Prime pagine - Codice Edizioni

annuncio pubblicitario
Lezioni Urbinati 2003/2009
di Enrico Bellone, Remo Bodei,
Piero Boitani, Sergio Givone,
Mario Lavagetto, Francesco Orlando,
Carlo Ossola
A cura di Daniela Tagliafico
EDIZIONI
Indice
3 Preludio e trattato delle passioni.
Lo Zibaldone del Leopardi di Carlo Ossola
17
Macerie nel Novecento di Mario Lavagetto
41 Bellezza vaga. Un’indagine filologica sul suo significato
di Remo Bodei
53 Opera letteraria e autore. Storia e teoria di un rapporto
di Francesco Orlando
71
Filosofia e romanzo di Sergio Givone
79
Galilei e la scienza moderna di Enrico Bellone
99
Poesia delle stelle: da Omero a Leopardi di Piero Boitani
128 Gli
autori
Le Lezioni Urbinati sono state avviate nel 2003 dalla Fondazione
Carlo e Marise Bo per la Letteratura Europea Moderna e Contemporanea in ricordo del Suo fondatore, per celebrare lo spirito della
ricerca critica, incrociando esperienze e testimonianze in vari ambiti, dalla letteratura alla filosofia alla scienza.
Le Lezioni si tengono ogni anno tra ottobre e novembre, e vogliono rappresentare un territorio libero di conoscenza per tutti coloro i quali sono interessati ad ascoltare voci originali della cultura
contemporanea e partecipare dialetticamente al percorso che, sempre in modo originale, si costruisce in modo complice tra l’Autore
e il Pubblico.
La scelta editoriale ha voluto tracciare un percorso delle Lezioni
dal loro inizio attraverso una sintesi per ciascuna serie. L’obiettivo
è stato quello di offrire al Lettore il senso del percorso intrapreso e
della tessitura intellettuale che ci ha ispirato.
La pubblicazione di questo volume coincide con le celebrazioni
per il Centenario della nascita di Carlo Bo, e siamo particolarmente
lieti di questo tributo in Suo onore.
La Fondazione Carlo e Marise Bo
per la Letteratura Europea Moderna e Contemporanea
Lezioni Urbinati 2003/2009
Preludio e trattato delle passioni.
Lo Zibaldone del Leopardi*
di Carlo Ossola
Esistono sostanzialmente due modi di leggere lo Zibaldone leopardiano. Uno è il modo diacronico, così come ci è stato consegnato
dai quaderni manoscritti, nei quali Leopardi annotava sistematicamente la data di composizione: si tratta dell’edizione tradizionale,
ben depositata, ormai, in diverse edizioni critiche. Un’alternativa
più recente è stata invece, anche troppo rapidamente, accantonata.
Parliamo dell’edizione tematica, che, seguendo l’ordine indicato dal
Leopardi stesso nel 1827, nelle Polizzine e nelle Polizzine a parte, ci
fornisce una diversa visione dell’opera e della personalità stessa del
poeta. Se, infatti, la disposizione cronologica ci dà molte informazioni che servono a intrecciare lo Zibaldone con il resto dell’opera
leopardiana, e a vedere, quasi giorno per giorno, come il Leopardi
lavorava – tra glottologia, storia della lingua comparata greca e latina, storia della filologia e della linguistica romanza, e poi, naturalmente, intorno a quella antropologia dei costumi che, a un certo
punto, finisce per assorbirlo completamente – d’altro lato, anche
l’edizione tematica offre dei vantaggi notevoli, dal momento che
essa nasce quando Leopardi inizia a meditare su quello che egli ha
fatto sin lì, in sette anni di lavoro, e si rende conto che ne può ricavare qualche cosa, come ora cercherò di illustrare.
Mentre l’edizione cronologica è accertata dalla datazione di Leopardi, e la pagina segue il susseguirsi delle ore e delle giornate, l’edizione tematica ci mette di fronte, piuttosto, a delle vere e proprie nervature, lasciando nella penombra la continuità dei giorni e delle ore.
Se, per esempio, apriamo l’edizione tematica a cura di Fabiana Cacciapuoti in quella parte che da Leopardi era stata rubricata come Della natura degli uomini e delle cose, alla prima pagina, così come l’aveva
pensata Leopardi, leggiamo: «La ragione è nemica d’ogni grandezza»1.
* Il saggio è la trascrizione, dall’orale, della terza delle Lezioni Urbinati tenute dall’Autore
il 6, 7, 8 e 9 ottobre 2003. [N.d.C.]
