Ergonomia, una rivoluzione copernicana

Ergonomia, una rivoluzione copernicana
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Pagine di Ergonomia del Sole 24 Ore
Ergonomia, una rivoluzione copernicana
Domenica 27 ottobre 2002
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Ergonomia, usabilità, progetto a misura d'uomo. Sono
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espressioni ormai familiari anche presso il grande pubblico.
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L'aggettivo "ergonomico" è sempre più presente nei messaggi
pubblicitari e nelle comunicazioni aziendali: serve a far capire come
e quanto l'azienda si è preoccupata del benessere degli utenti dei
suoi prodotti, e come e quanto questi - gli utenti - debbano ricercare
nel prodotto quel valore che spesso non notano, ma che ne
determina la cosiddetta "qualità globale". Da un paio d'anni, poi,
Internet ha reso popolare un termine prima appannaggio di pochi
specialisti: web usability, l'usabilità dei siti e dei sistemi multimediali.
È vero che in molti casi la diffusione di tali termini nasconde una
certa furbizia pubblicitaria, e che a volte si parla di ergonomia con
approssimazione: si dice, ad esempio, impugnatura ergonomica
quando basterebbe più propriamente dire anatomica. Ma ogni abuso
è spia di una sensibilità nuova, che al suo diffondersi inevitabilmente
comporta forzature e approssimazioni. Del resto, se in alcuni ambiti
"fa moda" tirare in ballo l'ergonomia, ciò significa che questa ha
sempre maggiore spazio nel senso comune, nell'attenzione e nelle
esigenze degli utenti così come nella volontà e negli interessi dei
produttori.
Un progetto interdisciplinare
Ma che cosa è l'ergonomia? L'approccio ergonomico è sintetizzabile
nella definizione User Centered Design: progetto centrato
sull'utente. Ciò delinea una progettazione in grado di prevedere un
uso del prodotto - e delle operazioni e dei compiti richiesti - che può
essere utilizzato con la massima efficienza e il minimo disagio fisico
e mentale. Si tratta così di elaborare metodi e mezzi che consentano
di individuare ciò che effettivamente gli utenti chiedono (e che
chiederanno) ai prodotti, ai sistemi e agli ambienti.
Per ottenere questo risultato, l'ergonomia non si presenta,
propriamente, come una scienza, anche se così potrebbe sembrare.
È una "tecnica di procedure", come la definì nel 1968 Cajo Plinio
Odescalchi, il padre dell'ergonomia in Italia. È il risultato di un
processo interdisciplinare che vede l'incontro delle discipline che in
vario modo si interessano al cosiddetto fattore umano (psicologia,
medicina, antropologia, scienze sociali e della comunicazione,
ingegneria, discipline politecniche, ecc.) e che, in modo coordinato,
elaborano le procedure finalizzate a valutare e a progettare
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l'interazione degli individui con gli strumenti che utilizzano e con gli
ambienti in cui si svolgono le loro attività. L'ergonomia è il campo
dove diverse competenze si incontrano e collaborano per fornire una
risposta a una domanda che la produzione industriale in serie ha
reso centrale: come progettare una macchina, un oggetto d'uso, un
sistema che siano al servizio dell'utente e non viceversa?
La questione può sembrare paradossale, e lo è, se si considera, ad
esempio, che la maggior parte degli strumenti che utilizziamo per
lavorare (ma anche per giocareò) sono concepiti nel modo
esattamente opposto: siamo noi a doverci adattare a loro. Sono
ancora così concepiti, e la tendenza si sta certo invertendo, ma
lentamente e a fatica. Nelle automobili di vent'anni fa, non solo
erano assenti gli strumenti di sicurezza di cui oggi sono fornite tutte
le vetture, ma anche la visibilità verso l'esterno risultava spesso
difficoltosa, così come l'adattabilità dei sedili alle diverse tipologie di
utenti-autisti. E che dire dei videoregistratori di non freschissima
generazione? E che cosa comporta usare un telecomando con
cinquanta tasti?
