LA DIMORA RURALE E LE SUE TESTIMONIANZE Tiziana Forni Inquadramento storico e territoriale L’arco alpino si è posto da sempre come cerniera tra culture e realtà diverse. Nel XV secolo la Valtellina rappresentava un’estesa area di confine tra potenti entità politico-territoriali: Ducato di Milano, Repubblica di Venezia, Leghe Grigie. Questa predisposizione naturale a fungere da ‘ponte culturale’ favorì, al suo interno, uno scambio di idee: le valli confinali assorbivano e diffondevano le diverse culture con tracce visibili nelle abitudini della sua gente, nei dialetti, negli usi e costumi. Il contatto tra diverse entità influenzò, di conseguenza, anche il modo d’intendere la tipologia della dimora e degli insediamenti rurali tradizionali. Con la dominazione dei Grigioni (1512-1797) ed il potenziamento dei percorsi alpini attraverso il passo di S.Marco, Dordona, Aprica, Septimer, Muretto ed altri, i traffici commerciali per il Centro Europa trovarono nuovo slancio favorendo un significativo sviluppo dell’area valtellinese sotto il profilo economico e soprattutto culturale. L’opera di colonizzazione della montagna da parte di popolazioni migranti da aree di confine contribuì ulteriormente ad una differenziazione dei tipi edilizi con influssi ladino-atesini nell’area di Albosaggia: Veduta della caratteristica Casa Contrio Bormio, grigione-engadinesi nell’area di Livigno e dell’Alta Valle Spluga, ticinesi in Valchiavenna, bergamaschi e veneti in Bassa Valle ed in generale nel comprensorio orobico. 57 Nel territorio della Comunità Montana di Sondrio emblematico è Valmadre (Fusine), Frazione Caprini: Caratteristica costruzione alpina del versante orobico (Foto n. 1) l’esempio, dimostrato da una copiosa documentazione d’archivio, della Cavalaria della Valmadre la quale, nel corso del XVI secolo, collegando la Valtellina con la Serenissima, introdusse sul versante orobico una tipologia tipica bergamasca legata all’attività del luogo: l’estrazione del ferro dalle cave ‘metallorum’, la sua lavorazione nei forni fusori a monte e nelle fucine a valle. Tipici esempi di questa ‘contaminazione’ sono presenti a Caprini e Valmadre nella valle omonima e nella stessa Fusine; insediamenti caratterizzati dalla presenza di numerosi forni fusori e fucine costruiti alla “bergamasca”. (Foto n. 1) Anche la differente composizione e conformazione del terreno, unitamente ad una gestione del territorio basata sulle tipiche attività agricole, silvopastorali ed estrattive, ha influenzato le tecniche di sfruttamento del suolo, determinando l’insorgere di differenti modalità di insediamento umano e condizionando la stessa tipologia storica edilizia. A causa delle caratteristiche geo-morfologiche del territorio e delle risorse primarie tipiche dell’economia contadina, la dimora rurale ha seguito un ideale percorso di trasformazione attraverso il quale l’uomo è divenuto artefice di modalità di insediamento eterogenee ma che, allo stesso tempo, si intrecciano e mutano adattandosi all’ambiente e coesistendo tra loro. L’impiego dei materiali Effettuando un’analisi sistematica, si può osservare come un evidente elemento di differenziazione delle tipologie abitative fosse dato dal variare delle attività antropiche e dal materiale costruttivo, generalmente reperibile in loco e scelto in base alle caratteristiche tecniche specifiche. Per quanto riguarda la Valtellina e, in particolare, il territorio della Comunità Montana di Sondrio, l’utilizzo pressoché esclusivo dei materiali locali, legno e pietra, era legato sia al particolare contesto economico-sociale, che al razionale sfruttamento delle loro caratteristiche costruttive e strutturali. Quando entrambi gli elementi erano disponibili e tra loro compatibili venivano utilizzati coerentemente con le rispettive specificità: il legno nelle strutture resistenti a trazione e flessione (solai, architravi, strutture di copertura), la pietra nelle