1 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ RICERCA IN PSICOTERAPIA RESEARCH IN PSYCHOTHERAPY: PSYCHOPATHOLOGY, PROCESS AND OUTCOME Rivista della Sezione Italiana della Society for Psychotherapy Research Volume 13, Numero 2 - Dicembre 2010 P S R Italia RICERCA IN PSICOTERAPIA 2 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Volume 13 – Numero 2 Dicembre 2010 3 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ RICERCA IN PSICOTERAPIA RESEARCH IN PSYCHOTHERAPY: PSYCHOPATHOLOGY, PROCESS AND OUTCOME ISSN: 2038-­0046 EDITORE: SPR ITALIA (P. IVA 06491871007) Foro Buonaparte 57, 20121 Milano Tel/Fax: 02/36554099 e-­‐mail: [email protected] 4 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ RICERCA IN PSICOTERAPIA RESEARCH IN PSYCHOTHERAPY: PSYCHOPATHOLOGY, PROCESS AND OUTCOME Rivista semestrale della SPR-Italia Sezione italiana della Society for Psychotherapy Research Editors-in-chief Adriana Lis Università degli Studi di Padova Nino Dazzi "Sapienza" Università di Roma Co-editors Giancarlo Dimaggio Terzo Centro, Roma Emilio Fava Università degli Studi di Milano Vittorio Lingiardi "Sapienza" Università di Roma Gianluca Lo Coco Università degli Studi di Palermo Giovanni M. Ruggiero Studi Cognitivi, Milano Sergio Salvatore Università del Salento Sandra Sassaroli Studi Cognitivi Past President SPR-Italia Salvatore Freni Università degli Studi di Milano Girolamo Lo Verso Università degli Studi di Palermo Antonio Semerari Terzo Centro, Roma Nino Dazzi "Sapienza" Università di Roma Scientific Board Stefano Blasi, Università degli Studi di Urbino Rino Capo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma Antonino Carcione, Terzo Centro, Roma Giovanni Castellini, Scuola Cognitiva Firenze Livia Colle, Università Politecnico di Torino Antonello Colli, Università degli Studi di Urbino Martina Conte, Università degli Studi di Milano-Bicocca Francesco De Bei, "Sapienza" Università di Roma Alessandra De Coro, "Sapienza" Università di Roma Franco Del Corno, Università della Valle d'Aosta, Associazione per la Ricerca in Psicologia Clinica, Milano Rocco Diego, Università degli Studi di Padova Santo Di Nuovo, Università degli Studi di Catania Francesca Fiore, Studi Cognitivi, Milano Francesco Gazzillo, "Sapienza" Università di Roma Omar Gelo, Università del Salento Adam Horvath, Simon Fraser, University, Vancouver, Canada Marco Innamorati, Università degli Studi di Bari Paul H. Lysaker, Indiana University, Roudebush VA Medical Center, Indianapolis, USA Marzio Maglietta, Scuola Cognitiva Firenze Francesco Mancini, Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma Paolo Migone, Università di Parma Giuseppe Nicolò, Terzo Centro, Roma Osmano Oasi, Università Cattolica, Milano Katerine Osatuke, National Center for Organization Development, Cincinnati, USA Piero Porcelli, Università di Bari Claudia Prestano, Università degli Studi di Messina Michele Procacci, Terzo Centro, Roma Giuseppe Romano, Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma Silvia Salcuni, Università degli Studi di Padova Diego Sarracino, Università degli Studi di Milano Bicocca Hans Schadee, Università degli Studi di Milano-Bicocca Annamaria Speranza, "Sapienza" Università di Roma Stijn Vanheule, Ghent University, Belgio Marta Vigorelli, Università degli Studi di Milano-Bicocca Riccardo Williams, "Sapienza" Università di Roma Alessandro Zennaro, Università della Valle d'Aosta 5 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ INDICE Editoriale 7 Nino Dazzi La ricerca in psicoterapia: il contributo del Gruppo di lavoro della Cattedra di Psicologia Dinamica (base) della Seconda Università di Napoli Giorgio Caviglia, Raffaella Perrella, Walter Sapuppo, Nadia Del Villano 32 Memories and Futures. Storia e sviluppi di un gruppo di ricerca italiano: dagli studi di efficacia alle analisi delle resistenze al cambiamento Emilio Fava, Pablo Zuglian, Dario Ferrario, Daria Taino, Martina Conte, Francesca Cadeo 53 La ricerca in psicoterapia di gruppo: Alcuni risultati e future direzioni di ricerca. Group therapy research: current issues and future directions Salvatore Gullo, Gianluca Lo Coco, Claudia Prestano, Francesca Giannone, Girolamo Lo Verso 78 Diagnosi e valutazione della personalità, alleanza terapeutica e scambio clinico nella ricerca in psicoterapia Vittorio Lingiardi, Francesco Gazzillo, Antonello Colli, Francesco De Bei, Annalisa Tanzilli, Mariagrazia Di Giuseppe, Nicola Nardelli, Chiara Caristo, Valeria Condino, Daniela Gentile, Nino Dazzi 97 La valutazione degli esiti e del processo nelle psicoterapie offerte dai Centri di Salute Mentale e da un Centro di Psicologia clinica universitario Alessandra De Coro, Adriana Matarrese Silvia Andreassi, Rachele Mariani, Elisabetta Iberni, Valeria Crisafulli, 125 Problemi metodologici nello studio del processo psicoterapico e nella valutazione dell’attaccamento e del rischio psicopatologico in adolescenza Riccardo Williams, Davide Belluardo, Fiorella Fantini, Valentina Postorino, Francesca Ortu 147 6 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Filoni di ricerca in psicoterapia nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova Adriana Lis, Marco Sambin, Emilia Ferruzza, Cristina Marogna, Diego Rocco, Silvia Salcuni 169 Il ragionamento nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo Francesco Mancini, Amelia Gangemi 192 Le disfunzioni metacognitive nei disturbi di personalità: Una review delle ricerche del III Centro di Psicoterapia Cognitiva Raffaele Popolo, Antonio Semerari, Antonino Carcione, Donatella Fiore, Giuseppe Nicolò, Laura Conti, Roberto Pedone, Michele Procacci, Stefania d’Angerio, Giancarlo Dimaggio 218 La psicoterapia come scambio comunicativo. Prospettive di ricerca sul processo clinico Sergio Salvatore, Alessandro Gennaro, Andrea Auletta, Rossano Grassi, Stefano Manzo, Mariangela Nitti, Ahmed Al-Radaideh, Marco Tonti, Nicoletta Aloia, Grazio Monteforte, Omar Gelo 242 Ricerca multistrumentale in psicoterapia, valutazione in psicosomatica e nei servizi psichiatrici: gruppo di ricerca coordinato da Marta Vigorelli Marta Vigorelli 287 7 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Editoriale Nino Dazzi L’uscita di quest’ultimo numero di Ricerca in Psicoterapia, a quindici anni dalla fondazione della sezione italiana della Society for Psychotherapy Research (SPR Italia), è una buona occasione per fare il punto della situazione sulla ricerca in psicoterapia nel nostro paese, e i lavori presentati in questo numero sono di fatto una rassegna degli studi principali dei maggiori filoni di ricerca portati avanti in questi anni dai gruppi italiani del settore. Questi lavori possono essere raggruppati in tre macrodomini: 1) ricerche relative alle caratteristiche delle diverse psicopatologie, 2) ricerche su processo ed esito delle psicoterapie e 3) ricerche sulle terapie condotte nei servizi pubblici. Nelle pagine che seguono cercherò di evidenziare i contributi più originali prodotti da questi gruppi e le loro principali collaborazioni con gruppi di ricerca attivi a livello internazionale. Ricerche sulla psicopatologia Le sindromi cliniche più indagate dai gruppi di ricerca italiani sono il disturbo ossessivo compulsivo, i disturbi del 8 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ comportamento alimentare, i disturbi di personalità e i cosiddetti disturbi psicosomatici. Rispetto al disturbo ossessivo compulsivo, i contributi di maggiore rilievo sono stati elaborati dal gruppo di Francesco Mancini, che si è dedicato, in collaborazione con Paul Johnson Laird, all’analisi puntuale del ragionamento ossessivo, detto anche semidialettico e prudenziale; la persona ossessiva “focalizza l’ipotesi di pericolo, in quanto teme di essere accusata di aver determinato il pericolo stesso. Cerca la falsificazione dell’ipotesi di pericolo perché vuole difendersi dall’accusa e dunque vuole contestarla. Usa standard molto elevati per valutare la portata della falsificazione perché ritiene, by default, che il giudizio sarà severo, nel senso che terrà conto solo della possibilità che lei sia colpevole e non che sia innocente […] per difendersi da possibili imputazioni e sottrarsi quindi al rischio di essere oggetto di espressioni aggressive e critiche sprezzanti, esamina tutte le possibilità di pericolo, e cerca di dimostrarle tutte false, con certezza assoluta, cioè al di là di ogni ragionevole dubbio […] la nostra ipotesi è dunque che lo stato mentale dell’ossessivo sia caratterizzato dal timore di colpa per irresponsabilità” (pp. 206-207). Il gruppo di Mancini ha quindi distinto un senso di colpa altruistico, che si concentra sui possibili danni arrecati agli altri da una propria azione, da un senso di colpa ontologico, che deriva dalla trasgressione di una norma morale o dell’ordine naturale delle cose e sarebbe tipico dei pazienti ossessivi (Mancini & Gangemi, 2004; Gangemi & Mancini, 2007; Gangemi, Mancini, & Johnson-Laird, 2010). Le caratteristiche della personalità e della cognizione dei pazienti con disturbi del comportamento alimentare (DCA) e dei pazienti obesi sono state oggetto di ricerca da parte dei gruppi di 9 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Sandra Sassaroli, Giorgio Caviglia, Emilio Fava e Cinzia Masserini, e Vittorio Lingiardi. Il primo gruppo ha messo in evidenza il ruolo di controllo, criticismo, perfezionismo patologico e rimuginio nei DCA, approfondendo in particolar modo i correlati cerebrali del rimuginio e il ruolo patogeno del perfezionismo, ed elaborando un protocollo empiricamente validato per il trattamento di questi disturbi (Sassaroli, Gallucci, & Ruggiero, 2008; Sassaroli, Romero, Ruggiero, & Frost, 2008; Sassaroli, Apparigliato, Bertelli, Boccalari, Fiore, Lamela, Scarone, & Ruggiero, 2010). Sempre a questo gruppo dobbiamo poi una serie di ricerche sui fattori metacognitivi e il pensiero desiderante nelle dipendenze patologiche e nei disturbi del controllo degli impulsi (Spada, Caselli, & Wells, 2009; Caselli Ferretti, Leoni, Rebecchi, Rovetto, & Spada, 2010a; Caselli, Bortolai, Leoni, Rovetto, & Spada, 2010b; Caselli & Spada, in press), oltre che uno studio approfondito della “night eating syndrome” che gli è valso un invito agli incontri preliminari per l’introduzione di questo disturbo nel DSM-V (Vinai, Cardetti, Carpegna, Ferrato, Vallauri, Masante, Sassaroli, Ruggiero, Scarone, Bertelli, Bidone, Busetto, & Sampietro, 2009). Il gruppo diretto da Giorgio Caviglia è impegnato da alcuni anni nell’analisi empirica del contributo della dissociazione e dell’alessitimia ai DCA, e nello studio delle caratteristiche psicologiche di pazienti obesi (Caviglia, Perrella, La Marra, & Giannini, 2006; La Marra, Sapuppo, & Caviglia, 2009; La Marra, Sapuppo, Chieffi, & Caviglia, 2010); il gruppo di ricerca diretto da Emilio Fava e Cinzia Masserini ha avviato una ricerca tesa a valutare le caratteristiche psicodinamiche tipiche dei pazienti con DCA e le loro implicazioni terapeutiche per mezzo della seconda versione della Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata 10 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (OPD-2; OPD Task Force, 2006), la cui edizione italiana è stata curata dagli stessi autori in collaborazione con il Prof. Cierpka di Heidelberg e la Task Force internazionale dell’OPD (Fava, Zuglian, Taino, & Di Genova, 2009). Il gruppo diretto da Vittorio Lingiardi, invece, si è concentrato sulla relazione tra stili di personalità e DCA e ha replicato e approfondito uno studio statunitense teso a delineare i sottotipi di personalità di adolescenti anoressiche con la Shedler-Westen Assessment Procedure 200-A (SWAP-200 A; Westen, Shedler, Durrett, Glass, (perfezionistico/ad & Martens, alto 2003). Di funzionamento, ogni sottotipo disregolato e ipercontrollato) ha quindi indagato le caratteristiche dell’identità, gli affetti prevalenti, gli stili di regolazione delle emozioni e le loro implicazioni per la psicoterapia (Gazzillo, Lingiardi, Peloso, Giordani, Vesco, Filippucci, & Zanna, submitted). Anche il gruppo coordinato da Francesca Ortu si è dedicato allo studio della diagnosi dei disturbi di personalità in adolescenza con la SWAP, confrontando le caratteristiche della diagnosi SWAP standard con quelle della diagnosi SWAP clinico/prototipica secondo i fattori di personalità empiricamente derivati con questo strumento. Sempre a questo gruppo dobbiamo poi una serie di studi sulla relazione tra modelli di attaccamento in adolescenza, funzionamento difensivo, attività referenziale, funzione riflessiva e sistemi motivazionali. In particolare, una ricerca condotta con il sistema dei Profilo d’Interazione Genitore-Adolescente (PIGA; Lyons-Ruth, Hennigshausen, & Holmes, 2003; Lyos-Ruth, Yellin, Melnick, & Atwood, 2005) e il sistema AIMIT per la valutazione dei sistemi motivazionali basata su trascritti di sedute (Liotti & Monticelli, 2008) ha messo in evidenza come “anche nella popolazione italiana studiata la qualità delle interazioni fra genitore e 11 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ adolescente impegnati nella soluzione del compito decisionale mostra una correlazione positiva con la categoria di attaccamento del genitore e al tempo stesso si rivela più capace della sola categoria di attaccamento del genitore di predire la categoria di attaccamento dell’adolescente (Williams, Ardito, Ortu, & Dazzi, 2008). Questo dato è stato inoltre confermato da un altro studio dell’attaccamento che evidenziava rispetto alla la forte modalità predittività di gestione dell’aggressività fra genitore bambino” (p. 162). I clinici di Terzo Centro di Psicoterapia Congitiva, in collaborazione con il gruppo di Lysaker, hanno invece approfondito il ruolo della metacognizione e dei suoi diversi sottofattori nella patogenesi di diversi disturbi di personalità e della schizofrenia (Dimaggio, Semerari, Carcione, Nicolò, & Procacci, 2007, Carcione, Dimaggio, Fiore, Nicolò, Procacci, Semerari, & Pedone, 2008; Dimaggio Carcione, Nicolò, Conti, Fiore, Pedone, Popolo, Procacci, & Semerari, 2009; Lysaker, Dimaggio, Buck, Carcione, Procacci, Davis, & Nicolò, 2010; Semerari, Cucchi, Dimaggio, Cavadini, Carcione, Bottelli, Siccardi, D’Angerio, Pedone, Ronchi, Maffei, & Smeraldi, 2010; Semerari, Dimaggio, Cucchi, Cavadini, D’Angerio, Battelli, Siccardi, Ronchi, Maffei, & Smeraldi, 2010). Da un primo modello secondo il quale la metacognizione era considerata un costrutto quadrifattoriale, studi recenti sembrano sostenere un modello a due fattori, uno relativo alla Teoria della Mente (in cui rientrano le capacità di decentramento e differenziazione) e uno relativo all’Autoriflessività (in cui ricadono monitoraggio e integrazione). Anche il gruppo coordinato da Vittorio Lingiardi ha dato contributi importanti alla diagnosi e alla comprensione dei disturbi della personalità curando la versione italiana della 12 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Shedler Westen Assessment Procedure per adulti e per adolescenti (SWAP-200 e SWAP-200 A; Westen & Shedler, 1999a, 1999b; Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003) e del Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM; PDM Task Force, 2006). Sempre a questo gruppo si deve l’applicazione della SWAP alla ricerca su processo ed esito delle psicoterapie, di cui parleremo in seguito, e la costruzione e validazione di alcuni strumenti empirici per la valutazione della diagnostica di personalità per gli adulti del PDM. Infine, il gruppo coordinato da Marta Vigorelli ha approfondito i problemi connessi alla valutazione e al trattamento dei cosiddetti disturbi psicosomatici, e ha elaborato una Scala di Focalizzazione/Intelligenza Somatica (Scognamiglio, Zoccarato, Vigorelli, Gallucci, & Zerbini, 2008) tesa a superare i limiti di strumenti analoghi già esistenti come la Toronto Alexitymia Scale20 (TAS-20; Bagby, Parker, & Taylor, 1994a, 1994b). Ricerche su processo ed esito delle psicoterapie Rispetto all’ambito specifico della ricerca su processo ed esito delle psicoterapie, i gruppi italiani si sono distinti per varie collaborazioni internazionali finalizzate alla costruzione, validazione e implementazione di vari strumenti utili alla valutazione dei trascritti di sedute di psicoterapia. Il gruppo condotto da Vittorio Lingiardi, in collaborazione con Jonathan Shedler prima e con Sherwood Waldron poi, ha pubblicato due lavori in cui la SWAP viene utilizzata, assieme alla Defense Mechanism Rating Scale (DMRS; Perry, 1990) e alle Analytic Process Scales (APS; Waldron, Scharf, Hurst, Firestein, & Burton, 2004a; Waldron, Scharf, Crouse, Firestein, Burton, & Hurst, 2004b), per valutare processo ed esito delle psicoterapie di due pazienti con disturbi della personalità. Questi studi 13 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ hanno confermato il dato, già presente in letteratura, che una buona psicoterapia psicoanalitica è in grado di modificare l’assetto di personalità e lo stile difensivo dei pazienti, e che il fattore terapeutico più efficace è la qualità delle comunicazioni del terapeuta, al di là dei tipi specifici di intervento (chiarificazioni, interpretazioni, interventi di sostegno, comunicazioni su difese, conflitti, transfert, etc.). La qualità delle comunicazioni del terapeuta, a sua volta, sembra favorita dalla produttività delle comunicazioni del paziente, delineando così un circolo comunicativo virtuoso indice di una buona sintonizzazione tra paziente e terapeuta (Lingiardi, Shedler, & Gazzillo, 2006; Lingiardi, Gazzillo, & Waldron, 2010). Sempre a questo gruppo, in collaborazione con Cristopher Perry, dobbiamo poi la validazione della versione italiana della DMRS e la costruzione di una sua versione Q sort per utilizzo clinico (Lingiardi, Lonati, Fossati, Vanzulli, & Maffei, 1999; Perry, Di Giuseppe, Petraglia, Janzen, & Lingiardi, submitted); la costruzione di un sistema Q sort per la valutazione dell’attaccamento paziente-terapeuta sulla base dei trascritti delle sedute, il Patient-Therapist Attachment Q-sort (PTA Q-sort; De Bei, Lingiardi, & Miccoli, 2007), che è stato utilizzato per monitorare l’andamento della relazione terapeutica in un caso singolo e per indagare la relazione tra attaccamento pazienteterapeuta e alleanza terapeutica; la traduzione e validazione della versione italiana dello Psychotherapy Relationship Questionnaire (PRQ; Bradley, Heim, & Westen, 2005; Tanzilli, Colli, De Bei, & Lingiardi, 2010), del Countertransference Questionnaire (CTQ; Betan, Heim, Conklin, & Westen, 2005; Tanzilli, Colli, & Lingiardi, 2009) e dello Psychotherapy Process Q- set (Jones, 1985, 2000; Colli & Gazzillo, 2006; Lingiardi & Dazzi, 2008). Infine, Colli e Lingiardi hanno elaborato uno 14 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ strumento di valutazione dei processi di costruzione e rottura dell’allenza terapeutica sulla base dei trascritti di sedute, la Collaborative Interactions Scale (CIS; Colli & Lingiardi, 2009) e hanno progettato una serie di ricerche tese a indagare empiricamente la relazione tra alleanza, diagnosi di personalità, meccanismi di difesa, tipologie di interventi del terapeuta e attività referenziale. È invece al gruppo di Allessandra De Coro che dobbiamo, in collaborazione con Wilma Bucci, la validazione della versione italiana della Referential Activity (RA; Bucci, 1995, 1997, 1999; Bucci & Kabasakalian-McKay, 1992) e la costruzione di alcuni dizionari computerizzati per il suo scoring su materiale in lingua italiana: l’Italian Weighted Referential Activity Dictionary (IWRAD; Maskit, 2004; De Coro. Lang, Del Corno, Parolin, Matarrese, Piscitelli, Iberni, & Basile, 2004), il dizionario delle parole riflessive (IREF; Mariani, 2009); il dizionario della disfluenza (IDF; Bonfanti, Campanelli, Cilimberti, Golia, & Papini, 2008); il dizionario degli affetti positivi, negativi e parole con peso affettivo ma non connotate positivamente o negativamente (IAFF; Rivolta, Mariani, & Tagini, 2009) e il dizionario senso-somatico (ISS; Mariani, 2009). Mentre al gruppo di Padova coordinato da Diego Rocco dobbiamo l’applicazione della RA e del suo indice di Speech Rate, ai trascritti di sedute di psicoterapia; le loro ricerche hanno messo in evidenza che “le fluttuazioni di velocità di eloquio sono significativamente correlate con le qualità espressive contenute nel linguaggio (Rocco, 2005), e che i due attori della scena clinica sono reciprocamente sensibili non solo ai contenuti della produzione verbale, ma anche alle caratteristiche paraverbali della stessa (Rocco, 2008). Sempre al gruppo coordinato da Alessandra De Coro dobbiamo infine una serie di ricerche finalizzate alla validazione della versione italiana 15 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ dell’Inventory of Personality Organization (Lenzenweger, Clarkin, Kernberg, & (Beijersbergen, Foelsch, 2001) e del Bakermans-Kranenburg, Coherence & Van Q- Sort Ijzendoorn, 2006) e l’applicazione di questi strumenti ad alcune ricerche su processo ed esito delle psicoterapie. Il gruppo di ricerca coordinato da Francesca Ortu ha invece approfondito lo studio del Core Conflict Relationship Theme (CCRT; Luborsky, 1990), proponendo di applicarlo a unità narrative più comprensive di quelle proposte dal sistema di codifica originale e modificando la griglia di scoring dei wish secondo il modello dei sistemi motivazionali di Lichtenberg (1989; Lichtenberg, Lachmann, & Fosshage, 1996). Questo gruppo ha inoltre indagato empiricamente la relazione tra CCRT, alleanza terapeutica, attività referenziale e meccanismi di difesa. Il gruppo dell’Università di Lecce coordinato da Sergio Salvatore è partito da una concezione socio-costruttivista della relazione terapeutica, influenzata dalla teoria dei sistemi dinamici, per costruire e validare tre strumenti per la valutazione del processo terapeutico, il Descoursive Flow Analysis (DFA; Gennaro, Al-Radaideh, Gelo, Manzo, Nitti, & Salvatore, 2010; Salvatore, Grasso, & Tancredi, 2004; Salvatore, Valsiner, Travers-Simon, & Gennaro, 2010a, 2010b), che permette un’analisi dei processi di generazione e mutamento di senso che caratterizzano lo scambio discorsivo terapeutico; il Grid of the Models of Interpretation (GMI; Auletta, 2010; Auletta & Salvatore, 2008; Auletta, Salvatore, Metrangolo, Monteforte, Pace, & Puglisi, submitted) per l’analisi degli interventi del terapeuta, e il metodo di analisi semantica delle narrazioni chiamato Dynamic Mapping of the Ctructure of Content in Clinical Settings (DMSC; Salvatore, Gennaro, Auletta, Grassi, & Rocco, submitted). Anche 16 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ questo gruppo ha stabilito una serie di collaborazioni internazionali con ricercatori come Gonçalves e Tschacher. Una delle peculiarità dei gruppi italiani che si occupano di ricerca in psicoterapia è poi quella di prediligere l’analisi multistrumentale e intensiva di single case. Da segnalare, in questo senso, i numerosi lavori del gruppo di Padova condotto da Adriana Lis (Lis, Salcuni, Zini, Genovese, Di Riso, & Zonca, 2005; Di Riso, Salcuni, Laghezza, Marogna, & Lis, 2009; Lis, Mazzeschi, Di Riso, & Salcuni, in press), che hanno indagato varie psicoterapie dinamiche di sostegno per mezzo di strumenti come la SWAP (Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003), la DMRS (Perry, 1990), la CIS (Colli & Lingiardi, 2009), la Scala del Funzionamento Riflessivo (SFR; Fonagy, Target, & Gergely, 2000) e la Scala di Valutazione della Metacognizione (SVaM; Carcione, Falcone, Magnolfi, & Manaresi, 1997), lo strumento costruito dai ricercatori del Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva per la valutazione basata sui trascritti delle capacità metacognitive. Sempre a questo gruppo si deve poi l’implementazione del Collaborative Assessment (CA; Fisher, 2000; Finn, 2006) e studi sull’applicazione alla ricerca in psicoterapia di strumenti come la Symptom Check List – 90 (SCL-90; Derogatis, 1977), il Millon Clinical Multiaxial Inventory (MCMI; Millon, 1983a, 1983b, 1987, 1997a,1997b), il Rorschach, l’Adult Attachment Interview (AAI; George, Kaplan, & Main, 1985) e l’Adult Attachment Projective Picture System (AAP; George, West, & Pettem, 1999). Il gruppo coordinato da Marco Sambin, infine, in collaborazione con l’Università di Ulm, ha avviato un complesso progetto di ricerca teso a valutare “i correlati neurali dei pattern linguistici che caratterizzano le quattro fasi del Modello dei Cicli Terapeutici (TCM), derivato dalla Resonating Mind Theory di 17 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Mergenthaler (Mergenthaler, 2008; Benelli, Messina, Viviani, Mergenthaler, Walter, Sambin, & Buchheim, 2010)” (p. 183). Menzione a parte merita poi la ricerca sui gruppi terapeutici di matrice psicoanalitica, settore ancora poco esplorato dal punto di vista empirico a cui alcuni gruppi italiani hanno dato contributi importanti. Basti citare i lavori del gruppo di Palermo coordinato da Girolamo Lo Verso, che oltre ad aver elaborato una riflessione sistematica sui problemi teorici e metodologici connessi alla valutazione di processo ed esito delle psicoterapie di gruppo a lungo termine, ha anche condotto alcuni studi empirici sui gruppi psicodinamici per pazienti con disturbi del comportamento alimentare e per soggetti con disturbo di panico (Di Nuovo & Lo Verso, 2005; Prestano, Lo Coco, Gullo, & Lo Verso, 2008), e sta attualmente svolgendo ricerche empiriche tese a indagare quali sono i fattori mutativi del setting gruppale e le caratteristiche psicologiche dei pazienti che permettono di beneficiare di una terapia di gruppo (Lo Coco, Salerno, Gullo, Prestano 2010; Lo Coco, Gullo, Prestano, Cicero, 2010; Lo Coco, Gullo, Salerno, Iacoponelli, 2010; Prestano, Cicero, Gullo, Alcuri, Lo Coco, & Carcione, 2009). Il gruppo di ricerca dell’Università di Padova, coordinato dalle professoresse Ferruzza e Marogna è invece impegnato nella costruzione di strumenti empirici utili alla valutazione di processo ed esito delle psicoterapie di gruppo: una versione per gruppi della CIS (Marogna, 2009), che permetterà di valutare i processi di costruzione e rottura dell’alleanza in questo tipo di setting, una Scala di Misura dell’Autoconsapevolezza (SMAC; Silvestri, Lalli, Mannarini, Ferruzza, Nuzzaci, Furin, Lucidi, & Rapazzini, 2008) e una Description of Individual in Group (DIG; Silvestri & Ferruzza, in progress), strumento teso alla rilevazione delle “specifiche modalità relazionali dell’individuo nel contesto 18 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ di un gruppo di psicoterapia, in relazione al funzionamento del gruppo nella sua globalità” (p. 181). La ricerca sulle psicoterapie condotte nei servizi pubblici Tre sono i gruppi italiani che si sono occupati finora con maggiore continuità di questo ambito specifico della ricerca in psicoterapia: quello di Milano, coordinato da Emilio Fava e Cinzia Masserini, quello diretto da Marta Vigorelli e quello di Alessandra De Coro. I lavori di Fava e Masserini si sono serviti di strumenti come la Stuctural Assessment of Social Behavior (SASB; Benjamin, 1974) e l’Operationalized Psychodynamic Diagnostic system (OPD; OPD Task Force, 2006) per indagare i cambiamenti cui i pazienti in psicoterapia presso servizi pubblici vanno incontro, e per indagare le principali cause degli elevati tassi di drop-out riscontrati in questi setting. Tra i fattori terapeutici maggiormente approfonditi da questo gruppo vi è la cosiddetta relazione reale tra paziente e terapeuta (Gelso, 2002) e i risultati dei loro studi indicano la valenza antiterapeutica di alcuni moti problematici caratterizzati da un atteggiamento interpersonale di aggressività e controllo benevolo o neutro per quanto riguarda il terapeuta, e risposte avversive di aggressività, sottomissione neutra e ostile o evitamento, da parte del paziente. In secondo luogo, sembra che la qualità e l’andamento nel tempo degli introietti siano diversi nei pazienti good outcome versus poor outcome. “I pazienti ad esito positivo mostrano un incremento della capacità di prendersi cura di sé e una diminuzione di modalità biasimanti e aggressive verso il sé, i pazienti ad esito insoddisfacente mostrano, invece, un livello elevato e stabile nel tempo di moti auto-biasimanti e trascuranti e assenza di moti di accudimento di sé nell’arco di tempo considerato” (p. 62). 19 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Sempre questo valutazione gruppo chiamato ha Verbal poi costruito and Enactive un modello di Representations Analysis (VERA), che implementa le concezioni teoriche di Sasso (2009) e si psicoanalisi, propone come permettendo ponte di tra infant avanzare research alcune e ipotesi neurologiche sull’impatto esercitato sul cervello del bambino dall’elaborazione dell'interazione materna, su come la madre possa modificarla e su come questo processo si replichi nell’interazione tra paziente e terapeuta. Fava e collaboratori hanno anche elaborato un modello, denominato Empirically Supported Multi-instrumental Supervision (ESMS), che permette di condurre supervisioni di casi clinici nei servizi pubblici appoggiandosi ai dati ottenuti per mezzo di stumenti empirici che valutano alcuni fattori dal valore terapeutico comprovato (come OPD-2, CIS, SASB, RA). Il gruppo coordinato da Marta Vigorelli si è invece servito di due strumenti di valutazione della qualità delle psicoterapie nei servizi pubblici e della loro efficacia clinica: l’HoNOS (Lora, Bai, & Bianchi 2001)1 e il Community Functioning Questionnaire (CFQ-28; Vigorelli, Zanolini, Belfontali, Tatti, Buratti, & Peri, 2008; Vigorelli, 2010), pensato specificamente per la valutazione del funzionamento delle comunità terapeutiche. Il gruppo coordinato da Alessandra De Coro, infine, in collaborazione con due ASL di Roma, ha avviato tre progetti di valutazione di processo ed esito delle terapie condotte nei servizi pubblici servendosi di strumenti di valutazione degli interventi terapeutici, dell’alleanza terapeutica, dei sintomi, dei meccanismi di difesa, dei modelli di attaccamento e degli stili di personalità: la versione italiana curata da Gherardo Amadei 1 L’Health of the Nation Outcome Scales è stata creata in Gran Bretagna dal gruppo di lavoro di Wing e Co. su richiesta del Ministero della Sanità al fine di valutare il disagio iniziale e il miglioramento nelle varie fasi dei trattamenti effettuati nei Servizi Pubblici. 20 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ della Psychotherapy Periodical Rating Scale (PPRS) utilizzata all’Anna Freud Center per valutare il lavoro svolto nelle sedute, il Working Alliance Inventory (WAI; Horvath & Greenberg, 1989), la SCL-90, il Response Evaluation Misure-71 (REM-71; Steiner, Araujo, & Koopman, 2001), il Coping Orientation to Problems Experienced (COPE; Carver, Scheier, & Weintraub, 1989), la AAI (Main & Goldwyn, 1998; Main, Kaplan, & Cassidy 1985) e la SWAP (Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003). Nella ricerca sulle terapie dei pazienti gravi, cioè di organizzazione borderline o psicotica, questo gruppo ha utilizzato anche l’Inventory of Personality Organization (Lenzenweger, Clarkin, Kernberg, & Foelsch 2001), il Big Five Questionnaire (Caprara, Gentilomo, Barbaranelli, & Giorgi, 1993), l’OPD (Gruppo OPD, 1996/2001) e la Psychological Well-Beeing Scale (Ryff, 1995). Alla luce di questa sintetica rassegna dei contributi, credo di poter dire che la ricerca in psicoterapia in Italia si sia contraddistinta da una parte per la sua capacità di riprendere, approfondire e raffinare filoni di ricerca internazionali, basti pensare ai lavori del gruppo di Lingiardi sulla SWAP, sulle APS e sull’allaenza terapeutica, o a quelli sulla RA dei gruppi di Alessandra De Coro e Diego Rocco e sul CCRT di Francesca Ortu, e dall’altra per aver dato vita a una serie di strumenti e di filoni di ricerca innovativi che hanno trovato, e spero continueranno a trovare, risonanza internazionale. Segnalo, in tal senso, i contributi del Terzo Centro di Psicologia Cognitiva di Roma, che ha approfondito dal punto di vista teorico ed empirico la valutazione della funzione metacognitiva, il suo ruolo in vari disturbi di Asse I e II e le sue implicazioni terapeutiche. E la concettualizzazione della psicoterapia come declinazione specifica dello scambio comunicativo proposta dal gruppo di Sergio Salvatore, che si sta dedicando alla costruzione e 21 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ all’applicazione di sofisticati strumenti di valutazione del processo terapeutico sulla base dei trascritti di sedute. Un altro filone importante è quello della ricerca su processo ed esito delle psicoterapie condotte nei servizi pubblici; i gruppi coordinati da De Coro, Fava e Masserini hanno infatti avviato una serie di collaborazioni con le istituzioni pubbliche tese a sviluppare modelli di supervisione e intervento clinico che possano beneficiare dei dati ricavati dalla ricerca empirica. Se il lavoro di ricerca permette infatti ai professionisti che lavorano nei servizi di monitorare l’efficacia degli interventi, il lavoro svolto dai clinici in queste istituzioni permette ai ricercatori italiani di sviluppare programmi e strumenti di ricerca sempre più “institution tailored” e sempre più utili alla clinica come “si presenta in natura”. E non vi è dubbio che tutti gli sforzi tesi a rafforzare il dialogo e lo scambio reciproco tra università e servizi territoriali e competenza clinica e di ricerca debbano essere sempre più valorizzati e sostenuti. Questo punto mi permette di sottolineare un’altra caratteristica specifica della ricerca italiana sulla psicoterapia: mi riferisco alla costante attenzione dedicata alla esigenze di clinici e pazienti nel rispetto dei vincoli metodologici e di verificabilità della scienza empirica. Il lavoro dei gruppi italiani impegnati in questa impresa si caratterizza infatti per un solido radicamento nella clinica “as usual” e per un interesse specifico per le ricadute cliniche delle ricerche empiriche. Questa particolare sensibilità ha fatto sì che nel nostro paese molti gruppi si siano dedicati ad approfondite ricerche “single case” su terapie condotte in setting naturalistici, e allo studio di strumenti e metodologie di ricerca applicabili in contesti complessi come quelli dei servizi pubblici. 22 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Un ultimo ambito a cui la ricerca italiana ha dato contributi significativi è poi quello della chiarificazione e ridefinizione teorica ed empirica dei fattori terapeutici di dimostrata efficacia. Mi riferisco in primo luogo al costrutto di “alleanza”, la cui bontà come predittore dell’outcome delle psicoterapie è comprovata da numerose ricerche ma il cui significato si è dilatato a tal punto da minarne la consistenza, tanto che possiamo definirlo un “concetto ombrello” (Horvath, 2006; Horvath & Symonds, 2002; Lingiardi, 2002). Proprio rispetto all’alleanza, le ricerche del gruppo di Vittorio Lingiardi hanno messo in evidenza come si tratti di un costrutto complesso influenzato da molteplici fattori interconnessi: dalle dinamiche di transfert, controtransfert ai processi di regolazione affettiva reciproca, dai modelli di attaccamento agli stili di personalità di paziente e terapeuta, dalla funzione riflessiva ai meccanismi di difesa e alla qualità delle comunicazioni che hanno luogo nella stanza di terapia. In conclusione, credo che la ricerca italiana in psicoterapia nei prossimi anni dovrà affrontare due compiti importanti: in primo luogo, quello di definire con maggiore chiarezza il senso dei suoi costrutti teorici di base (alleanza, transfert, relazione reale, controtransfert, qualità degli interventi, etc.) tenendo conto delle evidenze empiriche; in secondo luogo, quello di colmare lo iato che ancora divide la ricerca sulla psicopatologia dalla ricerca su processo ed esito delle psicoterapie. Auspico, in altri termini, che i gruppi italiani inizino a progettare ricerche tese a verificare quali sono i fattori terapeutici efficaci nel trattamento di specifici disturbi, e che le ipotesi sviluppate e messe alla prova delle indagini empiriche si basino su ricerche ad hoc relative ai fattori specifici che contribuiscono allo sviluppo e al mantenimento dei diversi quadri psicopatologici. Si tratta quindi di cercare risposte alle domande relative a quali dimensioni e funzioni psichiche 23 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ siano connesse ai diversi quadri psicopatologici e a quali fattori della psicoterapia riescano a incidere su queste dimensioni e funzioni. Non ci dovremo più chiedere soltanto quale terapia sia efficace con quale paziente e con quale disturbo, ma quali fattori terapeutici siano efficaci con quali dimensioni psichiche rilevanti per quali disturbi. È una sfida ambiziosa, ma è tempo che venga recepita. Bibliografia Auletta, A.F. (2010). The empirical study of therapist interpretations; the Grid of the Models of Interpretations (GMI). Tesi di dottorato non pubblicata, Università del Salento, Lecce. Auletta, A.F., & Salvatore, S. (2008). Grid of the Models of Interpretations. Manuale per la codifica. 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Relazione presentata al Convegno Le Nuove frontiere della ricerca clinica in adolescenza, Roma. 32 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ La ricerca in psicoterapia: il contributo del Gruppo di lavoro della Cattedra di Psicologia Dinamica (base) della Seconda Università di Napoli Giorgio Caviglia,1 Raffaella Perrella,2 Walter Sapuppo,3 Nadia Del Villano4 Sommario Lo scopo del presente lavoro è quello di illustrare i contributi passati e gli attuali interessi del Gruppo di ricerca della Cattedra di “Psicologia Dinamica” (corso di base) della Facoltà di Psicologia della Seconda Università di Napoli, nonché di presentare e argomentare le pubblicazioni scaturite negli ultimi anni dalle quelle ricerche. I lavori si inseriscono nelle aree relative alla Teoria dell’ Attaccamento, alla valutazione psicologica, allo studio della psicopatologia connessa ai Disturbi del Comportamento Alimentare, alla ricerca in psicoterapia “single case”. Parole chiave Disturbi del comportamento alimentare, teoria dell’attaccamento, ricerca in psicoterapia, psicopatologia ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Professore Associato, Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, S.U.N., 2 Assegnista di Ricerca, Professore a contratto, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, 3Docente contrattista, Facoltà di Psicologia, S.U.N., Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC-Napoli, 4Dottorando di Ricerca, Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Università degli Studi di Bari 33 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Corrispondenza: Prof. Giorgio Caviglia, Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, S.U.N., via Vivaldi 43 -81100- Caserta (CE) E-mail: [email protected] Introduzione La Cattedra di “Psicologia Dinamica” (corso di base) della Facoltà di Psicologia della Seconda Università di Napoli si occupa da diversi anni di ricerca in psicoterapia e in particolare della ricaduta teorica (rispetto ai costrutti e ai modelli) e clinica (rispetto alle tecniche collegate a una teoria) dei risultati della ricerca empirica. Il Referente e Coordinatore è il Prof. Giorgio Caviglia, Professore Associato confermato di “Psicologia Dinamica”. Collaboratori a ricerche specifiche sono stati, negli anni, Raffaella Perrella, Walter Sapuppo, Nadia Del Villano, Sara Bisogno, Claudia Cecere, Domenico Nardiello, Marco La Marra, Emanuele Del Castello, Barbara Fiocco, Adriana Solla. I collaboratori sono tutti Psicologi che hanno diverse qualifiche (Professori a contratto, dirigente psicologo della ASL, Dottori di Ricerca e dottorandi, consulenti di Tribunale, di aziende e di studi privati) e specializzazioni (in Psicoterapia Psicoanalitica, Psicodinamica, Lacaniana, Relazionale, Cognitivo-Comportamentale e in Psicodiagnostica). La Sede del Gruppo di ricerca è presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, Facoltà di Psicologia, Dipartimento di Psicologia. La ricerche portate avanti dalla Cattedra, hanno sempre avuto come obiettivo quello di proporre una loro successiva ricaduta sia sulle teorie a cui si riferivano e da cui derivavano, sia a livello dell’intervento clinico. Nella bibliografia finale verranno riportati tutti i lavori, relativi alle diverse aree, sviluppati nel tempo dagli appartenenti al Gruppo di ricerca. I lavori prodotti verranno divisi, per chiarezza espositiva, come detto, in cinque filoni. Abbiamo deciso di raggruppare gli ambiti di ricerca del nostro Gruppo di lavoro nelle seguenti cinque aree principali: 1) Disturbi del Comportamento Alimentare (la tematica più recente); 2) teoria dell’Attaccamento applicata all’ambito scolastico e clinico; 3) nonché come riflessione storica, teorica e clinica; 34 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 4) ricerca in psicoterapia “single case”; 5) trauma e psicopatologia; 6) ambito psicodiagnostico e della valutazione psicologica. Vediamo, a seguire, in maniera più dettagliata, le aree specifiche, le cui citazioni sono inserite, come già detto, tutte insieme, nella bibliografia finale. 1) Disturbi del Comportamento Alimentare e obesità Per quanto concerne i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), attualmente il Gruppo è impegnato sia nella ricerca, all’interno di campioni clinici, di relazioni tra tali disturbi, fenomeni dissociativi e difficoltà relative all’espressione delle emozioni (alessitimia) (Caviglia, 2009), che nella valutazione dell’obesità come “disturbo mentale” e/o comportamentale. Inizialmente il Gruppo era indirizzato a campioni particolari, che abbiamo ritenuto avrebbero potuto essere “a rischio” di DCA, per l’estrema attenzione e valore dati all’immagine corporea (Caviglia, Perrella, Bisogno, & La Marra, 2006; La Marra, Bisogno, Perrella, & Caviglia, 2006; La Marra, Perrella, Bisogno, & Caviglia, 2006), quali gli operatori dello spettacolo. E’ stato successivamente studiato un campione di adolescenti campani (Caviglia, Perrella, La Marra, & Giannini 2006), rispetto ai fenomeni e alle difficoltà summenzionate, ottenendo risultati positivi che non disconfermano i dati riportati della letteratura internazionale; in seguito, in uno studio pubblicato sul Volume 12 (Numero 1/2, Novembre-Dicembre 2009) di “Ricerca in Psicoterapia” (La Marra, Sapuppo, & Caviglia, 2009b), sono state valutate le relazioni che intercorrono tra i risultati ottenuti all’ Eating Disorder Inventory-2 (EDI2; Garner, 1991), alla Dissociative Experiences Scale (DES; Bernstein & Putnam, 1986) e alla Scala Alessitimica Romana (SAR; Baiocco, Giannini, & Laghi, 2005) in un campione di 53 pazienti adulti con 35 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare (14 con diagnosi di Anoressia Nervosa, 15 con Bulimia Nervosa, 12 con DCA Non Altrimenti Specificato e 12 con Disturbo da Alimentazione Incontrollata). I dati emersi dalla nostra ricerca, ancora una volta, non disconfermano le relazioni riportate in letteratura tra i Disturbi del Comportamento Alimentare, i fenomeni dissociativi e l’alessitimia (cfr. anche: Caviglia, Bisogno, Perrella, & La Marra, 2006; La Marra, Piombino, Messina, Perrella, Chieffi, Mangoni di Santo Stefano, & Caviglia, 2006). Attualmente il Gruppo è impegnato, oltre che nell’ampliamento del campione, anche nel reclutamento di soggetti gravemente obesi per valutare eventuali caratteristiche discriminanti. A tal proposito, dopo un’attenta disamina dei maggiori contributi teorici riguardo al significato e all’etiopatogenesi dell’obesità, sono stati condotti altri studi volti a comprendere gli aspetti psicopatologici comunemente associati ai DCA (dissociazione, immagine corporea, abitudini alimentari e alessitimia) di un gruppo di 561 soggetti adolescenti campani rispettivamente ripartiti nelle diverse categorie (normopeso, sovrappeso e obesi) definite dall’ Indice di Massa Corporea (IMC o BMI, Body Mass Index) e senza diagnosi di DCA. Dai risultati emersi dal nostro studio (La Marra, Sapuppo, & Caviglia, 2009a) si evince come alcune delle dimensioni psicologiche comunemente associate ai DCA, quali l’impulso alla magrezza, la mancanza di consapevolezza enterocettiva, l’insoddisfazione per il corpo, la mancanza di empatia, l’insicurezza sociale, le eccessive preoccupazioni per il proprio aspetto fisico, il controllo compulsivo dell’aspetto fisico, l’inadeguatezza, la sfiducia interpersonale e l’insoddisfazione per le parti corporee che vedono coinvolte la testa e il tronco, siano in grado di spiegare una porzione consistente della varianza del BMI di un gruppo di soggetti ai quali non è stato diagnosticato alcun disturbo alimentare secondo i criteri diagnostici del DSM IV-TR. A queste, seppur in misura minore, si associano l’autodirezionalità, la tendenza ad un’alimentazione non 36 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ corretta e l’incapacità di gestire il comportamento alimentare. Si escludono dall’equazione, quindi, perché il criterio statistico adottato non evidenzia una probabilità associata statisticamente significativa, i tratti temperamentali indagati secondo il modello di Cloninger, la presenza di esperienze dissociative e le dimensioni chiave che definiscono il costrutto dell’Alessitimia e ampiamente documentate in letteratura come profondamente associate ai DCA (cfr. anche: La Marra, Sapuppo, Messina, Mangoni di S. Stefano, Chieffi, & Caviglia, 2009; La Marra, Sapuppo, & Caviglia, 2010; La Marra, Sapuppo, Chieffi, & Caviglia, 2010). Tutti gli studi vanno inquadrati all’interno di una cornice teorico/clinica che vede la lettura prospettica multidimensionale dei DCA come il miglior approccio, sia dal punto di vista della spiegazione eziopatogenetica, che del mantenimento del disturbo, che dell’intervento terapeutico (cfr. Caviglia & Cecere, 2007). 2) Teoria dell’ Attaccamento a) Contributi riguardo lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo Per quanto concerne l’attaccamento, il nostro Gruppo è stato ed è impegnato su diversi fronti di ricerca, tutti derivanti da continuativi interessi e riflessioni teoriche (Brisch, 2005; Caviglia, 2003; Caviglia, 2005; Caviglia & Bisogno, 2008; Del Villano & Bisogno, 2009). Particolare attenzione è stata rivolta al ruolo che l’attaccamento madrebambino e quello educatrice-bambino giocano nello sviluppo dei bambini e, allo stesso tempo, alle variabili che influenzano la qualità di tale legame (Cassibba & Caviglia, 2000; Caviglia, Cassibba, & Coppola, 2000). Dai nostri studi si evidenzia, inoltre, che le madri classificate come “sicure” (attraverso l’utilizzo dell’ Adult Attachment Interview; George, Kaplan, & Main, 1985) hanno bambini che manifestano maggiori competenze socio-emotive (valutate con la Socio-Emotional Dimension Scale; SEDS, Hutton & Roberts, 1986), se paragonati a 37 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ bambini figli di madri “insicure” (Caviglia, Solla, & Dazzi, 2003). Inoltre, sia la sensibilità dell’educatrice, che la qualità delle strutture istituzionali (scuole elementari e asili nido), sembrano costituire un terreno ideale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro del bambino (Caviglia & Pili, 2001). Per valutare i costrutti implicati, sono stati utilizzati diversi strumenti: - il Maternal Behaviour Q-set (Pederson & Moran, 1995), un test composto da 90 item ciascuno dei quali descrive un comportamento specifico dell’educatrice in risposta a segnali specifici del bambino; - l’Attachment Q-set (Waters & Deane, 1985), un test composto da 90 item che descrive un comportamento specifico di attaccamento del bambino nei confronti dell’educatrice; - la SVANI (Scala per la Valutazione dell’asilo nido; Harms, Cryer, & Clifford, 1990), una scala formata da 37 item che fornisce un quadro complessivo della qualità del servizio offerto della struttura presa in considerazione. Negli ultimi 3 anni, l’attività di ricerca della Cattedra si è focalizzata sulle relazioni tra Memoria di Lavoro (Working Memory, WM), stile di attaccamento e apprendimento/rendimento scolastico. Come ampiamente affermato in letteratura, il processo di apprendimento coinvolge sia numerose abilità cognitive – quali attenzione, memoria, linguaggio – che competenze relazionali-sociali. Numerose ricerche evidenziano una marcata associazione tra deficit della Memoria di Lavoro (ML) e disturbi dell’apprendimento nei bambini. Numerosi studi rilevano che le abilità della ML influiscono, in particolar modo, sull’apprendimento del linguaggio scritto e dell’aritmetica. Sulla base degli dell’Attaccamento è studi effettuati possibile nell’ambito evidenziare che della bambini Teoria con un attaccamento sicuro con il proprio caregiver e/o con il/la proprio/a insegnante, dimostrano migliori capacità nell’espressione e riconoscimento emotivo, nel comportamento prosociale, nelle attività 38 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ludico-cognitive, nell’acquisizione di concetti base, nell’adattamento scolastico e nello sviluppo linguistico-espressivo. Inizialmente è stata valutata empiricamente la presenza di relazioni significative tra i risultati ottenuti in una serie di prove cognitive quantificanti la ML - e il rendimento scolastico, rispecchianti la qualità del livello di apprendimento raggiunto (Caviglia, La Marra, Sapuppo, & Perrella, 2010). Inoltre, per sottoporre ad analisi correlazionale i risultati ottenuti al test con il rendimento scolastico, sono state rilevate le valutazioni degli insegnanti rispetto agli insegnamenti di Italiano e Matematica di 89 dei nostri 100 soggetti reclutati. Gli 11 soggetti esclusi non rispettano i criteri di inclusione dello studio, a causa della frequentazione della scuola dell’infanzia dove non è presente, come nella scuola primaria, la valutazione numerica decimale (Legge 169/2008). Tuttavia i soggetti più piccoli sono stati inclusi nello studio per l’adattamento italiano. A oggi (La Marra, Perrella, Marciano, Cecere, Intoccia, Ciccarelli, Del Villano, Bisogno, & Caviglia, 2009; Del Villano, Sapuppo, Cecere, La Marra, Perrella, Marciano, Intoccia, & Caviglia, 2010), ai fini di una più approfondita indagine, sono stati somministrati i seguenti test: - Test di Valutazione Linguistica (TVL) (Cianchetti & Sannio Fancello, 2007), allo scopo di quantificare il livello evolutivo complessivo del bambino, nonché di evidenziare eventuali differenze e/o anomalie nell’evoluzione delle varie componenti ed espressioni linguistiche; - Separation Anxiety Test (SAT) nella versione “famiglia” (Attili, 2001) e “scuola” (Liverta Sempio, Marchetti, & Leccio, 2001). Un test semiproiettivo basato su una serie di figure che rappresentano scene di separazione tra un bambino/bambina e i suoi genitori e tra un bambino/bambina e la sua insegnante. Si ipotizza che queste scene attivino le rappresentazioni del bambino legate all’attaccamento, permettendo di classificarle. 39 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Dall’elaborazione dei dati raccolti attraverso la somministrazione del TVL è emerso, in linea generale, un corretto sviluppo linguistico e l’assenza di significativi deficit linguistici. I punteggi ponderati emersi dal nostro campione sono compresi da 3.5 a 9.4 (M 7.3) e DS 0.20. Attualmente gli autori sono impegnati nell’elaborazione dei dati relativi alla valutazione dei Modelli Operativi Interni attraverso il SAT. b) Contributi riguardo tematiche generali e cliniche L’interesse per la Teoria dell’Attaccamento si è esplicato sia a livello di riflessione teorica, che di ricaduta clinica (Brisch, 2005; Caviglia, 2003; Caviglia, 2005; Caviglia & Bisogno, 2008). Per rendere operativa l’applicazione della Teoria a livello di ricerca, tre membri del Gruppo hanno partecipato ai Corsi dell’ “Official Adult Attachment Training Institute”, che si sono tenuti a Roma, in diversi anni e hanno superato i “reliability testing” previsti (30 casi in Inglese), con esito “full pass” (categorie F, Ds, E, U) e giudizio “highly reliable”. L’Attaccamento è stato dunque utilizzato come chiave di lettura teorica, nello sviluppo normale e patologico, e come strumento di ricerca. In un primo momento, particolare attenzione è stata rivolta alle pazienti agorafobiche rispetto alle quali è stato evidenziato come lo “stato della mente” rilevato attraverso l’AAI sia statisticamente identificabile come un attaccamento di tipo “insicuro” (Caviglia, Del Castello, & Curcio, 2001; Caviglia, Del Castello, & Fiocco, 2001; Caviglia, Del Castello, & Fiocco, 2002), dato che non disconferma l’intuizione di Bowlby (1973). Inoltre è emerso, altro dato interessante della nostra ricerca, che anche i partner delle donne agorafobiche risultavano “insicuri” all’ AAI, in maniera statisticamente significativa, dato che non disconferma l’ipotesi di Liotti e Guidano (1976). Successivamente, l’interesse si è spostato sulla correlazione fra traumi infantili, attaccamento adulto e Attività Referenziale, misurata con lo strumento DAAP (Dizionario Ponderato dell’Attività Referenziale) 40 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (Tagini, Pazzagli, Caviglia, & Dazzi, 2007; Tagini, Pazzagli, Caviglia, Pravato, De Coro, & Dazzi, 2009). I risultati della ricerca, condotta su 4 soggetti (appartenenti a un campione più ampio di 65 studenti) i cui trascritti erano stati siglati con la AAI, il DAAP e il Childhood Trauma Questionnaire (CTQ), hanno mostrato numerose e significative attivazione sub-simboliche dell’AR, in concomitanza di eventi narrativi in cui venivano riportati i maltrattamenti e i traumi subiti. Altro significativo campo di ricerca clinico con l’Attaccamento, è stata l’applicazione dell’AAI ai “Figli della Shoà” (Caviglia, Gangi, & Fiocco, 2002; Caviglia & Fiocco, 2003; Caviglia, Fiocco & Fullone, 2003; Caviglia, Fiocco, Solla & Dazzi, 2004; Caviglia, Fiocco, & Dazzi, 2004; Caviglia & Bisogno, 2009), cioè la seconda generazione dei figli dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Lo scopo della ricerca e dei lavori scaturiti era quello di indagare quale contributo la prospettiva dell’attaccamento poteva portare alla comprensione della trasmissione intergenerazionale del trauma della Shoà. In particolare, l’ipotesi era di studiare come e se la dissociazione, l’absorbtion, i comportamenti spaventati/spaventanti (Lyons-Ruth & Atwood, 1997) dei Genitori vittime dell’Olocausto, potessero rappresentare l’equivalente operazionalizzato dell’ “ombra dell’Olocausto” (Moses, 1993) sui Figli. Il campione era costituito da 26 ebrei italiani, i cui genitori erano tornati dai campi di sterminio e 26 ebrei italiani, comparabili per età, sesso e livello socio-economico-culturale, i cui genitori erano sopravvissuti allo sterminio nazista, senza essere stati rinchiusi nei campi. Non sono risultate differenze significative fra il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo. Ma significativamente sebbene il gruppo “traumatizzato” sperimentale (elemento inatteso), non fosse entrambi i gruppi mostravano una distribuzione delle categorie dell’AAI, diverse dalla distribuzione “normale” (van IJzendoorn & Bakermans- Kranenburg, 1996); inoltre, il gruppo sperimentale differiva solamente un po’, per la frequenza della categoria “Dismissing”, forse dovuta 41 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ all’atteggiamento ritirato, duro e autosufficiente del Genitore, magari inconsciamente attuato anche per difendere il Figlio dal proprio trauma (che, infatti, non viene “automaticamente” trasmesso). Infine, l’ultimo campo di interesse di questo ambito di ricerca (l’AAI) ha come obiettivo di costruire un ponte, ponendo a confronto tre metodi diversi di “raccontare la propria vita”, per attivare una riflessione comune, fra tre differenti campi d’indagine, quali la ricerca psicologicoclinica, la psicoterapia e la ricerca pedagogico-didattico (Caviglia, Del Villano, & Sapuppo, 2010). Tale obiettivo vuole essere conseguito individuando ed evidenziando i punti di contatto e accostando tre metodologie di applicazione empirica, quali il Metodo NarrativoAutobiografico con adulti, l’Adult Attachment Interview (AAI) e la procedura di indagine psicoterapeutico-cognitiva denominata ABC. Scopo di questo lavoro è anche quello di evidenziare l’importanza della “narrazione di Sé”, ai fini di un eventuale cambiamento (sia all’interno di un contesto psicoterapeutico, che quotidiano – lavorativo, familiare, etc.). Attraverso le narrazioni, infatti, sia nell’intervista sull’Attaccamento, che nel racconto autobiografico, che nei protocolli ABC, il soggetto può collocare le sue azioni e i suoi pensieri in uno specifico tempo e in uno specifico spazio, e inscrivere se stesso in un rapporto di causa ed effetto o reciprocità con altre azioni, altri eventi ed altre persone, dando modo al comportamento passato di assumere un senso e un significato nuovi. In questo modo, operando una riflessione “meta”, il soggetto può giungere a una maggiore conoscenza di se stesso e dei suoi modi di essere e di sentire. 3) Ricerca in psicoterapia Relativamente all’area della “Ricerca in Psicoterapia” il Gruppo, focalizzando il proprio interesse sulle ricerche single-case (Caviglia, Scafuto, Solla, & Semerari, 2003; Perrella, D’Amore, La Marra, & Caviglia, 2005), si è occupato – e si occupa – della valutazione del 42 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ processo e della valutazione dell’esito (note in letteratura come process research e outcome research) attraverso lo studio di percorsi e/o interventi psicoterapeutici patologie o realizzati con pazienti con specifiche deficit (Andreassi, Cascioli, Caviglia, De Coro, Lingiardi, Ortu, Pazzagli, Piscicelli, Williams, & Dazzi, 2000; Caviglia, Scafuto, Perrella, & Semerari, 2006). Si suole, infatti, distinguere la ricerca in psicoterapia in due differenti settori: l’outcome research (ricerca sul risultato) – che fa riferimento alla ricerca sugli esiti del trattamento, misurabile al termine della terapia stessa (in termini di differenze tra lo stato pre e post-terapia valutate con determinati strumenti standardizzati) – e il process research (ricerca sul processo) che riguarda, invece, la ricerca sui vari aspetti del “processo” della terapia, i quali possono essere misurati anche mentre essa è in corso e indipendentemente dal risultato. In questo ambito di ricerca si inserisce l’Attività Referenziale (AR) (Bucci, 1997; Caviglia & De Coro, 2000; De Coro, Ortu, Caviglia, Andreassi, Pazzagli, Mariani, Visconti, Bonfanti, Bucci, & Maskit, 2004), che si può definire come l’attività del sistema delle connessioni referenziali tra sub-simbolico, rappresentazioni simboliche verbali e non verbali, e come queste connessioni si riflettono nello stile del linguaggio. Le misure dell’Attività Referenziale valutano il grado in cui chi parla, o chi scrive, è capace di tradurre tali esperienze in parole, così da evocare esperienze corrispondenti nell’ascoltatore o nel lettore. Il livello di AR presenta una variabilità sia di stato che di tratto, indica cioè, cambiamenti in uno stesso soggetto nel corso del tempo, in funzione di eventi esterni o interni, o differenze interindividuali più stabili (De Coro & Caviglia, 2000; Caviglia, 2001). Date queste premesse, in questo contesto teorico la psicopatologia può essere ricondotta alla disconnessione tra i sistemi di elaborazione delle informazioni e alla dissociazione degli schemi emotivi (Caviglia & Del Villano, 2010). Tali variazioni sono state rilevate all’interno della terapia mettendo a punto un metodo empirico per la 43 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ valutazione dell’Attività Referenziale. L’AR può essere misurata attraverso il metodo manuale applicato da giudici che hanno seguito un training di addestramento, o attraverso i più recenti metodi computerizzati (cfr. nel §2b il DAAP). Nel campo della ricerca in psicoterapia, il Gruppo si è focalizzato anche sullo studio del costrutto della metacognizione – operazionalizzato e valutato attraverso la Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.) (Carcione, Falcone, Magnolfi, & Manaresi, 1997) – che risulta essere un utile ponte di raccordo fra le diverse concettualizzazioni che cercano di spiegare l’eziopatogenesi del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) (Caviglia, Iuliano, & Perrella, 2005). Partendo dallo studio di diversi approcci teorici che mirano alla comprensione della genesi del disturbo borderline (Caviglia, Iuliano, & Perrella, 2005), e all’ individuazione dei conseguenti interventi psicoterapeutici possibili, attraverso il costrutto della meta cognizione, ci siamo posti (Caviglia, Solla, Scafuto, & Semerari, 2003; Caviglia, Scafuto, Perrella, & Semerari, 2006) l’obiettivo di analizzare se esista una tipologia di deficit metacognitivo specifica del disturbo borderline di personalità e se si rilevi un incremento metacognitivo nel corso di una psicoterapia, tale da essere indicativo del grado d’efficacia della psicoterapia stessa. Dall’analisi delle frequenze rilevate, abbiamo osservato- attraverso uno studio sul processo psicoterapeutico di un single-case – un miglioramento delle funzioni metacognitive progressivo e globale, che non disconferma l’ipotesi di partenza. Nello specifico accade che la caratterizzazione, ossia la capacità di discriminare tra loro le componenti cognitive ed emotive dei propri stati interni, è positiva e costante in tutte le sedute esaminate; la reversibilità del pensiero ha valori deficitari nelle sedute iniziali e assume valori crescenti in quelle mediane, fino a raggiungere il picco positivo nelle ultime sedute; il riconoscimento dei limiti del pensiero segue invece un andamento 44 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ crescente lineare; la relazione tra variabili, funzione del monitoraggio meta cognitivo, ha sempre valori positivi, tuttavia anch’essa migliora nelle sedute centrali, per poi restare costante nelle ultime; le funzioni dell’integrazione, da che erano molto basse, seguono lo stesso incremento positivo nel corso dello svolgersi della psicoterapia. 4) Trauma e psicopatologia Il Coordinatore del Gruppo di ricerca si è da tempo concentrato sulla letteratura internazionale, che evidenzia prove empiriche sempre più numerose che confermano come esperienze traumatiche di abuso o maltrattamento infantile siano frequentemente associate a patologie accomunate da deficit nella modulazione delle emozioni e nell’integrazione del Sé (Caviglia, 1998; Tagini, Pazzagli, Caviglia, De Coro, & Dazzi, 2008). La sofferenza emotiva indotta da avvenimenti traumatici non è, però, necessariamente legata alla dissociazione nei bambini, se questi avvenimenti si verificano all’esterno del contesto delle relazioni familiari. Il conflitto si manifesta, attraverso un comportamento disorganizzato, quando il bambino, subendo abusi e maltrattamenti dalle figure genitoriali, adotta strategie incoerenti e disfunzionali, espressione di rappresentazioni contraddittorie e non integrate del Sé e della figura di attaccamento. Gli studi longitudinali esposti dimostrano come la teoria dell’attaccamento offra una chiave interpretativa della relazione tra trauma e psicopatologia, dimostrando l’importanza delle relazioni di attaccamento, come fattore di rischio o protezione nella costruzione del sé laddove il maltrattamento, nelle sue diverse espressioni, rappresenta un trauma evolutivo (Caviglia, Perrella, La Marra, & Bisogno, 2007). Un altro lavoro a cui ha partecipato un membro del gruppo, ha studiato la dissociazione e il trauma in una paziente di 24 anni, sottoposta a psicoterapia a orientamento analitico, a cui sono stati somministrati l’AAI, l’OPD (Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata) e 45 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ la SWAP-200. All’inizio della psicoterapia, la narrazione della perdita della nonna materna mostrava aspetti dissociativi nell’uso del linguaggio, mentre il lavoro di psicoterapia ha aumentato il processo referenziale, portando alla riconnessione dei diversi sistemi di codifica sub-simbolici e simbolici (De Coro, Caviglia, Giannini, Iberni, & Mariani, 2008). Negli ultimi anni, la riflessione del Gruppo sul trauma si è orientata verso la Psicologia delle emergenze (Caviglia & Nardiello, 2009; Nardiello, La Marra, Fedeli, & Del Villano, 2009; Nardiello, Perrella, La Marra, Sapuppo, Bisogno, & Caviglia, 2009; Nardiello, Pinto, & Sapuppo, 2009), come campo clinico dentro il quale andare a studiare i rapporti tra eventi traumatici e disturbi psichici. Il Gruppo di lavoro specifico sulla ricerca in Psicologia delle Emergenze è impegnato nell’elaborazione di modelli e procedure di intervento nell’ambito della prevenzione primaria e secondaria dei disturbi post-traumatici, anche grazie alla collaborazione diretta con l’Ordine degli Psicologi della Regione Campania che, con il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, organizza e espleta seminari e corsi di formazione, diretti a Psicologi e a personale di soccorso coinvolto nella gestione delle emergenze. Tale attività, fornendo conoscenze teoriche e operative in contesti di emergenza, rappresenta il primario elemento preventivo di problematiche derivanti dall'incontro con il trauma. Il personale formato è seguito prima e dopo le operazioni in emergenza per il monitoraggio delle loro dinamiche psichiche legate all'evento e per la raccolta di informazioni e dati per la ricerca. La finalità è quella di proporre, alle organizzazioni che si interessano di emergenza, un più efficace piano d'intervento per l'ambito del supporto clinico e psicologico di vittime, soccorritori e tecnici impegnati nel contesto delle catastrofi. 