Medicina e Storia 13_07.p65

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Medicina e darwinismo fra 1880 e 1930:
il darwinismo medico
FABIO ZAMPIERI
Riassunto
L’ultimo decennio del secolo scorso ha visto la nascita di un ampio dibattito
circa l’applicazione della dottrina della selezione naturale alla teoria e alla
pratica medica. Il biologo evoluzionista George Williams e lo psichiatra
Randolph Nesse sono stati i principali protagonisti della fondazione di questo
movimento di pensiero1 . In questo lavoro si presenterà l’ipotesi secondo la
quale la medicina darwiniana dei due autori americani ha avuto un importante
precedente storico, il darwinismo medico, che si sviluppò, soprattutto in
Inghilterra, fra il 1880 e il 1930. Ho scelto di definire questo primo periodo
con il termine darwinismo medico in quanto, nonostante i due movimenti di
pensiero abbiano presentato temi e problematiche sovrapponibili, differiscono
in due aspetti fondamentali. Innanzitutto, il darwinismo medico fu una corrente
di pensiero più eterogenea e stratificata della medicina darwiniana. In secondo
luogo, il darwinismo medico concepiva la malattia come un aspetto della
variabilità organica che sfuggiva alla selezione naturale, mentre la medicina
darwiniana si sforza di trovare l’opera della selezione nella costruzione e nel
mantenimento ereditario dei caratteri morbosi. In questo lavoro si tenterà di
ricostruire le caratteristiche principali del darwinismo medico in relazione
alle problematiche della predisposizione genetica alle malattie, delle malattie
della civiltà e delle malattie infettive.
Introduzione: la medicina darwiniana contemporanea
George Williams e Randolph Nesse sono l’esempio più importante di
una renaissance di studi evolutivi in campo medico cominciata negli ultimi
1
Williams, Nesse, 1991; Nesse, Williams, 1994.
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due decenni del Novecento. La loro proposta, espressa per la prima volta
in un articolo del 19912 , è di fondare una scienza di base che vada a colmare il vuoto di studi evolutivi nei curricula medici americani ed europei e
che, in sostanza, si occupi della comprensione evolutiva dei difetti costitutivi
della specie umana, non tanto della cura individuale delle malattie. Nel sito
internet ufficiale di medicina darwiniana curato da Nesse e dai suoi collaboratori (www.darwinianmedicine.org), si trova chiaramente espresso questo
concetto:
[...] la medicina darwiniana non cerca una spiegazione evolutiva della malattia
in se stessa, e non cerca di capire perché un individuo si ammala mentre un
altro no. Cerca invece di comprendere perché tutti gli uomini sono vulnerabili
a ciascuna malattia. […]
La medicina darwiniana quindi non è una clinica, ma uno strumento
teorico che si propone di unificare le scienze mediche, sempre più frammentate nei diversi specialismi, in una visione della natura umana scientifica ed unitaria3 .
Williams e Nesse individuano tre aree tematiche specifiche di medicina darwiniana: malattie dovute ad una predisposizione genetica, malattie della civiltà e malattie infettive4 . Gli sviluppi successivi alle proposte
dei due autori americani hanno approfondito una o più di queste aree e
possiamo ridurli a due filoni principali. Uno antropologico, in cui si tenta
di ricostruire l’ambiente preistorico e le caratteristiche comportamentali
dell’uomo dell’epoca per tentare di comprendere i problemi posti dal
nuovo ambiente5 . Uno sperimentale, in cui si mettono alla prova in particolare le teorie sull’evoluzione della virulenza e la base genetica delle
malattie 6 .
Sebbene il filone antropologico sia a volte in contrasto con quello sperimentale 7 e sebbene le proposte di Williams e Nesse abbiano sollevato
numerose critiche da parte della comunità scientifica, la medicina darwiniana
mostra una notevole compattezza e unità d’intenti. Essa si presenta sempre
Williams, Nesse, 1991.
Corbellini, 2004.
4
Williams, Nesse, 1991.
5
Trevathan, 1999.
6
Stearns, 1999.
7
Stearns, Ebert, 2001.
2
3
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DARWINISMO MEDICO
come una scienza di base, il cui intento, ripetiamo, è quello di comprendere
il perché dei difetti della specie umana lasciati in eredità dall’evoluzione. La
cosa che credo sia più caratteristica e unificatrice è, inoltre, la risposta che
la medicina darwiniana dà a questo perché. Quando Williams e Nesse si
chiedono perché la selezione naturale non abbia eliminato nel corso del
tempo le caratteristiche patologiche umane, propongono questo tipo di
argomentazione: “La risposta più comune – e cioè che la selezione non è
abbastanza forte – è di solito sbagliata. Come vedremo, il corpo è un insieme
di cauti ma efficaci compromessi”8.
La caratteristica principale della medicina darwiniana risiede dunque
nel suo tentativo di trovare lo zampino della selezione naturale anche nella
costruzione e nel mantenimento delle caratteristiche patologiche nel corso
della storia della nostra specie. Tentativo che risulta effettivamente
controintuitivo, poiché ci si aspetterebbe che la selezione naturale tenda ad
eliminare le patologie in quanto caratteristiche svantaggiose da un punto di
vista della sopravvivenza e della riproduzione, ma che si sta dimostrando,
nonostante alcune critiche, di profonda fecondità.
Le ragioni dell’emergenza della medicina darwiniana e del perché tale
movimento sia nato solo ai giorni nostri meritano uno studio a parte e in
questo testo non saranno affrontate. Qui cercheremo di ricostruire le più
lontane origini della medicina darwiniana, sostenendo che ci fu un periodo storico preciso, fra il 1880 e il 1930, in cui molti medici tentarono di
costr uire una teoria evolutiva della malattia, che denomineremo
“darwinismo medico”. Tenteremo allora di descrivere questo primo
movimento sulla base delle uguaglianze e delle differenze fondamentali
con la medicina darwiniana contemporanea. Per esigenze di spazio non
potremo ricostruire nemmeno le ragioni del declino del darwinismo
medico, né cosa accadde fra il 1930 e il 1990, periodo di relativo oblio
medico del darwinismo.
D’altronde la ricostruzione del darwinismo medico ci sembra un’operazione meritevole di un approfondimento specifico in quanto, in questo
periodo di fioritura della medicina darwiniana, rimane una lacuna che
riguarda appunto l’analisi delle sue origini storiche.
8
Williams, Nesse, 1991, p. 8.
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Il darwinismo medico
Caratteristiche generali
Il darwinismo medico è stata una corrente di pensiero meno omogenea
e compatta della medicina darwiniana contemporanea in quanto caratterizzata da ideologie spesso in contrasto fra loro. In questo senso viene giustificata la scelta dell’“ismo”, in quanto si tratta di un movimento che, a differenza di quello contemporaneo, ha avuto dei profondi risvolti ideologici. Ciò in
effetti non è sorprendente. Sin dalla sua apparizione, il darwinismo si era
presentato non solo come una teoria scientifica, ma come una filosofia in
grado di fornire un’interpretazione globale del mondo fisico e naturale, nonostante ciò non rientrasse negli intenti di Darwin stesso.
Fra i medici che aderirono al darwinismo si possono individuare utilizzazioni ideologiche diametralmente opposte.
