Il bacio - Società Amici del Pensiero

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Nome file
020126SC_GBC3.pdf
data
26/01/2002
Contesto
ENC
Relatore
GB Contri
Liv. revisione
Pubblicazione
Lemmi
Atto erotico
Bacio
Capitalismo
Compulsione
Domanda
Imperativo
Lavoro
Pornografia
Primo rapporto
Rapporto
Ripetizione
Canova, Antonio
Lacan, Jacques
Hayez, Francisco
Marx, Karl
CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 2001-2002
UNA IDEA SEMPLICE. LA PIETRA SCARTATA. IL PENSIERO
«COMMEDIE» DEL PENSIERO
26 GENNAIO 2002
3° LEZIONE
IO CHE INIZIA E GIUDICA
DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE
NON CHI DICE "SIGNORE, SIGNORE"
Giacomo B. Contri
1. Il bacio. Questo è il tema.
È a mio avviso sufficiente pensare alla ripetizione del bacio, perché risulti
evidente che non si tratta di compulsione.
Mentre ascoltavo mi tornavano alla mente due celebri raffigurazioni del
bacio della storia dell’arte: uno è l’adorabile bacio di Eros a Psiche di Canova,
questo celebre bacio che dice quale sia la differenza fra atto erotico e pornografia. Nel bacio di Canova non c’è traccia di pornografia. Pur essendo vero
che nulla è lasciato all’immaginazione. È una scultura a 360° secondo latitu-
Giacomo B. Contri
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dine e longitudine: quello che ho chiamato “nulla è lasciato alla fantasia”. E
nulla in esso potrebbe fare pensare alla compulsione.
Un secondo celebre bacio è quello di Hayez, benché io preferisca Canova.
Su Kierkegaard riferisco un’osservazione di Pietro Cavalleri che condivido in pieno. Diceva: “Più leggo o sento parlare di Kierkegaard, più trovo che
abbiamo a che fare con un ossessivo. Con un’aggiunta: in Kierkegaard la
perversione è la via di soluzione, o di non soluzione, data alla nevrosi”. È
stato Cavalleri l’anno scorso a parlarci dell’angoscia in Kierkegaard e Kierkegaard è un ovvio angosciato. È compulsivo in Kierkegaard l’inibizione a baciare Regina Olsen. Non compulsivo sarebbe se baciasse Regina. L’angoscia
di Kierkegaard trabocca di parte in parte, salvo mentire sull’angoscia, facendo
di sé il primo uomo della storia ad aver veramente parlato, mendacemente,
dell’angoscia.
Diversamente da tanti compromessi, mi viene sul filo delle parole in cui
spesso parliamo mendacemente della verità: è molto più onesto.
Nel parlare del bacio, faccio una distinzione. Il bacio di cui ho appena
parlato - Canova, Hayez - è soddisfacente, allorché non gli vengono imposti
limiti. Ma qualsivoglia bacio si pensi, sarà sempre e solo il secondo bacio.
Parlo ora del primo bacio. C’è una relazione stretta fra lavoro psicoanalitico e psicopatologia. Il lavoro psicoanalitico è paragonabile a un polmone, il
polmone che sta fra il sangue arterioso spinto in avanti dal cuore,  il sangue
arterioso dell’Enciclopedia o del Corso o della lingua parlata,  e il sangue
venoso della psicopatologia, della conoscenza della psicopatologia. Nella
seduta di Il Lavoro Psicoanalitico del 26 gennaio 2002 si è posta la distinzione fra udire e vedere, auditus e visus, e si è esplorato il rapporto udire e parlare o parlare e udire. Gli alcuni decimetri di distanza che intercorrono fra
l’orecchio dell’uno e le labbra dell’altro sono solo lì a rappresentare che questo rapporto, il primo dei rapporti, non è immediato, ma è mediato: è il primo
bacio. Senza il primo bacio non vi saranno i secondi baci.
Come giustamente dicono le prostitute, tutto, ma non baciare. C’è una logica, e stringente: il primo bacio è il primo rapporto, e non c’è neppure il
contatto, salvo chiamare contatto le onde sonore che vanno avanti e indietro.
Il primo bacio è un altro modo per dare il nome alla pietra scartata: il primo rapporto è il bacio dell’orecchio con la bocca; è il bacio dell’udire, è il
bacio dell’intendere. Intendere come udire e intendere come intendimento,
intelletto.