strutture a compressione (muri, fondazioni, piedritti). L’uso di questi materiali ha naturalmente condizionato forme e proporzioni delle dimore rurali della Valle. Le dimensioni degli edifici erano commisurate alla lunghezza delle travi di legno (tronchi degli alberi) reperibili in zona e le falde del tetto proporzionate una all’altra per equilibrare pesi che variano rapidamente quando nevica o quando la neve viene appesantita dalla pioggia. I muri erano dimensionati su carichi variabili e capaci di assorbirli in modo elastico (strutture in legno) o rigido (strutture di pietra) e di distribuirne sul terreno uniformemente gli effetti. Le finestre e le aperture erano proporzionate con 59 i carichi e calibrate alle esigenze di aerazione e di illuminazione in modo da non creare ponti di dispersione termica; i dettagli del tetto, incastri e giunti, spesso prefabbricati e tali da richiedere un’accurata progettazione. Il pietrame prevalentemente utilizzato per le dimore temporanee veniva posato a secco o attraverso l’uso di leganti poveri; i muri, a seconda della tipologia dell’edificio, potevano essere costituiti da pietre informi o da massi più grandi squadrati. (Foto n. 2,3) Con riferimento all’utilizzo di materiale lapideo spicca, nel comprensorio della Comunità Montana di Sondrio, l’esempio della Valmalenco, ricca di ardesia e di scisti, rocce idonee alla preparazioni di pietre ai fini edificatori, la quale sviluppò notevolmente l’utilizzo del pietrame anche per le coperture a ‘piode’. L’impiego del legname fu piuttosto raro tanto che solamente alcune località della Valmalenco presentano edifici con struttura mista pietra-legno. Il legno, quando veniva usato, era limitato alle strutture orizzontali, a quelle di copertura e soprattutto alle specchiature di aerazione dei fienili. (Foto n. 4,5) In alcuni casi sporadici, come all’Alpe Lago, all’Alpe Pirlo e all’Alpe Prato di Mezzo (Chiesa in Valmalenco), ci sono edifici rurali interamente costruiti con il sistema a ‘block-bau’, caratterizzato dall’utilizzo dei tronchi incardinati. (Foto n. 6) La tecnica, molto antica e di derivazione nordica, era diffusa in tutta l’Europa centrale. Essa prevedeva un sistema ortogonale di travi in legno, Sotto, Albosaggia, Nucleo dei Mosconi: Tipici edifici rurali in pietra (Foto n. 2) Sopra, Caiolo, Località Cà di Rosa: Caratteristico utilizzo del materiale lapideo per la costruzione degli edifici. (Foto n. 3) incastrate negli angoli attraverso la realizzazione di due incavi, uno inferiore e l’altro superiore, a circa 20/30 centimetri dall’estremità. L’intera struttura in legno poggiava generalmente sopra un basamento costruito in muratura di pietrame per garantire l’isolamento del legname dall’umidità del terreno, dalla pioggia e dalla neve. La prevalente costruzione in legno della casa era diffusa per lo più a quote elevate (Alta Valtellina; Livigno) in corrispondenza con la presenza di vasti patrimoni di conifere e fustaie di resinose. Nelle valli orobiche, ove abbondante è la diffusione del bosco ceduo e del castagno in particolare, si riduceva l’uso del legno da costruzione, utilizzato in travi più corte a sezione ridotta. La disponibilità di legname ha condizionato molti aspetti della vita delle popolazioni valtellinesi e, di riflesso, l’architettura rurale che presenta una forte traccia di questa “dipendenza”. La scarsa disponibilità di legno o di pietra portava ad ampliare la gamma di impiego del materiale a portata di mano determinando l’utilizzazione ben oltre le normali vocazioni strutturali: rare ma presenti sono le pareti alla “tedesca” o a graticcio costituite da muratura sottile contenuta e interrotta da murali in legno verticali e diagonali (Casa nordica, Castione Andevenno). 