure t ): basta risolvere una semplice equazione di 1° grado.
Volendo risolvere un problema inverso dell’interesse, ci basta sostituire ai simboli della
formula diretta
I = C x i x t i valori noti, impostando così l’equazione che poi risolveremo. Ad
esempio:
Ho prestato dei soldi per mezzo anno al tasso d’interesse del 12% (i = 0,12) ottenendo 150,00
€ di interessi. Quanti soldi ho prestato? (Faccio presente che ½ si può scrivere anche 0,5)
Da I = C x i x t sostituisco ai simboli i valori noti: 150,00 = C x 0,12 x 0,5 e dopo aver isolato
l’incognita C la soluzione è data da:
150,00
C = --------------- → C = 2.500,00 €
0,12 x 0,5
2
Ho preso in prestito 30.000 € per 94 giorni pagando 730,11 € di interessi. Che tasso i è stato
applicato?
Da I = C x i x t sostituisco ai simboli i valori noti:
isolato l’incognita i la soluzione è data da:
730,11
i = ---------------------- →
30.000 x 94/365
730,11 x 365
i = ---------------------30.000 x 94
730,11 = 30.000 x i x 94/365
→
e dopo aver
i = 0,0945 (o anche r = 9,45%)
Ho prestato 15.000 € al tasso dell’8,5% ottenendo 1.020,00 € di interessi. Quanto tempo è
durato il prestito?
Da I = C x i x t sostituisco ai simboli i valori noti:
isolato l’incognita t la soluzione è data da:
1.200
t = ---------------------- →
15.000 x 0,085
t = 0,8 anni
1.020 = 15.000 x 0,085 x t
→
t = 0,8 x 365
e dopo aver
→ t = 292 giorni
Coloro tra voi che, per sciocca e disprezzabile pigrizia, preferiscono usare la memoria pur di
non ragionare, possono risolvere i problemi inversi dell’interesse imparando stupidamente a memoria
le seguenti formule inverse:
I
C = ---------------------ixt
I
i = -----------------------Cxt
I
t=
----------------------------
Cxi
2) Il montante.
Il “montante” è la somma fra il capitale e gli interessi che ne derivano. In simboli: M = C + I .
Poiché, come dovresti già sapere, I = C * i * t , sostituendo si ha che M = C + C * i * t , e allora si può
anche scrivere – raccogliendo C – che: M = C * (1 + i * t) .
Come sempre, non mi interessa che impariate a memoria le formule: se anche non le ricordate
fa nulla, anzi: è anche meglio, a patto però che le sappiate ricostruire da soli; quindi non mi interessa
nemmeno che memorizziate la formula per calcolare direttamente il montante, purché siate in grado di
trovarla partendo dalla formula dell’interesse, nel modo che si è visto qui sopra nelle due righe
riquadrate.
3
Da quanto scritto ne deriva che per rispondere alla domanda “che montante produce in tre mesi
un capitale di 15.000 € impiegato al tasso del 9% ?” si possono seguire due strade:
1.
applicare la formula diretta del montante M = C * (1 + i * t) [M = 15.000 *(1 + 0,09 * 3/12) = 15.337,50 ]
2.
calcolare prima gli interessi I = C * i * t [I = 15.000 * 0,09 * 3/12 = 337,50 € ] e poi sommarli al capitale di
partenza [M = C + I → M = 15.000 + 337,50 = 15.337,50 ].
Dal momento che si può arrivare al montante calcolando prima gli interessi e poi sommandoli
al capitale, a qualcuno può venire l’idea che la formula del montante M = C * (1 + i * t) serva a nulla, e in
effetti per risolvere i problemi “diretti” di individuazione del montante (conoscendo il capitale, il tasso e il
tempo) è sufficiente ricordarsi la formula dell’interesse I = C * i * t e seguire la strada 2.
Ma se il montante lo conosciamo e, invece, il termine incognito (= dato da trovare) è il capitale, allora è
indispensabile conoscere la formula del montante. Provate, infatti, a risolvere questo problema:
Dopo aver prestato dei soldi per 6 mesi al tasso del 14% ho ottenuto un montante di 13.375 €. Quanti soldi ( =
che capitale) avevo prestato?
In casi come questo non possiamo passare, prima, dal calcolo dell’interesse perché della
formula I = C * i * t non conosciamo né I e nemmeno C, che è proprio ciò che dobbiamo trovare, ma solo
iet.
Ecco allora che diventa indispensabile utilizzare la relazione diretta fra M e C data dalla
formula M = C * (1 + i * t) .
Sostituendo alle lettere della formula i dati noti del problema (il montante, il tasso e il tempo) si scrive
l’equazione: 13.375 = C * (1 + 0,14 * 6/12) e la si risolve con la tecnica che vi è ben nota (si spera …):
C = 13.375 ÷ (1 + 0,14 * 6/12)
→
C = 13.375 ÷ (1 + 0,07)
→
C = 13.375 / 1,07
→ C = 12.500 €
Gli altri problemi “inversi” del montante, invece, possono essere risolti in due modi:
1.
applicando la formula M = C * (1 + i * t) ; oppure 2. calcolando prima l’interesse e da questo arrivare alla
soluzione. Ad esempio, il problema
per quanto tempo occorre prestare 80.000 € al tasso del 5% per ottenere un montante di 81.000 €?
si può indifferentemente rispondere nei due sistemi: 2. trovando prima gli interessi (I = M – C = 1.000)
per poi ricavare l’incognita tempo risolvendo l’equazione:
[ I = C * i * t → t = I ÷ (C * i) → t = 1.000 ÷ (80.000 * 0,05) → t = 0,25 anni → 0,25 x 12 = 3 mesi ], oppure il modo
1., inserendo i termini noti nella formula diretta del montante 81.000 = 80.000 * (1 + 0,05 * t) e risolvere
l’equazione: [ 81.000 = 80.000 + 4.000*t
→
81.000 – 80.000 = 4.000 *t
→ t*4.000
= 1.000
→ t = 1.000 ÷ 4.000
→
t = 0,25 anni → 0,25 x 12 = 3 mesi ]
4
3)
Il tempo e il valore dei beni.