5) Ambito psicodiagnostico 46 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il Gruppo di ricerca si occupa dei reattivi psicodiagnostici maggiormente diffusi (Rorschach, DAP, WAIS, MMPI), che permettono allo Psicologo di orientarsi verso un determinato inquadramento diagnostico. Il tentativo è quello di verificare le convergenze di indici di strumenti diversi, al fine di apportare un contributo nella comprensione e valutazione di soggetti normali e/o patologici, anche nelle procedure di assessment richieste a livello istituzionale (ASL, Tribunali, Dipartimenti di medicina legale, etc.). Il clinico ha a disposizione una serie di strumenti per la diagnosi, che vanno dalle scale di valutazione in psichiatria ai test proiettivi. Il loro utilizzo è subordinato all’analisi della domanda, al colloquio clinico, alla situazione diagnostica, al contesto, alla committenza e al quesito posto dall’utente a livello collusivo. Il tentativo del Gruppo (Caviglia, 2005; Caviglia & Del Castello, 2003; Caviglia & Pinto, 2009; La Marra, 2006) è stato quello di coniugare intervento clinico e riflessione teorica, mostrando praticamente l’applicazione, in casi clinici reali, di approcci valutativi di analisi della domanda e testologici. Inoltre, per quanto concerne la depressione (Perrella, 2006), il Gruppo di ricerca ha approfondito lo studio teorico e l’utilizzo di diversi test per valutare tale patologia nell’infanzia e nell’adolescenza. Sono stati trattati il Test dell’ansia e della depressione nell’infanzia e nell’adolescenza (TAD; Newcomer, Barenbaum, & Bryant, 1995), il Children’s Depression Inventory (CDI; Kovacs, 1988) e la Children’s Depression Scale (CDS; Lang & Tisherm, 1978). Tra i reattivi utilizzati per effettuare diagnosi di depressione nei soggetti adulti sono stati utilizzati il Beck Depression Inventory (BDI; Beck, Ward, Mendelson, Mock, & Erbaugh, 1961), la Hamilton Depression Rating Scale (HDRS o HAM-D; Hamilton, 1960), la SelfRating Depression Scale (SDS; Zung, 1965). In altri lavori, sono stati utilizzati strumenti specifici per la diagnosi psicologica nell’alcolismo (Aurilio, Palmisciano, & Caviglia, 2004), quali il MALT, il MAST, il CAGE 47 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (Ewing, 1984) e si è affrontata la riflessioni sul problema della “doppia diagnosi” (Caviglia, La Marra, & Bonifacio, 2006). Bibliografia Andreassi, S., Cascioli, A., Caviglia G., De Coro, A., Lingiardi, V., Ortu, F., Pazzagli, C., Piscicelli, S., Williams, R., & Dazzi, N. (2000, Settembre). Ricerca concettuale e ricerca empirica nella psicoterapia psicodinamica: una metodologia per lo studio del processo. Relazione presentata al II Congresso Nazionale della Sezione di Psicologia Clinica della A.I.P., Alghero. Attili, G. (2001). Ansia da Separazione e misura dell'Attaccamento normale e patologico. Milano: Edizioni Unicopli. 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A Self-rating Depression Scale. Archives of General Psychiatry, 12, 63–70. Abstract The purpose of this article is to illustrate the current interests of our italian Research Group link with the course of “Dynamic Psychology” (basic) of the Faculty of Psychology at 2nd University of Neaples and the works published in recent years resulting from these investigations. The works are placed in areas related to Attachment Theory, psychological assessment, study of 53 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ psychopathology related to Eating Disorders and psychotherapy research “single case”. Keywords Eating disorders, psychopathology attachment theory, psychotherapy research, Memories and Futures. Storia e sviluppi di un gruppo di ricerca italiano: dagli studi di efficacia alle analisi delle resistenze al cambiamento Emilio Fava,1,2 Pablo Zuglian,1 Dario Ferrario,1,2 Daria Taino,1,2 Martina Conte,2 Francesca Cadeo1 Sommario L’obiettivo di questo articolo è di riassumere brevemente come si sia formato e sviluppato il nostro gruppo di ricerca e quali indirizzi di ricerca abbia preso nel corso degli anni. Tale fine risponde all’esigenza condivisa di una maggiore collaborazione e integrazione tra i vari gruppi che si sviluppi anche al di fuori dei contatti stimolanti, ma purtroppo sporadici, che avvengono ai congressi, sia nazionali che internazionali, in modo da aprire eventuali nuove strade di condivisione di percorsi di ricerca comune. Siamo convinti che la conoscenza reciproca sia la “via regia” alla costruzione di nuovi progetti e alla realizzazione di quelle conoscenze scientifiche per cui la nostra Società è nata. Parole chiave Efficacia dei trattamenti, relazione terapeutica, diagnosi psicodinamica, resistenze al cambiamento, diagnosi dimensionale, formazione -----------------------------------------------------------------------------------------------1 Università degli Studi di Milano – S.C. Psichiatria 4, A.O. Niguarda Ca’ Granda, Milano. 2 Associazione Gruppo Zoe, per la formazione e lo studio su la qualità e l’efficacia delle cure psichiche, Milano. 54 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Referente: Emilio Fava Corrispondenza: Emilio Fava E-mail: [email protected] Introduzione Il gruppo milanese SPR nacque nel 1987, presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica dell’ Università degli Studi di Milano a opera di Salvatore Freni ed Emilio Fava. Furono presi contatti con i gruppi di ricerca stranieri e in particolare con il gruppo di Ulm (Thöma e Kachele) e con il gruppo di Luborsky negli Stati Uniti. Iniziò così un lavoro di traduzione e diffusione di alcuni testi base per la ricerca come ad esempio il “Trattato di terapia psicoanalitica” (Thöma & Kachele, 1985), il “Manuale di psicoterapia supportivo-espressiva” (Luborsky, 1984) e “Capire il transfert” (Luborsky & Crits-Cristoph, 1990), manuale del metodo CCRT di cui venne valutata l’affidabilità nel contesto italiano. In quel periodo iniziò il lavoro di traduzione e validazione di alcune scale di valutazione multidimensionale degli esiti come la HSRS (Luborsky, 1962; Freni, Azzone, Gaburri, & Gigli, 1998), dell’alleanza di lavoro come l’HA (Luborsky, 1976; Verga, 1999) e dei meccanismi di difesa (Perry, 1991), oltre all’utilizzo del metodo CCRT per la prima volta. L’obiettivo principale del gruppo era quello di sperimentare la possibilità di operazionalizzare alcuni costrutti fondamentali del pensiero psicoanalitico, e di individuarne le potenzialità euristiche e gli ambiti di applicazione, in un contesto tendenzialmente diffidente se non ostile. Il lavoro svolto in quegli anni, in collaborazione con i vari gruppi di ricerca nati nel frattempo in Italia, portò all’organizzazione del primo congresso di SPR Italia a Cernobbio nel 1996 e all’elezione di Salvatore Freni come primo presidente della sezione italiana della Società di 55 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Ricerca in Psicoterapia e direttore della rivista Ricerca in Psicoterapia (1998). Nel 1994 si costituì presso la Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Milano ad Affori un secondo gruppo, coordinato da Emilio Fava e Cinzia Masserini, che pur continuando le ricerche sul processo terapeutico utilizzando i metodi CCRT (Fava, 1995; Masserini, Fava, Arduini, Borghetti, Calini, Corbellini, Ferri, Fontolan, Gatta, Mazzariol, Pazzi, Spoletini, & Pazzaglia, 1998) e SASB (Benjamin, 1974; Capelli, Fava, Taglietti, Aliprandi, Arduini, Freni, Schadee, & Vigorelli, 2005; Fava & Vigorelli, 2006), iniziò a occuparsi anche di studi di efficacia, utilizzando metodi quantitativi e qualitativi. Questi studi hanno portato alla pubblicazione di alcuni articoli riguardanti l’esito delle psicoterapie (Fava, Pazzi, Arduini, Masserini, Lammoglia, Lomazzi, Landra, Pazzaglia, & Carta, 2000; Osimo, Merlo, Arduini, Landra, Fava, Masserini, Carta, & Pazzaglia, 1998; Rozzi, Rozzi, Fava, Lazzari, Baruhk, & Fontolan, 1997; Ferrari, Pinzi, Camarda, & Roustayan, 2005), le interruzioni non concordate di trattamento (Masserini et al., 1998; Fava, Masserini, Borghetti, Camarda, Fontolan, & Duca, 2001) e la formazione degli psichiatri e il loro punto vista sulla cura nei servizi pubblici di salute mentale (Ba, Fava, & Carta, 1992; Fava, 2004; Lomazzi, Fava, Landra, D’Angelo, Lammoglia, Pazzi, Calini, Arduini, Barattini, & Carta, 1997) confluiti poi nel libro “Efficacia delle psicoterapie nel servizio pubblico” (Fava & Masserini, 2002) e in successivi lavori (Fava & Masserini, 2006). Gli studi sull’efficacia dei trattamenti rispondevano alla domanda su quali trattamenti andassero praticati nei Servizi Pubblici, in un contesto in cui si imponeva una loro razionalizzazione sulla base di dati sul’evidenza dei risultati terapeutici. Questo orientamento, nel contesto di una esigenza di integrazione degli interventi da attuare nei servizi psichiatrici e nella pratica clinica, rimane uno dei principali punti di interesse del gruppo della Clinica Psichiatrica Universitaria. 56 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ La ricerca sugli esiti dei trattamenti ha portato, nel 2000, alla collaborazione con il gruppo di Marta Vigorelli (Università di MilanoBicocca), che si stava occupando di valutazione dell’efficacia nei Servizi Pubblici (utilizzando il metodo HONoS) rispondendo alla richiesta di valutazione di qualità dei servizi che stava emergendo in quel periodo e che si è sempre più sentita nei servizi di salute mentale in Italia. Il problema della valutazione degli esiti e della valutazione della qualità dei trattamenti implica lo studio delle cause dei fallimenti terapeutici anche nei casi di trattamenti di provata efficacia. Per questo è nata anche una collaborazione con il gruppo Bicocca volta allo studio dell’andamento della relazione terapeutica in pazienti poor outcome utilizzando il metodo SASB. Inoltre è stato sviluppato e applicato un sistema di valutazione della qualità dei trattamenti utilizzando alcuni strumenti utilizzati per l’analisi dei single-case (ESMS). Dal 2004, sempre all’interno della Clinica Psichiatria Universitaria – S.C. Psichiatria 4 A.O. Niguarda, si è sviluppato un nuovo filone di studio orientato alla diagnostica psicodinamica che partendo dalle ricerche sulla OPD (Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata; OPD Task Force, 1996, 2006) si muove verso lo studio della dimensionalità nella diagnostica psicodinamica, per comprendere i processi psicoterapeutici e permettere la personalizzazione dei trattamenti, fattore di provata efficacia. Dal 2007 nasce la collaborazione con M. Cierpka di Heidelberg ed il gruppo di lavoro OPD internazionale, che ha portato al lavoro di traduzione e di cura dell’edizione italiana della seconda versione del manuale OPD, trasformato in manuale per la diagnosi e la pianificazione del trattamento. Dal gruppo di ricerca su OPD si è costituita, allargandosi anche ad altri progetti, nel 2009 l’Associazione “Gruppo Zoe – per la formazione e lo studio sulla qualità e l’efficacia delle cure psichiche” che si sta occupando delle applicazioni cliniche dei risultati ottenuti dalla ricerca empirica in psicoterapia. 57 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Attualmente è nato un gruppo di lavoro in collaborazione con la Sigmund Freud University di Vienna (O. Gelo) per un’analisi qualitativa dei colloqui diagnostici, usando le interviste OPD raccolte in Italia. Linee di ricerca Relazione terapeutica, resistenze ed esito dei trattamenti2 Il problema delle resistenze al cambiamento, anche nel caso di terapie di provata efficacia, è una delle frontiere più attuali della ricerca (Benjamin, 2004; Beutler, Moleiro, & Taleb, 2001; Beutler, Rocco, Moleiro, & Talebi, 2001; Beutler, Harwood, Michelson, Song, & Holman, 2011; Castonguay & Beutler, 2005). Inoltre è stata posta come priorità per la ricerca (Norcross, 2001) la necessità di comprendere come i fattori terapeutici di provata efficacia interagiscano con i meccanismi che regolano il cambiamento terapeutico. Il termine resistenza applicato al comportamento del paziente implica la difficoltà o il rifiuto di cooperare o di cambiare. Essa è stata considerata sia uno stato, che un tratto durevole. In psicoanalisi il termine resistenza veniva considerato l’espressione di una lotta interna difensiva contro la sofferenza o l’angoscia, che indirettamente rallentava il lavoro di comprensione/interpretazione, cui veniva attribuito il ruolo di fattore terapeutico principale. In psicologia sociale lo stesso termine veniva definito come “condizione della mente attivata da una minaccia alla propria libertà, che motiva l’individuo a ripristinare la libertà minacciata” (Brehm & Brehm, 1981). In generale la ricerca afferma che la resistenza del paziente, indipendentemente dalle sue origini, impedisce il raggiungimento degli obiettivi terapeutici (Beutler, Clarkin, 2 Gruppo costituito da D. Ferraio, D. Taino, E. Fava, F. Cadeo, H. Schadee, M. Conte, G. Sasso. 58 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ & Bongar, 2000) e gli psicoterapeuti dovrebbero essere incoraggiati a produrre meno resistenza possibile. Secondo una prospettiva recente che coniuga la dimensione clinica della teoria dell’attaccamento e la teoria intersoggettiva (Wallin, 2007), la resistenza avrebbe quasi sempre anche un significato interpersonale e potrebbe essere vista come il risultato della collusione tra paziente e terapeuta per assicurarsi che non accada nulla di nuovo o di minaccioso. Detto in modo diverso, la resistenza del paziente all’esperienza – esperienza di ciò che si percepisce come sofferenza emotiva insopportabile – sarebbe collegata alla paura di scarso aiuto da parte del terapeuta (sfiducia). La proposta è allora quella di vedere la resistenza come una comunicazione su aspetti dell’esperienza del paziente difficili da tollerare e difficili da tradurre in parole. In questa prospettiva, i pazienti cercherebbero di trasmettere in modo indiretto o di evocare nel terapeuta, ciò che da soli non riescono a sopportare. Noi abbiamo considerato la relazione interpersonale reale, nell’accezione di Gelso, come variabile d’ efficacia, e i processi introiettivi, intesi come processi che permettono l’acquisizione di nuove rappresentazioni e capacità in seguito al trattamento, come meccanismo di cambiamento. Per relazione reale si intende un rapporto realistico e non deformato, ma piuttosto caratterizzato dall’incontro di due persone nella realtà attuale, la quale implica la partecipazione di entrambe e il riconoscimento che ognuna viene modificata dall’altra all’interno di questo processo (Gelso, 2002). Gelso (2004, 2009) propone inoltre di definirla come costituita da due elementi: realismo e genuinità, dove il realismo riguarda l’esperienza dell’altro (il terapeuta) in quanto persona reale, e la genuinità la capacità del terapeuta di essere veramente quello che è, contrapposto all’essere falso o inautentico. Gelso propone due ulteriori dimensioni (sub-elementi): la valenza della relazione interpersonale (positività versus negatività) e la magnitudo, cioè 59 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ l’ampiezza della relazione reale che esiste. In ultima analisi la relazione reale, in questa concezione, ha poco a che fare sia con l’alleanza di lavoro che con gli aspetti difensivi e proiettivi del paziente sul terapeuta e viceversa (transfert e controtransfert). Essa inizia al momento del primo contatto e opera silenziosamente per tutta la durata della terapia. Dati gli obiettivi prefissati si è deciso di utilizzare il modello SASB (Structural Analysis of Social Behavior; Benjamin, 1974, 1993) in quanto uno dei più sofisticati strumenti che consentono di operazionalizzare questi costrutti (Benjamin, 2004; Fava & Vigorelli, 2006). Tale metodo permette infatti di valutare le transazioni comunicative tra paziente e terapeuta in sedute registrate, ma anche di valutare i moti relazionali verso il sé, cioè come l’individuo tratta se stesso, nella evoluzione della terapia (introiezione di nuove capacità e attitudini). È stata quindi necessaria una prima fase di validazione del modello e di addestramento al metodo tra i ricercatori, fino al raggiungimento di una buona affidabilità intergiudici e intragiudice (0.72< k <0.88), ripetuta più volte nel corso del programma di ricerca. Sono stati analizzati i trascritti di sedute appartenenti a 10 coppie di pazienti (con stessa diagnosi DSM-IV-TR, APA, 2000), ciascuna delle quali trattata dallo stesso terapeuta, con esiti opposti (valutati a 0, 6 e 12 mesi attraverso la somministrazione dell’SCL-90-R e di una scala Likert compilata dal clinico): dieci soggetti ad esito positivo, e dieci soggetti ad esito insoddisfacente, (che hanno beneficiato poco o per nulla del trattamento psicoterapeutico). Tutti i soggetti inclusi nello studio hanno completato almeno un anno di terapia a differente orientamento (a orientamento psicoanalitico o cognitivo), a una seduta la settimana. Per ogni paziente sono state valutate nel primo anno di psicoterapia due sedute a 0, 4, 8 e 12 mesi; gli unici criteri di esclusione erano l’età inferiore ai 18 anni e la presenza di ritardo mentale. 60 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il lavoro di ricerca si è focalizzato sulla valutazione del legame tra il processo terapeutico, valutato in termini di dinamiche interpersonali tra terapeuta e paziente, e l’esito dei trattamenti al fine di evidenziare eventuali differenze tra i trattamenti a esito positivo e quelli a esito insoddisfacente. Più in dettaglio il primo obiettivo della ricerca è stato quello di individuare specifici stili interpersonali (che definiscono l’atteggiamento relazionale dei terapeuti e dei pazienti) nei due gruppi d’esito e ricostruire le dinamiche processuali che si verificano tra i membri della coppia. Sono stati così individuati dei “moti problematici”3, caratterizzati da un atteggiamento interpersonale di aggressività e controllo benevolo o neutro per quanto riguarda il terapeuta e risposte avversive di aggressività, sottomissione neutra e ostile o evitamento, da parte del paziente. Ciò è risultato essere in linea con quanto evidenziato in letteratura (Henry, 1996; Henry, Schacht, & Strupp, 1986; Henry & Schacht, 1994; Henry & Strupp, 1994; Hilliard, Henry, & Strupp, 2000; Nelson, 2004), rispetto al potere predittivo del livello di ostilità/aggressività sull’esito delle psicoterapie. Nel nostro campione, pur evidenziandosi un minor numero di moti caratterizzati da ostilità, la differenza fra i due gruppi d’esito è statisticamente significativa. Alcuni studi hanno rilevato un ruolo tendenzialmente controproducente di una modalità terapeutica di intervento direttiva, individuando come fattore discriminante tra terapie a esito differente una scarsa alleanza terapeutica e a un alto livello di controllo da parte 3 Con la definizione “moti problematici” si fa riferimento a quei movimenti interpersonali sia del terapeuta che del paziente caratterizzati da ostilità positiva e livelli di controllo variabile (rose 6, 7 e 8 del modello SASB) e a quelli posti alle polarità estreme dell’asse Interdipendenza (rose 1 e 5 del modello). L’insieme di questi movimenti interpersonali di tipo intransitivo è stato definito “moti problematici” in quanto precedenti ricerche (Alpher, 1991; Henry, 1996; Henry et al., 1986; Henry & Strupp, 1994; Hilliard et al., 2000; Nelson, 2004), hanno evidenziato come essi siano prognostici di esiti negativi. 61 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ del terapeuta (Svartberg & Stiles, 1991; Horvath & Greenberg, 1994; Hilliard et al., 2000; Horvath, 2009). Una differenza, rispetto a questi dati, è che nel nostro campione i livelli di controllo da parte del terapeuta non differenziano le terapie good-outcome da quelle poor-outcome, a un primo livello di analisi descrittivo (analisi delle frequenze). Si è quindi proceduto con un’ analisi sequenziale, a due transizioni, per valutare in quale misura l’intervento del terapeuta determini la risposta del paziente e viceversa, in linea con la recente pubblicazione di Von der Lippe (Von der Lippe, Monsen, Rønnestad, & Eilertsen, 2008). La domanda clinica in questo senso è “che cosa ha fatto scattare la risposta avversiva e quale forma essa ha preso: antagonismo, ritiro o tutte e due?”. I primi risultati (Capelli et al., 2005; Marchesi, Vigorelli, Schadee, Fava, & Capelli, 2007), si sono avvalsi di tre delle dieci coppie del campione complessivo e hanno evidenziato come modalità relazionali di ritiro, resistenza o difficoltà a seguire il terapeuta inducano in quest’ultimo l’incremento di un comportamento controllante. Sul campione complessivo le analisi confermano questa modalità interpersonale e mostrano come nel gruppo delle terapie a esito insoddisfacente, il terapeuta gestisca i moti connotati da sottomissione ostile con percentuali significativamente maggiori di controllo biasimante, assenti invece nel gruppo a esito positivo. I moti di presa di distanza inducono inoltre nel clinico un incremento sempre maggiore di dosi di controllo sia dal punto di vista quantitativo che del livello di ostilità. Parallelamente, appare come i moti di controllo, anche benevoli, da parte del terapeuta stimolino nei pazienti poor outcome livelli di resistenza maggiori, individuabili nei moti di presa di distanza, sottomissione ostile e inversione del focus relazionale. La ricerca fin qui condotta ci ha portato ad avere delle informazioni abbastanza precise su quali stili e quali dinamiche interpersonali caratterizzano le terapie a esito insoddisfacente; il gruppo si è quindi 62 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ domandato: “cosa può aver facilitato o ostacolato il cambiamento?”. La nostra attenzione si è così focalizzata sullo studio della reciproca influenza tra la relazione reale e i meccanismi del cambiamento, in particolare tra la resistenza alla terapia e i meccanismi di tipo introiettivo. Riferendoci alla tradizione psicoanalitica, abbiamo considerato con il termine introiezione l’apprendimento di nuove modalità di rappresentazione, di gestione di sé e della relazione con l’altro. La ricerca in questo campo ha dimostrato che l’interiorizzazione in strutture intrapsichiche del processo interpersonale che si attua in terapia è correlato all’esito dell’intervento (Fossi, 2003). Questa ultima fase del nostro lavoro si è quindi concentrata sulla valutazione degli introietti4, attraverso una analisi statistica descrittiva delle frequenze e del loro andamento nel tempo. I risultati evidenziano come la qualità e l’andamento nel tempo degli introietti siano considerevolmente e precocemente, nell’anno considerato, differenti nei due gruppi di esito. I pazienti a esito positivo mostrano un incremento della capacità di prendersi cura di sé e una diminuzione di modalità biasimanti e aggressive verso il sé, i pazienti a esito insoddisfacente mostrano, invece, un livello elevato e stabile nel tempo di moti autobiasimanti e trascuranti e assenza di moti di accudimento di sé nell’arco di tempo considerato. Tali risultati sono statisticamente significativi nelle analisi caso per caso, per diciannove pazienti su venti, dimostrando un alto valore predittivo. L’esperienza con un terapeuta che “si prende cura” e le successive possibili introiezioni, sembrano quindi facilitare nel paziente quel processo di cambiamento che si verifica nelle terapia a esito positivo; questo invece non si verifica, perlomeno nei tempi considerati dalla ricerca, nei casi a esito più sfavorevole. In questi casi precocemente è individuabile un atteggiamento “evitante” da parte del paziente non 4 Per un ulteriore approfondimento del concetto di introietto, e le modalità con cui esso viene valutato nel colloquio clinico, si rimanda ai lavori di Benjamin (2004, 2005). 63 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ indotto dal terapeuta, ma che induce nel terapeuta atteggiamenti controllanti sia benevoli che neutri e talvolta aggressivi. Questo atteggiamento tende a modificarsi poco nel primo anno di terapia e sembra inibire i processi introiettivi di cambiamento. Le prospettive di questo filone di ricerca riguardano ora le possibili strategie per superare questo handicap. Sempre nella prospettiva di individuare come funzionano i meccanismi collegati ai cambiamenti terapeutici e le possibili forme di resistenza, stiamo sviluppando uno strumento che permetta di valutare le oscillazioni introiettive e proiettive che caratterizzano gli scambi interpersonali e i loro livelli di complementarietà, sul modello della Infant Research. Il modello VERA (Verbal and Enactive Representations Analysis) che operazionalizza le concezioni teoriche di G. Sasso (Sasso, 2009), si propone come "ponte" tra Infant Research e Psicoanalisi, e permette di avanzare alcune ipotesi neurologiche su come si regoli nel cervello del bambino l’elaborazione dell'interazione materna, su come la madre possa modificarla e su come questo processo si replichi nell’interazione tra paziente e terapeuta. Si parte dalla constatazione che, alla nascita, sono già mature alcune zone cerebrali che assicurano la comunicazione tra il cervello e l’ambiente. Il bambino si organizza assumendo, dunque, come vertice il proprio organismo e avendo come fondamento l’esperienza propriocettiva e senso-motoria, che rimane pertanto a sostegno della successiva integrazione sottocorticale-corticale. Emerge, qui, l’attività di un complesso sistema senso-motorio. Il presupposto di VERA è che il processo di sintonizzazione possa formarsi proprio perché i sistemi nervosi del bambino e della madre posseggono una "oscillazione autonoma" fronto-occipitale, le cui caratteristiche intrinseche permettono l'inaugurarsi e la regolazione 64 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ della sintonizzazione. Gradualmente, infatti, l'oscillazione produce opportuni flussi nervosi che vanno dalle aree sensoriali-percettive verso le aree motorie, in modo da vincolare i pattern sensoriali in sviluppo alle corrispondenti risposte motorie e, viceversa, produce flussi dalle aree motorie verso quelle sensoriali, affinché i programmi motori innati possano vincolarsi alle informazioni percettive necessarie per riconoscere e interagire con l'oggetto materno. Chiaramente, la dinamica, dopo la nascita, non è più autonoma ma viene influenzata dall'apporto sensoriale materno. Assumendo inoltre (Sasso, 2009) che il linguaggio sia una specializzazione del reticolo senso-motorio e dunque che vi sia una continuità tra il dominio implicito e quello riflessivo-verbale accomunati dalla intenzionalità comunicativa, lo strumento VERA è in grado di cogliere il contesto non verbale del linguaggio (BCPSG, 2008) a partire dai trascritti delle sedute e cogliere “i micro-cambiamenti momento per momento dell’interazione transfert-controtransfert”, in particolare negli enactment, a partire dalla valutazione delle narrative (rappresentazioni verbali) e dalla dinamica comunicativa Proiettiva-Introiettiva terapeutapaziente (enactive representations). Sviluppo della diagnostica dimensionale e OPD 25 Provenendo da una Clinica Psichiatrica Universitaria, luogo in cui si cerca di coniugare efficacemente la ricerca con la formazione e l’attività clinica, questo gruppo è nato dall’esigenza di utilizzare una metodologia diagnostica che fosse più vicina alla realtà clinica del paziente che ci troviamo di fronte piuttosto che alla ateoreticità della diagnostica nosografico-descrittiva psichiatrica classica. 5 Gruppo costituito da P. Zuglian, M. Magni, E. Fava, M.L. Zuccarino, D. Ferrario, A. Testa, M.E. Pagliari, M. Greco, F. Cadeo, T. Monea, G. Mentasti, D. Taino, L. Primerano, L. Varischio, P. Cafagna, P. Bondi, S. Crispino. 65 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ La scelta di utilizzare come sistema diagnostico OPD (Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata; OPD Task Force, 1996), e in seguito la possibilità di poter tradurre e curare l’edizione italiana della seconda versione di OPD (OPD-2; OPD Task Force, 2006), è avvenuta per il suddetto motivo. Rispondeva, quindi, alle nostre esigenze cliniche e, come abbiamo scoperto meglio in seguito, anche alle esigenze di formazione nell’ambito della psicoterapia e della clinica psicodinamica (la valutazione dei conflitti intrapsichici, del livello di interazione strutturale, dei pattern relazionali disfunzionali ripetitivi). OPD-2 è uno strumento diagnostico multiassiale di matrice psicodinamica e con numerosi riferimenti anche alle teorie cognitive e ai risultati della ricerca empirica in psicoterapia. È costituito da 5 assi che nomineremo brevemente (per una descrizione più completa si veda Zuglian, Papini, Conte, Fava, & Ferrari, in press): 1. esperienza di malattia e presupposti per il trattamento; 2. relazioni interpersonali; 3. conflitti intrapsichici; 4. struttura; 5. disturbi mentali e psicosomatici. Parallelamente abbiamo imparato come questo strumento potesse essere utilizzato anche per fornire una diagnostica dimensionale in grado di evidenziare dei fattori comuni tra le variabili che potessero fornirci ancora più agilmente delle informazioni diagnostiche, quindi in qualche modo riassuntive, del funzionamento del paziente anche in senso trasversale agli assi dello strumento OPD (possibilità quindi di una doppia lettura dello strumento sia in senso longitudinale, asse per asse, che trasversale, interasse). Le prime ricerche (Conte, Ferrari, Fava, Papini, Zuglian, Tajani, Fiorina, Magni, Maramieri, Primerano, & Freni, 2007; Ferrari, Papini, Zuglian, Conte, Fava, Tajani, Fiorina, Magni, Maramieri, Primerano, & 66 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Freni, 2007) si sono quindi mosse per osservare le possibili dimensioni di funzionamento OPD in un campione di pazienti psichiatrici, eterogeneo per diagnosi sia in Asse I che in Asse II del DSM-IV TR. In seguito a quei risultati preliminari, abbiamo deciso di occuparci specificamente di un campione di pazienti omogeneo per diagnosi in Asse I, ma estremamente eterogeneo per decorso, risposta ai trattamenti e prognosi, in cui dalla letteratura non emergono dei trattamenti efficaci secondo gli attuali standard della ricerca, cosa in realtà molto diversa dall’esperienza dei clinici, di vari orientamenti, che si occupano specificamente di questi disturbi. La scelta è così caduta sui Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), disturbi caratterizzati da un elevatissimo tasso di crossover diagnostico tra i disturbi (Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa) e anche tra i sottotipi diagnostici (Restrittivi e con Condotte di eliminazione), che arriva secondo alcune ricerche fino al 65%. Questo dato ci indica la necessità di un assessment diagnostico che sia differente da quello attualmente in uso (che viene giudicato inadeguato anche da coloro che l’hanno formulato e che stanno purtroppo riproponendo anche nella V edizione del DSM, APA DSM-V Development, on line). Abbiamo scelto un campione di pazienti afferenti a un servizio di nutrizione clinica che usualmente non prevede una valutazione e un percorso psicoterapico. Questo è rilevante perché il campione risulta così maggiormente variegato dal punto di vista delle idee alla base della malattia e delle motivazioni alla cura (Asse I OPD). Ogni dimensione, attraverso il calcolo dei factor score derivanti dall’analisi fattoriale, può essere successivamente valutata sul singolo caso permettendoci di studiare attentamente l’esito e il follow-up di queste pazienti, le quali vengono indirizzate a differenti trattamenti sulla base del giudizio clinico e permettendoci in tal modo di mantenere la struttura naturalistica dello studio. Le dimensioni deriveranno da un’analisi fattoriale che sarà effettuata su 300 casi, numero minimo per avere dei 67 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ risultati che siano robusti dal punto di vista della significatività statistica. Attualmente i risultati preliminari derivano da un’analisi effettuata su di un campione decisamente meno numeroso, 50 casi, ma attraverso l’utilizzo del metodo dei fattori principali abbiamo cercato di aumentare la significatività di tali dati in quanto abbiamo eliminato la varianza intergruppo ed esaminato solamente quella intragruppo. L’analisi fattoriale viene quindi effettuata prima sull’Asse I di OPD in modo da trovare le dimensioni inerenti la personalizzazione (Lambert, 2001; Fava, Zuglian, Taino, & Di Genova, 2009) del trattamento (indicazioni e costruzione dell’alleanza terapeutica) e successivamente viene effettuata una nuova analisi tra queste dimensioni trovate e gli assi dei conflitti intrapsichici e della struttura. In seguito alla valutazione dell’esito e del follow-up cercheremo, attraverso una regressione multipla, di valutare l’esistenza di eventuali predittori di esito sia sotto forma di variabili OPD, sia sotto forma di dimensioni OPD, inoltre sarà interessante valutare se e come le dimensioni precedentemente osservate cambieranno nel corso del tempo e come questo cambiamento sarà collegato a esiti differenti e aspetti diversi dell’esito del trattamento (ad esempio, giudizio clinico, valutazione sintomatologica, valutazione nutrizionistica, etc.). Un ulteriore sviluppo della nostra analisi riguarda l’influenza dei disturbi di personalità sulle dimensioni osservate dei DCA. In particolare siamo andati a osservare la presenza di differenze significative tra le dimensioni OPD riscontrabili (che possono essere riscontrate nei DCA) e i disturbi di personalità. Abbiamo utilizzato inizialmente la diagnostica DSM in Asse II come primo step per arrivare a utilizzare anche qui la diagnostica dimensionale (ad esempio, SWAP200, Westen & Shedler, 1999a, 1999b) arrivando a ipotizzare l’esistenza di dimensioni a spiegazione singola, cioè non influenzate dal disturbo di personalità ma solo dal DCA, e di dimensioni a spiegazione multipla per 68 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ cui parte della varianza della dimensione deriva direttamente dall’assetto personologico del paziente. Concludendo, la diagnosi e l’assessment psicodinamico di cui ci stiamo occupando, risulta essere un ausilio particolarmente utile non solo alla pratica clinica e alla formazione, ma anche alla ricerca sull’ origine e sulla comprensione dei disturbi gravi,difficilmente trattabili, aumentando le possibilità di trattamento futuro di tali disturbi e di valutare eventuali caratteristiche evolutivamente significative in tali disturbi. Valutazione dei fattori terapeutici efficaci nel monitoraggio di trattamenti psicoterapici e psico-sociali e loro implicazioni nei percorsi formativi6 Il problema dell’utilità clinica della conoscenza dei risultati della ricerca può sembrare da un lato automatico e quasi ovvio, dall’altro tutto da dimostrare. Un altro aspetto del problema riguarda le modalità con cui questo passaggio può avvenire nei diversi contesti e in particolare nei Servizi Pubblici di Salute Mentale. Si tratta di valutare, cioè, la fattibilità e l’efficacia di un sistema di formazione basato sull’uso clinico e formativo di alcuni strumenti comunemente usati nella ricerca. Questo gruppo ha preso spunto dalle conclusioni della 29a Task Force della APA (Norcross, 2001) sui fattori terapeutici di provata o probabile efficacia. La revisione della letteratura empirica sviluppata da questo gruppo, ha evidenziato il ruolo dei fattori terapeutici “aspecifici” e una serie di variabili, relative alla relazione terapeutica, strettamente correlata ai risultati. Nel costruire il nostro modello (Fava, Ferrario, Sanna, Taino, & Tajani, in press), denominato Empirically Supported Multi-instrumental 6 Gruppo costituito da E. Fava, A. Ferrari, M. Conte, S.P. Papini, D. Ferrario, D. Taino, M. Tajani, B. Sanna. 69 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Supervision (ESMS), abbiamo da un lato cercato di sviluppare un sistema di valutazione il più semplice possibile, che prendesse in considerazione i fattori terapeutici di provata o probabile efficacia e dall’altro un metodo per lavorare insieme ai clinici. Il primo passo è stato definire le variabili cliniche da considerare e, successivamente, sono stati scelti gli strumenti più adatti a valutare i fattori terapeutici ritenuti fondamentali. Nella scelta degli strumenti per valutare i trattamenti e l’effetto dell’esperienza formativa abbiamo utilizzato i seguenti criteri: a) l’esclusione di questionari self report, troppo connessi al funzionamento consapevole e dipendenti dalle aspettative (Williams, 1994; Sitzia & Wood, 1997). Nei questionari viene infatti considerata la percezione che i soggetti hanno di ciò che sta avvenendo. Nelle analisi delle registrazioni dei colloqui, al contrario, è considerato ciò che avviene realmente nella relazione terapeuta-paziente in modo documentabile; b) sono stati scelti strumenti che individuano in modo specifico i costrutti che si collegano a fattori terapeutici di documentata efficacia (OPD-2, CCRT-SAI, IVAT-2, SASB, RA). Nel nostro caso è stato fondamentale considerare le procedure e le modalità del funzionamento del lavoro di gruppo. L’elemento di novità non è stata infatti l’idea di applicare diversi strumenti di ricerca a un singolo caso, bensì la loro applicazione in ambito clinico con obiettivi di formazione e valutazione di qualità. La modalità di lavoro prevede un incontro preliminare con gli operatori interessati, orientato a comprendere le loro motivazioni, a spiegare la natura del progetto e a sviluppare il loro interesse nei confronti dello stesso. Successivamente ci sono stati alcuni incontri di tipo illustrativo sui fattori terapeutici empiricamente supportati, sugli strumenti di valutazione e sul rapporto tra gli uni e gli altri. L’attenzione 70 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ in questa fase era focalizzata sull’acquisizione del concetto di operazionalizzazione, intesa come abilità di comprendere in modo flessibile la funzione di segnale-indicatore del dato di ricerca rispetto alla realtà clinica. Nella fase successiva più casi clinici, valutati come problematici, sono stati analizzati da sottogruppi misti di clinici e ricercatori; i risultati sono stati poi discussi prima separatamente e poi nell’insieme. Si è ritenuto, infine, necessario rivalutare il caso clinico dopo un certo periodo di tempo, focalizzando l’attenzione sui processi di cambiamento indotti dalla revisione operazionalizzata. Brevemente descriveremo le conclusioni e le ipotesi ulteriori a cui il gruppo è giunto: 1. La prima osservazione fondamentale riguarda la possibilità di condurre una incontrovertibili. discussione Winnicott clinica (1941) fondata su osservava che alcuni la dati difficoltà principale nelle discussioni cliniche è il mettersi d’accordo sul significato di ciò che viene osservato. Ciò che viene osservato, nelle discussioni cliniche tradizionali, viene infatti frequentemente “piegato”, nel senso di adattato a sostenere ipotesi precostituite. Anche quando si procede attraverso l’analisi di registrati (il che costituisce comunque un significativo passo avanti) è facile che gli eventi osservati vengano interpretati in modo funzionale a un’ ipotesi precostituita. 2. Al contrario l’utilizzo di strumenti permette di definire in modo molto chiaro e specifico alcuni eventi (fatti) clinici. Il fatto di poter contare su questa specie di “base solida”, empiricamente fondata, non impedisce tuttavia ai clinici di integrare queste informazioni con altre che nascono dalla loro esperienza o sensibilità. Questo procedimento non sembra creare problemi di coerenza rispetto alle tecniche e agli approcci teorici dei terapeuti e facilita la comunicazione tra 71 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ orientamenti diversi in termini propositivi (probabilmente terapeuti rigidamente identificati con il proprio modello non sono disponibili ad entrare in un gruppo di questo tipo). 3. L’applicazione esplicitamente del modello possibili errori ESMS o permette difetti nella di individuare conduzione del trattamento (rotture e assenza di riparazioni nell’alleanza terapeutica, agiti controtransferali, stili relazionali incompatibili, incompletezza o inadeguatezza della comprensione di alcuni aspetti del problema) e di offrire indicazioni per la loro risoluzione. È inoltre possibile, e parimenti importante, il riconoscimento di ciò che viene fatto bene rinforzando in tal modo la fiducia del terapeuta nel trattamento effettuato. 4. Nonostante la marcata laboriosità del lavoro svolto, questo non ha avuto effetti negativi sulla accettabilità e quindi sulla fattibilità del progetto, probabilmente corrispondendo agli interessi dei clinici (è stato per questo scelto un modulo non intensivo). Nessuno dei partecipanti al gruppo, dopo i primi incontri informativi, lo ha abbandonato e vi è stata, inoltre, una richiesta di proseguire anche dopo la conclusione prevista del progetto. È possibile ipotizzare che il training sugli strumenti, che prevede una certa durata e intensità, lasci tracce permanenti nel loro stile di lavoro, maggiori di quelle prodotte da incontri puramente informativi. 5. È necessario che chi conduce il gruppo abbia anche competenze ed esperienza clinica, soprattutto per poter integrare linguaggi in origine diversi anche se ampiamente traducibili e integrabili. Inoltre, il fatto che gli “errori” appaiano in modo piuttosto evidente implica una buona coesione del gruppo, quindi che ci sia un ambiente con un basso livello di criticismo per potersi mettere, per quanto possibile, in discussione. 72 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 6. Vorremmo infine sottolineare come in questo modo si sviluppi una partecipazione e una riappropriazione da parte dei clinici di quel sapere che sempre più facilmente viene delegato ad agenzie non sempre disinteressate (eufemisticamente) e non sempre realmente competenti, che vorrebbero relegare i clinici nel ruolo di esecutori passivi e acritici. Cosa, questa, che non può non produrre (Brehm & Brehm, 1981) fenomeni di rifiuto dei percorsi valutativi oppure fenomeni di dipendenza passiva dalle informazioni, con conseguente ulteriore burocratizzazione dei servizi, diminuzione delle competenza clinica e della qualità dei trattamenti. L’ulteriore sviluppo di questa esperienza, già in atto in altre strutture socio-sanitarie, implica la valutazione dell’efficacia di questo tipo di percorso formativo. Date le motivazioni precedentemente esposte riguardo i limiti dei questionari autosomministrati in questo tipo di lavoro l’ipotesi di lavoro che seguiremo riguarda lo sviluppo di vignette cliniche da sottoporre ai partecipanti, e a un gruppo di controllo, prima e dopo la formazione, che saranno utilizzate come partenza per la misurazione della formazione acquisita. Bibliografia Alpher, V.C. (1991). Interpersonal process in psychotherapy: application to a case study of conflict in the therapeutic relationship. Psychotherapy, 28, 550-562. 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Keywords Efficacy and effectiveness, therapeutic relationship, psychodynamic diagnosis, change resistance, dimensional diagnosis, psychotherapeutic training. 78 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ La ricerca in psicoterapia di gruppo: Alcuni risultati e future direzioni di ricerca Salvatore Gullo,1 Gianluca Lo Coco,1 Claudia Prestano,2 Francesca Giannone,1 Girolamo Lo Verso1 Sommario Questo articolo prova a esaminare alcuni risultati principali nella ricerca sulla terapia di gruppo, così come le direzioni future di ricerca in questo ambito. Sono stati esaminati i risultati degli studi raccolti dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Palermo. In particolare, in questo articolo vengono esaminate le questioni teoriche e metodologiche sulla psicoterapia di gruppo, l’efficacia clinica della terapia di gruppo con diverse popolazioni cliniche (disturbi alimentari, disturbi d’ansia) e la relazione tra caratteristiche del paziente, variabili di processo (clima e alleanza di gruppo) e l’esito della terapia. Complessivamente, da questa rassegna emerge come siano presenti alcuni studi italiani che testimoniano l’efficacia clinica della psicoterapia di gruppo, anche se sarà necessaria maggiore ricerca sull’analisi dei meccanismi sottostanti di cambiamento nei gruppi, soprattutto nelle terapie a lungo termine. Parole chiave Psicoterapia di gruppo, efficacia della terapia di gruppo, gruppi monosintomatici, psicoterapia di gruppo a lungo termine 79 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------1 Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo, Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Messina. 2 Facoltà di Corrispondenza: Salvatore Gullo, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo, Viale delle Scienze, Edificio 15, 90128 Palermo, Italy. E-mail: [email protected] Tel: +39 091 23897725. Introduzione Nella pratica clinica degli ultimi anni il gruppo è sempre più utilizzato come strumento di cura, soprattutto nei servizi pubblici dove spesso, in ragione del vantaggioso rapporto costi-benefici, diventa la soluzione privilegiata, se non l’unica praticabile, per far fronte all’ingente domanda di cura. Costantini (2000) ha sottolineato come la psicoterapia di gruppo, di breve durata o a tempo limitato, rappresenti un’ottima strategia di razionalizzazione dell’attività sanitaria pubblica erogata, proprio in ragione dell’economia di tempi e spazi che consente. Recenti studi e ricerche di tipo metanalitico hanno dimostrato l’efficacia delle terapie di gruppo con differenti tipologie di pazienti, ad esempio con disturbi legati all’abuso di sostanze, ai disturbi dell’umore, ai disturbi da attacchi di panico e/o agorafobici, alla bulimia nervosa e ai disturbi di personalità (Burlingame, MacKenzie, & Strauss, 2004). L’efficacia dimostrata dalla ricerca, congiuntamente all’efficienza del format di gruppo, garantiscono un ottimo motivo per un utilizzo sempre più esteso di queste terapie nella cura della salute mentale. Più limitate, all’interno del vasto panorama empirico che attesta l’efficacia delle terapie di gruppo (e le candida a “trattamento elettivo” del prossimo futuro), sono le evidenze empiriche relative a una sottocategoria di queste: le psicoterapie di gruppo psicodinamicamente orientate (Lo Coco, Prestano, & Lo Verso, 2008). Se a queste, poi, aggiungiamo la dimensione del lungo periodo, la 80 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ letteratura empirica, diventa veramente “una questione di nicchia”. Eppure, è importante, anche all’interno della logica del managed care, mettere in evidenza che gli esiti ottenuti dalle psicoterapie di gruppo psicodinamicamente orientate e di lungo periodo, sembrano ottenere risultati maggiormente persistenti (alle indagini di follow up) rispetto a quelli ottenuti con i trattamenti brevi e/o individuali; inoltre, in alcuni casi è stato documentato che tali esiti tendono ad aumentare nel tempo (si veda, Di Nuovo & Lo Verso, 2005; Lorentezen & Høglend, 2004; Wilberg, Karterud, Pedersen, Urnes, Irion, Brabrand, Haavaldsen, Leirvåg, Johnsen, Andreasen, & Stubbhaug, 2003). La limitata presenza di ricerche sulle terapie di gruppo è legata non solo alla grande varietà dei modelli gruppali, ma anche a una serie di difficoltà metodologiche che si incontrano nello strutturare disegni di ricerca capaci di tenere conto della complessità delle variabili in esame e della loro difficile operazionalizzazione. A queste difficoltà, su cui ci soffermeremo più avanti, si aggiunge la storica diffidenza dei clinici nei confronti di ricerche ritenute invasive rispetto ai propri setting di lavoro, minacciose nei confronti dell’intimità della situazione analitica e, spesso, con risultati poco fruibili e utilizzabili. L’ambito della valutazione delle psicoterapie si scontra con limiti precisi, dovuti soprattutto alla difficoltà di destreggiarsi tra due opposte esigenze: da una parte la correttezza metodologica, che porta spesso a eccessive semplificazioni e riduzionismi, e dall’altra la necessità di accogliere e comprendere la complessità della situazione clinica (Dazzi, Lingiardi, & Colli, 2006). Oggi tuttavia, assistiamo a un reciproco, crescente interesse tra ricercatori e clinici, e, in ambito gruppale, a un aumento dell’attenzione per i gruppi psicodinamici, anche long term, e anche semiaperti (rolling groups), che sono molto diffusi, in particolare in Europa, e in crescente affermazione anche nel resto del mondo, per il loro uso vantaggioso, soprattutto nell’ambito di interventi in Comunità Terapeutiche, Unità 81 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Ospedaliere, Programmi di trattamento in day-hospital in Istituzioni per la Salute Mentale (Tasca, Ramsay, Corace, Illing, Bone, Bissada, & Balfour 2010).7 Questioni metodologiche La ricerca in psicoterapia di gruppo utilizza da decenni dispositivi metodologici che si sono nel tempo sofisticati e notevolmente articolati. All’interno di differenti categorie di studio che caratterizzano questo settore, abbiamo ormai una grande varietà di strumenti e metodologie utilizzate per indagare il fenomeno in questione. Esistono, tuttavia, numerosi problemi ancora aperti e irrisolti. Essi derivano dall’intrinseca complessità del dispositivo terapeutico gruppale che si traduce in una analoga complessità sul piano metodologico (Gullo, Lo Verso, & Coppola, 2010). Riguardo agli strumenti, possiamo affermare che dopo una fase iniziale di implementazione e di moltiplicazione degli strumenti, su diversi costrutti relativi al processo del gruppo (misure self-report, metodologie centrate sull’analisi delle interazioni terapeutiche a partire da osservazioni, videoregistrazioni o dai trascritti delle sedute terapeutiche), la tendenza attuale è quella di utilizzare un corpus ristretto ma più attendibile di misure (vedi ad esempio, la Core Battery proposta da Burlingame, Strauss, & Hwang, 2008) che hanno dimostrato di possedere buone caratteristiche. Tale tendenza permetterà un maggiore confronto tra i risultati emersi dalle diverse ricerche. Altre questioni riguardano la molteplicità di setting che il dispositivo gruppale consente. Si pensi ai gruppi aperti (rolling groups) dove è molto 1 In queste situazioni, infatti, la modalità semi-aperta, ha il vantaggio di by-passare il lavoro “oneroso” e intensivo della creazione di nuovi gruppi, introducendo un nuovo membro, quando si determina un vuoto, per un paziente che “droppa”, o semplicemente conclude il trattamento. 82 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ problematico riferirsi a un “livello di gruppo” in quanto questo può variare da una seduta all’altra, rendendo poco rappresentativo riportare i risultati in termini di percezione media dei membri del gruppo. Un’altra questione recentemente evidenziata dai ricercatori riguarda la dipendenza dei dati all’interno dei gruppi; infatti, le osservazioni raccolte per un singolo paziente non possono essere considerate indipendenti da quelle degli altri membri del gruppo e dal gruppo nel suo insieme. I membri di gruppo possono reciprocamente influenzare i propri comportamenti e il modo di fare esperienza dell’altro, tramite l’imitazione, l’apprendimento interpersonale, il rispecchiamento; i membri di un gruppo condividono uno stesso terapeuta che ha un’influenza importante nel modo di vivere la terapia da parte dei singoli pazienti. Un gruppo molto coeso può fare sentire i membri molto vicini l’uno all’altro, favorendo il loro reciproco supporto. Se da un punto di vista clinico ciò può essere considerato un fattore curativo indispensabile e rappresenta un elemento chiave della psicoterapia di gruppo (Lo Coco & Lo Verso, 2006; Yalom & Leszcz, 2009), sul versante della ricerca empirica ciò comporta notevoli difficoltà, poiché le osservazioni raccolte per ogni singolo paziente possono essere, anche sostanzialmente, influenzate da quelle degli altri (effetto di dipendenza delle osservazioni). La struttura che questi dati assumono viene solitamente denominata nested poiché le osservazioni dei singoli pazienti sono raggruppate all’interno dei diversi gruppi esaminati. Nel caso di studi longitudinali, con rilevazioni ripetute nel tempo, la struttura di tali dati si complessifica ulteriormente venendo a determinare dati nested su tre livelli: osservazioni ripetute, soggetti, gruppi. In accordo con quanto sottolineato da altri Autori (Kenny, Mannetti, Pierro, Livi, & Kashy, 2002) tale effetto di dipendenza può anche essere negativo, ad esempio il comportamento di un membro del gruppo può influenzare un altro membro spingendolo ad assumere un 83 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ comportamento opposto. In ogni caso questo tipo di influenza genera osservazioni che non possono essere considerate indipendenti e che violano dunque un assunto di base dell’analisi inferenziale. Baldwin, Stice, & Rohde (2008) hanno evidenziano che gli studi che non tengono conto della dipendenza tra membri possono vedere sovrastimata l’efficacia della terapia di gruppo. Elaborazione teorica e ricerca empirica Contributi teorici In Italia, storicamente, la ricerca sui gruppi si è sviluppata prevalentemente sul piano teorico-clinico, concedendo sicuramente minore attenzione alla ricerca empirica. Ancora oggi non sono molti i contributi di ricerca specificamente focalizzati sulla terapia di gruppo e ben poche evidenze sono state raccolte al fine di supportare empiricamente la validità del gruppo come dispositivo terapeutico (Gullo & Lo Verso, 2008). Uno dei principali contributi che l’elaborazione teorica di matrice “gruppale” ha apportato, sta nell’aver approfondito il concetto di campo, la dimensione relazionale e la nascita relazionale della vita psichica e della psicopatologia (Giannone, Ferraro, & Lo Verso, 2011; Lo Coco & Lo Verso, 2006). In chiave epistemologica, l’esperienza clinico-gruppale ha contribuito a sviluppare l’ottica della complessità, la fondazione intersoggettiva del lavoro di cura, la questione del rapporto io-altro in psicoterapia, la centralità della presenza del terapeuta nel campo relazionale di cura, come persona, e non solo come apparato di pensieri o tecniche (Ceruti & Lo Verso, 1998). Non solo contro-transfert o interventi paramedicali, ma anche co-transfert, e cioè, quello che di sé stesso il terapeuta mette nella relazione e che appartiene a lui e alla sua storia psichica, negli specifici contesti in cui la relazione terapeutica ha 84 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ luogo (campo con-transferale) (Di Maria & Giannone, 1998; Giannone & Lo Verso, 1998a, 1998b). Su un piano più teorico-metodologico e più immediatamente riferibile alle esigenze della ricerca empirica, tenendo in considerazione la molteplicità delle variabili in gioco nel campo gruppale sono state sviluppate delle griglie di osservazione che rappresentano un valido metodo per aiutare a esplicitare cosa si fa, perché lo si fa, con quali parametri, scopi e rischi. Si tratta di inquadramenti di carattere essenzialmente qualitativo, di strumenti “per pensare”, che creano una possibilità di confronto, aumentando la trasparenza professionale e la ‘parlabilità’ scientifica del lavoro terapeutico. Le griglie consentono di allenarsi a concepire l’esperienza gruppale visualizzando meglio i singoli aspetti del campo, mettendoli in connessione tra loro e con il contesto in cui si svolgono; esse ci aiutano a concettualizzare e organizzare in termini più rigorosi e confrontabili l’intervento clinico stesso (Di Nuovo, Giannone, & Di Blasi, 1998; Giannone & Lo Verso, 1998a, 1998b). Utilizzate insieme a strumenti di rilevazione di definite variabili di esito e di processo, le griglie possono essere strumenti utili per mettere a fuoco quali fattori intervengano positivamente nel facilitare la guarigione del paziente, e le possibili connessioni esito–processo. L’esplicitazione dei parametri che definiscono e connotano i diversi tipi di gruppo (Di Maria & Lo Verso, 2002) ha infine avviato un importante lavoro di riflessione sul riconoscimento delle specifiche competenze del terapeuta di gruppo, focalizzando l’importanza del costituire setting gruppali adeguati alla patologia del paziente e al contesto in cui viene praticata, e sulle differenti modalità di conduzione proprie dei diversi format di gruppo (Lo Verso & Di Blasi, in press). Lavori empirici sui gruppi terapeutici Gli studi d’esito da noi condotti sui gruppi terapeutici hanno riguardato, sino ad oggi, esclusivamente l’effectiveness di questi 85 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ trattamenti, vale a dire l’esito ottenuto nella pratica clinica. Presentiamo di seguito alcuni contributi relativi all’efficacia clinica, come vedremo variamente intesa e misurata, di psicoterapie gruppo. Si tratta di esperienze molto differenti tra loro: gruppi di terapia analitica per pazienti con Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), gruppi ad orientamento gruppoanalitico per pazienti con Disturbi di Panico (DAP), e gruppi inseriti in dispositivi multimodali di cura. Gruppi monosintomatici per DCA La terapia cognitivo-comportamentale di gruppo (Group-Cognitive Behavioral Therapy; G-CBT) e il trattamento di gruppo interpersonale (Interpersonal Group Psychotherapy; IGP) sono ampiamente utilizzati e raccomandati nelle linee guida per la cura dei disturbi alimentari (McKisack & Waller, 1997; Wilfley, Stein, Borman, Spurrell, Cohen, Saelens, Zoler Dounchis, Frank, Wilson, & Fairburn, 1993). In particolare, l’efficacia dei gruppi CBT si rivela nel trattamento della bulimia nervosa (Burlingame, Mackenzie, & Strauss, 2004). Bisogna però tenere presente che circa il 41% dei pazienti sottoposti a G-CBT e il 38% di quelli trattati con IGP continuano a presentare sintomi alimentari dopo un anno dalla fine del trattamento (Wilfley, Welch, Stein, Spurrel, Cohen, & Saelens, 2002). Recentemente, è stata studiata un’altra modalità manualizzata di trattamento di gruppo per i pazienti con Binge interpersonale Eating di Disorder gruppo (BED), la terapia psicodinamica (Group-Psychodynamic Interpersonal Psychotherapy; G-PIP), che mira a lavorare sugli schemi relazionali disfunzionali del paziente che rinforzano i propri modelli operativi interni, per arrivare a una riduzione del bisogno di abbuffarsi come risposta a tali problemi (Tasca, Balfour, Ritchie, & Bissada, 2006; Tasca, Balfour, Kerri, & Bissada, 2007). 86 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Poca è invece la ricerca sull’effectiveness e sul processo terapeutico nei gruppi psicodinamici ed analitici a lungo termine con pazienti DCA. Alcuni studi basati su campioni ristretti hanno però mostrato come il trattamento gruppoanalitico sembra ridurre i comportamenti sintomatologici delle pazienti con BED (Ciano, Rocco, Angarano, Biasin, & Balestrieri, 2002) e bulimia (Valbak, 2001). Relativamente all’effectiveness della terapia di gruppo a lungo termine con pazienti con Disturbo del Comportamento Alimentare, il nostro gruppo di ricerca ha iniziato a lavorare quindici anni fa su tali trattamenti, all’interno del progetto nazionale Val.Ter coordinato da Santo Di Nuovo e Girolamo Lo Verso (Di Nuovo, Lo Verso, Giannone, & Di Blasi, 1998), iniziando a produrre dei dati a sostegno dei benefici a lungo termine che pazienti con diagnosi di anoressia e bulimia nervosa sembrano ottenere in seguito al trattamento in gruppi analitici (Di Nuovo & Lo Verso, 2005). I risultati evidenziavano complessivamente che i pazienti ottenevano dei cambiamenti significativi nel livello d’adattamento interpersonale, nello stile difensivo e nel funzionamento relazionale, mostrando come il lavoro terapeutico analitico e a lungo termine agisse su dimensioni più ampie della sola remissione sintomatica (Giannone, Di Blasi, Giordano, Lo Coco, & Lo Verso, 2005) e si mantenesse, spesso consolidandosi nel follow-up. Un secondo studio (Prestano, Lo Coco, Gullo, & Lo Verso, 2008), effettuato longitudinalmente su un gruppo terapeutico a orientamento gruppoanalitico per pazienti di sesso femminile con AN e BN (età media di 17 anni), sembra confermare l’effectiveness di tale terapia, anche se pazienti con diagnosi di anoressia e bulimia nervosa rispondono in maniera differente al trattamento. Mentre a livello di cambiamento sul malessere generale si è riscontrato un decremento sensibile e significativo sin dall’inizio della terapia, il trend relativo ai sintomi alimentari ha avuto un andamento differenziato tra pazienti AN e BN. In particolare, mentre la media dei punteggi sintomatici delle pazienti AN 87 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ mostrava un trend significativamente decrescente nel corso della terapia, la media dei punteggi sintomatici delle pazienti BN invece mostrava un trend irregolare sin dall’inizio della terapia, con un lieve cambiamento positivo alla fine del trattamento, anche se non significativo. Anche la scala Bulimia dell’EDI-2 (Garner, 2005) non ha mostrato un cambiamento significativo tra pre- e post-terapia. I dati relativi al processo di gruppo mostrano che le pazienti anoressiche hanno riportato valori maggiori nel livello di alleanza di gruppo e nel coinvolgimento al trattamento rispetto alle pazienti bulimiche. È interessante notare come i primi risultati di altri due studi, svolti presso un servizio pubblico, che hanno valutato più gruppi psicodinamici a lungo termine con pazienti con diagnosi di AN e BN confermano tale differenza di outcome tra pazienti anoressiche e bulimiche (Lo Coco, Salerno, Gullo, & Prestano, 2010; Lo Coco, Gullo, Prestano, & Cicero, 2010). Attualmente stiamo quindi studiando, sia in prospettiva qualitativa, tramite i trascritti delle sedute di psicoterapia (Prestano, Cicero, Gullo, Alcuri, Lo Coco, & Carcione, 2009), che quantitativa (tramite scale su alleanza e coesione di gruppo), quali variabili possano essere moderatori (ad esempio, stili di personalità, livello di problemi interpersonali) o mediatori (alleanza, coesione) del cambiamento ottenuto dalle pazienti. Quali pazienti possono essere più indicati per il gruppo? Purtroppo, gran parte delle ricerche che si propongono di verificare l’efficacia di terapie di gruppo con pazienti DCA, misurano generalmente solo il cambiamento sintomatologico alimentare; è nostra opinione che sarebbe invece importante utilizzare un insieme di misure adeguato alla valutazione dei cambiamenti quantitativi e qualitativi nel funzionamento psicologico di questi pazienti, a partire dalla proposta della Core-Battery Revised nella ricerca sui gruppi dell’American Group Psychotherapy Association (Burlingame, Strauss, & Hwang, 2008). Inoltre, una 88 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ valutazione iniziale dei pazienti (e una conseguente selezione per il gruppo) che tenga conto di aspetti caratterologici e di personalità di queste pazienti potrebbe aiutare a comprendere meglio i soggetti a rischio di drop-out dal trattamento. Un indicatore di tale esigenza proviene, ad esempio, dall’Istituto Nazionale per la Salute Mentale statunitense che ha concluso che i manuali CBT per il trattamento dei DCA potrebbero essere arricchiti includendo un focus sui temi interpersonali e familiari per la disregolazione affettiva. Abbiamo rilevato come la valutazione diagnostica (in senso dimensionale più che categoriale) dei pazienti con disturbi alimentari che vengono selezionati per partecipare ai gruppi terapeutici sia ancora molto limitata. Soprattutto relativamente ai gruppi psicodinamici e analitici, l’assessment iniziale riportato in gran parte delle ricerche è focalizzato su aspetti sintomatici alimentari, senza valutare alcune funzioni psicologiche centrali al fine di partecipare a un gruppo terapeutico: quali sono i problemi interpersonali di queste pazienti? Quali modalità relazionali mettono in atto con gli altri individui? Che stili di personalità sono associati ai vari disturbi alimentari e come questi favoriscono (o meno) il cambiamento all’interno di un gruppo terapeutico? Una linea di ricerca che stiamo seguendo proverà a fornire delle evidenze su questi aspetti, provando a identificare l’associazione tra stili e disturbi di personalità di pazienti con disturbi alimentari e capacità di trarre beneficio dai trattamenti di gruppo. In questo senso, verranno utilizzati strumenti quali la SWAP-200 (Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003), il MCMI-III (Zennaro, Ferracuti, Lang, & Sanavio, 2008), l’IIP-32 (Horowitz, Alden, Wiggins, & Pincus, 2000), l’EDI-3 (Garner, 2005), per favorire un assessment iniziale in grado di tenere conto di diverse variabili e diverse prospettive di valutazione (ad esempio, tramite strumenti self-report e clinician-report). 