61 In questo contesto l’architettura alpina ha sperimentato, per secoli, l’uso coerente di tecnologie limitate, al fine di far fronte a condizioni climatiche estreme, con precipitazioni abbondanti, vento e carichi di neve, declivi pronunciati soggetti a frane e slavine e di difficile praticabilità. Risorse ambientali e strutture insediative La possibilità di giungere a tipologie di costruzioni stabili ed altamente fungibili è stata condizionata dalla capacità ed abilità di sfruttare al meglio, coordinandole e correlandole, le risorse ambientali, in relazione alle condizioni fisiche dei luoghi. L’attitudine a variare ed innovare i tradizionali e rigorosi schemi strutturali-compositivi, permetteva di costruire edifici sempre diversi, ottenendo uno spettro di soluzioni e di risultati architettonici molto più vario di quanto possa apparire ad uno sguardo superficiale sulle testimonianze architettoniche. Così come per l’utilizzo dei materiali, anche per le tipologie abitative non v’erano forme fisse e rigide: in base alle risorse disponibili, al clima ed alle attività produttive, la dimora contadina mutava i suoi spazi. Le peculiarità abitative non erano tanto legate all’area geografica definita dalla latitudine e dall’altitudine, quanto, piuttosto, alla modalità di gestione del territorio determinata dalla morfologia del terreno e dalle caratteristiche climatiche della zona. Emblematico di questo fenomeno era lo spostamento primaverile ed estivo delle famiglie con il bestiame. Gli insediamenti rurali, inseriti in una complessa rete di percorsi che garantivano l’utilizzazione degli alpeggi sul versante alpino, a tutte le quote, nelle stagioni più propizie, erano inevitabilmente condizionati dall’attività della transumanza. L’assetto delle comunità rurali, organizzate inizialmente secondo un’economia di sussistenza legata all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame, si modificò ulteriormente con lo sviluppo della coltivazione a vigneto su terrazzamento attraverso un significativo intervento antropico del territorio. Superata una certa quota, al posto della vite si coltivavano diverse specie di cereali, l’avena, il miglio, il panìco ed il mais. Un’altra risorsa fondamentale, prevalentemente diffusa sul versante orobico, era lo sfruttamento dei castagneti i quali favorirono una coltivazione intensiva e, in alcune zone, un certo tipo di monocoltura. Dove il terreno non era adatto alla coltivazione era mantenuto a prato. Questi fenomeni avevano notevoli ripercussioni anche a livello insediativo in quanto gli aspetti del ciclo produttivo condizionavano direttamente la struttura della dimora. Le caratteristiche architettoniche - volumetria edilizia, tipologia - erano strettamente legate alle risorse economiche disponibili sul territorio (vigneti, castagneti, pascoli, allevamento) e in tal senso è possibile individuare specifiche tipologie connesse ai caratteri della produzione agricola di una zona. I comuni di Postalesio, Montagna, Castione erano contraddis- 62 tinti da un modello di dimora pensata per le esigenze della coltivazione dei ‘vigneti’; Arigna, e in generale gli insediamenti orobici di mezza costa, dalla dimora dei ‘castagneti’. Altre motivazioni e vocazioni potevano influire sulle caratteristiche della costruzione, come ad esempio la necessità di controllare il territorio attraChiesa in Valmalenco, Località Carotte: Struttura mista in pietra e legno (Foto n. 4) verso una rete strategica di fortificazioni. La Torre di Melirolo e la Torre di Cà de Risc a Torre S. Maria, la Torre di Caiolo, l’Edificio a torre a Castione Andevenno sono solo alcuni esempi di queste ‘atipiche dimore’ di cui è costellata la Valle. Al riguardo, è interessante sottolineare come molti degli insediamenti, sia valtellinesi che grigionesi, hanno come matrice comune la “casa a torre” (S. Langé, La dimora alpina, Sondrio 1996). L’impronta originaria era data da una primitiva forma di casa a torre (6/7 metri per lato) con, al piano terra, il ricovero del bestiame ed al primo piano le diverse stanze di abitazione. La struttura compatta, la cui