E’ Natale 2013, tuo zio ti vuole regalare dei soldi, però con il divieto di spenderli per un anno, fino
al Natale prossimo. Hai però il permesso di prestare i soldi che ti regalerà, e inoltre sai che, prestandoli,
otterrai certamente la restituzione e un interesse del 10% all’anno.
Tuo zio ti propone di scegliere fra:
1)
Ricevere 1.000 € subito;
2)
Ricevere 1.075 € fra un anno, a Natale 2014.
Cosa scegli?
Poiché sai che in ogni caso non puoi spendere quei soldi per i prossimi 12 mesi
e sai che puoi ottenere interessi al tasso del 10%, se sei razionale certamente scegli, fra la 1) e la 2), l’offerta 1):
ricevendo oggi 1.000 € e prestandoli per un anno al 10%, a Natale 2014 avresti a disposizione 1.000 + (1.000 x
10% x 1 = 100) = 1.100 €, ed è meglio avere (a Natale 2014) 1.100 € piuttosto che i 1.075 € che oggi tuo zio si è
impegnato a darti in quel giorno.
Tu (nell’imbarazzo della scelta)
Ordinando le due offerte e se il tasso d’interesse è del 10%,, tu ritieni la 1) migliore della 2) .
Ecco allora che si può certamente dire che, se il prezzo per l’uso del denaro è il 10%, 1.075 €
disponibili fra un anno valgono meno di 1.000 € disponibili già oggi. Si può anche dire che, quando il tasso
d’interesse è del 10%, 1.100 € utilizzabili fra un anno valgono esattamente come 1.000 € già disponibili oggi,
e quindi che ogni euro disponibile fra un anno vale oggi meno di un euro, e precisamente il valore attuale
(Va) di un euro disponibile fra un anno è (1 ÷ 1,1) = 0,90909 € .
Supponiamo ora che il tasso d’interesse a cui puoi prestare i tuoi soldi non sia del 10% ma del 6%.
Quale dei due regali proposti da tuo zio accetterai?
In questo caso se sei razionale certamente scegli l’offerta 2): ricevendo oggi 1.000 € e prestandoli
per un anno al 6%, a Natale 2014 avresti a disposizione 1.000 + 60 = 1.060 €, ma è meglio avere (a Natale
2014) i 1.075 € direttamente da tuo zio piuttosto che ottenerne 1.060 € nello stesso momento (Natale 2014)
facendoti dare oggi da tuo zio i 1.000 € e poi prestandoli per tutto l’anno al tasso del 6% .
Ordinando le due offerte e se il tasso d’interesse è del 6%,, tu ora ritieni la 2) migliore della 1) .
Si può certamente dire che, se il prezzo per l’uso del denaro è il 6% l’anno, 1.075 € disponibili fra
un anno valgono più di 1.000 € disponibili già oggi. Si può anche dire che, quando il tasso d’interesse è del
6%, 1.060 € utilizzabili fra un anno valgono esattamente come 1.000 € già disponibili oggi, e quindi che ogni
euro disponibile fra un anno ha un valore attuale (Va) pari a (1 ÷ 1,06) = 0,9434 €
Da quanto scritto si ricava che una qualsiasi somma di denaro (e quindi anche un euro) incassabile in
futuro ha nel momento attuale un valore sempre minore man mano che si allontana il giorno in cui quella
somma (quell’euro) potrà essere utilizzata, e la velocità di diminuzione del valore aumenta all’aumentare del
tasso d’interesse: il diritto di ricevere 50.000 € fra un anno (cioè un credito di 50.000 € che scade fra un anno) ha oggi
un valore inferiore a 50.000 €, e la differenza fra il valore attuale di un credito e l’importo del credito aumenta
all’aumentare del tasso d’interesse. E’ soltanto con un tasso d’interesse nullo, pari allo 0%, che il valore
del denaro non cambia al cambiare del momento in cui è disponibile: se non sai cosa fartene e se nessuno è
disposto a pagarti per usare i tuoi soldi, 50.000 € disponibili oggi, 50.000 disponibili fra una settimana e
50.000 € utilizzabili fra un anno sono per te tutti la stessa cosa, cioè hanno lo stesso valore.
5
4) Cosa è l’interesse (nel suo significato meno noto e più profondo)
Da tempo sogni una crociera, magari alle Seychelles e per due persone;
siamo nel dicembre 2013, una nota marca di panettoni pubblicizza i propri prodotti
in questo modo: “Compra il panettone XY, puoi vincere una crociera per due persone!”.
Compri un panettone, lo apri e scopri di aver vinto la crociera che sognavi.
Il regolamento del concorso, allegato al panettone vincente, ti permette di scegliere
una qualsiasi di queste crociere, tutte con la stessa destinazione e la stessa nave:
a) 7 giorni con partenza nel dicembre 2013;
b) 10 giorni ma con partenza in dicembre 2014;
c) 16 giorni ma devi attendere il dicembre 2015.
Quale scegli?