4
Lezioni Urbinati 2003/2009
È questa una citazione letteralmente pascaliana: la ragione non tende
che a conoscere i propri limiti, il proprio della ragione è la misura del
limite. Ora, noi sappiamo che Leopardi aveva letto Pascal nell’edizione di Port-Royal e questo incipit è straordinariamente “portroyalista”:
è un Leopardi che usa molto liberamente e molto ingegnosamente
Pascal per una battaglia contro la ragione, non però nella direzione di
un irrazionalismo romantico – come lo ha inteso, invece, una parte
della critica – quanto per cercare di scalzare il primato della conoscenza del limitato, laddove, in realtà, lo specifico della conoscenza – così
come del desiderio e della poesia – sembra essere, piuttosto, l’illimitato. In questo senso, dunque, l’acuta battaglia che Leopardi conduce
contro la ragione non è motivata dalla sua intenzione di esaltare l’irrazionale ma, al contrario, di farci uscire dalle remore del limitato verso
l’illimitato e l’infinito.
C’è tuttavia uno specifico leopardiano anche quando egli eredita
alcuni concetti da Pascal: l’ipotesi leopardiana è infatti la riconquista della grandezza della natura. Quando si legga l’ordine tematico
secondo le Polizzine preparate dal Leopardi nell’estate del 1827, riaffiora persino una sorta di sostrato bruniano, ossia l’idea che l’uomo
deve in qualche modo ritornare a quell’illimitato che prima di tutto
gli è offerto dalla natura. Mi riferisco qui a quell’eredità lucrezianoepicurea che si trova in alcune delle Operette morali, così come in
una parte dello Zibaldone. Ad esempio, lo straordinario Frammento
delle Operette morali in cui si profetizza che il mondo continuerà
vorticosamente a girare, e il sistema solare e le stelle con esso, sino
a che la sfera non diventerà disco e il disco si assottiglierà sempre di
più, tutto andrà in briciole e da questa polvere cosmica nasceranno
nuovi mondi2 è una lettura certamente lucreziana, ma si tratta del
Lucrezio che a larghi passi è citato da Bruno nel dialogo De l’infinito
universo et mondi e in quello che lo precede, De la causa, principio et
uno. Alla limitatezza della ragione si contrappone quindi, prima di
tutto, questa infinità cosmica della natura, e infatti all’affermazione
leopardiana: «La ragione è nemica d’ogni grandezza» segue questa
osservazione: «La ragione è nemica della natura: la natura è grande,
la ragione è piccola»3.
La polarità che immediatamente Leopardi introduce in ordine
alla ragione è dunque quella del confronto con la natura, e in ciò
si comprende come egli sia fortemente lucreziano (il titolo stesso
di questo trattato, Della natura degli uomini e delle cose, è interamente
lucreziano: si tratta di un De rerum natura a cui Leopardi aggiunge gli
Preludio e trattato delle passioni. Lo Zibaldone del Leopardi
5
uomini, trasformandolo quindi in un De rerum et hominum natura).
Se fosse una riflessione interamente pascaliana, infatti, nel seguito
Leopardi potrebbe avanzare una tesi di questo tipo: “la ragione è
piccola, l’infinito è incommensurabile; ma l’uomo, non foss’altro
che attraverso il suo spavento, riesce a prendere consapevolezza che
infiniti mondi lo superano”. Questo è di fatto il senso della riflessione pascaliana, che non cede mai all’ipotesi che l’uomo, nella sua
finitudine, possa sostituirsi all’infinito; mentre il Leopardi in questo straordinario inizio si àncora innanzitutto a un’opposizione tra
limitatezza della ragione e infinito della natura. Ciò risulta ancora
più interessante se si tiene conto del fatto che il Leopardi si colloca
proprio sul finire del “secolo della ragione” e che la sua biblioteca
è ancora una biblioteca largamente settecentesca. Quando Leopardi
stesso sottolinea di trovarsi nel “secolo della ragione” sta dunque
parlando con e attraverso i propri libri, attraverso le sue tre stanze
di Bibbia, classici e letterature moderne, dove sono praticamente
assenti i testi di quelli che noi oggi definiremmo “i romantici”, che
Leopardi “inoltra” piuttosto verso la sorella Paolina.
Si noti, peraltro, che il testo del frammento che sto considerando ha per titolo Illusioni, dove il termine non è qui da intendersi in
un senso negativo, dal momento che le illusioni in Leopardi sono
piuttosto tutto ciò che supera «la nuda e secca ragione». Si tratta,
dunque, di un termine molto potente: la ragione è tutto ciò che
ci spoglia della natura e della religione, la quale fa parte di questo
mondo generale delle illusioni. La religione è collocata da Leopardi
dalla parte della natura, poiché ci spinge a oltrepassare il limite di
ragione, ed è perciò alleata delle illusioni e, in generale, di tutto ciò
che è poetico.