Da una parte ci fu chi salutò il darwinismo come il segno della definitiva
conquista del materialismo scientifico e del metodo sperimentale9, dall’altra
ci fu chi utilizzò la teoria darwiniana per ridimensionare, da un punto di vista
teorico, i successi di due discipline di punta del nuovo metodo sperimentale
in medicina, come la microbiologia e la fisiologia10.
Fra il 1880 e il 1930 la medicina divenne, in parte, uno strumento
dell’imperialismo europeo nei confronti delle nazioni non industrializzate
extraeuropee, non solo per le sue conoscenze riguardo alle malattie tropicali,
ma anche per la sua impostazione socio-darwiniana11 , in base alla quale si
considerava come inevitabile legge naturale la sopraffazione del più forte sul
più debole (dove la misura della forza di una razza era considerata secondo
criteri socio-economici europei).
Per quanto riguarda il complesso rapporto della teoria darwiniana con
la religione, ci furono dei medici che sostennero che il darwinismo dimostrava definitivamente l’origine animale dell’uomo e la sua appartenenza esclusiva al mondo naturale e materiale. Ci fu chi, al contrario, pensò che il
darwinismo e la teoria dell’evoluzione dimostrassero l’immortalità della vita
attraverso l’ereditarietà, avvalorando in questo modo una visione metafisica
del mondo naturale12.
Lombroso, 1869; Tort, 1996a, p. 2075.
Hutchinson, 1884.
11
Bynum, 1994.
12
Hutchinson, 1946, p. 180.
9
10
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DARWINISMO MEDICO
Nonostante queste utilizzazioni diverse ci sembra comunque possibile
comparare darwinismo medico e medicina darwiniana in quanto le due correnti di pensiero si soffermano sulle stesse aree problematiche:
predisposizione genetica, malattie della civiltà e malattie infettive. Entrambe
le correnti utilizzano la teoria darwiniana per comprendere più a fondo la
natura della malattia e di conseguenza per migliorare la medicina. Il darwinismo
medico, d’altronde, se anch’esso si presentava come una scienza di base rivolta allo studio della natura della malattia, aveva in sé, almeno in parte, una
tendenza più pratica e più vicina alla clinica, soprattutto per quanto riguarda
il concetto di diatesi e il costituzionalismo europeo e americano.
In ogni caso, la differenza teoretica fondamentale che crediamo poter
individuare fra darwinismo medico e medicina darwiniana consiste nell’utilizzo differente del concetto di selezione naturale applicato alle malattie. Se
la medicina darwiniana sostiene esplicitamente che la selezione naturale è
alla base anche del mantenimento delle caratteristiche morbose, in quanto
legate ad un bilancio fra costi e benefici del processo evolutivo, il darwinismo
medico sosteneva implicitamente che le malattie potevano continuare a sussistere nella storia evolutiva umana ed animale in quanto sfuggivano all’opera della selezione naturale. Il concetto fondamentale del darwinismo
medico è quello di variazione e la malattia è vista come una variazione
negativa a fianco delle variazioni positive su cui lavora la selezione naturale. La malattia è interpretata, in generale, come un costo necessario della
variabilità degli organismi viventi.
Paradigmatico a questo riguardo l’esempio di James Paget (1814-1899),
celebre chirurgo e patologo inglese. Come dichiarava in una conferenza
intitolata Some Rare and New Disease del 1882, la malattia varia nel corso
della storia tanto quanto variano le specie. Se è vero che certe malattie
hanno avuto una persistenza immemorabile nella storia umana sotto la stessa
forma, è vero anche che le malattie non rappresentano dei tipi immutabili.
Sarebbe bene, diceva, studiare le variazioni delle malattie come Darwin
studiava le variazioni delle specie13. Ora, il ricorso al concetto di variazione
è già di per sé diverso dal ricorso al concetto di selezione naturale. E ricorrere al concetto di variazione, piuttosto che a quello di selezione naturale,
significa ammettere implicitamente che la selezione naturale non può far
nulla di fronte alla malattia. Essa, in quanto variazione, viene ‘prima’ della
possibilità d’intervento della selezione naturale. La selezione, nella sua ver13
Paget J., 1882, Paget S., 1902, p. 368.
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MEDICINA & STORIA -
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sione teorica originaria, interviene sul mantenimento delle variazioni positive e sull’eliminazione di quelle negative, ma non può logicamente intervenire sulla variabilità stessa, fonte della sua stessa possibilità d’esistenza.
Quindi, in quanto costitutivamente variabili, gli esseri viventi presentano
sempre anche delle variazioni negative patologiche. Semmai, quando si parla
di selezione naturale riguardo alla malattia, lo si fa riguardo a una coincidenza fra ereditarietà di caratteristiche negative e positive. Come scrivevano i medici inglesi George Adami (1862-1926) e Archibald Garrod (18571936), certe caratteristiche positive possono essere correlate nella trasmissione ereditaria a delle caratteristiche negative e la selezione naturale, favorendo le prime, non può che trascinare con sé anche le seconde14 . Ma non
si fa mai menzione della possibilità che una malattia in sé stessa possa avere
un vantaggio adattativo, magari solo in una certo periodo della vita. D’altronde questa rivoluzione concettuale fu resa possibile a partire dall’introduzione del concetto di polimorfismo genetico, approfondito, per quanto
riguarda i processi patologici, per primo dal genetista John Haldane (18921964). Si dovettero attendere poi altri innovamenti concettuali riguardo
alla teoria della selezione naturale per potersi vedere aperta la possibilità di
una nuova considerazione della malattia, ma in questo testo non prenderemo in considerazione questa se pur appassionante storia15.
Inoltre, in questo primo periodo di sviluppo del darwinismo, il concetto di selezione naturale era certamente centrale, ma la problematica in
gioco era più ampia e riguardava in generale la realtà e la possibilità dell’evoluzione, indipendentemente da un meccanismo principale o esclusivo.
Così, accanto al concetto di selezione naturale, per quanto riguardava le
malattie, venivano prese in considerazione tutta una serie di meccanismi
evolutivi. Esemplare è in questo senso l’esempio del dottor James Linsday
(1856-1931) che elencava sette leggi evolutive alternative alla selezione naturale alla base della formazione delle caratteristiche normali e patologiche degli esseri viventi16.
Analizzeremo ora analiticamente le tre aree problematiche del
darwinismo medico che sono comuni anche alla medicina darwiniana per
sviluppare la nostra ipotesi fondamentale, cioè che il darwinismo medico
giustificava la malattia come carattere che sfuggiva alla selezione naturale.
Adami, 1907; Garrod, 1931.
Vedi, per esempio: Cronin, 1991; Nesse, Williams, 1994; Zampieri, 2006.
16
Lindsay, 1909.
14
15
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Predisposizione ereditaria: diatesi e costituzione
Gli storici della medicina concordano sul fatto che il concetto di diatesi
nacque e sviluppò in un’accezione specifica a partire dalla fine del XVIII secolo e che si eclissò verso gli anni ottanta dell’Ottocento in concomitanza
all’imporsi definitivo del paradigma localistico e solidistico in medicina, e
delle scienze della microbiologia e della fisiologia sperimentale17. In realtà, il
concetto di diatesi conobbe una rinascita teoretica, a dispetto della sua decadenza in ambito clinico, proprio a fine Ottocento in concomitanza con una
fondazione biologica evolutiva. Nei primi decenni del Novecento, conobbe
anche una rinascita clinica quando tale concetto fu assorbito dal più ampio
concetto di costituzione.