In quella seduta, seguendo la medesima costruzione di una celebre frase di
Tommaso d’Aquino, fides per auditum, proponevo che la fede si fa via timpano. Auditus non è una metafora: vuol dire via udito, orecchio esterno, orecchio
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Io che inizia e giudica Dai loro frutti li riconoscerete
medio, orecchio interno. Allo stesso modo amor per auditum: è quello che
chiamo - e lo è - il primo bacio.
La cosa è bene risaputa in tanti casi di isteria, allorché l’orecchio si fa non
intendente, anacusico: non sente.
L’idea mi è venuta poco fa: le commedie di cui ci occupiamo quest’anno,
e in fondo sempre, sono le commedie dei sordi, in cui è omesso il primo rapporto, che è mediato e senza contatto. Il primo bacio non è abbraccio. Se c’è
primo bacio, potrà seguire l’abbraccio, ma il primum nell’esperienza, ivi compreso il solito mamma-bambino, il primum del rapporto non è l’abbraccio.
Non è il contatto. Il primo bacio è il rapporto fra l’udito e le labbra.
A riguardo della nostra invenzione della psicopatologia precoce faccio
un’ipotesi, che potrebbe anche venire falsificata. Il bambino percepisce il
primo bacio  ma attenzione a non ricascare nell’equivoco: non parlo del percepire il primo bacio su di sé, foss’anche quello che ho descritto e definito
come primo bacio, quello a distanza tra udito e labbra  il bambino percepisce
il primo bacio fra gli adulti o la sua assenza. Il primo oggetto della percezione
del bambino è il rapporto. Posso dire che il rapporto è oggetto di percezione,
perché ho parlato di orecchio fisico e di labbra fisiche, e di suoni, e di intendere o non intendere da parte dei due partner del rapporto.
Ho detto ipotesi e ho sufficiente modestia per non proporlo come una
dottrina consolidata. Ma quando raccolgo le ormai numerose testimonianze di
fastidio al ricordo del bacio, del secondo bacio fra i genitori, il fastidio non ha
come fonte quel bacio che ho chiamato “secondo bacio fra i genitori”, ciò che
resta rimosso è la percezione della mancanza del primo rapporto, del primo
bacio fra i genitori, che non ha alcun bisogno di essere proiettato indietro nel
tempo, perché il primo rapporto delle labbra con l’udito è di ogni tempo.
Mi sentirei persino di dire che l’allucinazione uditiva allucina il bacio
non esistito nell’esperienza, allucina il non rapporto.
Nella lista dei secondi baci, potrebbe essere messo al primo posto il bacio
fisico delle labbra all’orecchio, ancora prima che alla bocca. Non so se qualcuno ci ha mai pensato o ne ha una qualche esperienza. C’è solo un caso in cui
l’orecchio farà bene a sottrarsi alla legge del primo bacio. Ma è un sottrarsi
pieno di intendere. È stato bravissimo Lacan a chiamare l’imperativo che già
era denominato Super-io  osceno e feroce: il maledetto Super-io. È corretto
che sia stato chiamato così. Ma, come dice sempre Lacan, l’imperativo del
Super-io non è un imperativo privativo: “Non godere”, ma è l’imperativo del
godimento: “Godi!”. È uno dei grandi colpi di genio di Lacan. Dice Lacan: chi
sappia davvero ascoltare, all’imperativo “Godi!”, risponderà semplicemente:
“Odo”. In francese, l’omofonia è più completa, “Jouis” è “Godi”, “Odo” è
“J’ouis”. Ogni lingua ha le sue possibilità.
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2. Il paradiso del puro comando
Come in Kierkegaard c’è una versione della nevrosi, una versione perversa dell’angoscia, così noi non abbiamo fatto altro che prendercela con una
versione perversa del paradiso, di un paradiso  con altro gioco di parole di cui
mi servo,  in cui l’escatologia,  questa grande parola che ogni tanto aleggia da
qualche parte, altro non è che scatologia, in greco, “merda”. Il paradiso del
puro comando, del puro “Godi!”, della contemplazione comandata, della marcia forzata, è un paradiso di sordi. Nessuno parla e nessuno ode. È escluso il
primo bacio. Ed è abbastanza curioso. Sono un logico da principio di non
contraddizione su larghi spazi, senza fare il professionista del sillogismo.