A quest’altezza possiamo porci una domanda: qual è il significato
dell’anno 1827? In altre parole, perché Leopardi decide di sistematizzare i suoi pensieri proprio in questo momento? Il 1827 è l’anno
nel quale Leopardi, sollecitato dall’editore Stella, compie un’importante operazione, consistente nella doppia Crestomazia, la Crestomazia italiana della prosa e la Crestomazia italiana poetica, due antologie
che dovevano servire a formare l’italiano dabbene, l’honnête homme.
L’editore è importante, e Leopardi si impegna. Evidentemente, per
un uomo nato e vissuto a lungo in un piccolo paese come Recanati,
l’idea di poter intraprendere un’opera che avrebbe parlato all’Italia
colta e che lo avrebbe fatto conoscere negli ambienti letterari e culturali italiani più importanti, deve aver avuto una grande presa. Nel-
6
Lezioni Urbinati 2003/2009
lo stesso anno decide quindi di mettere mano alla riorganizzazione
dello Zibaldone, quasi lo volesse chiudere e sistemare definitivamente, per fissare un’immagine di sé e della propria opera.
Tutte le edizioni dello Zibaldone riportano, com’è noto, l’Indice
del mio Zibaldone di pensieri. Cominciato agli undici di Luglio del 1827 in
Firenze. Si tratta di quasi cento pagine, il che significa che lo stesso Leopardi aveva cominciato a tematizzare – prima capillarmente,
con l’Indice, e poi sistematicamente – il proprio Zibaldone per farne
un’opera che, come si può evincere dai titoli delle Polizzine a parte
richiamate nell’Indice, doveva essere di grande impegno. Troviamo,
così, Civiltà. Incivilimento, e poi, subito dopo, la sezione glottologica,
che è estremamente importante, vista, in particolare, la rilevanza che
hanno nell’economia della poesia leopardiana i diminutivi positivati,
un’invenzione che Leopardi ha consegnato alla letteratura italiana
e che fa del poeta un Mallarmé ante litteram4. Finita questa sezione
glottologica, ricomincia poi la parte del grande moralista – e non
è un caso che nello Zibaldone gli autori più frequentemente citati
siano proprio i grandi moralisti francesi, da Bossuet a Montesquieu,
a Madame de Lambert. In questa parte dello Zibaldone troviamo
quindi: Trattato delle passioni, Manuale di filosofia pratica, Teorica delle
arti, lettere ec., quest’ultima divisa in una Parte speculativa e una Parte
pratica. Infine, le Polizzine a parte si chiudono con un’altra sezione di
capitale importanza, Memorie della mia vita5.
Leopardi, dunque, con grande ambizione, all’altezza del 1827,
decide di fare dello Zibaldone da un lato l’opera del grande moralista, dall’altro le memorie della propria vita. Decide, insomma, di
porsi come una sorta di emulo, continuatore e, allo stesso tempo,
critico di quella linea che si era imposta nell’ultimo Settecento, soprattutto con Rousseau, come dimostrano i passi delle Memorie della
mia vita, che hanno sempre il sapore del bilancio agostiniano, caratteristico, appunto, delle Confessioni di Rousseau. Se, d’altra parte, si
compara l’indice della Crestomazia della prosa con queste rubriche,
ci si rende conto che in buona parte coincidono; più precisamente,
tutta l’ultima parte della Crestomazia è costruita esattamente nello
stesso modo dello Zibaldone: anche là troviamo una Filosofia pratica
e una Filosofia speculativa, così come qui abbiamo un Manuale di
filosofia pratica e una Teorica6. I due progetti vanno dunque avanti
di pari passo e ciò testimonia anche di quanto fosse maturo questo
piano nella mente di Leopardi: antologizzava gli altri come stava
antologizzando se stesso o, se si vuole, simmetricamente, antologiz-
Preludio e trattato delle passioni. Lo Zibaldone del Leopardi
7
zava se stesso come stava antologizzando la tradizione della letteratura italiana.
Perché, allora, il progetto dello Zibaldone tematico non ha avuto
compimento e successo? Le ragioni sono tante. Innanzitutto l’abitudine a leggere cronologicamente lo Zibaldone è molto consolidata e
le edizioni critiche riguardano quasi tutte questa disposizione. C’è
però anche un limite oggettivo, che del resto Fabiana Cacciapuoti mette bene in luce, e cioè che il Leopardi, non sapendo ancora
come costruire quell’ultima rubrica, Memorie della mia vita, dentro
un sistema pratico-speculativo che andava dalla teorica delle arti e
delle lettere all’etica e alla filosofia, nelle sue Polizzine aveva scritto
semplicemente il titolo, Memorie della mia vita, e gli aveva fatto seguire una lunga serie di rinvii di pagina.