forma chiusa ed essenziale sottolinea l’originaria esigenza di difesa e protezione, si articolava, in relazione al luogo ed alle circostanze, in strutture miste in legno e pietra e, in tempi successivi, dopo il 1600, in più complesse insediamenti a corte. Da recenti studi (Santino Langé in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università di Genova) è emerso come la casa di tipo romanico in pietra fu sottoposta, nel corso dei secoli, ad un’opera di integrazione e trasformazione adeguandosi alle tipologie nordiche. Tra queste spiccano il modello di casa in legno block-bau e quello a graticcio, tecnica propria di popolazioni tedesche, in particolare di popolazioni walser che attraversarono le Alpi in senso trasversale verso la fine del XV secolo. 64 Chiesa in Valmalenco, Località Primolo: Caratteristico utilizzo del legno per le specchiature dei fienili (Foto n.5) foto: archivio CM Chiesa in Valmalenco, Alpe Prato di Mezzo: Edificio rurale costruito con la tecnica dei tronchi incardinati (block - bau) (Foto n. 6) Insediamenti umani e tipologie abitative In Valtellina, risalendo l’Adda, possiamo riscontrare l’evolversi delle tipologie edilizie tradizionali, da modelli ancora influenzati dalla cascina padana, con edifici distribuiti intorno ad una corte, a tipologie sempre più marcatamente alpine. Il senso di appartenenza alla comunità, intesa come solidarietà paesana e intreccio stretto di relazioni con momenti di cooperazione nelle attività lavorative, predominante in numerose realtà valtellinesi, è tuttora evidente in alcune contrade di Ponte, Chiuro, Postalesio e Spriana. La traduzione tangibile di tale complessità è percepibile nell’intrico di collegamenti interni, percorsi che talora si sviluppavano al di sotto delle case, passaggi ad arco, voltine e sostegni, scalette aeree, cortili intersecantisi o contigui organizzati in una complessa rete topografica. Man mano che si risale la valle, le corti tendono a farsi più chiuse, stringendosi e così divenendo un elemento annesso alla singola abitazione. Esempio limite di questa corte comune è la ‘trüna’ tipica della Valmalenco. In essa la corte diviene una galleria coperta, con funzione di collegamento tra gli edifici, su cui prospettano le porte delle cucine e dei focolari con un arco di entrata e uno di uscita, come si può riscontrare nella trüna alla contrada Bricalli a Caspoggio, e in quella nel centro di Lanzada. 65 Da questo insediamento di tipo ‘compatto’, caratterizzato dalla presenza in alcuni casi di veri e propri edifici collettivi, ‘plurimi’ (località Costi, Chiesa Valmalenco) in cui gli spazi erano condivisi secondo un’organizzazione familiare e sociale comunitaria, si passa, in alta Valtellina (ed in Valchiavenna), ad un modello di casa tendenzialmente ‘unitario’ dove la dimora, ben riconoscibile ed isolata, racchiudeva sia spazi di destinazione rurale che residenziale. Le diverse categorie spesso s’intrecciano e convivono in una medesima area ed il passaggio dall’una all’altra è sempre stemperato da questa connessione e commistione di tipologie. Elemento comune della casa rurale è costituito dal coesistere di ambienti in cui si svolgeva la vita domestica, il lavoro, la vita sociale; ambienti tra loro organizzati in modo molto libero. Nella struttura di questi organismi lo spazio ‘privato’ è minimo. La dimora rurale è strettamente legata all’attività produttiva: residenza e lavoro sono intesi in modo unitario. Per quanto riguarda il comprensorio della Comunità Montana di Sondrio, le relazioni e le compenetrazioni tra l’abitazione domestica ed il rustico inerente l’attività produttiva variano a seconda delle condizioni geo-antropiche. Nelle vallate del versante settentrionale, come la Valmalenco, la caratteristica principale della dimora permanente consiste nella divisione tra abitazione (cà) e stalla-fienile (masun) dislocate in un rustico separato. Talvolta l’insieme della