Supponiamo che fra a) e b) tu non abbia dubbi: preferisci fare 3 giorni
in meno pur di non attendere un anno. Questo significa che per te 7 giorni di crociera disponibili subito
valgono di più di 10 giorni godibili fra un anno; e allora possiamo dire che per te il valore attuale di una
crociera di 10 giorni disponibile fra un anno è minore del valore di una crociera di 7 giorni (disponibile subito);
si può dire anche che sei disposta/o a pagare un “prezzo” pari a tre giorni di vacanza pur di anticipare di un
anno il godimento di una crociera lunga 7 giorni; significa allora che tu stai applicando al bene “crociera” un
tasso d’interesse di almeno il 43%, e questo perché per anticipare di un anno la disponibilità del bene “7
giorni di crociera” sei disposta/o a sopportare un costo di 3/7 del bene stesso (tre giorni su sette), e 3 ÷ 7 =
43%;
Tu (nell’imbarazzo della scelta)
Supponiamo poi che nella scelta fra a) e c) tu ancora non abbia dubbi e preferisca c): per fare 9
giorni in più (e passare così da 7 a 16) sei disposta/o a rimandare la crociera di due anni. Questo significa che per
te 7 giorni di crociera disponibili subito valgono meno di 16 giorni godibili fra due anni; il concetto lo
possiamo esprimere anche in questo modo: per te il valore attuale di una crociera di 16 giorni che parte fra
due anni è superiore al valore di una crociera di 7 giorni (che parte subito); si può anche dire che non sei
disposto a pagare un “prezzo” pari a 9 giorni di crociera per anticipare di due anni il godimento di 7 giorni di
crociera; significa allora che tu stai applicando al bene “crociera” un tasso di interesse inferiore al 52%, e
questo perché per anticipare di due anni il godimento del bene “7 giorni di crociera” non sei disposto a
sopportare un costo di 9/7 del bene stesso (nove giorni su sette). I calcoli per determinare quel valore (52%) del
tasso d’interesse li vedremo fra un po’, per ora mi basta che tu capisca e interiorizzi questi concetti:
1)
Per chiunque il valore di qualsiasi bene dipende dal momento in cui quel bene è disponibile;
2)
Il valore che oggi ha il diritto di disporre (di usare) un bene diminuisce all’allontanarsi del momento in
cui quel bene sarà disponibile (usabile);
3)
La velocità con cui il valore che diamo ai beni diminuisce all’allontanarsi del momento in cui saranno
disponibili è variabile da bene a bene: alcuni diminuiscono lentamente, altri molto velocemente; [ad
esempio: hai un gran mal di denti, gli analgesici non hanno effetto e l’unico dentista disponibile ti dice: “per 100 € ti curo
subito, ma se vuoi puoi aspettare un mese e ti curerò per soli 10 € ”. Probabilmente tu preferirai pagare 90 € in più pur di
anticipare la cura. Questo significa che per te il servizio del dentista perde più dei 9/10 del suo valore se la sua disponibilità
si allontana di un solo mese (il valore attuale di una cura dentistica che fra un mese varrà 100 € è, nel caso si abbia un gran
mal di denti, pari a meno di 10 €, (e quindi il tasso d’interesse che si applica in questa circostanza è più del 900% al mese,
equivalente al tasso annuo del 100.000 miliardi % all’annuo (e ti do 10 se riesci a spiegarmi da che calcolo proviene questo
risultato che appare folle al profano ma che è corretto).
6
4)
La velocità con cui il valore attuale di un bene cala all’allontanarsi del momento in cui sarà disponibile
varia da persona a persona, come dire che ognuno ragiona (fa i propri calcoli di equivalenza) con un suo
personale tasso di interesse (che a sua volta, e come ho scritto al punto precedente, è diverso da bene a bene).
Vediamo questo altro caso:
Tu, Al e Bo siete tre appassionati cinefili;
accessibile per voi c’è un unico cinema che offre, allo stesso
prezzo da pagare comunque oggi, la scelta fra 9 biglietti (con
titoli dei film a scelta) utilizzabili già da ora, oppure 12 biglietti
utilizzabili però solo da dicembre 2014. Chi sceglie il
pacchetto da 12 non avrà possibilità di entrare nel cinema nei
prossimi 12 mesi.
Tu
Al
Bo
Ipotizza che ci siano almeno 12 film che giudichi ugualmente validi e di essere certo che la tua passione per il
cinema non si modificherà col tempo.
Tu giudichi equivalenti le due proposte, nel senso che la scelta che ti si propone (fra 9 film subito
o 12 fra un anno) ti imbarazza al punto che ti affidi al lancio di una moneta, ed invece fra 9 film in quest’anno
e 11 nel prossimo sceglieresti i 9 subito, mentre se, da vedere nel prossimo anno, ti offrissero 13 film allora
opteresti per l’attesa. Al, invece, sceglie con decisione i 9 film immediatamente disponibili, in quanto per lui
9 film subito valgono di più di 12 fra un anno.
Bo, al contrario di Al, preferisce attendere un anno e vederne 12 piuttosto che 9 subito. In effetti
Bo sarebbe disposta a scambiare i 12 film fra un anno solo con 10 film godibili fin da ora.
Si può dire che 9 spettacoli al cinema disponibili da subito sono, per te, il “valore attuale” di 12
film godibili fra un anno, oppure – ed è la stessa cosa – che, per te, il valore di 9 film già utilizzabili equivale a
un “montante” di 12 film fra un anno.
Al e Bo, invece, danno ai 12 film disponibili fra un anno un valore rispettivamente minore (Al) e
maggiore (Bo) a quello di 9 film immediatamente visibili.
La faccenda può anche essere osservata in questo modo: tu valuti in tre film il sacrificio di
attendere un anno per soddisfare nove volte la tua passione cinefila, Al lo valuta più di te ed è Bo che a quel
sacrificio dà un minor valore.
Si può anche dire che, fra voi tre, è Al che dà al tempo un valore maggiore (quando lo valuta in
riferimento al bene “spettacolo cinematografico”), mentre per te e ancor più per Bo il tempo (sempre in riferimento a quel
bene) ha un valore minore. Infatti, Al è ben disposto a pagare (rinunciando a vederli) 3 film per “comprare” un
anno di tempo e anticipare così il godimento cinematografico; per te, invece, quello è il prezzo limite, mentre
per Bo il giusto prezzo di un anno di attesa è solo 2 film.
In questo senso si può dire che il tasso di interesse è il prezzo del tempo (della risorsa “tempo”, l’unica
risorsa non producibile dall’uomo, ché tutte le altre l’uomo le può produrre o sostituire grazie alla sua intelligenza).
La stessa cosa si può esprimere dicendo che il tuo tasso di interesse annuo riferito al bene cinema
è il 33,33% (in quanto il rapporto fra le quantità equivalenti di film disponibili con una differenza temporale di un anno è 12/9 =
1,3333), il tasso d’interesse annuo applicato da Al è maggiore del 33,33% mentre quello di Bo è inferiore, ed
esattamente è del 20% (infatti: 12/10 = 1,2, dove 12 corrisponde al montante disponibile fra un anno di un capitale che oggi
vale 10 film, e quindi – essendo il tempo pari a un anno – dalla formula I = C x r x t deriva che il tasso annuo d’interesse r con cui
Bo, seppure inconsciamente, fa le sue valutazioni in merito a come il tempo modifica il valore del bene “visione film al cinema” è: r
= I ÷ (C x t) → r = 2 / (10 x 1) → r = 0,2 = 20% ).
