Jürgen Werbick
Un Dio coinvolgente
Dottrina teologica su Dio
J. WERBICK, Un Dio coinvolgente.
Dottrina teologica su Dio, Queriniana, Brescia 2010, pp. 718, € 69,00
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Jürgen Werbick è autore di importanti pubblicazioni teologiche e
uno dei più apprezzabili teologi cattolici tedeschi. Nonostante alcuni
volumi pubblicati dall’editrice Queriniana (Soteriologia [1993], La
chiesa. Un progetto ecclesiologico
per lo studio e per la prassi [1998] e
Essere responsabili della fede. Una
teologia fondamentale [2002]) e ad
altri saggi, l’A. non è ancora ben
conosciuto dal pubblico italiano.
Questa sua ultima opera tradotta in italiano, Un Dio coinvolgente.
Dottrina teologica su Dio, costituisce una sintesi del suo percorso teoretico e di ricerca. Già il titolo indica il tema essenziale di tutta l’opera. Il termine «coinvolgente» vuole
tradurre l’originale tedesco verbindlich che significa vincolante, obbligante: deriva da verbinden: legare,
collegare. Il soggetto di questo vincolo è innanzitutto Dio stesso, che
si vincola all’altro; ma è anche la
ragione (Denken) e la parola (Wort)
che sono vincolate al pensare e dire
Dio in maniera «più-che» necessaria e niente affatto arbitraria.
Nell’introduzione al volume,
Werbick afferma che è compito della teologia trovare e scegliere argomenti appropriati, perché Dio sia
riconosciuto sempre come Colui di
cui non si possa pensare il maggiore. La dottrina di Dio non può accontentarsi, perciò, di un qualsiasi
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pensiero su Dio o di una qualsiasi
parola che lo esprima. La teologia
sistematica deve insegnare una disciplina nel pensare e dire Dio. Ritorna in questa opera la tematica
della responsabilità, che Werbick
aveva trattato in precedenza nell’ambito della teologia fondamentale e che ora riprende nel contesto
della dottrina di Dio. «Presento una
dottrina di Dio elaborata nell’ambito della teologia sistematica, la cui
ampiezza [spazia] inevitabilmente
dalla filosofia della religione, alla
teologia fondamentale, fino alla
dogmatica» (12).
L’opera è suddivisa in sette capitoli fondamentali; l’ottavo è una ripresa quasi poetica del percorso
svolto. Dalla questione del dire e
pensare Dio in maniera vincolante
(1-2), Werbick passa a esaminare il
dibattito recente sul monoteismo (cf
Martin Walser, Odo Marquard e Jan
Assmann): Dio si vincola all’altro,
per questo è uno (3). Il legame di
Dio all’altro da sé, al mondo e in
particolare all’uomo, sollecita una
ridefinizione della provvidenza di
Dio e di come Dio interviene nel
mondo (4). Questa comprensione di
Dio, quale Dio vincolante, implica
un riesame dell’attributo dell’onnipotenza (5), assieme a una più specifica determinazione del rapporto
tra volontà di Dio e bene (6). La
dottrina trinitaria – l’uno non senza gli altri – esprime e articola, come
obbligo e responsabilità di fede, l’essere di Dio come unico soggetto
nella diversità delle persone (7).
Nel primo capitolo il nostro A.
riconosce che ogni discorso su Dio
avviene nell’orizzonte di un presupposto teologico. Werbick fa riferimento all’argomento ontologico del
Proslogion di Anselmo. L’evidenza
di Dio, come positum originario,
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rende ogni altra realtà evidente.
L’argomento ontologico indica in
maniera positiva quel percorso che
la teologia negativa vuole prescrivere. Per evitare che l’infinito diventi finito, la teologia apofatica nega
ogni dizione o concezione di Dio;
tuttavia, anche questa modalità negativa di conoscere Dio rimane pur
sempre una via dell’uomo e non di
Dio. La metafora è la via indicata
dal nostro A. per uscire dalla dialettica tra indicibile e dicibile. Nell’assunzione del linguaggio metaforico è possibile argomentare su Dio.
Nel secondo capitolo il nostro A.
si confronta con le posizioni sia del
pluralismo religioso di John Hick e
Don Cupitt sia del linguaggio scientifico. Dio non è una realtà che un
osservatore possa cogliere a distanza (Beobachterperspektive). «La verità di Dio si dischiude […] soltanto nella “prospettiva partecipante”,
dunque mai sciolta dal linguaggio
della testimonianza articolato metaforicamente […]. La verità come
adaequatio presuppone il Dio che
include gli uomini nel processo
dell’adaequatio» (141). Non c’è verità su Dio senza affidamento a Dio.
Nel capitolo quarto Werbick tratta dell’agire di Dio e riprende le sue
considerazioni su queste due differenti prospettive o modi con cui debba considerarsi l’intervento di Dio
nel mondo. L’azione di Dio nel mondo può essere considerata tale, quindi di Dio, solo quando Dio rivela all’uomo la sua intenzione; perché un
fatto sia riconosciuto come atto di
Dio è necessario, quindi, che l’uomo non sia osservatore indifferente, ma sia partecipe interessato. Solo
come testimone l’uomo riconosce
l’azione di Dio nel mondo. Al di fuori di questo contesto comunicativo,
Dio non compare nel mondo come
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Soggetto agente. In definitiva,
«[Dio] agisce per mezzo dell’agire
reso possibile dalla fede» (338).