89 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Abbiamo finora effettuato degli studi su pazienti sia obesi che con BED che richiedono un trattamento terapeutico, vista la crescente richiesta di soggetti con queste problematiche alimentari nei servizi negli ultimi anni. Come confermato in letteratura, abbiamo trovato che i soggetti obesi BED hanno un quadro psicopatologico più grave di soggetti obesi senza comportamenti binge. Da un punto di vista interpersonale (tramite l’IIP-32), inoltre, i soggetti obesi BED sembrano presentare problemi legati all’inibizione sociale, alla freddezza interpersonale, alla sottomissione e all’anassertività. Un secondo studio su soggetti obesi treatment-seeking ha mostrato che la relazione tra comportamenti binge e problemi interpersonali sembra essere mediata dal ruolo dell’autostima personale, notoriamente deficitaria in questi pazienti (Lo Coco, Gullo, Salerno, & Iacoponelli, 2010). Gruppi monosintomatici per DAP Negli ultimi anni il nostro studio sui gruppi psicodinamici monosintomatici si è esteso anche a pazienti affetti da disturbo di panico (DAP). Un recente lavoro (Thione Bosio, Prestano, Gullo, Tagliarini, Minetti, & Serra, 2009) confrontava l’esito e il processo di un gruppo omogeneo per pazienti DAP con un gruppo eterogeneo per tipo di diagnosi, condotto con lo stesso modello terapeutico. Lo studio intendeva verificare l’efficacia terapeutica e il follow-up del trattamento ed esaminare la correlazione tra esito e alleanza terapeutica nel gruppo. Riassumendo complessivamente i risultati del gruppo con pazienti DAP, si può evidenziare come in termini medi il gruppo abbia ottenuto un miglioramento: tutte le scale somministrate concordano nel rilevare tale cambiamento anche se con intensità e tempi differenti. Al termine del trattamento si rilevavano miglioramenti significativi sul livello della qualità della vita, sul livello di ansia e nel ridimensionamento di alcuni tratti di personalità patologici (border e negativistici). Il livello di salute complessivo e gli altri aspetti della 90 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ qualità di vita presentavano miglioramenti meno marcati. In termini di cambiamento individuale tre pazienti su sei riportavano un cambiamento clinicamente significativo (Clinical Significance; CS) e attendibile (Reliable Change Index; RCI) e un paziente raggiungeva solo il criterio RCI. Al follow-up i risultati confermavano il miglioramento rispetto all’inizio, ma con minore entità rispetto alla fine del trattamento. In termini individuali due pazienti su sei ottenevano entrambi i criteri (CS e RCI), mentre altri due mostravano un miglioramento statisticamente ma non clinicamente attendibile. Relativamente all’associazione tra esito e processo tutti gli aspetti dell’alleanza risultavano associati all’esito, e in particolare risultava maggiormente associata all’outcome positivo della terapia la qualità dell’alleanza nelle fasi iniziali e intermedie del trattamento (Thione Bosio, Prestano, Gullo, Tagliarini, Minetti, & Serra, 2009). Gruppi con format diversi In anni recenti lo studio della psicoterapia di gruppo ha cominciato a essere rivolto anche alle terapie lungo termine, attraverso studi longitudinali. Al di là delle conoscenze acquisite sui gruppi a brevissimo termine, o a tempo determinato di breve durata, l’attenzione dei ricercatori si è rivolta a comprendere se e come funzionano i gruppi a lungo termine, che peraltro risultano ampiamente diffusi nel contesto privato. Si tratta soprattutto di gruppi psicodinamici che possono avere una durata prefissata o meno, in quest’ultimo caso si definiscono semiaperti poiché prevedono l’inserimento di nuovi membri oltre che la fuoriuscita di quei soggetti che completano il loro percorso terapeutico. Data la complessità e la lunghezza delle ricerche, anche a livello internazionale esistono finora pochi studi pubblicati, in massima parte condotti da Lorentzen & Høglend (2004). Uno studio single-case su un gruppo semi-aperto di lungo termine è stato recentemente condotto dal nostro gruppo di ricerca con la finalità 91 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ di indagare specificamente gli aspetti ciclici del processo in questo format. In particolare, lo studio si proponeva di indagare come le variazione nella composizione del gruppo (nuove immissioni, drop-outs, dimissioni) modificano il campo gruppale e influenzano l’andamento del processo e l’esito del trattamento. Inoltre, si proponeva di verificare l’outcome e il cambiamento raggiunto dai pazienti durante il periodo di studio (un anno e mezzo) e di analizzare l’associazione tra esito e processo. I risultati, relativi a 9 pazienti, hanno mostrato che 6 pazienti hanno ottenuto cambiamenti significativi nelle scale di esito, valutati attraverso i criteri del RCI e della CS (Jacobson & Truax, 1991). Si è rilevato inoltre che i pazienti che riportavano risultati migliori erano quelli che mantenevano una presenza costante e assidua lungo il percorso e anche durante il periodo caratterizzato da un elevato numero di nuovi inserimenti e dimissioni. Segmentando il trattamento in tre fasi in relazione alla stabilità del campo gruppale, si è evidenziato inoltre che proprio nel suddetto periodo (seconda fase) l’alleanza mostrava un’intensità minore confrontata con il livello di alleanza dello stesso gruppo rilevato nella prima e terza fase, contraddistinte da una maggiore stabilità del setting (minori ingressi e uscite), mentre la coesione si manteneva più alta in tutt’e tre le fasi, mostrando una più forte correlazione con gli esiti (Giannone, Gullo, Ferraro, Barone, & Gargano, 2010). Un altro interessante filone di studi che ha recentemente preso avvio è invece rivolto allo studio di un format terapeutico gruppale che sta cominciando a diffondendosi nell’ambito dei servizi pubblici. Si tratta di gruppi che procedono per cicli terapeutici, ovvero di gruppi della durata di un anno, generalmente chiusi, composti sia da pazienti che iniziano il loro percorso terapeutico sia da pazienti che proseguono il loro percorso avendo già negli anni precedenti partecipato a questo tipo di gruppi. La ricerca, che finora ha studiato solo un gruppo rivolto a giovani pazienti 92 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ con disturbi di personalità ed è ancora in corso d’opera, mira principalmente a indagare quali sono gli aspetti della psicoterapia di gruppo ritenuti più efficaci da chi ha già compiuto un percorso di gruppo, e ad analizzare quanto e come questi aspetti influenzano la motivazione alla terapia – e alla terapia di gruppo in particolare – in questi soggetti. Associando tali risultati all’esito e al processo dei gruppi la ricerca si propone come fine ultimo di individuare quali aspetti, rilevati al momento della costituzione del gruppo, rappresentano degli indicatori o dei predittori della possibilità di lavorare proficuamente in gruppo piuttosto che della possibilità di abbandonare la terapia o ottenere risultati non positivi. Un ulteriore ambito di ricerca è rappresentato dallo studio dei gruppi condotti all’interno di strutture residenziali, destinate a pazienti psichiatrici o ad adolescenti. In particolare gli studi in questo settore si sono concentrati sul processo dei gruppi, analizzando lo sviluppo temporale del clima di gruppo e le associazioni con gli interventi operati dal conduttore. I risultati più interessanti hanno evidenziato la correlazione tra il numero di interventi interpretativi e di connessione realizzati dal conduttore e la qualità coinvolgente del clima percepito dai partecipanti. Conclusioni e future linee di ricerca L’aumento progressivo del numero di ricerche, la produzione di nuovi lavori e la crescente attenzione che questo settore di ricerca incontra, soprattutto da parte degli psicoterapeuti che operano nei servizi e della clinica gruppale, rappresentano segnali che inducono a pensare che sebbene nel nostro paese non vi sia ancora un sistema di ricerche adeguato, esiste tuttavia una tradizione di studi certamente breve, ma pronta ad ampliarsi. In quest’ottica, diviene sempre più importante concentrare gli studi sul legame tra processo ed esito psicoterapeutico, soprattutto riguardo 93 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ le terapie psicodinamiche e psicoanalitiche di gruppo. Questi trattamenti, molto complessi e poco operazionalizzabili, pongono ancora degli interrogativi cruciali per la ricerca quali: quali sono i principali elementi del processo terapeutico che si attivano in tali terapie? Che ruolo gioca il fattore temporale (nei trattamenti a lungo termine) rispetto all’esito e allo sviluppo del processo? Quali tipologie di pazienti ottengono maggiori benefici da queste psicoterapie? 94 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Per rispondere a tali questioni diventa essenziale costruire anche in Italia un ampio network di ricerca che permetta di condividere e confrontare le esperienze e i risultati condotti nel territorio nazionale e di giungere in prospettiva a un corpus di strumenti e metodologie condivise. Bibliografia Baldwin, S., Stice, E., & Rohde, P. (2008). 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In sum, this review showed that although some Italian studies had demonstrated the effectiveness of group psychotherapy, more research is needed to analyse the underlying mechanisms of change in group treatments, and specifically in long-term therapies. Key words Group psychotherapy, effectiveness of group psychotherapy, homogeneous group therapy, long-term group therapy 98 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Diagnosi e valutazione della personalità, alleanza terapeutica e scambio clinico nella ricerca in psicoterapia Vittorio Lingiardi,1 Francesco Gazzillo,1 Antonello Colli,2 Francesco De Bei,1 Annalisa Tanzilli,1 Mariagrazia Di Giuseppe,1 Nicola Nardelli,1 Chiara Caristo,1 Valeria Condino,1 Daniela Gentile,1 Nino Dazzi1 Sommario Questo contributo si propone di fornire una breve rassegna delle principali linee di ricerca seguite negli ultimi anni dal gruppo coordinato da Vittorio Lingiardi. Tra queste, ci soffermeremo in particolare su: a) valutazione e diagnosi della personalità con SWAP-200 e PDM (Psychodynamic Diagnostic Manual); b) sviluppo e validazione di strumenti clinician-report per operazionalizare l’uso del PDM; c) valutazione dei meccanismi di difesa e degli stili difensivi mediante DMRS e sua versione Q sort; d) studio del processo e della relazione terapeutica (alleanza terapeutica, rotture e riparazioni dell’alleanza, transfert, controtransfert); in particolare, in quest’area di ricerca, ci siamo impegnati nello sviluppo e validazione di nuovi strumenti per la valutazione dei processi di rottura e riparazione dell’alleanza (Collaborative Interaction Scale) e della qualità dell’attaccamento tra paziente e terapeuta (Patient-Therapist Attachment Q Sort); d) sviluppo della ricerca clinica e applicativa sui temi dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e dell’omofobia sociale e interiorizzata. Parole chiave Diagnosi e valutazione della personalità, meccanisimi di difesa, processo, alleanza terapeutica, orientamento sessuale e omofobia. --------------------------------------------------------------------------------------------------------1 Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, Facoltà di Medicina e Psicologia, “Sapienza”, Università di Roma, 2 Dipartimento di Scienze dell’Uomo, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” Corrispondenza: Vittorio Lingiardi E-mail: [email protected] Tel.: 06 49917559 99 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Introduzione Il nostro approccio alla “ricerca in psicoterapia” può essere riassunto in pochi concetti essenziali: che la ricerca sia utile alla clinica, che la clinica sia capace di riflettere su se stessa a partire dai risultati della ricerca, che si rivolga la stessa attenzione alla complessità dei concetti e dei fenomeni e all’affidabilità empirica della loro operazionalizzazione, che si nutra fiducia in numeri e tabelle, ma senza idealizzarli, che si dia una considerazione privilegiata alle ricerche basate sui trascritti delle sedute e che si usino poche gergalità. Le nostre linee di ricerca possono essere così raggruppate: 1) valutazione e diagnosi della personalità; 2) relazione terapeutica e sue componenti (alleanza terapeutica, transfert, controtransfert); 3) attaccamento e psicoterapia; 4) valutazione dei meccanismi di difesa; 5) orientamento sessuale, omofobia, identità di genere e psicoterapia. In questa breve rassegna sull’attività di ricerca del nostro gruppo faremo riferimento prevalentemente alla produzione scientifica degli ultimi anni. Abbiamo deciso di riportare in forma narrativa i risultati delle nostre ricerche, rimandando ai singoli lavori il lettore interessato a informazioni più specifiche sulle tecniche di analisi utilizzate e i dati numerici (informazioni aggiornate e complete sulle attività di ricerca del nostro gruppo sono consultabili sul sito: http://www.pcrlab.org/). Valutazione e diagnosi della personalità Dopo una rassegna critica dei principali modelli della personalità e dei suoi disturbi (Lingiardi, 2004), in particolare da una prospettiva psicodinamica e bio-psico-sociale, abbiamo cercato di individuare uno strumento di valutazione della personalità che fosse al tempo stesso empiricamente affidabile e clinicamente utile, che superasse i principali limiti dell’Asse II del DSM-IV-TR (APA, 2000) e che potesse essere utilizzato anche nelle ricerche su processo e outcome delle psicoterapie. 100 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Abbiamo riscontrato questi requisiti nella Shedler-Westen Assessment Procedure-200, un Q-sort clinical-report composto da 200 item descrittivi delle principali caratteristiche della personalità normale e patologica (Gazzillo, 2006, 2009; Lingiardi & Gazzillo, 2002, 2010; Westen & Shedler, 1999a, 1999b; Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003). La SWAP-200 permette di elaborare una diagnosi categoriale e dimensionale degli stili/disturbi di personalità che segue la nosografia dell’Asse II del DSM-IV (fattori PD) e una tassonomia empiricamente derivata degli stili di personalità (fattori Q), una valutazione delle risorse e una formulazione del caso sistematica e patient-tailored. A differenza degli strumenti self-report, la SWAP-200 valorizza le capacità di osservazione e inferenza dei clinici, disciplinandole per mezzo di metologie statistiche adeguate e senza interferire nella relazione terapeuta-paziente. Abbiamo tradotto in italiano la SWAP-200, versioni adulti e adolescenti (per quest’ultima vedi: Westen, Shedler, Durrett, Glass, & Martens, 2003), e costruito un programma computerizzato per lo scoring (Westen et al., 2003). Dal punto di vista applicativo, ci siamo concentrati sull’impiego della SWAP-200 nella valutazione di processo e outcome delle psicoterapie per mezzo dell’analisi dei trascritti di sedute di casi singoli: in un primo lavoro pubblicato sul Journal of Personality Assessment (Lingiardi, Shedler, & Gazzillo, 2006) abbiamo illustrato come la SWAP-200 permetta di valutare in modo dettagliato, qualitativo e quantitativo, i cambiamenti dell’assetto della personalità nel corso di una psicoterapia analitica. In un lavoro più recente, apparso su Psychoanalytic Psychology (Lingiardi, Gazzillo, & Waldron, 2010), abbiamo invece analizzato processo e outcome di una psicoterapia psicoanalitica servendoci di SWAP-200, Defense Mechanism Rating Scale (DMRS; Perry, 1990) e Analytic Process Scales (APS; Waldron, Scharf, Hurst, Firestein, & Burton, 2004) per la valutazione delle comunicazioni di 101 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ paziente e terapeuta. I risultati di questa ricerca sembrano confermare alcuni dati presenti in letteratura (Waldron, Scharf, Hurst et al., 2004; Waldron, Scharf, Crouse, Firestein, Burton, & Hurst, 2004; Waldron & Helm, 2005): una terapia di successo aumenta le capacità di buon funzionamento della personalità del paziente, riduce i tratti di personalità patologici e matura complessivamente lo stile difensivo. Questo studio sembra anche supportare l’ipotesi secondo cui le attività analitiche nucleari (chiarificazioni e interpretazioni di difese, conflitti e transfert) e la qualità delle comunicazioni del terapeuta (intesa come adeguatezza del tipo e del contenuto dell’intervento, a cui aggiungere tatto, timing e linguaggio con cui viene comunicato) sono i fattori che maggiormente favoriscono il cambiamento della personalità nelle terapie analitiche. Attualmente, siamo impegnati nella stesura di un lavoro di valutazione del processo di una psicoterapia dinamica ai cui trascritti sono state applicate SWAP-200, Attività Referenziale (RA; Bucci & Kabasakalian-Mckay, 1992) e DMRS (per una versione preliminare, vedi Gazzillo, Mariani, Lingiardi, & Bucci, 2009). In una ricerca empirica condotta su 102 adolescenti con disturbi del comportamento alimentare (DCA), abbiamo utilizzato la SWAP-200 per identificare i sottotipi di personalità empiricamente rilevabili nei pazienti con queste diagnosi. In linea con le ricerche di ThompsonBrenner e Westen (Thompson-Brenner, Eddy, Franko, Dorer, Vashchenko, Kass, & Herzog, 2008; Thompson-Brenner & Westen, 2005), abbiamo identificato tre sottotipi di personalità: uno stile di alto funzionamento/perfezionistico, uno emotivamente disregolato e uno iper-coartato. Abbiamo quindi indagato le caratteristiche relative all’identità e allo stile di regolazione degli affetti di ciascuno di questi sottotipi e rilevato come il livello di gravità della presentazione clinica dei pazienti con DCA sia direttamente correlato all’intensità dello stile disregolato e inversamente correlato a quello di alto funzionamento 102 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (Gazzillo, Lingiardi, Peloso, Giordani, Vesco, Filippucci, & Zanna, submitted). Attualmente, in collaborazione con il SERT della ASL di Bergamo, stiamo conducendo uno studio finalizzato alla sottotipizzazione della personalità di pazienti con addiction. In ultimo, con i colleghi del Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma abbiamo avviato un progetto di ricerca teso a indagare la relazione tra patologia di personalità (valutata con la SWAP-200; Westen et al., Psychotherapy 2003), pattern Relationship transferali Questionnaire (identificati (PRQ); Westen, con il 2000; Bradley, Heim, & Westen, 2005) e pattern controtransferali (identificati con il Countertransference Questionnaire (CTQ); Zittel, Conklin, & Westen, 2003; Betan, Heim, Conklin, & Westen, 2005). In linea con le ipotesi formulate, è emerso che il transfert evitante/contro-dipendente e il controtransfert distaccato sembrano buoni predittori dei disturbi di personalità del cluster A; il transfert arrabbiato/rivendicativo/recriminativo e il controtransfert sopraffatto/disorganizzato sembrano buoni predittori dei disturbi del cluster B; il transfert ansioso/preoccupato e il controtransfert genitoriale sembrano buoni predittori dei disturbi del cluster C. Questi risultati suggeriscono che le modalità con cui pazienti e terapeuti interagiscono presentano caratteristiche riconducibili alla personalità del paziente e tendono a ripetersi secondo pattern coerenti e prevedibili (Tanzilli, Carcione, Dimaggio, Lingiardi, & Semerari, 2010). Nel 2008, con Franco Del Corno, abbiamo curato la versione italiana del Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM Task Force, 2006), il primo manuale multiassiale, catagoriale, dimensionale e prototipico pensato per guidare il clinico in una valutazione dinamica completa della personalità, del funzionamento mentale e della sintomatologia (incluso il senso soggettivo dei sintomi) di pazienti adulti, adolescenti e bambini. Per validare empiricamente la tassonomia dei disturbi di 103 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ personalità del PDM e permettere una loro valutazione rapida e affidabile abbiamo costruito i Prototipi Diagnostici Psicodinamici (PDP; Gazzillo, Lingiardi, & Cordero di Montezemolo, 2008), una rating scale clinician-report dei diversi disturbi di personalità del PDM. La validazione dei PDP, condotta su 173 soggetti adulti in cura presso i servizi pubblici di salute mentale, ha dimostrato buoni livelli di validità di facciata, attendibilità, validità concordante, discriminante e di criterio (Gazzillo, Lingiardi, & Del Corno, in preparazione). Siamo impegnati nell’elaborazione di un modello di formulazione dei casi clinici basato sugli item dei PDP e nella costruzione di un programma computerizzato per la valutazione della personalità con questo strumento, che nella sua ultima versione (Gazzillo & Lingiardi, 2010) indaga anche le preoccupazioni principali e le credenze patogene dei pazienti, prima valutate per mezzo di due questionari ad hoc. L’attenzione alla diagnosi e la promozione di una cultura diagnostica propedeutica alle opzioni di trattamento, ci ha portato a curare, su commissione dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, il primo testo italiano di rassegna critica dei principali modelli e strumenti diagnostici di ambito psicologico-clinico: La diagnosi in psicologia clinica (Dazzi, Lingiardi, & Gazzillo, 2009; vedi anche Barron & Lingiardi, 2005; Lingiardi, 2009; Lingiardi & Codazzi, 2009; Lingiardi & Tanzilli, 2011). Relazione terapeutica e sue componenti: alleanza, transfert, controtransfert Il volume L’alleanza terapeutica (Lingiardi, 2002), rassegna storicocritica delle principali definizioni teoriche e operazionalizzazioni empiriche del costrutto, inaugura in Italia una prolifica linea di ricerca, concettuale ed empirica, su questo “fattore aspecifico”, tra i più correlati all’outcome delle psicoterapie (Horvath & Bedi, 2002; Lingiardi, 2006a; Wampold, 2001). La prima ricerca che abbiamo svolto in quest’ambito si è concentrata sullo studio della relazione tra 104 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ disturbi di personalità e alleanza terapeutica (Lingiardi, Filippucci, & Baiocco, 2005). In questo lavoro abbiamo potuto osservare come (a) la forza dell’alleanza terapeutica nelle fasi iniziali del trattamento fosse un buon predittore rispetto al drop out; (b) i pazienti del cluster A mostrino particolari difficoltà nello stabilire un’alleanza terapeutica; (c) i terapeuti con pazienti del cluster B tendano a valutare negativamente l’alleanza e, infine, (d) le valutazioni dell’alleanza fatte dai terapeuti risultino in media più basse di quelle fatte dai pazienti. All’interno di una riflessione, anche critica, sulla “genericità” del costrutto “alleanza terapeutica”, la nostra attenzione si è quindi spostata sullo studio della costruzione dell’alleanza nel corso del processo terapeutico (Ackermann & Hilsenroth, 2001, 2003) e sulla concettualizzazione di Safran e Muran secondo cui l’alleanza può essere intensa come processo di negoziazione intersoggettiva tra paziente e terapeuta caratterizzato dall’alternarsi di rotture e riparazioni (Lingiardi, 2008, in press; Lingiardi & Colli, 2010; Safran & Muran, 2000). A partire da questo modello abbiamo costruito l’Indice di Valutazione dell’Alleanza Terapeutica (IVAT; Colli & Lingiardi, 2002, 2007a, 2007b), che permette di valutare i processi di rottura e riparazione dell’alleanza a partire dall’analisi dei trascritti di sedute secondo la prospettiva di un osservatore esterno e attraverso una metodologia microanalitica. Lo studio di validazione dell’ultima versione di questo strumento, la Collaborative Interaction Scale (CIS), è stata pubblicato su Psychotherapy Research (Colli & Lingiardi, 2009a). Con l’IVAT/CIS abbiamo studiato il rapporto tra processi di rottura e riparazione dell’alleanza terapeutica e variabili come: l’adjustment ratio degli interventi del terapeuta rispetto al funzionamento difensivo del paziente (Colli & Lingiardi, 2006), il controtransfert (Lingiardi & Colli, 2008), gli interventi del terapeuta (Lingiardi, Tanzilli, & Colli, 2008), la diagnosi di personalità e i meccanismi di difesa (Lingiardi, Colli, & Gazzillo, 2007), l’attività referenziale (Colli, Mariani, D’Angelo, & 105 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Lingiardi, 2009; Condino, Colli, Mariani, & De Coro, 2009) e i Sistemi Motivazionali Interpersonali valutati attraverso il metodo AIMIT (Liotti & Monticelli, 2008; Colli, Gentile, Fassone, Ivaldi, Lingiardi, & Liotti, 2010; Gentile, Colli, Fassone, Ivaldi, & Liotti, 2009). Attualmente siamo impegnati nello sviluppo di una nuova versione user-friendly della CIS e nello studio della relazione tra rotture/riparazioni dell’alleanza e funzionamento riflessivo (Colli, Guardati, & Pratesi, 2010). Nel tentativo di integrare lo studio dei fattori relazionali aspecifici delle psicoterapie con quello dei fattori specifici, abbiamo indagato il rapporto tra alleanza, pattern d’interazione terapeutica e profondità dell’elaborazione (Lingiardi, Colli, Gentile, & Tanzilli, submitted). In questa ricerca, condotta con lo Psychotherapy Process Q-set (PQS; Jones, 1985, 2000; Colli & Gazzillo, 2006; Lingiardi & Dazzi, 2008), abbiamo potuto rilevare due pattern d’interazione specifici legati all’outcome delle terapeutica intesa sedute: come un pattern “base che sicura” descrive (vedi anche un’alleanza paragrafo successivo), e un pattern che descrive un coinvolgimento attivo della coppia paziente-terapeuta nella regolazione della relazione nel qui e ora. Abbiamo quindi avviato una serie di ricerche con l’obiettivo di ampliare lo studio del processo terapeutico ad altre variabili relazionali, come le comunicazioni di paziente e terapeuta, il transfert e il controtransfert, la personalità e lo stile difensivo. In particolare, una ricerca ha previsto l’applicazione delle Analytic Process Scales (APS; Waldron, Scharf, Hurst et al., 2004), insieme con la SWAP-200 e la DMRS, a 42 sedute di tre psicoterapie psicoanalitiche. I risultati di questa ricerca, presentati al convegno internazionale della Society for Psychotherapy Research svoltosi a Madison (Wisconsin) nel 2007 (Gazzillo & Lingiardi, 2007), confermano i risultati di una precedente ricerca condotta negli Stati Uniti con le APS (Waldron, Scharf, Hurst et al., 2004, Waldron, Scharf, Crouse et al., 2004): la produttività delle 106 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ comunicazioni del paziente correla con le sue capacità di buon funzionamento psicologico valutate con la SWAP-200 e con il livello di maturità delle difese valutato con la DMRS, ed è rafforzata dalle attività analitiche nucleari del terapeuta e della qualità dei suoi interventi. Per poterci affidare a una valutazione empirica del controtransfert e del transfert, abbiamo costruito un sistema Q sort per la valutazione dell’esperienza relazionale del terapeuta Countertransference Assessment Q sort (CTA-Q sort; Colli & Prestano, 2006; Colli & Lingiardi, 2009b) e validato la versione italiana di due strumenti clinician-report: il Psychotherapy Relationship Questionnaire (PRQ; Bradley, Heim, & Westen, 2005; Tanzilli, Colli, De Bei, & Lingiardi, 2010) e il Countertransference Questionnaire (CTQ; Betan, Heim, Zittel Conklin, & Westen, 2005; Tanzilli, Colli, & Lingiardi, 2009). La validazione del CTA-Q sort è stata effettuata all’interno di una ricerca nazionale, condotta con un gruppo di colleghi impegnati nei servizi pubblici e in studi privati, sullo studio dei pattern di esperienza transferale e controtransferale in relazione al livello di funzionamento e allo stile di personalità dei pazienti (Colli & Lingiardi, 2009b; Colli, Lingiardi, & Gruppo ASP, submitted). Questo studio ci ha permesso di costruire alcuni prototipi dell’esperienza controtransferale nel trattamento di pazienti con disturbi di personalità e abbiamo potuto osservare, in accordo con la letteratura internazionale (Rossberg, Karterud, Pedersen, & Friis, 2007; Schwartz, Smith, & Chopko, 2007), una stretta relazione tra livello sintomatologico e intensità dell’esperienza controtransferale dei terapeuti nonché la presenza di pattern di risposta dei terapeuti in relazione a specifici disturbi di personalità (Colli & Lingiardi, 2009b; Colli, Marchegiani, & Lingiardi, 2010; Lingiardi, 2008, in press). Abbiamo valutato stabilità fattoriale, affidabilità e validità di costrutto delle versioni italiane del CTQ (trad. it. De Bei & Lingiardi, 2006a; Tanzilli et al., 2009) e del PRQ (trad. it. De Bei, Lingiardi, 107 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 2006b; Tanzilli et al., 2010). L’analisi fattoriale preliminare da noi eseguita su 160 CTQ mostra una struttura differente da quella rilevata dalle ricerche americane (Betan et al., 2005); abbiamo infatti individuato 5 fattori di controtransfert: positivo, impotente/frustrato, speciale/ipercoinvolto, sopraffatto/disorganizzato, distaccato/non coinvolto. Per testare l’applicabilità clinica della versione italiana di questo strumento è stata esaminata la relazione tra i 5 fattori del controtransfert e i fattori PD e Q della SWAP-200. In linea con le ipotesi di partenza, i disturbi del cluster A sembrano associati a un controtransfert distaccato; i disturbi del cluster B ai controtransfert impotente/frustrato e sopraffatto/disorganizzato e i disturbi del cluster C al controtransfert speciale/ipercoinvolto. Per valutare la validità convergente sono state esaminate le correlazioni tra i 5 pattern controtransferali e le valutazioni dei trascritti di sedute di 14 coppie paziente-terapeuta condotte con lo Psychotherapy Process Q-set (PQS; Jones, 1985, 2000) e il Working Alliance Inventory– Observer Form (WAI-O; Horvath, 1981, 1982; Horvath & Greenberg, 1989): i dati hanno messo in evidenza come i fattori del controtransfert ipercoinvolto, distaccato e disorganizzato sembrino associati a una scarsa qualità dell’alleanza terapeutica. Rispetto alle variabili del processo terapeutico, invece, la presenza di un pattern controtransferale positivo si associa a un legame di fiducia e intimità col paziente (Tanzilli et al., 2009). Per quanto riguarda il Psychotherapy Relationship Questionnaire, l’analisi fattoriale eseguita su 180 protocolli ha prodotto una soluzione a 4 fattori differente da quella identificata dal gruppo di Westen (Bradley et al., 2005): sicuro-impegnato, arrabbiato/ostile, evitante, ansioso/preoccupato. Queste dimensioni transferali presentano elementi di sovrapposizione con gli stili di attaccamento identificabili attraverso la Adult Attachment Interview (AAI; Main, Kaplan, & Cassidy, 1985). Anche in questo studio, per testare la validità e l’applicabilità 108 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ clinica della versione italiana del PRQ è stata indagata la relazione tra i 4 fattori transferali e i disturbi della personalità alla SWAP-200 (sia in fattori PD, sia in fattori Q). In accordo con le ipotesi formulate, i disturbi del cluster A sono risultati associati positivamente al transfert evitante/controdipendente e negativamente al transfert sicuro/impeganto; i disturbi del cluster B positivamente al transfert arrabbiato/ostile e negativamente al transfert sicuro/impegnato; i disturbi del cluster C positivamente al transfert ansioso/preoccupato e negativamente al transfert evitante/controdipendente. Per valutare la validità convergente del PRQ sono state misurate le correlazioni tra i pattern transferali e le valutazioni dei trascritti di sedute di 20 coppie paziente-terapeuta condotte con il PQS di Jones (1985, 2000) e il WAI-O di Horvath (Horvath, 1981, 1982; Horvath & Greenberg, 1989). I risultati preliminari di questa ricerca evidenziano come i fattori transferali ostile ed evitante siano associati a una bassa qualità dell’alleanza terapeutica, mentre il transfert positivo si associa a caratteristiche qualitativamente positive dell’interazione terapeutica, come la sua capacità del paziente di impegnarsi nel lavoro terapeutico, di essere introspettivo e di esplorare i propri pensieri e sentimenti (Gentile & Tanzilli, 2008; Lingiardi et al., submitted; Tanzilli et al., 2010). Attaccamento e psicoterapia Le numerose ricerche che si sono occupate di estendere alla relazione terapeutica i risultati degli studi sull’attaccamento adulto (Obegi & Berant, 2008; Slade, 2008; Steele & Steele, 2008) ci hanno portato ad approfondire, da un punto di vista teorico e empirico, il rapporto tra questo costrutto e l’alleanza terapeutica, il transfert e il controtransfert (De Bei, Colli, & Lingiardi, 2007; Lingiardi, 2002; Lingiardi & De Bei, 2005, 2007) senza per questo tralasciare una riflessione sul tema, più ampio, del setting terapeutico (vedi Lingiardi & 109 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ De Bei, 2008; Lingiardi & De Bei, in press). In più occasioni abbiamo sottolineato l’utilità di un ampliamento del concetto di alleanza in termini di “base sicura” (De Bei et al., 2007; Lingiardi & De Bei, 2005, 2007). Lo studio micro-processuale della relazione terapeutica ha infatti messo in evidenza come l’alleanza rappresenti un costrutto sovraordinato che deriva dall’integrazione di numerose variabili riconducibili alle dimensioni transferale/controtransferale e relative alla relazione reale. Se si concepisce il transfert come ricapitolazione delle modalità relazionali del paziente (sicure o insicure), e i processi controtransferali come il risultato dell’incontro tra le caratteristiche della personalità del terapeuta e le particolari modalità relazionali del paziente, l’alleanza può essere compresa come risultante dell’incontro tra questi fattori e la dimensione reale e operativa della relazione terapeutica. Ciò consente di mettere in evidenza come l’alleanza, una volta concepita come base sicura, possa rappresentare un ponte tra costrutti apparentemente lontani. Sul piano valutativo, al fine indagare il modo in cui l’attaccamento influenza l’outcome della psicoterapia (De Bei, 2006) abbiamo costruito uno strumento che permette di indagare l’attaccamento pazienteterapeuta a partire da trascritti delle sedute. Il Patient-Therapist Attachment Q- sort (PTA Q- sort; De Bei, Lingiardi, & Miccoli, 2007) è uno strumento costruito con il preciso intento di studiare gli aspetti processuali delle dinamiche di attaccamento. I primi studi di validazione che abbiamo condotto hanno dato risultati incoraggianti dimostrando che lo strumento possiede un’affidabilità soddisfacente (De Bei, Lingiardi, & Miccoli, 2008). Attualmente, il nostro gruppo di ricerca è impegnato a valutare la validità di costrutto del PTA Q- sort con altre misure dell’attaccamento adulto (AAI) e a costruirne una versione informatizzata. 110 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Sul piano empirico, l’impiego del PTA Q- sort ci ha consentito di verificare alcune ipotesi presenti in letteratura sulla relazione tra attaccamento paziente-terapeuta e outcome del trattamento (Meyer & Pilkonis, 2001; Speranza, 2006). A questo scopo abbiamo indagato il rapporto tra la qualità dell’attaccamento paziente-terapeuta (De Bei, Lingiardi, & Miccoli, 2007), l’alleanza (con il Working Alliance Inventory, WAI; Horvath, 1981, 1982; Horvath & Greenberg, 1989) e le caratteristiche dell’interazione tra clinico e paziente (attraverso lo Psychotherapy Process Q-set, PQS; Jones, 1985, 2000). Questo studio, condotto su un campione di circa 40 sedute di psicoterapia a orientamento psicodinamico, sembra mostrare che l’attaccamento non è una variabile in grado di influenzare direttamente l’alleanza, ma alcuni fattori che, a loro volta, incidono sull’alleanza (De Bei, Tanzilli, Miccoli, & Lingiardi, 2009). In sintesi, le modalità di interazione associate ai singoli pattern di attaccamento paziente-terapeuta sembrano catturare stili di interazione globali capaci di influenzare gli aspetti più tecnici dell’intervento mediando fattori aspecifici e specifici (Norcross, 2002; vedi anche Castonguay & Butler, 2006). Abbiamo applicato il PTA Q sort allo studio di un caso singolo, così da indagare un’ipotesi da poco presente in letteratura: alcuni studi che hanno utilizzato l’AAI come misura di outcome (Diamond, Clarkin, Stovall-Mcclough, Levy, Foelsch, Levine, & Yeomans, 2003) hanno rilevato che un sottogruppo di pazienti borderline, nel corso del primo anno di psicoterapia, passavano da stati della mente disorganizzati/insicuri a stati non classificabili; mostravano, cioè, quello che poteva essere intepretato come un peggioramento. Si è tuttavia ipotizzato (Speranza, 2006) che questo dato rifletta una “rottura” delle precedenti strategie insicure che nel prosieguo della terapia può condurre allo sviluppo di modalità di relazione più sicure. Lo studio che abbiamo condotto su una psicoterapia psicodinamica della durata di due anni ha indicato di fatto un andamento a 111 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ “campana” delle misure di attaccamento, con un aumento delle caratteristiche di insicurezza nella fase intermedia della terapia a cui fa seguito, nella fase finale, un incremento della sicurezza. Questo dato, certo non generalizzabile, sembra muoversi in accordo con l’ipotesi per cui un’acquisizione di strategie più sicure nel corso di una psicoterapia possa passare attraverso una “rottura” delle precedenti strategie insicure (De Bei, Lingiardi, & Miccoli, 2008). La possibilità di monitorare in senso dimensionale l’andamento delle diverse strategie di attaccamento (preoccupate, distanzianti e sicure) ci ha consentito di evidenziare come esse possano essere lette in termini di modalità di regolazione degli affetti. Nello studio single case sopracitato abbiamo infatti rilevato una brusca diminuzione del fattore distanziante e un concomitante incremento del fattore preoccupato nella fase intermedia della terapia e un ritorno a livelli precedenti di distanziamento, ma inseriti nel contesto di una maggior sicurezza e di una minore preoccupazione, nella fase finale. Se si leggono distanziamento e preoccupazione come una iper-regolazione (il primo) e una ipo-regolazione (il secondo) delle emozioni, l’andamento evidenziato può essere descritto nei termini dell’acquisizione di una modalità più funzionale di regolazione degli affetti. Questi risultati ci hanno spinto ad approfondire lo studio dell’attaccamento paziente-terapeuta estendendolo ad altre variabili processuali (per esempio, i meccanismi di difesa; De Bei & Tanzilli, 2010) e ad avviare una riflessione concettuale e teorica sull’impiego clinico di questa variabile (Dazzi & De Bei, 2010). La valutazione dei meccanismi di difesa Il nostro interesse per questo costrutto nasce con la scrittura di un volume di rassegna sistematica dei principali modelli teorici e strumenti empirici per la valutazione dei meccanismi di difesa 112 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (Lingiardi, 2006b; Lingiardi & Madeddu, 2002), contenente tra l’altro la versione italiana della Defense Mechanism Rating Scale (DMRS; Perry, 1991), da noi validata su un campione di pazienti con disturbi di personalità (Lingiardi, Lonati, Fossati, Vanzulli, & Maffei, 1999). La DMRS è stata impiegata in molte ricerche italiane su processo e outcome delle psicoterapie di pazienti adulti (vedi paragrafi 1 e 2). Un altro strumento per la valutazione dei meccanismi di difesa da noi tradotto e validato è il Defense Style Questionnaire (DSQ; San Martini, Roma, Sarti, Lingiardi, & Bond, 2004), strumento self-report per la valutazione dei meccanismi di difesa costruito negli anni Ottanta da Michael Bond (Bond, 1986). Al fine di estendere i benefici della valutazione dei meccanismi di difesa anche al lavoro clinico, dove spesso risulta difficoltoso applicare le complesse procedure di rating proposte dagli strumenti più utilizzati (Cramer, 2007; Perry, 1991) abbiamo realizzato, in collaborazione con il gruppo di ricerca di Perry, un nuovo sistema di valutazione ispirato alla DMRS, ma di più facile somministrazione e codifica, adatto sia per scopi clinici che di ricerca (Perry, Di Giuseppe, Petraglia, Janzen, & Lingiardi, submitted): il DMRS Q-sort version (DMRS-Q). Il DMRS-Q è composto da 150 item relativi a 30 meccanismi di difesa organizzati gerarchicamente in 7 livelli di adattività/maturità. Al valutatore si chiede di organizzare le 150 affermazioni all’interno di 7 ranghi di descrittività secondo una distribuzione fissa, in modo da ottenere un quadro preciso di quali manifestazioni difensive possano essere considerate caratterizzanti un determinato individuo. Disponendo di 5 item per ogni singolo meccanismo di difesa, ognuno dei quali sottolinea un particolare aspetto funzionale e modalità espressiva della difesa sottostante, il Q-sort è in grado di catturare le caratteristiche dello stile difensivo sia qualitativamente, tracciando un Defensive Profile, sia quantitativamente, attraverso i punteggi per singola difesa, livello difensivo e punteggio di maturità difensiva globale (Overall Defensive 113 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Functioning – ODF). L’intera procedura di codifica e interpretazione dei risultati è facilitata da un software appositamente ideato (Di Giuseppe, 2009). Tenendo conto del fatto che l’adolescenza può essere considerata l'età in cui si stabilizzano i pattern cognitivi, affettivi e comportamentali che andranno a formare la personalità adulta, abbiamo deciso di affrontare in modo empirico anche lo studio dei meccanismi di difesa in soggetti adolescenti. Molti studi sulla relazione tra stile difensivo e caratteristiche di personalità hanno mostrato come il ricorso a difese mature si associ a benessere fisico e psicologico, mentre meccanismi di difesa meno adattivi e immaturi siano tipici dei soggetti con disturbi di personalità (Perry, Lingiardi, & Ianni, 1999; Bond & Perry, 2004; Vaillant, 1992). Sulla scorta dei risultati emersi dagli studi con la SWAP-200 (vedi anche paragrafo 1), abbiamo rilevato l’opportunità di indagare la relazione tra meccanismi di difesa e caratteristiche di personalità in adolescenza, evidenziandone gli aspetti di continuità e discontinuità con i risultati ottenuti in campioni di adulti (Vaillant & Drake, 1985; Lingiardi, Lonati, Fossati, Vanzulli, & Maffei, 1999; Cramer, 1999) e verificando la validità e attendibilità di metodi empirici per la loro valutazione (come la DMRS e il DMRS-Q) anche su popolazioni in età evolutiva (Di Giuseppe, Ianni, Gazzillo, & Lingiardi, 2009). Abbiamo quindi condotto una ricerca su 42 soggetti di età compresa tra i 14 e i 18 anni in trattamento presso servizi pubblici per la prevenzione delle problematiche psicologiche e sociali dell’età evolutiva. La valutazione della personalità è stata effettuata con la SWAP-200-A a partire dai trascritti dall’Intervista Clinica e Diagnostica (CDI; Westen & Muderrisoglu, 2003), di cui abbiamo elaborato una versione per adolescenti (Gazzillo, 2006), sui quali è stata applicata anche la DMRS e la sua versione Q-sort (Di Giuseppe, Perry, Petraglia, Janzen, & Lingiardi, 2010). 114 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ I primi risultati di questo studio mostrano che alcuni stili di personalità, in particolare quelli del Cluster B, si manifestano già in adolescenza con caratteristiche simili a quelle riscontrabili negli adulti. Inoltre, l’associazione con particolari meccanismi di difesa lascerebbe intuire che anche in adolescenza esiste una certa continuità tra i pattern difensivi e i disturbi di personalità, che solo più tardi si manifestano in forma stabile e strutturata (per una trattazione più specifica del problema della diagnosi di personalità in adolescenza, vedi Lingiardi, 2009; Lingiardi & Codazzi, 2009, Lingiardi & Maffei, 2009). Orientamento sessuale, omofobia, identità di genere e psicoterapia Partendo dallo studio dell’omofobia sociale e interiorizzata (Lingiardi, 1992, 2007a, 2007b; Lingiardi & Drescher, 2003; Lingiardi, Falanga, & D’Augelli, 2005) abbiamo messo a punto due strumenti per la sua misurazione. In particolare, il questionario autosomministrato Measure of Internalized Sexual Stigma for Lesbians and Gay men (MISSLG; Lingiardi, Baiocco, & Nardelli, submitted; Nardelli, Baiocco, Rollè, & Brustia, 2010) ci ha permesso di verificare l’ipotesi per cui l’omofobia interiorizzata sarebbe scomponibile in tre dimensioni: individuale, sociale, sessuale/diadica. Comprendere e poter disporre di un valido strumento per misurare il costrutto dell’omofobia interiorizzata è a nostro parere di estrema importanza nella ricerca e nelle psicoterapie con pazienti gay e lesbiche, spesso soggetti a un particolare tipo di stress – di cui l’omofobia interiorizzata fa parte – il minority stress (Lingiardi, 2007b; Meyer, 1995, 2003). Abbiamo quindi messo in relazione l’omofobia interiorizzata e il minority stress con altri costrutti d’interesse clinico, quali la dissociazione e l’attaccamento. Più in dettaglio, i nostri studi sembrano indicare che alti livelli di omofobia interiorizzata predicono un maggior ricorso a strategie difensive di tipo dissociativo nelle persone gay e lesbiche (Lingiardi, Nardelli, Baiocco, & Rollè, 2010; Nardelli, Baiocco, 115 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Rollè, & Brustia, 2009). Per quanto riguarda l’attaccamento, i risultati indicano che alti livelli di omofobia interiorizzata si presentano spesso in associazione agli stili insicuri distanziante e timoroso (Feeney, Noller, & Hanrahan, 1994; Fossati, Feeney, Donati, Donini, Novella, Bagnato, Acquarini, & Maffei, 2003), a loro volta buoni predittori di omofobia interiorizzata (Lingiardi, Caristo, & De Bei, submitted). Sempre in quest’area di ricerca, è in corso uno studio volto a comprendere il ruolo di queste dimensioni nelle famiglie omoparentali. Data la centralità della dissociazione e dell’attaccamento nella pratica clinica, è nostro interesse approfondirne le implicazioni nel campo psicoterapeutico (Sherry, 2007). Le nostre ricerche si sono poi focalizzate sugli effetti determinati dall’omofobia del terapeuta, e sugli effetti delle terapie volte a “convertire” l’omosessualità in eterosessualità (dette talvolta “terapie riparative”). Partendo da uno studio sugli atteggiamenti psicoanalitici verso le omosessualità, vincitore nel 2004 del Ralph Roughton American Psychoanalytic Association Paper Award (Lingiardi & Capozzi, 2004), insieme agli Ordini degli Psicologi della Campania, del Lazio e del Piemonte abbiamo avviato una ricerca analoga rivolta agli psicologi. A tal fine, abbiamo costruito un questionario ad hoc, l’APO (Atteggiamenti degli Psicologi verso le Omosessualità; Lingiardi & Nardelli, 2010) per studiare la relazione tra gli atteggiamenti degli psicologi verso le omosessualità e variabili quali il percorso formativo, il modello teorico di riferimento, l’esperienza clinica con pazienti omosessuali, etc. Nel corso degli ultimi anni abbiamo avviato un filone di ricerca sulle caratteristiche di personalità dei pazienti con Disturbo dell’Identità di Genere (DIG). I nostri studi si sono focalizzati sul rapporto tra DIG, personalità e attaccamento (Lingiardi, De Bei, & Covelli, 2009; De Bei, Covelli, Chianura, 2008) evidenzando la presenza di un numero di soggetti con DIG e attaccamento sicuro equiparabile a quello dei campioni non clinici, ma con una netta prevalenza di 116 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ esperienze di abuso (fisico e/o sessuale) e perdite traumatiche nell’infanzia. Sul piano della personalità, i nostri dati hanno messo in evidenza la presenza di una generale difficoltà a livello di funzionamento sociale, interpersonale e affettivo tuttavia non inseribile in un quadro psicopatologico definito. Un dato che, con molta probabilità, riflette l’influenza delle esperienze di stigma e discriminazione sociale sul funzionamento psichico e relazionale di questi soggetti (Zucker, 2005). Conclusioni Crediamo che le ricerche elencate e in parte descritte in questo contributo riflettano la nostra visione della psicoterapia come relazione tra soggetti i cui esiti dipendono da fattori molteplici e complessi, specifici e aspecifici, che possono facilitare o ostacolare la crescita psicologica e il processo terapeutico. Le nostre riflessioni e applicazioni sui temi teorici e metodologici della ricerca in psicoterapia ha dato vita al primo manuale italiano in questo campo: La ricerca in psicoterapia. Modelli e strumenti (Dazzi, Lingiardi, & Colli, 2006), patrocinato da SPR Italia e SPR International, introdotto dal Past President John Clarkin, e scritto in colloborazione con alcuni tra i principali gruppi di ricerca italiani. Bibliografia Ackerman, S.J., & Hilsenroth, M. (2001). A review of therapist characteristics and techniques negatively impacting the therapeutic alliance. Psychotherapy, 38(2), 171-183. Ackerman, S.J., & Hilsenroth, M. (2003). 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Washington, DC: American Psychiatric Press. Bond, M., & Perry, J.C. (2004). Long-term changes in defense styles with psychodinamic psychotherapy for depressive, anxiety, and personality disorders. The American Journal of Psychiatry, 161(9), 1665-1671. Bradley, R., Heim, A., & Westen, D. (2005). Transference phenomena in the psychotherapy of personality disorders: an empirical investigation. British Journal of Psychiatry, 186, 342-349. Bucci, W., & Kabasakalian-Mckay, R. (1992). Scoring referential activity. Instructions for use with transcripts of spoken narrative texts (tr. it. in A. De Coro & G. Caviglia (Eds.), La valutazione dell’attività referenziale. Kappa, Roma 2000). Castonguay, L.G., & Butler, L.E. (2006). Principles of Therapeutic Change: A task force on partecipants, relationship and techniques factors. Journal of Clinical Psychology, 62(5), 1-7. Colli, A., & Gazzillo, F. (2006). 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In particular we will focus on: a) personality diagnosis and assessment with SWAP-200 and PDM (Psychodynamic Diagnostic Manual); b) development and validation of PDM operazionalized clinician reports; c) assessment of defense mechanisms and defensive styles by DMRS and its Q sort version; d) the study of psychotherapy process and therapeutic relationship (i.e., therapeutic alliance, alliance ruptures and resolutions, transference, countertransference); in particular we developed a new measures for the assessment of ruptures and resolutions (the Collaborative Interaction Scale), and the quality of attachment between patient and therapist (the Patient-Therapist Attachment Q Sort); d) the development of clinical and empirical research on gender identity, sexual orientation, social and internalized homophobia. Keywords Diagnosis and assessment of personality, defense mechanisms, process research, therapeutic alliance, sexual orientation and homophobia 126 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ La valutazione degli esiti e del processo nelle psicoterapie offerte dai Centri di Salute Mentale e da un Centro di Psicologia Clinica universitario Alessandra De Coro,1 Silvia Andreassi,1 Rachele Mariani,1 Elisabetta Iberni,1 Valeria Crisafulli,1 Adriana Matarrese1 Sommario Il presente lavoro si pone l’obiettivo di presentare i principali risultati emersi dalla valutazione empirica di esiti e di processo nelle psicoterapie condotte in contesti istituzionali. In una prima parte sono riassunti metodi e risultati di un progetto longitudinale articolato – che ha incluso un intervento di formazione e restituzione - svolto in collaborazione fra l’Università “Sapienza” e i Centri di Salute Mentale di una ASL romana. Successivamente sono illustrati gli studi condotti dal gruppo di ricerca sul cambiamento terapeutico e sul processo applicando strumenti di indagine basati sulle narrative alle sedute di psicoterapia presso un Centro Clinico Universitario. I principali obiettivi delle ricerche svolte sono rivolti al miglioramento dei servizi, all’auto-monitoraggio degli psicoterapeuti e all’elaborazione di un modello teorico che incentivi l’efficacia terapeutica. Parole chiave Psicoterapie istituzionali, valutazione esiti, ricerca sul processo, narrative, disturbi di personalità -------------------------------------------------------------------------------------------1 Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, “Sapienza” Università di Roma Corrispondenza: Alessandra De Coro E-mail: [email protected] 127 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il lavoro del gruppo nei Centri di Salute Mentale Il gruppo di ricerca formato dalle Autrici, presso il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica dell’Università di Roma “La Sapienza”, ha orientato dal 2002 il proprio lavoro di ricerca sull’efficacia delle psicoterapie nei servizi pubblici perseguendo tre obiettivi principali: in primo luogo, quello di introdurre dei protocolli di ricerca fondati su una metodologia adatta al funzionamento dei servizi e il più possibile condivisa dai professionisti (psicologi e psichiatri) che erogano in prima persona la psicoterapia; in secondo luogo, quello di individuare strumenti finalizzati alla diagnosi funzionale e di personalità nella prospettiva psicodinamica, che risultassero al tempo stesso user friendly per i pazienti e per i clinici e sufficientemente “oggettivanti” da permettere una valutazione attendibile del cambiamento terapeutico; in terzo luogo, l’obiettivo di mettere a punto strumenti di valutazione del processo che, accanto alla funzione di automonitoraggio da parte del terapeuta, promuovessero una riflessione più approfondita sulla natura stessa dei processi mentali attivati nel dialogo psicoterapeutico. La metodologia di ricerca per la valutazione delle psicoterapie nei contesti istituzionali La ricerca empirica sulla efficacia delle psicoterapie all’interno dei servizi pubblici riflette un cambiamento graduale nella cultura inerente la pratica clinica, avvenuto in concomitanza al progresso e allo sviluppo della metodologia scientifica in senso stretto. Nel 1999 le “Norme per la Razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale”, confermando l’impostazione di precedenti decreti, enfatizzavano l’importanza della funzione di verifica della qualità e di revisione dei risultati. Rispetto al settore delle psicoterapie, l’applicazione di queste normative ha sollecitato una maggiore sinergia tra diversi attori istituzionali, come, da un lato, il Ministero della Sanità, le Regioni e i Dipartimenti di Salute Mentale e, dall’altro lato, gli organi tecnico-scientifici, afferenti 128 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ rispettivamente alle ASL e alle Università o ad altri enti di ricerca. Le attività di ricerca del gruppo, in riferimento al primo obiettivo indicato, hanno cercato di supportare il cambiamento organizzativo e culturale di alcune ASL di Roma (in particolare la Rm B, coinvolta con due CSM, e poi, più estesamente, la Rm A, con cui è tuttora in corso una convenzione di ricerca), attraverso l’impostazione di progetti di valutazione dell’efficacia dei trattamenti: tali progetti hanno sempre presentato caratteristiche di ricerca di tipo “ecologico” o “naturalistico”, non raggiungendo gli standard richiesti dal paradigma epistemologico dell’Evidence Based Mental Health (De Coro & Andreassi, 2004). La ricerca sull’efficacia nei contesti istituzionali presenta infatti problemi insormontabili rispetto all’esigenza di standardizzare le situazioni osservate, come per esempio: l’eterogeneità dell’utenza; la natura variabile e non prefissata della durata dei trattamenti; la comorbidità e la frequenza di doppie diagnosi; la molteplicità dei percorsi formativi dei clinici e le diverse tecniche d’intervento, spesso cucite “su misura” rispetto alle specificità dei pazienti e del setting istituzionale. Pur nella consapevolezza dei limiti di questa metodologia e della reale generalizzabilità dei risultati (Dazzi, 2006), la nostra pianificazione degli interventi di valutazione delle psicoterapie ha cercato di bilanciare in maniera ottimale le esigenze di minore intrusività della ricerca nel lavoro clinico con l’esigenza di utilizzare misure quantitative e ripetute nel tempo. Un primo progetto di ricerca biennale in collaborazione con l’ASL Roma B è stato incentrato sull’uso di questionari self-report, somministrati sia ai pazienti che ai terapeuti, con ritmo semestrale. Al terapeuta era richiesta la diagnosi clinica secondo l’ICD-9 e la compilazione della PRS (Scala di Valutazione Periodica dell'intervento psicoterapeutico, adattata in italiano da Gherardo Amadei); al paziente la compilazione di un questionario sulla frequenza e intensità dei sintomi presenti nelle ultime due settimane (SCL-90) e, dopo un anno, la valutazione della propria 129 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ soddisfazione per l’intervento ricevuto (ROS-SC: Scala Romana Autocompilata sulla Opinione del paziente); entrambi, infine, dovevano monitorare la relazione reciproca compilando la WAI, una scala per l’alleanza terapeutica (De Bei, 2006). L’esperienza di questo primo progetto ha evidenziato alcuni limiti della metodologia scelta e le difficoltà della valutazione delle psicoterapie nei servizi, malgrado la volonterosa collaborazione dei colleghi terapeuti e l’impegno messo dal nostro gruppo nella stesura di report semestrali indirizzati ai clinici per il monitoraggio dei singoli casi8. La presenza di frequenti drop-out, infatti, ha ridotto la numerosità del gruppo di psicoterapie studiato fino a un anno (25 su 40 soggetti inclusi nello studio); l’applicazione della PRS a tanta distanza di tempo risultava poco utilizzabile per il monitoraggio del processo. Dati interessanti erano invece quelli sull’alleanza terapeutica, che indicava una buona capacità predittiva rispetto all'esito della psicoterapia, in termini di modificazione del quadro sintomatologico e di soddisfazione del paziente rispetto al servizio: in particolare, la qualità della relazione riferita dal terapeuta nella WAI risultava significativamente correlata con aggravamenti e miglioramenti segnalati dal paziente sulla SCL-90 (Matarrese, 2007). Contemporaneamente, per migliorare la sensibilità della diagnosi iniziale, il gruppo ha lavorato all’adattamento italiano dell’OPD (Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata: Gruppo OPD, 1996-2001; Task Force OPD, 2006), uno strumento per la valutazione in termini strutturali e relazionali dei colloqui clinici, pubblicato nel 2001 in Germania da un gruppo di clinici e di ricercatori tedeschi: Gruppo OPD, 2001).9 In particolare, uno studio sulla convergenza fra OPD e diagnosi clinica, condotto in collaborazione con un centro privato di Milano, ha 8 Si ringraziano il primario psichiatra, prof. Antonello Correale, e i dottori Vincenzo Scala e Giuseppe Di Leone, per aver promosso il progetto e mantenuto attiva la collaborazione dei colleghi psicoterapeuti. 9 Nel 2006 è uscita una seconda versione, modificata per migliorarne le caratteristiche psicometriche e la validità clinica. Dal 2009, questa edizione è disponibile in lingua italiana, a cura di Martina Conte, Emilio Fava e coll., per i tipi della Franco Angeli. 130 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ evidenziato che l’asse struttura dell’OPD riesce a cogliere l’organizzazione della struttura psichica e che si riscontrano convergenze con alcune valutazioni del test di Rorschach (De Coro, Lang, Del Corno, Parolin, Matarrese, Piscicelli, Iberni, & Basile, 2004). L’OPD ha mostrato anche buone potenzialità per essere utilizzato nell’ambito di un assessment finalizzato alla diagnosi funzionale ed alla pianificazione di trattamenti ad hoc per diversi gruppi di pazienti (Iberni, Vicari, Tagini, & Pazzagli, 2004). Nel 2007 è stato firmato un accordo di cooperazione con la ASL Rm A per un progetto di ricerca sulla valutazione del processo e dell’esito delle psicoterapie, esteso a cinque Centri di Salute Mentale, creando una sinergia con il Dipartimento universitario. Sulla base delle lessons learnt della precedente esperienza, il protocollo di questa valutazione ha incrementato l’uso di strumenti più articolati e ricchi di l’Intervista informazioni sul sull’attaccamento piano adulto dell’osservazione rivolta alla/al clinica, come paziente (cfr. Speranza, 2006) e la SWAP-200 (cfr. Gazzillo, 2006) somministrata alla/al terapeuta dopo la fase dei colloqui iniziali; entrambe le somministrazioni sono ripetute dopo un anno. Il gruppo di pazienti inclusi nella ricerca sono coloro che dopo essere stati valutati con una diagnosi psichiatrica e con il livello di funzionamento globale (VGF), decidono di iniziare una psicoterapia (individuale o di gruppo), sia in combinazione con un trattamento farmacologico che senza; sono esclusi i soggetti che hanno avuto diagnosi di tossicodipendenza e che presentano disturbi di tipo organico (Iberni, Crisafulli, & De Coro, 2007). Ai terapeuti è stata richiesta anche la compilazione della PRS una volta al mese, per avere maggiori possibilità di riscontrare variazioni di processo, mentre i pazienti compilano tre questionari carta e matita: la Symptom Check List-90-Revised (SCL-90-R: Derogatis, 1977); la Response Evaluation Misure-71 (REM-71; Steiner, Araujo, Koopman, 2001; Lingiardi, 2006); il Coping Orientation to Problems Experienced 131 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (COPE; Carver, C. S., Scheier, M. F., & Weintraub, J. K., 1989) che valuta gli stili di adattamento e le strategie per fare fronte allo stress. Le rilevazioni di questi dati vengono ripetute a sei mesi, mentre l’AAI e la SWAP-200 vengono somministrate nuovamente solo dopo un anno. I trattamenti brevi (entro i 6 mesi) e i casi di drop out vengono ricontattati per un follow-up dopo un anno dall’inizio della terapia per la somministrazione degli strumenti della Fase 4 (dopo un anno). Attualmente la ricerca include 41 pazienti che afferiscono a tre Centri di salute mentale della ASL Roma A e 7 terapeuti diversi, prevalentemente con orientamento psicodinamico.10 La diagnosi clinica risulta, nel 35,3 % dei casi, quella di Disturbo dell’Umore e nel 13,7% di Disturbo di Adattamento o Postraumatico da Stress. Sul totale, in 14 casi si è riscontrato un drop out prima dei sei mesi di terapia; 15 psicoterapie hanno superato i sei mesi di terapia e 9 hanno superato un anno: solamente 3 pazienti, finora, hanno concluso in modo concordato la terapia. I primi risultati emersi dalle due somministrazioni dei self report (SCL-90, REM-71 e COPE), in prima valutazione e dopo sei mesi di trattamento, non mostrano nessun cambiamento significativo. Rispetto alla valutazione dello stato della mente relativo all’attaccamento, alla prima AAI il 46% dei pazienti mostra una disorganizzazione, mentre fra gli altri prevalgono i soggetti Sicuri (F=25%), poi gli Invischiati (18%) e infine i Distanzianti, che sono in percentuale inferiore alla distribuzione nelle popolazioni normali (7% contro i dati normativi che si aggirano intorno al 18-20%). Il gruppo dei soggetti “Drop Out” si distingue per un maggior ricorso al meccanismo di difesa della Fantasia, per un uso maggiore di Meccanismi Evasivi e per tratti Narcisistici significativamente più marcati rispetto agli altri soggetti. I pazienti con uno stato della mente Sicuro usano più intensamente meccanismi di difesa Evasivi rispetto agli Insicuri, che 10 Si ringraziano il primario psichiatra, Prof. Giorgio Campoli, che ha avviato e sostenuto l’iniziativa e gli psicologi clinici dott. Ennio Fusco, dott. Giuseppe Mancini e dott.ssa Leonella Magagnini, che, in quanto referenti dei rispettivi Distretti, hanno collaborato attivamente alla ricerca in tutte le sue diverse fasi. 132 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ mostrano dei tratti di personalità Antisociale significativamente più marcati dei Sicuri. Anche le strategie di coping sembrano distribuirsi diversamente in relazione ai diversi stati della mente relativi all’attaccamento. Per quanto riguarda la diagnosi di disturbo di personalità effettuata con la SWAP-200, sembra che i soggetti con una diagnosi accertata facciano maggiormente uso di sostanze rispetto a coloro che non hanno ricevuto una diagnosi di personalità. I pazienti con tratti schizoidi e schizotipici ricorrono più frequentemente fra coloro che sono classificati non risolti/disorganizzati all’AAI. Secondo questi dati descrittivi, le variabili Attaccamento e Disturbo di Personalità risultano associate alla continuità della terapia e sembrano offrire una particolare utilità nella pianificazione del trattamento per la valutazione dei modelli relazionali del paziente. Analogamente alla prima esperienza, la verifica dell’esito e del cambiamento dei pazienti dipende essenzialmente dalla durata del trattamento oltre i 6 mesi. Rispetto al cambiamento terapeutico, la ricerca ha permesso di valutare qualitativamente 9 casi, che hanno migliorato non solo i sintomi manifesti, ma anche le strategie di coping, il grado di funzionamento globale e la disorganizzazione dell’attaccamento. L’esiguità del numero, tuttavia, non ha ancora consentito di trattare statisticamente i risultati in modo soddisfacente. Nello stesso progetto è stato introdotto recentemente anche uno studio rivolto alla valutazione dei pazienti gravi, utenti delle strutture che accolgono pazienti con diagnosi di schizofrenia e altre forme psicotiche. L’obiettivo ultimo è quello di monitorare l’efficacia degli interventi di riabilitazione psico-sociale, ma la prima fase è stata dedicata alla valutazione psicodinamica multi- dimensionale, includendo l’utilizzo dell’OPD (in forma di questionario rivolto agli operatori che lavorano nel Centro diurno), e la somministrazione di tre questionari al paziente, rivolti a rilevare la sintomatologia (SCL-90-R), i tratti del carattere (BFQ: 133 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Big Five Questionnaire, adattato da Caprara, Barbaranelli, Borgogni, & Perugini, 1993), il grado di compromissione dell’organizzazione strutturale della personalità (IPO: Inventory of Personality Organization, Kernberg & Clarkin, 1995, non ancora validato in Italia) e infine le risorse del paziente, misurate attraverso un questionario sul benessere percepito (PWB: Psychological Well-Being Scales, adattato da Ruini, Ottolini, Rafanelli, Tossani, Ryff, & Fava (2003). Fino a questo momento 15 utenti hanno partecipato alla ricerca, pazienti di un Centro Diurno della Roma A che frequentano in media da 5 anni il servizio che hanno ricevuto una diagnosi di schizofrenia o altra forma psicotica. Il lavoro sta proseguendo in una Comunità Terapeutica. La diagnosi strutturale e la validazione dell’Inventory of Personality Organization L’Inventory of Personality Organization (IPO; Kernberg & Clarkin,1995) è un self-report che permette di misurare l’organizzazione strutturale della personalità del soggetto e di iscriverla, sulla base della sua compromissione, ad un livello nevrotico, borderline o psicotico. E’ uno strumento che permette di implementare il colloquio clinico-strutturale di Kernberg (1984) e di effettuare uno screening iniziale sulla popolazione clinica, che possa aiutare a distinguere ed identificare i casi più compromessi da quelli che lo sono di meno, in modo poco oneroso. Obiettivo è quello di dare un’adeguata indicazione di trattamento nei contesti in cui la domanda è copiosa e le risorse sono limitate. Nella sua forma originale l’IPO conta 155 item divisi nei cinque criteri strutturali: Diffusione d’Identità, Difese Primitive, Esame di Realtà; Aggressività e qualità delle Relazioni Interpersonali; la forma abbreviata (l’unica attualmente pubblicata e validata da Lenzeweger, Clarkin, Kernberg, & Foelschet, 2001) considera solo le prime tre dimensioni riportate, attraverso 57 item. Le tre scale misurano quanto un paziente presenti un’ identità diffusa, quanto utilizzi difese primitive e quanto sia 134 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ compromesso il suo esame di realtà. Dall’analisi delle tre dimensioni si possono identificare le tre categorie strutturali nevrotica, borderline e psicotica. Il lavoro svolto mira all’adattamento italiano dell’IPO, attraverso la valutazione delle caratteristiche psicometriche dello strumento tradotto e applicato alla popolazione italiana (Crisafulli, in preparazione). Dai primi risultati su un campione non clinico di 470 soggetti è risultata una nuova struttura fattoriale: le scale sono sempre tre, ma gli item si suddividono in modo differente dalla struttura originaria. Dal contenuto degli item abbiamo definito i tre nuovi fattori: Distorsione dell’immagine di sé, Distorsione dell’immagine dell’altro e Distorsione della realtà. La nuova struttura è stata analizzata, parallelamente a quella originaria per determinarne le caratteristiche di validità e attendibilità. Dai primi dati emerge che entrambe mostrano buone qualità psicometriche. Per approfondire lo studio dello strumento stiamo raccogliendo anche un campione della popolazione clinica italiana: suddivisa in soggetti con disturbi o sindromi psicologiche non psicotiche, soggetti con disturbi di alcolismo o tossicodipendenza e soggetti con diagnosi di schizofrenia o altre forme psicotiche. Abbiamo un gruppo di 64 soggetti che stiamo implementando. Dalle analisi su questo primo campione ci risulta che la struttura originaria dell’IPO, meglio di quella nuova emersa dall’analisi dei risultati del gruppo italiano, discrimina i soggetti clinici da quelli non clinici e i soggetti psicotici da quelli non psicotici; di questi ultimi il fattore più discriminante è proprio l’esame di realtà. Nonostante lo studio sia ancora incompleto, i primi risultati confermano le buone capacità psicometriche dell’IPO, rilevate già dai lavori americani, anche rispetto a soggetti italiani. I dati mostrano e confermano le basi del costrutto teorico di riferimento, il modello della struttura di personalità di Kernberg, evidenziando come sia importante accanto ad una valutazione categoriale o dimensionale anche quella strutturale affinché i dati empirici possano avere anche rilievo clinico. 