7
Bo applica il tasso d’interesse del 20% al bene “visione film al cinema”, ma come ho già scritto il
tasso d’interesse con cui Bo e tutti noi facciamo le nostre valutazioni varia in funzione del tipo di bene la cui
disponibilità viene spostata nel tempoPoiché il denaro è lo strumento che permette di entrare in possesso di qualsiasi bene economico, il
tasso di interesse del denaro (cioè il tasso con cui facciamo le valutazioni di equivalenza fra la disponibilità di somme
monetarie di diverso importo disponibili in tempi diversi ) è la sintesi di tutti i tassi d’interesse dei beni reali, come dire
che il tasso d’interesse che si applica ai calcoli finanziari è la media dei tassi di tutti i beni acquistabili (media
ponderata in base al peso che ogni bene ha sul complesso dell’economia ).
Da quanto ho scritto emerge che
l’interesse non è un fenomeno monetario!
Al contrario di quanto pensa l’uomo della strada ma anche – ahimè – la gran parte dei giornalisti
economici e dei banchieri,
l’interesse è un fenomeno reale
che riguarda, cioè, i beni concreti e l’economia reale; ed è solo perché gli scambi dei beni reali avvengono
attraverso la moneta che questa viene coinvolta nel fenomeno e quindi che l’interesse assume (anche) una
veste monetaria.
Il tasso d’interesse a cui ognuno di noi è disposto a prestare il denaro (il prezzo a cui siamo disposti a
sopportare il sacrificio del rinvio degli acquisti, del rinvio dell’utilità che traiamo da essi ) è soggettivo, nel senso che cambia
da persona a persona, così come è soggettivo il tasso di interesse che è disposto a pagare chi vuole anticipare
gli acquisti (di beni sia di consumo che di investimento) per goderne prima l’utilità, cioè chi chiede denaro in prestito.
L’uno e l’altro sono la stessa cosa, sono il prezzo del tempo.
La media dei tassi d’interesse sul bene “denaro” con cui ragiona ogni operatore finanziario (cioè
ognuno dei milioni di risparmiatori che offrono e dei milioni di prenditori che domandano il bene “uso del denaro”) è il tasso
d’interesse espresso dal mercato, ed ecco perché ha un senso dire che
il tasso d’interesse di mercato misura il valore che la società dà al tempo.
Ecco perché (a parità dello strumento moneta) i tassi alti sono spesso un sintomo di vivacità della
popolazione, segnalano la sua voglia di vivere e di fare, di costruire il futuro; i tassi bassi, invece, sono spesso
indicatori del declino di una società che si accontenta di conservare il presente e non vuole, nell’immediato, né
pagare più di tanto né correre troppi rischi per realizzare un futuro diverso.
E’ la cultura della stabilità e della conservazione, atteggiamento che è naturale e quindi
comprensibile nei vecchi (come vecchia è la gran parte della nomenclatura, a partire dal presidente della vostra repubblica
Giorgio Napolitano), ma che addolora vedere così diffusa in tutta la popolazione, a partire da quella giovanile
(anche per effetto di un martellamento propagandistico talmente capillare ed esteso che avrebbe stupito lo stesso Goebbels).
8
5) Cosa è la moneta.
5.0) Premessa.
Sapete già che l’interesse è il prezzo che si paga per usare il denaro altrui . Il concetto non è
particolarmente complicato; ben più difficile è avere chiaro che cosa è il denaro (denaro e moneta sono sinonimi),
tanto è vero che nonostante tutti lo usino, sono in pochissimi a sapere cosa è e come funziona.
So bene che spesso serve a poco conoscere la natura e il funzionamento di uno strumento, essendo
sufficiente il saperlo usare (né voi né io sappiamo come ha fatto la televisione a farci vedere le olimpiadi in diretta Pechino, ma
poco ci importa: la televisione è sufficiente saperla accendere e sintonizzarla sul canale giusto, e noi – che nulla sappiamo di
elettronica e di tecnologia delle telecomunicazioni – usiamo la TV con la stessa efficacia di un ingegnere elettronico),
ma nel
caso della moneta le cose sono diverse: la moneta è uno strumento di importanza enorme, in grado di
influenzare pesantemente la nostra vita quotidiana, e non conoscerla significa non comprendere tanta parte
della realtà ed essere quindi incapaci di prendere le decisioni corrette.
Sono perfettamente consapevole del fatto che ci teniate di più ad usarlo, il denaro, che a capirne la
natura; ma essendo pagato per insegnarvi un po’ di economia, vi distribuisco queste fotocopie anziché delle
banconote.
5.1) Nascita, natura e importanza della moneta.
L’economia è una faccenda parecchio complicata, e di tutti i problemi economici la moneta è
probabilmente il più intricato e quello per cui è maggiormente necessario assicurarsi di avere ben capito i
concetti di base prima di affrontare gradualmente le questioni più complesse.
Per di più, il continuo e agevole uso che quotidianamente facciamo dello strumento moneta ci porta a
sottovalutarne la straordinaria complessità, un po’ come la semplicità del telefonare al cellulare allontana dalla
corretta percezione (che solo un ingegnere delle comunicazioni può avere) della straordinaria complessità dei processi
e delle infrastrutture sottostanti a quell’azione.
Ecco perché vi chiedo attenzione mentre leggerete questa e le prossime due pagine (in parte tratte
dall’introduzione di “What Has Government Done to Our Money?” un testo scritto nel 1964 da Murray N. Rothbard, un
economista di scuola “austriaca”): non commettete l’errore di crederle semplici o banali.
5.1.1) Inevitabilità degli scambi.
Perché è nata la moneta? Chiaramente Robinson Crusoe non ne aveva bisogno:
non avrebbe potuto mangiare monete, né, con esse, curarsi il mal di denti o ripararsi
dal freddo (paragrafo 1.1 – “L’attività umana – degli appunti “Bisogni, beni, aziende ecc.”).
