Diritto al dividendo e facoltà di “exit”

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SOLUZIONI OPERATIVE
Diritto al dividendo e facoltà
di “exit” del socio di minoranza di srl
In ogni numero della rivista trattiamo una questione dibattuta a cui i nostri esperti forniscono
una soluzione operativa. Una guida indispensabile per affrontare le problematiche applicative
inerenti al diritto societario con una finestra “aperta” sulle eventuali correlate implicazioni fiscali.
a cura della Commissione di diritto societario
dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano
coordinamento di Enrico Holzmiller*
LA QUESTIONE
Il socio di minoranza di una s.r.l. rileva che da qualche anno l’assemblea della società che
approva il bilancio non distribuisce dividendi adducendo come motivazione l’intento di patri­
monializzare la società. Da questa situazione il socio di minoranza si sente penalizzato nei
propri diritti di socio, avendo acquisito la partecipazione solo per fini speculativi e avendo
altresì bisogno di denaro per finanziare altre attività personali, al momento in perdita. Cosa
può fare il socio di minoranza per tutelare al meglio la propria posizione, con riferimento sia al
diritto agli utili che alle possibilità di uscire dalla società?
La trattazione
È
ormai pacifico, in dottrina e giurisprudenza prevalente, che il
socio di una società di capitali non ha un diritto al dividendo,
ma solo una riconosciuta aspettativa alla distribuzione degli
utili o un diritto di credito nei confronti della società.
Ne consegue che, ove non vi siano palesi intenti della maggioranza volti a penalizzare i soci di minoranza, nulla potrà essere
esperito contro la delibera (o le delibere) approvata/e lecitamente dalla maggioranza.
Restano, tuttavia, al socio minoritario altre forme di tutela
finalizzate a non svilire la sua partecipazione anche attraverso
formule di exit.
Il socio di una società
di capitali non vanta
un diritto al dividendo,
ma solo una riconosciuta
aspettativa alla
distribuzione degli utili
o un diritto di credito nei
confronti della società
* Presidente Commissione di diritto societario Odcec Milano.
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BILANCIO E DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI AI SOCI: ART. 2478­BIS COD. CIV.
Il bilancio deve essere redatto con l’osservanza degli artt. 2423, 2423­bis, 2423­ter, 2424, 2424­bis, 2435, 2425­bis,
2426, 2427, 2428, 2429, 2430 e 2431, salvo quanto disposto dall’articolo 2435­bis. Esso è presentato ai soci entro il
termine stabilito dall’atto costitutivo e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale,
salva la possibilità di un maggior termine nei limiti e alle condizioni previsti dal comma 2 dell’art. 2364.
Entro trenta giorni dalla decisione dei soci di approvazione del bilancio deve essere depositata presso l’Ufficio del registro
delle imprese, a norma dell’art. 2435, copia del bilancio approvato.
La decisione dei soci che approva il bilancio decide sulla distribuzione degli utili ai soci.
Possono essere distribuiti esclusivamente gli utili realmente conseguiti e risultanti da bilancio regolarmente approvato.
Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione degli utili fino a che il capitale non sia
reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Gli utili erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona
fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti.
Diritto al dividendo da parte del socio
Nell’ambito delle s.r.l. (società oggetto della “questione” in commento), l’art. 2478-bis, attraverso l’esplicito rinvio all’art. 2430 cod. civ., prevede che, in seguito all’approvazione del bilancio,
parte dell’utile debba essere accantonata a riserva fino a concorrenza dei limiti di legge.
Sulla parte restante i soci decidono[1] liberamente, su proposta degli amministratori, fermi
restando gli obblighi previsti dallo statuto.
Argomentando, in genere, «nel silenzio dello statuto vale la regola della distribuzione in
maniera proporzionale alla partecipazione al capitale, regola che può essere derogata da una
decisione dell’assemblea straordinaria[2] e con l’attribuzione ai dissenzienti del diritto di recesso
…(fermo restando) …il limite del divieto di patto leonino»[3].