Il problema è che le "macchine da lavoro" con cui siamo
quotidianamente chiamati a confrontarci conservano un peccato
d'origine che è difficile da estinguere, quello che vede, appunto, il
rapporto uomo-macchina in termini di adattamento dell'uomo alla
macchina. Come ricorda Tomás Maldonado in una lunga intervista
del 1994 alla rivista "Ergonomia", fin dalle sue origini l'industria ha
selezionato «gli operatori, quasi esclusivamente, in base alle loro
abilità e alle loro caratteristiche fisiche e psichiche». Questa visione
inizia a essere ribaltata solo durante e dopo la seconda guerra
mondiale, quando «l'obiettivo diventò piuttosto quello di ridisegnare
le macchine per renderle più consone alle esigenze di un operatore
medio - ovvero di un militare poco addestrato e per nulla
selezionato. Da lì ebbe inizio la Human engineering, disciplina che,
dal 1949, secondo la proposta dello scienziato britannico Murrel,
viene internazionalmente chiamata "ergonomia"».
Il progetto a misura d'uomo
Ma ridisegnare le macchine affinché siano "più usabili" è come
ridisegnare un vestito: occorre farlo a partire dal corpo che lo
indossa. Dichiara ancora Maldonado: «Il fatto di attribuire un ruolo
prioritario al ridisegno della macchina ha portato a privilegiare lo
studio del comportamento sensopercettivo e sensomotorio dell'uomo
in funzione operativa. E ciò per il semplice motivo che risultava
difficile, se non impossibile, cercare di adattare la macchina
all'utente senza avere una conoscenza approfondita del soggetto al
quale essa si doveva adattare, ossia dell'operatore». Da qui lo
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slogan che meglio sintetizza l'orientamento ergonomico: progettare
a misura d'uomo. In questo senso, ogni singola disciplina, anche la
più evoluta, non può, da sola, fornire risposte pienamente adeguate,
perché l'uomo - fisicamente e psichicamente - è esso stesso una
"macchina" piuttosto complessa. Così, se l'antropometria fornisce gli
standard delle misure del corpo umano, non è detto che queste, da
sole, siano sufficienti a concepire una "buona" maniglia o un "buon"
piano-cottura.
Occorre tradurre tali conoscenze nel vivo della scena e dell'azione,
dove l'uomo non è solo quantità fisica ma anche emotività, socialità,
soggetto che soffre l'affaticamento psichico o l'irritazione sensoriale.
In questa operazione di traduzione delle conoscenze, l'integrazione
fra scienze biomediche e scienze psicologiche risulta necessaria e
determinante. Ma anche una sensibilità artistico-estetica può aiutare,
e non tanto per "vestire" ciò che la tecnologia ha programmato,
quanto piuttosto per delineare la forma più appropriata al dialogo fra
il sistema-uomo e il sistema-macchina. Quest'ultima osservazione
rende conto di alcuni recenti orientamenti dell'ergonomia, dove la
sfera della gradevolezza del prodotto è altrettanto determinante
rispetto a quella delle sue prestazioni. Questi orientamenti
dimostrano che, se un oggetto o un ambiente devono essere
realmente adatti a chi li utilizza, non possono non rispondergli in
tutto anche per gli aspetti più specificamente soggettivi che
interessano la nostra sensorialità e affettività.
La cucina dell'usabilità
Il progetto ergonomico non ha come obiettivo la qualità del prodotto
in s™, quanto la qualità dell'uso del prodotto. Come accade per le
parole, gli oggetti acquistano il loro pieno senso solo quando
vengono "ambientati" all'interno di una "scena". Sono come attori:
solo entrando in relazione con il pubblico - con gli utenti - possono
dimostrare la loro qualità. Continuando su questa metafora, non è
difficile concludere che la recita, la performance, cui i prodotti sono
chiamati a mettere in atto è quella della loro usabilità. Ogni prodotto
deve lasciarsi usare, perché il suo uso deve produrre un beneficio.