dimora si tripartisce con l’aggiunta di una piccola costruzione, il “casèl’, per la conservazione dei prodotti caseari. Sul versante orobico si trovano dimore sia del tipo unitario, con stalla e fienile affiancati nella stessa costruzione, sia con la parte rurale divisa dall’abitazione. In alcuni casi, come nelle dimore della Valmadre, solo il fienile è isolato dal resto del complesso. In relazione alle diverse caratteristiche della produzione agricola, diversi tipi di edifici ausiliari compaiono a completamento della dimora rurale. Nella zona dei vigneti troviamo il ‘casel de l’üga’, in quella dei castagneti, come ad Arigna, la ‘cüsina de la grat’, per l’essicazione delle castagne. Nel territorio orobico, dove intensa era la coltivazione delle castagne, emblematico è l’esempio della frazione di Rodolo (Colorina), in cui anticamente erano stati edificati numerosi ‘metati’. Tale costruzione autonoma a due piani, conosciuta anche con il nome di ‘agrèe’, era caratterizzata da una soletta in graticcio di legno posizionata sopra il focolare, sulla quale erano adagiate le castagne ad essiccare. Il legno, usato ai piani superiori, è spesso evidente nei ballatoi posti sulla facciata principale e protetti dall’aggetto dei tetti. (Foto n. 7) I ‘lòbi’, tipici dell’architettura rurale, caratterizzano l’aspetto esterno delle facciate in modo spesso originale anche se ispirati a criteri costruttivi di grande semplicità. Il Torre di Santa Maria, Frazione Tornadù: Tipico esempio di dimora rurale con ballatoio in legno (Foto n. 7) graticcio, formato da montanti e pertiche orizzontali, era adibito a contenere e ad appendere in vario modo i prodotti agricoli: fieno, mais, segale, castagne e canapa. La balaustra, oltre ad essere utilizzata come essiccatoio per i prodotti agricoli, poteva avere anche la funzione di deposito di brandelli di maglia con cui si tessevano i pezzotti. Nella zona di Arigna, dove era partico- 67 Fusine, Località “La Civetta”: Portale medioevale con architrave caratterizzato da bassorilievi che rappresentano simboli di varia natura (Foto n. 8) larmente diffusa questa attività, si trovano i ballatoi ‘a cassetta’, caratterizzati da una balaustra chiusa posta a protezione delle donne durante la lavorazione artigianale dei tessuti. Quando l’attività dell’uomo lo richiedeva, alcuni edifici erano destinati esclusivamente ad impianti produttivi: esempi di mulino o pila, maglio, forno, torchio, segheria, tornio, erano presenti su tutto il territorio della Comunità Montana di Sondrio. Il Mulino sul Davaglione a Montagna, la Casa del Maglio a Chiuro, il Forno di Gudenz a Poggi, il Torchio Lombardi a Caiolo, il Mulino e Pila a Castello dell’Acqua, i Torni di Valbrutta a Lanzada sono solo alcuni esempi. Sul versante orobico, legato all’attività dell’estrazione del ferro, erano diffusi presso le cave metallifere i forni fusori; le fucine, a volte annesse alle case d’abitazione, erano situate a valle (Fucina in via Predane, Fusine). 68 A quote più elevate la dimora non era più costituita da un insediamento vero e proprio, ma da semplici ripari, per il bestiame e per i pastori, o da piccole baite poste in prossimità degli abbeveratoi. In Valmalenco, la dimora temporanea del maggengo tendeva ad essere piuttosto accentrata anche se esistono esempi di nuclei sparsi. In quest’ambito i caratteri distintivi si attenuano a favore di scelte essenziali dettate dall’austerità dell’ambiente: dalla baita d’alpeggio e dal ricovero elementare e smontabile del “calecc” si passa al “bàet” in legno, prefabbricato minimo ed essenziale per il riparo notturno, utilizzato soprattutto sul versante orobico. Elementi decorativi nella dimora alpina Quella che precede rappresenta soltanto l’inizio di un’analisi “tipologica”. L’indagine deve essere tuttavia estesa ad eventuali altri fattori, forse meno evidenti, ma altrettanto, od addirittura, più profondi. Deve considerare uno stile