Nell’ipotesi in cui l’assemblea, nell’approvare un bilancio, non disponesse alcunché in relazione
agli utili, per il socio permarrebbe il diritto di credito per l’utile di periodo, detratto della relativa
quota da accantonare a riserva legale.
Ove si dimostrasse l’intento dei soci di maggioranza, che quindi hanno i “numeri” per decidere
di non distribuire gli utili di periodo, di defraudare con il loro atteggiamento i soci di
minoranza, solo in tal caso questi ultimi potrebbero essere
legittimati a chiedere l’annullabilità della delibera (o decisione)
per la violazione dei principi di buona fede e correttezza.
Ove fosse dimostrato
l’intento dei soci
Il diritto agli utili come diritto insito nella figura di socio
di maggioranza
di defraudare quelli
Il diritto agli utili del socio costituisce uno dei cardini insiti
di minoranza, questi
nella figura del socio stesso, l’eliminazione del quale porterebultimi sono legittimati
be inevitabilmente ad essere in presenza di un patto leonino
all’azione di annullabilità
(che, com’è noto, è vietato).
della delibera per
È tuttavia appena il caso di ricordare che, se il diritto agli utili
violazione
dei principi di
non può essere completamente annullato, rimane valida la
buona
fede
e correttezza
possibilità di limitarlo o ampliarlo tramite l’applicazione delle
disposizioni di cui all’art. 2468 cod. civ. ovverosia attraverso la
(1)
Ricordiamo che l’approvazione del bilancio nelle s.r.l. è demandata alla decisione dei soci e non necessariamente a un’assemblea
come previsto per le s.p.a.
(2) Ovviamente, il riferimento all’assemblea straordinaria deve avere quale ordine del giorno le modifiche dei diritti sociali ex art. 2468
cod. civ.
(3) Commento all’art. 2478­bis a cura di A. Lolli, in A.M. Alberti, Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005.
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determinazione di partecipazioni in via non proporzionale rispetto al capitale conferito (comma 2) o per il tramite di attribuzioni di diritti ad personam (comma 3).
Spunti di esegesi
La percezione periodica degli utili ha sempre interessato la dottrina per la connessione con lo
studio della funzione del contratto di società e delle situazioni soggettive del socio. In vigenza
del codice del commercio (ante 1942), si dava risalto al riparto annuale degli utili quasi come una
norma consuetudinaria che prevedesse una remunerazione periodica del capitale secondo una
misura media da determinarsi con i criteri di sana amministrazione[4]. Successivamente, con il
codice del ’42, la dottrina ha iniziato a considerare il diritto agli utili come un diritto soggettivo
alla ripartizione periodica e come tale intangibile dalla maggioranza[5], fino ad arrivare alla tesi
opposta che vede, ancor oggi, il diritto al dividendo sorgere solo in seguito ad una espressa
volontà dell’assemblea a cui viene dato il potere ampio di limitare o escludere la distribuzione
dell’utile, col solo limite dell’eccesso di potere[6].
Più specificamente, è possibile sintetizzare come segue le posiIl socio non può vantare
zioni dottrinali attualmente in essere.
alcun
diritto al dividendo
Una prima corrente di pensiero ritiene che il diritto agli utili
fino
a
quando
l’assemblea
sussista già dal momento di acquisizione della quota, attribuennon
delibera
sulla loro
do alla delibera che autorizza la distribuzione valore costitutivo
distribuzione
del diritto dei soci a percepire gli utili stessi, poiché tale diritto
troverebbe la sua fonte nello schema legale di società e nel
contratto sociale. In pratica, il diritto agli utili nascerebbe nel
momento dell’acquisizione della titolarità della partecipazione e quindi già all’atto della posizione e qualità di socio. In tal modo il diritto agli utili diverrebbe uno dei diritti che si acquisisce ab
origine con la sottoscrizione del contratto sociale, con la conseguenza che il socio potrebbe
pretendere dalla società un comportamento aderente agli scopi sanciti col contratto sociale e
una determinazione libera, giustificata e in buona fede circa la distribuzione degli utili.