Nell’affrontare la questione della verità, così come in vari punti
della sua opera, Werbick dialoga
con le posizioni di Nietzsche. Specialmente nella critica al monoteismo, prende corpo la concezione
nietzschiana di Dio, come negazione dell’umano ed espressione del
suo risentimento, in quanto proiezione, nel divino, di ciò che l’uomo non riesce ad essere. Werbick
contrappone a tale concezione di
Nietzsche la visione di Dio come
Colui che è con/per l’altro. La verità di Dio, infatti, è essenzialmente
inclusiva e non monopolio esclusivo contro gli altri.
Attento alla sensibilità religiosa
contemporanea e al suo interesse
verso la mistica orientale, il nostro
A. critica la tendenza di una certa
mistica contemporanea, a dissolvere l’individuo nell’infinito del mistero divino e ribadisce la centralità e
la dignità della singola persona.
Per spiegare la concezione del Dio
biblico, che non vuole essere Dio
senza l’altro e gli altri, il nostro A. si
serve dell’analisi di alcune questioni: la questione del rapporto tra tempo ed eternità, e del rapporto tra
perfezione e amore di Dio. Rifacendosi a Gregorio Magno, Riccardo
di San Vittore e ad alcuni teologi
contemporanei (cf E. Jüngel), il nostro A. precisa in che modo la perfezione di Dio includa e non escluda l’altro in quanto tale. «Dio non è
compreso come se la dipendenza
dagli altri, che non sono Dio, andasse a detrimento della sua perfezione. È lui, piuttosto, che si rende
dipendente, perché non vuole essere Dio senza gli altri. L’amore di Dio
si rende “dipendente”» (288).
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Tale rivisitazione del concetto di
Dio implica una diversa interpretazione degli attributi di Dio, più in
consonanza con la rivelazione biblica. Per quanto riguarda l’onnipotenza di Dio, Werbick afferma che è
necessario ricuperare la dimensione relazionale di questo attributo.
In dialogo critico con la prospettiva di H. Jonas, N. Berdjajew, S.
Bulgakov, H.U. von Balthasar e J.
Moltmann, il nostro A. ridefinisce
l’onnipotenza di Dio nell’orizzonte
dell’identificazione di Dio con l’altro-da-sé. In questo identificarsi con
l’altro e poter diventare l’altro si
manifesta l’onnipotenza di Dio, non
tanto come capacità di far tutto da
sé (ex sese) senza nessuno o nient’altro (creatio ex nihilo), quanto
come potenza di amore e di relazione verso l’altro.
Nella capacità di “vincolarsi all’altro” si comprende non solo l’onnipotenza di Dio, ma anche quale
libertà debba essergli predicata. Dio
non è originariamente liberum arbitrium, ma è libertà come capacità
di amare e legarsi all’altro. Alla luce
di questo paradigma relazionale, va
rivisitato il concetto di “volontà di
Dio” che si oppone a quello di “destino” (513-515).
Il capitolo settimo dell’opera è
dedicato alla dottrina trinitaria. Ripercorrendo il cammino conciliare
e dogmatico dell’enunciato trinitario, Werbick propone di riformulare la definizione «una essentia – tres
personae» con la distinzione tra persona e soggetto. Con tale riformulazione Werbick vuole superare le
riserve nell’uso del termine «perso-
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na» sollevate da Barth e Rahner, e
allo stesso tempo evitare di escludere le metafore personali, quali
l’«essere-di-fronte» o «a-faccia-a-faccia», che costituiscono la caratteristica del termine greco di persona.
Questa opera costituisce un’ulteriore conferma della profondità speculativa del pensiero di Werbick. Il
nostro A. rivisita filosofi e teologi,
sia del passato che dell’età moderna – in particolare appunto Nietzsche –, e si confronta con loro, alla
luce delle questioni e delle sensibilità contemporanee. Va apprezzata
la capacità di Werbick di saper argomentare non solo la dottrina di
fede ma di darle maggiori ragioni
nel momento in cui è necessario riformularla in considerazione delle
sue aporie.
Per salvaguardare la distinzione
tra teologia ed economia, tra l’essere di Dio (necessità) e la sua volontà (libertà), Werbick rischia – tuttavia – di non articolare ulteriormente l’aporia di fondo che soggiace
nell’affermare che «Dio vuole essere Dio non senza di noi». Se Dio è
come vuole essere (libertà), ma vuole essere così come è (necessità), significa che il rapporto tra teologia
ed economia deve essere compreso
in maniera ancor più vincolante.
Dio è ancor più coinvolto di quanto Werbick supponga. Un’adeguata
riflessione sul dogma della preesistenza di Gesù Cristo, e quindi non
solo del Verbo (non incarnato),
avrebbe potuto delineare le possibilità teoretiche di questo coinvolgimento di Dio.
Paolo Gamberini S.I.
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