L'usabilità è uno fra gli obiettivi essenziali dell'ergonomia, insieme
alla sicurezza e al comfort. Concetto a volte sfuggente, l'usabilità
viene definita come «il grado in cui un prodotto può essere usato da
specifici utenti per raggiungere specifici obiettivi con efficacia,
efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d'uso»(ISO
9241-11). Perché un prodotto sia usabile occorre così che le
operazioni d'uso siano svolte con successo, che richiedano il minimo
sforzo psico-fisico, che l'uso produca sull'utente effetti di piacere e
benessere.
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Fra gli ambienti-scena maggiormente al centro dell'attenzione
sull'usabilità vi è certamente la cucina, ambiente che offre
un'immagine vivida dell'importanza del progetto ergonomico: la
cucina è la parte delle nostre case che più di ogni altra ha subìto
profonde trasformazioni, spesso causate da una incontrollata
invasione di nuovi prodotti, e dove quindi maggiormente si può
misurare la "tenuta" dell'innovazione e sperimentare al meglio la
ricerca sull'usabilità.
Il "focolare" di un tempo è diventato un vero e proprio laboratorio,
luogo di mansioni che prima venivano svolte con l'impiego di
strumenti che richiedevano un dispendioso sforzo manualemuscolare: si pensi alla ricarica di una stufa a legna. Col tempo,
molti elettrodomestici hanno sostituito lo sforzo muscolare con nuovi
"sforzi mentali". La semplice cura del cibo (come procurarlo, come
conservarlo, come prepararlo) richiede oggi un'attenzione cognitiva
prima impensabile.
Nella nostra cultura la cucina è un interessante intreccio di stimolanti
ambiguità: è, innanzitutto, luogo di lavoro e luogo di piacere e
convivialità. In cucina si lavora e si soggiorna, si sopportano sforzi e
si sperimentano passioni. La cucina richiede fatica fisica e mentale,
capacità organizzative e slanci di improvvisazione inventiva. Vi si
opera manovrando sofisticati elettrodomestici ma anche ricorrendo
all'essenziale semplicità di un coltellino. Ci si può divertire, ma anche
correre seri rischi, per se stessi (con strumenti di taglio, fonti di
calore, esposizioni elettriche ed elettromagnetiche, ecc.) e per la
collettività (inquinando).
Questi diversi aspetti richiedono un'accurata progettazione tanto del
layout ambientale quanto delle diverse attrezzature. La cucina è un
ambiente che si fa sistema, dove il dimensionamento e la
disposizione dei piani di lavoro, ad esempio, è in stretta relazione
con l'accessibilità degli strumenti e la chiarezza dei dispositivi di
informazione. E dove accorgimenti e soluzioni per la prevenzione dei
rischi devono anch'essi presentarsi in una dimensione di
gradevolezza sensoriale.
L'usabilità riguarda così ogni singolo prodotto, ma anche
l'interazione fra le diverse parti e la globalità delle operazioni, dalla
conservazione del cibo (si veda la straordinaria evoluzione delle
tecnologie dei frigoriferi) alla gestione e smaltimento dei rifiuti.
Riguarda la flessibilità e la facilità d'uso degli strumenti, ma anche la
loro movimentazione, manutenzione e pulizia. Riguarda la sicurezza
e l'affidabilità, ma anche la ricerca di un "effetto di senso" di
benessere e soddisfazione.
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Rimandando il lettore ad altri e successivi approfondimenti,
ricordiamo che se molto, in cucina, è cambiato, ciò che permane è il
risultato: un buon piatto è tale a prescindere da come e dove è stato
preparato. Ma non da chi: l'ergonomia non cambia il sapore del
mondo, ma mette tutti noi in grado di viverci meglio.
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