La diatesi indicava “[...] ogni condizione corporea, anche se indotta, in
virtù della quale un individuo, attraverso un lungo periodo, o di solito lungo
tutto il corso della vita, è predisposto a soffrire di un tipo peculiare di malattia. Alcune diatesi sono ereditarie, altre sono acquisite”18.
Se il concetto di diatesi sembrava piuttosto vago, la teoria darwiniana
forniva una base biologica che lo rendeva intelligibile in particolar modo
nell’ambito delle malattie infettive.
Thomas Laycock (1812-1876), celebre professore dell’influente scuola
di Edimburgo, fu un esperto di diagnosi fisiognomica. Attraverso la
morfologia del volto voleva trovare indicazioni riguardo alla costituzione e
alla diatesi dell’individuo. Tale analisi fisiognomica, rivolta all’individuazione
delle diatesi individuali, si doveva fondare sulle leggi biologiche dello sviluppo, inteso sia come sviluppo individuale sia come evoluzione delle specie. In
un articolo del 1862 difendeva il suo metodo:
In breve, ciò che è stato fatto per la diagnosi fisica richiede di essere compiuto
per la diagnosi fisiognomica degli stati costituzionali e diatetici. Tale schema
implica le leggi generali dello sviluppo e della trasmissione delle tendenze,
nelle loro relazioni a questi speciali modi di attività vitale, e la delucidazione
di queste leggi attraverso le osservazioni cliniche19.
Quarant’anni dopo il dottor Lindsay, pur non interessandosi di diagnosi
fisionomiche, riteneva anch’egli che l’evoluzionismo potesse dare una solida
Bynum, 1983; Burgio, 1995.
Hutchinson, 1884, p. 3.
19
Laycock, 1862, p. 3.
17
18
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base al concetto di diatesi. Scriveva nel 1909 che i medici suoi contemporanei erano diventati ormai intolleranti nei confronti della diatesi e del temperamento, ma che lo studio dell’evoluzione poteva svelare la verità nascosta
dietro all’indeterminazione di questi concetti. In particolare, l’evoluzione
mostrava che la costituzione ereditaria dell’individuo era importante tanto
quanto il germe nell’insorgenza delle malattie infettive20.
Jonathan Hutchinson rappresenta, a nostro avviso, l’esempio più significativo del tentativo di fondazione evolutiva del concetto di diatesi. Egli fu
discepolo di Laycock, di cui sviluppò la diagnosi fisiognomica, e di James
Paget, di cui sviluppò il tentativo di inserire le concezioni patologiche nelle
leggi generali della biologia evolutiva. Il suo Pedigree of Disease del 1884, dedicato a Darwin, può essere considerato come uno dei testi più significativi del
darwinismo medico. In esso Hutchinson discusse di tre concetti legati fra
loro: temperamento, idiosincirasia e diatesi21.
Il temperamento, secondo Hutchinson, era “applicabile alla somma delle peculiarità fisiche di ogni individuo”22 che costituivano “l’organizzazione
ereditaria originaria dell’individuo e non includeva nulla che sia il risultato
dell’influenza alla quale la sua vita lo ha esposto”23 . Per quanto riguarda la
malattia, il temperamento poteva dare “un certo grado di peculiarità ai processi morbosi”24 , ma senza esserne causa diretta. Da questo punto di vista, il
temperamento aveva a che fare con la salute, piuttosto che con la malattia e,
in quanto “modo fondamentale dell’attività vitale”25 – scriveva Hutchinson
citando il maestro Laycock – era difficilmente rintracciabile in una persona
sana, proprio perché una persona sana, in quanto tale, non poteva mostrare
alcuna peculiarità individuale, che si sarebbe manifestata invece nello stato di
malattia.
I criteri per distinguere i diversi temperamenti non erano facili da trovare, perché in molti casi si poteva confondere un attributo che era un carattere
acquisito durante la vita individuale con un elemento dell’organizzazione ereditaria originaria. Uno dei pochi criteri per individuare il temperamento era
la complexion, “che include il colore degli occhi e dei capelli, lo stato della
pelle per quanto riguarda grossezza, finezza o trasparenza, e vari gradi di
Lindsay, 1909, p. 1328.
Hutchinson, 1884.
22
Ivi, p. 3.
23
Ivi, p. 5.
24
Ivi, p. 3.
25
Ivi, p. 5.
20
21
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libertà nella distribuzione del sangue nei capillari del volto”26 . In realtà –
proseguiva il medico inglese – da un punto di vista clinico, era più interessante una classificazione delle razze, piuttosto che dei temperamenti27 . Successivamente, Hutchinson tentava di dimostrare che i temperamenti individuati
dal suo maestro Laycock attraverso la diagnosi fisiognomica erano piuttosto
diatesi, perché essi denotavano predisposizioni morbose ed erano il risultato
di un’interazione fra organizzazione ereditaria originale e caratteri acquisiti
nel corso della vita28 .
Hutchinson concludeva la lezione sul temperamento sostenendo che le
sue critiche erano rivolte non tanto alla possibilità di esistenza di temperamenti stessi, quanto alle possibilità di discriminarli e individuarli con esattezza. Inoltre, il temperamento non poteva non includere anche i risultati delle
malattie che modificavano la costituzione ereditaria originale in quanto, secondo Hutchinson, le malattie, si potevano trasmettere come caratteri acquisiti. Quindi, il temperamento era costituito da due elementi: gli attributi della
razza, per quanto riguardava le attitudini in stato di salute, e le diatesi come
caratteri morbosi acquisiti che diventavano ereditari e potevano caratterizzare una popolazione intera.
Per quanto riguarda l’idiosincrasia, essa era definita come “applicabile a
ogni peculiarità dell’organizzazione, le conseguenze della quale possono manifestarsi inaspettatamente e in modo altrimenti inspiegabile”29. Alla categoria
delle idiosincrasie appartenevano, per esempio, le intolleranze alimentari e certi tipi di allergie. È interessante sottolineare che, secondo Hutchinson, “le idiosincrasie in molti casi possono essere derivate dalle diatesi”30; esse cioè “non
sono nient’altro che diatesi portate fino a un certo punto”31. Per esempio, un’intolleranza grave al chinino poteva derivare dall’intensificazione, lungo la trasmissione ereditaria, di una intolleranza meno grave che poteva essere definita
piuttosto come diatesi. Le idiosincrasie erano difetti funzionali che potevano
essere ricondotti a malformazioni strutturali di natura micro o macroscopica.
Erano ereditarie, ma potevano anche essere acquisite nel corso della vita di un
individuo e poi essere trasmesse alle generazioni successive32. Hutchinson cre-
Ivi, p. 6.
Ivi, p. 11.
28
Ivi, pp. 12-14.
29
Ivi, p. 4.
30
Ibid.
31
Ivi, p. 24.
32
Ivi, p. 25.
26
27
129
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deva fermamente nella trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti – che molti
fenomeni morbosi, come la trasmissione congenita delle malattie infettive (come
la sifilide), sembravano avvalorare. Credeva inoltre nell’ereditarietà per mescolanza: i caratteri dei due genitori si potevano mescolare. Le diatesi miste,
come le definisce il medico inglese, erano infatti il frutto della mescolanza delle
diatesi del padre e della madre. Questa era anche la convinzione del maestro e
amico di Hutchinson, James Paget.