Neanche ne avrebbero avuto bisogno Crusoe e Venerdì, nei loro scambi di –
poniamo – pesce per noci di cocco.
Ma quando la società si espande oltre alcune
famiglie, lo scenario è pronto per la comparsa della moneta.
Robinson Crusoe e Venerdì
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Per spiegare il ruolo della moneta dobbiamo andare ancora indietro, e chiederci: perché gli uomini
scambiano? Lo scambio è la base della vita economica Senza scambi non ci sarebbe nessuna vera economia
e praticamente nessuna società.
Chiaramente uno scambio volontario si verifica perché entrambe le parti se ne attendono un beneficio.
Uno scambio è un accordo tra A e B per trasferire beni o servizi di un individuo per i beni e i servizi dell’altro.
Entrambi ne beneficiano perché ognuno valuta quello che riceve in cambio più di quello che cede, ed è questo
il motivo per cui, anche a parità di beni prodotti e disponibili, una collettività in cui gli scambi sono liberi e
agevoli è più ricca di una in cui gli scambi sono limitati.
Quando Crusoe scambia del pesce per le noci di cocco di Venerdì, egli valuta le noci che “compra”
più del pesce che “vende”, mentre Venerdì, al contrario, valuta il pesce più delle noci.
Per millenni, da Aristotele a Marx, gli uomini hanno erroneamente creduto ( ma Aristotele è giustificato
dalla stazionarietà dell’economia della sua epoca, Marx no; e se non capisci questa parentesi non ti preoccupare: non ti ho ancora
dato gli strumenti necessari)
che uno scambio richieda una qualche sorta di eguaglianza di valore, che se il cesto
di pesce è scambiato per 20 noci di cocco, allora c’è una sottostante uguaglianza tra di loro, per cui in tutti i
casi in cui uno ci guadagna l’altro necessariamente ci perde.
In realtà, invece, lo scambio è stato fatto
proprio perché ogni parte ha valutato i due prodotti differentemente.
Perché lo scambio è così universale nella specie umana? Fondamentalmente a causa della duplice
grande varietà della natura, e cioè: 1. la varietà nell’uomo, in quanto ognuno di noi possiede differenti abilità,
attitudini e gusti; 2. la diversità di localizzazione delle risorse naturali, in quanto ogni porzione di suolo ha le
sue proprie caratteristiche, le sue specifiche risorse.
Lo scambio deriva cioè dalla realtà naturale della varietà; olio di Puglia per aringhe d’Islanda; i servizi
sanitari di un medico in cambio del concerto di un pianista.
La specializzazione permette ad ogni uomo di sviluppare le sue migliori abilità, e permette ad ogni
regione di sfruttare le sue peculiari risorse. Se nessuno potesse scambiare, se ogni uomo (o ogni piccola collettività
di uomini come una tribù o un borgo medioevale ) fosse costretto a essere completamente autosufficiente, è ovvio che
la maggior parte di noi morirebbe di fame, e il resto rimarrebbe vivo a malapena: nei secoli passati, quando
per motivi tecnici e/o politici gli scambi erano limitati, il nostro pianeta aveva risorse per mantenere in vita
solo qualche centinaio di milioni di uomini (di cui la gran parte in estrema povertà); oggi, a globalizzazione ormai
completa, lo stesso pianeta fa vivere oltre sette miliardi di persone (e buona parte in opulenza). Lo scambio è la
linfa vitale, non soltanto dell’economia, ma della civiltà stessa.
Tuttavia lo scambio diretto di beni e servizi (il baratto) sarebbe a malapena sufficiente a mantenere
un’economia appena sopra un livello primitivo. Lo scambio diretto, il baratto, difficilmente può portare a
condizioni economiche di poco migliori della pura autosufficienza. Perché questo? Per prima cosa, è chiaro
che si potrebbe realizzare una produzione molto limitata. Se do l’incarico a degli operai di costruire una casa,
con cosa li pagherò? Con delle lezioni di economia che interessano a nessuno? E cosa darò al fornaio per il
pane che comprerò domani? So che gli piace la mia moto, ma per 4 ragnetti una moto mi sembra un prezzo un
po’ eccessivo, e non posso certo dargliene solo un pezzettino. I due problemi base del baratto sono
“l’indivisibilità” e la “mancanza di coincidenza dei desideri”.
Così, se ho un televisore e lo volessi scambiare con diverse cose – diciamo uova, pane e vestiti – come
posso fare? Non posso certo fare a pezzi la TV e darne un pezzo al contadino e un altro pezzo al sarto. Ma
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anche quando i beni sono divisibili, è generalmente impossibile per due che abbiano da scambiare qualcosa
incontrarsi proprio in quel momento. Se A ha delle uova da vendere e B ha un paio di scarpe, come possono
trovarsi d’accordo se A in quel momento vuole un vestito e non le scarpe? E pensate alla fatica, per un
vecchio (ma immortale) professore di economia amante del pinzimonio, trovare un venditore di carote e
cipollotti che voglia acquistare alcune lezioni di economia o una consulenza fiscale in cambio dei suoi
prodotti! Chiaramente nessun tipo di società non primitiva è possibile sotto un regime di scambio diretto.
5.1.2) Come è nata la moneta.
L’uomo ha scoperto, grazie al processo per tentativi ed errori – by
trial and error – (processo che più di qualsiasi altro fattore ci ha portato dalle caverne ai
grattacieli), la strada che conduce ad un’economia in continua espansione: lo
scambio indiretto.
Effetti dell’applicazione del processo “by trial and error”
Con lo scambio indiretto si vendono i prodotti non per un bene che ci serve direttamente, ma per un
altro bene che può a sua volta essere venduto per un bene desiderato. A prima vista questa può sembrare una
complicazione. Ma è invece uno strumento meraviglioso che permette alla civiltà di svilupparsi.
Consideriamo il caso di Biolco, il contadino ricco di uova che vuole comprare le scarpe fatte da
Ciabattoni, il calzolaio.