135 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Strumenti per una valutazione delle narrative Nell’ambito di uno studio sul processo intrapreso sulle psicoterapie individuali ad orientamento psicodinamico condotte presso il Centro clinico del Dipartimento universitario, con l’ausilio di audio-registrazioni delle sedute, sono stati adattati alla lingua italiana nuovi strumenti di valutazione, rilevanti per il monitoraggio dei micro-cambiamenti nel corso del processo e utili ad una riflessione sulla natura degli scambi verbali e non verbali che si verificano in psicoterapia. La coerenza narrativa come parametro del cambiamento dei modelli operativi interni di attaccamento La ricerca sulla coerenza narrativa come parametro utile alla valutazione e misurazione della sicurezza dello stato della mente rispetto all’attaccamento adulto è stata sviluppata sin dall’inizio degli anni ’90 (Muscetta, Dazzi, De Coro, Ortu, & Speranza, 1999). L’esigenza di sviluppare una nuova misura dimensionale per la valutazione dell’attaccamento adulto è stata sollevata recentemente da alcuni autori che hanno evidenziato le lacune metodologiche ed il loro impatto sulla concettualizzazione teorica dell’attaccamento del sistema categoriale (Roisman, Fraley, & Belsky, 2007). Il Coherence Q-Sort (Beijersbergen, Bakermans-Kranenburg, & Van Ijzendoorn, 2006) è uno strumento composto da 72 items, che operazionalizza la scala della coerenza del trascritto considerata fondamentale per l’attribuzione dello stato della mente relativo all’attaccamento negli adulti. La validazione italiana di questo strumento ha mostrato una sostanziale capacità di discriminare i trascritti sicuri da quelli insicuri (Iberni, 2010). Da circa trent’anni l’Adult Attachment Interview (AAI) (George, Kaplan, & Main, 1985) è lo strumento preferenziale per la valutazione dell’attaccamento adulto, che utilizzate il complesso sistema di codifica tradizionale poi aggiornato (Main & Goldwyn, 1998; Main, Hesse & Goldwyn, 2008). Inizialmente il 136 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sistema di scoring e di classificazione era basato sulla distinzione fra le tre categorie di attaccamento infantile misurate nella Strange Situation, ponendo enfasi sul concetto di flessibilità attentiva, intesa come capacità di presentare le proprie esperienze di attaccamento passate e presenti e di valutarne la loro influenza sul proprio sviluppo in maniera fluida e spontanea. La sicurezza dell’attaccamento, tradotta in termini di flessibilità attentiva, vede all’opposto due forme di rigidità nel focalizzare l’attenzione: la prima distanziante, in cui il discorso si allontana dalle esperienze passate e dalle relazioni di attaccamento; la seconda preoccupata/ invischiante, in cui il focus sulle esperienze di attaccamento è persistente ma confuso, ridondante e di difficile comprensione. Questi pattern di risposta possono essere tradotti in pattern di organizzazione del discorso a partire dalla teoria del linguista Grice (1975), che ha introdotto il concetto di Principio di Cooperazione dei parlanti secondo l’accordo implicito di rispettare quattro massime o principi generali: Qualità, Quantità, Rilevanza e Stile. Il Coherence Q-sort è uno strumento applicabile nella valutazione del cambiamento dei modelli operativi interni durante e dopo la psicoterapia. I risultati di precedenti ricerche avevano già illustrato le potenzialità della coerenza narrativa per la valutazione del cambiamento durante e dopo il trattamento psicoterapeutico: in particolare alcuni studi italiani che hanno applicato in ambito clinico le massime griciane della coerenza (Muscetta et al., 1999). I risultati empirici della ricerca condotta sulle AAI dei pazienti della ASL Roma A hanno messo in luce come, più che il cambiamento della categoria dell’attaccamento, sia interessante il cambiamento dimensionale della coerenza narrativa (Iberni, 2010). Il fatto che la coerenza distingua gruppi clinici e non clinici e costituisca il parametro più predittivo del cambiamento degli stati mentali relativi all’attaccamento durante la psicoterapia è stato confermato da diversi studi (Diamond, Clarkin Levine, Levy, Foelsch, & Yeomans, 1999; Fonagy, Gergely, Jurist & Target 2002). 137 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Attività Referenziale e dizionari IWRAD Un altro studio sul processo terapeutico è stato condotto da diversi anni con l’applicazione della valutazione dell’Attività Referenziale, costrutto derivato dalla Teoria del Codice Multiplo di Wilma Bucci (1997), che integra ricerca empirica e lavoro clinico. La ricerca in psicoterapia basata sulla valutazione dell’Attività Referenziale in Italia nasce alla fine degli anni ‘90, grazie alla traduzione del metodo manuale di siglatura della variabile che ne ha permesso l’applicazione e la diffusione (De Coro & Caviglia, 2000). Alcuni anni dopo, gli indirizzi di ricerca proposti dall’ideatrice del metodo hanno direzionato la ricerca verso la costruzione di un metodo di più facile applicazione, rendendo la valutazione della variabile Attività Referenziale una codifica informatizzata. In Italia, quindi, il gruppo di ricerca coordinato dalla Prof.ssa De Coro, dal 2004 ha collaborato con l’Adelphi University allo sviluppo delle misure computerizzate in lingua italiana. Attualmente sono state sviluppate in italiano le medesime misure prodotte da Bucci e Maskit in lingua inglese. Il primo dizionario prodotto è stato quello dell’IWRAD, Italian Weighted Referential Activity Dictionary (Maskit, 2004; De Coro, Ortu, Caviglia, Andreassi, Pazzagli, Mariani, Visconti, Bonfanti, Bucci & Maskit, 2004) unico nella sua metodologia di costruzione, che consente di attribuire ad ogni parola appartenente al dizionario uno specifico peso ponderato. Questa procedura ha permesso di costruire un dizionario con una vasta copertura del linguaggio parlato, in media del 98% delle parole espresse in un qualsiasi scambio comunicativo. Più recenti sono i dizionari di analisi del testo che possono essere applicati contemporaneamente all’IWRAD e che riguardano: il dizionario delle parole riflessive (IREF- Mariani, 2009); il dizionario della difluenza (IDF - Bonfanti, Campanelli, Cilimberti, Golia, & Papini, 2008); il dizionario degli affetti positivi, negativi e parole con peso affettivo ma non connotate positivamente o negativamente (IAFF - Rivolta, Mariani, & 138 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Tagini 2009); infine il dizionario senso-somatico (ISS - Mariani, 2009). La facilità di applicazione delle misure computerizzate ai testi trascritti ha consentito una rapida applicazione di queste misure in diversi ambiti, consentendo uno sviluppo della ricerca sul processo referenziale in relazione ad altri costrutti teorici, nonché il suo ambito storico ossia la ricerca sul processo in psicoterapia. Anche rispetto a quest’ultimo è stato possibile poter analizzare con più semplicità interi percorsi di psicoterapia di più anni, consentendo una valutazione del processo referenziale in un ottica di macro-processo terapeutico. I risultati emersi (Mariani, 2009) dall’applicazione di tre dizionari computerizzati - IWRAD, IREF e IDF - su tre macro processi terapeutici della durata di due anni, rilevano la presenza di macro cicli referenziali trasversalmente alle sedute, comportando un aumento di capacità del paziente di connettere emozioni al tessuto narrativo. Un ulteriore risultato emerge dalla possibilità di analizzare le sedute grazie all’applicazione del dizionario IWRAD (Attività Referenziale) e IREF (Parole Riflessive). La combinazione di queste due misure consente di individuare un indice di covariazione utile a distinguere sedute proficue, nelle quali il paziente è in grado di raccontare e riflettere sulla propria esperienza, e sedute più disorganizzate nelle quali l’attivazione emozionale blocca il processo di simbolizzazione. L’utilizzo delle misure linguistiche per l’analisi del macroprocesso terapeutico ha consentito lo sviluppo di un altro filone di ricerca che consente di incrociare misure sul processo e misure sull’outcome. Lo studio di Mariani, Gazzillo, Lingiardi e Bucci (2009) propone un’analisi pilota che integra misure di valutazione della personalità SWAP (Westen & Shedler, 2000; Lingiardi, Shedler, & Gazzillo, 2006) e misure linguistiche del processo referenziale in un caso singolo. Lo studio si basa sull’analisi di una psicoterapia a orientamento psicodinamico, dove sono state applicate tre misure linguistiche computerizzate: Attività Referenziale (IWRAD), Parole Riflessive (IREF) e Disfluenza (IDF). Sono 139 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ state individuate delle fasi di cambiamento e per ogni fase la paziente è stata valutata con la SWAP. Sono state estratte 4 sedute consecutive per fase e ogni fase è stata siglata in modo random da due valutatori della SWAP. I risultati mostrano che, per ognuna di queste fasi, è possibile individuare cambiamenti significativi nel profilo di personalità valutato con la SWAP. Un’altra area di indagine, sempre all’interno dello studio sul processo terapeutico, è l’esplorazione della relazione tra narrazione e alleanza terapeutica. Nello studio di Colli, Mariani, Condino, Lingiardi e De Coro (2009) si esplora il rapporto tra il processo referenziale (Bucci, 1997) e i processi di rottura e di riparazione dell’alleanza terapeutica secondo il modello teorico clinico descritto da Safran e Muran (2000). In particolare, è stata indagata la relazione tra le misure linguistiche del processo referenziale, quali la scala dell’Attività Referenziale (IWRAD), delle parole Riflessive (IREF), della Disfluenza (IDF),e degli Affetti (IAFFP e IAFFN), e i processi di rottura dell’alleanza di Ritiro e di Confrontazione. Le analisi sono state compiute su di un campione di 12 sedute audioregistrate, scelte all’interno di un campione più ampio, in quanto caratterizzate dalla presenza di riferimenti espliciti alla relazione terapeutica. La valutazione dei processi di rottura e riparazione dell’alleanza terapeutica è stata effettuata attraverso la Collaborative Interaction Scale (Colli & Lingiardi, 2009). I risultati evidenziano come i processi collaborativi sono risultati correlati significativamente e positivamente alla misura delle parole Riflessive e dell’espressione degli Affetti negativi. Mentre marker di rottura di Confrontazione sono risultati correlati in modo significativo e diretto ai valori della Disfluenza e all’espressione di Affetti negativi e negativamente alla scala delle parole Riflessive. Le rotture di ritiro sono risultate correlate negativamente all’espressione di Affetti di tipo negativo e positivamente alla Disfluenza. Ciò indica una convergenza tra i due costrutti e l’importanza di mettere in relazione i processi di rottura in relazione ai processi di negoziazione 140 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ intersoggettiva tra paziente e terapeuta, sia in relazione ai processi di disconnessione emozionale emersa dalla narrazione. La possibilità di incrociare i risultati ottenuti con le misure linguistiche con altre misure di indagine sul processo ha portato recentemente ad uno studio single case, una psicoterapia breve, sul quale vengono applicate diversi strumenti di analisi delle narrazioni. I risultati, presentati al convegno 2010 dell’SPR Italia nel panel proposto da Rocco, Mariani, De Bei, Colli, e De Coro “Analisi multidimensionale del processo in una psicoterapia dinamica breve”, hanno evidenziato come sia possibile utilizzare misure sul processo terapeutico anche a psicoterapie brevi, riuscendo a mettere in evidenza diversi aspetti del cambiamento, grazie alla specificità dei diversi strumenti nella lettura dei trascritti. Infine parallelamente allo studio del processo in psicoterapia, lo studio del processo referenziale e della capacità soggettiva di integrare nel tessuto simbolico i propri affetti sta espandendosi verso studi correlazionali che esplorano come la variabile Attività Referenziale possa essere anche utilizzata come una variabile di tratto soggettivo e come questa possa essere posta in relazione ad altre misure di funzionamento strutturale del soggetto. In particolare, sono state applicate per la prima volta misure linguistiche del processo referenziale alle narrazioni di bambini in età dello sviluppo (Mariani, Pazzagli, Crisafulli, & De Coro, 2010) cercando di esplorare la relazione tra variazioni delle capacità linguistiche nei bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni e il rapporto tra narrazione e attivazione del sistema motivazionale di attaccamento. L’obiettivo è quello di approfondire la valutazione delle narrative in relazione alle capacità del bambino di esprimere le emozioni e di verificare se la relazione di attaccamento faciliti, o viceversa ostacoli nei casi di insicurezza, lo sviluppo dell’abilità di elicitare affetti e di attivare una capacità referenziale. Lo scopo del lavoro, quindi, è verificare se i bambini con attaccamento sicuro presentino una maggiore abilità nell’integrare gli affetti nel processo narrativo rispetto ai bambini 141 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ con attaccamento insicuro, all’interno di un campione non clinico. Sono state per tanto raccolte e trascritte 100 narrazioni eliticitate dalle tavole proiettive del SAT (Klagsbrun & Bowlby, 1976). Sui trascritti delle narrative sono state applicate diverse misure linguistiche dell’Attività Referenziale come: Attività Referenziale (IWRAD), Dizionari Affetti (IAFF), Parole Riflessive (IREF), Disfluenza (IDF). I risultati mostrano una differenza significativa tra bambini con attaccamento sicuro ed insicuro nella capacità di esprimere affetti e nell’abilità di narrare l’esperienza integrando le emozioni nel tessuto narrativo. Riflessioni conclusive I filoni di ricerca qui sommariamente illustrati fanno riferimento ad un comune denominatore, la ricerca empirica in psicoterapia, che si può a sua volta articolare in alcune linee guida che hanno ispirato il nostro lavoro: a) l’esigenza di costruire progetti per la verifica dell’outcome che rispettino la natura variegata dell’esperienza clinica e della pratica “reale” della psicoterapia nei servizi pubblici: a questo scopo sono stati inclusi nella valutazione pazienti diversi e diversi tipi di psicoterapie, ed una gran parte del lavoro è stata diretta alla restituzione delle valutazioni sia ai pazienti che ai terapeuti con modalità di volta in volta concordate con i clinici, rispettando tradizioni e sensibilità specifiche dei diversi servizi; b) l’uso di batterie multi-strumentali per raggiungere una maggiore validità della misurazione grazie alla convergenza degli indicatori: in particolare, l’introduzione di valutazioni da parte dei clinici accanto alle auto-valutazioni dei pazienti si è rivelata la scelta migliore per una maggiore validità clinica dei dati e per una riflessione sulla natura relazionale del lavoro psicoterapeutico; c) la messa a punto di strumenti per la valutazione iniziale del paziente che riflettano la complessità delle situazioni cliniche e permettano la 142 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ replicabilità della misurazione in fasi successive del trattamento e alla fine della psicoterapia; la validazione di strumenti self-report, più veloci nella somministrazione e certamente più attendibili nella misura, è stata affiancata dall’adattamento italiano di strumenti molto complessi per lo studio del processo, basati sulla micro-analisi delle narrative, come il dizionario computerizzato dell’attività referenziale e il Q-sort per la valutazione della coerenza narrativa: tali strumenti, meno attendibili dei questionari, risultano però incrementare la validità di costrutto e quindi l’interpretazione del significato clinico dei risultati ottenuti. Fra i limiti delle ricerche riportate, segnaliamo in particolare la lentezza del processo di raccolta dei dati nei servizi pubblici e le difficoltà di compliance da parte dei terapeuti nel compilare i questionari loro richiesti, per la mole di lavoro routinario che spesso distoglie i clinici dei centri di salute mentale dal dedicare del tempo alla ricerca ed alla riflessione sul proprio lavoro. D’altra parte, l’entusiasmo con cui tutti i terapeuti (o quasi) dei diversi servizi coinvolti hanno accolto l’iniziativa induce a riporre speranze nella possibilità di estendere la cultura della ricerca nei Centri di salute mentale, affinando metodi e procedure così da ridurne l’impatto per il tempo degli operatori clinici: la sinergia con l’università sembra dare promettenti auspici in questa direzione, perché una parte del lavoro di raccolta dei dati può essere svolto da tirocinanti, laureandi o dottorandi con un raccordo centralizzato, pur nel rispetto delle specifiche esigenze di funzionamento dei diversi servizi. Si può concludere ricordando che, mentre gli obiettivi che si poneva la ricerca in psicoterapia nella sua fase iniziale erano identificati soprattutto con la validazione di specifiche tecniche per la cura di specifici disturbi, i risultati ottenuti grazie ai progressi della ricerca in questo settore hanno contribuito ad orientare i clinici verso la scelta di modelli integrati di intervento e a spingere i ricercatori a focalizzare l’attenzione sui fattori comuni del cambiamento terapeutico. Le ipotesi 143 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ relative ai fattori responsabili del cambiamento, pur nella difficoltà di rispondere in modo empirico ad una domanda così complessa, vertono oggi sempre più sulle qualità della relazione terapeutica: più precisamente, la qualità e l’efficacia degli interventi, in qualsiasi forma tecnica siano espressi, è da valutarsi in relazione alla capacità del terapeuta di cogliere il focus tematico e di approfondirne la discussione (Colli & Gazzillo, 2006). A questo scopo, la valutazione iniziale necessita di un’articolazione complessa, utilizzando strumenti che permettano di accostare, alla valutazione oggettiva e comparata della psicopatologia, delle ipotesi circa l’organizzazione strutturale della personalità del paziente e le sue specifiche vulnerabilità rispetto alle relazioni interpersonali. A nostro avviso, l’introduzione del registratore nelle psicoterapie offerte dai servizi pubblici – ovviamente nel rispetto della privacy di paziente e terapeuta – potrebbero implementare al meglio la valutazione del cambiamento terapeutico con la valutazione del processo attraverso il quale il cambiamento è stato raggiunto. Bibliografia Beijersbergen, M.D., Bakermans-Kranenburg, M.J., & Van IJzendoorn, M.H. (2006). The concept of coherence in attachment interviews: Comparing attachment experts, linguists, and non-experts. Attachment & Human Development, 8, 353-369. Bonfanti A.A., Campanelli L., Ciliberti A., Golia G., & Papini S.P. (2008, Giugno) Speech disfluencies in spoken language: The Italian Computerized Dictionary (I-Df) and its application on a single case. Paper presented at the SPR International Meeting, Barcellona. Bucci, W. (1997) Psicoanalisi e Scienza Cognitiva, Roma: G. Fioriti, 1999. Caprara, G.V., Barbaranelli, C., Borgogni, L., & Perugini, M. (1993). 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In the first part are summarized methods and results of a complex longitudinal research project – which included formation of and restitution to the clinical operators - carried out by “Sapienza” University together with the Mental Health Services of a territorial unit of Public Health in Rome. Some research studies focused on therapeutic change and process will follow, through narrative empirical instruments applied to psychotherapies in a Clinical University Centre. The studies here set out are mainly addressed to an improvement of clinical services, to self-monitoring of psychotherapists and to the construction of a theoretic model which may enhance therapeutic effectiveness. Key words Psychotherapies in public institutions, outcome assessment, process research, narratives, personality disorders 148 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Problemi metodologici nello studio del processo psicoterapico e nella valutazione dell’attaccamento e del rischio psicopatologico in adolescenza Riccardo Williams,1 Davide Belluardo,1 Fiorella Fantini,1 Valentina Postorino,1 Francesca Ortu1 Sommario Il gruppo di ricerca che attualmente opera presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, ha orientato il proprio lavoro fondamentalmente attorno a due tematiche: lo studio multidimensionale del processo terapeutico (in una prospettiva tanto empirica quanto di ricerca concettuale); la rilevanza della teoria dell’attaccamento e dei sistemi motivazionali per la comprensione dello sviluppo della patologia di personalità e delle sue manifestazioni nel contesto clinico, con particolare riferimento all'adolescenza. Parole chiave Processo, CCRT, adolescenza, teoria dell'attaccamento, sistemi motivazionali ---------------------------------------------------------------------------------------------------------1 “Sapienza” Università di Roma Corrispondenza: Riccardo Williams E-mail: [email protected] 149 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il nostro gruppo di ricerca ha orientato il proprio lavoro fondamentalmente attorno a due tematiche: la ricerca in psicoterapia (in una prospettiva tanto empirica quanto di ricerca concettuale) e gli sviluppi della teoria dell’attaccamento, approfondendo in particolare le problematiche legate alla valutazione clinica del rischio psicopatologico in adolescenza. Ne presentiamo una sintetica rassegna. Ricerca in psicoterapia Le ricerche essenzialmente condotte metodologici in quest’ambito della riguardano valutazione del aspetti processo in psicoterapia e hanno utilizzato come strumento privilegiato il CCRT di Luborsky per lo studio del processo psicoterapico e, in particolare, per una valutazione empirica dei principali paradigmi di transfert e delle variazioni di tali paradigmi nel corso di trattamenti psicoterapeutici. Il metodo del CCRT (Luborsky & Crits-Christoph, 1990), che mira a inferire i “contenuti mentali inconsci” del paziente analizzandone i significati cognitivi e affettivi così come emergono nel corso del lavoro terapeutico, permette di dare una valutazione empirica delle narrative dei pazienti in termini di episodi relazionali, in cui vengono identificati i principali desideri, bisogni e intenzioni del parlante, le risposte dell’altro e le risposte del sé; esso si presenta come uno strumento notevolmente flessibile capace di monitorare l’evoluzione di alcuni processi intrapsichici del paziente (Dazzi, De Coro, Ortu, Andreassi, Cundari, Ostuni, Petruccelli, & Sergi, 1998b). Negli studi preliminari, volti a indagare le proprietà psicometriche dello strumento su campioni di soggetti italiani in psicoterapia, abbiamo proposto una modifica del CCRT consistente nell’ampliamento dei criteri di inclusione utilizzati da Luborsky, così da cogliere elementi di rilevanza clinica contenuti nelle comunicazioni del paziente non considerate nel metodo classico. In questi primi lavori, concentrati sulla 150 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ individuazione dell’unità di analisi e presentati ai convegni SPR (Ortu, Cascioli, & Pazzagli, Piscicelli, Williams, & Dazzi, 2001; Ortu, Lingiardi, Pazzagli, Williams, & Dazzi, 2001; Williams, Ortu, Lingiardi, & Dazzi, 2004) ci siamo interrogati sull’utilità di utilizzare sia narrative relazionali con un indice di completezza basso, inferiore a quello classicamente utilizzato, sia racconti di interazione con partner non umani. Abbiamo inoltre sottolineato la necessità di prestare attenzione alla formulazione linguistica delle categorie e ne abbiamo dato un’esemplificazione clinica. Un successivo lavoro ha studiato la riorganizzazione delle categorie che definiscono la componente Wish del CCRT (W) in funzione della teoria dei sistemi motivazionali di Lichtenberg (1989). Approfondendo un lavoro di De Coro, Andreassi e Dazzi (2001), che introduceva nella W nuove categorie (in particolare relative all’area della sessualità) e proponeva una riformulazione e riorganizzazione delle categorie dei Wish nei termini di sistemi motivazionali che si rivelava capace di discriminare tra le diverse categorie diagnostiche, abbiamo valutato la validità del nuovo sistema applicandolo all’analisi del materiale pubblicato da Lichtenberg in “Lo scambio clinico” (Lichtenberg, Lachmann, & Fosshage, 1996). Questo lavoro ha fatto emergere un sostanziale accordo fra il quadro motivazionale descritto dallo strumento e la formulazione clinica proposta da Lichtenberg (1989; Lichtenberg, Lachmann, & Fosshage 1996), accordo che può essere letto come un’indicazione della validità dello strumento proposto. A partire poi dall’ipotesi che significativi spostamenti nei paradigmi dominanti di transfert siano precondizioni e indicatori di cambiamenti psichici strutturali, abbiamo condotto diversi lavori unendo al CCRT altri strumenti capaci di cogliere diversi fattori importanti per lo studio del processo (per esempio, alleanza terapeutica, stile difensivo). In collaborazione con i gruppi di ricerca di Lingiardi e De Coro abbiamo studiato le caratteristiche delle narrative prodotte dal paziente in 151 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ psicoterapia utilizzando il metodo del CCRT (Luborsky & Crits-Cristoph, 1990), la Referential Activity (RA) di Wilma Bucci (1997a, 1997b) - che valuta la misura in cui l’esperienza emotiva “è attiva nella mente di chi parla, catturandone le oscillazioni e valutandone l’efficacia nello scambio verbale tra paziente e terapeuta” – e la Defence Mechanism Rating Scale (DMRS) di Christopher Perry (1990; cfr. Lingiardi & Madeddu, 2002). Questo tipo di lavoro mirava a un’elaborazione metodologica capace di monitorare lo sviluppo del processo lungo dimensioni differenti: i contenuti tematici delle narrative del paziente e le variazioni nello stile comunicativo come fluttuazioni nelle connessioni referenziali. Per esempio, in un lavoro (Williams, Ortu, Lingiardi, & Dazzi, 2004), l’applicazione del CCRT e della RA all’analisi dei primi due anni del trattamento di una giovane donna con diagnosi di Disturbo Narcisistico di Personalità, ha mostrato come strumenti molteplici offrano informazioni su aspetti differenti del processo terapeutico e dunque un’analisi maggiormente dettagliata e critica del processo stesso, colgano differenti livelli di funzionamento e prestino attenzione alla relazione complementare intrapsichica, in tra quanto le dimensioni dimensioni interpersonale fondanti il e processo psicoterapeutico stesso. Successivamente, in collaborazione con il gruppo coordinato da Lingiardi, abbiamo avviato una linea di ricerca sul cambiamento clinico, focalizzandoci sullo studio dell’alleanza terapeutica intesa come dimensione emergente nel campo intersoggettivo che si viene a stabilire tra paziente e terapeuta e che, per questa sua natura, presenta un carattere ciclico in cui si succedono fasi critiche e continue ristrutturazioni (Colli & Lingiardi, 2001, 2002). Abbiamo così condotto alcuni lavori di ricerca mirati a valutare: 1) l’andamento dell’alleanza rispetto alle organizzazioni difensive e agli schemi relazionali in pazienti appartenenti a diverse categorie diagnostiche (Ortu, Williams, & Dazzi, 152 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 2004); 2) l’andamento dell’alleanza rispetto al processo nelle due terapie esaminate (Williams, Saracino, Traverso, Ortu, & Dazzi, 2005). In questi lavori per la valutazione dell’alleanza terapeutica abbiamo utilizzato l’IVAT (Indice di Valutazione dell’Alleanza Terapeutica, oggi CIS – Collaborative Interactions Scale; Colli & Lingiardi, 2009), che permette di identificare, sulla base dei punteggi assegnati (da giudici indipendenti) alle scale dello strumento, gli indicatori – diretti e indiretti – di rottura dell’alleanza terapeutica da parte del paziente e gli interventi di ricomposizione della stessa da parte del terapeuta (Colli & Lingiardi, 2001, 2002, 2009). Per quanto riguarda la valutazione multidimensionale del processo (Ortu et al., 2002), abbiamo continuato a riferirci a costrutti elaborati nell’ambito della tradizione di ricerca sulle psicoterapie psicodinamiche: il CCRT di Luborsky, la DMRS di Perry e la RA della Bucci. Gli strumenti citati sono stati applicati per la valutazione di due psicoterapie omogenee rispetto alla seguenti variabili: a) tipologia del trattamento (psicoterapia psicodinamica con frequenza bisettimanale), b) organizzazione di personalità del paziente e del terapeuta, ma diverse rispetto all’esito (drop out vs a termine). Per le siglature sono stati utilizzati trascritti estratti, per entrambe le terapie, da tre fasi successive dei trattamenti. I risultati di questo lavoro (Ortu et al., 2002) ci hanno incoraggiato a concludere che il metodo consente una valutazione della rilevanza delle dimensioni processuali considerate ai fini dello stabilirsi e dell’evolversi dell’alleanza terapeutica nel corso della seduta; inoltre offrivano dati utili per analizzare l’intreccio fra la qualità della relazione intersoggettiva, così come desunta dalla valutazione dell’alleanza terapeutica, e le tre dimensioni del processo, considerate singolarmente e nel loro insieme. In un successivo lavoro ci siamo focalizzati sul ruolo dell’alleanza terapeutica nello sviluppo del processo terapeutico e del cambiamento clinico, con l’obiettivo di identificare i fattori che influenzano la formazione e l’evoluzione 153 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ dell’alleanza, prestando particolare attenzione alla tecnica adottata dal clinico nelle terapie con pazienti borderline. Abbiamo così applicato a trascritti audioregistrati di sedute, estratti da tre fasi successive di psicoterapie psicodinamiche di due pazienti diagnosticati con la SWAP200 (Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003): - una scala per la valutazione degli interventi del terapeuta, derivata dalla classificazione proposta da Horowitz (cfr. Williams et al., 2004) a partire dal continuum supportivo–espressivo; - una scala per riconoscere e quantificare l’alternarsi di rotture e riparazioni dell’alleanza terapeutica (IVAT; Colli & Lingiardi, 2002). I risultati ottenuti hanno permesso una valutazione qualitativa della complessa relazione tra alleanza e strategia terapeutica, confermando da un lato la relazione tra interventi supportivi e buona qualità dell’alleanza, in particolare nelle fasi iniziali della terapia, e dall’altra la necessità di riconsiderare la distinzione classica tra interventi supportivi ed espressivi, data la difficoltà di isolare chiaramente i due tipi di interventi. Più di recente, abbiamo spostato la nostra attenzione sulla valutazione clinica in adolescenza, e sui problemi metodologici da essa sollevati. In questa prospettiva, abbiamo condotto uno studio mirato a confrontare la sensibilità clinica e la validità discriminante di due metodi di valutazione della patologia di personalità in adolescenza, confrontando la procedura standard della SWAP-200 con la valutazione per prototipi, al fine di verificare la validità di costrutto e la validità convergente e discriminante del metodo di valutazione SWAP-200-A per prototipi della patologia di personalità in adolescenza. I risultati ottenuti (Williams, Ferrara, Aloi, Gazzillo, & 2009) ci hanno permesso di sostenere che la valutazione per prototipi SWAP-200-A conserva lo stesso potere discriminante della procedura standard rispetto ai criteri di validazione ovvero: a) corrispondenza con i criteri dell’Asse II del 154 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ DSM-IV-TR (APA, 2000), b) previsione di comportamenti adattativi e disadattativi nelle diverse aree di funzionamento e nell’adattamento complessivo, c) concordanza con i profili sintomatici dei pazienti. La procedura per prototipi sembra tuttavia essere meno sensibile rispetto alla procedura standard nel cogliere alcune differenze all’interno del cluster B, soprattutto per quanto riguarda la disregolazione emotiva e lo stile antisociale-psicopatico (Williams, Aloi, Di Chio, Ortu, & Lingiardi, 2008; Williams et al., 2009). Valutazione clinica in adolescenza alla luce della teoria dell’attaccamento La teoria dell’attaccamento ha fornito una cornice di comprensione fondamentale per la valutazione del rischio psicopatologico e per i processi adattativi nelle diverse fasi del ciclo di vita. Gli studi in questo ambito hanno messo in luce che l’insicurezza dell’attaccamento costituisce un fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di diverse condizioni psicopatologiche (Sroufe, 2005). Dopo avere identificato la relazione specifica tra i diversi modelli di attaccamento e le singole condizioni psicopatologiche, lo sforzo degli autori è attualmente rivolto all’impiego delle valutazioni dell’attaccamento nel contesto clinico (Steele & Steele, 2010). A tal proposito l’applicazione degli strumenti di valutazione dell’attaccamento al contesto clinico dell’adolescenza ha mostrato diversi tipi di problemi (Barone & Del Corno, 2007). Tali problemi riguardano prevalentemente la relativa inadeguatezza degli strumenti di valutazione dell’attaccamento nel cogliere alcune caratteristiche essenziali dello sviluppo affettivo e sociale dell’adolescente. In parte, tale difficoltà risulta da un modello delle differenze individuali che è molto proficuo in termini di ricerca empirica, ma non sembra fornire indicazioni sufficientemente specifiche per la comprensione dei processi 155 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ nelle diverse condizioni psicopatologiche e nelle applicazioni ai casi singoli. Il lavoro di ricerca del gruppo, concentrato negli ultimi anni sulla valutazione clinica in adolescenza, si è sempre rivolto alla teoria dell’attaccamento come cornice teorica di riferimento. Il gruppo ha cioè preso le mosse dallo studio della stabilità ed evoluzione degli schemi cognitivo-affettivi delle relazioni familiari (modelli di attaccamento, secondo la teorizzazione di Bowlby e la metodologia di Ainsworth e Main). In questo senso, come testimoniato da diverse comunicazioni a convegni e pubblicazioni, il lavoro di ricerca condotto in collaborazione con Dazzi e De Coro è consistito in uno studio analitico delle caratteristiche formali – con specifico riferimento alla dimensione della Coerenza del Trascritto – dell’Adult Attachment Interview di Main e Goldwin (1998). Questo sforzo di ricerca ha portato a identificare due fattori principali (“informazione confusa e ridondante”, Incoerenza di tipo E, e “informazione incompleta e contraddittoria”, Incoerenza di tipo D) responsabili delle specifiche violazioni di coerenza capaci di discriminare le interviste dei soggetti sicuri da quelle degli insicuri (De Coro, Ortu, Speranza, Andreassi, & Pazzagli, 2003). Utilizzando anche in quest’ambito una strategia di ricerca rivelatasi fruttuosa rispetto alla valutazione del processo in psicoterapia, abbiamo approfondito lo studio delle caratteristiche formali dell’Intervista sull’Attaccamento mediante il metodo dell’Attività Referenziale di Wilma Bucci (1997a, 1997b), la Defense Mechanisms Rating Scale di Christopher Perry (1990; cfr., Lingiardi & Madeddu, 2002) e la Scala della Funzione Riflessiva di Fonagy, Steele, Steele, & Target (1998). Questa strategia di analisi ci ha permesso di identificare differenti modalità di esclusione difensiva, caratteristiche dei diversi stati della mente rispetto all’attaccamento. Questa impostazione generale consente di valutare con maggiore accuratezza la rilevanza che i processi dell'attaccamento hanno per lo svolgimento del processo terapeutico, 156 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ così come studiato alla luce dei costrutti più tipicamente impiegati nello studio sui micro-processi. Abbiamo d’altra parte approfondito le implicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento mettendo a punto un metodo di valutazione del processo psicoterapeutico basato sull’individuazione, nelle trascrizioni parola per parola di alcune sedute psicoterapeutiche, degli indici della coerenza conversazionale utilizzati nella valutazione della A.A.I. di Main e Goldwin (1998). Un ulteriore approfondimento di ricerca portato avanti in collaborazione con Anna Maria Speranza ha riguardato lo studio della validità convergente fra l’intervista sull’attaccamento (AAI) e alcuni strumenti self-report di valutazione dell’attaccamento nell’adulto con l’obiettivo di approfondire l’analisi dei costrutti e delle metodologie di indagine e di rispondere ai quesiti relativi alla relazione tra i diversi strumenti e alla loro convergenza o divergenza. Più di recente, riprendendo precedenti spunti di ricerca (ad esempio uno studio della corrispondenza fra categoria di attaccamento e il CCRT in coppie di amici) abbiamo utilizzato il CCRT come strumento capace di cogliere aspetti rilevanti della dinamica adolescente- genitore. In un lavoro del 2009 (Ortu, Guidi, & Fantini, 2009) e volto a studiare il funzionamento sociale in adolescenza, abbiamo ad esempio utilizzato il CCRT per studiare la relazione tra schemi schemi relazionali disadattivi dell’adolescente (definiti nei termini di in termini di rigidità/flessibilità così come riflessa dalla pervasività del CCRT) e quelli del genitore. Il CCRT, ottenuto sulla base dell’intervista RAP (Relationship Anecdotes Paradigms; Luborsky, 1978) – una intervista appositamente costruita per sollecitare la narrazione di episodi relazionali – somministrata a 35 adolescenti e alle loro madri, è stato utilizzato per porre in luce l’influenza dei modelli relazionali genitoriali sui modelli emergenti in adolescenza. Il confronto dei modelli relazionali tra i due gruppi ha messo in luce 157 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ che il carattere disadattivo dello schema relazionale del genitore influenza il funzionamento attuale dell’adolescente. Alla luce di queste considerazioni preliminari di carattere metodologico e utilizzando la teoria dell’Attaccamento come sfondo, abbiamo iniziato, anche in collaborazione con altri gruppi di ricerca, una serie di studi per la valutazione del rischio psicopatologico e per i processi adattativi nelle diverse fasi del ciclo di vita. Sulla base dei dati di ricerca che indicano nell’insicurezza dell’attaccamento un fattore di rischio per lo sviluppo di diverse condizioni psicopatologiche, abbiamo rivolto così la nostra attenzione alle problematiche sollevate dall’applicazione degli strumenti di valutazione dell’attaccamento al contesto clinico dell’adolescenza. In buona parte, tali problemi riguardano la relativa inadeguatezza di tali strumenti di valutazione nel cogliere alcune caratteristiche essenziali dello sviluppo affettivo e sociale dell’adolescente. A tale inadeguatezza si somma poi l’esigenza clinica di calibrare l’intervento secondo le caratteristiche di questa fase evolutiva. Rispetto all’adolescenza, gli studi empirici hanno inoltre evidenziato una sostanziale difficoltà a rintracciare quella continuità temporale dei modelli di attaccamento che è alla base della prospettiva evolutiva per primo delineata da John Bowlby. In diversi studi è stato messo in luce che, se si tiene conto della classificazione tradizionale dei modelli di attaccamento (e cioè alla classificazione ottenute in base alla Strange Situation e all’Adult Attachment Interview, AAI) le valutazioni complessive di campioni di adolescenti presentano diverse peculiarità. Le classificazioni degli adolescenti si presentano cioè scarsamente correlate tanto alle classificazioni AAI degli adulti quanto a quelle dei bambini di 12-18 mesi alla Strange Situation: negli adolescenti la percentuale dei sicuri tende a diminuire in favore dei distanzianti che in questa fase sembrano essere sovrarappresentati (Main, 1991; Ammaniti, van Ijzendorn, Speranza, & Tambelli, 2000; Sroufe, 2005). 158 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ D’altro canto, gli studi longitudinali che valutano la stabilità dall’infanzia all’età adulta delle classificazioni dell’attaccamento dei singoli soggetti mettono in luce che classificazioni ottenute alla Strange Situation a 12 o 18 mesi consentono, rispetto alle valutazioni effettuate in adolescenza con l’AICA (Attachment Interview in Child and Adolescent; Ammaniti, Candelori, & De Coro, 1990; Ammaniti et al. 2000) un adattamento dell’AAI per l’età adolescenziale, una migliore previsione della classificazione all’AAI in età adulta, configurando un vero e proprio gap nella valutazione dell’attaccamento in questa fascia di età ed evidenziando un quadro evolutivo di continuità a singhiozzo fra le diverse fasi del ciclo di vita. Nel tentativo di rispondere agli interrogativi sollevati da questi dati, abbiamo tenuto conto del fatto che gli studi longitudinali evidenziano come il potere predittivo delle valutazioni effettuate nel corso dello sviluppo aumenti (e questo vale anche per l’adolescenza) se la valutazione dell’attaccamento in ciascun periodo evolutivo tiene conto non solo delle capacità acquisite, ma anche di quelle in via di acquisizione (dell’effetto delle esperienze precedenti sulle relazioni attuali ma anche dell’effetto delle nuove esperienze su quelle future). In adolescenza inoltre la predittività (e quindi la stabilità) delle valutazioni della qualità dell’attaccamento aumenta se vengono impiegate misure di tipo misto, ovvero, sia di tipo rappresentazionale che comportamentale (Sroufe, 2005). La letteratura più recente, in particolare, sottolinea l’importanza della dimensione interattiva soprattutto nel rapporto genitore-adolescente. Prendendo spunto dalle precedenti problematiche evidenziate dalla ricerca empirica sull’attaccamento in adolescenza e dalle necessità di una possibile applicazione al contesto clinico dell’adolescenza, ci siamo così posti due obiettivi essenziali: - trovare un sistema di valutazione dell’attaccamento che sia omogeneo al costrutto elaborato da John Bowlby e Mary Ainsworth e, al tempo 159 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ stesso, sia in grado di cogliere le evoluzioni nei domini cognitivo, motivazionale e sociale tipiche dell’adolescenza; - verificare che questo sistema sia in grado di evidenziare le specifiche relazioni tra sviluppo dell’attaccamento, psicopatologia e organizzazione della personalità in questa fase del ciclo di vita. Una prima fase del lavoro è dunque consistita nella identificazione degli strumenti di valutazione. Tenendo conto che uno strumento di valutazione ottimale deve: - essere capace di cogliere il compito evolutivo e funzionamento specifico della fase - e cioè nel caso dell’adolescente gli aspetti essenziali del processo di organizzazione di una nuova rappresentazione di “Sé come agente” e di regolazione autonoma rispetto al proprio pensiero (ricerca dell’autonomia) all’interno di uno scambio interattivo con il/i genitore/i; - essere sensibile ai contesti d’interazione - e cioè capace di offrire una valutazione complessiva dell’attaccamento aderente a ciò che l’adolescente effettivamente fa nei diversi contesti, in particolare di quello familiare, e di come adolescente e genitore apprendono a regolare mutuamente i propri stati affettivi e le proprie prospettive mentali; - permettere l’integrazione di misure osservative e rappresentazionali; - cogliere in particolare l’interazione con altri sistemi motivazionali interpersonali; - evidenziare aspetti rilevanti per la psicopatologia (attaccamento disorganizzato). In vista di una valutazione degli schemi relazionali disadattativi abbiamo individuato nel sistema PIGA (Profilo d’Interazione GenitoreAdolescente; Lyons-Ruth, Hennigshausen, & Holmes, 2003) uno strumento capace di soddisfare queste diverse esigenze. Il sistema PIGA - sviluppato nel corso di un importante studio longitudinale multicentrico condotto su un gruppo di bambini valutati in momenti 160 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ diversi dello sviluppo, dalla prima infanzia all’età giovane adulta costituisce una griglia di osservazione specifica per studiare l’evoluzione dei comportamenti disorganizzati nel corso dello sviluppo. In particolare, esso costituisce il primo approccio metodologico allo studio delle strategie di tipo controlling che costituiscono l’evoluzione tipica dell’attaccamento disorganizzato nel corso dello sviluppo (Lyons-Ruth & Jacobvitz 1999). Rispetto agli studi che tipicamente si rivolgono all’Adult Attachment Interview (AAI) o al suo adattamento per l’adolescenza (AICA; Ammaniti, Candelori et al., 1990; Ammaniti, van Ijzendoorn et al., 2000), il sistema PIGA fa riferimento non solo a misure rappresentazionali dell’attaccamento, ma anche a osservazioni comportamentali di tipo interattivo. Questo sistema prevede una valutazione complessa che si fonda sull’analisi della videoregistrazione dell’interazione genitore-adolescente e porta a classificare le strategie interattive secondo dimensioni coerenti con quelle definite dalla Strange Situation e dell’Adult Attachment Interview. Questo sistema di valutazione ci è parso cioè capace di cogliere, alla luce dei compiti evolutivi dello funzionamento specifico della fase adolescenziale, l’equilibrio tra attaccamento ed esplorazione. I dati emersi da un lavoro preliminare di tipo metodologico, che aveva l’obiettivo di esplorare la validità del sistema PIGA, ci hanno permesso di sostenere che questo sistema offre: 1) una visione più integrata e adeguata alla fase dello sviluppo dell’attaccamento in adolescenza rispetto alla sola misura rappresentazionale fornita dall’applicazione dell’AICA (equivalente dell’AAI per l’adolescente); 2) una visione più accurata rispetto alla riorganizzazione dei sistemi motivazionali tipica dell’adolescenza; 3) la possibilità di cogliere in modo clinicamente accurato e significativo le modalità disadadattive dell’adolescente, con particolare riferimento all’evoluzione in questa fase delle strategie controlling tipiche dell’attaccamento disoganizzato. I dati confortanti di questo primo lavoro ci hanno incoraggiato a 161 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ proseguire in questa linea di ricerca. In un successivo lavoro (Manaresi, Williams, & Cotugno, 2008), volto a esplorare il rapporto tra attaccamento e psicopatologia in adolescenza, svolto in collaborazione con i colleghi Manaresi e Cotugno del centro clinico ASTREA di Roma, abbiamo così affiancato al sistema PIGA un ulteriore strumento, l’AIMIT (Analisi degli Indicatori delle Motivazioni Interpersonali nei Trascritti) messo a punto da Liotti e collaboratori (Liotti & Monticelli, 2008; Gruppo per lo studio delle motivazioni interpersonali in psicoterapia, 2008) che mira a fornire una analisi degli indicatori delle motivazioni interpersonali nei trascritti – per mettere in luce le motivazioni interpersonali sottese agli scambi interattivi e comunicativi genitore– adolescente. In questo recente lavoro (Manaresi, Williams, & Cotugno, 2008) abbiamo dunque utilizzato il sistema PIGA e il sistema AIMIT per lo studio delle interazioni genitore–adolescente in due campioni di adolescenti, il primo costituito 16 diadi adolescente-genitore provenienti da una popolazione a basso rischio psicosociale e il secondo costituito da 27 diadi provenienti da una popolazione clinica di pazienti diagnosticati con disturbi di personalità. Utilizzando questi due strumenti, abbiamo valutato una situazione interattiva semistrutturata, in cui adolescente e genitore vengono chiamati a confrontarsi su specifiche tematiche-stimolo offerte da un operatore non coinvolto nel processo terapeutico. La procedura utilizzata è costituita da 6 episodi, della durata di 5 minuti ciascuno, introdotti da “indicazioni di discussione” che costituiscono stimoli stressanti di intensità crescente. Le interazioni così stimolate, vengono audio-videoregistrate e successivamente trascritte verbatim. Dopo la prima sequenza di discussione libera non focalizzata, il genitore viene sottoposto all’Adult Attachment Interview, mentre all’adolescente viene somministrata l’AICA. Le due interviste vengono audioregistrate e valutate utilizzando il sistema di codifica di Main e Goldwyn (1998). In analogia con la metodologia che informa la Strange Situation, la 162 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ nostra procedura osservativa è costituita da una sequenza prestabilita di situazioni indotte da stimoli fase-specifici, in grado di attivare il sistema di attaccamento-accudimento nell’interazione genitore-figlio. Una volta effettuata la videoregistrazione dell’interazione semistrutturata, i dialoghi sono stati trascritti e analizzati secondo il metodo AIMIT. Le videoregistrazioni sono state valutate secondo le dimensioni PIGA sopra descritte. Le due valutazioni sono state effettuate in cieco da codificatori esperti dei due sistemi. I dati così raccolti hanno costruito un quadro sovrapponibile a quello ottenuto da Lyons-Ruth e collaboratori (2003), e cioè anche nella popolazione italiana studiata la qualità delle interazioni fra genitore e adolescente impegnati nella soluzione del compito decisionale mostra una correlazione positiva con la categoria di attaccamento del genitore e al tempo stesso si rivela più capace della categoria di attaccamento del genitore di predire la categoria di attaccamento dell’adolescente (Williams, Ardito, Ortu, & Dazzi 2008). Questo dato è stato inoltre confermato da un altro studio che evidenziava la forte predittività dell’attaccamento rispetto alla modalità di gestione dell’aggressività fra genitore e adolescente, modalità che si presenta come funzionale nelle diadi con attaccamento sicuro e disfunzionali, con una marcata tendenza al passaggio all’atto – nella forma di vere e proprie aggressioni (fisiche o verbali) – nelle diadi insicure o disorganizzate (Williams, 2007; Williams, Aloi et al., 2008; Williams, Ardito et al., 2008). Questa seconda modalità si presenta come fortemente ricorrente nel gruppo costituito da adolescenti con disturbi gravi di personalità (Williams, 2007; Williams, Aloi, Di Chio, Ortu, & Lingiardi, 2008; Manaresi, Williams, & Cotugno, 2008). L’analisi delle interazioni PIGA di questi giovani pazienti ha consentito di evidenziare la prevalenza delle interazioni traumatiche descritte dalla Lyons-Ruth attraverso le tipologie dei profili disorganizzati del sistema PIGA e ci ha condotti a ipotizzare come la disorganizzazione dell’attaccamento in adolescenza 163 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sia riconducibile alla impossibilità, in particolare per un adolescente segnato da una storia di traumi infantili (come gli adolescenti del nostro campione clinico) di conciliare le spinte all’acquisizione della nuova identità adolescenziale, di nuovi legami e nuove modalità di rapporto con i bisogni di attaccamento. Nel caso dell’attaccamento disorganizzato l’adolescente sembra sperimentare il percorso di differenziazione psicologica, che costituisce uno dei compiti evolutivi di questa fase evolutiva, come un attacco all’altro o come una rottura insanabile del legame. La plausibilità di questo tipo di interpretazione sembra essere confermata dal confronto tra i dati ottenuti dal sistema PIGA e dalla valutazione dei sistemi motivazionali fornita dal sistema AIMIT. Da tale confronto emerge con chiarezza che tanto la qualità dell’attaccamento del genitore, valutata mediante l’AAI, quanto la valutazione dell’interazione adolescente-genitore, effettuata attraverso il PIGA, sono fortemente predittive di strategie di tipo controlling caratterizzate dall’attivazione pervasiva e disarmonica del sistema motivazionale di rango in luogo di quello dell’attaccamento e dell’accudimento. I futuri sviluppi di questa prospettiva di ricerca saranno rivolti ad approfondire maggiormente lo studio: a) della congruenza tra le valutazioni dell’attaccamento in adolescenza effettuate attraverso il sistema PIGA con lo sviluppo delle relazioni oggettuali così come analizzato nella prospettiva empirica messa a punto da Drew Westen con il metodo SCORS (1991b, 1996) e b) della capacità del sistema PIGA e del sistema AIMIT di cogliere le differenze cliniche più rilevanti tra gruppi di disturbi di personalità del cluster A e del cluster B. Conclusioni Il lavoro del gruppo di ricerca ha seguito delle linee distinte che si rivolgono a due aspetti di stretta rilevanza per lo studio empirico della psicoterapia: la comprensione dei diversi fattori che concorrono 164 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ all'evoluzione del processo nella prospettiva psicodinamica; l'identificazione delle caratteristiche dell'organizzazione dei processi dell'attaccamento che presentano maggiore salienza per lo sviluppo della patologia di personalità e degli schemi relazionali disadattativi nel contesto della psicoterapia. Per quanto concerne gli studi sul processo, le nostre ricerche hanno consentito di evidenziare la complessità delle interazioni tra i diversi fattori che favoriscono od ostacolano l'evoluzione del processo terapeutico. In particolare, è stato possibile evidenziare che la valutazione accurata del cambiamento clinico non può essere realizzata attraverso un unico costrutto clinico. Le diverse dimensioni prese in esame dai diversi strumenti di valutazione del cambiamento presentano solo un grado relativo di omogeneità. Così, ad esempio, l'evoluzione degli schemi relazionali disadattativi non va di pari passo con l'evoluzione delle organizzazioni dei meccanismi di difesa nell'ambito del processo terapeutico. Se si raffrontano le evoluzioni di queste singole dimensioni cliniche nel corso di una terapia con altri indicatori dell'efficacia del processo (ad es., l'alleanza terapeutica) o con l'outcome della terapia stessa si perviene a conclusioni parziali e talora errate. Più proficuo sembra un approccio di valutazione multi-dimensionale che consenta di valutare l'andamento del processo attraverso le specifiche interazioni che i singoli fattori mostrano nelle diverse fasi del trattamento. Per quanto concerne lo studio delle valutazioni dell'attaccamento, i risultati ottenuti consentono una prima ridefinizione delle classificazioni tradizionali dell'attaccamento alla luce di alcune dimensioni di particolare rilievo per la psicoterapia. Con riferimento all'ambito della patologia adolescenziale, è stato in particolare possibile costruire uno strumento di valutazione che sia ancorato al costrutto originario di attaccamento e che mostri, al tempo stesso, l'intreccio tra l'evoluzione di questo sistema con le vicissitudini evolutive e motivazionali tipiche di 165 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ questa fase. In particolare, è stato possibile specificare quali aspetti del modello disorganizzato dell'attaccamento si presentano in modo ricorrente e distintivo nelle organizzazioni patologiche della personalità. Come evidenziato dall'applicazione di questo approccio ad alcuni casi clinici, tale impostazione suggerisce una linea interpretativa che a partire dalle valutazioni dell'attaccamento consente di formulare delle previsioni circa le modalità e i contenuti attraverso cui gli schemi disadattativi di origine traumatica si manifestano nel contesto clinico. Bibliografia American Psychiatric Association (2000). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Text revision (DSM-IV-TR). Tr. it. Masson, Milano 2002. Ammaniti, M., Candelori, C., & De Coro, A. (1990). IAL: Intervista sull’attaccamento nella Latenza (versione A.I.C.A: Attachment Interview for Childhood and Adolescence). Manoscritto non pubblicato, Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, “La Sapienza”, Università degli Studi di Roma. Ammaniti, M., van Ijzendoorn, M.H., Speranza, A.M., & Tambelli, R., (2000). 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Relazione presentata al 9° Convegno Nazionale dei Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza AGIPPsA “Le Nuove frontiere della ricerca clinica in adolescenza”, Roma. Williams, R., Ferrara, M., Aloi, A., & Gazzillo, F. (2009). La valutazione della patologia di personalità con la SWAP-200-A: un’applicazione ad un campione clinico di adolescenti italiani. Infanzia e Adolescenza, 8(2), 33-34. Williams, R., Ferrara, M., Ortu, F., Caratelli, A., & Dazzi, N. (2005, Settembre). Uno studio sulla patologia di personalità in adolescenza. Relazione presentata 168 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ al VI Convegno Nazionale della Sezione di Psicologia Clinica dell’AIP, San Benedetto del Tronto. Williams, R., Ortu, F., Lingiardi, & Dazzi, N. (2004, June). L’alleanza terapeutica e il continuuum espressivo-supportivo: uno studio empirico del processo in psicoterapia psicodinamica. Paper presented at the 35th SPR International Meeting, Rome, Italy. Williams, R., Saracino, D., Traverso, L., Ortu, F., & Dazzi, N. (2005, March). Fluctuations in the therapeutic alliance with respect to the therapist’s interventions in the treatment of a borderline patient. Paper presented at the 2nd Joint Meeting of the SPR European and UK Chapters, Lausanne, Switzerland. Abstract Our research group, currently operating at the Department of Dynamic and Clinic Psychology, have mainly focused on two topics: the study on therapeutic process (in the perspectives of both empirical and conceptual research); the relevance of attachment theory for the understanding of abnormal personality development and its manifestations within the clinical context, with specific reference to adolescence. Key words Process, CCRT, adolescence, attachment theory, motivational systems 169 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Filoni di ricerca in psicoterapia nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova Adriana Lis,1 Marco Sambin,2 Emilia Ferruzza,1 Cristina Marogna,2 Diego Rocco,2 Silvia Salcuni1 Sommario Il moltiplicarsi di proposte di intervento psicologico e la crescente richiesta da parte degli utenti e delle istituzioni di cura di misurare efficacy ed effectiveness delle psicoterapie, rende necessaria una valutazione empirica dei modelli di intervento applicati, attraverso lo studio di ciò che avviene in psicoterapia e dei relativi meccanismi di cambiamento e azione. Scopo del presente lavoro è introdurre il lettore ai diversi disegni di ricerca per la valutazione empirica della psicoterapia nel complesso contesto di alcuni servizi Universitari dell’Ateneo Patavino. L’interesse sarà posto sui diversi progetti e strumenti per la valutazione dell’esito, dei macro e dei micro processi di cambiamento di terapie ad indirizzo psicodinamico, caso singolo e di gruppo, anche in relazione alle neuroscienze. Parole chiave Ricerca in psicoterapia, ricerca esito-processo, caso singolo, gruppo, istituzioni -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------1 2 Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione c/o LIRIPAC, via Belzoni 80, 35140 Padova. Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia Applicata c/o LIRIPAC, via Belzoni 80, 35140 Padova. Corrispondenza: Adriana Lis E-mail: [email protected] 170 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Introduzione Il moltiplicarsi di proposte di intervento psicologico e la crescente richiesta da parte degli utenti e delle istituzioni di cura di misurare efficacy ed effectiveness delle psicoterapie, rende necessaria una valutazione empirica dei modelli di intervento applicati attraverso lo studio di ciò che avviene in psicoterapia (analisi del processo) e dei relativi meccanismi di cambiamento e azione (analisi processo-esito). Scopo del presente lavoro è introdurre il lettore ai diversi disegni di ricerca per la valutazione empirica della psicoterapia, nel complesso contesto di alcuni servizi Universitari dell’Ateneo Patavino. L’interesse sarà posto sui diversi progetti e strumenti per la valutazione dell’esito, dei macro e dei micro processi di cambiamento di terapie a indirizzo psicodinamico, caso singolo e di gruppo, anche in relazione alle neuroscienze. Analisi processo-esito con disegno su caso singolo11 L’attività di ricerca di questo gruppo si concentra sullo studio processo-esito di casi singoli, sviluppandosi in più progetti, alcuni dei quali classicamente rivolti al corso della psicoterapia, altri più specifici per il periodo di consultazione. Per tutti i progetti la valutazione si basa sulle registrazioni e le trascrizioni verbatim delle sedute. Un primo filone di ricerca, si basa sullo studio del processo-esito di psicoterapie a orientamento psicodinamico, generalmente di sostegno, della durata di circa 2 anni e mezzo, interamente audioregistrate e Il gruppo di ricerca è coordinato dalla Prof.ssa Lis. Sono componenti del gruppo: Silvia Salcuni (PhD, Ricercatore M-Psi/07), Daniela Di Riso (PhD), Daphne Chessa (PhD student), Elisa del Vecchio (PhD student). 1 171 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ trascritte verbatim, con pazienti adulti e giovani adulti afferenti principalmente a un servizio di consulenza psicologica per studenti universitari12, e minorenni, afferenti principalmente al Laboratorio Selma Fraiberg, le cui problematiche vanno dai disturbi di personalità, ai disturbi affettivi. In particolare la valutazione dei singoli pazienti prevede lo studio degli andamenti dei meccanismi di difesa del paziente e del terapeuta (ad esempio, Defense Mechanism Rating Scale – DMRS; Perry, 1990), del tipo di interventi del terapeuta (Psychodynamic Intervention Rating Scale – PIRS; Cooper & Bond, 1992), dell’alleanza terapeutica (Collaborative Interactions Scale – CIS; Colli & Lingiardi, 2009), della capacità di mentalizzazione (ad esempio, Self Reflection Functioning – SRF; Fonagy, Target, & Gergely, 2000; Scala di Valutazione della Metacognizione – SVaM; Carcione, Falcone, Magnolfi, & Manaresi, 1997), del cambiamento dei temi relazionali (asse II della Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata – OPD; Gruppo di Lavoro OPD, 1996/1998/2001), e delle correlazioni reciproche tra queste dimensioni. L’equipe raccoglie da anni importanti dati di ricerca sul processo-esito, e ha ormai a sua disposizione un ricco archivio di psicoterapie psicodinamicamente orientate, interamente audioregistrate e trascritte, che renderanno possibile studi di tipo meta-analitico. I dati fin ora elaborati (Lis, Mazzeschi, Di Riso, & Salcuni, in press; Di Riso, Salcuni, Laghezza, Marogna, & Lis, 2009; Lis, Mazzeschi, Salcuni, & Rondanini, 2007; Mazzeschi, Di Riso, Napoli, & Bonucci, 2007; Lis, Salcuni, & Zini, 2007; Mazzeschi, Di Riso, Napoli, & Bonucci, 2007; Lis, Salcuni, Zini, Genovese, Di Riso, & Zonca, 2005; Lis, Zennaro, Calvo, Salcuni, & Parolin, 2003) mostrano importanti correlazioni tra il tipo di interventi attuati dai terapeuti, il tempo della terapia, la maturazione del livello globale delle difese del paziente e la diminuzione della sintomatologia psichiatrica iniziale; fattore modulatore del cambiamento risulta essere la qualità dell’alleanza terapeutica. 