“Nello studio delle variazioni” scriveva Paget “delle malattie attraverso
combinazione e convergenza delle qualità ereditarie dovremmo non limitare le
nostre investigazioni ad una singola generazione”33.
Le idiosincrasie, infine, nel pensiero di Hutchinson, si distinguevano dalle
diatesi in quanto rappresentavano difetti più marcati rispetto agli stati diatetici
e, in secondo luogo, perché erano sempre strettamente locali, cioè relative
alla deviazione di una parte di un unico organo o funzione34 .
Hutchinson passava successivamente alla trattazione delle diatesi. Esse
erano in sostanza delle “malattie eccessivamente croniche”35 . C’erano diatesi
che predisponevano a forme definite di malattia, come la lebbra e la sifilide, altre che comprendevano gruppi di malattie molto diverse fra loro.
Allo stesso modo c’erano diatesi che derivavano da cause definite e specifiche, mentre ce n’erano altre le cui cause erano piuttosto “il contrario”36 .
Le diatesi meno specifiche dal punto di vista della varietà delle manifestazioni morbose e della causalità erano considerate dal medico inglese come
le diatesi vere e proprie.
Queste malattie [come lebbra e sifilide], per quanto possa essere prolungata
la loro possibile durata, stanno in una categoria molto diversa rispetto alla
scrofola, i reumatismi e il catarro. Queste ultime sono diatesi [scrofolosa,
reumatica e catarrale] che possono variare ampiamente in uno stesso
individuo, e sono tanto comuni da essere universali. Possiamo difficilmente
ammettere che qualcuno sia completamente libero da una di esse, e la
questione è piuttosto la considerazione del grado. Esse sono diatesi nel
vero senso della parola, ed appartengono all’intera famiglia umana, e forse
a tutti gli animali vertebrati37 .
Paget, 1881, p. 364; il corsivo è mio.
Hutchinson, 1884, p. 27.
35
Ivi, p. 71.
36
Ibid.
37
Ibid.
33
34
130
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
Qui risulta chiara la fondazione biologico-evolutiva del concetto di diatesi
operata da Hutchinson. Le diatesi scrofolosa, reumatica e catarrale erano
aspecifiche e altamente variabili in quanto universali. Esse, cioè, appartenevano al lontanissimo passato evolutivo della formazione dei vertebrati e perciò nessuno, chi in un modo chi in un altro, ne era esente. Erano ereditarie e
potevano essere aggravate o attenuate dalle abitudini di vita individuali.
La diatesi catarrale indicava la propensione dei tessuti all’infiammazione
al contatto con il freddo.
La diatesi catarrale, usando il termine in questo senso, è una delle tre
fondamentali. Essa non è dovuta ad alcuna causa specifica o specializzata.
Ogni organizzazione che possiede un sistema nervoso dev’essere immaginata
come capace di manifestarla, poiché la sua esistenza consiste nella propensione
alle congestioni infiammatorie causate, in modo riflesso, dall’influenza del
freddo applicato sulla superficie. La suscettibilità del sistema nervoso in questa
direzione differisce tuttavia, come tutti ben sappiamo, in grandi proporzioni
nei diversi individui. Queste differenze sono ereditarie e possono facilmente
diventare le proprietà di famiglie o razze38 .
La diatesi reumatica era dello stesso tipo della diatesi catarrale, con l’unica
differenza che la reumatica era in relazione esclusiva con le giunture39. La
scrofola era definita invece come “lo stato dei tessuti solidi, e in particolare
del sistema linfatico come totalità, nel quale vi è una propensione peculiare
alle infiammazioni croniche che risultano in prodotti più o meno peculiari e
specializzati”40.
In questo stesso brano il medico inglese discuteva della teoria dei germi
e metteva in rilievo come la presenza del germe non fosse tanto la causa della
scrofola, quanto l’effetto dovuto alla predisposizione diatetica.
Le scoperte moderne ci porteranno a credere che questi prodotti specializzati
sono di solito accompagnati dalla presenza di organismi particolari che non
sono né parte dei tessuti originali né derivanti da essi. Comunque sia, dovremo
studiare la diatesi scrofolosa, e le cause predisponesti della scrofola, come
prima. Dobbiamo continuare a chiederci quali sono le condizioni che
favoriscono o meno lo sviluppo del bacillo in questione. Anche il più fermo
sostenitore dei nuovi fatti lo ammette. Considerando quindi la scrofola come
Ivi, p. 122.
Ivi, p. 123.
40
Ivi, p. 124.
38
39
131
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
una condizione permanente ed ereditabile dei tessuti che favorisce la cronicità
in tutti i processi infiammatori e che li dirige a fini più o meno specializzati, è
facile vedere che in questi attacchi catarrali individuali ci possa essere uno
scarto fra il tipo usuale, e si possa non mostrare la loro naturale tendenza alla
sparizione spontanea41.
Queste tre diatesi erano universali, cioè appartenevano a tutti gli uomini
e, come già si intuiva dal passaggio appena citato, esse potevano mescolare i
loro effetti sia nella vita individuale sia nel corso della trasmissione ereditaria
fino a poter comporre un’unità tanto intimamente legata da rendere difficile
la distinzione42.
La spiegazione di Hutchinson può essere considerata come paradigmatica per tutto il darwinismo medico, anche se la medicina darwiniana fu un
fenomeno troppo complesso per essere ricondotto a un solo autore o a un
solo paradigma esplicativo. La diatesi era considerata, almeno per quanto
riguarda le tre diatesi universali, come intimamente legata al processo evolutivo che aveva caratterizzato la formazione dei vertebrati. Lo scheletro interno, il sistema nervoso centrale e il sistema linfatico erano elementi chiave
dell’evoluzione degli organismi viventi, ma nello stesso tempo erano alla base
delle tre diatesi fondamentali. Vi era quindi una coincidenza fra strutture
fondamentali da un punto di vista evolutivo e predisposizione morbosa, ma
non veniva concettualizzata un’autentica catena causale fondata sul meccanismo della selezione naturale. Se vogliamo, il concetto chiave era ancora quello della variazione e, proprio in quanto frutto della variazione, la predisposizione morbosa era logicamente giustificata. Come c’erano variazioni positive che erano ereditabili, così c’erano variazioni negative.
La dottrina della diatesi, forse proprio per questo suo richiamarsi all’osservazione e alla sintesi piuttosto che alla sperimentazione e all’analisi, caratteristiche, queste ultime, della medicina scientifica che si imponeva
definitivamente a fine secolo in tutt’Europa e negli Stati Uniti, tramontò all’alba del Novecento. Eppure non si trattò di un tramonto vero e proprio
perché il concetto di diatesi fu assorbito dal concetto di costituzione che nei
primi decenni del Novecento ebbe grande fortuna.
Il costituzionalismo era evidentemente diverso dalla dottrina della diatesi
in quanto la costituzione non indicava necessariamente la predisposizione
alle malattie, ma in genere la somma dei caratteri ereditari patologici e nor41
42
Ibid.
Ivi, p. 126.
132
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
mali, mentre la diatesi indicava predisposizione morbosa. La costituzione
indicava, allo stesso tempo, la predisposizione ereditaria alla salute e alla
malattia43. La costituzione, inoltre, si fondava su di una concezione di
ereditarietà forte e negava espressamente la possibilità dell’ereditarietà dei
caratteri acquisiti44.