Dal momento che Ciabattoni, avendo il colesterolo alto, non è interessato alle uova, Biolco scopre ciò
che il calzolaio desidera, ad esempio della benzina, e si mette alla ricerca di un terzo, Carburo, che desidera
uova e ha benzina in eccesso. Biolco scambia le sue uova per la benzina di Carburo; poi Biolco vende la
benzina a Ciabattoni per le scarpe. Attenzione: Biolco va in bicicletta, non in auto; non gli interessa la
benzina per il consumo diretto, ma perché essa gli permetterà di prendersi le scarpe.
Il contadino
ha bisogno di scarpe,
interessano le sue uova:
ma al calzolaioo
a lui interessa, invece, la benzina
Il contadino, allora, vende le sue uova al benzinaio
non
.
che è goloso di frittata, allo scopo
di comprare la benzina da dare al calzolaio e ottenere così le scarpe.
Ecco come la benzina
si evolve
→ in moneta
.
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Allo stesso modo io, proprietario di una televisione di cui posso fare a meno, venderò il mio TV
per un prodotto che posso più facilmente dividere e vendere – ad esempio sempre la benzina – e poi scambierò
litri di benzina per uova, pane, vestiti ecc.
In entrambi i casi la superiorità della benzina – la ragione per cui c’è una domanda extra di
benzina oltre a quella originata dalla semplice volontà di consumarla – sta nella sua maggiore
commerciabilità o, come anche si dice, nel suo maggior grado di “liquidità”.
Se un bene è più
commerciabile (più “liquido”) di un altro – se tutti cioè pensano che sarà più prontamente vendibile – allora
esso sarà molto richiesto perché sarà comprato per accumularne una certa scorta da utilizzare come efficace
mezzo di scambio. Sarà il mezzo con cui un produttore specializzato può scambiare il suo prodotto con i
beni di altri produttori specializzati.
C’è una grande varietà nella commerciabilità (nella liquidità) dei beni: alcuni beni sono più
diffusamente richiesti di altri, alcuni sono più divisibili in unità più piccole senza perdere di valore nel
frazionamento, alcuni sono più duraturi nel tempo, alcuni più facilmente trasportabili a grandi distanze. Tutti
questi vantaggi riuniti danno una maggiore commerciabilità.
In ogni società i beni più commerciabili sono stati, nei millenni, gradatamente selezionati come
mezzi di scambio. Quanto più essi furono scelti come mezzi di scambio, tanto più ne crebbe la domanda
proprio a causa di questo loro uso, diventando così sempre più commerciabili.
Il risultato è una spirale: più commerciabilità causa un più ampio uso come mezzo di scambio;
questo a sua volta causa una maggiore commerciabilità, ecc. Alla fine, man mano che col tempo si
sperimentano vari beni, in quella collettività di persone, senza che nessuno lo imponga, saranno da tutti
utilizzati come mezzo di scambio uno o due beni, e questi beni saranno chiamati moneta.
Nella storia, come mezzi di scambio, sono stati usati molti beni e molto differenti fra loro: tabacco
nella Virginia, zucchero nelle Antille, sale in Abissinia, bestiame nell’antica Grecia e nella Mongolia, chiodi
in Scozia, rame nell’antico Egitto, grano, perline, tè, conchiglie, ami ecc.
Attraverso i secoli, due beni, l’oro e l’argento, sono emersi come monete migliori grazie a un
millenario processo “by trial and error” reso possibile dalla libera competizione del mercato, spodestando col
tempo altri mezzi di scambio. Entrambi, l’oro e l’argento, sono straordinariamente commerciabili, sono
grandemente richiesti per uso ornamentale ed eccellono nelle altre qualità indispensabili ai mezzi di scambio.
Negli ultimi millenni, l’argento, essendo relativamente più abbondante dell’oro, si è rivelato utile
per scambi di non rilevante importo, mentre l’oro è risultato più adatto per saldare transazioni di importo
elevato. In ogni modo, la cosa importante è che, qualunque ne sia la ragione, il libero mercato e cioè lo
spontaneo comportamento degli uomini – e non la volontà di un Principe e nemmeno la scienza dei sapienti –
, ha rivelato che l’oro e l’argento sono le monete più efficienti. Almeno fino al 15 agosto 1971.
5.1.3) Dall’oro alla carta.
Negli ultimi secoli all’oro e all’argento si sono affiancati dei documenti di carta. Dapprima
rappresentavano l’oro e l’argento, erano cioè dei documenti rappresentativi della moneta (dei “titoli di credito”):
alcuni soggetti che godevano della fiducia del pubblico cominciarono a stampare pezzi di carta impegnandosi
a ricomprarli in un qualsiasi momento in cambio di un determinato quantitativo di oro (più raramente di argento
o di entrambi). In questo modo quella carta assumeva il valore del metallo prezioso sottostante, e da qui nacque
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il termine “cartamoneta” (e la stessa origine ha il termine “banconota”, che significa “nota del banco”, cioè scrittura
(documento, nota) compilata sul tavolo (banco) dal soggetto emittente (che inizialmente era il mercante e poi, più o meno dal XIII
secolo, l’ex mercante che si era specializzato nell’attività di banchiere. Fossero mercanti o banchieri, i più capaci e innovativi al mondo erano
comunque del centro-nord Italia)).
Se il soggetto emittente la carta conservava riserve di metallo prezioso pari all’importo
complessivo di carta emessa, allora il sistema monetario, pur basato sulla carta-moneta, era “metallico a
riserva totale”. Ben presto, però, i banchieri (coloro che emettevano le “note del banco”) si resero conto che
la maggior parte dell’oro che veniva depositato non veniva ritirato, in quanto i depositanti preferivano tenersi
in tasca le banconote; ecco, allora, che i banchieri cominciarono a emettere per ogni grammo d’oro che
ricevevano varie banconote ognuna delle quali garantiva al possessore il diritto di ritirare un grammo d’oro.
L’emittente, in altre parole, stampava un volume di moneta cartacea maggiore (ad esempio di 5 volte) del
valore di metallo prezioso che conservava nelle sue riserve. Il sistema monetario continuava a essere
“metallico” ma divenne “metallico a riserva frazionaria” (nell’esempio, con riserva al 20%, cioè 1/5).