2 SAP-SCP 172 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Nell’ambito della ricerca empirica in psicoterapia, spesso è emersa l’esigenza e l’ utilità di possedere un elenco di variabili e di valori critici il cui andamento fosse utile a livello di progettazione e prognosi della terapia (Bihlar & Carlsson, 2000; Lis, Salcuni, & Parolin, 2004). Un altro importante filone di lavoro di questo gruppo di ricerca riguarda lo studio dell’esito, tramite l’uso di strumenti somministrati in fase diagnostica e alla conclusione della psicoterapia caso singolo. Il filone di ricerca si è rivolto allo studio dettagliato di strumenti utili a questo scopo, comprendendo sia metodi descrittivi per l’identificazione di aspetti sintomatologici (ad esempio, SCL-90-R; Derogatis, Rickles, & Rock, 1976), sia strumenti classici per l’assessment psicologico (ad esempio, Millon Clinical Multiaxial Inventory – MCMI; Millon, 1997; Shelder-Westen Assessment Procedure – SWAP-200; Westen, Shelder, & Lingiardi, 2003; Rorschach Comprehensive System – RCS; Exner, 1991, 1993; Adult Attachment Interview – AAI; George, Kaplan, & Main, 1984, 1985, 1996; Adult Attachment Projective – AAP; George, Pettem, & West, 1996, 2008). Base teorica di questo tipo di studi è la validazione di un tipo di assessment, che guidi la successiva presa in carico e l’impostazione delle linee guida per la terapia, definito “multi-method”, in contrapposizione al “mono-method assessment” (Mattlar, 2003). È interessante che questo modo di procedere del clinico venga ad acquisire attualmente, dei supporti empirici derivati da lavori di metaanalisi e da concetti quali quelli di validità incrementale, aprendo così la strada a un approccio utile anche nell’ambito della valutazione empirica della psicoterapia e quindi anche degli interventi di counseling (Gacono, Loving, & Bodholt, 2001; Meyer, Finn, Eyde, Kay, Moreland, Dies, et al., 2001; Meyer, Finn, Eyde, Kubiszin, & Moreland, 1998; Mattlar, 2003). I risultati relativi all’applicazione empirica e alla misurazione della complessità diagnostica del multi method assessment, comprovano che l’uso di più tecniche di indagine con specificità in parte diverse, in parte 173 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sovrapponibili, porta a un incremento della validità concorrente e divergente. I risultati del presente filone di ricerca sugli esiti delle psicoterapie analizzate indicano modificazioni e miglioramenti nei pattern relazionali, e in particolare un miglioramento nella capacità dei soggetti di riflettere e ri-raccontare la loro storia relazionale, una migliore modulazione e verbalizzazione degli affetti e un calo del disagio soggettivo percepito (Lis, Mazzeschi, Di Riso, & Salcuni, in press; Marogna, Salcuni, & Chessa, 2010). Per quanto riguarda lo studio della consultazione, il gruppo si è occupato di impostare e valutare empiricamente gli effetti “terapeutici” di un nuovo modello di assessment, il Collaborative Assessment (CA; Finn, 2003; Fischer & Kamphuis, 2006), che si differenzia da quello tradizionale poiché pone il momento diagnostico – condotto con specifiche modalità "collaborative" – in una prospettiva di cambiamento, evidenziando come i pazienti traggono benefici durante la consultazione se ricevono un feedback empatico e collaborativo sui risultati dei colloqui e altri strumenti a loro somministrati (Finn, 2003; Finn & Tonsager, 1992; Finn & Fischer, 1997). Il CA si basa su tre punti cardine: collaborazione, individualizzazione e flessibilità. Il paziente è visto come un protagonista attivo delle operazioni di assessment e la stesura e condivisione di un report finale del soggetto (lettera scritta), è teorizzato come atto terapeutico, che genera effetti psicologici misurabili in termini di livello di stress, motivazione, autostima, efficacia dell'intervento. Nonostante il modello sia stato supportato da diversi risultati, i lavori pubblicati si situano soprattutto a livello di studi clinici. Il progetto si rivolge al confronto tra effetti dell’assessment tradizionale e dell’assessment collaborativo su due gruppi di pazienti giovani adulti, assegnati random a una delle due metodologie valutative. Il gruppo CA è stato valutato attraverso una batteria di test flessibile, creata "ad hoc" per ogni singolo paziente e per la problematica 174 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ presentata. Un secondo gruppo, di controllo, è stato valutato con una batteria fissa di strumenti (ad esempio, Minnesota Multiphasic Personality Inventory-II – MMPI-II; Hataway & McKinley, 1989; Rorschach Comprehensive System – RCS; Exner, 1991, 1993). L’analisi delle narrative dei pazienti e dei terapeuti nelle due condizioni, confrontando i primi colloqui con quelli di restituzione (Lis, Mazzeschi, Di Riso, Salcuni, & Rondanini, 2007; Mazzeschi, Di Riso, Napoli, & Bonucci, 2007), mostra che il CA contribuisce a ridurre il pattern difensivo dei pazienti (Finn & Tonsager, 1997; Marogna, Salcuni, & Chessa, 2010) e porta a un aumento graduale della confidenza nel processo di aiuto da parte del paziente nei confronti del clinico (Rozensky, Sweet, & Tovian, 1997), con una maggiore flessibilità nella relazione, evidenziata da un migliore andamento dell’alleanza terapeutica (Colli & Lingiardi, 2009) e una migliore capacità dello scambio clinico di generare senso (Salvatore, Gelo, Gennaro, Manzo, & Al-Radaideh, 2010). Lo studio della microprocessualità dello scambio clinico13 L’attività di ricerca di questo gruppo si concentra sullo studio del caso singolo, sviluppandosi in più progetti che hanno in comune l’interesse per l’approfondimento dei microprocessi che compongono il processo psicoterapeutico. Le ricerche vengono condotte analizzando le registrazioni e le trascrizioni verbatim di sedute di psicoterapia a orientamento psicodinamico sia a breve che a lungo termine, con pazienti adulti e con giovani adulti, le cui problematiche vanno dai disturbi di personalità ai disturbi d’ansia. Nei lavori viene privilegiata una lettura della relazione clinica che trova ispirazione nei modelli Il gruppo di ricerca è coordinato dal Prof. Rocco e ne è componente il Dott. Andrea Montorsi (Psicologo). 3 175 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ psicoanalitici a orientamento relazionale (Aron, 1996; Atwood & Stolorow, 1992), i quali sottolineano come la situazione clinica sia imprescindibilmente influenzata dalle sue caratteristiche intersoggettive; il processo terapeutico viene quindi principalmente considerato come una situazione in cui è presente un influenzamento reciproco che, senza soluzione di continuità, genera il processo terapeutico (e i sottostanti microprocessi). Dal punto di vista metodologico i lavori di ricerca hanno preso spunto da una parte, dagli studi sull’Attività Referenziale (RA; Bucci, 1985, 1997, 1999; Bucci & Kabasakalian-McKay, 1992) sviluppati a partire dalla Teoria del Codice Multiplo (TCM), utilizzandone sia la versione con siglatura manuale che, in collaborazione con l’Università di Roma “Sapienza”, la versione con i dizionari computerizzati (Mariani, Rocco, & De Coro, 2010; Rocco, Mariani, Montorsi, & Zermiani, 2010); dall’altra, hanno tratto ispirazione dalle recenti prospettive di ricerca derivanti dall’Infant Research, che sottolineano il ruolo della comunicazione implicita nello sviluppo della relazione tra bambino e caregiver (Beebe & Lachmann, 2002; Meltzoff, 1985, 1990). Con la RA, Bucci ha reso possibile l’analisi della produzione verbale di paziente e terapeuta non solo in termini di contenuto ma anche di “qualità espressive”, evidenziando come il linguaggio utilizzato riesca a costruire nessi fra l’esperienza sensoriale, le emozioni e il pensiero espresso attraverso le parole (De Coro & Mariani, 2006). Il gruppo di lavoro analizza e sviluppa, dal punto di vista della ricerca empirica, l’analisi dei “codici verbali subsimbolici” che “possono essere connessi al linguaggio simbolico, ma non lo sono necessariamente, e possono anche trasportare informazione comunicativa nei propri canali” (Bucci, 1997; tr. it. 1999, p. 170). Ciò si è esplicato nello sviluppo di una metodologia di analisi del processo psicoterapeutico che studia la presenza degli aspetti paraverbali, con particolare attenzione alla velocità di eloquio (Speech Rate, SR). Attraverso l’utilizzo di specifici 176 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ software derivati dagli studi sulla fonetica, la metodologia ha permesso di raccogliere importanti informazioni sullo sviluppo del processo clinico derivate dalle velocità di eloquio e dalle loro fluttuazioni. Il filone di ricerca relativo a RA e SR ha preso due direzioni: da un parte è stata analizzata la relazione tra le variazioni della velocità dell’eloquio del paziente e le caratteristiche espressive della sua produzione verbale; dall’altra la relazione che, in diversi colloqui ed in diversi momenti di uno stesso colloquio, è presente tra la velocità di eloquio del paziente e quella del terapeuta. Dalla prima direzione è emerso che le fluttuazioni di velocità di eloquio sono significativamente correlate con le qualità espressive contenute nel linguaggio (Rocco, 2005), mentre dalla seconda, nella quale viene investigata l’analisi dell’influenzamento reciproco tra paziente e terapeuta, si è evidenziato come i due attori della scena clinica siano reciprocamente sensibili non solo ai contenuti della produzione verbale, ma anche alle caratteristiche paraverbali della stessa (Rocco, 2008). Questo dato, anch’esso confortato dal punto di vista statistico, è stato letto alla luce delle ricerche provenienti dall’ambito dell’Infant Research, nelle quali è stata riscontrata, anche nella diade madre-bambino, questa attitudine alla rilevazione inconsapevole delle caratteristiche della comunicazione implicita (Beebe & Lachmann, 2002). Un ambito specifico al quale RA e SR sono applicati, aggiungendo altri strumenti di valutazione del processo, è relativo al confronto tra psicoterapie dinamiche a breve vs a lungo termine. In letteratura (Flegheneimer, 1986; Davanloo, 1987) è presente un ricco dibattito sulla diversa qualità degli outcome nei due tipi di intervento, e sul processo che porta a un certo risultato. Focus di questi studi è individuare la relazione tra azione terapeutica e tempo della terapia, rispondendo alle seguenti domande: su quale struttura e con che velocità prende forma il processo in una terapia a breve termine? E rispetto a una terapia cosiddetta lunga quali differenze si evidenziano? L’obiettivo è lo stesso o 177 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ si tratta di un diverso obiettivo terapeutico? Gli strumenti operazionalizzati presenti in letteratura che vengono utilizzati in questo progetto, confrontandone i risultati dal punto di vista della loro convergenza, sono: il CCRT (Luborsky & Crits- Christoph, 1990), la DMRS (Perry, 1990), la SWAP-200 (Westen, Shedler, & Lingiardi, 2003), il PQS (Jones, 2000), i test al terapeuta di Weiss (Weiss, 1993), la CIS (Colli & Lingiardi, 2009). Anche in questo ambito i risultati sono promettenti (De Bei, Rocco, & Montorsi, 2010): applicando a percorsi a breve termine strumenti di ricerca concepiti per analizzare il processo delle psicoterapie a lungo termine, emergono specificità che ci si augura possano chiarire il paradosso di esiti positivi che vengano ottenuti in tempi a volte molto brevi. Il gruppo di ricerca sui fenomeni gruppali14 Il gruppo di ricerca in psicoterapia sui fenomeni gruppali, cerca di individuare le variabili che rendono analizzabili a livello empirico i costrutti psicologici che stanno alla base dei processi gruppali (Bion, 1961; Foulkes, 1975; Kaës, 1976; Yalom, 1975). Fare ricerca in psicoterapia di gruppo significa di per sé confrontarsi con un corpus complesso, una “totalità dinamica” (Lewin, 1943), che per poter essere compresa e soprattutto utilizzata, ha bisogno di diversi vertici osservativi che reciprocamente si aiutino in modo sinergico. Grazie all’integrazione di varie discipline che hanno come oggetto di studio il gruppo, è stato possibile cogliere numerosi aspetti e sfumature di questo fenomeno così rilevante nell’ambito della psicologia clinica. Sono presenti tuttavia diverse difficoltà epistemologiche nel considerare il Questa linea di ricerca riguarda il gruppo coordinato dalla prof.ssa Ferruzza e dalla dott.ssa Marogna. Sono componenti del gruppo: Ivan Ambrosiano (Psicologo, Psicoterapeuta), Floriana Caccamo (Psicologa), Ilaria Locati (Psicologa, Psicoterapeuta), Luca Romagnoli (Psicologo Specializzando), Angelo Silvestri (PhD, Psichiatra, Psicoterapeuta). 4 178 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ gruppo oggetto di indagine psicologica, poiché l’atteggiamento degli individui verso il gruppo è generalmente di un suo disconoscimento come realtà (Anzieu & Martin, 1986). Il gruppo, infatti, viene visto come un sollievo dalle angosce della vita individuale e come possibilità per risolvere diverse situazioni conflittuali (la condivisione come risorsa), ma nello stesso tempo, come elemento che comprime, che costringe, obbliga e genera fantasie di frantumazione e insicurezza (l’essere insieme come limite della propria individualità). La ricerca empirica ha studiato elementi processuali tipici del gruppo quali coesione, clima di gruppo, alleanza terapeutica e empatia; tali variabili sono state associate generalmente a un esito positivo della terapia e a minori tassi di dropout (Burlingame, Fuhriman, & Johnson, 2004). Nonostante tali costrutti presentino aspetti caratterizzanti specifici, la ricerca mostra forti sovrapposizioni e interrelazioni tra questi (Johnson et al., 2005). Oggi è divenuto sempre più centrale poter stabilire il ruolo che giocano tali fattori processuali e terapeutici nel facilitare il miglioramento nei singoli pazienti. L’attività del presente gruppo di ricerca prende in analisi psicoterapie di gruppo per pazienti adulti e giovani adulti, sia a tempo limitato (Costantini, 2000) sia a lungo termine sia con gruppi omogenei che non, cercando di integrare gli studi relativi all’outcome dei pazienti e i fattori relazionali che permettono il loro cambiamento. Pur mantenendo una matrice comune nell’interesse all’analisi delle dinamiche di gruppo sia in termini qualitativi che quantitativi, le ricerche coordinate dal presente gruppo si differenziano per le metodologie utilizzate. Un filone si occupa di correlare process e outcome, osservando quale risultato in termini di cambiamento, in qualsiasi direzione, derivi dall’uso di una determinata competenza psicoterapeutica (Locati, Marogna, Caccamo, Romagnoli, & Ferruzza, 2010; Marogna, 2009; Marogna, Marchiori, Romagnoli, & Tirimagni, 2009). Diviene così necessario cercare le variabili più importanti nel produrre cambiamenti, 179 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ le variabili che aumentano l’efficacia e l’efficienza del processo psicoterapeutico (Di Nuovo, Lo Verso, Di Blasi, & Giannone, 1998). La valutazione delle psicoterapie si basa sulle registrazioni e le trascrizioni verbatim di sedute, di soggetti adulti, e prevede l’utilizzo di diversi strumenti quali: la CIS (Colli & Lingiardi, 2009) in una versione specifica per i gruppi (Marogna, 2009) il CCRT (Luborsky & CritsChristoph, 1990), la DMRS (Perry, 1990). Un nuovo filone di ricerca si sta rivolgendo all'analisi del processo psicoterapeutico, con l’obiettivo specifico di valutare la presenza dei fattori terapeutici: vengono somministrati alcuni questionari di valutazione dell’attività di gruppo sia ai pazienti sia ai terapeuti, quali il GCQ (MacKenzie, 1983) e il questionario sulla valutazione dei fattori terapeutici aspecifici e specifici delle terapie di gruppo (FAT.A.S-G). Quest’ultimo strumento è stato creato con l’intenzione di operazionalizzare e misurare la presenza dei fattori terapeutici gruppali proposti da Yalom (1975), verificando la presenza di eventuali dimensioni globali sottostanti a tali costrutti e l’influenza della tecnica di conduzione utilizzata sull’andamento delle relazioni infragruppo. Tali risultati sono in parte evidenziati da precedenti studi fattoriali sulle variabili del processo di gruppo, che hanno estrapolato un numero ridotto di dimensioni globali sottostanti l'insieme delle variabili di processo (Sexton, 1993; Johnson et al., 2005; Kivlinghan, Multon, & Brossart, 1996). Un’ulteriore ipotesi è che l’andamento dei fattori non risulti influenzato dalle caratteristiche degli individui, quali età e genere e che vari invece a seconda della diagnosi dei pazienti e delle diverse tipologie di problemi che raccolgono i partecipanti in gruppi omogenei in relazione a tali problematiche. Un ulteriore filone di ricerca riguarda lo studio della complessa interrelazione individuo-gruppo. Tale filone parte dal concetto ampiamente discusso e accettato nella letteratura teorica sui gruppi (Vanni & Sacchi, 1992; Neri, 2002; Kaës, 2009) che le manifestazioni 180 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ individuali, espresse nel piccolo gruppo interattivo, siano condizionate dalla dimensione gruppale; tale concetto teorico origina dall’esperienza clinica, ove si osservano modalità di relazionarsi e di presentare aspetti di sé, anche molto diversi, in gruppi e contesti differenti (Ferruzza, Nicolini, & Ambrosiano, 2006; Silvestri, Lucidi, Lena, & Ferruzza, 2007). L’interesse attuale è rivolto in particolare allo studio del costrutto di “autoconsapevolezza” o “consapevolezza di sé” come specifico indicatore esito-processo del lavoro clinico, attraverso la costruzione della Scala di Misura dell'Auto-Consapevolezza (SMAC; Silvestri, Lalli, Mannarini, Ferruzza, Nuzzaci, Furin, Lucidi, & Rapazzini, 2008). È inoltre in corso di preparazione un altro strumento per rilevare le specifiche modalità relazionali dell’individuo nel contesto di un gruppo di psicoterapia, in relazione al funzionamento del gruppo nella sua globalità: la Description of Individual in Group (DIG). Integrazione tra psicodinamica e neuroscienze: ricerca processoesito15 Il gruppo è attivo nella ricerca concettuale ed empirica volta alla valutazione delle psicoterapie, al confronto tra modelli di intervento psicoterapeutico e all’integrazione tra psicodinamica e neuroscienze. Dal momento che gli sviluppi della ricerca in psicoterapia si orientano con crescente interesse all’integrazione della psicologia clinica, della psicopatologia prospettiva e dei offerta diversi dalle approcci della neuroscienze, psicoterapia appare con la rilevante l’approfondimento dei correlati neurali sottostanti al funzionamento mentale (Kandel, 2005). Il gruppo di ricerca è guidato dal Prof. Marco Sambin. Sono componenti del gruppo: Enrico Benelli (PhD), Irene Messina (PhD student), in collaborazione con Arianna Palmieri (PhD) e Roberto Viviani (PhD, Università di Ulm, Germania). 5 181 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ A livello concettuale, la ricerca mira a definire un modello complesso del cambiamento psicoterapeutico che tenga conto anche dei cambiamenti a livello cerebrale. Un punto fondamentale di questo modello è la definizione del concetto di regolazione emozionale automatica. Attualmente, le teorie sul cambiamento psicoterapeutico esistenti in neuroscienze si basano sui modelli dual process che distinguono tra processi automatici, involontari, con origine esogena (bottom up), e processi controllati, volontari, che hanno origine endogena (top down) (Barrett, Tugade, & Engle, 2004). La psicoterapia agirebbe favorendo lo sviluppo di maggiori capacità di regolazione emozionale, che secondo i modelli dual process possono essere descritte come forme di elaborazione delle informazioni emozionali che, invece di essere guidate dalle informazioni sensoriali (processi automatici), dipendono dall’intervento di processi volontari (controllati) volti alla regolazione dello stato emozionale (DeRubeis, Siegle, & Hollon, 2008). Il concetto di regolazione emozionale automatica amplia questo modello classico, contemplando anche processi di regolazione che pur avendo origine endogena non vengono messi in atto consapevolmente dal soggetto, come ad esempio i meccanismi di difesa. A livello empirico, il gruppo si occupa della conduzione di esperimenti in fMRI per lo studio della regolazione emozionale e il cambiamento in psicoterapia. In un primo studio (Benelli, Mergenthaler, Walter, Sambin, Messina, & Viviani, 2010) si sono indagati i correlati neurali dei pattern linguistici che caratterizzano le quattro fasi del Modello dei Cicli Terapeutici (TCM), derivato dalla Resonating Mind Theory di Mergenthaler (Mergenthaler, 2008). Secondo questo modello nel corso della psicoterapia è possibile osservare il susseguirsi di fasi caratterizzate dalla presenza di peculiari pattern linguistici dati dall’alternanza di alto e basso tono emozionale, e alta e bassa astrazione del linguaggio. Particolare importanza è stata attribuita a una fase del 182 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ciclo terapeutico denominata “connecting” nella quale si ha la presenza contemporanea di alta astrazione e alto tono emozionale. Attraverso l’esposizione a stimoli verbali corrispondenti alle diverse fasi del TCM è risultato che la presenza contemporanea di alto tono emozionale e alta astrazione è correlata a una maggiore attivazione di aree responsabili delle funzioni di recupero e selezione di memorie, fondamentali nei processi di rielaborazione di memorie personali che avvengono nel corso della psicoterapia. In un secondo lavoro sono state valutate le differenze individuali nella tendenza all’evitamento, definito come una forma automatica di regolazione emozionale. La tendenza all’evitamento è stata valutata attraverso il conteggio delle parole emozionali usate dai soggetti nel descrivere storie che durante l’esperimento fMRI erano state presentate sia in versione emozionale che in versione neutra. È stata riscontrata una correlazione significativa tra la modulazione di deattivazioni di aree coinvolte in processi emozionali durante la lettura delle storie a contenuto emozionale, e la tendenza dei soggetti a evitare i contenuti emozionali delle storie stesse. Attualmente il gruppo è impegnato nelle fasi preliminari di un nuovo progetto che prevede la valutazione degli effetti della psicoterapia psicodinamica breve nel funzionamento cerebrale di un gruppo di pazienti depressi, confrontanti con gruppo di pazienti in lista d’attesa e con un gruppo di controllo di soggetti non clinici. Si verificheranno gli effetti della psicoterapia sul funzionamento di aree cerebrali coinvolte nella regolazione emozionale. Il disegno sperimentale prevede una condizione di regolazione emozionale automatica e una condizione di regolazione emozionale volontaria. Inoltre il cambiamento verrà valutato anche attraverso l’utilizzo di strumenti di valutazione clinica quali la Defense Mechanism Rating Scale (DMRS; Perry, 1990; Lingiardi, 2006), il Core Conflictual Relationship Theme Method (CCRT; Luborsky, 1977) e Therapeutic Cycle Model (TCM; Mergenthaler, 2008). 183 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Altri progetti di studi di neuroimmagine in corso di svolgimento riguardano la ricerca concettuale e la verifica di ipotesi sulle differenze individuali nella regolazione emozionale automatica anche attraverso lo studio di gruppi di pazienti. Conclusioni Nel complesso un aspetto che a nostro avviso emerge, al punto da essere considerato caratterizzante, dai progetti presentati dai gruppi di ricerca padovani, concerne la molteplicità delle prospettive nelle quali viene declinata la ricerca in psicoterapia. Si passa infatti dallo studio della relazione tra processo e risultati nel single-case a quello dei microprocessi, dallo studio dei fenomeni gruppali al contributo delle neuroscienze, dall’interesse per la psicoterapia a quello per la consultazione. Altro aspetto caratterizzante ci sembra essere lo sviluppo di disegni di ricerca originali, reso possibile dall’utilizzo di un’ampia gamma di strumenti alcuni dei quali, risultando trasversali ai diversi gruppi, di fatto costituiscono un filo conduttore anche tra aree che apparentemente possono sembrare disgiunte. Infine comune denominatore ai progetti di ricerca presentati sono da una parte l’intento di operare un’attenta analisi delle basi teoriche solo a partire dalle quali si ritiene possa essere fatta, nel tempo, una ricerca con alti standard qualitativi, dall’altra il desiderio di integrare la clinica di matrice psicodinamica/psicoanalitica con una modalità di fare ricerca empirica che, nel rispetto del setting, consenta di ottenere dati validi, fedeli e sensibili agli accadimenti clinici. 184 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Bibliografia Anzieu, D., & Martin, J.Y. (1986). Dinamica dei piccoli gruppi. Tr. it. Borla, Roma 1990. Aron, L. (1996). A meeting of mind. Hillsdale, NJ: Analytic Press. Tr. it Menti che si incontrano. Raffaello Cortina, Milano 2004. Atwood, R.D., & Stolorow, G.E. (1992). Context of Being. 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Abstract Empirical evaluation of psychotherapy models of intervention are more and more requested because of the increasing proliferation of different proposals for psychological intervention and the growing demand from users and institutions of care, to measure efficacy and effectiveness of psychotherapy. The study of what happens in psychotherapies and what are psychotherapy mechanisms of action and change is useful and necessary. The purpose of this paper is to introduce the reader to the various research designs for empirical evaluation of psychotherapy, in the complex environment of some psychological Services belonging to the University of Padua. The interest will be on different projects and tools, used to evaluate the outcome, the macro and micro processes of change in psychodynamic therapy, both for individual and group cases, and also in relation to neuroscience. Key words Psychotherapy research, process-outcome research, single case, group, institution 192 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il ragionamento nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo Francesco Mancini1 e Amelia Gangemi1,2 Abstract In questo articolo riassumiamo alcuni risultati di un filone di ricerca realizzato nell’ambito della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) – Associazione di Psicologia Cognitiva (APC), dedicato principalmente alla spiegazione del disturbo ossessivo compulsivo, vale a dire alla identificazione degli scopi e delle rappresentazioni che regolano la attività ossessivocompulsiva e in particolare il ragionamento ossessivo. I risultati di queste ricerche si sono rivelati interessanti, però, anche per la spiegazione di alcuni altri problemi della psicologia clinica e della psicologia generale, quali ad esempio la natura del senso di colpa, l’influenza degli stati emotivi ed intenzionali sui processi cognitivi, in particolare dell’influenza della colpa sul ragionamento e sulle decisioni e del contributo di tale influenza al mantenimento della patologia, cioè alla spiegazione del paradosso nevrotico, e infine, i rapporti tra razionalità e patologia. Parole chiave Disturbo ossessivo-compulsivo, ragionamento, scopi, emozioni, colpa ---------------------------------------------------------------------------------------1 Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) – Associazione di Psicologia Cognitiva (APC), Roma, 2 Dipartimento di Scienze Cognitive, Università di Messina Referente: Francesco Mancini Corrispondenza: Francesco Mancini - Studio di Psicoterapia Cognitiva APC-SPC Viale Castro Pretorio 116, II Piano int. 5, 000185 - Roma E-mail: [email protected] Tel.: 06.44704193 193 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Introduzione Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) ha un interesse speciale per gli psicologi cognitivisti e gli psicoterapeuti per diverse ragioni. La prima questione sollevata da ossessioni e compulsioni è la loro stessa natura: si tratta dell’espressione di un danno neurale, della conseguenza di un deficit cognitivo, della risultante di condizionamenti classici e operanti o, piuttosto, di un’attività finalizzata al raggiungimento di scopi e alla soluzione di problemi? Il cognitivismo clinico attualmente propende per questa seconda possibilità che, a sua volta, solleva un altro problema fondamentale, e cioè la definizione dei determinanti cognitivi dell’attività ossessiva: quali scopi e quali rappresentazioni la regolano? Come vedremo nel paragrafo che segue, per rispondere a questa domanda abbiamo preso in esame un tipico caso di DOC. Il ragionamento tipo Maria Come è noto, la ruminazione ossessiva consiste in una particolare forma di ragionamento che è esemplificata dal complesso processo mentale che ha portato ad esempio una paziente ossessiva, Maria, a evitare sistematicamente di toccare i giornali per paura di trovarvi la foto di un malato di AIDS. Maria temeva, infatti, di contrarre l’AIDS, attraverso il contatto con la foto di un malato. Il primo problema che ci siamo posti è stato identificare e descrivere i passi del ragionamento che avevano portato Maria a svelare, una a una, tutte le possibili vie di contagio che congiungevano il tocco della foto con il contagio. Abbiamo in particolare provato a fornire una sorta di ricetta di questo ragionamento, identificandone i passi essenziali e caratteristici. La ricostruzione del ragionamento di Maria, vale a dire della ricetta del suo ragionamento, è stata fatta in collaborazione con Johnson-Laird e appare in una serie di più ampi contributi (Johnson- 194 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Laird, Mancini, & Gangemi, 2006; Mancini, Gangemi, & Johnson-Laird, 2007). Il tutto era iniziato un giorno, di diversi anni prima, in cui Maria aveva acquistato un rotocalco e, sfogliandolo, aveva trovato la fotografia di un famoso attore americano, Rock Hudson, già morente di AIDS: “Oddio, toccare questa foto mi fa impressione, come se stessi toccando davvero il malato, … e se mi fossi contagiata? Sarebbe terribile, che sbadata sono stata, ma potevo stare più attenta No, ma che sto pensando! È assurdo! Però come posso esserne così sicura?! Il fotografo è stato vicino a Rock Hudson, infatti la foto è un primo piano. Si ma l’AIDS mica si contagia con la vicinanza, ci deve essere un contatto intimo. Già, ma io che ne so se c’è stato un contatto intimo? Il fotografo stesso poteva essere omosessuale. In effetti sembra improbabile che ci sia stata della intimità in una stanza d’ospedale e con un malato grave, ma non c’ero lì e come posso escluderlo dunque? Il fotografo, essendo certamente un professionista, ha sviluppato il rullino e stampato le foto per conto proprio e potrebbe averli contaminati, infatti potrebbe non essersi lavato le mani dopo un rapporto sessuale o avere un taglio sulle mani da cui è uscito del sangue che, appunto, ha contaminato le foto e i negativi. Ma anche se avesse contaminato i negativi e le foto, i virus poi muoiono! Già, ma alcuni potrebbero essere sopravvissuti, in fondo è una questione statistica, non posso essere certa che tutti, proprio tutti, siano morti dunque non posso escludere che alcuni siano sopravvissuti. I negativi e le foto potrebbero essere stati contaminati ed essere rimasti con virus vitali sopra quando sono stati presi in consegna da un tipografo il quale si può essere contaminato a sua volta. Anche in questo caso mi sembra assurdo ma in effetti non posso mica essere sicura che tutti i virus siano morti o che il fotografo in qualche modo non si sia contagiato. Quindi il tipografo potrebbe essersi contaminato o contagiato a sua volta. Se così fosse allora non si potrebbe escludere che possa aver contaminato la rotativa e perciò anche le copie del giornale, fra le quali la copia che ora ho in mano. Toccandola posso essermi contaminata io stessa e avere dei virus sulle mie mani o addirittura potrei essermi contagiata. Del resto chi mi dice 195 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ con certezza che non è così? Riconosco che è improbabile anche implausibile, forse proprio assurdo, ma è proprio del tutto impossibile?” A partire da questo resoconto abbiamo identificato e descritto i passi del ragionamento di Maria, dandone una sorta di ricetta. Maria dopo aver valutato il tocco del giornale, con la foto, contaminante, in modo del tutto intuitivo e impressivo (“Oddio, toccare questa foto mi fa impressione, come se stessi toccando davvero il malato …”) attiva una sensazione emotiva di disgusto e paura che le suggerisce l’ipotesi di un contagio e da il via al ragionamento, che prevede i seguenti passaggi: 1. la focalizzazione dell’ipotesi di pericolo, nonostante, spesso, sia implausibile per lo stesso paziente, almeno inizialmente. “… e se mi fossi contagiata?”. A essa segue, 2. un commento critico alla ipotesi di contagio: “No, ma che sto pensando! È assurdo!”. 3. Una valutazione in termini di insufficienza della forza critica del commento rassicurante, per il ricorso a standard molto elevati: “ Però come posso esserne così sicura?! “. Per escludere ogni possibilità di pericolo e dunque di contagio, Maria cerca di immaginare nuove possibilità di pericolo al fine di escluderle una a una. Il ragionamento riparte quindi dal primo passaggio con: 1bis. La focalizzazione di una nuova possibilità di pericolo: “Il fotografo è stato vicino a RH, infatti la foto è un primo piano”, e continua con gli step successivi: 2bis. La ricerca della falsificazione dell’ipotesi di pericolo: “Si ma l’AIDS mica si contagia con la vicinanza, ci deve essere un contatto intimo“. 3bis. La valutazione in termini di insufficienza della forza critica del commento rassicurante: “Già, ma io che ne so che non c’è stato un contatto intimo?”. Il ragionamento prosegue tornando ricorsivamente sugli stessi passaggi: 1tris. Si focalizza una nuova possibilità di pericolo: “Il fotografo stesso poteva essere omosessuale” 196 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 2tris. Se ne cerca di nuovo la falsificazione: “In effetti sembra improbabile che ci sia stata della intimità in una stanza d’ospedale e con un malato grave”. 3tris. Si valuta insufficiente la forza critica del commento rassicurante: “ma non c’ero lì e come posso escluderlo dunque?” E così via … Sembra che la paziente cerchi di immaginare ogni possibilità di contagio e poi cerchi di falsificarle una per una, tutte, ma è disposta a rigettare l’ipotesi di pericolo solo a condizione che ne sia certa la impossibilità. In breve, sembra voler dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il pericolo non sussiste. Il risultato paradossale, però, è che partendo da una credenza soggettivamente implausibile la paziente finisce col vedere un numero sempre più alto di possibilità di pericolo e dunque le è sempre più difficile abbandonarla e sempre più naturale darle credito. Il ragionamento tipo Maria è caratteristico del disturbo ossessivocompulsivo Successivamente ci siamo chiesti se effettivamente i passi da noi identificati, studiando il ragionamento di Maria, possano generare ragionamenti tipici degli ossessivi. In una ricerca, presentata nello stesso lavoro sopra citato (Johnson-Laird, Mancini, & Gangemi, 2006), abbiamo dimostrato che effettivamente il ragionamento di Maria è caratteristico degli ossessivi nel senso che è una condizione sufficiente affinché i clinici pongano diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo. In particolare, abbiamo dimostrato che, seguendo la ricetta, si producono ragionamenti che gli psichiatri, con grande facilità, riconoscono come tipici del DOC e ciò indipendentemente dal contenuto. Ragionamenti formalmente simili a quello tipo Maria ma con ipotesi di pericolo tipicamente ipocondriache, paranoiche, tipo disturbo d’ansia generalizzato (GAD) o fobie specifiche sono diagnosticati come DOC 197 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (83% dei trials). Al contrario, non vengono diagnosticati come DOC, ma come altri disturbi d’ansia (97% dei trials), di solito GAD, ragionamenti esclusivamente confirmatori (tipo Better Safe than Sorry) (vedi: Smeets, de Jong, & Mayer, 2000; De Jong, Haenen, Schmidt, & Mayer, 1998; Mancini & Gangemi, 2004a; Mancini & Gangemi, 2006), cioè orientati solo verso la ricerca di esempi capaci di confermare l’ipotesi di pericolo, laddove il pericolo paventato è tipicamente ossessivo. È interessante notare che gli psichiatri che hanno partecipato alla ricerca non avevano alcuna conoscenza del modello cognitivista del DOC. Gli psichiatri non sono stati inoltre in grado di esplicitare ciò che ai loro occhi rendeva diversi i ragionamenti ossessivi dagli altri. Vediamo due esempi. Il primo ha un contenuto non ossessivo, ma paranoico. Il secondo ha invece un contenuto tipicamente ossessivo. Per entrambi i contenuti si hanno due versioni, in una il ragionamento è costruito seguendo la ricetta del ragionamento tipo Maria, e, nell’altra, seguendo invece i passi tipici di un ragionamento esclusivamente confirmatorio tipo Better Safe than Sorry. Contenuto non ossessivo paranoico, ragionamento confirmatorio “Appena sono entrato in aula ho visto gli studenti che parlottavano fra loro, tra i loro bisbigli quasi impercettibili ho sentito la parola finocchio. Hai visto come ridacchiavano ieri alla lezione e in corridoio mentre passavo! Uno di loro poi l’altro giorno, era seduto in prima fila proprio davanti a me, stavo per iniziare la lezione, e lui si è rivolto al compagno accanto parlando con voce effeminata. Si sa che gli studenti sono crudeli verso gli insegnanti e amano divertirsi alle loro spalle, mi ricordo che quando ero al liceo c’era un professore, probabilmente omosessuale, e i miei compagni ed io stesso ci siamo divertiti per anni alle sue spalle, lo sfottevamo e mi ricordo come lo deridevano i miei compagni appena lui girava le spalle. Certo che mi sfottono!” 198 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Contenuto non ossessivo paranoico, ragionamento tipo Maria “E se i miei studenti mi sfottono? Certo non ho prove però magari mi sfottono dietro le spalle senza che io me ne accorga. Ma che ragione dovrebbero avere di perdere il loro tempo con me? Si ma succede che gli studenti siano crudeli verso gli insegnanti e amino divertirsi alle loro spalle, mi ricordo che quando ero al liceo c’era un professore, probabilmente omosessuale, e i miei compagni e io stesso ci siamo divertiti per anni alle sue spalle, lo sfottevamo e mi ricordo come lo deridevano i miei compagni appena lui girava le spalle. Si ma me ne sarei accorto! In effetti però l’altra settimana ne ho visto un gruppetto che ridacchiava fra loro mentre stavo entrando in aula. Ma potevano ridacchiare per tante altre ragioni, magari per una barzelletta. Ma mica posso esserne sicuro, in effetti che ragioni ho per escludere questa possibilità, può essere che non mi stessero sfottendo quella volta ma possono averlo fatto senza che io me ne accorgessi, quando ero distratto e sovrapensiero o forse adesso semplicemente non ricordo bene”. Contenuto ossessivo, ragionamento confirmatorio “Sono appena uscito di casa e mi viene in mente che potrei aver lasciato il gas aperto, come mi è già successo un’altra volta e come è successo a quella famiglia di Foligno che ho visto ieri sera al telegiornale, a me l’altra volta non è successo nulla ma a loro gli è scoppiata la casa. Poveretti sono finiti in un ospizio di beneficenza! Un mese fa poi l’uomo che viene a controllare il contatore si è pure tanto raccomandato di fare attenzione perché diceva che in questo periodo, non ho capito per quale ragione tecnica, la società del gas manda un gas che è particolarmente infiammabile e privo di odore, così è anche possibile che i vicini non si accorgono di una eventuale perdita. Ma sì, dai, è meglio tornare a controllare tanto sono in anticipo e poi approfitto e prendo pure l’ombrello che sta cominciando a piovere”. Contenuto ossessivo, ragionamento tipo Maria “Sono appena uscito di casa e mi viene in mente che potrei aver lasciato il gas aperto. Mi ricordo di averlo chiuso e di averlo controllato 199 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ma non ne sono del tutto sicuro, e se mi stessi confondendo con il controllo che ho fatto l’altro giorno? Il gas potrebbe uscire! Lo so che esistono le valvole di sicurezza ma non sono mica sicure al 100% e poi basta una piccola scintilla per far scoppiare tutto. Si è vero che penso di rientrare fra 20 minuti ma potrebbero essere sufficienti per uno scoppio. E se scoppia la mia casa potrebbe essere distrutto anche l’intero palazzo e anche quelli intorno, potrebbero morire decine di persone. Certo le catastrofi sono rare ma questa è possibile. Meglio tornare a controllare, anche se arriverò in ritardo a questo appuntamento e quasi certamente perderò un’occasione di lavoro d’oro, ma non posso mica correre il rischio di aver fatto scoppiare il gas!”. Scopi e credenze alla base dell’attività ossessivo-compulsiva Con un secondo gruppo di ricerche abbiamo poi cercato di rispondere alla domanda: perché gli ossessivi ragionano in questo modo? Più precisamente ci siamo posti la questione: quali scopi e quali credenze debbono essere attive affinché si abbia un ragionamento come quello tipo Maria? Prima di rispondere a questa domanda occorre però fare una premessa. Una vasta letteratura dimostra che il ragionamento è in generale uno strumento al servizio degli scopi e dei bisogni dell’individuo e non dell’accuratezza o della verità (si veda Friederich, 1993; Trope & Lieberman, 1996), come vorrebbero invece le teorie normative del ragionamento, quali la logica mentale o la teoria della massima utilità attesa. A prima vista si potrebbe ipotizzare che Maria ragiona in questo modo, perché teme il contagio dell’AIDS e che quindi il ragionamento tipo Maria sia finalizzato a prevenire, neutralizzare e contrastare la minaccia. In effetti, l’ipotesi di pericolo è focalizzata, ma, in questo caso, dovremmo avere un ragionamento prudenziale, confirmatorio del tipo Better Safe than Sorry (cfr. Smeets, de Jong, & Mayer, 2000; de Jong, Haenen, Schmidt, & Mayer, 1998; Mancini & Gangemi, 2004a; Mancini 200 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ & Gangemi, 2006) e dunque la ricerca di conferme dell’ipotesi di pericolo e, semmai, della falsificazione della ipotesi di sicurezza, ma non certo il tentativo di falsificazione della ipotesi di pericolo. Quale prudenza, infatti, potrebbe nascondersi dietro il tentativo di rigettare l’ipotesi di pericolo? Chi, per una qualsiasi ragione teme una minaccia non si espone al rischio di rigettare erroneamente una ipotesi di pericolo. L’anticipazione di un pericolo, se c’è lo scopo di prevenirlo o neutralizzarlo, implica un ragionamento esclusivamente confirmatorio, decisamente differente dunque da quello tipo Maria, caratterizzato invece da tentativi di falsificazione dell’ipotesi di pericolo. Alla base del ragionamento tipo Maria non vi può essere quindi il semplice timore del contagio. In secondo luogo si potrebbe ipotizzare che Maria abbia lo scopo di tranquillizzarsi, e dunque di neutralizzare l’impressione del pericolo, ad esempio perché teme di investire ingiustificatamente nella prevenzione di un pericolo implausibile e dunque di esporsi a sacrifici e privazioni inutili (“non posso mica rovinarmi la vita per un’idea così assurda!”). Se fosse attivo un siffatto scopo allora dovremmo osservare un Wishful Thinking: Maria dovrebbe ricercare la falsificazione dell’ipotesi di pericolo ma, allora, perché dopo aver trovato la falsificazione dell’ipotesi di pericolo Maria si chiede se può essere sicura della falsificazione raggiunta e, spesso, rispondendosi negativamente, cerca e trova nuove possibilità di pericolo? In entrambi i casi non si spiega l’alternanza degli argomenti a favore e contro l’ipotesi negativa che caratterizza il ragionamento tipo Maria. Per rendere conto di questa alternanza propria di questo tipo di ragionamento si potrebbe ipotizzare la presenza sia del timore del contagio, e dunque dello scopo prudenziale di evitare errori di omissione della ipotesi di pericolo, sia dello scopo, inverso, di tranquillizzarsi, e dunque dello rassicurante. scopo di evitare errori di omissione dell’ipotesi 201 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Si potrebbe quindi supporre che il ragionamento tipo Maria sia semplicemente un ragionamento dialettico, simile a quello di un giudice che considera alternativamente e sistematicamente la possibilità che l’imputato sia colpevole e che sia innocente, guidato tanto dal timore di condannare un innocente quanto dal timore inverso di assolvere un colpevole. Per minimizzare il rischio di entrambi gli errori si impegna in un ragionamento dialettico che sarà tanto più accurato e che tenderà alla certezza tanto più quanto più i due timori saranno elevati e similmente intensi. Si potrebbe oltretutto sospettare che anche i pazienti con altre diagnosi, messi nelle condizioni di riflettere criticamente sui propri timori, produrrebbero lo stesso tipo di ragionamento, e sostenere che, molto semplicemente, i pazienti ossessivi indulgono più di altri pazienti con disturbi d’ansia, in ragionamenti dialettici. In una ricerca (Mancini, Serrani, & Gangemi, 2007) abbiamo però dimostrato che così non è. I pazienti ansiosi ma non ossessivi, spinti a ragionare dialetticamente sui propri timori, con la tecnica delle due seggiole (la tecnica consiste semplicemente nel chiedere al paziente di sedersi su una seggiola e argomentare a favore dell’idea di pericolo e poi di sedersi su una altra seggiola e argomentare contro l’idea di pericolo), usano una dialettica diversa da quella tipo Maria. Costruiscono, infatti, un modello mentale sia della ipotesi di pericolo sia di quella di sicurezza, pesano in modo analogo le prove a favore della tesi e della antitesi e non si preoccupano, in modo sbilanciato, di escludere con certezza la sola possibilità del pericolo. Inoltre, tendono, nei giorni successivi, sull’onda della riflessione dialettica, a modificare le proprie credenze di pericolo, e, infine, le credenze di pericolo non sono soggettivamente implausibili. Vediamo un esempio: T: Bene, ora siediti sulla seggiola B e prova a dirmi le ragioni che sostengono invece possibilità non catastrofiche, cioè che gli altri, vedendoti arrivare, non pensino di te che sei una ridicola. 202 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ P: (seggiola B) Allora, potrebbero pensare che comunque sono una persona che si veste sempre con semplicità, che si veste come gli viene in mente, che non segue le mode, potranno cioè pensare che è un valore il fatto che uno non segue le mode. Poi diranno che sono una persona coraggiosa perché “anche se non sa guidare la macchina però è venuta su al buio per le salite”, potrebbero vedere cioè la cosa come un segno di determinazione. Poi, penseranno che in fondo sono una persona che si è data da fare perché ha costruito con i suoi guadagni quel poco che ha, quella macchina “scaleccia” che ha. Poi, potrebbero dire che è andata sì dalla psichiatra, però è una persona coraggiosa perché ha superato anche queste prove. Sì, che non ha una grande rilevanza sociale però vive onestamente, ha anche degli impegni, che è fissata a difendere le rovine archeologiche…………che vivo non proprio da parassita, da mollusco…………..no non sono proprio un mollusco! Abbiamo quindi concluso che il ragionamento tipo Maria, per queste ragioni, non è un ragionamento dialettico. Non è infatti diagnostico, in quanto non presuppone una rappresentazione ricca e articolata sia dell’ ipotesi di pericolo, sia di quella di sicurezza. Maria ha al contrario una rappresentazione ricca e articolata soltanto della possibilità del pericolo. In secondo luogo il ragionamento di Maria è fortemente asimmetrico nel senso che usa standard molto elevati solo quando si tratta di valutare le falsificazioni della ipotesi di pericolo. Maria è disposta a rigettare l’ipotesi di pericolo solo a condizione che sia dimostrata impossibile. Mentre per rigettare l’ipotesi di sicurezza le basta molto meno, è sufficiente un controesempio. Il ragionamento dialettico presupporrebbe, al contrario, il ricorso a standard, che possono essere più o meno elevati, ma sostanzialmente simmetrici. Infine, nel ragionamento tipo Maria, almeno inizialmente, troviamo che l’ipotesi di pericolo è soggettivamente implausibile. Nel ragionamento dialettico, invece, entrambe le ipotesi sono plausibili. In definitiva sembra che Maria sia orientata esclusivamente o prevalentemente verso il pericolo, prenda in considerazione tutte le 203 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ possibilità di pericolo, anche quelle per lei implausibili, e cerchi di dimostrale tutte false ma con certezza assoluta. Possiamo quindi concludere che il ragionamento tipo Maria, per queste ragioni, è un ragionamento che da ora in poi definiremo semi-dialettico. Il timore di colpa per irresponsabilità La domanda a questo punto è: perché Maria ricorre ad un ragionamento semi-dialettico? La nostra ipotesi è che il vero timore di Maria non sia il contagio quanto, piuttosto, l’essere responsabile di essersi contagiata. Maria teme di doversi accusare domani di non aver previsto/prevenuto il contagio, oggi. Il fulcro del problema ossessivo di Maria non riguarda la salvaguardia della propria salute ma, piuttosto, è un problema morale, evitare una accusa meritata di colpa. Un aneddoto illustra il punto. Maria un giorno dovette cambiar casa. Si affidò, per il trasloco, a una ditta che le fece trovare tutti gli oggetti della vecchia casa nella nuova. Quando Maria mise piede nel nuovo appartamento, fu assalita dal panico. Tutto, ma proprio tutto, mobili, vestiti, suppellettili, utensili da cucina, biancheria era stato toccato dai trasportatori. Tutto, dunque, poteva essere stato contaminato ed essere a sua volta fonte di contagio. Nell'arco di pochi istanti (molti di meno di quelli normalmente richiesti dalla naturale estinzione della risposta d'ansia) realizzò che la possibile diffusione della praticamente contaminazione inutile decontaminazione. A e era talmente superfluo seguito di questa vasta qualunque da rendere tentativo considerazione Maria di si tranquillizzò completamente. Se si ritiene che la sua ansia fosse collegata alla previsione di contrarre l’AIDS allora la rassicurazione di Maria appare paradossale, infatti, la scoperta d’essere impotente di fronte a una minaccia avrebbe dovuto tradursi in un aumento dell’ansia non nella sua scomparsa. Il paradosso si risolve se si assume che la vera ragione dell’ansia di Maria non fosse il contagio dell’AIDS ma 204 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ piuttosto la responsabilità di evitare il contagio. Nel momento in cui si rese conto che la possibilità del contagio non dipendeva da lei, allora non se ne sentì più responsabile e dunque l’ansia scomparve, nonostante si percepisse più esposta al pericolo. Il problema di Maria non era tanto il contagio in sé, quanto, piuttosto, il timore di essere imputabile di non aver prevenuto il contagio, di doversi incolpare domani per essere stata sbadatamente imprudente oggi. Ma come si arriva dal timore di essere accusato al ragionamento di Maria? - Maria focalizza l’ipotesi di pericolo perché teme di essere accusata di aver determinato il pericolo stesso. - Cerca la falsificazione dell’ipotesi di pericolo perché vuole difendersi dall’accusa e dunque vuole contestarla. - Usa standard molto elevati per valutare la portata della falsificazione perché ritiene, by default, che il giudizio sarà severo, nel senso che terrà conto solo della possibilità che lei sia colpevole e non che sia innocente. - L’imputazione è implausibile per Maria, ma Maria non ritiene implausibile di poter essere accusata di essersi causata l’AIDS per sbadataggine. Maria, quindi, per difendersi da possibili imputazioni e sottrarsi al rischio di essere oggetto di espressioni aggressive, critiche e sprezzanti, esamina tutte le possibilità di pericolo, cerca di dimostrarle tutte false, con certezza assoluta, cioè al di là di ogni ragionevole dubbio. Esistono pertanto due vincoli che rendono ragione della persistenza del ragionamento e della difficoltà a rigettare ipotesi di pericolo implausibili: da una parte infatti per Maria è inaccettabile ammettere di aver corso il rischio di contagiarsi, e dall’altra cerca di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che qualunque possibilità di contagio sia del tutto impossibile. 205 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Evidenze a favore dell’ipotesi che gli ossessivi focalizzano le ipotesi di pericolo per evitare una colpa per irresponsabilità Che prove abbiamo che lo scopo alla base del ragionamento ossessivo sia quello di sottrarsi all’accusa di aver determinato il pericolo e dunque alla colpa di averlo causato? Con un terzo gruppo di ricerche abbiamo cercato di rispondere a questa domanda. In particolare, con una prima indagine clinica, ci siamo proposti di identificare gli scopi perseguiti con l’attività ossessiva da un gruppo di pazienti giunto alla nostra osservazione (Mancini, Perdighe, Serrani, & Gangemi, 2009). Tale indagine ci ha consentito di dimostrare che i pazienti ossessivi valutano gli eventi attivanti come principalmente minacciosi per lo scopo di prevenire delle colpe e per lo scopo di prevenire la contaminazione da sostanze disgustose. La stretta relazione psicologica che esiste fra colpa e disgusto è intuitiva, spesso il lessico della colpa e quello del disgusto coincidono, ed è stata indagata sperimentalmente da Zhong e Liljenquist (2006), i quali hanno dimostrato quello che hanno denominato effetto Lady Macbeth: contaminazione morale e contaminazione corporea vanno a braccetto tanto che lavarsi implica una riduzione del senso di colpa. Una serie di studi suggerisce inoltre che i pazienti ossessivi siano particolarmente sensibili ad accuse e a critiche sprezzanti che potrebbero far seguito a loro colpe o mancanze. Ad esempio, Ehntholt, Salkovskis e Rimes (1999) hanno dimostrato che i pazienti con disturbo ossessivo compulsivo, molto più dei pazienti con altri disturbi d’ansia e di soggetti di controllo non ansiosi, riferiscono il timore che gli altri possano considerarli in modo completamente negativo e, in particolare, che possano provare disgusto e disprezzo nei loro confronti, qualora fossero responsabili di danni o di problemi. Con una seconda ricerca abbiamo quindi dimostrato che gli ossessivi sono effettivamente molto sensibili alle accuse e alle critiche sprezzanti che possono seguire a possibili colpe (Mancini, Perdighe, Serrani, & 206 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Gangemi, 2006). In particolare, in questa ricerca abbiamo verificato che i pazienti ossessivi, rispetto a pazienti con altri disturbi d’ansia: 1) tendono a percepire come più avversive le espressioni di rabbia, disgusto e disprezzo se le immaginano dirette verso di se, 2) tendono a immaginare che se si verificasse ciò che ossessivamente temono allora sarebbero esposti a una siffatta espressione, 3) ricordano di essere stati esposti a una tale espressione nel passato più spesso degli altri pazienti, e 4) tendono a interpretare come sprezzanti le espressioni neutre o che manifestano altre emozioni. Riteniamo dunque che Maria ricorra al ragionamento ossessivo, perché focalizza l’ipotesi di pericolo, in quanto teme di essere accusata di aver determinato il pericolo stesso. Cerca la falsificazione dell’ipotesi di pericolo perché vuole difendersi dall’accusa e dunque vuole contestarla. Usa standard molto elevati per valutare la portata della falsificazione perché ritiene, by default, che il giudizio sarà severo, nel senso che terrà conto solo della possibilità che lei sia colpevole e non che sia innocente. L’imputazione è implausibile per Maria, ma Maria non ritiene implausibile di poter essere accusata di essersi causata l’AIDS per sbadataggine. In sintesi, Maria, per difendersi da possibili imputazioni e sottrarsi quindi al rischio di essere oggetto di espressioni aggressive e critiche sprezzanti, esamina tutte le possibilità di pericolo, e cerca di dimostrarle tutte false, con certezza assoluta, cioè al di là di ogni ragionevole dubbio. L’influenza del timore di colpa per irresponsabilità sui processi cognitivi In linea con parte della letteratura cognitivista (ad esempio: Mancini & Gangemi, 2004b; Niler & Beck, 1989; Rachman, 1993; van Oppen & Arntz, 1994), la nostra ipotesi è dunque che lo stato mentale dell’ossessivo sia caratterizzato dal timore di colpa per irresponsabilità. Tale tesi è però in contrasto con un’altra parte significativa della 207 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ letteratura cognitivista, in particolare con studiosi quali Salkovskis, secondo cui la mente dell’ossessivo è invece caratterizzata da uno spiccato senso di responsabilità (inflated responsibility). Ai nostri occhi, infatti, l’ipotesi di Salkovskis è poco convincente. Ad esempio, se come sostiene Salkovskis, gli ossessivi ritengono di avere il potere cruciale di prevenire un esito negativo di cui si sentono responsabili, allora non si spiega perché si sentano tanto minacciati dalla possibilità di eventi negativi. Per questa e altre ragioni abbiamo dimostrato, ricorrendo a un piano argomentativo razionale e non empirico, che lo stato mentale del paziente ossessivo deve essere di timore di colpa (Mancini & Gangemi, 2004b). Abbiamo poi dimostrato con un esperimento che, inducendo in soggetti tratti dalla popolazione generale, un elevato senso di responsabilità relativo all’esito di un compito, tali soggetti eseguivano il compito in modo “ossessivo” e, soprattutto, abbiamo dimostrato che tale effetto era significativamente maggiore se si induceva il timore di colpa per irresponsabilità. (Mancini, D'Olimpio, & Cieri, 2004). Il passo successivo è consistito in una serie di esperimenti tesi a studiare il modo in cui il timore di colpa per irresponsabilità influenza i processi cognitivi. La nostra ipotesi era che per evitare di essere accusati di aver agito colpevolmente gli ossessivi focalizzano le ipotesi di pericolo e, soprattutto, di colpevolezza. In particolare, con una prima serie di sperimentali, abbiamo indagato specificamente in che modo la manipolazione del timore di colpa influenzi i processi cognitivi superiori quali la modalità di controllo delle ipotesi, il ragionamento decisionale, e il ragionamento emozionale. Queste ricerche hanno portato a dei risultati interessanti anche per la psicologia generale e, specificatamente, per il problema del rapporto tra processi cognitivi, motivazioni e emozioni ma anche per la psicologia clinica, e non solo per i pazienti DOC. Infatti, come si vedrà, l’influenza del timore di colpa sui processi cognitivi è tale da confermare e rafforzare, in un circolo vizioso, 208 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ le credenze che sostengono il senso di colpa e quindi da implicarne una particolare resistenza al cambiamento. In particolare, con alcuni studi abbiamo dimostrato che l’induzione di un forte timore di colpa influenza, in soggetti non clinici, le modalità di controllo delle ipotesi, in un modo peculiare, definito prudenziale (Gangemi, Balbo, Bocchi, Carriero, Filippi, Lelli, Mansutti, Mariconti, Moscardini, Olivieri, Re, Setti, Soldani, & Mancini, 2003; Mancini & Gangemi, 2004a, 2004b). Nel modo prudenziale i soggetti focalizzano l’ipotesi peggiore o di pericolo; ricercano la conferma dell’ipotesi peggiore e la disconferma dell’ipotesi più favorevole; in caso di disconferma dell’ipotesi peggiore continuano il processo di controllo, vale a dire che richiedono molte più prove per rigettare l’ipotesi peggiore che per mantenerla e questo probabilmente perché temono più l’errore di omissione delle credenze peggiori che l’errore di commissione. L’emozione di colpa può funzionare anche da informazione rilevante nella valutazione della minaccia (ragionamento emozionale) (Gangemi, Mancini, & van den Hout, 2007). Se ci si sente in colpa, infatti, si tende a sovrastimare la probabilità e la gravità attribuita ad eventi della cui prevenzione ci si sente responsabili. Questo effetto è evidente in soggetti con alta colpa di tratto ed è verosimilmente mediato dal fatto che il senso di colpa di stato venga appunto utilizzato quale informazione sulla realtà esterna. “Se mi sento in colpa allora si verificherà l’evento che sono tenuto a prevenire”. Ne consegue che saranno privilegiate decisioni che riducono la possibilità di commettere peccati di imprudenza. Ancora, il senso di colpa orienta verso scelte certe o rischiose a seconda di quale delle opzioni è più in grado di ristabilire la giustizia (Gangemi, Bussolon, Rossi, Ruozzi, Tomba, & Mancini, 2010). Anche in questo caso, il risultato finale è che il senso di colpa implica preferenza per scelte che sono più consone al desiderio di moralità. 209 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Inoltre, abbiamo dimostrato che se a soggetti tratti dalla popolazione generale, veniva indotto uno stato emozionale di colpa, allora questi soggetti: 1) focalizzavano l’ipotesi di pericolo, anche se implicita, e cioè scarsamente o per nulla suggerita dal problema decisionale loro presentato, 2) trascuravano del tutto l’ipotesi di sicurezza ben esplicitata nel problema, e 3) decidevano sulla base della ipotesi di pericolo implicita focalizzata (Gangemi & Mancini, 2007). Al contrario, i soggetti in cui era stato indotto uno stato emozionale di rabbia o nessuno stato emozionale, in accordo con il focussing effect (Jones, Frisch, Yurak, & Kim, 1998; Legrenzi, Girotto, & Johnson-Laird, 1993) focalizzavano l’ipotesi resa esplicita dalla formulazione del problema, e trascuravano quasi del tutto quelle implicite, prendendo poi decisioni sulla base dell’ipotesi esplicita. Infine, con una ricerca, svolta sempre in collaborazione con JohnsonLaird (Johnson-Laird, Mancini, & Gangemi, 2006), abbiamo dimostrato che i soggetti con una forte attitudine a esperire ossessioni e compulsioni, se posti di fronte ad una storia con contenuto di colpa, diventano più bravi degli altri gruppi a inferire a) le possibilità in cui erano colpevoli, e b) le impossibilità in cui erano invece innocenti. Questi risultati ci hanno peraltro consentito di concludere che le inferenze dei soggetti con una propensione a sviluppare un disturbo ossessivo-compulsivo sono razionali e, come risultato di prolungate ruminazioni, gli stessi soggetti diventano ragionatori esperti nei loro domini sintomatici. Tale effetto scompare infatti se gli stessi soggetti ragionano con contenuti neutri o rilevanti per altre patologie. Questo stesso risultato lo abbiamo inoltre ottenuto in una recentissima ricerca sul ragionamento sillogistico, svolta sempre in collaborazione con Johnson-Laird, ma con soggetti depressi con contenuti depressivi e con soggetti fobici con contenuti fobico (Gangemi, Mancini, & JohnsonLaird, 2010). Abbiamo dimostrato che entrambi i gruppi di pazienti 210 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ragionano in modo formalmente più corretto dei soggetti senza disturbi, ma solo nei loro domini sintomatici. Il senso di colpa deontologico e il senso di colpa altruistico Ma quale colpa temono gli ossessivi? In linea con una vasta letteratura (cfr. Lopatcka & Rachman, 1995; Shafran, 1997) sembra infatti possibile affermare che si preoccupino più di non aver commesso errori colpevoli e di non meritare accuse, piuttosto che delle conseguenze dell’errore sugli altri, e quindi della sofferenza degli altri. Questa osservazione clinica suggerisce l’esistenza in tutte le persone di due sensi di colpa diversi: il senso di colpa deontologico e il senso di colpa altruistico (Mancini, 2008), sebbene essi siano abitualmente compresenti nella maggior parte delle colpe che le persone sperimentano nella loro vita quotidiana. Il senso di colpa deontologico, dipende dal riconoscimento di aver trasgredito una norma morale, o di aver interferito con l’ordine naturale. Provoca un senso di indegnità e un dialogo interno del tipo “Come ho potuto fare una roba del genere!?”. Lo si prova anche se non si è danneggiato o offeso nessun’altra persona, come ad esempio nel caso dei peccati religiosi o di tipo sessuale, o dei peccati legati alla manipolazione arbitraria della natura (ad esempio l’eutanasia). Il freno morale che si percepisce in questo caso è il risultato di una norma deontologia intuitiva “not play God” (Sunstein, 2005). Nella colpa deontologica può dunque non esservi una vittima (vedi incesto consenziente tra fratelli adulti e al sicuro da rischi di procreazione) e lo scopo dell’azione può addirittura essere a favore della vittima (vedi eutanasia). L’aspetto fondamentale è rappresentato dall’assunzione di aver violato una norma morale intuitiva. Il senso di colpa altruistico dipende invece dal non aver tenuto conto della sofferenza altrui, dal non aver condiviso le proprie fortune con chi è più sfortunato, o dal non aver partecipato alle sofferenze degli altri. Deriva in altre parole dalla convinzione di non aver agito in modo altruistico. È 211 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ caratterizzato da dolore per la vittima, e il dialogo interno è del tipo “Poveretto! Quanto soffre! Cosa potrei fare per aiutarlo?!”