Però la costituzione era anche causa della predisposizione alle malattie
e quindi rientrava nello stesso orizzonte culturale del concetto di diatesi di
fine Ottocento. Entrambi i concetti erano legati a un orizzonte evoluzionistico 45 . Entrambi erano utilizzati per stemperare l’imperialismo
microbiologico-sperimentale: importanza della diatesi, della costituzione
e dell’individualità contro la centralità del germe (microbiologia) e contro
la considerazione dei valori medi piuttosto che delle variazioni individuali
(fisiologia sperimentale). Chi negli anni trenta del Novecento parlava di
costituzione utilizzava spesso tale concetto come sinonimo di quello di
diatesi, come si leggeva, per esempio, negli scritti di Garrod e Arthur Hurst
(1879-1941) e nelle recensione dei loro testi46.
In Italia nacque il costituzionalismo di Achille De Giovanni (18371916)47, che può essere considerato uno dei precursori principali del costituzionalismo europeo degli anni venti, secondo cui la costituzione
morfologica era un prodotto evolutivo analizzabile in base alle leggi della
storia naturale48 ed era determinante nella predisposizione e nell’emergenza delle malattie. Secondo De Giovanni:
[...] alla clinica medica spetterà più urgentemente il compito dello studio anche
severo della individualità, quale emerge dalle doti ereditarie dei padri, quale si
esprime mano mano colle particolari attitudini fisiologiche e patologiche
secondo le leggi dell’evoluzione e dell’adattamento49.
È necessario sottolineare, d’altronde, che il punto di riferimento principale di De Giovanni per quanto riguardava la teoria dell’evoluzione era
Lamarck, piuttosto che Darwin, anche se nel pensiero del clinico padovano
Lamarck e Darwin convivevano senza contrasti. Da Darwin, De Giovanni
Draper, 1924, p. 431.
Hurst, 1927, p. 823.
45
Grmek, 1998a.
46
Garrod, 1931; Hurst, 1927; recensione anonima, 1927; 1931; 1932.
47
Federspil, 1989.
48
De Giovanni, 1904.
49
De Giovanni, 1904, p. 560; vedi anche Federspil, 1989.
43
44
133
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
traeva la legge dell’evoluzione di tutti gli organismi e il principio della varietà
come fonte dell’evoluzione stessa, da Lamarck la legge secondo cui ogni
individuo nel corso della sua vita era il prodotto di un adattamento attivo
alle condizioni ambientali.
La malattia, in quanto derivante dalle particolarità di una data costituzione, veniva spiegata dal clinico padovano come frutto della variabilità degli organismi.
Il fatto della volgare esperienza dei medici – scrive – corrisponde all’altro
della fisiologia, che nelle varietà della specie umana, oltre che le razze, distingue
la Individualità. E tutto questo corrisponde al principio che la Biologia proclama
– la Varietà è legge dell’essere50 .
In Germania nacque il costituzionalismo di Friedrich Martius (18501923), seguito da Ernst Kretschmer (1888-1964).
Nel pensiero di Kretschmer, oltre che l’ammirazione per il darwinismo,
si trovava ancora una volta la centralità del concetto di variazione. Trattando
delle diverse costituzioni fondamentali, sosteneva che la variabilità è il fondamento dell’individualità51.
In America, fra anni venti e trenta del Novecento, George Draper fondò
una vera e propria clinica costituzionalista presso il Presbyterian Hospital di
New York52.
Sia la diatesi sia la costituzione all’interno del darwinismo medico erano
concettualizzati in termini darwiniani, ma non erano legati direttamente, come
nella medicina darwiniana, al meccanismo della selezione naturale.
In Hutchinson e Paget la diatesi era espressione della variabilità. In De
Giovanni, Garrod, Hurst e Draper anche la costituzione era espressione della variabilità. De Giovanni tentava la definizione di un tipo ideale morfologico
grazie alla quale quantificare le variazioni da tale tipo ideale comprendendo
con ciò le possibili predisposizioni morbose dell’individuo. Draper si impegnava in un imponente programma di ricerca per un’analisi morfologica, fisiologica, immunologica e psicologica, mentre Garrod e Hurst cercavano le
variazioni piuttosto a livello fisiologico53.
De Giovanni, 1904, p. 14.
Kretschmer, 1929.
52
Draper, 1924, 1925, 1925a.
53
Hurst, 1927, p. 866.
50
51
134
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
La problematica delle malattie della civiltà e il concetto di degenerazione
Le malattie della civiltà sono quelle che dipendono direttamente dalla
manipolazione umana dell’ambiente esterno e in particolare dalle caratteristiche della città, come inquinamento, sovraffollamento e sporco, o dai costumi
particolarmente radicati in questo stesso ambiente, come alcolismo e prostituzione. Tale problematica può essere fatta risalire sino alle origini della medicina
occidentale, cioè ai trattati ippocratici e in particolare ai testi raccolti sotto il
titolo: “Dell’aria, delle acque, dei luoghi”. In questi scritti si tentava di individuare le influenze dell’ambiente sullo stato di salute, cioè del clima, del terreno,
dell’aria, degli alimenti e del genere di vita tipici di una data regione. Questo
testo può essere considerato come l’atto di fondazione della disciplina conosciuta come geografia medica, che include problematiche più ampie rispetto al
concetto di malattia della civiltà. Se infatti la geografia medica tratta delle influenze sia dell’ambiente naturale, come l’aria per esempio, sia dell’ambiente
propriamente umano, come l’alimentazione tipica di una data regione, il concetto di malattia della civiltà si riferisce alle influenze sulla salute solo delle caratteristiche dell’ambiente costruite dall’uomo stesso. In questo senso, il concetto di malattia della civiltà vide propriamente la luce nel corso del XIX secolo in cui lo scoppio demografico e dell’industrializzazione fu alla base dei problemi del sovraffollamento e dell’inquinamento nei paesi europei più avanzati,
come Francia e Inghilterra. Il chirurgo francese Luis-René Villermé (1782-1863),
per esempio, sosteneva che la ricchezza e la miseria erano elementi fondamentali della salute e del tasso di mortalità della popolazione parigina. Il grande
medico statista William Farr (1807-1883) metteva in relazione la densità di
popolazione con la frequenza delle malattie.
La nascita dell’evoluzionismo darwiniano fornì dei nuovi strumenti concettuali per l’elaborazione della problematica delle malattie della civiltà. Innanzitutto,
l’accettazione dell’evoluzione portava come conseguenza l’idea che anche le malattie evolvessero. Se nella prima parte dell’Ottocento le malattie della civiltà erano considerate come fisse e immutabili, appartenenti cioè alla specie umana da
sempre, nella seconda metà dell’Ottocento, grazie appunto all’evoluzionismo
darwiniano, si iniziò a sostenere che le malattie potessero evolvere, nascere e
morire nel corso della storia. Il modello del primo Ottocento della spiegazione
della causalità delle malattie della civiltà, inoltre, era prettamente ambientale. Nella
seconda metà del secolo a tale modello ambientale si sovrappose un modello
ereditario, che riteneva che nelle leggi dell’ereditarietà si trovasse la spiegazione
della degenerazione della popolazione urbana54 .
54
Bynum, 1983; Porter, 1993.
135
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
Il medico inglese Benjamin Ward Richardson (1828-1896), per esempio, nel
suo Diseases of Modern Life (1875) riteneva che le malattie umane fossero sempre
state le stesse e che nel tempo avessero cambiato solo di frequenza relativa. Appoggiava inoltre una visione ambientale della causalità delle malattie.