Oltre a ciò, quando si prendano le Polizzine, si osserverà che
buona parte dei frammenti dello Zibaldone più impegnati teoricamente – quelli che noi potremmo chiamare le “pensées strutturanti
dell’opera” – molto spesso figurano in più luoghi. Per esempio, il
frammento che abbiamo considerato sopra, che compare all’inizio
del trattato filosofico Della natura degli uomini e delle cose, compare
anche nella Teorica delle arti, proprio perché si tratta di un pensiero che struttura decisamente la poetica di Leopardi. Raccogliendo
questi pensieri nel modo in cui Leopardi li aveva antologizzati, dunque, è possibile fissare una struttura, sebbene ancora estremamente
mobile e magmatica, e ricostruire, facendo reagire continuamente
lo Zibaldone tematico con quello cronologico, il grande, ambizioso
progetto di un ricchissimo pensatore.
Veniamo dunque al momento successivo: come possiamo leggere sincronicamente, ossia per via tematica, e diacronicamente, lo
Zibaldone? Il primo passo da compiere, proprio per abituarsi a questa sorta di straniamento dalle nostre abitudini di lettura, dovrebbe
consistere nel prendere in considerazione alcuni degli esempi che
ci fornisce il Leopardi linguista. Si tratta di una sezione dello Zibaldone che apparentemente sembra avere poco senso in un’edizione tematica – obiezione peraltro mossa alla Cacciapuoti –; essa è
tuttavia una parte che Leopardi aveva rubricato e che è di capitale
importanza, in quanto corrisponde a ciò che Jean Mesnard chiama
– riferendosi alle Pensées di Pascal – «il serbatoio», ossia la riserva
di pensieri leopardiana. Si tratta, in altre parole, non soltanto di
un lavoro di semantica storica, ma anche di un progetto – come
già si accennava – di poeta mallarmeano ante litteram, da leggere in
8
Lezioni Urbinati 2003/2009
parallelo, non tanto con le Crestomazie, quanto, soprattutto, con i
Canti.
Per esempio, in un’osservazione che è molto vicina, cronologicamente, alla redazione di A Silvia, troviamo: «Nigellus (e così tutti
gli altri simili) è da nigri p. nigrellus, come flabellum, flagellum, lucellum
da flabrum, flagrum, lucrum. […] Tenellus è certam. p. tenerellus, puer
p. puerellus e simili, soppressa la r come in flabellum ec.»7. E in A
Silvia leggiamo: «Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, / da chiuso
morbo combattuta e vinta, / perivi, o tenerella»8. Questi aggettivi,
dunque, non vengono usati in modo casuale: ogni volta che leggiamo questi diminutivi in Leopardi – «perivi, o tenerella» – non
dobbiamo considerarlo come l’autore romantico, che esalta, come
avrebbe detto George Boas, «il culto della fanciullezza», al contrario, questo «tenerella» è vox che emerge dal brusio di generazioni e
generazioni di scrittori e di lingue che ci hanno preceduto.
Ancora – le date, di nuovo, sono molto vicine, anche se in questo caso il riferimento è allo Zibaldone “cronologico” – troviamo
una nota del 31 maggio 1829 che dice: «La forma aiuolo e aiólo in legnaiuolo, erbaiuolo, vignaiuolo, stufaiuolo o stufaiolo, fruttaiuolo o
fruttaiolo, calzaiuolo, pesciaiuolo, armaiuolo e simili, è altresì originariam. diminutiva»; poi, una riga sotto: «Tombereau. Doucereux.
Fiocco - flocon», e sotto ancora: «Manuale di filosofia pratica. Memorie della mia vita»9. Dunque, alla fine delle note prese nel corso
di una giornata, Leopardi introduceva anche degli appunti sui possibili luoghi dove inserire le sue riflessioni – in questo caso, il Manuale
di filosofia pratica e le Memorie della mia vita. Ma perché inserire nelle
Memorie della mia vita quanto è evocato da questo “doucereux”, dai
diminutivi come “erbaiuolo” e “legnaiuolo”?
Si tratta, in realtà, di un costante dialogo della filologia leopardiana con la propria poesia, se consideriamo che la prima pagina
dello Zibaldone inizia con un frammento di poesia («Mandava un
suon, cui precedea da lungi / Il tintinnìo de’ mobili sonagli») che
darà frutto più tardi ne La quiete dopo la tempesta: «e, dalla via corrente, odi lontano / tintinnio di sonagli; […]». Così, qui, «l’erbaiuol», che appare nella stessa poesia; o ancora il «legnaiuol» del
Sabato del villaggio. Si tratta di diminutivi “di intensificazione” chiamati a prolungare un’“eco di memoria”; o ancora, per avvalerci di
un’espressione di un appassionato lettore di Leopardi come Yves
Bonnefoy, potremmo parlare, per la sua poesia, di uno «sguardo
sonoro» di Leopardi.
Scarica