. Nella colpa altruistica è quindi sempre presente una vittima che soffre, ma può non esservi la violazione di norme morali. Tre ricerche hanno contribuito a dimostrare l’esistenza distinta dei due sensi di colpa. In una prima ricerca (Basile & Mancini, in preparazione) è stato dimostrato che è possibile attivare separatamente i due sensi di colpa esponendo i soggetti a espressioni facciali diverse, (ad esempio, di rabbia o tristezza, prese dal repertorio di Ekman, 1996), e a frasi tipiche connesse ai due tipi di colpa, che rinforzavano le immagini Macaluso, presentate. Caltagirone, In una seconda Frackowiack, & ricerca Bozzali, (Basile, 2011) Mancini, è stato dimostrato che all’attivazione dei due sensi di colpa corrisponde l’attivazione di diversi circuiti neurali. In particolare, il senso di colpa deontologico è sotteso dall’attivazione dell’insula, che notoriamente media anche l’esperienza del disgusto, mentre il senso di colpa altruistico è sotteso dalla attivazione delle aree cerebrali normalmente coinvolte in compiti di teoria della mente (ad esempio, le aree del solco temporale superiore della corteccia prefrontale mediana). Ancora, in una terza ricerca (Mancini & Gangemi, 2010a) si è dimostrato che il senso di colpa deontologico implica effettivamente il rispetto del principio morale Not play God. In questo studio abbiamo utilizzato i dilemmi del vagoncino (o dilemmi del trolley), spesso impiegati per indagare le valutazioni morali. Immaginiamo che un vagoncino proceda a tutta birra fuori controllo, ci rendiamo conto che se esso procede nella sua corsa allora inevitabilmente ucciderà cinque operai che lavorano sui binari più avanti. Abbiamo però la possibilità di deviare il vagoncino muovendo uno scambio. In questo modo esso imboccherebbe un altro binario dove vi è un masso che può senz’altro fermare il vagoncino. Appoggiato al masso vi è però una persona addormentata che certamente verrà uccisa nello scontro tra il vagoncino 212 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ed il masso. Riteniamo moralmente permesso azionare lo scambio e deviare il vagoncino? (scelta consequenzialista). O preferiamo che il vagoncino proceda nella sua corsa? (scelta omissiva). Ricorrendo a simili dilemmi, abbiamo visto che l’induzione del senso di colpa deontologico spinge i soggetti a preferire le scelte omissive, cioè le scelte che non comportano una interferenza con il corso naturale degli eventi, nel rispetto del principio Not play God. L’induzione del senso di colpa altruistico spinge invece i soggetti a preferire le scelte consequenzialiste, cioè le scelte che minimizzano il numero delle vittime o il danno, nel rispetto del principio della minimizzazione della sofferenza altrui. Una volta dimostrata l’esistenza dei due sensi di colpa, che prove abbiamo del fatto che i pazienti ossessivi siano effettivamente più sensibili alla colpa deontologica, piuttosto che alla colpa altruistica? Evidenze a favore di tale tesi arrivano da un recentissimo studio condotto con due gruppi di pazienti (con DOC vs. con altri disturbi d’ansia) e un gruppo di soggetti normali, (Mancini & Gangemi, in preparazione). In questo studio, utilizzando nuovamente i dilemmi morali, abbiamo dimostrato che i pazienti ossessivi, rispetto agli altri pazienti e ai soggetti non clinici, risolvono i dilemmi morali preferendo le scelte omissive, e dunque le scelte che implicano il rispetto del principio deontologico Not play God, piuttosto che le scelte consequenzialiste, che implicano invece il rispetto del principio altruistico della minimizzazione del numero delle vittime. Conclusioni In generale, le ricerche svolte in questi anni e fin qui presentate ci consentono di concludere, in primo luogo, che i pazienti ossessivi sviluppano una peculiare modalità di ragionamento, da noi definita semi-dialettica. Tale ragionamento prevede che il paziente ossessivo focalizzi l’ipotesi peggiore, per poi procedere cercandone alternativamente le conferme e le disconferme. Sembra esistano due 213 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ vincoli che rendono ragione della persistenza del ragionamento e della difficoltà che il paziente incontra nel rigettare ipotesi di pericolo, sebbene, almeno all’inizio, appaiano a lui stesso implausibili: da una parte infatti appare inaccettabile ammettere di essersi esposti al pericolo, e dall’altra vi è il tentativo di dimostrarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che qualunque possibilità di pericolo sia del tutto impossibile. In secondo luogo, abbiamo dimostrato che questa peculiare strategia di ragionamento dipende dallo scopo minacciato, e che in particolare, alla base del ragionamento ossessivo, vi è lo scopo di sottrarsi all’accusa di aver determinato il pericolo stesso e dunque alla colpa di averlo causato. In terzo luogo, abbiamo avvalorato l’ipotesi che la colpa temuta dagli ossessivi sia di tipo deontologico (legata al riconoscimento di aver trasgredito una norma morale, o di aver interferito con l’ordine naturale), più che di tipo altruistico (dovuta, al riconoscimento di non aver tenuto conto della sofferenza altrui, dal non aver condiviso le proprie fortune con chi è più sfortunato, o dal non aver partecipato alle sofferenze degli altri). In linea con una vasta letteratura sembra infatti possibile affermare che i pazienti ossessivi si preoccupino più di non aver commesso errori colpevoli e di non meritare accuse, piuttosto che delle conseguenze dell’errore sugli altri, e quindi della sofferenza degli altri. Infine, a partire da una serie di evidenze empiriche, abbiamo mostrato come le inferenze dei pazienti ossessivi siano razionali e, come risultato di prolungate ruminazioni, gli stessi pazienti diventino ragionatori esperti nei loro domini sintomatici. Il filone di ricerca che abbiamo sviluppato in questi anni, e del quale abbiamo qui riportato i risultati che ci sembrano più interessanti, ha portato dunque a un avanzamento della conoscenza in quattro direzioni, due di interesse strettamente clinico e due di interesse 214 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ generale. Innanzitutto la comprensione del disturbo ossessivo, in particolare degli scopi che regolano la attività ossessiva e dunque degli stati mentali ed emotivi caratteristici dei pazienti ossessivi e del loro modo di ragionare. In secondo luogo la dimostrazione che i pazienti, nei domini sintomatici, compiono meno errori logici di loro stessi in alti domini e dei non pazienti. Due risultati complessivi sono invece di interesse per la psicologia generale, in primo luogo, la dimostrazione della esistenza di due sensi di colpa diversi e dunque di due morali distinte e, in secondo luogo, le influenze del senso di colpa sui processi cognitivi. Dal punto di vista di strategia della ricerca in psicologia clinica, la nostra impressione è che fondare lo studio dei processi psicopatologici sulle conoscenze di psicologia generale possa essere assai vantaggioso. Ciò appare ancor più evidente se si considera quanto i modelli della sofferenza psicopatologica utilizzati dagli psicoterapeuti tendano a essere autoreferenziali. Una delle conseguenze del mancato ricorso alla psicologia generale è che si attribuisca a meccanismi psicologici del tutto normali e universali la capacità di essere causa di patologia. Un esempio di realizzazione di questo rischio sono i ben noti errori cognitivi di Beck (1976). Nel senso comune e anche nella letteratura specialistica, in particolare quella cognitivista clinica, è molto diffusa infatti l’idea che alla base dei disturbi psicopatologici, o almeno di alcuni di essi, vi siano una serie di sistematici errori cognitivi. I disturbi d’ansia e dell’umore si caratterizzerebbero infatti per la presenza di alcune importanti distorsioni cognitive, cioè ragionamenti erronei che si qualificano per il fatto di discostarsi dalle teorie normative del ragionamento e che, per questo, causano, rafforzano e mantengono le assunzioni patogene, le stesse che sottendono la sofferenza psicopatologica. Diversi dati suggeriscono, però, che il ragionamento nei casi patologici non segua regole diverse da quelle che segue in chiunque. Come dimostrato dai nostri risultati, anzi, i pazienti 215 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ragionano in modo formalmente più corretto dei soggetti senza disturbi psicopatologici, ma solo nei loro domini sintomatici. Ciò sembra dipendere dal fatto che, con il tempo, i pazienti diventano esperti nel dominio critico e di conseguenza più abili nel costruire modelli mentali della situazione problematica. Bibliografia Basile, B., & Mancini, F. (in preparazione). Eliciting guilty feelings: a preliminary study differentiating deontological and altruistic guilt. Basile, B., Mancini, F., Macaluso, E., Caltagirone, C., Frackowiack, R., & Bozzali, M. (2011). Deontological and altruistic guilt: Evidence for distinct neurobiological substrates. Human Brain Mapping, 32, 229-232. Beck, A.T. (1976). Cognitive Therapy and the Emotional Disorders. New York: Meridian. 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Gangemi, A., & Mancini, F. (2007). Guilt and focusing in decision-making. Journal of Behavioral Decision Making, 1, 1–20. Gangemi, A., Mancini, F., & Johnson-Laird, P.N. (2010). How emotions affect reasoning in anxiety and mood disorders. Emotion & Cognition. Manuscript submitted for publication. Gangemi, A., Mancini, F., & van den Hout, M. (2007). Feeling guilty as a source of information about threat and performance. Behaviour Research and Therapy, 45, 2387–2396. Johnson-Laird, P.N., Mancini, F., & Gangemi, A. (2006). A theory of psychological illnesses. Psychological Reviews, 113, 822–842. Jones, S.K, Frisch, D., Yurak, T.J., & Kim, E. (1998). Choices and opportunities: Another effect of framing on decisions. Journal of Behavioural Decision Making, 11, 211–226. 216 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Legrenzi, P., Girotto, V., & Johnson-Laird, P.N. (1993). Focussing in reasoning and decision making. Cognition, 49, 37–66. Lopatcka, C., & Rachman, S. (1995). Perceived responsibility and compulsive checking: an experimental analysis. Behaviour Research and Therapy, 33, 673–684. Mancini, F. (2008). I sensi di colpa altruistico e deontologico. Cognitivismo Clinico, 5, 123–144. Mancini, F., D’Olimpio, F., & Cieri, L. (2004). Manipulation of responsibility in non-clinical subjects: does expectation of failure exacerbate obsessivecompulsive behaviours? Behaviour Research and Therapy, 42, 449–457. Mancini, F., & Gangemi, A. (2004a). The Influence of Responsibility and Guilt on Hypothesis-Testing Process. Thinking and Reasoning, 10, 289–320. Mancini, F., & Gangemi, A. (2004b). Fear of guilt of behaving irresponsibly in obsessive-compulsive disorder. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 35, 109–120. Mancini, F., & Gangemi, A. (2006). Role of Fear of Guilt at Behaving Irresponsibly in Hypothesis-Testing. 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Il ragionamento dialettico nei pazienti con disturbi d’ansia. Unpublished manuscript. Niler, E.R., & Beck, S.J. (1989). The relationship among guilt, dysphoria, anxiety and obsessions in a normal population. Behaviour Research and Therapy, 27, 213–220. Rachman, S. (1993). Obsessions, responsibility and guilt. Behaviour Research and Therapy, 31, 149–154. Shafran, R. (1997), The manipulation of responsibility in obsessive-compulsive disorder. British Journal of Clinical Psychology, 36, 397–407. Smeets, G., de Jong, P.J., & Mayer, B. (2000). If you suffer from a headache, then you have a brain tumour: domain specific reasoning “bias” and hypochondriasis. Behaviour Research and Therapy, 38, 763–776. Sunstein, C. (2005). Moral heuristic. Behavioral and Brain Sciences, 28, 531– 573. 217 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Trope, Y., & Lieberman, A. (1996). Social Hypothesis testing: Cognitive and motivational mechanism. In E. Higgins & A. Kruglanski (Eds.), Social Psychology: Handbook of basic principles (pp. 239–270). New York: Guilford. Van Oppen, P., & Arntz, A. (1994). Cognitive therapy for obsessive-compulsive disorder. Behaviour Research and Therapy, 32, 79–87. Zhong, C., & Liljenquist, K. (2006). Washing away your sins: Threatened morality and physical cleansing. Science, 313, 1451–1452. Abstract In this paper we review the main research made by Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) – Associazione di Psicologia Cognitiva (APC), aimed at a deeper explanation of the Obsessive Compulsive Disorder, that is to identify the goals and representations which rule obsessive behaviours and specifically the obsessive reasoning. The results are interesting also for the comprehension of other important problems of clinical and general psychology, such as the nature of the sense of guilt, the influence of emotional and motivational states on cognitive processes, the influence of guilt emotion on reasoning and the contribution of this influence to the maintenance of the pathology, that is the explanation of the neurotic paradox, and the relations between rationality and psychopathology. Keywords Obsessive compulsive disorder, reasoning, goals, emotions, guilt Le disfunzioni metacognitive nei disturbi di personalità: Una review delle ricerche del III Centro di Psicoterapia Cognitiva 218 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Raffaele Popolo,1 Antonio Semerari,1 Antonino Carcione,1 Donatella Fiore,1 Giuseppe Nicolò,1 Laura Conti,1 Roberto Pedone,1 Michele Procacci,1 Stefania d’Angerio1 e Giancarlo Dimaggio1 Sommario Dagli anni ’90, il III Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma si è impegnato nell’attività clinica e di ricerca sul trattamento di pazienti gravi e difficili da trattare. In questo lavoro verranno analizzati alcuni tra i più importanti lavori pubblicati dal Gruppo in questo ambito. Si tratta di ricerche sul processo terapeutico condotte a partire dall’osservazione clinica secondo cui la presenza di specifici malfunzionamenti metacognitivi ostacolerebbe la costruzione della rappresentazione degli stati mentali propri e altrui; la regolazione della relazione terapeutica potrebbe migliorare tali malfunzionamenti rendendo così possibili gli interventi sugli aspetti sintomatici del paziente. Sono state portate, quindi, prove sufficienti a sostenere che la metacognizione sia una grandezza composta da sottofunzioni distinte semi-indipendenti. Altri studi del Gruppo hanno mostrato poi come la realtà clinica del paziente grave sia influenzata in modo diverso dalla presenza di specifici malfunzionamenti metacognitivi. Parole chiave Metacognizione, disturbi di personalità, ricerche di processo ---------------------------------------------------------------------------------------------------------1 Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma – Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) Corrispondenza: Raffaele Popolo E-mail: [email protected] Tel.: 0644233878 – Cell: 3398627604 Introduzione A metà degli anni ’90 un gruppo di colleghi si trovava a discutere con passione di casi clinici nell’aula del proprio training formativo in 219 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ psicoterapia cognitiva; si parlava non di terapie di successo, ma di pazienti difficili che a differenza di altri sembravano non essere in grado di ragionare in termini di stati mentali: pazienti complessi che rendevano ancor più difficile la relazione terapeutica. Tale confronto è stato poi spostato dall’aula di lezione al campo della ricerca: nasce così a Roma il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva. Un legame nato intorno allo stimolo portato loro dai pazienti gravi, pazienti che non rispondevano prontamente ai protocolli cognitivi standard, e che lasciavano per questo nei terapeuti molte domande (oltre che molti problemi!). Le difficoltà incontrate nel trattamento di questi pazienti hanno spinto gli autori ad analizzare i complessi fenomeni che caratterizzano la relazione terapeutica. Questi pazienti avevano difficoltà a riconoscere i propri pensieri ed emozioni, ad attribuire senso alle parole del terapeuta e quindi a reagire in modo adeguato ai suoi interventi. Al tempo stesso, il terapeuta tendeva a volte ad agire in modo disfunzionale con questi pazienti, mosso da emozioni che incidono negativamente sulla qualità della relazione. Gli autori hanno quindi iniziato a registrare e trascrivere le sedute di psicoterapia e a effettuare la supervisione direttamente sul materiale clinico raccolto. Dallo studio dei trascritti raccolti è emerso che spesso i pazienti con disturbi di personalità presentano difficoltà costanti in specifiche funzioni metacognitive. Per funzioni metacognitive si intendono tutte quelle abilità che consentono alle persone di attribuire e riconoscere stati mentali in sé e negli altri a partire da espressioni facciali, stati somatici, comportamenti e azioni; di riflettere e ragionare sugli stati mentali e di utilizzare le informazioni sugli stati mentali per decidere, risolvere problemi o conflitti psicologici e interpersonali e padroneggiare la sofferenza soggettiva (Carcione, Semerari, Nicolò, Pedone, Popolo, Conti, Fiore, Procacci, & Dimaggio, 2010). Tali osservazioni hanno spinto gli autori a cercare un modo per affrontare questo problema, seguendo un percorso in parte già tracciato da Fonagy 220 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (1991) o Frith (1992); essi ritenevano infatti che buone capacità metacognitive fossero necessarie per una terapia efficace, e che in caso di una loro carenza andassero promosse affinché la terapia potesse aver successo (Semerari, 1999). La Scala di Valutazione della Metacognizione – SVaM Il lavoro del III Centro si è quindi concentrato a creare e validare uno strumento di ricerca che fosse in grado di misurare le funzioni metacognitive nel corso di una psicoterapia. Alla base dello strumento vi erano due ipotesi formulate sulla base della discussione clinica di casi singoli. La prima, a differenza di quanto sostenuto da altri autori (Ryle & Kerr, 2002; Fonagy, Gergely, Jurist, & Target, 2002; Sperber, 2000), assumeva che la metacognizione fosse un sistema composto da diversi sotto-sistemi in interazione tra loro e che il malfunzionamento metacognitivo non fosse quindi omogeneo da paziente a paziente (Semerari, Carcione, Dimaggio, Falcone, Nicolò, Procacci, & Alleva, 2003; Semerari, Carcione, Dimaggio, Nicolò, & Procacci, 2007; Dimaggio & Lysaker, 2010). Alcuni pazienti avevano gravi difficoltà nel tradurre lo stato somatico in linguaggio affettivo (“ho come una morsa allo stomaco costante”) e a spiegare le cause e le motivazioni delle proprie azioni (“oggi sono stato di pessimo umore, sarà la luna ostile”), altri invece erano incapaci di distinguere una fantasia disturbante (“i colleghi mi perseguitano”) dalla realtà delle cose. La seconda ipotesi era che i diversi tipi di danno metacognitivo influenzassero in modo diverso il quadro clinico e la relazione terapeutica. Ad esempio, pazienti con difficoltà nel riconoscimento delle emozioni e dei pensieri tendono al ritiro dalle relazioni e, nelle loro terapie, vi sono frequenti momenti di distacco nella relazione terapeutica; altri pazienti che presentano difficoltà a riflettere su pensieri ed emozioni in modo integrato tendono invece a sviluppare relazioni caotiche e coinvolgenti tanto nella vita quanto nella relazione col terapeuta. In sintesi, l’idea era che la 221 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ metacognizione fosse costituita da un insieme di processi ad un tempo collegati concettualmente, ma semi-indipendenti, ovvero che potessero essere funzionanti o danneggiati in modo relativamente autonomo l’uno dall’altro. In precedenza erano stati sviluppati diversi strumenti atti a valutare la metacognizione, differenti tra loro per proprietà psicometriche e oggetto d’indagine. Tra questi, ad esempio, prove di laboratorio che valutare valutavano vari aspetti della Teoria della Mente, dalla capacità di cogliere che gli altri possono avere convinzioni differenti dalle proprie alla comprensione delle metafore o dell’ironia (vedi ad esempio Perner & Wimmer, 1985). Altri strumenti, invece, erano questionari autosomministrati che consentivano un rapido studio di un gran numero di pazienti: tra questi, ad esempio, il Meta-Cognition Questionnaire (Cartwright-Hatton & Wells, 1997) che indagava le convinzioni metacognitive dei pazienti; oppure la TAS–20 utilizzata per valutare la capacità del soggetto di descrivere le proprie emozioni (Bagby, Parker, & Taylor, 1994a, 1994b). Questi strumenti presentavano però, a nostro avviso, alcuni limiti nell’applicazione alla ricerca in psicoterapia. Le valutazioni venivano fatte su prove effettuate in un contesto rassicurante come quello di uno studio, diverso da quello reale dove invece la sintomatologia si esprime; i risultati ottenuti potrebbero allora non descrivere fedelmente quel funzionamento che il paziente avrebbe nelle situazioni problematiche, sottoposto alla pressione di emozioni negative, visto che le abilità metarappresentative risentono del clima interpersonale. In particolare, i questionari non fornivano informazioni circa il funzionamento del paziente. Per poter rispondere è necessario avere una comprensione dello scopo specifico della domanda, un accesso chiaro alle proprie rappresentazioni, l’abilità di costruire una rappresentazione nuova che integri in modo fluido i propri contenuti con quelli della domanda: abilità strettamente metacognitive, non necessariamente funzionanti in un paziente. Gli 222 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ autori hanno allora elaborato la Scala di Valutazione della Metacognizione (SVaM; Carcione, Falcone, Magnolfi, & Manaresi, 1997; Semerari et al., 2003), disegnata per valutare gli aspetti metacognitivi a partire dalla verbalizzazione dei pazienti nel corso delle sedute di psicoterapia. Gli scopi erano quelli di identificare le disfunzioni nella metacognizione presenti nei pazienti, valutare se esse differissero da paziente a paziente e se i trattamenti di successo fossero collegati a un loro miglioramento. Si voleva poi investigare se alcuni aspetti della disfunzione fossero più facilmente influenzati dal trattamento (in alcune categorie di pazienti), a differenza di altri più resistenti, che assumono vera e propria caratteristica di deficit. La SVaM è divisa in tre sezioni che si riferiscono rispettivamente alle abilità di: Autoriflessività, che comprende le operazioni di conoscenza dei propri stati mentali; Comprensione della mente altrui, che riguarda le operazioni di conoscenza degli stati mentali altrui (tra queste si segnala in particolare il Decentramento, ovvero la capacità di descrivere gli stati mentali altrui a prescindere dal proprio punto di vista o coinvolgimento nella relazione); Mastery, che riguarda le strategie con cui il soggetto tenta di fronteggiare la sofferenza psicologica e i problemi interpersonali. Ogni sezione, a sua volta, comprende poi varie sottofunzioni. La SVaM può essere applicata a trascritti di seduta o a interviste che stimolano la rievocazione di brani o racconti; vengono siglati successi e fallimenti del paziente in relazione a ciascuna funzione. La rilevazione è organizzata per ciascuna seduta e i dati rilevati sono le frequenze degli eventi manifestatisi. Attualmente negli studi in corso la modalità di attribuzione dei punteggi è cambiata e si valutano brani più estesi di discorso, ad esempio un terzo di seduta o un’intera Adult Attachment Interview. Ciascuna sottofunzione viene siglata come ingaggiata o meno all’interno del brano; nel caso che sia utilizzata, viene valutata con una scala Likert da 1 a 5 a seconda della 223 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ articolazione con cui la persona esprime la sottofunzione in questione (Carcione et al., 2010). La SVaM, applicata esclusivamente a ricerche single case e quindi con i limiti propri di tale metodologia, ci ha permesso di identificare precisi indicatori di processo e di esito in psicoterapia, di delineare specifici profili metacognitivi caratteristici di determinati disturbi di personalità. Tale strumento si è mostrato efficace nella ricerca in psicoterapia in quanto ha il vantaggio di basarsi sulla trascrizione di sedute audio-registrate rendendo il materiale stesso verificabile. È stato possibile poi trattare i dati in modo statistico permettendo così di confrontare i dati emersi con quelli riportati dalla letteratura, per tradurli poi in pratica clinica. La SVaM: gli studi principali Nella prima fase della ricerca gli autori hanno cercato di portare un contributo alla comprensione dell’architettura del funzionamento metacognitivo, questo a partire dall’analisi di sedute effettuate con la SVaM (Semerari et al., 2003). La conferma dell’esistenza di sottofunzioni parzialmente indipendenti capaci di influenza reciproca, avrebbe condizionato i modelli di trattamento in quanto una psicoterapia, per aver successo, avrebbe dovuto puntare ad affrontare o le sottofunzioni più compromesse o quelle che generavano effetti negativi a palla di neve sugli altri elementi del sistema metacognitivo. In un primo lavoro (Semerari et al., 2003) è stato analizzato un campione di circa 100 sedute di due pazienti aventi una diversa diagnosi di disturbo di personalità (un caso con disturbo borderline e l’altro con disturbo narcisistico). La valutazione, effettuata con la SVaM, ha portato dati a favore dell’ipotesi modulare: in entrambi i pazienti ciascuna funzione presentava un grado differente di compromissione e un andamento nel tempo diverso. I due pazienti avevano disfunzioni nettamente differenti: nel paziente borderline, si osservava un 224 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ malfunzionamento significativo dell’autoriflessività nella differenziazione (capacità di distinguere tra diversi tipi di rappresentazioni e tra rappresentazione e realtà) e nell’integrazione (abilità di riflettere sugli stati mentali e sui contenuti dell’esperienza soggettiva in modo da costruire una visione integrata di sé); il paziente narcisista mostrava invece, sempre nell’autoriflessività, difficoltà nell’identificazione (capacità di descrivere i propri pensieri ed emozioni) e nella relazione tra variabili (capacità di descrivere le cause che generano un’emozione, un pensiero, un comportamento). Tale osservazione ha portato a effettuare altri studi single case, in particolare nei disturbi di personalità, per verificare l’ipotesi dell’esistenza di un profilo prototipico metacognitivo per ciascun disturbo; studi questi che hanno permesso di verificare contestualmente la validità degli strumenti di valutazione elaborati dal Gruppo di ricerca, promovendo una loro costante revisione sulla base dei dati progressivamente raccolti. Inizialmente sono stati studiati i disturbi di personalità presentati dai pazienti che afferivano direttamente al Centro. Uno studio single case condotto su di un paziente affetto da Disturbo Paranoide di Personalità ha permesso di approfondire il ruolo svolto dal malfunzionamento metacognitivo nella genesi e nel mantenimento dei diversi disturbi (Nicolò, Centenero, Nobile, & Porcari, 2002). Il paziente analizzato presentava un profilo metacognitivo caratterizzato da malfunzionamenti nel decentramento e nella differenziazione. È stata poi utilizzata la Griglia degli Stati Problematici (Semerari et al., 2003b), strumento che consente l'individuazione dei singoli componenti (temi di pensiero, emozioni, sensazioni somatiche) degli stati mentali problematici di un paziente a partire dalle sue narrazioni; questa ha permesso di identificare gli elementi di contenuto caratteristici del paziente paranoide analizzato: i temi prevalenti erano il senso di Costrizione e la Minaccia, mentre le emozioni più rilevanti in questo paziente erano quelle di Paura-Ansia, più della Rabbia che, pur essendo 225 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ presente, non era pervasiva e intensissima. L'andamento delle funzioni metacognitive era correlato a quello degli stati mentali problematici; il miglioramento delle funzioni metacognitive era poi correlato al successo del trattamento. A un follow up dopo 5 anni dalla fine della terapia il paziente non mostrava più un disturbo paranoideo di personalità pienamente espresso: il miglioramento delle funzioni metacognitive, soprattutto di decentramento e di differenziazione, ha permesso al paziente di gestire più efficacemente quel tratto di sospettosità, diffidenza, e di chiusura sociale che ha continuato a esperire. Questo e altri studi single case effettuati nella fase iniziale della ricerca hanno prodotto numerosi dati clinicamente rilevanti che andavano a sostenere un’ipotesi originale di architettura della metacognizione; tale ipotesi aveva il valore di partire dall’esperienza clinica e per questo era facilmente condivisibile con altri colleghi. A partire da ciò gli autori si sono interrogati circa l’esistenza di malfunzionamenti metacognitivi nucleari comuni a diversi pazienti con lo stesso disturbo, e che caratterizzano quindi il disturbo rispetto ad altri, pur nel rispetto dell’idea che ciascun individuo presenta un proprio funzionamento che può mostrare numerose differenze rispetto ad altri pazienti con la stessa diagnosi. Semerari e collaboratori (2005) hanno allora analizzato le sedute del primo anno di terapia di 4 pazienti con disturbo borderline di personalità utilizzando la SVaM. I risultati ottenuti, in linea con la letteratura (Fonagy, 1991; Dimaggio & Semerari, 2001, 2004; Liotti, 2002; Perris & Skagerlind, 1998; Ryle, 1997) confermavano la presenza di un malfunzionamento metacognitivo in questi pazienti; non si trattava però di una compromissione globale dell’abilità, ma solo di specifiche sottofunzioni. I 4 pazienti, infatti, mostravano una difficoltà a integrare aspetti della propria esperienza, così come avevano già osservato alcuni autori (Kernberg, 1975; Clarkin, Yeomans & Kernberg, 1999; Ryle, 1997; Liotti, 2002; Dimaggio & Semerari, 2004); tendevano poi a non essere in grado a differenziare tra 226 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ fantasia e realtà e a considerare le proprie rappresentazioni come un riflesso fedele della realtà, coerentemente con l’ipotesi di Fonagy & Target (1996) secondo cui i pazienti borderline hanno la tendenza a perdere la loro abilità di distinguere tra fantasia e realtà. Da questa ricerca sembrava emergere un profilo prototipico del disturbo borderline caratterizzato da un malfunzionamento delle sottofunzioni autoriflessive dell’integrazione e della differenziazione. Ciascun paziente presentava poi propri malfunzionamenti metacognitivi che si andavano ad aggiungere a quelli descritti precedentemente (come ad esempio nel monitoraggio in uno dei casi) e che non rappresentavano quindi tratti nucleari del disturbo. Il comportamento di ciascuna funzione non si manteneva poi sempre costante nel tempo. Se consideriamo, ad esempio, la funzione integrazione si è visto che questa, ad eccezione di un caso, poteva passare da momenti in cui era molto compromessa ad altri in cui funzionava meglio; la valutazione qualitativa del trascritto delle sedute mostrava come l’andamento oscillatorio del malfunzionamento era legato a fattori esterni, eventi di vita contestuali e a variabili relazionali e intersoggettive. Questo studio sostiene l’idea di un malfunzionamento metacognitivo che interessa sottofunzioni specifiche e che si mantiene a lungo nel tempo; da qui l’ipotesi che nei disturbi “meno gravi” la presenza di un malfunzionamento metacognitivo non sia un fattore nucleare come nei disturbi di personalità, ma si possa presentare in determinati contesti problematici contribuendo all’espressione sintomatologica del disturbo. Diversi autori sostengono infatti che la metacognizione sia solo marginalmente compromessa in pazienti con disturbi “nevrotici”, come ad esempio nella depressione (Honkalampi, Hintikka, Antikainen, Lehtonen, & Viinamäki, 2001; Inoue, Tonooka, Yamada, & Kanba, 2004; Inoue, Yamada, & Kanba, 2006); questi pazienti presenterebbero invece una maggiore compromissione della capacità di padroneggiamento dei problemi psicologici (Carcione, Dimaggio, Fiore, 227 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Nicolò, Procacci, Semerari, & Pedone, 2008). Al fine di verificare tale ipotesi, gli autori hanno valutato la metacognizione in una paziente con diagnosi di depressione usando anche in questo caso la SVaM (Carcione et al., 2008). La paziente ha mostrato solo minimi fallimenti metacognitivi, rilevati in particolare nella fase iniziale della terapia; aveva invece difficoltà a padroneggiare i propri stati problematici, dato sostenuto dai fallimenti nella mastery osservati. Queste difficoltà, a differenza di quanto visto nei pazienti con disturbo di personalità, miglioravano rapidamente nel corso del trattamento parallelamente al miglioramento del quadro depressivo. Riassumendo, le funzioni metacognitive possono essere danneggiate indipendentemente l’una dall’altra e con un grado di compromissione differente nei diversi disturbi. Possono essere funzionanti ma fallire a seguito dell’attivazione emotiva o nell’ambito di situazioni relazionali problematiche, come accade nei disturbi d’ansia o dell’umore; oppure il danneggiamento di queste funzioni può essere più strutturale e costituire un tratto specifico della persona stessa, comportando una compromissione del funzionamento psicosociale, come si osserva nei disturbi di personalità. Diversi pazienti con disturbo di personalità presentavano ciascuno un proprio profilo metacognitivo (Dimaggio & Semerari, 2003; Dimaggio, Semerari, Carcione, Nicolò, & Procacci, 2007; Dimaggio, Carcione, Petrilli, Procacci, Semerari, & Nicolò, 2005; Semerari et al., 2003); si è cercato allora di porre a confronto l’andamento delle singole funzioni nei diversi disturbi di personalità, al fine di valutarne il possibile andamento differente. In un successivo lavoro Dimaggio et al. (2007) hanno valutato il funzionamento metacognitivo di 4 pazienti, due con disturbo narcisistico e due con disturbo evitante di personalità. Tre dei quattro pazienti valutati (i due pazienti narcisisti e il paziente evitante che presentava tratti schizoidi) mostravano difficoltà nel definire i propri stati interni così come a metterli in relazione a fattori psicologici o del 228 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ contesto; era presente solo una modesta compromissione dell’integrazione, funzione che migliorava in tutti alla fine del primo anno di terapia. L’andamento delle sottofunzioni relative all’autoriflessività era quindi differente rispetto, ad esempio, a quello rilevato nel campione di quattro pazienti borderline studiati da Semerari et al. (2005); nessuno di questi ultimi pazienti presentava infatti un malfunzionamento dell’identificazione o della sottofunzione relazione tra variabili. I pazienti con disturbo borderline mostravano invece una grave compromissione nella differenziazione e nell’integrazione; in particolare, quest’ultima appariva pervasiva e duratura, tanto che solo un paziente borderline mostrava un miglioramento della funzione alla fine del primo anno di terapia. Il confronto tra profili metacognitivi di differenti disturbi ha evidenziato, in questo caso, la presenza di specifici malfunzionamenti nell’autoriflessività, che sembrano essere quindi tratti nucleari dei diversi disturbi (Semerari, 1999). Questa rilevazione, non solo portava dati a conferma di un’ipotesi modulare della metacognizione, ma sottolineava l’opportunità di verificare l’andamento delle altre funzioni metacognitive nei diversi disturbi di personalità; tra queste, in particolare il decentramento, funzione che clinicamente appare compromessa in numerosi pazienti. Un numero crescente di dati sostiene l’idea che la difficoltà a comprendere gli stati mentali altrui sia una dimensione comune che sottende i disturbi di personalità; la difficoltà a comprendere gli altri, a “mettersi nei loro panni”, è stata descritta nei disturbi di personalità (Krueger, Skodol, Livesley, Shrout, & Huang, 2007; Dimaggio et al., 2007) così come nei loro familiari (Guttman & Laporte, 2002). Dimaggio, Carcione, Nicolò, Conti, Fiore, Pedone, Popolo, Procacci, & Semerari (2009) hanno allora analizzato le prime 16 sedute di un campione di 14 pazienti con disturbo di personalità per valutare la loro capacità a comprendere la mente degli altri e in particolare l’andamento del decentramento. Il campione era costituito da pazienti con disturbo 229 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ borderline, narcisistico, paranoide, evitante, ossessivo compulsivo e dipendente di personalità. Nel complesso, dai dati è emerso che i pazienti analizzati avevano tutti difficoltà ad assumere la prospettiva dell'altro nel corso delle relazioni, ad aver chiaro che gli altri agiscono mossi da motivazioni proprie indipendentemente dal rapporto che possono avere in quel momento con loro. Fallivano quindi nel decentrare mentre, al contrario, erano capaci a cogliere i pensieri e le emozioni altrui, ovvero a comprendere la mente degli altri, funzione questa solo occasionalmente danneggiata. I pazienti con disturbo di personalità apparivano malfunzionamento del allora generalmente decentramento, tranne in egocentrici; il pochi si casi, manteneva nell’arco di tempo osservato. La compromissione del decentramento sembra essere un tratto che accomuna i diversi disturbi di personalità studiati, un danneggiamento stabile e apparentemente grave che necessita di tempo per essere modificato. La tendenza a essere egocentrici in maniera patologica rende problematiche le dinamiche relazionali; possiamo ipotizzare che un buon accesso ai propri stati interni e una corretta comprensione della mente altrui metta a disposizione della persona quelle informazioni necessarie a padroneggiare al meglio le situazioni di difficoltà e sofferenza. I fallimenti descritti nell’autoriflessività così come nel decentramento, porterebbero allora i pazienti a ricorrere a strategie disfunzionali di gestione degli stati problematici. Al fine di verificare questa ipotesi clinica, Carcione e collaboratori (2010) hanno valutato l’abilità di padroneggiare gli stati mentali problematici e l’andamento di tale capacità nel corso della terapia in 14 pazienti con disturbo di personalità (borderline, narcisistico, evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo, paranoide). Il campione di pazienti valutato ha mostrato complessivamente una difficoltà significativa a ricorrere a strategie di padroneggiamento che richiedevano capacità sofisticate di comprensione degli stati mentali e usarli a fini di problem 230 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ solving, quali regolare l’attenzione cosciente o utilizzare la conoscenza degli stati mentali propri e altrui per regolare problemi interpersonali; tale difficoltà non diminuiva rapidamente nell’arco di tempo analizzato (le prime 16 sedute). L'utilizzo della scala della mastery della SVaM, che distingue le diverse strategie in categorie separate secondo una complessità crescente delle operazioni metacognitive implicate, ha permesso poi di verificare come il malfunzionamento della mastery non fosse omogeneo tra i pazienti (Semerari et al., 2007), ma che alcuni mostravano maggiori difficoltà ad affrontare i problemi rispetto ad altri, utilizzando ciascuno strategie di padroneggiamento differenti. Da un punto di vista qualitativo i pazienti si distinguevano sia nel tipo di strategia che tendevano ad usare più frequentemente, sia nel tipo di strategia che usavano più efficacemente. Complessivamente, le strategie utilizzate con maggior efficacia all’inizio del trattamento erano quelle che richiedevano una minima conoscenza degli stati mentali; queste consistevano in interventi concreti, essenzialmente di tipo comportamentale, che venivano attuati sulla situazione in corso, come evitare consapevolmente una situazione temuta. Nelle fasi precoci di terapia si poteva osservare un lieve miglioramento della mastery, ma in gran parte dei casi analizzati il problema persisteva; questo dato lascia supporre che la terapia dei disturbi di personalità richieda un lungo periodo per produrre cambiamenti duraturi nelle abilità di mastery: per poter utilizzare strategie di mastery di livello superiore, il paziente dovrebbe infatti avere un buon accesso ai propri stati interni così come una buona capacità di leggere la mente altrui. Riassumendo, la SVaM si è dimostrata uno strumento efficace in studi di processo per valutare in modo intensivo il funzionamento metacognitivo dei pazienti in trattamento psicoterapeutico all’interno di protocolli di ricerca single case. Ha permesso di raccogliere dati a sostegno di un’ipotesi modulare del funzionamento metacognitivo e di seguire il differente andamento delle singole funzioni nei diversi pazienti 231 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ con disturbi di personalità. Il decentramento e le strategie di mastery sembrano essere compromesse in tutti questi pazienti, anche se con un grado di gravità del danneggiamento differente in ciascuno. La compromissione di specifiche sottofunzioni dell’autoriflessività sembra invece caratterizzare, e quindi distinguere tra loro, i diversi disturbi di personalità. L’Intervista per la Valutazione della Metacognizione — IVaM Per poter generalizzare tali osservazioni era necessario estendere i progetti di ricerca a campioni di pazienti più numerosi rispetto a quelli analizzati finora; per questo motivo si è resa necessaria la costruzione di uno strumento di valutazione del funzionamento metacognitivo più agile, in grado di valutare rapidamente un più ampio numero di persone. La SVaM richiede infatti un notevole dispendio di tempo: nella formazione dei valutatori a utilizzare uno strumento concettualmente complesso; nella trascrizione fedele delle sedute audioregistrate; nelle valutazione stessa, effettuata su un numero elevato di sedute. Il gruppo ha sviluppato allora l’Intervista per la Valutazione della Metacognizione – IVaM (Semerari, d’Angerio, Popolo, Cucchi, Ronchi, Maffei, Dimaggio, Nicoló, & Carcione, 2008), che consente la valutazione della metacognizione di un soggetto nel corso di un colloquio a sé stante, ripetibile semestralmente un’intervista per semistrutturata, successive che ha valutazioni. lo scopo di L’IVaM è sollecitare nell’intervistato e di valutare le sue abilità metacognitive; è composta da cinque parti: uno stimolo iniziale, e quattro serie di domande. Inizialmente si cerca di stimolare la produzione di una narrativa da parte dell’intervistato, racconto a partire dal quale vengono indagate le varie funzioni metacognitive; a tale scopo viene chiesto al paziente di descrivere l’episodio psicologicamente più difficile occorso negli ultimi sei mesi. Successivamente vengono poste delle domande per 232 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ elicitare/valutare in successione le funzioni metacognitive del monitoraggio, differenziazione, integrazione e decentramento; non è stata considerata in questa prima versione dell’intervista l’area della mastery. Si tratta di domande predefinite, che in caso di difficoltà da parte dell’intervistato, possono essere ripetute o riformulate in modo da chiarirne il senso. Questo strumento presenta quindi delle caratteristiche che lo rendono più adeguato, ad esempio, a studi di esito in quanto permette lo studio di un più ampio numero di persone; si potrebbero così generalizzare le osservazioni ottenute sui diversi disturbi, ma anche approfondire lo studio sull’architettura della metacognizione in campioni significativi di pazienti e di soggetti non clinici. L’IVaM: gli studi principali L’IVaM è stata somministrata a 172 individui sani (Semerari, Cucchi, Dimaggio, Cavadini, Carcione, Bottelli, Siccardi, d’Angerio, Pedone, Ronchi, Maffei, & Smeraldi, 2010) al fine di valutare, una volta raggiunta una buona inter-rater reliability, la validità di costrutto dello strumento elaborato a partire dalle quattro differenti funzioni metacognitive descritte. Dall’analisi fattoriale sono emersi due fattori: il primo include le capacità di mantenere una distanza critica dalle proprie convinzioni e di essere in grado di vedere il mondo dalla prospettiva dell’altro; il secondo fattore comprende invece le capacità del soggetto di riconoscere i propri stati interni, di integrarli in una rappresentazione coerente di sé e di distinguere differenti tipi di rappresentazioni (ad esempio fantasia e realtà). Questi risultati hanno delle implicazioni importanti sulla teoria della metacognizione. Nel complesso confermano infatti come le abilità che consentono di riflettere su di sé siano distinte da quelle che permettono di ragionare sugli altri. Il decentramento si aggrega infatti con alcuni aspetti della differenziazione, quelli relativi alla distanza critica, funzioni queste che richiedono al soggetto di assumere una 233 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ posizione altra di osservazione. Nel secondo fattore troviamo invece le capacità di monitoraggio che, insieme a quelle che consentono di riconoscere la natura delle proprie rappresentazioni, si aggregano alle capacità di integrazione: questo in linea con l’idea che per avere una rappresentazione coerente di sé è necessario avere una corretta rappresentazione della propria esperienza. L’IVaM si è allora mostrata efficace nel sollecitare le funzioni metacognitive nei soggetti indagati e di distinguere tra processi di ragionamento relativi al sé e agli altri. Sono state allora studiate le proprietà di validità convergente dei due fattori emersi (Semerari, Dimaggio, Cucchi, Cavadini, d’Angerio, Battelli, Siccardi, Ronchi, Maffei, & Smeraldi, 2010); il fattore che include il monitoraggio degli stati interni è stato correlato con il costrutto dell’alessitimia misurato dalla Toronto Alexithymia Scale (Bagby et al., 1994a, 1994b), il secondo invece con prove cognitive di teoria della mente. Nello stesso studio si è cercato di valutare, su un campione di 124 soggetti sani, se le funzioni metacognitive fossero correlate a tratti di personalità sottostanti; è stato valutato allora il narcisismo utilizzando il Narcissistic Personality Inventory (NPI; Raskin & Hall, 1979; Raskin & Terry, 1988). È emerso, coerentemente con le ipotesi cliniche (Dimaggio, Semerari, Falcone, Nicolò, Carcione, & Procacci, 2002; Dimaggio, Semerari, Carcione, Nicolò, & Procacci, 2007), che il monitoraggio correlava con tratti di narcisismo covert. Conclusioni Il III Centro è sorto ed è, in parte, rimasto un gruppo di clinici che inizialmente non avevano una formazione specifica nella ricerca e questo dato si rifletteva nei limiti metologici dei nostri lavori. L’impianto delle nostre ricerche era estremamente “time consuming” e adatto allo studio, sia pure particolareggiato, di pochi casi. Prese singolarmente, queste ricerche più che corroborare le ipotesi (theory-testing) potevano raffinarle (theory-building, si veda Stiles, 2006 per una distinzione tra i 234 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ due tipi di ricerca) e valutarne la successiva estendibilità a campioni più ampi. Solo negli ultimi lavori l’esperienza acquisita col tempo e la collaborazione con ricercatori più esperti ci ha permesso di dimostrare la validità di costrutto e la validità convergente degli strumenti utilizzati, in particolare con ricerche effettuate nell’area della schizofrenia (Lysaker, Carcione, Dimaggio, Johannesen, Nicolò, Procacci, & Semerari, 2005; Lysaker, Dimaggio, Buck, Carcione, & Nicolò, 2007; Lysaker, Dimaggio, Buck, Carcione, Procacci, Davis, & Nicolò 2010; Lysaker, Shea, Buck, Dimaggio, Nicolò, Procacci, Salvatore, & Rand, 2010). Recenti lavori di analisi fattoriale applicata all’IVaM ci hanno permesso di iniziare a verificare le ipotesi formulate già negli anni ’90 su quali fossero le diverse sottofunzioni metacognitive e sulle loro possibili correlazioni. Se le consideriamo complessivamente, queste ricerche ci permettono oggi di trarre alcune precise conclusioni circa le ipotesi iniziali. Innanzitutto, riteniamo di aver portato prove sufficienti per sostenere la polifunzionalità della metacognizione. Mettiamo a confronto l’ipotesi olistica secondo cui la metacognizione è una grandezza unidimensionale descrivibile in termini di alta, media, bassa metacognizione con l’ipotesi polifunzionale, secondo cui è costituita da funzioni qualitativamente distinte; se anche in pochi casi, pazienti diversi sono danneggiati in funzioni diverse, questo rilievo dimostra che l’ipotesi monodimensionale è falsa. Ad esempio, possiamo avere un paziente abile nel descrivere i propri stati interni ma che non riesce ad assumere distanza critica dalle sue credenze e a riconoscerle come una rappresentazione del mondo che può essere falsa; un altro paziente può invece ammettere l’opinabilità delle sue credenze ma non essere in grado di descrivere le proprie rappresentazioni: la capacità di descrivere le rappresentazioni e la consapevolezza della loro natura soggettiva e opinabile non sono allora la stessa cosa. 235 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Al tempo dei nostri primi lavori era difficile persino spiegare questo concetto. Oggi dati provenienti dalla social psychology e dalle neuroscienze convergono verso una descrizione della metacognizione nei termini di una funzione composta da abilità distinte (vedi Dimaggio & Lysaker, 2010). Naturalmente, dimostrare che la metacognizione sia una grandezza composta da sottofunzioni distinte non significa dimostrare che queste siano esattamente quelle che abbiamo ipotizzato e che sono rappresentate nella struttura della SVaM e dell’IVaM. Da questo punto di vista, le analisi fattoriali applicate all’IVaM vanno nella direzione di un modello a due fattori. Il primo fattore può essere definito di Teoria della Mente (ToM) e include la tendenza a spiegare il comportamento attribuendo agli altri delle credenze e la consapevolezza che le credenze, comprese le proprie, sono rappresentazioni interne del mondo che possono essere false (ovvero non corrispondenti al mondo esterno). Tali caratteristiche confluiscono in un fattore dell’IVaM costituito dal decentramento (capacità di comprendere la mente altrui mettendosi nella prospettiva dell’altro) e dalla differenziazione (capacità di distinguere tra rappresentazione interna e mondo esterno). Il secondo fattore, che può essere definito dell’Autoriflessività, è costituito dal monitoraggio e dall’integrazione ovvero dalla capacità di riconoscere pensieri ed emozioni e dalla capacità di riflettere in modo integrato. Questi risultati correggono in parte alcune ipotesi iniziali sostenute nei lavori teorici del centro: quella che collocava la differenziazione all’interno dell’autoriflessività, e l’ipotesi di una marcata distinzione tra monitoraggio e integrazione. Un possibile modello a due fattori della metacognizione osservabile nella popolazione generale non esclude però la possibilità di considerare le sottofunzioni semi-indipendenti; anche le funzioni associate in un fattore possono avere un andamento diverso nella popolazione clinica. Se riprendiamo ad esempio i dati relativi alla correlazione tra basso monitoraggio, alessitimia e narcisismo covert (Semerari, Dimaggio et al., 2010), possiamo osservare come pazienti 236 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ narcisisti covert tendano a evitare le relazioni, a differenza invece dei pazienti borderline che stabiliscono invece relazioni instabili e intense. Ipotizziamo allora che i fattori descrivono funzioni che operano in modo associato ma che possono disgiungersi in determinate situazioni cliniche. Infine, se confermato da ulteriori ricerche, il modello a due fattori può avere importanti implicazioni terapeutiche. Ad esempio, l’associazione tra decentramento e differenziazione descrive quell’abilità metarappresentativa che consente di formarsi una rappresentazione delle proprie idee come visti da una terza persona: un osservatore “interno” nel caso della differenziazione (“penso questo ma se mi metto in un’altra prospettiva mi rendo conto che posso sbagliare”); un osservatore “esterno” nel caso del decentramento ("Mi mancano di attenzione, ma se esco dalla mia prospettiva e guardo il mondo con i loro occhi, mi rendo conto che sono pieni di problemi da affrontare e non potrebbero prestarmi l'attenzione che desidero"). Se si vuole aiutare un paziente ad assumere distanza critica da una propria credenza, non è necessario allora sollecitare operazioni autoriflessive per incrementare tale funzionamento. Può essere più utile formulare interventi che vadano a sollecitare in alcuni casi la differenziazione, in altri che incoraggino il paziente ad assumere la prospettiva degli altri, tutto questo in relazione al funzionamento specifico del paziente. Resta da discutere la rilevanza clinica della distinzione delle sottofunzioni: disturbi in diverse funzioni metacognitive contribuiscono a creare diverse realtà cliniche e, se sì,, in che senso? Le ricerche condotte su soggetti schizofrenici da Lysaker, in parte anche con la nostra collaborazione, hanno evidenziato come la realtà clinica sia influenzata in modo diverso dallo specifico profilo metacognitivo del paziente. È stato infatti dimostrato che la metacognizione, correlata anche se parzialmente indipendente con la neurocognizione (Lysaker et al., 2005, 2007) e la funzione esecutiva (Lysaker, Warman, Dimaggio, 237 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Procacci, LaRocco, Clark, Dike, & Nicolò, 2008), contribuisce a spiegare lo scarso funzionamento sociale dei pazienti (Lysaker, Shea et al., 2010). Inoltre è emerso nel corso di un trial clinico che avere capacità di assumere distanza critica (differenziazione) dalle proprie credenze è il crinale superato il quale si predice un migliore funzionamento in termini di outcome lavorativo (Lysaker et al., 2010). Tali dati di psicopatologia, uniti alla formalizzazione di modelli per promuovere progressivamente la metacognizione nei disturbi di personalità (Dimaggio et al., 2010; Dimaggio et al., in stampa), hanno portato nella schizofrenia alla recente proposta di modelli di trattamento che prevedono di promuovere prima le funzioni metarappresentative più basiche dove esse fossero carenti, e solo successivamente quelle a complessità crescente (Lysaker, Shea et al., 2010). L’obiettivo negli anni futuri è aumentare ricerche cross-sectional nei disturbi di personalità, creare valori normativi che distinguano tra livelli metacognitivi adattivi e patologici e valutare in che modo la metacognizione sia compromessa in una serie di altri disturbi, quali disturbi post-traumatici, depressione o altri disturbi di asse I. Bibliografia Bagby, R.M., Parker, J.D.A., & Taylor, G.J. (1994a). The twenty-item Toronto Alexithymia Scale-I. Item selection and cross-validation of the factor structure. Journal of Psychosomatic Research, 38, 23–32. Bagby, R.M., Parker, J.D.A., & Taylor, G.J. (1994b). The twenty-item Toronto Alexithymia Scale-II. Convergent, Discriminant, and Concurrent Validity. Journal of Psychosomatic Research, 38, 33–40. Carcione, A., Dimaggio, G., Fiore, D., Nicolò, G., Procacci, M., Semerari, A., & Pedone, R. (2008). An intensive case analysis of client metacognition in a good-outcome psychotherapy: Lisa’s case. Psychotherapy Research, 18(6), 667–676. Carcione, A., Falcone, M., Magnolfi, G., & Manaresi, F. (1997). La funzione metacognitiva in psicoterapia: Scala di Valutazione della Metacognizione (SVaM) [Metacognitive function in psychotherapy: The Metacognition Assessment Scale (MAS)]. Psicoterapia, 9, 91–107. 238 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Carcione, A., Semerari, A., Nicolò, G., Pedone, R., Popolo, R., Conti, L., Fiore, D., Procacci, M., & Dimaggio, G. (2010). Metacognitive mastery dysfunctions in personality disorder psychotherapy. Psychiatry Research. Manuscript submitted for publication. Cartwright-Hatton, S., & Wells, A. (1997). Beliefs about worry and intrusions: the Meta-Cognitions Questionnaire and its correlates. Journal of Anxiety Disorders, 11, 279–296. Clarkin, J.F., Yeomans, F.E., & Kernberg, O.F. (Eds.). (1999). Psychotherapy for borderline personality. New York: Wiley. Dimaggio, G., Carcione, A., Nicolò, G., Conti, L., Fiore, D., Pedone, R., Popolo, R., Procacci, M., & Semerari, A. (2009). Impaired Decentration in Personality Disorder: A Series of Single Cases Analysed with the Metacognition Assessment Scale. 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These are researches on the therapeutic process led by the clinical observation which suggests that some specific metacognitive dysfunctions impede the recognition of own and others mental states; the regulation of the therapeutic alliance could enhance these dysfunctions making possible the interventions on the symptomatic aspects of the patient. There are sufficient proofs supporting that metacognition is composed of different half-independent subfunctions. Other studies of the group showed how the clinical reality of the serious patient is influenced by the presence of specific metacognitive dysfunctions. Keywords Metacognition, personality disorder, process research La psicoterapia come scambio comunicativo. 242 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Prospettive di ricerca sul processo clinico Sergio Salvatore,1 Alessandro Gennaro,1 Andrea Auletta,1 Rossano Grassi,1 Stefano Manzo,1 Mariangela Nitti,1 Ahmed Al-Radaideh,1 Marco Tonti,1 Nicoletta Aloia,1 Grazio Monteforte,1 Omar Gelo1 Sommario Il lavoro illustra le 3 linee di lavoro nell’ambito della process research su cui si concentra l'interesse degli autori: a) l’analisi concettuale delle premesse teoriche e metodologiche che fondano la ricerca sullo scambio clinico; b) la definizione di un modello generale del processo clinico; c) lo sviluppo di strategie di analisi dello scambio clinico coerenti con tale modello generale. Ciascuna linea di sviluppo viene presentata e discussa in ragione dei suoi presupposti concettuali, di alcuni dei risultati rilevanti che ha prodotto, così come delle prospettive future a essa associata. Parole chiave Ricerca di processo, teoria dei sistemi dinamici, idiografico-nomotetico, abduzione, analisi testuale, Discursive Flow Analysis -----------------------------------------------------------------------------------------------1 Università del Salento Corrispondenza: Sergio Salvatore E-mail: [email protected] Introduzione 243 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ La process research è in fase di transizione. Un numero crescente di ricercatori, consapevoli dei limiti concettuali e metodologici degli impianti di ricerca tradizionali, sono impegnati nello sviluppo di proposte innovative, tanto sul piano della teoria che dei modelli di analisi. Questi movimenti testimoniano la vitalità dell’ambito di ricerca; essi tuttavia non sembrano essere giunti a un punto di maturazione tale da permettere l’emergere di una nuova prospettiva, capace di ricostruire su basi rinnovate la ricerca clinica sul processo terapeutico. Il nostro gruppo di ricerca si inserisce in questa fase di transizione, con tre linee di ricerca. In primo luogo, l’analisi concettuale delle premesse teoriche e metodologiche che fondano la ricerca sullo scambio clinico. In secondo luogo, la definizione di un modello generale del processo clinico. In terzo luogo, lo sviluppo di strategie di analisi dello scambio clinico coerenti con tale modello generale. Questo lavoro si propone di passare in rassegna queste tre linee di ricerca, illustrandone i presupposti concettuali, i principali risultati e le prospettive verso le quali si indirizzano. Analisi concettuale della ricerca di processo La process research ha prodotto, e continua a produrre, una massa imponente di risultati empirici, frutto di una varietà di approcci (studi single case, analisi cliniche intensive, studi naturalistici, etc.) e strategie di analisi (applicazione di strumenti standardizzati, approcci ermeneutici, analisi del discorso, etc.). Un simile patrimonio di dati non sembra tuttavia offrire risposte soddisfacenti agli interrogativi generali che ne motivano la produzione, vale a dire: perché e come la psicoterapia funziona. Diversi ricercatori — alcuni già diversi anni fa — hanno evidenziato una serie di criticità concettuali e metodologiche cui attribuire simile situazione di debolezza euristica (Greenberg, 1991; Laurenceau, Hayes, & Feldman, 2007; Russel, 1994; Stiles & Shapiro, 1994). Queste analisi 244 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ hanno il merito di aver chiarito come lo sviluppo della process research non passi per il solo accumulo di dati e per la definizione di procedure di analisi sempre più sofisticate. È necessario anche un ripensamento dei presupposti paradigmatici taciti che fondano, regolano e al contempo vincolano la produzione empirica e l’interpretazione dei risultati. La ricerca di processo necessita, in altri termini, di uno sforzo di analisi concettuale che permetta ai ricercatori di ridefinire gli interrogativi che la guidano (Dazzi, Lingiardi, & Colli, 2006). In questa direzione, alcuni di noi hanno focalizzato la propria attenzione su alcune questioni di fondo — la definizione dell’oggetto, la teoria del significato di riferimento, il problema della generalizzazione — usualmente assunte per default — la cui esplicitazione ed elaborazione concettuale è invece a nostro modo di vedere essenziale per uscire dalle secche dell’empirismo acefalo in cui molta della process research — e più in generale della psicologia empirica (cfr. Smedslund, 1987) — si ritrova (Salvatore, 2006a). Dedichiamo a ciascuna di queste questioni uno dei successivi sottoparagrafi. Che cosa è il “processo terapeutico”? Lo statuto concettuale dell’oggetto di analisi Due persone stanno giocando alla roulette su due diversi tavoli. La prima ha raggiunto il casinò per riprendersi da un congresso di ricerca in psicoterapia alquanto noioso. L’altra è un giocatore professionista, che fa delle vincite al tavolo verde la fonte del proprio reddito. Come è facile constatare, i due giocatori sono portatori di scopi molti diversi e tale differenza si rifletterà nelle rispettive modalità di gioco (organizzazione delle puntate, livelli di attenzione, reazioni al risultato, etc.). Sarebbe tuttavia inverosimile concludere che anche il meccanismo di funzionamento del gioco vari, in ragione della differenza tra gli scopi dei due giocatori. 