Secondo Richardson le malattie avevano accompagnato immutate la storia dell’uomo, ciò che era cambiato era solo la loro frequenza. Certe malattie
che erano state designate con caratteristiche e nomi definiti erano di rara
occorrenza in alcuni periodi piuttosto che in altri.
Il ciclo naturale della vita era qualcosa di interno alla vita stessa, mentre
le malattie provenivano dall’esterno. Nel testo appena citato Richardson passava in rassegna le malattie del suo tempo come causate, essenzialmente, dalla vita moderna: alcool, tabacco, narcotici, cibo e impurità dell’aria.
Di tutt’altro avviso il pensiero di James Paget. Le malattie evolvevano,
come le specie, quindi c’erano malattie che nascevano e altre che si estinguevano. Le malattie della civiltà, inoltre, erano causate da una degenerazione
ereditaria, piuttosto che da cause esterne. Il sovrappopolamento, per esempio, comportava un incrocio eccessivo fra le diverse razze umane causando
un’eccessiva variabilità della specie che poteva portare ad una maggiore vulnerabilità alle malattie.
I concetti di degenerato e degenerazione divennero categorie descrittive della
povertà urbana e, se in un primo momento furono considerate come prove a
sfavore della teoria della selezione naturale, nel corso della seconda metà dell’Ottocento divennero un motivo tipico del darwinismo medico e sociale.
In principio la degenerazione era associata a qualsiasi forma di variazione dal tipo ideale. Se in Darwin la variazione era la chiave dell’evoluzione in
quanto essa poteva portare dei vantaggi oltre che svantaggi occasionali, fondamentali nella trasformazione delle specie, al principio la variazione era interpretata solo come variazione negativa. Se il tipo originario era perfettamente adattato al suo ambiente, allora ogni variazione non poteva che essere
vista come impoverimento, degenerazione, mostruosità.
Se, in rapporto a noi – scriveva J.-J. Virey nel Nouveau dictionnaire d’histoire
naturelle del 1817 – la cultura del giardiniere perfeziona i frutti d’un albero o
degli ortaggi; se essa produce dei fiori doppi; se la domesticità e l’educazione
favoriscono un maggior sviluppo fisico e morale del cane e del cavallo, noi
chiameremo perfezionamento ciò che, in rapporto all’ordine naturale, si
allontana nondimeno dal tipo primordiale, è una vera degenerazione, e forse
addirittura mostruosità55 .
55
Virey, 1817, vedi anche Bénichou, 1996, p. 1152.
136
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
Grazie a Darwin si iniziò a pensare che una variazione potesse recare
dei vantaggi rispetto alla forma originaria e che attraverso queste variazioni si potessero costruire nuovi organismi più adattati ai cambiamenti ambientali. Secondo lo zoologo e embriologo inglese Edwin Ray Lankester
(1847-1929), la selezione naturale agiva sulla variazione portando a tre effetti diversi: 1) mantenimento della situazione di partenza (equilibrio); 2)
aumento della complessità della struttura (elaborazione); 3) diminuzione
della complessità della struttura (degenerazione)56 .
Per quanto riguarda le variazioni negative in assoluto, cioè le malformazioni, le tossicodipendenze e le malattie croniche, da una parte erano
viste come aspetto necessario e inevitabile della variabilità della specie,
dall’altra si iniziò a pensare che la civiltà moderna presentasse un sempre
maggior numero di degenerati perché la medicina, con i suoi incontestabili
progressi, permetteva la sopravvivenza anche degli individui inferiori, che
sarebbero stati altrimenti spazzati via nel contesto di un mondo naturale.
La medicina, in un certo modo, fu vista come un agente che andava nella
direzione opposta della selezione naturale, proprio perché salvava anche i
più deboli, i predestinati alla sconfitta nella lotta per la vita, e ciò fu visto
come un costo inevitabile del progresso della scienza medica e del benessere sociale57.
“Che la civilizzazione” [la medicina faceva parte della civilizzazione]
“si contrapponga all’azione dell’azione naturale credo sia evidente”58.
La civilizzazione non era considerata alla base solamente della degenerazione costituzionale, ma anche dell’aumento della virulenza delle specie
batteriche.
In alcuni casi – per esempio, la tubercolosi – c’è ragione di credere che la
civilizzazione e le abitudini degli uomini civilizzati abbiano avuto una grossa
responsabilità nel conferire tossicità ad organismi relativamente innocui in
condizioni più primitive di esistenza59.
Il cambiamento delle razze umane, inoltre, era visto piuttosto come un
meccanismo lamarckiano che selezionistico. Proprio per la possibilità
Di Gregorio, 1996, p. 2575.
Bynum, 1983; Porter, 1993.
58
Linsday, 1909, p. 30.
59
Ivi, p. 33.
56
57
137
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti, ritenuta ancora reale a cavallo fra Ottocento e Novecento, la degenerazione acquisita dai genitori si poteva trasmettere alla prole seguendo un processo alternativo a quello della selezione
naturale. In questo modo, per esempio, si sviluppavano i casi di alcolismo in
una stessa linea familiare60 . Il dottor John Berry Haycraft (?-1922) scriveva in
un articolo tratto da una conferenza del 1894 presso il Royal College of Physician:
[…] l’evidenza che le variazioni possano essere acquisite dai cambiamenti
costituzionali dei genitori è abbastanza conclusiva. Sia negli animali sia nelle
piante il passaggio da una dieta ricca ad una povera nel corso della vita
individuale influisce sulla ricchezza e sulla qualità del sangue e della linfa, e
perciò modifica la struttura delle cellule germinali che dipende per la sua
crescita e il suo sostentamento dal sangue e dalla linfa. […] ciascuno concorda
sul fatto che l’ambiente selettivo non possa quasi nulla nella produzione di
cambiamenti razziali61 .
La civilizzazione aveva avuto lo stesso effetto negli esseri umani e nell’addomesticamento delle razze domestiche. Se da una parte c’era stato un
miglioramento adattativo, dall’altra si era sviluppata una maggiore variabilità organica dovuta a un alto tasso di incroci e accoppiamenti che aveva predisposto la specie umana e le razze addomesticate a una maggiore vulnerabilità alla malattia.
La variazione era il punto cruciale anche di un altro tipo di
disadattamento, quello della specie umana rispetto ad alcune specie batteriche,
che sarà analizzato nel prossimo paragrafo.
Disadattamento, germi ed evoluzione
La seconda metà del XIX secolo vide la nascita di una disciplina che
rivoluzionò profondamente la medicina sia dal punto di vista teorico sia da
quello pratico: la microbiologia. Spesso la nascita di questa scienza viene
presentata dagli storici della scienza come un trionfo. In realtà il suo concetto
centrale, quello di causa necessaria e specifica della malattia infettiva, si impose non senza difficoltà.
I medici darwinisti avevano affrontato il problema delle malattie infettive come un problema di adattamento-disadattamento fra uomo e ambiente
biotico, cioè i germi. Adattamento dell’individuo al germe attraverso un pro60
61
Haycraft, 1894, pp. 403-404.
Ivi, p. 350.
138
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
cesso di immunizzazione, o adattamento del batterio alla vita all’interno dell’ospite, conseguente aumento della virulenza e disadattamento dell’ospite
nei confronti del batterio62.