di vita ed un vivere l’ambiente che si riflettevano anche nella religiosità e nei segni ad essa collegati, una natura percepita come elemento tangibile, entità benefica o matrigna, un ambiente inteso come fonte energetica ed alimentare, rifugio, risorsa per l’edilizia, materia prima per le attrezzature da lavoro. Sorgono, allora, domande di diversa natura: quale era la percezione spazio-temporale dell’abitante delle convalli? Quali erano i ‘significati’ della dimora? Perché sorgeva la necessità di lasciare dei ‘segni’ sul fabbricato? Il linguaggio architettonico della dimora rurale esprime, invero, una concezione di vita, integrando le forme e i volumi con ‘segni’ simbolici e decorativi, non solo per la necessità di un degno completamento dell’opera. A questo riguardo significativi appaiono gli esempi nella zona di Fusine e della Valmadre. Nella Casa della Civetta l’architrave, sorretto da due mensole sagomate sporgenti dai piedritti, è decorato con veri e propri bassorilievi, caratterizzati da simboli rappresentanti l’incudine e il martello, l’aratro, un oggetto segnato con una croce e, nel mezzo, una figura serpentiforme che si può interpretare come il simbolo visconteo. (Foto n. 8) Sull’architrave della Casa al Cornello, presso Fusine, è scolpita un’insolita forma allungata, simile ad una tenaglia. (Foto n. 9) Simboli simili ad una balestra, a ruote e a strumenti di lavoro si ripetono incisi su diversi piedritti e portali della zona. (Foto n. 10) Sorprendente appare la varietà di forme espressive e decorative legate all’architettura rurale; la ‘millesimazione’ (datazione) dei fabbricati è sicuramente uno degli aspetti più ricorrenti e significativi. Su molti di questi portali e finestre sono incisi dei simboli di varia natura, legati alla sfera religiosa (come croci e trigrammi) ovvero all’attività lavorativa (tenaglie e aratri) a volte accompagnati dalle date di posa delle pietre. E’ questa la forma più diretta della simbolizzazione dell’abitare. Diffusa era anche la modalità di incorniciare le ‘bucature’ delle costru- 69 zioni in pietra (accessi o finestre) attraverso l’uso, nella composizione degli stipiti, di elementi lapidei; sul versante orobico esempio interessante è l’utilizzo della finestra trilitica come nella Casa a Presio nel comune di Colorina o in località Cà di Rosa a Caiolo. (Foto n. 3) Gli stipiti relativi agli ingressi erano sormontati da una struttura monolitica che poteva avere, a seconda dei casi, forma ‘lunettata’ oppure triangolare a timpano, ovvero ancora, semplicemente, rettilinea ad architrave. In esempi meno frequenti, le strutture verticali del portale sorreggono degli elementi arcuati: due conci arcuati che poggiano l’uno contro l’altro in chiave componendo un arco a sesto acuto (Portale rustico, Ambria). Queste particolari ‘architetture di soglia’, pur riproducendo sempre lo stesso schema, non propongono mai due forme identiche e, costituendo parte integrante del paramento, riescono ad evidenziare e ad enfatizzare con efficacia l’ingresso dell’edificio a cui appartengono. Il portale costituisce, del resto, un elemento fondamentale della casa e la sua origine simbolica va ricercata nella tradizione celtica. In esso viene riproposto, simbolicamente, il tema del passaggio (ingresso) nell’ambito privato della casa e della famiglia, mediante stipiti pronunciati od attraverso grandi architravi, a volte privi di giustificazione funzionale. La presenza di elementi dotati di un esplicito rimando archetipo è enfatizzato, in alcuni esempi di portale, dall’utilizzo di grandi strutture dal valore altamente simbolico o di pietre a cuspide monolitiche che suggeriscono la forma e la materia stessa del Monte Calvario, mettendo in atto una poetica metonimica nella rappresentazione simbolica del Sacro (G. Buzzi, La dimora alpina, Sondrio 1996). Queste testimonianze di espressione simbolico-religiosa esprimono con evidenza una complessa