Perché? Perché io che sono contrario alle teologie naturali - la cosa va presa
tutta da un’altra parte e non intendo perdere tempo su questo argomento e
farvelo perdere… ma se proprio dovessimo concedere che esiste un’idea
corretta di Dio, e accettabile come corretta da chiunque, senza perdere tempo
a dimostrarne l’esistenza - una volta dicevo: se fossi Dio e trovassi qualcuno
che si mette dimostrare la mia esistenza, io, Dio, me la prenderei. “Ma cosa
fate?  - vi chiederei - Mi allucinate? Dimostrare la mia esistenza di Dio, vuole
dire allucinarmi in via argomentativa. Non voglio allucinazioni sul mio conto.
Ci penso io, con la mia brava esistenza, a fare presente qualche cosa!” Dicevo
dunque: se c’è un’idea accettabile di Dio, senza fare tante storie sulle dimostrazioni, è che Dio è qualcuno che ode, non fosse che ode le preghiere. Ha
l’udito in rapporto a delle labbra. Lasciamo stare le vecchie distinzioni sulla
preghiera mentale. Per definizione, se c’è un significato potabile della parola
“Dio”, Dio è uno che sa usare le orecchie, che ode.
È abbastanza curioso che salti fuori un paradiso in cui sono tutti sordi a
partire da lui, in cui non c’è primo rapporto, quello che ho chiamato primo
bacio.
In questo senso, sono molto d’accordo con Glauco Genga quando dice:
no mendicanti, domandanti. Quante volte abbiamo detto con la nostra formula
che il primo atto, l’inizio, è una domanda, che è già un lavoro, un atto. Non
fosse che l’atto di preparare casa mia e di compiere l’atto verbale, poi uditivo,
di invitare qualcuno a casa mia. Si tratta certo di una domanda: l’invitato
potrebbe non venire. Più domanda di questa…!
Quando Cristo dice a quel paio di primi chiamati: “Venite a casa mia”, è
lui a domandare. Quelli potrebbero non andare.
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Io che inizia e giudica Dai loro frutti li riconoscerete
3. Capitalismo e Lavoro
A proposito delle commedie dei sordi. Ricordo una simpatica battuta di
Lacan su un certo analista che aveva teorizzato che nell’analisi funziona il
terzo orecchio. Lacan disse: “Ma che terzo orecchio e terzo orecchio! Come se
per essere sordi non ne bastassero due!”
È la stessa manfrina - uso una trivialità - della marcia in più o del sesto
senso, come se non ne bastassero cinque per essere autistici, inibiti, paralitici,
non vedenti, non udenti. Sulla marcia in più è già stato detto quanto basta.
Giustamente si tratta di lavoro.
Il primo lavoro, dicevamo, è una domanda. Non è che i gigli del campo
non lavorano: è che non fanno il lavoro del sudore della fronte. Fanno un altro
lavoro, il lavoro del ricco, di quella singolare specie di ricchi che non hanno
bisogno di avere degli schiavi, che non sono nati ad Atene, non hanno elaborato una filosofia avente come fine celato il mantenimento della schiavitù, del
rapporto servo-padrone. Il ricco è colui che non spreme sudore dalla fronte per
compiere un lavoro che avrà dei frutti o dei prodotti.
Mantengo il nocciolo ideologico dell’analisi marxiana del capitalismo:
anche il rapporto labbra-udito è un rapporto di lavoro, ovviamente senza sudore della fronte. Nella sordità sintomatica è rifiutato il lavoro dell’intendere. Il
capitalismo, come è stato analizzato da Marx, è un rapporto di lavoro. C’è un
primo lavoro, quello del capitalista, imprenditore o iniziatore, e poi c’è il
lavoro di altri. Certo, già Marx, e io con lui, non era d’accordo che fosse il
migliore dei rapporti di lavoro, ma almeno ha avuto il merito di non cedere sul
fine di una produzione, per di più con valorizzazione, che deriva da un rapporto di lavoro. E che se c’è rapporto è di lavoro.
Detto un po’ alla svelta: anche il capitalismo è una delle commedie
dell’amore o del rapporto. Tengo, anche a vostro beneficio, a questa conclusione. Nulla è più resistente nel nostro intendere, che diventa mal-intendere,
misintendere, che la ripartizione dei rapporti in due classi: quelli che finiscono
per avere o che hanno già fin dal primo momento un carattere pubblico, donde
l’economia politica, e poi i rapporti cosiddetti del bacio: faccende private.
Esiste un’unica classe di rapporti. Nel bene o nel male non ci sono due classi
di esempi di rapporti. Per questo fra il bacio da cui sono partito e il rapporto
cui sono arrivato vi è certamente conflitto, ma non eterologia; non appartengono a due ambiti di leggi differenti, differenziate in private e pubbliche.
© Studium Cartello – 2007
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