Soprattutto in Inghilterra il darwinismo medico si oppose alle concezioni della microbiologia secondo cui il batterio era la causa necessaria e specifica della malattia e ogni batterio era la causa specifica di una data malattia
infettiva. Erano importanti anche la diatesi e la costituzione, per cui ogni
individuo reagiva al microbo in base alle proprie caratteristiche ereditate o
acquisite, e le malattie, lungi dall’essere specifiche, avevano tutte una filiazione
comune, per cui si poteva parlare di storia naturale della malattia o di pedigree.
L’opposizione fra darwinismo medico e microbiologia si realizzava quindi anche riguardo alla questione dell’evoluzione e della specificità delle malattie infettive e alla concezione di fissità delle specie batteriche.
Secondo il medico inglese K. W. Millican, che nel 1883 pubblicò un testo dal titolo Evolution of Morbid Germs, e secondo il medico scozzese William
Aitken, che fra 1884 e 1885 pubblicò una serie di articoli di darwinismo medico nel Glasgow Medical Journal, l’applicazione della dottrina darwiniana alla
medicina rendeva necessario studiare sia i “semi” della malattia, cioè i germi,
sia il “suolo” in cui essa si sviluppava, cioè l’individuo. Le caratteristiche
ereditarie e familiari dell’individuo influenzavano profondamente il carattere della malattia. Secondo Aitken ciò che era più importante da un punto di
vista dell’applicazione del darwinismo era l’attenzione all’evoluzione storica e individuale delle malattie infettive. Egli, che pure favorevole alla teoria
dei germi, sosteneva che il concetto di specificità delle malattie infettive
era problematico e ciò era provato appunto dalla loro evoluzione. La storia dimostrava che le malattie infettive evolvevano e le infezioni individuali
dimostravano che una malattia infettiva poteva cambiare carattere nel corso dell’infezione: per esempio, da vaiolo si poteva trasformare in scarlattina63 . Così una specie batterica poteva trasformarsi in un’altra nel corso di
una stessa infezione individuale e, se non c’era fissità della specie, non c’era
nemmeno specificità dell’infezione. Questo punto della teoria di Aitken veniva discusso in un rapporto anonimo nel numero del 17 luglio del 1886 del
British Medical Journal:
Coloro che credono che la teoria dei germi sia applicabile alla maggior parte
delle malattie infettive, contagiose e miasmatiche, e che, allo stesso tempo,
62
63
cfr. Bond, 1912; Adami, 1918.
Bynum, 1983, p. 51.
139
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
aderiscono al credo degli evoluzionisti, non vedono alcuna ragione per
supporre che i microrganismi patogeni formino un’eccezione alle leggi che
sono applicabili, a quanto pare, a tutta la Natura.
E, sebbene scettici circa molte delle spiegazioni che sono state avanzate su
queste connessioni, possiamo tuttavia ammettere che vi si trovi una certa
quantità di verità; e ciò nonostante il fatto che la conversione del bacillus
subtilis nel bacillus antracis sia stata abbondantemente rifiutata dalle ricerche
di laboratorio64 .
Il medico inglese J. D. Adami riprese alcune delle argomentazioni di
Aitken nei primi decenni del Novecento. I batteri evolvevano e, secondo
Adami, la loro evoluzione nel tempo dimostrava la realtà dell’ereditarietà
dei caratteri acquisiti65 . Le variazioni dei batteri erano indotte direttamente
dall’ambiente e questo era l’unico modo in cui si modificavano le specie che
non si riproducevano sessualmente66 .
D’altronde, il rapporto fra darwinismo medico e microbiologia non si
traducesse solo in una opposizione. Gli stessi Hutchinson, Paget, Millican, Aitken
e Adami riconoscevano, ciascuno in modo diverso, grande importanza alle
scoperte della microbiologia. D’altro lato, la stessa scuola pasteuriana sostenne
la “plasticità” delle specie batteriche contro il fissismo della scuola tedesca67 .
James Bland-Sutton, nel suo Evolution and Disease del 1890 assunse una posizione intermedia. Dopo aver sostenuto la teoria secondo cui i batteri patogeni si
erano evoluti da batteri non patogeni, Bland-Sutton prendeva in considerazione anche le condizioni che favorivano lo sviluppo di un’infezione.
È più possibile che accada [l’infezione] quando gli individui feriti sono circondati
da situazioni malsane, sono mal nutriti, e sono accalcati insieme. Non è affatto
sicuro che ogni ferita esposta al veleno dell’erisipela venga necessariamente infettata,
e i patologi ignorano le condizioni effettivamente favorevoli delle ferite allo
sviluppo del microrganismo caratteristico di questa malattia, e allo stesso modo
è certo che fra tre o più individui con ferite aperte esposte al virus qualcuno possa
salvarsi. Questa immunità può dipendere da cambiamenti chimici o fermentativi
che avvengono nella ferita, che produce un medium favorevole alla crescita e
sviluppo del germe dell’erisipela. D’altra parte è possibile che le condizioni
atmosferiche e termali possano favorire il loro sviluppo68 .
Anonimo, 1886, p. 114.
Adami, 1907, 1918.
66
Ivi, p. 40.
67
Fantini, 1996.
68
Ivi, p. 225.
64
65
140
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
Un altro esempio interessante di matrimonio fra microbiologia,
darwinismo e medicina si trova nell’opera di Giovanni Battista Grassi (18541925). Egli conciliò il darwinismo medico non solo con la microbiologia, ma
anche con il metodo sperimentale69 , che medici come Hutchinson sembravano non accettare perché ritenevano che esso non fosse in grado di riconoscere l’importanza dell’individualità.
Nell’Introduzione alla sua Memoria di parassitologia comparata del 1881 rivolta
“Ai medici italiani” il Grassi esprimeva alcune convinzioni interessanti. Egli era
sostenitore della necessità della fondazione di un’ampia patologia comparata,
in cui si tentasse di analizzare tutte le malattie di tutti gli organismi.
Come esiste un’anatomia comparata, che, prescindendo dai bisogni del pratico,
forma un corpo ed un’anima sola colla anatomia umana; così vive una
patologia comparata che è unum et idem con la patologia umana, o sperimentale,
o generale, come vogliasi dire. […] basta tentare un’applicazione anche limitata
del Darwinismo alla patologia e si vede immediatamente che restiamo
illuminati di una nuova e feconda luce70 .
Il matrimonio definitivo fra microbiologia e darwinismo avvenne probabilmente con l’opera del batteriologo francese Charles-Jules-Henry Nicolle
(1866-1936). Verso la fine della sua lunga carriera, Nicolle pubblicò due testi
interessanti: Naissance, vie et mort des maladies infectieuses nel 1930, poi, nel 1933,
le sue lezioni tenute al Collège de France sotto il titolo Destin des maladies
infectieuses.
La tesi di fondo del testo del 1933 era che le malattie infettive, in quanto
provocate da agenti biotici, avevano una storia evolutiva fatta di cambiamenti e adattamenti; perciò, per studiarle, non erano sufficienti i metodi fisico-chimici, ma serviva anche la prospettiva evoluzionistica71 . Così, tentare
di scoprire la genesi delle malattie infettive era tanto lecito quanto indagare
quella degli animali e delle piante72 . Una genesi che avveniva col meccanismo
darwiniano: il batterio nasceva come agente biotico innocuo, ma era sufficiente una catena di generazioni per avere la virulenza, cioè l’invasione di una
varietà che si era trovata adattata, per mutazione spontanea, all’ambiente interno dell’organismo ospite73.
