Rimanere nell`amore di Gesù

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Rimanere nell’amore di Gesù
10 maggio 2015 – VI Domenica di Pasqua Anno B
Prima lettura – Atti 10,25-27.34-35.44-48
Avvenne che, 25 mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi
piedi per rendergli omaggio. 26 Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». 27 Poi prese la parola
e disse: 34 «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, 35 ma accoglie chi lo teme e pratica
la giustizia, a qualunque nazione appartenga».
44 Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la
Parola. 45 E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono
dello Spirito Santo; 46 li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio.
Allora Pietro disse: 47 «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo
Spirito Santo?». 48 E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni
giorni.
L’episodio del battesimo di Cornelio e della sua gente svolge un ruolo importante nella narrazione degli Atti. E’ la
prima volta che dei non giudei vengono battezzati, e questo avviene per opera di Pietro, il primo degli apostoli.
La lunga narrazione (10,1-11,18) andrebbe meditata con calma perché mostra la fatica che fa la chiesa – sia Pietro che
i suoi compagni giudei a Gerusalemme – ad aprirsi alle nuove prospettive suscitate dall’azione dello Spirito di
Gesù che la precede nella vicenda storica e nella via della salvezza per tutti gli uomini.
Pietro entra nella casa di Cornelio dopo aver sognato che avrebbe potuto mangiare cibo immondo senza contaminarsi: è
il primo passaggio per poter fare comunione con i pagani. Cornelio cerca Pietro perché la sua preghiera di salvezza è
stata esaudita.
I vv. 34-35 ci raccontano il processo di conversione di Pietro che, messo di fronte a quanto sta accadendo, non può far
altro che riconoscere e attestare l’azione dello Spirito che gli testimonia come ciò che conta per la salvezza non sono i
sacrifici o l’osservanza di regole di purità («Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia,
pace e gioia nello Spirito Santo» Rm 14,17), ma è temere di Dio e praticare la giustizia, qualunque sia il popolo a cui
si appartiene.
Questo era vero allora, ed è vero anche oggi. Temere Dio significa avere la giusta considerazione di lui, averne una
esperienza che si trasforma in conoscenza d’amore. Praticare la giustizia si può esprimere con il comandamento
dell’amore del prossimo come se stessi. Ecco che così vengono citati – in modo velato – i due comandamenti che
riassumono tutta la legge (cfr. Mc 12,28-34).
Pietro fa seguire poi l’annuncio della morte e resurrezione di Gesù, secondo quanto avevano annunciato i profeti: «A
lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo
nome» (cfr. At 10,36-43).
A conferma delle parole di Pietro lo Spirito Santo scende su coloro che ascoltano il vangelo di salvezza. Il segno
dello Spirito effuso, quello Spirito che i discepoli avevano ricevuto dal Risorto (Gv 20,22-23: «Ricevete lo Spirito
Santo. A coloro a cui perdonerete ei peccati i peccati, saranno perdonati»), mostra come Dio sa riconoscere chi lo
adora in Spirito e verità (cfr. Gv 4,23).
Pietro non può che prenderne atto e compiere il gesto sacramentale del battesimo che rende visibile il dono della
presenza dello Spirito del Signore. E rimane con loro alcuni giorni per approfondire il Mistero Pasquale che ha appena
annunciato. E’ un momento di catechesi, ma soprattutto di scambio nello Spirito di Dio che guida i discepoli alla
verità intera (cfr. Gv 6,13-15).
Seconda lettura – 1Giovanni 4,7-10
7 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.
8 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
9 In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi
avessimo la vita per mezzo di lui.
10 In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come
vittima di espiazione per i nostri peccati.
Con questo brano si apre la terza e ultima parte della prima lettera di Giovanni, che tratta dell’origine della carità e
della fede. Entrambe vengono da Dio in quanto Dio è amore e Gesù è «colui che dà origine alla fede e la porta a
compimento» (Eb 12,2).
Abbiamo visto anche settimana scorsa l’intreccio tra conoscenza e amore. Amare vuol dire vivere in relazione con
l’altro capaci di prendersi cura della vita altrui, come della propria (Mc 12,28-34), fino al dono della vita. Questo ha
fatto Dio in Gesù e per questo conosciamo l’amore di Dio per noi. Noi siamo capaci di amore perché siamo stati
generati da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26.28).
Testi ed appunti per la liturgia domenicale possono diventare dono da offrire per maturare il nostro sacerdozio comune nella Parola di Dio.
Nei circoli e tra cristiani che partecipano alla liturgia il testo può servire per una personale riflessione settimanale.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, che è amore. Questa affermazione di Giovanni ci aiuta a comprendere il mistero
di Dio che è relazione d’amore in sé e per noi. Dio si prende cura della vita delle sue creature come si prende cura del
proprio nome, cioè di se stesso. Se egli non ci amasse mantenendosi fedele alla promessa di vita che percorre tutta la
storia con l’umanità, dalla creazione fino alla morte e resurrezione di Gesù, noi potremmo dubitare dell’amore di Dio.