L’altra posizione, cui si aderisce, non riconosce in alcun modo al socio alcun diritto fino a
quando l’assemblea non delibera sulla distribuzione degli utili. Pertanto è solo in tale momento
che sorge (e non prima) il diritto del socio e l’obbligo di distribuzione. Dunque l’utile, fintanto
che non viene distribuito, fa parte del patrimonio sociale e come tale resta un bene della società.
L’assemblea quindi, secondo tale corrente di pensiero, ha piena facoltà di non deliberare per
motivate esigenze sociali, come peraltro avviene nel caso in commento.
Posizione della giurisprudenza
La posizione della giurisprudenza segue sostanzialmente quanto innanzi enucleato per la dottrina. Le
sentenze aventi ad oggetto istanze delle s.p.a. possono essere specularmente applicabili, con gli
opportuni adattamenti, alle s.r.l. Seguono alcune delle principali sentenze che possono essere
paradigmatiche per il discorso in parola. La Cassazione conferma che «non vi è alcun diritto del
socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso»[7] così come «il diritto
sorge se e nella misura in cui la maggioranza assembleare ne disponga l’erogazione ai soci, mentre
prima di tale momento vi è una semplice aspettativa, potendo l’assemblea sociale impiegare
diversamente gli utili o anche rinviarne la distribuzione nell’interesse della società»[8]. Restando in
(4)
(5)
(6)
Per tutti, Soprano, Società commerciali, Torino, 1943.
Simonetto, I bilanci, Padova, 1967.
G. Rossi, Utile di bilancio, riserve e dividendo, Milano, pag. 1; Galgano, Diritto commerciale, Le Società, Bologna, 1992; Ferri,
Diritto commerciale, Torino, 1976.
(7) Cass., Sez. I, 28 maggio 2004, n. 10271.
(8) Cass., Sez. I, 11 marzo 1993, n. 2959; trib. Milano 28 settembre 2006, in Giur. it., 2007, 2, pag. 387.
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IN PRATICA
Partecipazione del socio di minoranza di s.r.l.
Quali accorgimenti possono utilizzare i soci di minoranza di s.r.l.
per tutelare al meglio la propria partecipazione e le correlate possibilità di “exit”?
Disciplinare al meglio,
statutariamente, Il diritto
di recesso dalla società
Stipulare patti parasociali,
quali i sindacati di voto,
di blocco ecc.
Fare uso
di patti di covendita
(tag along; drag along)
tema di diritti patrimoniali, si ribadisce che «il diritto alla quota di liquidazione, come il diritto agli
utili, viene inteso come un diritto di credito verso la società, incerto sia nell’an che nel quantum e sia
nel quando, fino a che non venga depositato il bilancio finale di liquidazione o deliberato il
dividendo»[9]. In merito all’esistenza del diritto agli utili, si è concordi con la Corte d’appello di
Milano ove afferma che «il diritto soggettivo del socio alla distribuzione del dividendo sorge non in
conseguenza di una qualsiasi eccedenza dell’attivo patrimoniale sul passivo della gestione, ma per
effetto della deliberazione assembleare mediante la quale si dispone la distribuzione ai soci di tutto o
parte delle somme risultanti dal rendiconto attivo»[10].
Sull’eventuale azione della maggioranza che non distribuisce gli utili o ne differisce la
di Enrico Holzmiller
distribuzione, bisogna dimostrare «la posizione di vantaggio»[11] o «l’intentoa cura
vessatorio
nei
confronti dei soci di minoranza e l’assenza di motivazioni in ordine alle ragioni ispiratrici
della scelta»[12], o ancora provare «gli interessi divergenti da quelli societari o gli scopi lesivi
del singolo socio»[13].