245 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ In realtà l’esempio mette in evidenza una prospettiva ampiamente condivisa nell’ambito della process research. I ricercatori di questo campo, infatti, tendono in modo tanto implicito quanto tendenzialmente unanime, a considerare il processo terapeutico come un oggetto specifico, dotato di un proprio modo di operare, distinto da altre forme di relazione umana, da comprendere nei termini della definizione di un modello peculiare del suo funzionamento. A ben guardare, questa prospettiva sostiene che una determinata forma di relazione umana acquista una specifica modalità di funzionamento in ragione degli scopi — ad esempio la psicoterapia — che la motivano. Alcuni di noi hanno approfondito in una serie di lavori le implicazioni epistemologiche e teoriche connesse a simile impostazione (Salvatore, 2006a; Salvatore & Valsiner, 2006, 2009; Salvatore, Valsiner, Strouth, & Clegg, 2009; Salvatore, Valsiner, Travers Simon, & Gennaro, 2010a, 2010b), evidenziando i problemi che derivano — per la ricerca clinica, e più in generale per la psicologia — dall’adesione alla definizione di senso comune dei fenomeni assunti a oggetto di investigazione. A tali lavori rimandiamo per un approfondimento di questa linea di argomentazione, che in questa sede, per ovvi motivi di spazio, ci limitiamo a richiamare nei termini di un paradosso: se gli scopi socialmente definiti che motivano e orientano una determinata forma di relazione umana fossero in grado di configurarne il funzionamento, sarebbe allora necessario pensare a un’area di studi e ricerche distinta per ciascuna pratica socialmente definita. Dovremmo ad esempio avere teorie relative a: andare in pizzeria, visitare un museo, partecipare alle riunioni condominiali, implicarsi in una relazione sentimentale, giocare a golf, andare allo stadio, e così via. Certo, si potrebbe obiettare che non tutti questi processi sono rilevanti al punto da giustificare un settore di ricerca dedicato. Ma tale obiezione complicherebbe ancora di più la faccenda, in quanto, senza negare il carattere modello-specifico del fenomeno, implicherebbe, in aggiunta, che sia la gerarchia dei valori e 246 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ degli interessi socialmente definiti a dettare l’agenda di ciò che va considerato meritevole di interesse scientifico. Secondo la nostra tesi, la messa in discussione della specificità del processo psicoterapeutico non riduce, ma amplifica le possibilità euristiche della process research. Secondo questa prospettiva, il processo clinico si declina come manifestazione locale di un oggetto generale: lo scambio comunicativo (Salvatore, 2006a; Salvatore, in press). Questa concezione si basa su una distinzione tra la dinamica di un determinato oggetto e il processo che la invera (Salvatore & Valsiner, 2010). La dinamica ha a che fare con il modo in cui funziona l’oggetto. In quanto tale, essa segue una modalità atemporale ed invariante — si ripete sempre uguale a se stessa; conseguentemente, si presta a essere modellizzata in termini di regole astoriche ed universali. D’altra parte, lo scambio comunicativo si realizza necessariamente entro specifici contesti socio-culturali, che qualificano gli scopi, dunque le condizioni e i vincoli di felicità dello scambio comunicativo. Tali condizioni e vincoli definiscono i termini entro, e attraverso i quali, la dinamica della comunicazione si invera. La stessa dinamica dà dunque luogo a processi diversi, in ragione dei parametri contingenti che definiscono le modalità del suo inveramento. L’analogia con la fisica torna utile per illustrare il punto. Tale scienza si occupa di oggetti generalizzati, astratti dal loro contenuto empirico contingente — ad esempio: l’attrazione gravitazionale. Il modo del funzionamento (nei termini da noi sopra adottati: la dinamica) di tali oggetti è modellizzato nei termini di leggi universali invarianti — ad esempio, la teoria della relatività generale. Anche se la dinamica è invariante, essa dà luogo a processi tra loro molto diversi, in ragione delle condizioni di campo (nei termini da noi sopra adottati: in ragione dei parametri contingenti) in gioco. La traiettoria di un proiettile, lo slalom tra i paletti dello sciatore, il volo di un uccello, l’orbita di un pianeta e così via, sono esempi di fenomeni che riflettono la stessa 247 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ fondamentale dinamica e al contempo si qualificano come processi diversi, in ragione dei parametri che intervengono nel loro inveramento. I diversi processi possono essere studiati localmente, vale a dire in ragione del loro contenuto empirico contingente. Ciò è quanto fanno discipline come la balistica, l’astronomia, l’idraulica, che si occupano di specifici campi fenomenici. Tuttavia, il funzionamento di tali campi fenomenici è sempre e comunque il riflesso della stessa dinamica generale. Il che equivale a dire che la traiettoria di un proiettile non è un oggetto che segue regole proprie e idiosincratiche rispetto alla traiettoria di uno sci. Ciò che rende tali processi diversi, lo ribadiamo, sono i parametri di campo. Conseguentemente, l’analisi della traiettoria del proiettile non può prescindere dalla comprensione della dinamica che qualifica il proiettile in quanto istanza dell’oggetto generalizzato “massa”. Il che in altri termini significa che la modellizzazione della dinamica generale definisce il fondamento concettuale ed euristico per lo studio dei processi locali. Quanto sopra detto porta a concludere che la psicoterapia è uno dei possibili processi che invera la comunicazione umana in ragione di parametri derivati in parte dal contesto culturale e istituzionale (il format professionale, il valore socialmente definito degli scopi, le forme organizzative) e in parte della teoria clinica (i parametri tecnici). Tali parametri rendono la psicoterapia una versione particolare dell’oggetto scambio comunicativo, differenziabile dalle infinite altre versioni dello stesso oggetto — corteggiamento, scrivere articoli scientifici, partecipare a una riunione, educare i figli, etc. La psicoterapia funziona in un certo modo non in quanto è un oggetto dotato di una propria modalità di funzionamento, ma perché riflette, in ragione di specifici parametri di campo, la Comprendere dinamica la fondamentale psicoterapia, di della comunicazione conseguenza, richiede: umana. a) la modellizzazione di tale dinamica; b) la comprensione dei parametri di 248 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ campo che la inverano; c) la descrizione dell’organizzazione del processo che deriva da tale inveramento. La distinzione dinamica/processo e la tesi della non autonomia della psicoterapia non è una questione da delegare alla discussione filosofica. Al contrario, è immediatamente rilevante per la process research in quanto da essa derivano implicazioni cogenti di ordine concettuale e metodologico. Ci limitiamo di seguito a richiamare, in estrema sintesi, due di queste implicazioni. In primo luogo, tale tesi implica che i meccanismi che rendono clinicamente rilevante lo scambio clinico siano gli stessi che sottendono le altre forme di comunicazione umana. Ciò equivale a dire che la risposta all’interrogativo del perché un determinato aspetto del processo terapeutico (ad esempio, la durata del trattamento, una caratteristica del paziente, una modalità di intervento del terapeuta, la qualità della relazione, etc.) incide nel modo in cui incide, vada ricercata nel modo con cui lo scambio comunicativo, in quanto tale, funziona. Per inciso, quanto appena detto implica una rivisitazione della classica distinzione tra fattori aspecifici e specifici. In definitiva, gli aspetti del processo che incidono sul trattamento — siano essi prescritti o meno dalla tecnica — funzionano comunque in ragione di meccanismi fondamentali. Ciò significa reinterpretare l‘opposizione specifico-non specifico nei termini della coppia specifico-generale. In secondo luogo, dal punto di vista metodologico, la tesi proposta suggerisce la possibilità di una più estesa e sistematica adozione di metodi e strumenti di analisi elaborati in domini di ricerca diversi dalla clinica. Quale concezione del significato? Il processo terapeutico è una situazione di scambio comunicativo. Per chi come noi concepisce la relazione terapeutica in chiave dialogica (Gennaro & Salvatore, 2010), lo scambio comunicativo è la sostanza 249 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ stessa del processo clinico. Tuttavia, anche chi non condivide questa concezione non dovrebbe avere difficoltà a riconoscere nello scambio comunicativo il vettore del fattore clinico — vale a dire il veicolo di ciò che rende terapeutica la psicoterapia. In definitiva, il terapeuta opera nei termini di atti (linguistici, ma non solo) che possono avere una qualche incidenza sul paziente nella misura in cui quest’ultimo in qualche modo li raccoglie e interpreta nella loro dimensione di eventi comunicativi (Austin, 1962). Quest’ordine di considerazioni ha spinto alcuni di noi ad approfondire la concezione del significato che si assume, generalmente in modo implicito, a fondamento del modo con cui si intende lo scambio comunicativo e dunque il processo terapeutico. Tale sforzo si muove su un piano generale e fondativo, dunque trasversale a una pluralità di domini di ricerca (per quanto più strettamente riferibile agli interessi di chi scrive: la ricerca clinica, ma anche la teoria generale della mente, l’analisi psicosociale del comportamento economico, dei setting formativi, organizzativi e socio-istituzionali; cfr. Forges Davanzati, Potì, & Salvatore, 2008; Salvatore, in press; Salvatore, Forges Davanzati, Potì, & Ruggeri 2009; Salvatore & Freda, 2010; Salvatore, Freda, Ligorio, Iannaccone, Rubino, Scotto di Carlo, Bastianoni, & Gentile, 2003; Salvatore, Tebaldi, & Potì, 2006/2009; Salvatore & Venuleo, 2008; Salvatore & Zittoun, in press; Venuleo & Salvatore, 2008). Obiettivo centrale e qualificante di questa linea di ricerca è lo sviluppo e validazione empirica di una teoria dinamica del significato e della significazione (sensemaking). Tale modello si discosta dalla visione di senso comune, condivisa comunque anche da molta ricerca psicologica e psicologico clinica, che assume i significati come entità statiche, invarianti, proprietà fisse e discrete che si applicano agli oggetti rappresentati. Una pluralità di sviluppi del pensiero psicologico contemporaneo, in particolare i riscontri prodotti da un’ampia gamma di teorizzazioni che possiamo far rientrare entro la cornice concettuale 250 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ del socio-costruttivismo (cfr. inter alia Bruner, 1990; Cole 1996; Gergen, 1999; Edwards & Potter, 1992; Valsiner & Rosa, 2007), hanno evidenziato la necessità di centrare l’analisi dei processi psicologici sull'attività interpretativa degli attori, processo entro e per mezzo del quale il significato viene co-costruito, piuttosto che meramente applicato. Il socio-costruttivismo ha messo in discussione la visione dei significati come entità fisse dell’universo simbolico, opponendo a essa l’idea secondo la quale essi non preesistono allo scambio sociale e comunicativo, ma sono costruiti e continuamente ridefiniti attraverso e in funzione di tale scambio. I significati sono un prodotto contingente della negoziazione intersoggettiva; tali negoziazioni, d’altra parte, piuttosto che rispondere esclusivamente a regole astratte, sono esse stesse atti sociali, orientati e organizzati da intenti pragmatici e retorici di regolazione dello scambio sociale. In altra sede (Forges Davanzati et al., 2008; Salvatore, Forges Davanzati et al., 2009) alcuni di noi hanno discusso alcune caratteristiche del significato che il modello sopra accennato porta a evidenziare. Le richiamiamo brevemente di seguito, segnalando di volta in volta le implicazioni per la clinica. Contestualità. Il sensemaking non è il prodotto di operazioni mentali chiuse e concluse entro la testa degli individui. Al contrario, esso è un processo intrinsecamente sociale, che si dispiega entro e attraverso lo scambio comunicativo. Le strutture semantiche (i frame, gli schemi mentali, i copioni di azione, le matrici decisionali) che organizzano il funzionamento mentale non vanno intese in senso kantiano — cioè come forme a priori inscritte nella struttura della mente degli esseri umani; piuttosto, esse vanno concepite come prodotti storici, artefatti simbolici che la cultura di un determinato gruppo sociale configura e mette a disposizione dei propri membri (Cole, 1996). Dal punto di vista clinico, ciò significa che quanto accade entro il processo terapeutico va 251 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ considerato sempre e comunque in ragione del contesto socio-simbolico in cui si inscrive, piuttosto che espressione immanente di una mente isolata e in se stessa autonoma. Situatività. I significati non risiedono in una sorta di universo ubiquitario, dal quale condizionano i pensieri e i discorsi delle persone. Al contrario, sulla scorta della lezione di Wittgenstein (1958), siamo in condizione di riconoscere come essi si definiscano attraverso il modo con cui le persone usano i segni — dunque, in definitiva: del modo con cui agiscono (Harrè & Gillet, 1994). Ciò vuol dire che i significati vanno considerati come circolarmente connessi alle circostanze della comunicazione e dell'agire. I significati, da un lato, permettono agli attori di comunicare e agire; dall’altro, sono sistematicamente e ricorsivamente ridefiniti da tale agire e comunicare. È in questo senso che parliamo di situatività dei significati ai discorsi: per evidenziare come i modelli simbolici non preesistono alla comunicazione ed all'azione, ma sono proprietà emergenti di tali processi (Salvatore, Tebaldi, & Potì, 2006/2009; Salvatore & Freda, 2010), precipitato delle forme situate di regolazione dello scambio sociale (Gergen, 1999; Grasso, Salvatore, & Guido 2004; Salvatore, Ligorio, & De Freanchis, 2005). Il riconoscimento del carattere situato del significato ha una conseguenza rilevante sul piano clinico e della process research. Le strutture di significato sovraordinate (frame) che regolano il pensiero si definiscono localmente, cioè all'interno ed attraverso le dinamiche micro-sociali in cui vengono utilizzate. Conseguentemente, per comprendere il senso di ciò che accade e viene comunicato entro il processo clinico non ci si può limitare a prendere in considerazione le singole unità della comunicazione, come se fossero entità in sè significative; va tenuto necessariamente in conto il qui ed ora della dinamica micro-sociale che sostanzia lo scambio clinico. È questo il principio metodologico dell'indessicalità della comunicazione (Salvatore, 252 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Gennaro, Grassi, Manzo, Melgiovanni, Mossi, Olive, & Serio, 2007). Tale principio afferma che il significato di un atto – nel nostro caso, di un atto prodotto entro il processo clinico – può assumere una pluralità di significati, diversificati in ragione del contesto intersoggettivo ove si esercita; ad esempio, la stessa frase può risultare in un'offesa, una affermazione priva di senso, un apprezzamento - in ragione delle circostanze discorsive e relazionali entro cui è prodotta. Pragmaticità. Il modo di pensare non è mai un’operazione neutrale; al contrario, è sempre e comunque un atto sociale, animato da una qualche forma (comunicativa, espressiva, argomentata che sia) di intenzionalità. In altri termini, il modo con cui gli attori danno significato all’esperienza è una delle leve fondamentali attraverso cui essi salvaguardano e promuovono reciprocamente le proprie prospettive, versioni del mondo, sistemi di interessi; in ultima istanza, il proprio ancoraggio identitario. Il che significa che le persone quando pensano e discutono non si limitano ad applicare schemi di significato in modo asettico, orientate da criteri di verità ciechi rispetto alle conseguenze. Al contrario, esse organizzano i pensieri, adottano strategie retoriche, assumono posizionamenti discorsivi ed intraprendono percorsi di costruzione di senso per accreditare/affermare un punto di vista, dunque per regolare lo scambio sociale in cui sono inscritti. In questo senso, pensare e parlare sono atti intrinsecamente sociali. Da ciò consegue una fondamentale implicazione euristica e metodologica: la necessità di considerare la dimensione pragmatica del significato. Aspetto per certi versi ovvio, ma non sempre tenuto in debito conto entro la process research, dove è ancora prevalente il focus esclusivo sulla componente semantica e/o sintattica del linguaggio (Manzo, 2010). 253 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Modalità di costruzione della conoscenza. Il problema della generalizzazione Il processo terapeutico è per definizione un evento singolare, che vede implicate due (o più) persone per un periodo di tempo più o meno lungo. Lo studio scientifico, d'altra parte, richiede che le conoscenze relative ai singoli fatti travalichino i confini della singolarità in modo da rendersi generalizzabili. Questa dialettica tra unicità e generalità è stata affrontata da alcuni di noi nei termini di una rilettura critica della classica opposizione nomotetico-idiografico (Salvatore, 2006b; Salvatore & Valsiner, 2009; Salvatore, Valsiner, Strout, & Clegg,, 2009; Salvatore, Valsiner, TraversSimon, & Gennaro, 2010a, 2010b; si veda anche Molenaar & Valsiner, 2009). Secondo l'originaria tesi di Windelband (1904/1998; cfr. anche Lamiell, 2003), i due termini sono in rapporto di complementarietà, piuttosto che di opposizione, come invece generalmente si ritiene. Data la loro natura dinamica (intesa come dipendenza temporale) e contestuale, gli oggetti psicologici sono singolari, nel senso che la relazione tra il loro modo di funzionare e le occorrenze fenomeniche nei termini delle quali tale modo si esprime, è mediata dalla contingenza delle condizioni di campo. Conseguentemente, la psicologia scientifica non può che essere idiografica, nel senso che non può che prendere in considerazione fenomeni unici e irreversibili (su questo punto, si veda anche Toomela, 2009, 2010). Allo stesso tempo, tuttavia, gli obiettivi di qualsiasi disciplina scientifica, dunque anche della psicologia, sono necessariamente nomotetici, volti cioè a costruire conoscenze generali, che trascendano l’ambito fenomenico specifico entro cui sono elaborate. Il problema che dunque si pone alla psicologia, e quindi alla ricerca di processo, è quale modello logico di generalizzazione sia coerente con la natura idiografica del suo oggetto. In una serie di lavori recenti (Salvatore & Valsiner, 2009, 2010) si è argomentato in favore della abduzione quale fondamentale forma della conoscenza psicologica. 254 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Secondo la tesi proposta, l'unicità degli oggetti psicologici invalida la possibilità di fondare su base induttiva la generalizzazione, vale a dire in termini di accumulo di occorrenze empiriche provenienti da una pluralità di casi individuali (Peirce parla dell'induzione nei termini di acquisizione di una abitudine: se un evento occorre n volte, allora se ne induce che si tratta di una regolarità che ci si abitua a considerare valida anche in futuro). Infatti, se i casi individuali sono per definizione incommensurabili, se ne deve inevitabilmente concludere l'impossibilità di assimilare tra loro le occorrenze relative a casi differenti. Questo stesso principio è stato concettualizzato in chiave psicometrica da Molenaar (2004; Molenaar & Valsiner, 2009), nei termini del carattere non ergodico dei processi psicologici (su questo punto si rimanda a Salvatore, 2006b). L'alternativa alla generalizzazione induttiva è l'abduzione (Di Nuovo, 2010). La generalizzazione fondata su tale logica parte, come l'induzione, dal dato, ma si orienta alla costruzione di un modello teorico locale, vale a dire un modello che interpreta (abbraccia in una totalità, secondo l'immagine di Peirce) le occorrenze fenomeniche del caso. Il modello teorico locale viene prodotto in ragione, ed entro i vincoli della teoria generale che guida l'investigazione abduttiva. È la relazione tra teoria locale e teoria generale a essere oggetto della generalizzazione. Ciò equivale a dire che la generalizzazione abduttiva concerne la costruzione di un modello locale che rifletta la teoria generale e sia allo stesso tempo sufficientemente astratto (cioè non espresso in termini dipendenti dal contenuto empirico contingente al singolo caso16), per poter interpretare (abbracciare in una totalità) una pluralità di casi. 16 Si prenda come esempio il caso di un processo caratterizzato dalle occorrenze: a, b, b, a, b, b, b, a, b, b, b, b, a. Il contenuto empirico di tale processo è unico per definizione, per cui non sarebbe possibile generalizzazione se fosse tale contenuto a essere assunto come oggetto di analisi. Al contrario, il pattern che caratterizza la relazione a-b può essere studiato oltre il (ma non indipendentemente dal) suo contenuto empirico — ad esempio come tendenza del secondo elemento della diade (b) ad aumentare la propria incidenza nel tempo. Ora, questo modello — che può anche essere formalizzato — è una mappatura astratta del caso, una sua rappresentazione priva di contenuto empirico. In questo modo diviene possibile creare una generalizzazione tra diversi casi attraverso un’operazione di astrazione — ad esempio si potrà 255 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Approfondiamo brevemente quanto fin qui detto. Si consideri una serie C di casi (1, 2, 3, ..., n). Si assuma ix come l’insieme di occorrenze espresse dal singolo caso. La generalizzazione induttiva definisce l’insieme (IC) degli insiemi di occorrenze, ix relativi ad ogni esemplare della serie C, che sono (secondo gli standard e i presupposti dell'osservatore) descrittivamente tra loro simili. L'insieme IC è preso come indicativo della regola generale, valida per ogni caso di C. Al contrario, nel caso della generalizzazione abduttiva, l’insieme i1 (vale a dire: le occorrenze empiriche espresse dal caso 1 vengono modellizzate in quanto espressione di un fenomeno singolare e irripetibile, dunque non assimilabili alle occorrenze del caso 2. Conseguentemente, non si procede alla costituzione di IC, ma si assume come base dati i1. La modellizzazione delle occorrenze i1 genera il modello locale L1. Per inciso, L1 è sviluppato a partire, in ragione ed entro i vincoli di una teoria generale (TC). Il modello L1 viene successivamente utilizzato per interpretare le occorrenze i2, vale a dire le occorrenze espresse dal caso 2. In tale processo interpretativo, L1 viene inevitabilmente sottoposto ad astrazione, al fine di contemplare la specificità locale del nuovo caso. Ciò lo trasforma nel modello L(1,2): un modello più generale di L1 che, senza perdere la valenza di interpretante della relazione tra TC e i1, sarà allo stesso tempo in grado di interpretare anche i2. Nella misura in cui L(1,2) si mantiene compatibile con TC, allora esso può essere considerato un’estensione generalizzata di L1 . L’applicazione ricorsiva di tale procedura abduttiva alla successione di casi C (1, 2…n) produrrà il modello L(1, 2, ..n) , che costituirà il modello locale generalizzato, dotato del livello di astrazione necessario per interpretare la specificità della serie dei singoli casi.17 La differenza fondamentale tra induzione e abduzione, in sintesi, sta nel fatto che la prima punta a rilevare ciò che è comune tra i casi, dire che il caso che evidenzia il pattern m, n, n, m, n, n, n, m, n, n, n, n, m, pur avendo contenuto empirico differente, segue lo stesso modello di funzionamento del primo caso. 17 Un esempio di modalità di ricerca che richiama questa procedura logica è dato dalla Task Analysis (cfr. Pascual-Leone, Greenberg & Pascual-Leone, 2009). 256 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ mentre la seconda ricerca il potenziamento della teoria attraverso l’accomodamento della stessa, alimentato dal confronto con la variabilità locale dei singoli casi. Un esempio può aiutare a illustrare la differenza tra i due modelli di conoscenza sopra richiamati. Prendiamo in considerazione due ricercatori interessati a studiare la relazione tra l’andamento della sintomatologia e gli interventi del terapeuta. Poniamo ora che il primo ricercatore, Indut, segua la logica induttiva. Indut prende in esame il caso, da un lato verificando la presenza di interventi del terapeuta (poniamo, per semplicità, la frequenza degli interventi per seduta), dall’altro rilevando il livello di sintomatologia in determinati punti temporali (ad esempio, al termine di ogni seduta). Immaginiamo che Indut riscontri che il livello della sintomatologia sia minore nelle sedute dove si registra un numero più elevato di interventi del terapeuta. A questo punto, Indut passa a studiare una successione di ulteriori casi, trovando nella maggior parte delle circostanze (o in tutte, la differenza è qui irrilevante) risultati che considera tra loro simili e che dunque assimila nella seguente rappresentazione: “Nei casi analizzati ho osservato sistematicamente che quando aumenta la frequenza degli interventi del terapeuta diminuisce il livello di sintomatologia”. Avendo accumulato un numero consistente di osservazioni che ribadiscono tale associazione, Indut si sente legittimato (è indotto) a concludere che la relazione tra la frequenza degli interventi del terapeuta e la riduzione della sintomatologia sia una regola universale, valevole nella totalità dei casi. Indut ha operato così una generalizzazione induttiva. Per dirla nei termini sopra utilizzati, Indut ha estratto dai casi dell’insieme C l’insieme ridondante di occorrenze ix (andamento sintomatologia e frequenza interventi) presenti in tutti (o la maggior parte) dei casi C, e ha generalizzato IC, dando a tale insieme il valore di rappresentazione di una legge valida per la generalità dei casi: S = f(Int), che mappa la 257 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Sintomatologia (S) come funzione della frequenza degli Interventi (Int) del terapeuta. Da quanto sopra osservato se ne ricava che la generalizzazione induttiva è una forma di conoscenza estensionale: una conoscenza che consiste nella possibilità di ampliare il numero di casi per i quali si considera valida una affermazione ricavata da — e originariamente riferibile a — un numero ristretto di casi. Poniamo ora che Abdut, il secondo ricercatore, segua la logica abduttiva. Abdut assume come riferimento una teoria generale (TC), che precede (e dunque guida) l’osservazione empirica. Poniamo che Abdut sia una intersoggettivista e che dunque, assumendo la contingenza della mente del paziente alla relazione clinica, abbracci la teoria generale S = f(R): il livello della sintomatologia S è una funzione della relazione R che si instaura tra paziente e terapeuta. Come si può osservare, il punto di partenza di Abdut è il punto di arrivo di Indut: la teoria generale (la TC da cui parte Adbut è tuttavia più astratta di quella a cui giunge Indut). Sulla scorta della TC di riferimento, Abdut avvia l’analisi, prendendo in esame il caso 1. La TC la guida tanto nella selezione delle occorrenze pertinenti — la frequenza di interventi del terapeuta e il livello della sintomatologia — che nella modellizzazione delle relazioni tra esse. Abdut è così in condizione di formulare un modello interpretativo (L1) del caso: S = f(Int). Vale la pena evidenziare che tale modello, per quanto non differisca nel suo contenuto dal risultato dell’analisi di Indut, è prettamente locale, vale a dire è relativo e di validità circoscritta al caso 1: è una forma di conoscenza idiografica. Abdut procede nella sua analisi esaminando il caso 2, impegnandosi a interpretarlo nei termini del modello locale (L1), così come precedentemente definito. Nel caso di 2, tuttavia, Abdut osserva un pattern che non si presta a essere assimilato a L1: in un certo numero, limitato, di sedute la maggiore frequenza degli interventi si associa a un incremento, piuttosto che a una riduzione del livello della 258 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sintomatologia. Tenendo conto dell’insieme delle occorrenze esaminate, questo pattern rappresenta un dato marginale, un’eccezione; ma è proprio su di esso che Abdut si concentra, “costringendosi” ad accomodare L1 in modo che tale modello sia in grado di “abbracciare” anche il pattern apparentemente divergente. Analizzando le occorrenze nella loro totalità, Abdut giunge così a formulare un nuovo modello locale L(1,2), più generale del primo, in grado di interpretare 2 e allo stesso tempo di offrire una reinterpretazione del caso 1. Poniamo che tale modello sia S = F(Intrel): il livello della sintomatologia dipende dalla proporzione di interventi del terapeuta rispetto agli atti linguistici prodotti dal paziente (Intrel). Come si può osservare, il modello L(1,2) si colloca a un livello di astrazione maggiore di L1, nel senso che: a) concerne un pattern maggiormente distante dal dato empirico contingente (ad esempio, lo stesso valore di Int può corrispondere a due valori di Intrel differenti e viceversa); b) si traduce nella selezione di un aspetto maggiormente circoscritto, frutto di un incremento del livello di selezione degli elementi ritenuti pertinenti (sul concetto di astrazione come pertinentizzazione si rimanda a Bühler (1934/1990); si veda anche Salvatore & Valsiner, 2009). Abdut passa dunque al terzo caso, e poi ai successivi, di volta in volta accomodando il modello locale in ragione dei pattern divergenti. Ciò fino a quando il modello locale non risulti sufficientemente interpretativo dei generalizzato successivi casi da senza offrirsi come necessità di criterio ulteriori accomodamenti. Parallelamente, a mano a mano che il modello locale si generalizza e acquista progressivi livelli di astrazione, esso sottopone a “pressione” la generalizzato, teoria generale. dunque, lavora Lo come sviluppo fattore del di modello locale validazione o di ridefinizione della teoria generale, a seconda se quest’ultima sia in grado di “reggere” la pressione o si renda necessario il suo accomodamento. Possiamo così concludere che se la generalizzazione induttiva è una forma di conoscenza estensionale, la generalizzazione 259 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ abduttiva ne è il contraltare intensionale: una forma di conoscenza consistente nel progressivo sviluppo (articolazione/astrazione) della teoria. Anche in questo caso vale la pena evidenziare, sia pure in estrema sintesi, alcune implicazioni che rendono la discussione intorno all’abduzione di immediato interesse per la ricerca clinica. In primo luogo, la logica abduttiva restituisce il primato alla teoria sull’empiria; ciò senza tuttavia negare il valore dei dati, dunque della ricerca empirica. Al contrario, la ricerca empirica viene valorizzata come volano della costruzione teorica. Quanto sopra detto dovrebbe aver reso evidente, infatti, come la generalizzazione abduttiva sia guidata dalla teoria. Secondo tale modello, la conoscenza è un processo ricorsivo di sviluppo della teoria, precipitato dello sforzo sistematico di fondare interpretazioni locali di fenomeni (dunque di dati). In secondo luogo, la logica abduttiva sollecita una strategia (e una cultura) di ricerca per certi versi opposta a quella canonica, basata sulla induzione. Lo sviluppo abduttivo della teoria richiede di mettere in tensione la valenza euristica della teoria. Conseguentemente, la scelta dei fenomeni da studiare si indirizza in ragione della ricerca dell’evento marginale, del dato divergente e sorprendente, quello che mette in discussione l’interpretazione acquisita, costringendo il ricercatore a rimodulare, rielaborare, astrarre la teoria. Insomma, i casi marginali che la logica induttiva considera rumore ostacolante la ricerca di regolarità, sono dalla logica abduttiva valorizzati come la fonte primaria di conoscenza. Infine, la logica abduttiva rende evidente l’utilità in psicologia di pervenire a modalità di formalizzazione della conoscenza. Se la generalizzazione si esprime, secondo questa logica, nella progressiva astrazione del modello, allora è evidente che i linguaggi formalizzati si offrono come un utile strumento di sviluppo della teoria psicologica. 260 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Per una teoria generale del processo In precedenti lavori alcuni di noi hanno evidenziato la necessità di distinguere due diversi obiettivi e focus di analisi: la ricerca nel processo versus la ricerca sul processo (Manzo, 2010; Salvatore, 2006b; Salvatore, Gelo, Gennaro, & Manzo, 2009). Il primo tipo di ricerca si focalizza su specifiche dimensioni-costrutti ritenuti rilevanti dal punto di vista clinico (ad esempio: l’alleanza terapeutica, gli interventi del terapeuta, i meccanismi di difesa, il funzionamento metacognitivo). Il processo, secondo questa prospettiva, è il contenitore entro cui tali variabili si dispiegano. In definitiva, in quanto tale, il processo clinico non costituisce l’oggetto di analisi di questo tipo di ricerca, quanto il suo presupposto: lo scenario entro e grazie al quale la dimensionecostrutto target opera. Il secondo tipo di processo riflette un diverso, più generale, obiettivo: lo sviluppo di una teoria del processo clinico, inteso come un fenomeno in sé, da modellizzare nella sua globalità (Salvatore, Mossi, & Gennaro, 2007). Simile teoria concerne interrogativi del tipo: in che cosa consiste lo scambio clinico? Come funziona? In che cosa consiste il cambiamento clinico? Quale dinamica lo sostanzia? Quali sono i vettori e i regolatori di tale dinamica? In realtà, non sono molti i ricercatori che si sono proposti di definire una teoria generale del processo in grado di dare risposta a tale ordine di questioni (ad esempio, Mergenthaler, 1996; Bucci, 1997; Gonçalves, Matos, & Santos, 2009). Ciò per certi versi è comprensibile: la ricerca sul processo è impresa complicata; data la pluralità delle forme e dei modelli psicoterapeutici, tale tipo di ricerca richiede l’elaborazione di modelli astratti generalizzati, tuttavia in grado di non disperdere la specificità del fatto clinico. D’altra parte, la definizione di una teoria generale del processo clinico è una priorità per la process research, che ha necessità di riferirsi a una cornice meta-teorica in grado di orientare e rendere reciprocamente commensurabili le analisi focalizzate sugli aspetti specifici dello scambio clinico. 261 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Sulla base di tali considerazioni, il nostro gruppo di ricerca si è in questi anni impegnato nella elaborazione e validazione di un modello generale del processo terapeutico (Gennaro, Al-Radaideh, Gelo, Manzo, Nitti & Salvatore, 2010; Salvatore, Gelo, Gennaro, & Manzo, 2009), basato su una concezione della mente di matrice dialogica e culturalista: il Two Stage Semiotic Model (TSSM). Il Two Stage Semiotic Model (TSSM) Il TSSM si basa su un postulato fondamentale e su tre assunti derivati da tale postulato. Postulato fondamentale. La psicoterapia come dinamica di sensemaking. Lo scambio clinico è una dinamica intersoggettiva di costruzione di significato, finalizzata a modificare le modalità affettive e cognitive utilizzate dal paziente nell’interpretare le sue esperienze. I pazienti arrivano in psicoterapia dispiegando un sistema più o meno rigido di assunti dichiarativi e procedurali (concezioni di sé e degli altri, schemi affettivi, modalità metacognitive, strategie relazionali e di attaccamento, piani inconsci, etc) che fungono da significati sovraordinati, vale a dire da premesse di senso che regolano l’interpretazione dell’esperienza (Valsiner, 2007). Tali assunti rappresentano la fonte del problema che spinge in psicoterapia; allo stesso tempo essi sono la base e al contempo il vincolo all’attività di sensemaking. I sintomi, così come i conflitti intrapsichici e relazionali, sono concepibili come il sostrato e/o la conseguenza di tali significati sovraordinati. In ultima analisi, i significati sovraordinati sono il motivo, l’oggetto e l’obiettivo — così come il mediatore — della psicoterapia. Assunto 1: Articolazione in due fasi. In un primo momento della psicoterapia il dialogo clinico (dunque l’incontro con un sistema di assunti altro, definito dal setting clinico) funge da limite al sistema di assunti del paziente. Se così non fosse il paziente non potrebbe che 262 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ generalizzare le proprie modalità interpretative dell’esperienza alla relazione con il terapeuta, e così facendo riprodurre in modo assoluto all’interno del setting clinico quegli elementi critici per trattare i quali lo stesso setting clinico è stato disposto. Ciò comprometterebbe la capacità del dialogo clinico di introdurre aspetti innovativi nell’attività di sensemaking. Ad esempio, un paziente paranoico che considera l’altro pericoloso per default, avrebbe poche possibilità di usufruire della psicoterapia se, assimilando completamente il setting allo schema paranoico, fosse totalmente e assolutamente convinto che il terapeuta intenda danneggiarlo. In questa prospettiva, quindi, la prima fase dello scambio clinico si configura come un processo fondamentalmente decostruttivo, in cui il dialogo terapeutico funge da limite esterno all’attività regolativa dei significati sovraordinati (prevalentemente problematici) del paziente (Salvatore & Valsiner, 2006). L’indebolimento dei significati sovraordinati risultante dalla prima fase dello scambio clinico apre a un secondo momento, di tipo costruttivo, caratterizzato dall’elaborazione di nuovi assunti da parte del paziente. In questa seconda fase il dialogo paziente–terapeuta ha la possibilità di precipitare nella costruzione di nuovi significati sovraordinati, che possano fungere da regolatori innovativi nell’attività di sensemaking. Ovviamente, le due fasi non sono totalmente separabili; tuttavia, a un livello macro-analitico, è possibile, in una psicoterapia a esito positivo, distinguere tra un primo momento caratterizzato da un processo di decostruzione e un secondo momento caratterizzato da un processo costruttivo, dove l’attività clinica funge da sostegno e impulso all’esplorazione, da parte del paziente, di nuovi significati. Assunto 2: Non linearità del processo terapeutico. L’articolazione bifasica prospettata dal primo assunto del TSSM implica che lo scambio clinico svolge funzioni differenti in momenti differenti del processo clinico (fase decostruttiva e fase costruttiva). Conseguentemente, a 263 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ differenza di quanto implicato nella visione tradizionale del processo terapeutico, la dinamica di sensemaking non segue un andamento lineare nel corso della psicoterapia: il sensemaking ha a che fare con il cambiamento di pattern di funzionamento, piuttosto che con un cambiamento cumulativo di elementi discreti tra loro indipendenti [sulla non linearità del processo clinico si veda, ad esempio, Russel (1994)]. Assunto 3: Quasi periodicità del sensemaking. Questo terzo assunto ha a che fare con il meccanismo micro-semiotico che istanzia la dinamica di sensemaking. In linea con la visione non lineare del processo clinico (Lauro-Grotto, Salvatore, Gennaro, & Gelo, 2009), il TSSM assume un meccanismo quasi-periodico alla base dello scambio comunicativo. Tale meccanismo si qualifica per un andamento a strappi, simile al battito cardiaco, caratterizzato da momenti basici, rappresentativi del funzionamento del sistema di assunti del paziente, che vengono interrotti da momenti circoscritti di “irruzione” di variabilità semiotica, ovverossia di ricombinazione tra i diversi significati. Evidenze relative al TSSM Il nostro gruppo ha sviluppato un metodo di analisi del processo clinico coerente con il TSSM: il Discourse Flow Analysis (DFA), utilizzandolo nell’analisi di una successione di casi, secondo il modello della generalizzazione abduttiva descritto in precedenza. Rinviamo al prossimo paragrafo per la presentazione del metodo e l’illustrazione di alcuni risultati ottenuti tramite il suo uso. Qui ci limitiamo ad anticipare che i riscontri fin qui ottenuti si prestano ad essere interpretati nei termini del modello teorico, in questo modo offrendosi come elementi a sostegno della validità di costrutto del TSSM. In particolare: a) Per ciascuno dei casi analizzati, l’andamento dell’incidenza dei significati sovraordinati segue una curva a U. Tale traiettoria è 264 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ interpretabile alla luce del TSMM, come successione di una fase decostruttiva, quando lo scambio clinico opera in modo da ridurre i significati sovraordinati di cui è portatore il paziente, seguita da una fase costruttiva, quando la psicoterapia si caratterizza per la capacità di sviluppare nuovi significati. b) le analisi dei casi evidenziano come alle due fasi previste dal TSMM corrispondano pattern di funzionamento differenti. Ad esempio, svariate correlazioni tra le variabili rilevanti si modificano — sia in termini di entità che di direzione — nel passaggio da una fase all’altra. c) Le analisi hanno messo in evidenza un andamento a strappi della dinamica di sensemaking. Questo tipo di andamento è interpretabile in ragione del terzo assunto del TSSM secondo il quale il sensemaking procede secondo un meccanismo caratterizzato dalla irruzione di momenti circoscritti di innovazione semiotica. Questioni di metodo Tra i ricercatori sta progressivamente diffondendosi la consapevolezza circa la necessità di tenere maggiormente in conto la complessità del processo clinico (Dazzi, 2006; Grasso, 2010).18 Tale consapevolezza sta 18 In realtà il tema non è per nulla nuovo. Circa un quarto di secolo fa, Stiles e Shapiro (1994, pag. 37) proposero un critica radicale del paradigma di ricerca tradizionale che assimilava la ricerca in psicoterapia alla ricerca in campo farmacologico. Gli autori chiamarono tale assimilazione “drug metaphor”, descrivendola nei termini seguenti. “[…] Un paradigma investigativo […] [che] guarda alla psicoterapia come un composto di principi attivi forniti dal terapeuta al paziente […] Tali supposti ingredienti attivi sono componenti di un processo — tecniche terapeutiche come l’interpretazione, la confrontazione , la riflessione, la self disclosure, la focalizzazione sulle emozioni, lo sforzo per dare supporto, o (più astrattamente) l’empatia, il calore o la genuinità. Se un componente è un ingrediente attivo allora una sua forte somministrazione è ritenuta un portare verso un esito positivo, in caso contrario l’ingrediente viene ritenuto inerte [...]” (ndr. traduzione nostra). La drug metaphor è un esempio classico di processo lineare, molecolare e additivo. In linea con tale prospettiva: a) processo ed esito sono distinguibili, giacchè il primo causa il secondo; b) gli ingredienti del processo sono elementi conosciuti, sostanziali, isolabili, alla stregua di elementi discreti che vengono via via implementati in linea con procedure tecniche indipendenti e che hanno sempre lo stesso effetto sul paziente, nel corso del processo (Stiles & Shapiro, 1994). Questi assunti rappresentano un modello chiaramente ipersemplificato di psicoterapia, che scotomizza la natura contestuale, olistica, contingente e non lineare del setting clinico. Lo scambio clinico è caratterizzato da un numero elevato di fattori, molto superiore al numero di aspetti che la ricerca in psicoterapia è in grado di isolare (cfr. Contestualità, cfr. Bickhard, 2009). Inoltre, ciò che è rilevante non sono gli elementi in se stessi, ma la loro interazione, ovvero il modo in cui lavorano come parte di un 265 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ facendo emergere una domanda di strategie e metodi di analisi innovativi, in grado di sostituire gli approcci tradizionalmente adottati, implicanti una visione statica, molecolare e lineare dello scambio clinico. Il nostro gruppo di ricerca si propone di contribuire a questa prospettiva di innovazione metodologica. Tre sono in particolare le linee di ricerca, tra loro inevitabilmente intrecciate, che stiamo in questa direzione percorrendo. In primo luogo, in una serie di lavori di rassegna (Gelo & Salvatore, submitted;; Lauro-Grotto, Salvatore, Gennaro, & Gelo, 2009; Salvatore, Lauro-Grotto, Gennaro, & Gelo, 2008; Salvatore, Lauro-Grotto, Gennaro, & Gelo, 2009; Salvatore & Tschacher, submitted) e di analisi empiriche (Gennaro, Al-Radaideh, Gelo, Manzo, Nitti, & Salvatore, 2010; Salvatore, Gennaro, Auletta, Grassi, & Rocco, submitted; Auletta, Salvatore, Metrangolo, Monteforte, Pace, & Puglisi, submitted), abbiamo proposto argomenti, esempi e dati a favore della Teoria dei Sistemi Dinamici come fonte di metodologie maggiormente coerenti con la natura di campo dello scambio clinico. In secondo luogo, stiamo lavorando allo sviluppo di sistemi automatici di analisi dei trascritti di seduta (Nitti, Ciavolino, Salvatore, & Gennaro, 2010; Salvatore, Gennaro, Auletta, et al., submitted; Salvatore, Gennaro, Auletta, Tonti, et al., submitted). In terzo luogo, la concezione dinamica e contestuale del processo clinico delineata nelle pagine precedenti si è tradotta in un metodo di analisi — il DFA (Discourse Flow Analysis) — volto a permetterne la validazione. tutto (Olismo, cfr. Valsiner, 2007; Salvatore & Valsiner, in press). Di conseguenza nessun elemento può essere pensato come portatore di una valenza clinica invariante. Piuttosto, il suo impatto sul processo è mediato dal campo, inteso come l’insieme delle co-occorrenze di elementi (Non linearità; cfr. Barkham, Stiles, & Shapiro, 1993). Inoltre l’idea di ingredienti tecnici implementati dal processo, ma indipendentemente dal processo, contrasta con l’ovvia osservazione clinica che il paziente non è soltanto il bersaglio ricettivo dell’azione del terapeuta ma anche un agente che a sua volta stimola l’azione del terapeuta (Contingenza, cfr. Goncalves, Ribeiro, Matos, Santos, & Mendes, 2010). Infine come il dibattito sull’alleanza terapeutica evidenzia (Colli & Lingiardi, 2009), l’unidirezionalità del legame tra processo ed esito non è più sostenibile: processo ed esito si associano in modo circolare — il primo causa ed è causato dal secondo (Circolarità; Greenberg & Pinsof, 1986). 266 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Proprietà dello scambio clinico e nuove strategie di analisi Il punto di partenza della nostra argomentazione è il riconoscimento della valenza di campo del significato (Salvatore, in press). Come già osservato, diversi approcci nel campo della psicologia, della semiotica, della linguistica, della filosofia hanno evidenziato come il significato sia un processo dinamico e situato che si snoda attraverso l’uso delle parole (e altri segni), piuttosto che una qualità invariante inerente i segni (inter alia, Andersen, 2001). Le parole acquistano significato in funzione delle specifiche circostanze socio-discorsive in cui vengono prodotte. Il riconoscimento del carattere di campo del significato ci ha portato a evidenziare due proprietà fondamentali dello scambio clinico — la sistematicità e la dinamicità — e a derivare da esse altrettante basilari indicazioni metodologiche: studiare le configurazioni; analizzare le sequenze. Sistematicità. Il significato dei segni dipende dal modo in cui vengono utilizzati, da come si combinano con altri segni, all’interno delle circostanze discorsive (Greenberg & Pinsof, 1986; Harré & Gillett, 1994; Fornari, 1979). In questa prospettiva ciò che diviene rilevante non è tanto l’occorrenza dei segni, quanto la loro relazione. Freud (1900/1953) ha già sottolineato questo aspetto mettendo in guardia dal fornire interpretazioni semplicistiche dei simboli del sogno in termini di corrispondenza uno a uno tra simbolo e significato (ad esempio, sigaro = pene). Similmente, il sensemaking è una attività di sistema in cui l’intera rete di relazioni tra elementi è diversa dalla loro composizione additiva: i significati sono come elementi chimici che producono entità diverse in ragione di piccole modifiche nella loro combinazione (Grassi, 2008). Dinamicità. Sottolineare la valenza sistemica del sensemaking implica sottolinearne anche la sua natura intrinsecamente dinamica, ovvero la 267 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sua dipendenza temporale. Il linguaggio è per sua natura sequenziale; le relazioni tra i segni linguistici sono necessariamente relazioni temporali. Il tempo non è solamente il contenitore all’interno del quale il significato si dispiega; esso esercita un ruolo costitutivo nella costruzione del significato (Lauro-Grotto, Salvatore, Gennaro, & Gelo, 2009; Nitti, Ciavolino, Salvatore, & Gennaro, 2010; Salvatore, Lauro-Grotto, Gennaro, & Gelo, 2009). Il sensemaking non ha a che fare solo con ciò che è detto e con come è detto; ma anche con quando ciò che è detto è detto, ovverossia prima o dopo che cosa. Si prendano ad esempio le seguenti affermazioni, che potrebbero caratterizzare la produzione narrativa di due ipotetici pazienti: Paziente 1 “Quando perdo al gioco mi arrabbio molto e desidero essere aiutato da uno psicoterapeuta” Paziente 2 “Quando desidero essere aiutato da uno psicoterapeuta mi arrabbio molto e perdo al gioco” Le due frasi sono composte dalle stesse parole e sul piano del contenuto sono identiche; eppure il loro significato è notevolmente diverso, in ragione dell’ordine con cui le parole compaiono: mentre la prima frase riferisce del bisogno di supporto terapeutico associato all’esperienza di gioco, la seconda connota il gioco come dimensione di acting out, reattiva al riconoscimento del desiderio di aiuto. Studiare le configurazioni. La natura sistemica del sensemaking porta a spostare il focus delle analisi dalle occorrenze di categorie discrete di significato alla loro combinazione in termini di pattern (von Eye, Mum, & Mair, 2009; Greenberg, 1994; Matos, Santos, Gonçalves, & Martins, 268 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 2009; Salvatore, Lauro-Grotto, Gennaro, & Gelo, 2009; Salvatore, Tebaldi, & Potì, 2006/2009). Prendiamo ad esempio la presenza di tre categorie semantiche: a, b, e c, che occorrono rispettivamente 3, 5, e 2 volte. Se il nostro studio si limitasse all’analisi della loro distribuzione concluderemmo che a e b sono le più frequenti. Ciò tuttavia non necessariamente implica che queste categorie siano le più rilevanti. L’analisi del loro ruolo, infatti, richiede una mappatura di come le categorie si combinano l’una con l’altra. Ed è facile osservare come la stessa distribuzione complessiva possa corrispondere a una pluralità di scenari di combinazione (ad esempio, scenario 1: a-a-b-b, c-c-a, b-b-b; scenario 2: a-a-a-b, -b-b-b, b-c-c), dunque a una pluralità di significati globali. Analizzare le sequenze (di configurazioni). La dipendenza temporale del sensemaking porta a focalizzare l’analisi sui pattern diacronici, oltre che sincronici, di combinazione dei contenuti. Ciò significa porre attenzione alle transizioni tra i significati: quale contenuto segue o precede quale, con quale probabilità e in ragione di quali condizioni elicitanti. La transizione assume la funzione metodologica di marcatore della dinamica di sensemaking. Diversi lavori del nostro gruppo di ricerca hanno adottato modalità di analisi ispirate ai due criteri metodologici appena richiamati. Ad esempio, Nitti e colleghi (2010) hanno utilizzato una procedura integrante l’analisi markoviana delle sequenze (cfr. anche Salvatore, Gennaro, Grassi, Manzo, Melgiovanni, Mossi, Olive, & Serio, 2007; Salvatore, Lauro-Grotto, Gennaro, & Gelo, 2009) e l’implementazione di una rete neurale; così facendo sono stati in grado di distinguere sedute clinicamente positive versus sedute non positive — così definite sulla base di un criterio clinico indipendente. Salvatore, Tebaldi e Potì (2006/2009) hanno adottato un metodo di analisi basato sullo studio 269 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ della dimensionalità dello spazio delle fasi19 utilizzato per rappresentare l’andamento nel tempo della variabilità lessicale caratterizzante lo scambio comunicativo durante una psicoterapia. In particolare, gli autori hanno riscontrato come la dimensionalità dello spazio si riduca drasticamente nel periodo immediatamente successivo all’inizio della psicoterapia, per poi conservare un andamento stabile fino al termine della terapia. Tale risultato è stato interpretato come indicativo dell’emergenza e successivo mantenimento di una cornice di senso condivisa entro lo scambio clinico, espressione di un accordo discorsivo tra terapeuta e paziente, che si riflette nella riduzione della libertà di associazione tra le parole (per un’analisi simile, basata sul riferimento teorico-metodologico alla sinergetica, si veda Gelo, Ramseyer, Mergenthaler, & Tschacher, 2008). Santos, Gonçalves, Matos e Salvatore (2009) hanno studiato la dinamica del cambiamento nelle narrazioni di una paziente, attraverso una procedura di analisi multidimensionale (Analisi delle Corrispondenze e Analisi dei Cluster) volta a estrapolare configurazioni narrative indicative di momenti di cambiamento nelle modalità discorsive del paziente (gli Innovative Moments secondo la terminologia del metodo utilizzato, cfr. Gonçalves, Ribeiro, Matos, Santos, & Mendes, 2010). In questo modo l’analisi è andata oltre la mera rilevazione dell’incidenza delle singole categorie narrative, per concentrarsi sulla identificazione di combinazioni di occorrenze e sulla loro evoluzione lungo l’arco temporale del processo terapeutico analizzato. Recentemente, Gelo & Salvatore (submitted) e Salvatore & Tschacher (submitted) hanno presentato una serie di strategie di analisi ispirate alla Teoria dei Sistemi Dinamici [analisi di Montecarlo, differenza mobile 19 Lo spazio delle fasi è lo spazio ciascun punto del quale rappresenta uno e un solo stato del sistema descritto. Ad esempio, un punto di uno spazio delle fasi a due dimensioni, descriverà uno stato del sistema nei termini delle coordinate di tale punto. In generale, lo spazio delle fasi ha una dimensionalità corrispondente ai gradi di libertà del sistema che descrive. Ad esempio, se un corpo si muove esclusivamente su un piano, serviranno due dimensioni per descrivere la sua traiettoria; se invece si muove in uno spazio tridimensionale, serviranno tre dimensioni. La dimensionalità dello spazio delle fasi è dunque un indicatore della variabilità del comportamento dei sistema. 270 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (Salvatore, Serio, & Manzo, 2006); modellizzazione delle traiettorie; studio delle probabilità di transizione; analisi univariata dei trend (Molenaar & Valsiner, 2009)], argomentandole sul piano teorico-clinico ed illustrandole con esempi tratti da una varietà di ricerche. Infine, Gelo e Salvatore (submitted), hanno discusso dati clinici e di ricerca che evidenziano il carattere dinamico, disomogeneo, non lineare, discontinuo e multi-direzionale del cambiamento terapeutico. Il riconoscimento di tali caratteristiche comporta la necessità di ripensare criticamente molti degli assunti che sono attualmente alla base della ricerca in psicoterapia, così come di sviluppare strategie di analisi focalizzate sullo studio intensivo dei casi. L’analisi dei trascritti Una delle fondamentali fonti della ricerca di processo è data dalle trascrizioni delle sedute. Lo sviluppo della process research passa dunque inevitabilmente per il potenziamento della validità e efficienza dei modelli e delle procedure di analisi testuale. In ragione di questa prospettiva, stiamo lavorando alla validazione di un metodo automatizzato di analisi del contenuto dei trascritti di seduta (Nitti, Ciavolino, Salvatore, & Gennaro, 2010; Salvatore, Gennaro, Auletta, Tonti, & Nitti, submitted) A oggi i metodi automatizzati nella ricerca clinica sono pochi e limitati all’analisi della dimensione lessicale. Si tratta di metodi che implicano una concezione a-contestuale del significato, in ragione della quale ogni segno (una parola, una frase) viene associato a un set prefissato di parametri di valore, implementato tramite algoritmi automatizzati (ad esempio, si veda il TCM, Merghentaler, 1996). La contestualità del significato rende evidentemente poco praticabile l’estensione di tale strategia metodologica al piano semantico, la cui analisi, almeno nel campo clinico, è rimasta così affidata al lavoro interpretativo del ricercatore. 271 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il ricorso al giudizio umano solleva tuttavia problemi organizzativi e metrici non indifferenti. Da un lato, nonostante l’assoggettamento del giudizio umano a regole di codifica estensibili e sistematiche, l’inferenza dei rater rimane comunque soggetta a una irriducibile valenza soggettiva. In conseguenza di ciò, i metodi per l’analisi semantica soffrono di bassi livelli di attendibilità, vincolo che riduce non marginalmente la loro capacità di rivelare relazioni significative. Non meno importante, l’analisi di contenuto è solitamente molto laboriosa: richiede tempo e risorse umane. E ciò rappresenta un ulteriore ostacolo all’applicazione dei metodi semantici allo studio del processo clinico. Diversi criteri sono stati proposti per rispondere ai problemi che pone l’uso di tali metodi. Molti sforzi sono stati fatti per definire regole di codifica chiare e specifiche, che vincolino i giudici all’uso di procedure di validazione consensuale (Lutz & Hill, 2009; Lambert, 2004); tuttavia, dato il livello di inferenza implicato in tali metodi, queste soluzioni non possono essere pienamente risolutive; esse, inoltre, rendono l’uso di metodi di analisi semantica ancora più dispendiosi. La Automated Co-occurrence Analysis for Semantic Mapping (ACASM) Sulla base di quest’ordine di considerazioni abbiamo deciso di avviare un programma di lavoro finalizzato a sviluppare una procedura automatizzata di analisi semantica (ACASM), in grado di ridurre il ruolo giocato dall’inferenza umana; ma allo stesso tempo in grado di prendere in considerazione la dimensione contestuale del significato, dunque la sua indessicalità. Il nostro gruppo di ricerca è solo all’inizio di questo programma. Di seguito, richiamiamo brevemente la logica alla base del metodo sviluppato e i primi incoraggianti risultati di validazione ottenuti (Salvatore, Gennaro, Auletta, Tonti, & Nitti, submitted) L’Automated Co-occurrence Analysis for Semantic Mapping (ACASM) è un adattamento al campo della ricerca clinica di un modello di analisi testuale elaborato nel campo della statistica lessicale e già utilizzato in 272 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ altri ambiti della ricerca psico-sociale (Carli & Paniccia, 2002; Lancia, 2002). Il metodo si focalizza sulle co-occorrenze di parole, ovvero sul modo con cui le parole si combinano tra loro nelle unità di analisi in cui il testo viene scomposto (solitamente frasi o gruppi di frasi). La cooccorrenza di parole viene utilizzata quale espressione di un criterio di somiglianza per la clusterizzazione delle unità di analisi. In altre parole, le unità di analisi vengono ricomposte in cluster in base alle cooccorrenze di parole: le unità di analisi che tendono a contenere le stesse co-occorrenze di parole vengono considerate simili e quindi raggruppate. L’idea alla base del metodo assume che un insieme di co-occorrenze determina uno specifico nucleo tematico; quindi, le unità che hanno un certo insieme di parole co-occorrenti condividono lo stesso nucleo tematico. In questo modo la procedura di analisi è in grado di fornire un livello di rappresentazione semantica del testo che codifica ogni unità di analisi nei termini di un determinato nucleo tematico. L’ACASM si basa su algoritmi invarianti operazionalizzati da specifici software (Alceste, T-LAB). In particolare noi utilizziamo la procedura implementata da T-LAB (Lancia, 2002), nella versione T-LAB_PRO_XL2. Gli algoritmi implementano le diverse fasi del metodo nel seguente modo: 1) Segmentazione del testo in unità di contesto (sostanzialmente equivalenti alle frasi). 2) Costruzione del vocabolario delle unità lessicali presenti nel testo. 3) Rappresentazione digitale del testo, nei termini della matrice avente in riga le unità di contesto, in colonna le unità lessicali, nella cella ij-esima il valore 0/1 indicativo della presenza/assenza della unità lessicale della colonna j-esima nella unità di contesto della riga i-esima. 273 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 4) Analisi multidimensionale volta alla definizione di cluster di cooccorrenze di unità lessicali (e delle unità di contesto corrispondenti a tali co-occorenze). 5) Il lavoro interpretativo del ricercatore si focalizza su tali cluster e si dedica alla individuazione del nucleo tematico di cui ciascun cluster è, secondo la logica del metodo, marcatore. È opportuno notare come la ACASM sia un metodo bottom up di analisi del contenuto: esso infatti non parte da un repertorio prestabilito di contenuti tematici in base ai quali vengono classificate le unità di testo; piuttosto, il repertorio di contenuti che funge da sistema di codifica è prodotto dal’analisi stessa, come risultato dell’identificazione di insiemi di parole co-occorrenti presenti nel testo. Da un punto di vista concettuale, il riferimento alle parole co-occorrenti all’interno della stessa unità di analisi può essere considerato un modo per prendere in considerazione la dimensione contestuale del significato, nella sua componente intratestuale. La validazione di ACASM ha adottato un impianto di analisi ispirato al criterio di Turing. Si è assunto che sarebbe stato possibile considerare valido il metodo automatizzato di codifica del contenuto, nella misura in cui i risultati della sua applicazione non fossero risultati distinguibili da quelli prodotti da codificatori umani. Il confronto tra ACASM e giudici esperti è avvenuto sui trascritti di una psicoterapia (Gennaro & Salvatore, in press; Salvatore, Gennaro, Auletta, Tonti, & Nitti, submitted). Conformemente alle aspettative, i risultati hanno evidenziato come la ACASM produca una mappatura del contenuto tematico dei trascritti delle sedute di psicoterapia non differenziabile da quella prodotta da giudici indipendenti e ciechi. Il DFA: la mappatura della dinamica dello scambio clinico Da alcuni anni (Gennaro, 2008; Gennaro, Melgiovanni, & Serio, 2007; Gennaro, Al-Radaideh, Gelo, Manzo, Nitti, & Salvatore, 2010; 274 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Nitti, Ciavolino, Salvatore, & Gennaro, 2010; Salvatore, Grasso, & Tancredi, 2004; Salvatore, Gennaro, Manzo, Melgiovanni, & Serio, 2007; Gennaro et al., 2010; Salvatore, Gennaro, Lis, Di Riso, Laghezza, & Sbabo, 2006) siamo impegnati nello sviluppo di un metodo di analisi del processo terapeutico in termini di dinamica discorsiva (Discursive Flow Analysis, originariamente denominato RIFLUD: Rivelatore dei Flussi Discorsivi). Tale metodo riflette i principi teorici e metodologici (ricerca sul processo, approccio contestuale e dinamico, generalizzazione abduttiva) che abbiamo illustrato nella prima parte di questo scritto. Potremmo dire che, coerentemente con la logica di generalizzazione abduttiva, l’elaborazione di tali principi ha alimentato ed al contempo è stata alimentata dal progressivo sviluppo del metodo e dal suo uso nell’analisi di casi di psicoterapia. Il DFA si inscrive nella cornice teorica del TSSM, che qualifica la psicoterapia quale dinamica tesa alla produzione di innovazione semiotica. Il DFA adotta una procedura di analisi semi-automatizzata che combina tecniche di analisi del testo e di multidimensionale. Sulla base di tale procedura, il DFA statistica identifica i principali significati attivi nel discorso tra paziente e terapeuta e mappa la struttura e la dinamica della loro combinazione. Più in particolare, il DFA descrive la dinamica delle interconnessioni tra i significati attivi nello scambio clinico in termini di Rete Discorsiva. La Rete Discorsiva può essere analizzata sia quantitativamente che qualitativamente. L’analisi quantitativa si basa su una serie di indici (Attività, Connettività, Nodi sovraordinati) che permettono di stimare la forza dinamica della rete (la sua capacità di generare significati innovativi), così come la sua struttura (il livello e la natura delle connessioni tra i significati attivi nel flusso discorsivo). L’analisi qualitativa concerne l’interpretazione clinica del contenuto dei significati corrispondenti ai nodi della rete (Gennaro, 2008). 275 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Il DFA è stato applicato all’analisi di casi di psicoterapia di diversa lunghezza e diverso orientamento, con lo scopo di studiarne la validità, sia di costrutto, sia relativa a un criterio. Per quanto riguarda la validità di costrutto, gli indici dinamici e strutturali del metodo si sono mostrati capaci di offrire una rappresentazione dello scambio comunicativo tra paziente e terapeuta sensata dal punto di vista clinico e coerente con il TSSM, che ne costituisce la cornice concettuale. Per quanto riguarda la validità di criterio, i risultati principali sono così sintetizzabili: a) Salvatore, Gennaro, Grassi e colleghi (2007) hanno applicato il DFA a una psicoterapia a esito positivo (caso di Katja; Dimaggio & Semerari, 2001; Dimaggio, 2007) di 124 sedute. Gli indici del DFA risultano correlare con gli indici IVAT (Indice di Valutazione dell’Alleanza Terapeutica; cfr. Colli & Lingiardi, 2002) e con alcune delle scale della DMRS (Defense Mechanism Rating Scale; Perry, 1990) — per l’applicazione di ambedue gli strumenti al caso Katja si veda Lingiardi, Colli, & Gazzillo, 2007). Tali correlazioni sono state interpretate come un elemento a riscontro della capacità del DFA di cogliere specifici andamenti clinici (alleanza terapeutica e modifica dei pattern difensivi). b) Un successivo lavoro, basato sull’analisi di un caso di psicoterapia breve (caso di Lisa, 15 sedute; Gennaro, Melgiovanni, & Serio, 2007) ha verificato la capacità del DFA di discriminare tra le sedute ritenute clinicamente positive e non positive — definite tali sulla base di un criterio esterno indipendente: la presenza o l’assenza di un ciclo terapeutico individuato attraverso il TCM (Merghentaler, 1996). L’interpretazione degli indici del DFA in termini di pattern ha permesso di discriminare tra le due categorie di sedute con una percentuale di successo del 100%. c) Gennaro, Gonçalves, Mendes, Ribeiro e Salvatore (in press) in uno studio di convergenza tra il DFA e l’Innovative Moment Coding System (IMCS; Goncalves, Ribeiro, Matos, Santos, & Mendes, 2010) 276 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ hanno trovato una forte correlazione tra le caratteristiche formali e funzionali dello scambio clinico, così come misurate dal DFA, e il contenuto delle narrazioni, così come interpretato alla luce dell’IMCS. Prospettive Nelle pagine precedenti abbiamo illustrato le principali linee di ricerca sul processo psicoterapeutico che ci hanno visto impegnati nell’ultimo lustro. Come è ovvio che sia, il nostro è un percorso in fieri. Ogni passo in avanti è foriero di ulteriori sollecitazioni e aperture: tre sono le principali aree sulle quali stiamo attualmente concentrando la nostra attenzione. Sul piano teorico, alcuni di noi sono impegnati nell’approfondimento della linea di pensiero che ruota intorno alla generalizzazione abduttiva, nella prospettiva di fondare su tale modello di costruzione della conoscenza una rivisitazione in chiave idiografica della psicologia, dunque della psicologia clinica e della ricerca in psicoterapia (Salvatore, Gennaro, & Valsiner, 2011). Sul piano metodologico, riteniamo strategico il radicamento entro il campo della ricerca di processo della logica, dei modelli e degli strumenti di analisi derivanti dalla Teoria dei Sistemi Dinamici. Non si tratta di importare procedure di analisi e tecnicalità mutuate da altri campi, ma di sviluppare modelli dinamici coerenti con la natura dei fenomeni clinici (Salvatore & Tschacher, submitted; Gelo, Ramseyer, Mergenthaler, & Tschacher, 2008). Infine, una parte rilevante dei nostri sforzi è indirizzata all’ulteriore sviluppo e validazione delle strategie di ricerca su cui abbiamo lavorato negli ultimi anni. Richiamiamo di seguito brevemente i programmi di lavoro su cui stiamo investendo. 1. Il primo è rappresentato dal DFA. Stiamo progettando una serie di ulteriori studi di casi, in ragione dei seguenti scopi: 277 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ a) testare ulteriormente la validità di costrutto e convergente del metodo, in relazione ad altri metodi di analisi e nel contesto di una varietà di psicoterapie, terapeuti, pazienti, setting, esiti, caratteristiche del processo; b) approfondire il significato clinico del metodo, analizzando il contenuto clinico associato agli andamenti degli indici dinamici e strutturali definiti dal metodo; c) usare il DFA per differenziare gli aspetti della costruzione intersoggettiva del significato che operano come dimensioni costitutive dello scambio clinico rispetto agli aspetti che si caratterizzano come specifici — gli aspetti, cioè, che riflettono le caratteristiche associate alla efficacia ed efficienza del processo, e/o ad un tipo o altro di psicoterapia, così come agli aspetti contingenti e particolari dei diversi casi. 2. Il secondo programma di lavoro, avviato di recente, è l’elaborazione di un sistema di codifica degli interventi interpretativi del terapeuta: il GMI – Grid of Models of Interpretation (Auletta, 2010; Auletta & Salvatore, 2008; Auletta, Salvatore, Metrangolo, Monteforte, Pace, & Puglisi, submitted). Il nostro scopo è di pervenire a uno strumento di analisi focalizzato sulla funzione di regolazione dei processi di significazione esercitata dal terapeuta. Per questa ragione, il GMI è stato pensato come uno strumento trasversale ai diversi modelli di psicoterapia, complementare al DFA: attraverso di esso contiamo di rilevare il ruolo dell’attività regolativa (di negoziazione e di elaborazione dei significati) che il terapeuta esercita sulla dinamica dello scambio clinico. Dal punto di vista metodologico, il GMI adotta un impianto coerente con l’approccio generale discusso nei precedenti paragrafi. La codifica si articola su 5 dimensioni (Contenuto dell’attività interpretativa, Dominio della attività interpretativa, Orientamento temporale, Orientamento spaziale, Forma), ciascuna organizzata in 278 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ modalità specifiche mutuamente escludentesi (il Contenuto si articola nelle modalità: Rappresentazione, Difese, Impulsi, Meccanismo di funzionamento, Affetti, Motivazione; il Dominio si articola nelle modalità: Intrapsichico – Relazionale; Orientamento temporale in: Presente, Passato, dal Presente al Passato, dal Passato al Presente; Orientamento Spaziale in: Interno ed Esterno al setting; Forma in: Assertiva, Soggettiva, Dimostrativa). Il GMI, dunque, non prende in esame l’intervento interpretativo del terapeuta in modo globale. Al contrario, esso opera analiticamente, focalizzandosi su 5 aspetti paralleli, ognuno dei quali preso in considerazione in quanto riconosciuto come una specifica dimensione/caratteristica dell’interpretazione. Successivamente, tramite una procedura di analisi multidimensionale, il GMI estrapola i pattern nei termini dei quali le diverse modalità si combinano nella concreta attività interpretativa sottoposta a investigazione. Tale procedura presenta due vantaggi. In primo luogo, potenzia l’attendibilità della codifica, come conseguenza della specificità e del basso livello di inferenza implicato nella applicazione di ciascuna dimensione. In secondo luogo, questo tipo di approccio, grazie alla sua logica bottom-up permette di evitare il ricorso a griglie predefinite, pensate indipendentemente dal caso analizzato. Grazie a queste caratteristiche metodologiche, il GMI sembra essere in grado di offrire una descrizione del processo psicoterapeutico (specificamente, del processo interpretativo) sensibile al contesto dello scambio clinico (Greenberg & Pinsof, 1986; Jones, Parke, & Pulos, 1992; Lauro-Grotto, Salvatore, Gennaro, & Gelo, 2009; PascualLeone, Greenberg & Pascual-Leone, 2009). Un primo studio ha applicato il GMI a 4 psicoterapie, 2 a indirizzo cognitivo e 2 a indirizzo psicodinamico (Auletta, 2010; Auletta, Salvatore, Metrangolo, Monteforte, Pace, & Puglisi, submitted). I risultati ottenuti depongono in favore dell’attendibilità e della validità 279 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ di costrutto del metodo. Il GMI ha messo in luce un livello soddisfacente di accordo tra giudici esperti, non influenzato dall’orientamento della terapia. Inoltre, le dimensioni e le categorie che costituiscono il sistema di codifica si sono dimostrate in grado di descrivere in maniera efficace le caratteristiche dell’attività interpretativa del terapeuta. Infine, sia a livello di singole categorie sia a livello di pattern aggregati, il GMI si è mostrato in grado di discriminare le psicoterapie analizzate in base al loro orientamento teorico e secondo criteri significativi da un punto di vista clinico. 