Il sistema a riserva frazionaria funziona sulla base della convinzione che mai tutti i possessori di
carta-moneta si presentano contemporaneamente a vendere la carta-moneta per comprare l’oro sottostante (un
sistema a riserva frazionaria al 10% funziona fino a quando le richieste di conversione in metallo delle banconote
rimangono sotto l’1/10 della carta in circolazione).
Il sistema metallico a riserva frazionaria basato sull’oro (detto “gold standard”) è stato usato negli
U.S.A. fino al 15 agosto del 1971, quando il dollaro, che dopo gli accordi internazionali di Bretton Woods del
1944 era rimasta l’ultima moneta convertibile in oro, ha cessato di esserlo (dal 1934 e fino al 1971 il governo USA
consegnava un’oncia d’oro in cambio di 35 dollari; in precedenza, dalla fine del ‘700 al 1933, il cambio $ USA/oncia oro fu sempre
di circa 20 $ per un’oncia. Per chi non lo sapesse un’oncia corrisponde a circa 31 grammi ).
Pur essendo il dollaro l’unica moneta rimasta convertibile in oro, con gli accordi di Bretton Woods
del 1944 molte altre monete risultavano ugualmente ancorate al metallo prezioso e quindi anche il loro poteva
ancora essere definito un sistema metallico: infatti i soggetti emittenti altre monete (le “banche centrali” dei vari
paesi, come la Banca d’Italia che emetteva lire, la Bank of England che stampava – e stampa – sterline, la Bundesbank che emetteva
i marchi ecc., tutti organismi, le Banche Centrali, che, sebbene formalmente di proprietà privata, sono in realtà soggetti pubblici più
o meno strettamente legati ai governi o ai parlamenti nazionali)
si impegnavano a comprare la loro moneta in cambio di
un quantitativo prefissato di dollari (per la nostra vecchia lira il cambio fisso col dollaro fu per molti anni 625 lire per un $
USA) e quindi in pratica, anche se indirettamente, in cambio di un certo quantitativo di oro.
Quando una
moneta è convertibile ad un cambio fisso con un’altra a sua volta convertibile in oro allora il suo sistema
monetario è detto “gold exchange standard”.
Il 15 agosto 1971 ha segnato il passaggio al sistema attuale: il sistema monetario basato sul nulla,
o meglio basato unicamente sulla fiducia che la gente continui a credere sia che le banconote conservino il
potere di acquisto (moneta fiduciaria), sia che le banche siano in grado di restituire ai risparmiatori la moneta da
essi depositata “a vista” sebbene la gran parte (ben oltre il 90%) l’abbiano prestata ad altri (sistema a “riserva
frazionaria”, e di questo si parlerà ancora più avanti).
Per migliaia di anni ci si è fidati che l’oro e l’argento continuassero a essere considerati preziosi e
liquidi (e, perciò, moneta), poi, per qualche secolo, a questa fiducia si è affiancata anche la fiducia che il
banchiere che stampava carta fosse disposto e in grado di ricomprarsi le banconote stampate vendendo oro, e
ora, da circa mezzo secolo, ci fidiamo semplicemente che anche gli altri si fidino come noi che tutti
continuino a credere che la moneta conservi il suo valore.
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Che funzioni in un modo o nell’altro, la moneta è, comunque, un bene economico. Resta
certamente vero che la moneta, specie se di carta, non è in grado di soddisfare direttamente alcun bisogno, ma
la fiducia che gli altri l’accettino in cambio dei loro beni conferisce anche ad essa il valore di bene.
La nascita della moneta è stata, non mi stanco di ripeterlo, di grande vantaggio per la specie
umana. Senza la moneta – senza un mezzo generale di scambio – non ci potrebbe essere alcuna vera divisione
del lavoro, nessun avanzamento dell’economia oltre un livello primitivo di produzione. Con la moneta
scompaiono i problemi dell’indivisibilità e della “coincidenza dei desideri” che avevano afflitto la società del
baratto. Così tutti i beni e i servizi sono venduti in cambio di moneta e la moneta è usata per comprare tutti i
beni e servizi che la gente desidera.
Grazie alla moneta, grazie al fatto che moltiplica la possibilità di scelta dei beni acquistabili e
quindi anche di beni non di consumo cioè di fattori produttivi (il lavoro, i beni capitali e le risorse naturali), si
possono creare tantissime elaborate “strutture di produzione” e tra queste individuare quelle più efficienti,
arricchendo straordinariamente, a parità di risorse, la collettività.
(Nel caso le ultime quattro righe non ti fossero chiare, provo con un esempio: Biolco è un agricoltore che deve
decidere cosa coltivare nel suo podere; Ermes è un commerciante di sementi e di concimi; Efèsto è un fabbro. Biolco sa che il suo
terreno è più adatto al girasole che al trifoglio e sa anche, però, che per coltivare girasoli avrà bisogno di semi, concime e di un
aratro, mentre per il trifoglio gli bastano i semi e il concime.
Se non esistesse la moneta Biolco sarà probabilmente costretto a
coltivare il trifoglio per superare la difficoltà aggiuntiva di trovare, oltre a ciò che dovrà dare a Ermes in cambio di semi e concime,
anche qualcos’altro che convinca Efèsto a vendergli o noleggiargli l’aratro. Ecco allora che quella collettività sarà più povera di
quanto sarebbe stata in presenza di moneta, quella moneta che avrebbe reso agevole lo scambio tra Biolco ed Efèsto. La struttura di
produzione in quella società senza moneta sarà infatti meno efficiente in quanto verrà prodotto un output di valore minore (il
trifoglio inadatto al terreno invece del girasole che massimizza la produttività del fattore terra ).
L’istituzione della moneta comporta anche un altro grande vantaggio. Dal momento che tutti gli
scambi sono fatti in moneta, tutti i rapporti di scambio sono espressi nei suoi termini, e quindi la gente può
confrontare il valore di un qualsiasi bene con quello di ogni altro bene.
Se un televisore si può scambiare con 10 grammi d’oro (o con 10 banconote) e una automobile
con 180, allora è evidente che sul mercato quell’auto “vale” 18 televisori. Questi rapporti di scambio sono i
prezzi, e la moneta serve – anche – come denominatore comune, come metro, come unità di misura di tutti i
prezzi.