necessità di manifestazione figurativa. Il progresso economico, lo sviluppo degli scambi commerciali, l’uso sempre più intenso di alcuni percorsi alpini e vie storiche, il diffondersi di esigenze sempre più complesse, potenziarono tali espressioni artistiche presenti nell’ambito culturale che si era costituito nei secoli precedenti. In questo contesto la decorazione degli edifici in muratura nelle varie forme, pittura e graffito, contribuì, tra il ‘400 ed il ‘600, alla diffusione e ripetizione di motivi stilistici e formali nell’area valtellinese. Si tratta spesso di forme meditate e razionali, di raffinata complessità decorativa, varietà di soluzioni e di idee utilizzate con fantasia ed ironia, estese nel tempo e nello spazio mediante la funzione scaramantica e propiziatoria di segni, disegni e colori (Ex Convento a Paleari, Piateda; Casa a Marveggia, Spriana). (Foto n. 11) Le porte e le finestre sono un elemento privilegiato e caratteristico della decorazione, poiché rappresentano i soli punti in cui lo spazio interno della dimora dell’uomo comunica con l’esterno. In molti casi, nelle dimore più semplici, le finestre sono incorniciate con una larga fascia di intonaco di calce che riveste le mazzette, il vano finestra e la superficie del muro esterno per 30/40 centimetri. (Foto n. 12) Numerosissime altre decorazioni, eseguite su intonaco di calce, si trovano in diverse particolari posizioni come nel timpano sotto la trave di colmo. 70 Fusine, Casa al Cornello: Particolare dell’architrave scolpito (Foto n. 9) Cedrasco, Casa Bricalli Menatti:Architrave inciso raffigurante simboli legati all’attività lavorativa (Foto n. 10) La dimora nello spazio e nel tempo Questi esempi mostrano che l’architettura rurale, divisa per scelte tecnologiche motivate da precise necessità culturali, ambientali e socioeconomiche, si ritrova spesso unita in un tema che rivela, in innumerevoli variazioni, una concezione formale e stilistica organica e comune del senso della vita. Risulta quindi impensabile parlare di ‘significato della dimora’. Sarebbe, forse, più opportuno parlare di significati e funzioni di questo ‘contenitore di vita e di storia’. La residenza temporanea, adibita essenzialmente alla sopravvivenza, al riparo ed al deposito di attrezzi (Bàit; Calecc), si integrava con la dimora residenziale stabile, caratterizzata da uno spazio domestico legato all’importanza del nucleo famigliare. Essa rappresentava il simbolo della famiglia, con funzione di sacrario del nome della stirpe - dove stemmi e sigilli del casato ornavano i punti centrali della casa - e, contemporaneamente, oggetto di divisione. La parcellizzazione del patrimonio domestico veniva ideata e progettata, divisa o divisibile, in molteplici unità abitative ereditarie per una famiglia numerosa e allargata. Quest’idea simbolica di proprietà e di attaccamento ai beni (res) portava con sé una concezione architettonica ben evidente in dimore ove le strutture risultano organizzate in modo da favorire la spartizione fra gli eredi e per questo motivo spesso già divise verticalmente e con ingressi separati. Ma la dimora non incarnava solo un simbolismo fisico, materiale. In essa l’uomo inseriva anche elementi del sacro, inteso come labile confine tra magico e religioso: spazi legati ad operazioni del vivere quotidiano quasi rituali (vinificazione, trebbiatura, preparazione del pane, lavorazione dei metalli…) convivevano con la simbologia magica, religiosa e propiziatoria. 