Corbellini, 2004, p. 24.
Grassi, 1881, p. 137.
71
Nicolle, 1933, p. 32.
72
Ivi, p. 174.
73
Ivi, pp. 176-184.
69
70
141
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
Nella concettualizzazione del darwinismo medico delle malattie infettive la nascita e la persistenza di tali patologie era giustificata da una parte sulla
base del concetto di variabilità e dall’altra sulla base di meccanismi alternativi a quello della selezione naturale. Come la persistenza ereditaria della
predisposizione alla malattia era giustificata sulla base della variabilità degli
organismi viventi, variabilità da cui dipendeva la stessa selezione; come nella
problematica delle malattie della civilizzazione si parlava di disadattamento
in relazione alla variazione ambientale e all’incapacità della selezione naturale
di funzionare negli ambienti civilizzati; così il disadattamento alle malattie
infettive era spiegato come prodotto della maggiore capacità di variazione
dei batteri nei confronti dell’uomo. Tale capacità era interpretata, per esempio dal chirurgo inglese C. J. Bond (1836-1927), come in linea con i meccanismi della selezione naturale, anche se veniva introdotta in una concezione di
adattamento individuale che rispettava solo in parte le caratteristiche di un
processo selettivo darwiniano. La selezione naturale implicava, secondo il
chirurgo inglese, la conservazione di varietà adattate e l’eliminazione di varietà disadattate. L’adattamento dei batteri nei confronti degli uomini e il
conseguente aumento della virulenza implicava, invece, un riadattamento di
parti all’interno di una stessa cellula batterica, piuttosto che l’eliminazione
selettiva di cellule individuali in quanto venivano favorite quelle proprietà
chimiche del batterio che lo rendessero in grado di invadere e attaccare le
difese dell’ospite. Tale processo era definito dal medico use acquirement, in
quanto si trattava di un processo di adattamento che dipendeva dall’uso di
una parte piuttosto che di un’altra all’interno di uno stesso individuo.
Sotto il regime della selezione naturale, l’evoluzione di un nuovo tipo di
risposta sta ad indicare una variazione fra individui. Implica la distruzione di
un vecchio e la selezione di un organismo individuale più adattato durante il
processo di cambiamento delle nuove condizioni di vita. Sotto il nuovo
regime di adattamento secondo l’uso l’evoluzione di una nuova risposta indica
la variazione fra unità intraindividuali o intracellulari; significa la sostituzione
di una nuova parte per una vecchia nella macchina, invece che la distruzione
della macchina stessa74 .
Secondo George Adami, il fenomeno dell’adattamento dei batteri dipendeva dalla loro variabilità che si esprimeva secondo il meccanismo
74
Bond, 1912, p. 414.
142
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti, meccanismo alternativo a quello della
selezione naturale75.
Conclusione
Se la medicina darwiniana contemporanea conta ormai una ricchissima
letteratura, pochi sono stati i tentativi di ricostruire i precedenti storici di questo movimento76 . Proprio a causa di tale lacuna mi sono trovato ‘costretto’,
nel breve spazio di questo articolo, al tentativo di riassumere le caratteristiche
generali di ciò che considero come il precedente principale della medicina
darwiniana, cioè un periodo storico fra il 1880 e il 1930 in cui molti medici
tentarono di concettualizzare la malattia in termini evolutivi e che ho definito
“darwinismo medico”. La scelta è stata quindi quella di presentare succintamente le problematiche generali di questo periodo e di abbozzare la differenza
fondamentale fra i due movimenti, che, come ho tentato di mostrare, risiede
nel diverso utilizzo del concetto di selezione naturale applicato alla causalità
delle malattie. Il darwinismo medico, in sostanza, giustificava la persistenza
delle malattie nel corso della storia umana in quanto esse sfuggivano al controllo della selezione naturale che, altrimenti, avrebbe dovuto eliminarle come caratteristiche svantaggiose. La medicina darwiniana contemporanea, al contrario, si caratterizza per il sistematico tentativo di ricondurre anche le caratteristiche patologiche all’opera della selezione naturale. Alcune malattie, secondo
questi autori, sono il frutto di un bilancio fra costi e benefici di una medesima
caratteristica o di un gruppo di caratteristiche legate fra loro, nel tempo e/o
nello spazio. Ci sono caratteristiche che sono al tempo stesso vantaggiose e
svantaggiose, ma che vengono selezionate in quanto i vantaggi bilanciano gli
svantaggi. Ci sono delle caratteristiche che vengono selezionate per le stesse
ragioni pur avendo dei vantaggi solo in un certo periodo della vita individuale
e risultando svantaggiose nel corso dello sviluppo. Ho tentato di mostrare la
differenza fondamentale fra i due periodi ripercorrendo le tre aree tematiche
principali del darwinismo medico e che saranno riproposte anche dalla medicina darwiniana: predisposizione genetica alle malattie (che il darwinismo medico elaborò attraverso i concetti di diatesi e costituzione), malattie della civiltà e
malattie infettive. Se la medicina darwiniana contemporanea lavora soprattutto sul concetto di selezione naturale, il darwinismo medico, come visto brevemente, si concentrò soprattutto sul concetto di variazione.
75
76
Adami, 1918.
Bynum, 1983; Corbellini, 2004.
143
MEDICINA & STORIA -
SAGGI
Il tentativo di racchiudere un intero, lungo e complesso periodo storico
in un articolo è molto rischioso, forse scorretto da un punto di vista
epistemologico, ma, ripeto, la scelta è stata dettata sulla base della scarsità
attuale di tentativi in questa direzione. Ho cercato allora di riassumere i temi
principali e di presentarli al lettore come proposte, piuttosto che dati acquisiti, facendo presente che questo lavoro deriva dalla mia tesi di dottorato, di
prossima pubblicazione, sulla ricostruzione della storia del darwinismo medico
e sulla comparazione analitica con la medicina darwiniana, a cui rimando chi
fosse interessato per ulteriori approfondimenti77.
Summary
The last ten years of the twentieth century saw the beginning of a broad
debate about the application of the theory of natural selection to the theory
and practice of medicine. The evolutionary biologist George Williams and
the psychiatrist Randolph Nesse were the main protagonist involved in the
founding of this school of thought78 . This paper presents the hypothesis
that contemporary Darwinian medicine proposed by these two American
authors had an important historical precedent, medical Darwinism, which
developed, particularly in UK, between 1880 and 1930. I have chosen to
define this first period as medical Darwinism, as although both schools of
thought address the same themes and concerns, they differ in two
fundamentals aspects. First of all, medical Darwinism was a more diverse
and multi-layered approach than contemporary Darwinian medicine. In the
second place, medical Darwinism saw disease as an aspect of organic
variability which was quite separate from natural selection, while contemporary
Darwinian medicine has always endeavoured to find the effects of natural
selection in the creation and hereditary maintenance of pathological
characteristics. This paper tries to reconstruct the main characteristics of
medical Darwinism in relation to three fields: predisposition to disease, disease
of civilisation and infectious disease.
Keywords: evolution, medical Darwinism, Darwinian medicine, diathesis, constitution, diseases of civilization
Running head: Il darwinismo medico
77
78
Zampieri, 2006
Williams, Nesse, 1991; Nesse, Williams, 1994
144
FABIO ZAMPIERI - IL
DARWINISMO MEDICO
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