Soltanto l’istituzione di prezzi monetari di mercato permette lo sviluppo di una economia evoluta,
perché solo essa permette il calcolo economico.
Potendo, grazie alla moneta, fare calcoli economici, gli imprenditori possono capire se con
l’attività aziendale andranno incontro più probabilmente a profitti o a perdite, e i consumatori possono meglio
individuare il mix di acquisti che massimizza la loro soddisfazione.
Tali calcoli guidano le persone che agiscono come produttori (imprenditori, lavoratori autonomi e
capitalisti) alla ricerca di profitto monetario permettendo loro di orientarsi sul mercato; quando le persone,
smessi i panni di produttori o lavoratori e vestiti quelli di consumatori, vanno alla ricerca della più elevata
soddisfazione dei bisogni, sono ancora guidati dal calcoli economici. Solo questi calcoli possono allocare
(indirizzare, sistemare) le risorse verso il loro uso più produttivo, verso il benessere della collettività; e questi
calcoli sono resi possibili dai prezzi e quindi dalla moneta.
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5.2) Vari tipi di moneta.
5.2.1) Moneta merce e moneta segno.
Nel paragrafo precedente si è visto che ci possono essere due tipi di moneta. di cui il primo è stato
usato per millenni e il secondo è in uso solo da qualche decennio:
-
la moneta-merce, che pur essendo di carta ha un valore collegato a un bene reale
(normalmente l’oro) attraverso l’impegno di chi l’ha emessa di ricomprarla in cambio di una quantità prestabilita
del bene;
la moneta-segno, o moneta fiduciaria, il cui valore è basato su nulla al di fuori del fatto
che gli utilizzatori ritengono che abbia quel valore.
In effetti, l’unica caratteristica necessaria e distintiva della moneta, di qualunque tipo sia, è
la liquidità, che è il “potere di acquisto” o, meglio, la possibilità di effettuare pagamenti.
La moneta merce fa parte della ricchezza individuale del suo possessore ed anche della ricchezza
nazionale del paese di cui il possessore è cittadino.
Non altrettanto, invece, si può dire per la moneta segno (o moneta fiduciaria). Certamente
l’individuo che possiede della moneta segno la considererà una sua ricchezza, in quanto sa di poterla
scambiare con merci di ogni genere, con valore intrinseco, non appena lo voglia. Ma non è corretto
considerare la moneta segno come parte della ricchezza nazionale, cioè della collettività.
Consideriamo, infatti, la tipica moneta segno, la moderna banconota della banca centrale: essa
viene intesa come un titolo (= un documento) attestante un debito della banca emittente (la B.C.E., Banca Centrale
Europea, per le banconote in euro) verso il detentore (= possessore) del biglietto (il creditore). E’, ovviamente, un
debito a vista, cioè immediatamente esigibile (= già scaduto).
Ma così stando le cose, se la banconota è ricchezza positiva per il creditore che ne è in possesso, è
ricchezza negativa di pari importo per il debitore emittente, cioè per la Banca Centrale e quindi per lo stato.
Sommando la ricchezza (positiva) di tutti i creditori (i cittadini che possiedono banconote) e quella (negativa) del
debitore (la Banca Centrale, in pratica lo stato) per ottenere la ricchezza nazionale, l’addendo positivo viene
neutralizzato dall’addendo negativo.
Perché la moneta segno sia ricchezza nazionale, occorre che il debitore ed il creditore
appartengano a due nazioni diverse. I dollari USA posseduti da cittadini cinesi saranno per così dire ricchezza
cinese, in quanto credito della Cina (di un cittadino cinese) verso gli Stati Uniti; ma se posseduti da americani, gli
stessi dollari non saranno ricchezza americana.
Questa conclusione evita il paradosso che il paese che emette della moneta segno possa accrescere
illimitatamente la sua ricchezza col solo stampare dei pezzi di carta chiamati lire, o euro (o dollari ecc.). Ecco
perché l’idea ingenua di far stampare dalla B.C.E. tante banconote da 100 euro e poi distribuirle a tutti non
servirebbe a cancellare la povertà né ad aumentare la ricchezza di noi europei. Come diceva Luigi Einaudi,
“… coi pezzi di carta non si prosciugano paludi, non si semina il grano, non si produce alcunché”.
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5.2.2) Moneta legale e moneta privata.
Che sia di un tipo o dell’altro (moneta-merce o moneta-segno), in ogni caso la moneta può anche
distinguersi a seconda del fatto che sia “legale” o “privata”.
la moneta legale è quella che il creditore non può rifiutarsi di accettare in pagamento, cioè
la moneta a cui la legge conferisce il “potere liberatorio” (in Italia e in altri 16 paesi europei le banconote e le
monete metalliche della B.C.E.);
la “moneta privata” o “consuetudinaria”, che coincide in pratica con la “moneta
bancaria”, può invece essere rifiutata dal creditore (a meno che in precedenza si fosse impegnato ad accettarla) il quale
può infatti negare al debitore di pagare con un assegno o con carta di credito o con un bonifico per pretendere
invece la moneta legale.
La gran parte dei pagamenti è effettuata con moneta privata (bancaria), rimanendo l’uso della
moneta legale (il “circolante”) quasi del tutto circoscritto nell’ambito familiare (o, se tra aziende, nelle sempre più
rare transazioni in “nero”). Il maggior uso della moneta privata rispetto alla legale è testimoniato anche dalla loro
diversa quantità: come vedremo meglio più avanti, in Italia la moneta legale esistente è circa un quinto della
moneta bancaria (circa 140 miliardi contro 640 miliardi; in termine di media pro capite sono circa 2.400 € di legale contro circa
10.500 € di moneta bancaria).
Ma il rapporto di 5 a 1 diventa ben maggiore se invece che misurare lo stock di moneta esistente in
un certo momento mettiamo a rapporto i flussi di moneta di un certo periodo, cioè il volume di pagamenti che
vengono fatti, ad esempio in un anno, con una e con l’altra moneta.
Il concetto, con molte meno parole, può essere espresso dicendo che la velocità di circolazione
della moneta bancaria è maggiore di quella legale.
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