72 Altro simbolo che intensamente caratterizzava la dimora era il focolare, fulcro della vita domestica. Esiste infatti una stretta identità fra gruppo familiare, casa e focolare. I termini fuoco e fumo indicano contemporaneamente la casa ed il gruppo familiare: una dimora abitata è un fuoco fumante. Il ‘capofuoco’, rappresentante della famiglia nell’assemblea dei vicini, è titolare di un diritto che appartiene al nucleo familiare. L’iniziale probabile natura difensiva dell’edificio a torre si è successivamente coniugata con il senso più profondo della simbolizzazione dell’insediamento originario del fuoco, cioè del nucleo familiare, che veniva caratterizzato e perpetuato dalla presenza di questo elemento tipico. La tecnica muraria, in alcuni casi megalitica, alludeva anch’essa ad un principio collettivo del costruire, confermando il carattere complesso della struttura sociale fra l’articolazione delle famiglie e i rapporti di vicinato (G. Buzzi, La dimora alpina, Sondrio 1996). Questi elementi architettonici testimoniano di un uomo che attraverso l’abitazione esprime l’immagine di sé e del suo contesto sociale; di un uomo legato ad una cultura che si rispecchia nel proprio passato, anche remoto e nelle proprie origini e che va oltre alla situazione storico-politica del momento. Le dimore rurali non sono testimoniate da documenti scritti (la scrittura è privilegio di pochi). Esse sono entità concrete, materiali; la loro stessa esistenza, la loro presenza caratterizza e vincola il paesaggio, trasmettendo un messaggio di carattere storico. Esse sono, in questa accezione, documenti architettonici della vita e della storia dell’uomo. Sono documenti che testimoniano un fenomeno infrastrutturale, legato all’economia, alla tecnica dei sistemi produttivi ed all’attività del luogo. Un chiaro esempio è dato dalle fucine, dal metato, dai mulini, edifici che, oltre a testimoniare una tecnica costruttiva, tramandano specifici caratteri economico-sociali. Ne consegue che, attraverso lo studio di questi documenti, è possibile apprendere informazioni riguardo i mezzi di produzione che l’uomo ricavava dalle risorse naturali, gli strumenti di lavoro ed i prodotti e materiali ottenuti. All’interno di questa prospettiva la dimora assume molteplici significati che si intrecciano e coesistono senza elidersi. La testimonianza rurale può assumere, al contempo, un significato sociale, economico, religioso, artistico ed a volte simbolico; un significato ricco di valori così da rendere la casa oggetto primario e fondamentale di conservazione e di studio, testimonianza della comunità alpina. L’uomo, artefice ed architetto, artigiano, pastore e contadino, nell’edificare ed abitare la dimora trasfonde in essa i suoi caratteri e la sua cultura. La stessa cultura che si trasmette a noi attraverso questa entità materiale. 73 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Valli segrete in Valtellina e Valchiavenna, L’umana Dimora, Sondrio 1997 T. BAGIOTTI, Storia economica della Valtellina e della Valchiavenna, Sondrio 1958 A. BENETTI, D. BENETTI, Valtellina e Valchiavenna. Dimore rurali, Milano 1984 D. BENETTI, M. GUIDETTI, Storia di Valtellina e Valchiavenna, Sondrio 1998 D. BENETTI, S. LANGÈ (a cura di), La dimora alpina, Sondrio 1996 E. BERTOLINA, G. BETTINI, I. FASSIN, Case rurali e territorio in Valtellina e Valchiavenna, Sondrio 1979 A. BORROMEO (a cura di ), La Valtellina crocevia dell’Europa, Milano 1998 Spriana, Località Marveggia: Originale decorazione delle aperture che enfatizzano gli ingressi alla dimora. Simili decorazioni si ritrovano in altre località alpine come in Val Locana (To), Zernez, Zuoz (Engadina CH) (Foto n. 11) G. DA PRADA, La Magnifica Comunità et li homini delle Fusine, I,II,III,IV, Sondrio 1980 L. DE BERNARDI, Valmalenco una lunga storia, Sondrio 1986 L. DEMATTEIS, Case contadine in Valtellina e Valchiavenna, Ivrea 1989 A. DONATI, Monti, uomini e pietre, Locarno 1993 S. LANGÈ, L’eredità romanica. La casa europea in pietra, Milano 1989 E. MAZZALI, G. SPINI, Storia della Valtellina e Valchiavenna, II, Sondrio 1969 C. SAIBENE, Il versante orobico valtellinese, Roma 1959 F. SUSS, Architettura contadina in Valtellina, Milano 1981 Pagine seguenti, Berbenno di Valtellina, Località Monastero: Tipiche finestre “incorniciate” che caratterizzano le facciate delle dimore rurali (Foto n. 12) 74