Ma dando la vita a Gesù, tramite la resurrezione, noi sappiamo che nulla ci può separare dall’amore di Dio (cfr.
Rm 8,31-39).
Attraverso la fede in Gesù risorto noi abbiamo la certezza che Dio ci dà la vita perché, nonostante siamo dei peccatori,
Gesù ha perdonato i nostri peccati e ci ha salvati dalla morte (cfr. 1Cor 15,1-28). Abbiamo dunque fiducia in Dio.
Vangelo – Giovanni 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 9 «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio
amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del
Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13 Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15 Non vi
chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho
udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto
rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri».
La liturgia ci propone la continuazione del brano iniziato domenica scorsa sulla vite e i tralci.
Giovanni caratterizza la relazione che unisce Gesù, il Padre e i discepoli tramite l’amore. L’amore è proposto come una
relazione che interpella la libertà di ciascun protagonista della relazione: Gesù, i discepoli e il Padre, a vivere
all’altezza del reciproco legame d’amore.
Il Padre è amore (cfr. 1Gv 4,8; seconda lettura) e Gesù vive di questo legame con il Padre, in quanto Figlio prediletto e
amato (Mc 9,7: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo», dice il Padre ai discepoli che vedono Gesù trasfigurato).
In forza di questa esperienza di amore, Gesù ama i suoi discepoli e li invita a rimanere nel suo vincolo d’amore che lo
unisce al Padre. L’amore è relazione: non un possesso per sé, ma relazione che dà la vita, in quanto si caratterizza per
la cura della vita propria e altrui allo stesso tempo (cfr. Mc 12,28-34).
La dinamica di obbedienza ai comandamenti del Padre è quella che permette ai discepoli e a Gesù stesso, ognuno per la
propria vita, di rimanere nell’amore, in quanto i comandamenti sono dati perché la vita di colui che li osserva si
espanda e si accresca sempre più. Così è stato per Gesù, risorto, e così sarà per i discepoli che lo seguiranno.
Accedere alla vita piena è ciò che dà gioia a Gesù e che lui partecipa a noi.
Ora non basta amare Gesù e il Padre, ma occorre amarsi a vicenda dello stesso amore con cui ci ha amati Gesù. Egli
ha scelto i discepoli come suoi amici, perché tutti potessimo diventare suoi amici. Per essi, e per noi, egli ha dato la
vita, come si fa tra amici, con amore gratuito e conoscendo bene la povertà della nostra fedeltà ai suoi comandamenti
e alla relazione d’amore con lui. Infatti Gesù ha appena detto che uno dei dodici lo avrebbe tradito (Gv 13,21-30), e
anche gli altri lo lasceranno solo da lì a poco (Gv 18,15-27), ma il suo amore per loro non viene meno. Egli sa che ciò
che vivrà nella passione e morte, lo deve vivere da solo, perché la redenzione del mondo è opera sua e non nostra. Il
suo è un destino personale e unico, in quanto Figlio amato che si fa carico di rivelare il vero amore che viene da Dio.
Ora è Gesù che ha scelto quei dodici, tra cui un traditore e gli altri che lo abbandonano nel momento della prova. Egli sa
che proprio da questo passaggio doloroso della propria pochezza, i discepoli sapranno riconoscere il vero amore di
Dio che li farà fruttificare nell’amore con abbondanza.
E’ nel perdono di quest’amico che hanno sperimentato, nel dono della pace e dello Spirito ricevuto (Gv 20,19-29), che i
discepoli diventano consapevoli che il Padre farà di tutto per accogliere le loro richieste di giustizia e di pace, di
amore vicendevole che, ancora una volta, Gesù comanda ai discepoli e a noi.
L’amore non è uno spontaneo sentimento personale, ma è la libera decisione di obbedire al comando che Dio ci dà
affinché possiamo camminare nella vita vera: amare lui e i fratelli con tutto noi stessi.
Spunti di riflessione
* Quali cambiamenti, conversioni, sono chieste dalla storia alla nostra comunità parrocchiale e alle nostre realtà
associative?
* Quanto vale il comandamento dell’amore nelle mie relazioni?
* Gesù si offre per me, quale significato assume nella mia vita?
a cura di
Marco Bonarini – Funzione Vita Cristiana Acli nazionali
Andrea Casavecchia – Funzione Studi Acli nazionali
Testi ed appunti per la liturgia domenicale possono diventare dono da offrire per maturare il nostro sacerdozio comune nella Parola di Dio.
Nei circoli e tra cristiani che partecipano alla liturgia il testo può servire per una personale riflessione settimanale.
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