Mezzi di tutela del socio di minoranza: le facoltà di “exit”
Da quanto innanzi illustrato si conferma quanto anticipato in premessa: il socio di minoranza non
ha alcuno strumento per contrastare la maggioranza che delibera sulla non distribuzione degli utili
di periodo, sempre (beninteso) che la delibera sia stata presa nelle forme e modalità previste dalla
legge e dallo statuto. Se non vi sono ipotesi statutarie che consentono forme di recesso, il socio di
minoranza rischia di essere “ingabbiato” fino al momento estremo della liquidazione della società
a meno che non decida di vendere la sua partecipazione (ma a quale prezzo?).
Di converso, l’unico elemento positivo consisterà nel fatto che, nel caso di specie, la continua
capitalizzazione degli utili di periodo produrrà un indiretto vantaggio del socio che vedrà
comunque la sua quota accrescersi, ceteris paribus (tralasciando quindi gli effetti negativi di una
eventuale sottocapitalizzazione societaria), di valore.
Per evitare di essere bloccati con la propria quota di minoranza, si delineano alcuni consigli da
verificare ex ante, ossia prima dell’acquisto della partecipazione (o della costituzione), utilizzando alcuni istituti previsti dal codice civile e dalla tecnica ricorrente nei contratti, ognuno dei
(9)
(10)
(11)
(12)
(13)
Trib. Trieste 25 giugno 1996, Meditrade s.r.l., in Società, 1996, pag. 1445.
App. Milano, Mezzasalma c/Mediobanca, in Banca, borsa, tit. credito, 1987, II, pag. 421.
Cass., Sez. I, 29 gennaio 2008, n. 2020.
Trib. Milano, Sez. III, 28 maggio 2007.
Trib. Milano 29 giugno 2005, in Banca, borsa, tit. credito, 2006, 5, pag. 627.
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quali valido in momenti e fasi diverse della vita sociale. A titolo indicativo si possono percorrere
le ipotesi di:
l previsione statutaria di diritto di recesso ad hoc dalla società;
[14];
l patti di sindacato ai quali legare la partecipazione di minoranza
l patti di covendita al fine di massimizzare il valore della partecipazione in caso di cessione di
pacchetti, evitando in tal modo che la partecipazione di minoranza perda di appeal.
Diritto di recesso
Il socio che intende acquisire una quota di minoranza, prima di entrare nella compagine
esistente, può “contrattare” particolari ipotesi di recesso da disciplinare (con estrema attenzione) nello statuto. Nelle s.r.l. tale diritto, più volte commentato nelle pagine di questa rivista, è
stato per la prima volta regolato in modo autonomo (rispetto
alla s.p.a.) dal legislatore del 2003 all’art. 2473 cod. civ. Esso
Attraverso i patti
costituisce uno degli strumenti di maggior tutela del socio in
parasociali i soci
quanto assicura la possibilità di disinvestimento e quindi la
di minoranza possono
mobilità del capitale.
regolamentare la loro
I soci che recedono dalla società hanno così diritto di ottenere il
partecipazione nella vita
rimborso della propria partecipazione in proporzione al patridella società difendendosi
monio sociale. Senza entrare nel merito delle varie e delicate
dallo strapotere
considerazioni che attengono il quantum, va ricordato che, rispetdella maggioranza
to alla vecchia impostazione codicistica, ora il socio deve essere
liquidato con un ammontare che tenga conto del possibile “valore di mercato” della società (non potendo più fare riferimento ai
meri valori contabili).
Patti parasociali
Con tale strumento giuridico alcuni soci possono regolamentare la loro partecipazione nella
vita societaria regolandola con specifiche convenzioni al fine di tutelare i propri interessi
particolari e spesso difendendosi dal potere della maggioranza. Tali accordi prevedono, per
esempio, in maniera preventiva, come votare in assemblea ovvero sono finalizzati al mantenimento di un certo pacchetto di quote o azioni.
I patti parasociali più comuni sono: i sindacati di voto, in cui i partecipanti regolano il loro
comportamento nell’assemblea sociale, e i sindacati di blocco, con i quali i partecipanti hanno
l’obiettivo di mantenere stabile e controllato l’assetto proprietario della società.