3. Il terzo programma riguarda lo sviluppo di un metodo di analisi semantica delle narrazioni del paziente — il DMSC (Dynamic Mapping of the Structures of Content in Clinical Settings (Salvatore, Gennaro, Auletta, Grassi, & Rocco, submitted). Tale metodo si focalizza su un livello generalizzato di significato concernente gli aspetti di base che organizzano le narrative (ad esempio, narrative relative al sé vs narrative relative ad altro da sé). Questa scelta è stata dettata da due fondamentali ragioni: da un lato, per ridurre la dipendenza dell’analisi dagli aspetti contingenti della comunicazione; dall’altro, anche in questo caso per fare del DMSC uno strumento trasversale ai diversi modelli di psicoterapia. Il DMSC viene applicato da giudici ai trascritti delle sedute di psicoterapia e, secondo la stessa strategia metodologica del GMI (analisi dei pattern), è finalizzato a identificare le combinazioni (definite Pattern di contenuto) delle categorie che caratterizzano le narrative del paziente. Inoltre, coerentemente con le indicazioni metodologiche derivanti dalla Teoria dei Sistemi Dinamici, il DMSC non considera i pattern in sé, ma le loro transizioni: la probabilità che un determinato Pattern di contenuto succeda a un altro Pattern di contenuto. Una prima ricerca (Salvatore, Gennaro, Auletta, Grassi, & Rocco, submitted) ha applicato il DMSC ad un campione di 13 sedute 280 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ estratte casualmente dalle 124 sedute del caso di Katja. I risultati di tale studio offrono sostegno alla validità di costrutto del metodo. In linea con il modello teorico su cui esso si basa, è stato riscontrato come: a) il DMSC delinea una rappresentazione significativa delle narrative del paziente in termini di Pattern di contenuto; b) alcune probabilità di transizione tra i pattern di contenuto (vale a dire la probabilità che ad un determinato pattern segua un certo altro pattern) sono associate in modo significativo alla qualità clinica delle sedute (definita indipendentemente sulla base di un criterio esterno). Attraverso il DMSC intendiamo analizzare il contributo del paziente alla costruzione del dialogo terapeutico. Nelle nostre intenzioni il DMSC integra il repertorio degli strumenti grazie ai quali sviluppare un’analisi del processo terapeutico coerente con il quadro teorico definito dal TSSM. Riteniamo che l’applicazione congiunta del DFA, del GMI e del DMSC ci metterà nelle condizioni di analizzare il rapporto di reciproca regolazione tra la dinamica intersoggettiva di costruzione di senso e le operazioni discorsive prodotte dai partecipanti a tale dinamica (paziente e terapeuta). Bibliografia Andersen, S. (2001). The Emergence of Meaning: Generating Symbols from Random Sounds – A Factor Analytic Model. Journal of Quantitative Linguistics, 8(2), 101–136. Auletta, A.F. (2010). The empirical study of therapist interpretations; the Grid of the Models of Interpretations (GMI). Tesi di dottorato non pubblicata, Università del Salento, Lecce. Auletta, A.F., & Salvatore, S. (2008). 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The conceptual framework, the main results and the future directions of each line are discussed. Keywords Process research, theory of dynamic systems, idiographic science, abduction, textual analysis, Discursive Flow Analys Ricerca multistrumentale in psicoterapia, valutazione in psicosomatica e nei servizi psichiatrici: gruppo di ricerca coordinato da Marta Vigorelli Marta Vigorelli1 Sommario Il nostro gruppo di ricerca è nato nel 2001, nel contesto degli insegnamenti esterni all'Università di Milano-Bicocca: “Valutazione dell’efficacia in psicoterapia” e “Interventi psicologici nel servizio pubblico”. Inizialmente era formato da me, Mariangela Villa e Riccardo Scognamiglio per quanto riguardava le ricerche sull’outcome in area clinica; da me, Valentina Stirone e Ilaria Peri per gli interventi nei centri di salute e nelle comunità terapeutiche. Le aree di ricerca che abbiamo approfondito in questi anni sono state: 1) La valutazione multi-strumentale del processo psicoterapeutico in “single cases”; 2) Alessitimia e psicosomatica: ricerca che ha portato allo sviluppo della scala di intelligenza emotiva (Scognamiglio, 2008, 2009); 3) Contributo alla validazione di nuove tecniche psicoterapeutiche, in particolare l’EMDR; 4) Monitoraggio del percorso clinico degli interventi nelle istituzioni (DSM e comunità terapeutica): ricerca che ha portato alla costruzione del Community Functioning Questionnaire, CFQ-28 image (Vigorelli, Zanolini, Belfontali, Tatti, Buratti, & Peri, 2008). Parole chiave Efficacia dei trattamenti, valutazione multistrumentale, single case, 288 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ psicosomatica, istituzioni -----------------------------------------------------------------------------------------------1 Università di Milano-Bicocca Corrispondenza: Marta Vigorelli E-mail: [email protected] Introduzione Il nostro gruppo di ricerca è di recente formazione ed è stato composto inizialmente da me, Riccardo Scognamiglio e Mariangela Villa: dopo una ventennale esperienza di clinici con formazione psicoanalitica su un’ampia gamma di psicopatologie (in particolare psicosi, disturbi di personalità e psicosomatosi) e con funzioni di formazione di allievi in training, abbiamo sentito l’esigenza di approfondire anche la validazione di quanto andavamo realizzando in campo clinico, con buoni risultati, ma anche con grandi difficoltà nell’approccio ai pazienti gravi; sentivamo anche l’importanza di trasmettere agli allievi strumenti di ricerca che consentissero di osservare e partecipare al processo psicoterapeutico in un modo più oggettivo rispetto alla tradizionale e pur efficace “narrazione dei casi clinici”. Il gruppo è nato nel 2001 nel contesto degli insegnamenti esterni presso l’Università di Milano-Bicocca, Valutazione dell’efficacia in psicoterapia parallelamente alla collaborazione con Emilio Fava presso il Centro di Psicoterapia della clinica universitaria diretto da Salvatore Freni 289 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ e con l’Istituto di psicosomatica Integrata di Riccardo Scognamiglio. Attraverso il lavoro delle tesi di laurea è iniziata una feconda collaborazione con due statistici della Facoltà di Psicologia: Hans Schadee e Marcello Gallucci. Come soci della Society of Psychoterapy Research e inizialmente anche dell’Associazione Italiana di Psicologia abbiamo avviato significative collaborazioni con Vittorio Lingiardi e Antonello Colli, con Pokorny, Mergenthaler, Omar Gelo, Wilma Bucci e Rachele Mariani e recentemente con Diego Sarracino e il gruppo di Alessandro Zennaro. L’occasione è stata la partecipazione ai congressi nazionali: con l’AIP a Bari nel 2003, Aosta 2004, Cagliari 2005, con la SPR Milano 2003, San Benedetto del Tronto 2005, Reggio Calabria 2006, Modena 2008, Perugia 2010 e ad alcuni congressi internazionali (Roma 2004, Edimburgo 2006, Barcellona 2008) e a quelli europei di Ginevra 2007 e Bolzano 2009. In seguito abbiamo pubblicato alcuni dei nostri lavori sulla Rivista Ricerca in Psicoterapia e Psichiatria di Comunità e il volume Laboratorio didattico per la ricerca in Psicoterapia con la Libreria Raffaello Cortina (2009b) che riassume pienamente la nostra ottica di lavoro e gran parte delle ricerche scaturite dalla collaborazione con i numerosi laureandi che si sono appassionati a questo tipo di interesse (continuato poi nelle scuole di specializzazione in psicoterapia a orientamento, per lo più cognitivo e psicodinamico) in particolare: Maria Aliprandi, Elisa Buratti, Laura Capelli, Susanna Conserva, Hanna Fischer, Elisa Fogliato, Laura Marchesi, Cristina Mastronardi, Ylaria Peri, Filippo Rapisarda, Marta Sala, Valentina Stirone, Francesca Trussoni. Nel contesto dell’insegnamento Interventi psicologici nei servizi pubblici socio-sanitari presso l’Università Milano-Bicocca è scaturito un altro filone di ricerca orientato alla valutazione dell’out-come e alla valutazione dell’appropriatezza degli interventi nei Centri di Salute Mentale e nelle Comunità terapeutiche pubbliche o private convenzionate. Le collaborazioni più significative e continuative sono state con il DSM di Milano Niguarda, di Roma B, e di Messina e con 290 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ alcuni epidemiologi della SIEP: Antonio Lora e Arcadio Erlicher. Le aree di ricerca che abbiamo approfondito sono state: 1) valutazione multistrumentale dei processi psicoterapeutici con ricerche su “single case”; 2) area alessitimia e psicosomatica (Scala dell’intelligenza emotiva, Scognamiglio, 2008, 2009); 3) contributo alla validazione di nuove tecniche psicoterapeutiche in particolare l’EMDR (Eye Movement Desensitizazion and Reprocessing); 4) ricerche per monitorare l’andamento clinico degli interventi nelle istituzioni (Centri di salute Mentale pubblici e Comunità terapeutiche). 1) Valutazione multistrumentale dei processi psicoterapeutici con ricerche su “single case” Finalità: individuare indicatori nella coppia psicoterapeuta-paziente, che aiutino a cogliere aspetti predittivi di buono o negativo esito con la lente di ingrandimento sul microprocesso, soprattutto con pazienti “difficili”. Metodi e strumenti: parallelamente allo studio su casi singoli, attraverso i quali abbiamo contribuito alla validazione dell’IVAT di Colli e Lingiardi (2002; oggi Collaborative Interactions Scale – CIS; Colli & Lingiardi, 2009a) per la valutazione dell’alleanza terapeutica (Villa, Colli, Vigorelli, Cirillo, Manzoni, Schadee, & Lingiardi, 2005; Villa, Colli, Manzoni, Schadee, Vigorelli, & Lingiardi, 2006; Villa, Porta, Schadee, Colli, Manzoni, Rapisarda, & Vigorelli, 2006) e del Countertransference Assessement Q-sort (CTA Q sort; Colli e Lingiardi, 2009b; Colli & Prestano, 2006) che valuta il controtransfert del terapeuta, nonché alla collaborazione con il gruppo di Emilio Fava su SASB fino al 2006 (Aliprandi, Sala, Taglietti, & Conserva, 2006; Aliprandi, Vigorelli, Sala, Fava, & Schadee, 2006; Capelli, Fava, Taglietti, Aliprandi, Arduini, Freni, Schadee, & Vigorelli, 2005; Capelli, 2006; Fava & Vigorelli, 2006; 291 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Vigorelli, 2006; Marchesi, 2006; Marchesi, Vigorelli, Schadee, Fava, & Capelli, 2007) il nostro interesse si è orientato alla valutazione multistrumentale del processo, a partire dall’ottica del trattamento “su misura del paziente” (Roth & Fonagy, 1996); questo perché, in accordo con le riflessioni condotte in questi ultimi anni sul funzionamento della relazione terapeutica e sulla valutazione dell’efficacia attraverso l’analisi del processo-esito (Norcross & Hill, 2004; Lambert & Ogles, 2004; Dazzi, Lingiardi, & Colli, 2006; Lingiardi & De Bei, 2007; Fava, 2007), riteniamo che la valutazione dell’esito e del processo debba essere il più possibile aderente all’esperienza reale e multidimensionale, considerando i risultati da diversi punti di vista e per un periodo di tempo sufficientemente lungo (Fava, 2007). Studio pilota Siamo partiti da un caso “esemplare” di schizofrenia paranoide, un trattamento integrato che ci ha permesso, innanzitutto, di individuare i limiti degli strumenti di ricerca più utilizzati nell’applicazione alla psicosi (Vigorelli, Scognamiglio, Villa, Corona, & Traini, 2003b; Vigorelli, Scognamiglio, Villa, Corona, Traini, Fogliato, & Schadee, 2004). Solo il modello RA di Bucci ha consentito, infatti, una rilevazione del processo sin dall’inizio, quella che, generalmente, corrisponde alla fase francamente psicotica (Vigorelli, Fogliato, Traini, Scognamiglio, Villa, & Corona, 2004). Il DMRS invece, si è dimostrato utilizzabile con attendibilità solo quando inizia un primo miglioramento: si è aperta quindi la discussione relativa alla mancanza di un cluster per le difese psicotiche nella Rating Scale di Perry, tema di ricerca di notevole interesse messo in campo da Lingiardi e Madeddu nel loro volume su “I meccanismi di difesa” (Lingiardi & Madeddu, 2002) e solo in parte esplorato dal gruppo di ricerca di Freni a Milano (Freni, Azzone, Bartoccetti, Molinari, Piasentin, Verga, & Viganò, 1998). A questo proposito attendiamo e sosteniamo il gruppo di ricerca di Lingiardi che 292 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ con Maria Grazia Di Giuseppe, sta promuovendo questa possibile amplificazione della griglia di Perry. Inoltre, poiché la comunicazione dei pazienti psicotici è spesso frammentata, iterativa e manca di un sufficiente numero di episodi relazionali, anche il CCRT è risultato applicabile solo in fase conclusiva. Partendo da questo e da un altro caso di psicosi con disturbo delirante, abbiamo quindi realizzato l’adeguamento di uno strumento di valutazione di processo utilizzabile per la comunicazione specifica di pazienti psicotici e con gravi disturbi di personalità, con l’ampliamento del CCRT- LU (CCRT- LU- RM; Sala, Vigorelli, Schadee, Williams, Ortu, & Brenna, 2005; Sala, Vigorelli, Fava, Aliprandi, & Schadee, 2006; Sala, Vigorelli, Schadee, Williams, Ortu, & Aliprandi 2006; Sala, Vigorelli, Pokorny, & Vicari 2006; Sala & Vigorelli, 2008). In riferimento alla valutazione del processo trasformativo realizzato nella psicoterapia a lungo termine con esito positivo del caso di Candida, l’analisi multistrumentale ha previsto l’applicazione a 5 trascritti tratti da 5 differenti fasi del trattamento dei seguenti strumenti: la DMRS (Perry, 1990) per la valutazione dell’evoluzione delle difese; il CCRT (Luborsky, 1977), il CCRT-LU (Albani, Kächele, Pokorny, Modica, & Sacchi, 2003; Scognamiglio, Vigorelli, Villa, Corona, & Traini, 2005) e la nuova versione per le patologie gravi CCRT-LU-RM (Sala & Vigorelli, 2008) per la valutazione del cambiamento del tema relazionale centrale e dei pattern d’interazione disfunzionali, degli oggetti ed episodi relazionali; l’IVAT (Colli & Lingiardi, 2002) per valutare il cambiamento dell’alleanza di lavoro nella coppia e lo stile di rottura della paziente e i tipi di risoluzione del terapeuta, l’AR (Bucci, 1995) per valutare la progressiva integrazione che si realizza nel corso del trattamento tra livelli inizialmente dissociati nella paziente (subsimbolici, simbolici non verbali e verbali). Risultati: l’analisi con gli strumenti utilizzati ha consentito di delineare la corrispondenza in parallelo tra il miglioramento complessivo 293 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sintomatologico, cognitivo e relazionale della paziente nel percorso clinico e il cambiamento in alcune aree della personalità e nella relazione terapeutica attraverso la valutazione di strumenti empirici. Le correlazioni cliniche più evidenti sono tra l’evoluzione delle difese, il cambiamento di pervasività del CCRT nelle varie fasi del processo terapeutico con il passaggio da Cluster disarmonici a Cluster più armonici, l’incremento dell’Attività Referenziale, dell’alleanza terapeutica e la risoluzione dei sintomi psicotici, mentre a una scarsità di episodi e di oggetti relazionali corrisponde una prevalenza di difese psicotiche, l’indice minimo di RA e i punteggi più bassi nell’HSRS e l’Indice di Gravità più alto nella SCL-90-R nella prima fase del trattamento. La corrispondenza tra questi indici parrebbe mantenersi sincronica soprattutto nella fase critico-intensiva e nelle due fasi finali, segnalando nella paziente un aumento delle capacità autoregolative, riflessive e integrative, che le hanno consentito il complessivo miglioramento sul piano sintomatico e adattativo, dovuto soprattutto alla trasformazione delle modalità relazionali esperite nella relazione duale, evidenziata soprattutto dalla nuova versione del CCRT-LU-RM e dalla scala IVAT. a) Partendo dall’ipotesi che nel corso della psicoterapia si dovrebbe modificare l’assetto difensivo, con una riduzione delle difese primitive e una comparsa o aumento delle difese più mature, si è osservata un’importante modificazione dalla prima fase della psicoterapia, caratterizzata da una massiccia presenza di difese primitive: il 38% di difese psicotiche (proiezione delirante allucinatoria,depersonalizzazione, frammentazione, disregolazione congelamento (acting, persecutoria, distorsione motorio), ipocondriasi, il 23% aggressione proiezione psicotica, di difese passiva, di ritiro nell’apatia), il 31% di difese Borderline (scissione dell’immagine del se e dell’oggetto, identificazione proiettiva, dissociazione maggiore) e un 8% di Diniego, a una fase finale che vede l’incremento graduale delle difese mature (autoaffermazione, auto-osservazione, affiliazione, 294 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ sublimazione, altruismo, anticipazione, umorismo) che nella fase finale raggiungono la significativa presenza del 78% e l’assenza di difese psicotiche. b) Partendo dall’ipotesi che il tema relazionale centrale e le interazioni disfunzionali si dovrebbero modificare passando da cluster disarmonici a cluster armonici, con un aumento degli episodi e degli oggetti relazionali, dalla valutazione del CCRT totale di tutte le sedute di questo caso è emerso il modello relazionale conflittuale tipico di questa paziente: il desiderio di essere vicina agli altri, il sentite l’Altro rifiutante e distante e la delusione, la rabbia e la depressione che ne consegue. E questo risultato è in linea con la ricerca realizzata da Freni et al. (1998) sul rapporto tra CCRT e quadri psicopatologici; infatti il CCRT della paziente è coerente con i temi relazionali conflittuali più pervasivi nel gruppo diagnostico degli psicotici. Nella fase finale questo tema si trasforma nel desiderio di essere rispettata, nel riconoscere gli altri disposti ad aiutare e in un vissuto del Sé di sentirsi a proprio agio. Inoltre aumentano sia gli oggetti che gli episodi relazionali. Con l’analisi più approfondita del CCRT-LU-RM i cambiamenti a livello dei desideri partono inizialmente dal voler amare e sentirsi bene all’essere autodeterminata nella fase finale. Interessante l’analisi delle Risposte del Sé, indice di miglioramento terapeutico: in fase iniziale la paziente risponde principalmente con l’allontanamento, il rifiuto, mentre in fase finale invece i cluster dominanti sono (amare e sentirsi bene) e (essere autodeterminata), in linea con il desiderio finale e quindi egosintonici. Per quanto riguarda le Risposte dell’Altro, troviamo una situazione più sfaccettata, soprattutto in fase iniziale, data la diversa natura delle relazioni che la paziente riporta in seduta. In fase critico intensiva, cioè in un momento di ristrutturazione interna importante, la paziente descrive tutti gli oggetti relazionali utilizzando cluster fortemente disarmonici (I essere inaffidabile, J rifiutare, K dominare e 295 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ L far arrabbiare qualcuno, attaccare, allontanarsi) mentre in fase finale, quando la ristrutturazione interna è in via di definizione, utilizza solo i cluster armonici (A interessarsi e dedicarsi a, B sostenere, C amare e sentirsi bene, D essere autodeterminato). c) Partendo dall’ipotesi che l’alleanza terapeutica alla fine della psicoterapia dovrebbe essere positiva, bilanciando i processi di rottura, anche in questo caso si è rilevato che l’andamento complessivo dell’alleanza manifesta un decremento, sia di marker di rottura, che di risoluzione da parte del terapeuta. Questo si spiega ipotizzando che, il trascorrere del tempo e della terapia abbiano portato miglioramenti, evidenziati anche dall’affievolirsi graduale degli attacchi rivolti alla terapia e alla terapeuta, tanto che nelle ultime sedute non è stato rinvenuto alcun marker di rottura dell’alleanza terapeutica. Questi valori confermano i risultati presenti in letteratura sull’andamento dell’alleanza (Safran, Crocker, Mcmain, & Murray, 1990; Horvath & Greenberg, 1994): un progressivo peggioramento durante le fasi centrali della terapia, a cui fa seguito una ripresa positiva nella relazione durante l’ultima parte del trattamento. d) Partendo dall’ipotesi che i processi integrativi dovrebbero aumentare nel corso della psicoterapia e la presenza di residui dissociativi a fine trattamento dovrebbe segnalare aree di vulnerabilità da monitorare anche dopo la fine del percorso per evitare rischi di ricadute, in questo studio è risultato che la crescita dei punteggi dell’Attività Referenziale nelle sedute, indicative delle diverse fasi del trattamento, sembra segnalare una maggiore integrazione fra i codici sub-simbolici e simbolici che precedentemente confusione e permette una disconnesse dalle difese rielaborazione dagli stati dissociative, di che delle emozioni frammentazione, caratterizzano la personalità e la comunicazione psicotica. Il linguaggio dei trascritti infatti, nelle ultime fasi diventa più evocativo, chiaro, preciso, 296 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ immaginifico. Al contempo i decrementi improvvisi in due unità nelle fasi finali della psicoterapia in relazione a temi quali il lutto per la morte del padre e del compagno idealizzato e il commiato dalla psicoterapeuta segnalano un movimento dissociativo tra il livello subsimbolico e il simbolico della comunicazione; ciò fa supporre la persistenza di un nucleo dissociato e un’area di vulnerabilità connessa alla fine del trattamento, da monitorare con incontri periodici di verifica e di supporto. In seguito abbiamo applicato questa metodologia ai trascritti di sedute di alcuni pazienti borderline (Lo Verde, Gelo, Mariani, Sarracino, & Vigorelli, 2010; Lo Verde, Gelo, Mariani, Sarracino, & Vigorelli, in press) e ad un caso con Disturbo d’Ansia Non Altrimenti Specificato sull’Asse I del DSM (Vigorelli, Golia, Schadee, Zani, Giannopoulos, & Villa, 2009). I risultati hanno confermato l’utilità del metodo, attraverso la complessità che le sfaccettature dei singoli modelli hanno messo a fuoco; ci hanno permesso, inoltre, di elaborare nuove idee sulla relazione tra i vari aspetti del processo terapeutico e di esplorare sin dall’inizio, nell’interazione terapeuta-paziente, l’intreccio tra possibili indicatori predittivi di esito e aspetti che rivelano resistenze al cambiamento, intese come ripetizioni di modelli relazionali disfunzionali: tutto questo con la finalità di focalizzare il più efficacemente possibile gli interventi e monitorare il processo (Vigorelli & Villa, 2006; Vigorelli & Villa, 2010a, 2010b). Prospettive: dopo queste prime ricerche che confermano l’efficacia di questa metodologia e la sua utilità per la didattica anche degli allievi in training di psicoterapia, sarà ovviamente opportuno proseguire applicandola prospetticamente ad un maggior numero di casi. Sarà inoltre necessario utilizzare, come già abbiamo iniziato a fare, strumenti sia auto che etero-somministrati, che si possano integrare quantitativamente, vale a dire creando un database che contenga le variabili relative alle codifiche dei trascritti tramite tutti gli strumenti. 297 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ È nostro intento inoltre far nascere all’interno dell’IdF della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica, un gruppo ricerca su questo tema; un primo nucleo si è formato con Gianfranco Marano e Laura Capelli portando un contributo finalizzato alla costruzione di uno strumento QSort per esercitare gli allievi a formulare possibili modalità di intervento del terapeuta e criteri di validazione dello stesso, presentato alla recente Giornata di studio SPR Italia “La clinica fa bene alla ricerca quanto la ricerca fa bene alla clinica” a Urbino. 2) Area alessitimia e psicosomatica La collaborazione con il gruppo di ricerca dell’Istituto di Psicosomatica Integrata (IPSI-UNIMIB) nasce nel 2001 con ricerche single-case, concentrandosi particolarmente su area cliniche di confine (borderline, comorbilità, psicosomatica) in cui il sistema simbolico del linguaggio verbale e della rappresentazione psichica non riesce del tutto ad arginare, legare, significare il dolore psichico o quello di un corpo malato, disabitato da un'implicazione soggettiva. Dopo i convegni SPR di Milano e AIP di Bari del 2003 (Vigorelli, Scognamiglio Villa, Corona, Schadee, & Fogliato, 2003b, 2003a), nei convegni SPR del 2004 e 2005 a Roma, Losanna e San Benedetto del Tronto presentammo il work in progress di una ricerca single-case di paziente alessitimico affetto da Sclerosi Multipla (Scognamiglio, 2003; Vigorelli, Scognamiglio, Villa, Corona, & Traini, 2004a, 2004b; Vigorelli Scognamiglio, Villa, Corona, Porcelli, & Traini, 2004) che metteva particolarmente in evidenza le prospettive di effectivness di un particolare modello di psicoterapia psicosomatica integrata a mediazione corporea sperimentato per anni presso il nostro Istituto (Scognamiglio, 2005), applicabile ai quadri clinici con gravi comorbidità. 298 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Nel 2005, a partire da un'insoddisfazione clinica rispetto alla definizione quantitativa di alessitimia che forniva la TAS-20, abbiamo dato il via a un impegnativo disegno di ricerca che voleva approfondire la specificità qualitativa del rapporto che il paziente organico intrattiene col corpo e con l'espressione emozionale. Nella nostra esperienza clinica in ambito psicosomatico, questo tipo di pazienti, percepisce le sensazioni fisiologiche come entità non correlate a processi di rappresentazione psichica e la focalizzazione sulla fenomenologia somatica sembra, a volte, essere l'unica via d'uscita dallo stato di confusione fra segnali interni di natura viscerale e quelli emozionali. Nasceva così l’ipotesi di un nuovo costrutto di “Intelligenza Somatica” che indagasse i livelli di competenza metacognitiva sui fenomeni del corpo, in rapporto sia all’attività referenziale che a quella riflessiva. La prospettiva era di creare uno strumento di assessment nella diagnosi psicosomatica capace di orientare il paziente verso approcci psicoterapeutici integrati, in grado di includere la dimensione del corpo come agente terapeutico trasformativi (Scognamiglio, Fisher, Vigorelli, & Flebus, 2006a, 2006b, 2006c). I dati incoraggianti della prima fase di questa ricerca sono stati presentati nel 2006 ai congressi di Edimburgo (SPR-International) e di Cesena (GRP – Gruppo per la Ricerca in Psicosomatica, affiliato all’International College of Psychosomatic Medicine), relativamente a un primo campione composto da un gruppo di pazienti con disturbi alimentari, uno con Sclerosi Multipla e uno con pazienti affetti da quadri misti di somatizzazione, ma in trattamento psicoterapeutico secondo il modello integrato dell’Istituto di Psicosomatica Integrata. I risultati hanno evidenziato come il tratto alessitimico, pur essendo il denominatore comune, presentasse diverse modalità qualitative nei differenti campioni. Abbiamo, infine, potuto verificare come nonostante la procedura di autosomministrazione del questionario valutativo, la qualità della percezione corporea correlata all’alessitimia fosse più 299 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ accessibile alla valutazione testologica, aggirando così la principale aporia della TAS-20: che il paziente alessitimico possieda quella metacognizione sui processi emotivi necessaria a rispondere veridicamente agli stessi item che ne dovrebbero invece verificare il deficit (Scognamiglio, Zerbini, Zoccarato, Vigorelli, & Gallucci, 2008; Scognamiglio, Zoccarato, Vigorelli, & Gallucci, 2008; Scognamiglio, Zerbini, Schiavolin, Zoccarato, Vigorelli, & Gallucci, 2008). Per dare forza e rigore metodologico alla stessa ricerca, nella seconda fase, presentata a convegni SPR a Barcellona e a Modena nel 2008, abbiamo proceduto a una “ripetizione sistematica” con l'allargamento del campione clinico a pazienti con disturbo d'ansia, con depressione e dipendenza da alcool. Dalla terza fase, presentata ai congressi internazionali di Torino (ICPM – International College of Psychosomatic Medicine) e Bolzano (SPR) nel 2009, abbiamo creato una nuova Scala di Focalizzazione/Intelligenza Somatica, arricchendo progressivamente il campione, che oggi ha superato i 2000 casi (Scognamiglio, Zoccarato, Vigorelli, Gallucci, & Zerbini, 2008; Scognamiglio, 2009). Un quarto e ultimo step, tuttora in progress, riguarda uno specifico disegno di ricerca sull’applicazione della Scala sperimentale in ambito preventivo in adolescenza, indagando i rapporti fra “competenza corporea e aggressività”, presentato al convegno internazionale della SEPI (Society for the Exploration of Psychotherapy Integration) di Firenze nel 2010. 3) Contributo alla validazione dell’EMDR (Eye Movement Desensitizazion and Reprocessing) per la cura del PTSD L’interesse per le più recenti tecniche per la cura del PTSD, che si manifesta a seguito di disastri collettivi o di traumi individuali cumulativi per abuso o maltrattamento, ci ha sollecitato a specializzarci nella psicoterapia con EMDR e a condurre alcuni studi di validazione su campioni diversi: 1) 22 bambini vittime del terremoto di S. Giuliano in Molise del 2002, con reazioni postraumatiche trattati con EMDR e 300 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ valutati in 5 tempi con SCID-I; 2) 30 bambini vittime dell’incidente di Stroppiana del 2007, con diagnosi di PTSD, trattati con EMDR e valutati in 4 tempi con follow up (SCID-I, CROPS, CDC) con superamento della sindrome; 3) single case: valutazione dell’efficacia del trattamento cognitivo comportamentale (12 sedute) con EMDR su un disturbo Post Traumatico da Stress in un’adolescente di 15 anni, conseguente a un trauma da abuso e indagine sulla correlazione tra il decremento dei sintomi e l’aumento dei livelli di cortisolo urinario; 4) valutazione dell’alleanza terapeutica in un trattamento cognitivocostruttivista confrontato con un caso trattato EMDR (Riberto, Fernandez, & Vigorelli, 2007). Risultati e prospettive: i risultati della ricerca che abbiamo presentato in parte in un simposio al Congresso SPR Italia di Modena del 2008 “Il modello psicotraumatologico: un ponte tra indicatori neurobiologici e psicoterapia” confermano l’ipotesi iniziale di efficacia dell’EMDR nel trattamento del PTSD, che si traduce in miglioramenti non solo in termini di modificazioni psicologiche, ma anche neurobiologiche. Questi risultati vanno ad aggiungersi a quelli di numerosi altri studi a conferma della evidence-based (Vigorelli, Mastronardi, & Fernandez, 2008). 4) Ricerche nei contesti dei Servizi psichiatrici pubblici e nelle Residenzialità terapeutiche “L’epoca dell’autovalutazione delle esperienze psichiatriche è definitivamente tramontata ” (La Salvia & Ruggeri, 2005) e la valutazione degli interventi è una necessità ormai sottolineata da diversi autori (Roth & Fonagy, 1996). Complessa e indubbiamente difficile, la valutazione di interventi offerti dai Servizi di Salute Mentale pubblici sta diventando una pratica importante, soprattutto in seguito al processo di aziendalizzazione ospedali in dell’area aziende sanitaria ospedaliere e della che trasformazione ha comportato degli un 301 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ ridimensionamento delle risorse, ma anche un impegno nella promozione dell’utilizzo di interventi di cura efficaci. Se nel passaggio dal Welfare State al Welfare Community, il motto pare essere “Tutto a tutti coloro che hanno bisogno, ma solo ciò che è efficace”(Lg 29/1999), d’altro canto l’introduzione di questa pratica nei servizi, già oberati dal carico del lavoro clinico e burocratico, è un’operazione delicata che esige una metodologia in grado di aiutare gli operatori a superare le resistenze e i vissuti persecutori per considerarla invece un’utile opportunità di riflessione: per conoscere i risultati e conferire valore a quello che si fa, per migliorare la qualità della cura e infine per apprendere e applicare innovazione (Vigorelli, 2005). Pur riconoscendo i punti di forza di una valutazione informale, i risultati di queste valutazioni intuitive sono difficilmente giustificabili se, dal livello duale della relazione terapeutica, devono essere portati nel gruppo di lavoro o confrontati con quelli di altri tipi di intervento. Le funzioni di una valutazione strutturata infatti sono quelle di trasferire su un piano esplicito ciò che normalmente viene realizzato in modo implicito, utilizzando un linguaggio comune che consenta a tutti i membri dello stesso gruppo di lavoro di comunicare sullo stesso fenomeno in modo comprensibile, lasciando una traccia condivisa del lavoro fatto per chi sarà chiamato in causa successivamente nel processo di cura. Si propongono inoltre come filtro che struttura la relazione e il progetto terapeutico-riabilitativo, come possibilità di integrazione tra clinica e programma riabilitativo e come protezione dal rischio di cronicità dovuto al ripetersi di pratiche obsolete (Fava & Masserini, 2002). Studi longitudinali nei DSM Diverse ricerche sono state realizzate in tre Dipartimenti di Salute Mentale (Niguarda di Milano, RM/B di Roma, DSM di Messina) che seguono un modello bio-psico-sociale con interventi diversificati e scelti 302 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ a seconda dei bisogni del singolo paziente; sono state pensate dal gruppo di lavoro come mezzi per introdurre gradualmente in modo ecologico la valutazione degli interventi clinici nella prassi del lavoro reale (effectiveness) di routine nei Servizi. Fondamentale è stato il coinvolgimento di tutti gli attori del processo valutativo, dai vertici aziendali, agli staff e a tutti i vari gruppi di operatori dei CSM, per la scelta degli obiettivi, del campione e dei referenti interni del progetto. Finalità: Promuovere una cultura comune e una prassi condivisa tra tutti gli operatori rispetto alla valutazione dell'efficacia e dell'efficienza degli interventi. Avviare un processo di valutazione continua (ROA) degli interventi del Servizio. Acquisire e utilizzare uno strumento standardizzato e validato - HoNOS - per rilevare l'esito dei trattamenti. In particolare: verificare il miglioramento dei pazienti del campione; verificare l’appropriatezza dei trattamenti in rapporto alla gravità della diagnosi dei pazienti; possibilità di applicare HoNOS come predittore delle risorse (numero di operatori e tipologia di interventi); per una riflessione sui fattori terapeutici e i modelli clinici utilizzati. I disegni di ricerca sono stati proposti in modo da essere vissuti come meno intrusivi possibili, secondo una ottica naturalistica e longitudinale. Inizialmente il gruppo ha proposto ricerche con un singolo strumento (HONOS),20 successivamente, familiarizzando i Servizi alla ricerca, è stato possibile ampliare l’ambito degli studi raccogliendo altri indicatori secondo un criterio multidimensionale (psicopatologia, disabilità sociale, bisogni di cura, qualità della cura, soddisfazione verso i Servizi, carico familiare) e multiassiale, introducendo altri strumenti che prendessero in considerazione punti di vista diversi rispetto a quello dell’operatore (DASII, QPF, ROQ). In particolare: 20 Health of the Nation Outcome Scales, creata in Gran Bretagna dal gruppo di lavoro di Wing e Co. su richiesta del Ministero della Sanità al fine di valutare il disagio iniziale e il miglioramento nelle varie fasi dei trattamenti effettuati nei Servizi. 303 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ 1. Un primo studio longitudinale in 3 tempi (14 mesi) è stato effettuato nei Servizi di salute mentale dell’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda allo scopo di contribuire alla validazione della versione italiana della scala HoNOS (Lora, Bai, Bianchi, Bolongaro, Civenti, Erlicher, Maresca, Monzani, Panetta, Von Morgen, Rossi, Torri, & Morosini, 2001) e sensibilizzare gli operatori circa l’importanza di una valutazione standardizzata degli esiti. Per quanto concerne la validazione della scala (ANOVA, regressione logistica e correlazione di Pearson), l’analisi fattoriale e correlazionale ha rilevato una struttura a 4 fattori in T0 e a 2 in T1eT2, una buona affidabilità e coerenza interna, una buona sensibilità al cambiamento, confermando gli studi sulla sua applicabilità alla pratica clinica. Quanto ai risultati sul miglioramento (criterio clinicamente significativo di 7 punti) dei pazienti (campione = 263): i pazienti migliorati corrispondono al 45,3% del campione in T2 (n=216). In particolare: i pazienti con disturbo affettivo e con disturbo di personalità registrano le percentuali più alte di miglioramento (decremento medio della scala 3,01) rispetto ai pazienti schizofrenici (decremento medio della scala 1.5). I pazienti che mostrano un più netto miglioramento appartengono alle categorie diagnostiche con spettro affettivo e disturbi di personalità. Inoltre i soggetti che lavorano, che sono in possesso di un diploma superiore e che vivono con la famiglia acquisita rivelano un più significativo miglioramento. La presenza di 2 operatori nel progetto integrato è associata ad un più consistente miglioramento (Buratti, Vigorelli, Gallucci, Morganti, Schiavolin, & Peri, 2006). 2. Altri due studi longitudinali in 3 tempi e un follow up a due anni, sono stati implementati in un Centro di Salute Mentale di Roma B: a) considerando un campione di 118 pazienti gravi in carico, con ANOVA-one way, sono stati analizzati: il rapporto tra la gravità rilevata da HoNOS e la diagnosi ICD-9-CM: convergenza tra i due 304 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ strumenti; il rapporto tra gravità HoNOS e tipologie degli interventi utilizzati dal CSM (Colloquio psichiatrico, Colloquio psicologico, Psicoterapia, Farmacoterapia, Visite domiciliari, Riabilitazione, Inserimento in CD, Inserimento in Strutture Residenziali) per valutare una la distribuzione delle risorse e infine il miglioramento dei pazienti in un anno. I risultati hanno rilevato la convergenza tra HoNOS e ICD-9, un uso appropriato degli interventi in rapporto alla specificità e gravità della diagnosi e un miglioramento dei pazienti con un decremento significativo di 5.9. Con il Reliable Change Index è stato riscontrato che al Tempo 2 il 22,8% dei soggetti è migliorato, il 76,1% è rimasto stabile e l’1,1% è peggiorato. Tra l’assessment e il follow up invece il 19,8% dei pazienti del campione è migliorato e l’8,2% è rimasto stabile. Tra l’assessment e il follow up invece il 19,8% dei pazienti del campione è migliorato e l’8,2% è rimasto stabile. Per quanto concerne la riflessione sul modello intervento, i punti critici sono relativi alla riabilitazione in strutture residenziali e al coinvolgimento dei familiari, mentre i punti di forza del servizio rilevati sono stati: la buona organizzazione ambulatoriale e lo spazio dato alla psicoterapia. Tra il T0 e il follow up infatti emerge un miglioramento più lineare e continuo per i pazienti che seguono la psicoterapia rispetto a quelli che non la seguono che presentano invece un andamento di tipo quadratico, dopo un iniziale netto miglioramento c’è un minore decremento del punteggio totale HoNOS che si innalza addirittura al follow up; i pazienti che seguono la psicoterapia risultano quindi migliorare di più rispetto a quelli che non la seguono ma nel più lungo periodo (Correale, Vigorelli, Criconia, Bacigalupi, Schlosser, Cinciripini, Conte, & Stirone, 2005; Vigorelli, Correale, Conte, Stirone, Criconia, Bacigalupi, Schlosser, & Cinciripini, 2006; Correale, Vigorelli, Criconia, & Stirone, 2007). 305 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ b) Considerando un campione di 127 primi colloqui condotti nell’arco di un anno di tempo, per inquadrare più puntualmente le tipologie diagnostiche all’assessment e i drop out, i disturbi diagnostici risultati prevalenti sono stati quelli di tipo ansioso-depressivo. In particolare: il Disturbo distimico (codice ICD-9 300.4) rappresenta il 30% del totale; il Disturbo d’ansia non altrimenti specificato (300,0), pari al 12%; i Disturbi di personalità, pari all’11% (301); la Schizofrenia (295), pari all’8%. Per il drop-out: il 42% è drop-out, ha abbandonato la terapia in modo non concordato (dato che rientra nella media internazionale che è dal 42-60%). Tra questi è rilevante la percentuale assoluta che non torna dopo il primo colloquio (22%); il 31% è ancora in trattamento dopo 18 mesi; il 16% ha sospeso il trattamento concordandolo con l’operatore di riferimento; l’11% ha dovuto abbandonare il trattamento per motivi indipendenti dalla sua volontà o ha previsto il proseguimento dell’intervento in un’altra sede. Tra le variabili che si ipotizza possano influenzare l’interruzione risulta significativo solo la variabile “nucleo familiare attuale” (א²(5)=13,321 p.<0,05) e “figli” (א²(2)=6,152 p.<0,05). In particolare sembra che vivere con la famiglia d’origine sia più correlato alla probabilità di abbandono della terapia rispetto a vivere con un proprio nucleo familiare; mentre la presenza di figli sembra più correlato al proseguimento della terapia. Miglioramento pazienti: vi è una differenza significativa tra la gravità rilevata al tempo 0 e la gravità del tempo 1 (א²(6)=14,821 p.<0,05), nella direzione di un netto miglioramento alla seconda rilevazione. Infatti nessun paziente peggiora, il 37.5% rimane stabile e il restante 62.5% migliora (Vigorelli, Correale, Criconia, Bolzoni, Stirone, & Schlosser, 2008; Vigorelli, 2009a). 3. Successivamente una serie di studi ha coinvolto tutti i C.P.S. del D.S.M. dell’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda nell’ambito della introduzione di uno strumento che permettesse la formalizzazione del 306 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Piano di Trattamento Individuale (P.T.I.) in cui HoNOS è usata per l’assessment, la decisione del tipo di intervento e il monitoraggio dell’efficacia di questo (Manfrè, Simoncini, Scordari, Segato, Vigorelli, & Re, 2009). In questa ricerca con un campione iniziale di 1243 pazienti, sono stati valutati diversi aspetti: tipo di intervento previsti (consulenza, assunzione in cura, presa in carico) i trattamenti effettuati (farmacoterapia, psicoterapia, inserimento lavorativo, coinvolgimenti dei familiari, etc.) l’esito dell’intervento (rivalutazione a 6 mesi in caso di presa in carico e assunzione in cura), il drop-out, i costi, il ruolo del case-manager, l’ impatto sul lavoro degli operatori. Risultati: a) una tendenza a prendersi maggiormente cura dei pazienti con il passare del tempo; b) un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo dei punteggi di gravità (che però non raggiunge il criterio clinico di 7 punti); c) l’efficacia dei trattamenti sul lungo periodo; d) uno sbilanciamento medico-infermieristico dei trattamenti erogati: i trattamenti psicologici, sociali, riabilitativi e di coinvolgimento dei familiari risultano infatti ancora in numero troppo esiguo; e) scarsità di risorse a disposizione dei Servizi di Salute Mentale: dai dati presentati emerge una realtà in cui l’importanza della relazione paziente-operatore e l’estrema complessità dei bisogni di cura dei pazienti psichiatrici sembrano essere passati in secondo piano rispetto alle necessità di riduzione delle spese di gestione nel DSM. f) Predominanza della figura professionale e delle prestazioni dei medici psichiatri, quindi dell’approccio biologico-farmacologico ai disturbi mentali con interventi “monoprofessionali” g) Scarsa presenza di psicologi/psicoterapeuti nei servizi psichiatrici, nonostante la psicoterapia si dimostri in grado di apportare 307 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ cambiamenti maggiori e più costanti nel tempo rispetto al solo uso dei farmaci. Per quanto riguarda l’analisi dei costi, lo studio è stato circoscritto all’analisi dei costi - efficacia cioè il rapporto che intercorre tra il costo di un intervento, espresso in termini monetari e i risultati conseguiti. Per stimare i costi delle prestazioni è stato impiegato un metodo di natura top down, in base al quale i costi di periodo delle strutture sono stati ripartiti sulle prestazioni, ponderate secondo un sistema di pesi relativi. Si è quindi calcolato il tutto, grazie ai dati ottenuti direttamente dall’ufficio Programmazione e Controllo di Gestione dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda, ponendo in relazione il tempo medio con il costo standard. Gli interventi considerati sono 18 e le tariffe ottenute vanno da un minimo relativo alla farmacoterapia (senza il costo del farmaco) al ricovero ospedaliero, il più costoso perché comporta un insieme complesso di più prestazioni. Risultati: tra le diverse variabili considerate (diagnosi, gravità, variabili socio-demografiche, programma di cura, offerta delle strutture, percorso assistenziale) l’unica variabile correlata ai costi è il tipo di percorso terapeutico (territoriale-ospedalierosemiresidenziale-residenziale) seguito dal paziente nell’anno di trattamento, che nel caso del campione di 1243 pazienti è per l’80% territoriale. Per quanto riguarda la valutazione del drop-out, all’interno del DSM di Milano, i pazienti drop-out dal servizio dopo un intervallo osservazionale di un anno dal primo colloquio, sono il 19%, prevalentemente di genere femminile, con una diagnosi di sindrome affettiva o disturbo di personalità, in particolare il Disturbo Borderline di Personalità. Queste variabili sono risultate dei fattori predittivi il drop-out. L’80% dei pazienti drop-out dal servizio si trova in una fase di trattamento già avviato, di assunzione in cura, mentre il 16% è preso in carico dal servizio grazie a un intervento di tipo integrato dal punto di vista clinico, sociale e riabilitativo. Sembrerebbe che i pazienti presi in carico 308 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ (i gravi) abbiano meno possibilità di interrompere le cure, grazie al trattamento integrato ricevuto. In particolare il basso numero di pazienti drop-out con una diagnosi di psicosi o Schizofrenia per cui è prevista una presa in carico multi professionale, costituisce un eccellente risultato auspicabile anche nei casi di pazienti con un disturbo di personalità maggiormente a rischio. Dal confronto tra i due gruppi di pazienti, “drop-out” e “non drop-out”, si evidenzia una differenza statisticamente significativa: i pazienti “non drop-out”, infatti, avrebbero dei punteggi alla scala HoNOS maggiormente gravi, in particolare negli items che valutano i problemi cognitivi, problemi relazionali e difficoltà nella disponibilità di risorse per attività lavorative e ricreative. Più in generale all’inizio del percorso di cura i pazienti “non drop-out” hanno un livello maggiore di gravità della patologia rispetto ai pazienti che abbandonano il servizio per tutti gli items della scala. Da un’intervista semi-strutturata (costruita per la ricerca) somministrata a 45 dei 110 drop-out, emerge che la motivazione principale dell’abbandono del trattamento è un generale miglioramento della sintomatologia del un’insoddisfazione per paziente il autoriferita trattamento clinico (40%), seguita ricevuto (27%), da in particolare per l’esclusivo trattamento farmacologico non associato a dei colloqui psicologici o psicoterapeutici. E’ possibile quindi ipotizzare la presenza di due differenti profili di pazienti che abbandonano il trattamento: la prima tipologia di pazienti è rappresentata da soggetti con diagnosi caratterizzate da sintomi meno eclatanti ma più stabili e pervasivi, come ad esempio i disturbi di personalità, eventualmente in comorbidità con l’utilizzo di sostanze psicoattive (doppia diagnosi). Questi pazienti, proprio in merito a un livello iniziale di sintomatologia inferiore rispetto ad altre tipologie di soggetti, riescono a stabilire un’iniziale alleanza con il servizio (confermata dall’ alta percentuale di soggetti con un profilo di assunzione in cura); tuttavia la stabilità e la pervasività della sintomatologia presentata, dopo un certo periodo di 309 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ trattamento soprattutto costituito dal solo intervento psicofarmacologico e da colloqui psichiatrici, porta a un aumento dell’insoddisfazione di questi pazienti. Un’ipotesi è che non trovando un trattamento appropriato alla complessità della patologia, come ad esempio per il Disturbo Borderline di Personalità (BPD) per cui una psicoterapia è fortemente indicata (dato confermato dalla bassa percentuale di colloqui psicoterapici effettuati nei diversi CPS), questi soggetti abbandonino senza preavviso il CPS. Una seconda tipologia di paziente drop-out è rappresentata da soggetti che manifestano sintomatologie più eclatanti ma circoscritte a specifici ambiti di funzionamento; inoltre questi sintomi risultano più facilmente trattabili attraverso interventi di tipo somatico. Questi pazienti, che ad esempio sviluppano un episodio depressivo maggiore o sintomatologie di tipo ansioso e che ricevono interventi clinici di tipo psicofarmacologico, più frequentemente percepiscono un miglioramento soggettivo della sintomatologia e, ritenendo di non aver bisogno di ulteriore aiuto, decidono di abbandonare il Servizio. È comunque possibile che, sottovalutando le possibili ricadute ed equiparando il disagio psichico al solo aspetto sintomatologico, questi soggetti siano altamente vulnerabili a successivi disadattamenti. In questo caso la possibilità di ricontattare i pazienti successivamente al drop-out per somministrare un’intervista semistrutturata consente di avere a disposizione anche questi dati (Vigorelli, Gallucci Buratti, Foglia, Merlino, Moschetti, Peri, Segato, & Simoncini, in press). In Sicilia (DSM di Messina) è stata realizzata una valutazione multistrumentale di un campione di 288 schizofrenici, che oltre alla valutazione della gravità del quadro psicopatologico, sociale e comportamentale del paziente (misurata con HoNOS) ha preso in considerazione il punto di vista del paziente sul proprio livello di disabilità; il livello di soddisfazione dei pazienti rispetto a qualità 310 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ professionale degli operatori, informazioni ricevute e ambiente fisico delle strutture; il livello di carico familiare determinato dalla patologia del paziente (somministrato ai familiari del paziente). Considerando il miglioramento complessivo dopo 12 mesi: l’analisi della varianza fatta su HoNOS considerando come fattore within il TEMPO (F [2,440] = 36,978, p = 0,000) mostra un miglioramento complessivo, che non raggiunge però il criterio clinico (7 punti sul punteggio totale) che per la schizofrenia richiederebbe un range temporale più ampio. Per quanto riguarda la riproducibilità del miglioramento (RCI=8,92) è stato possibile calcolare che a T2 l’8,8% dei pazienti è migliorato, l’89,4% è rimasto stabile, l’1,8% è peggiorato. L’analisi della varianza a misure ripetute mostra un aumento statisticamente significativo dei punteggi della scala ROQ (F [1,223] = 12.418, p= 0.001), i cui valori medi passano da 87.61 in T0 a 90.10 in T2. I pazienti risultano perciò più soddisfatti. Il QPF rileva una diminuzione globale del carico familiare che si esprime sia nei termini di una diminuzione del carico, sia nell’aumento delle risorse personali ed emotive dei parenti del paziente. Viene confermata che la peculiarità dell’intervento di questo dipartimento è l’attenzione alla rete sociale in cui è inserito il paziente: infatti la presenza di interventi lavorativi e l’inserimento nelle Comunità ad alta intensità riabilitativa STAR, risultano discriminanti per il miglioramento del paziente. incongruenze nella scelta Le degli analisi mostrano interventi, che inoltre alcune suggeriscono di potenziare la valutazione iniziale dei pazienti e la conseguente scelta “su misura”dei progetti terapeutici, tra cui l’introduzione della psicoterapia indicata dalle linee guida (SNLG) ( Giovannetti, Grossi, Vigorelli, Fogliato, Palermo, Gennaro, & Motta, 2008; Giovannetti, Vigorelli, Grossi, Gallucci, Gennaro, & Motta, 2009). 311 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Un ulteriore studio denominato HoNOS-3 pianificato dagli autori che per primi hanno introdotto lo strumento in ambito italiano (Lora, Bai, Bianchi, Bolongaro, Civenti, Erlicher, Maresca, Monzani, Panetta, Von Morgen, Rossi, Torri, & Morosini, 2001) ha coinvolto Dieci Dipartimenti di Salute Mentale (Regione Lombardia: U.O. Psichiatria 47 A.O. Niguarda Ca’ Granda di Milano, U.O. Psichiatria di Saronno e U.O. Psichiatria di Busto Arsizio; Campania: ASL Caserta 2 “Aversa” e ASL Napoli 1 U.O.S.M. Distretti 48 e 50; Emilia Romagna: DSM di Imola; Molise: DSM ASL 3 ”Centro Molise”; Toscana: DSM Zona Aretina ASL n. 8 di Arezzo) con l’obiettivo di estenderne l’uso su un più ambio territorio e individuare percorsi di cura standardizzabili legati a gravità e costi degli interventi analizzando un ampio campione di differenti D.S.M. Italiani. L’analisi ha considerato 2163 casi, utilizzando ANOVA a misure ripetute con fattore within DELL’ARRUOLAMENTO TEMPO (la e divisione fattore nelle between classi GRAVITÀ subclinici, lievi, moderatamente gravi, molto gravi è stata effettuata seguendo i criteri proposti da Arrighi (Arrighi, Baj, Bezzi, Cavazza, Civenti, Di Maio, Erlicher, Farinazzo, Lora, Mapelli, Miragoli, Monzani, Panetta, Ravasio, Von Morghen, & Torri, 2002) e fattore between PERCORSO. I percorsi individuati sono 4: CSM, SPDC, RES (residenziale) e SEMIRES (semiresidenziale) e infine fattore between PERCORSO e fattore between CLASSI DI COSTO). Risultati: si osserva una importante differenza di gravità tra i pazienti del campione, così come il loro miglioramento si differenzia in base ad essa: più marcato per i pazienti “gravi”. Se a questo dato affianchiamo i risultati relativi al miglioramento differenziato per percorso di cura e per costi si conclude che non vi è una differenza significativa nel miglioramento dei pazienti assegnati a diversi percorsi, sia perché partono da livelli di gravità differenti, sia perché è ipotizzabile una corretta assegnazione al percorso di cura specifico a seconda della gravità che permette un miglioramento dei soggetti indipendentemente dal percorso. Conseguentemente a questo si osserva un maggior impiego 312 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ di risorse (individuate in costi specifici) per i pazienti più gravi, che, plausibilmente grazie a questo, migliorano in modo significativo e importante nel corso dell’anno di studio. Una nota di riflessione può essere fatta sul peggioramento, se pur lieve, della classe subclinici. Tale dato può essere letto secondo due differenti punti di vista. Il primo relativo allo strumento di misurazione che è poco sensibile a cogliere le differenze e i cambiamenti per i punteggi più bassi (ovvero le situazioni di minor gravità). Il secondo relativo al lavoro dei servizi di salute mentale pubblici spesso orientati al trattamento della psicopatologia grave e mancanti delle risorse necessarie per svolgere anche un lavoro sulla patologia meno grave e orientata alla prevenzione e promozione della salute individuale (Stirone, Vigorelli, Conte, Erlicher, & Lora, 2008; Stirone, Vigorelli, Conte, Erlicher, & Lora, 2009). Risultati e prospettive: le ricerche hanno portato ad interessanti risultati che hanno costituito spunto di discussione e riflessione nei diversi DSM. Si è stimolato il bisogno di valutazione del lavoro svolto quotidianamente nei Servizi pubblici di Salute Mentale in vista del miglioramento e del cambiamento di alcune prassi cliniche e organizzative. Importante è sottolineare come nei Servizi implicati negli studi, che hanno ricevuto restituzioni del lavoro svolto e spazi di riflessione sugli aspetti di criticità emersi, ci sia stato un proseguimento dell’utilizzo degli strumenti introdotti e talvolta un ampliamento del contesto di utilizzo della valutazione, talora anche in ambienti tendenzialmente restii alla valutazione da parte di ricercatori esterni (vedi OPG). Per i risultati specifici di ogni ricerca si rimanda alla lettura delle specifiche pubblicazioni. Studio sulla valutazione delle residenzialità terapeutiche Dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici nel 2000, la realtà delle strutture residenziali finalizzate ad accogliere in modo intensivo pazienti con disturbi mentali caratterizzati da maggiori livelli di gravità clinica o 313 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ disabilità, è aumentata in Italia in modo esponenziale (De Girolamo, Picardi, Santone, Semisa, & Morosini, 2004). Nonostante il rapido sviluppo della rete di strutture, il loro costo e la rilevanza clinicoistituzionale anche a livello internazionale pochi sono gli studi che ne hanno valutato l’efficacia (Lees, Manning, & Rowling, 1999). Anche nell’ambito della metodologia comunitaria, nonostante esistano sperimentazioni significative che documentano l’efficacia di questo intervento di cura, la crescita quantitativa non è stata accompagnata da una riflessione metodologica sistematica. La comunità terapeutica infatti è ancora caratterizzata da culture organizzative e cliniche diverse e contrastanti, tecniche poco definite e utilizzate con discrezionalità, procedure non validate in cui la qualità dipende in larga misura dagli investimenti e dalla sensibilità delle persone che lo erogano (Olivetti Manoukian, 1998). Premesso che l’effetto terapeutico di una CT dipende da diversi fattori e che la sua efficacia a livello di cambiamento è sia intrapsichico, che comportamentale, che le CT hanno molti obiettivi che mutano con il tempo di cui l’esito è solo uno di questi, è sconsigliabile fare ricerche comparative tra istituzioni tradizionali e CT. Può essere invece utile: 1) confrontare un gran numero di CT così da evidenziale relazioni tra variabili (durata permanenza, patologia dell’utenza, etc.); 2) studiare singoli aspetti che contribuiscono a creare un ambiente terapeutico (lavoro in gruppo, leadership, processi di responsabilizzazione,contatto con i familiari, con l’esterno ecc. e influenza sulla terapia dei pazienti) livello di competizione o cooperazione fra gli operatori, etc.; 3) mettere a fuoco la caratteristiche dei pazienti che maggiormente rispondono alla terapia di CT e definire che cosa sia miglioramento. Partendo residenziali dall’esperienza per pazienti di clinici psicotici, impegnati borderline e nei trattamenti adolescenti, in 314 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ collaborazione con Mito&Realtà, associazione per le comunità e residenzialità terapeutiche, è stata avviata una riflessione sui fattori terapeutici che caratterizzano il metodo comunitario e sugli principali indicatori del suo funzionamento: la capacità di lavorare in gruppo, la leadership e i processi di responsabilizzazione (Vigorelli, 2010). A questo scopo è stato costruito un questionario in corso di validazione il Community Functioning Questionnaire CFQ-28 image (Vigorelli et al., 2008; Stirone, Azzolina, Bescapè, Vigorelli, & Gallucci, 2010) composto da 28 Item con affermazioni da valutare secondo una scala Likert a 6 punti, e un disegno che rappresenti la riunione di équipe e le caratteristiche che definiscono meglio le CT e gli operatori che hanno compilato il questionario. Campione: 27 Comunità Terapeutiche del centro-nord Italia pubbliche, private, miste e private convenzionate con diversi livelli di protezione e collocazione ambientale, differente tipologia di ospiti e di modelli teorici. Risultati: dall’analisi fattoriale, effettuata ai fini della validazione, trova spazio una soluzione a 3 fattori. La varianza spiegata dai 3 fattori estratti corrisponde al 51% della varianza totale. Nella valutazione della coerenza interna è stata trovata un’elevata coerenza (alpha di Cronbach 0.95) per il fattore 1: Capacità di lavoro in gruppo e adeguatezza della leadership; Fattore 2: clima emotivo negativo dell’équipe (alpha di Cronbach 0.74) Fattore 3: responsabilizzazione rispetto agli ospiti (alpha di Cronbach 0.81). I 299 disegni sono stati valutati da 3 giudici indipendenti a partire da alcuni binomi (es: cooperazione/agonismo, strutturazione/confusione, senso di appartenenza/isolamento ecc.). Conclusioni e prospettive: Il CFQ-28 I si prospetta come strumento in grado di valutare il funzionamento delle Comunità Terapeutiche, distinguendo quelle che possiedono migliori capacità di lavoro in gruppo e una leadership più adeguata, il cui clima emotivo è prevalentemente positivo e che attuano migliori processi di responsabilizzazione rispetto agli ospiti, da quelle che risultano essere più disfunzionali riguardo questi aspetti. Relativamente ai disegni, il 315 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ campione risulta troppo ristretto per poter giungere a considerazioni generalizzabili, inoltre è necessaria una revisione dei binomi. Nel proseguo sarà necessario un allargamento del campione nelle CT di altre regioni, in particolare del centro-sud Italia. Il gruppo di lavoro che proseguirà la ricerca è composto da Marta Vigorelli, Valentina Stirone, Ylaria Peri, Samuele Moschetti, Marcello Gallucci. Bibliografia Albani, C., Kächele, H., Pokorny, D., Modica, C., & Sacchi, M.C. (2003). Modello relazionale e conflitti relazionali. Psicoterapia, 27, 7–18. Aliprandi, M., Sala, M., Taglietti, S., & Conserva, S. (2006). Esemplificazioni di valutazione multistrumentale del processo psicoterapeutico. Relazione presentata alle due giornate di studio sulla Ricerca in Psicoterapia e in Psichiatria Dinamica organizzate dall’Unità di Psichiatria e Psicoterapia del Dipartimento di Salute Mentale-Struttura Complessa di Psichiatria 4, DSM Niguarda, Milano. Aliprandi, M., Vigorelli, M., Sala. M., Fava, E., & Schadee, H. (Settembre 2006). Utilizzare la valutazione empirica per fornire indicazioni al terapeuta. Studio di un single case con un paziente non-responder. Poster presentato al VII Congresso Nazionale AIP Sezione Dinamico-Clinica, Rovereto, Italia. Arrighi, E., Baj, G., Bezzi, R., Cavazza M., Civenti, G., Di Maio, A., Erlicher, A., Farinazzo, C., Lora, A., Mapelli, V., Miragoli, P., Monzani, E., Panetta, B., Ravasio, R., Von Morghen, D., & Torri, V. (2002). Pattern di trattamento e costi nei dipartimenti di salute mentale della regione Lombardia. Il progetto di ricerca HoNOS 2. Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 4(11), supplemento. Bucci, W. (1995). The power of the narrative: a multiple code account. In J.W. Pennebaker (Ed.), Emotion, Disclosure and Health. American Psychological Assotiation, Washington, DC. Buratti, E., Vigorelli, M., Gallucci, M., Moranti, C., Schiavolin, S., & Peri, Y. (2006). Valutazione con HoNOS (Health of the Nation Outcome Scales) nei servizi territoriali di Niguarda a Milano: uno studio longitudinale. Relazione presentata al VI Congresso Nazionale S.P.R.-Italia “Tra Scilla e Cariddi”, Reggio Calabria. Capelli, L. (2006). Moti problematici e loro gestione nei casi poor outcome. Relazione presentata alle due giornate di studio sulla Ricerca in Psicoterapia e in Psichiatria Dinamica organizzate dall’Unità di Psichiatria e Psicoterapia del Dipartimento di Salute Mentale-Struttura Complessa di Psichiatria 4, DSM Niguarda, Milano. Capelli, L., Fava, E., Taglietti, S., Aliprandi, M., Arduini, L., Freni, S., Schadee, H., & Vigorelli, M. (2005). Relazione interpersonale ed esiti terapeutici: applicazioni del metodo S.A.S.B. Ricerca in psicoterapia, 8(2), 195–237. Colli, A. & Lingiardi, V. (2002). Indice di valutazione dell’alleanza terapeutica. In V. Lingiardi (Ed.), L’alleanza terapeutica. Teoria, clinica e ricerca. Milano: Raffaello Cortina. 316 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Colli, A., & Lingiardi, V. (2009a). The Collaborative Interactions Scale: A new transcript-based method for the assessment of therapeutic alliance ruptures and resolutions in psychotherapy. Psychotherapy Research, 19(6), 718-734. Colli, A., & Lingiardi, V. (2009b, October). Toward the construction of empirically derived countertransference prototypes: The countertrasference assessment Q- sort. Paper presented at the 7th European Meeting SPR, Bozen. Colli, A., & Prestano, C. (2006). 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Abstract Our research group was born in 2001, in the context of the external teachings at the university of Milano-Bicocca: “Evaluation of effectiveness in psychotherapy” and “Psychological interventions in the public services”. It was initially formed by me, Riccardo Scognamiglio e Mariangela Villa for researches on process outcomes in the clinical area; me, Valentina Stirone and Ilaria Peri for the interventions in Centers of Mental Health and in Therapeutic Communities. The areas of research that we have deepened are: 1) Multiinstrumental evaluation of the psychotherapeutic process in “single cases”; 2) Alexithymya and psychosomatic: research that brought to the development of the Emotional Intelligence Scale, (Scognamiglio, 2008, 2009); 3) Contribution to the validation of new psychotherapeutic tecniques, in particular EMDR; 4) Surveillance of the clinical course of interventions in institutions (DSM and Therapeutic Community): research that brought to the building of the Community Functioning Questionnaire CFQ-28 image (Vigorelli, Zanolini, Belfontali, Tatti, Buratti, & Peri, 2008). 322 Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy 2010; 2 (13) http://www.researchinpsychotherapy.net _____________________________________________________________ Keywords Efficacy research, multistrumentale psychosomatics, institutions evaluation, single case,