I patti di covendita: “tag along” e “drag along” Un altro strumento a tutela della minoranza è quello in cui si permette al socio di minoranza di
profittare delle stesse condizioni ottenute dal socio di maggioranza nel caso di vendita. Quanto detto si
rappresenta nella clausola detta di tag along (letteralmente, “diritto di seguire da vicino”), con la quale,
generalmente, se un socio è intenzionato a vendere la propria partecipazione, potrà farlo a condizione
di ottenere dal suo acquirente l’impegno all’acquisto delle residue quote, anche detenute da soci di
minoranza, alle stesse condizioni a lui riconosciute.
Altra clausola, comunemente detta drag along (letteralmente, “diritto di trascinare”), è utilizzata frequentemente in operazioni partecipate da partner finanziari (venture capitalist) in cui generalmente un soggetto
che è interessato alla cessione del proprio pacchetto si interessa anche della condotta di altri soci. Ciò
accade soprattutto quando, per esempio, vi è l’acquisto di una partecipazione condizionata al raggiungi(14) Per un approfondimento sui patti di sindacato e sui patti parasociali, in generale, cfr. L. Amati, «I patti parasociali: genesi,
evoluzione e aspetti operativi», in Diritto e Pratica delle Società n. 3/2009, pag. 82 e segg.
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mento della disponibilità di un certo quorum. In pratica, col diritto di drag along, si riconosce al socio il
diritto di negoziare la vendita della propria partecipazione unitamente a quella degli altri soci (in genere
di minoranza) potendo obbligare questi ultimi a cedere la loro partecipazione, ottenendo così un potere
contrattuale più forte in quanto consente di negoziare la cessione di un “pacchetto” più ampio. Il
Notariato della Lombardia nella massima n. 88 ha aggiunto che «si reputano legittime le clausole
statutarie che prevedono in caso di vendita di partecipazioni in s.p.a. o in s.r.l., il diritto e/o l’obbligo dei
soci diversi dall’alienante di vendere contestualmente, a loro volta, le partecipazioni possedute; queste
clausole (…) ove prevedano l’obbligo di vendita, devono essere compatibili con il principio di una equa
valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa».
In merito alle due clausole appena citate, vi è da aggiungere che esse richiedono impegni molto
stringenti soprattutto per le cautele da prevedere nell’assicurarsi l’adempimento altrui. Inoltre, tali
clausole non sono opponibili ai terzi (salvo che non vengano previste statutariamente) in quanto trattasi
di clausole inserite in patti accessori alla costituzione o alla gestione della società oggetto di cessione.
In conclusione
Finché gli utili che rivengono da un bilancio approvato vengono portati ad incremento del
patrimonio non vi è alcuna perdita da parte del socio (anche di minoranza), in quanto il valore
intrinseco o latente della sua quota viene comunque incrementato dell’utile non distribuito.
Atteso questo, il socio di minoranza potrà incassare gli utili sperati solo se e quando effettivamente deliberati dall’assemblea.
Contro il potere della maggioranza restano pochi ma incisivi mezzi che possono dare alla
minoranza spesso dei risultati inattesi, al fine di tutelare al meglio la sua quota e le possibilità di exit.
di Angelo Salonna,
dottore commercialista
Studio Pugliese
?
F.A.Q. ­ le risposte alle domande più ricorrenti
R
Quando nasce il diritto alla distribuzione degli utili?
Il diritto al dividendo (differente dal generico
diritto agli utili) nasce esclusivamente con la de­
cisione dei soci. Resta il fatto che, se vengono
distribuiti utili in violazione dell’art. 2478­bis, i
soci che li hanno riscossi in buona fede non
sono tenuti a ripeterli.
Come può un socio tutelarsi se l’assemblea dei soci non decide sulla distribuzione degli utili?
Se la delibera è assunta nelle forme di legge,
non vi sono mezzi per contrastare il volere della
maggioranza, a meno che non si intravedano
casi di abuso verso la minoranza. Risulta deter­
minante, per il socio di minoranza, valutare at­
tentamente, all’atto dell’ingresso nella compagi­
ne sociale, le possibilità di exit.
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