UNITÀ 4 – L’ATMOSFERA TERRESTRE Lezione 2 – L’umidità atmosferica Approfondimento - L’azione delle acque meteoriche sulla superficie terrestre: il carsismo L’acqua meteorica, cioè quella che deriva dalle precipitazioni atmosferiche, effettua un’azione di soluzione sui calcari attraverso una reazione chimica: cerchiamo di capire come avviene. Le rocce calcaree sono formate in prevalenza da carbonato di calcio CaCO3, un sale di calcio poco solubile in acqua. Le acque meteoriche, invece, contengono, sia pur in minime dosi, piccole quantità di diossido di carbonio (CO2), che catturano dall’atmosfera, diventando così acidule. Il CaCO3 si trasforma in bicarbonato di calcio (Ca(HCO3)2), un composto molto solubile, secondo la seguente reazione: CaCO3 carbonato di calcio (calcare insolubile) + H2 O acqua + CO2 Ca(HCO3)2 diossido di carbonio bicarbonato di calcio (solubile) È questa reazione la responsabile del fenomeno dell’erosione carsica o carsismo. Il fenomeno carsico si manifesta in superficie con la formazione di un paesaggio che nella zona del Carso, nella Venezia Giulia, è particolarmente importante e caratteristico: esso si presenta con altipiani estesi, con forre, con conche tappezzate da terre forra: valle profonda con pareti ripide. rosse, argillose e impermeabili e tutta la superficie manca di un reticolo idrografico permanente. Forme carsiche caratteristiche sono le doline, depressioni a forma circolare o allungata. Attraverso le numerose fessure e fratture l’acqua penetra nel sottosuolo, proseguendo la sua azione di dissoluzione all’interno, dando luogo a cavità, grotte, pozzi, inghiottitoi con stalattiti, cioè pinnacoli che pendono dalle volte delle grotte, e stalagmiti, che si elevano dal basso. A volte, col tempo, le stalattiti e le stalagmiti si incontrano dando origine a delle colonne [fig. 1]. La formazione di queste concrezioni è dovuta alla precipitazione delle acque che sgocciolano all’interno delle grotte: l’acqua ricca di bicarbonato di calcio cede una parte di diossido di carbonio all’aria della grotta, l’acqua quindi s’impoverisce di CO2, diventa meno capace di sciogliere il carbonato di calcio e questo precipita e si deposita (basta leggere la reazione chimica, scritta prima, da destra verso sinistra). Grotte carsiche assai note sono quelle di Postumia nel Carso, di Castellana nelle Fig. 1. Un suggestivo esempio di colonne nate Puglie, di Frasassi nelle Marche. Esse dall’unione di stalattiti e stalagmiti. presentano cavità e cupole di notevole bellezza che offrono uno spettacolo sensazionale ai visitatori, con festoni in calcare trasparenti, forme simili ad animali, fontane, cascate, presepi e colonne. 1 UNITÀ 4 – L’ATMOSFERA TERRESTRE Lezione 3 – La pressione atmosferica Approfondimento - La circolazione dell’aria in quota La circolazione in quota presenta caratteri diversi da quella in superficie. Qui manca l’azione frenante dell’attrito e degli ostacoli orografici del terreno, ossia i rilievi, e quindi la velocità dei venti in quota aumenta. Considerando la zona equatoriale e la circolazione dell’aria in senso verticale, si può constatare che sopra l’equatore l’aria calda e meno densa s’innalza, mentre ridiscende a livello dei tropici. Il circuito consente il trasferimento di calore dall’equatore a latitudini maggiori. All’interno delle correnti occidentali, a quote tra i 6 000 e i 12 000 m, si creano dei “corridoi” nei quali l’aria si muove con velocità che possono raggiungere i 400-500 km/h. Tali fenomeni sono chiamati correnti a getto (o jet streams) [fig. 1] e sono dei veri e propri fiumi d’aria, alti 1 o 2 km, larghi qualche decina, lunghi fino a qualche migliaio di km. Le correnti a getto sono temute dai piloti degli aerei in quanto spesso sono sede di forte turbolenza, definita CAT (dall’inglese clear air turbulence, turbolenza in aria serena), molto pericolosa durante il volo. L’andamento uniforme delle correnti a getto è spesso perturbato dalla formazione di grandi ondulazioni, dette onde di quota o di Rossby, che si sviluppano nelle zone di contatto tra le correnti d’aria fredda polare e quelle d’aria calda equatoriale. Grazie a tali onde avviene uno scambio di calore tra la zona equatoriale (con eccedenza di energia termica) e quella polare (con carenza di energia termica). Infatti, l’aria calda delle basse latitudini viene spostata verso Nord, mentre quella delle regioni polari è spinta verso l’equatore. Fig. 1. La circolazione dell’aria nell’atmosfera secondo percorsi circolari a celle (CG = correnti a getto). 2 UNITÀ 4 – L’ATMOSFERA TERRESTRE Lezione 4 – Il clima Approfondimento - Il clima di alta montagna Il clima di alta montagna non è inserito nella classificazione di Köppen, tuttavia è tipico di zone ben delimitate come le cime delle grandi catene montuose o sopra il limite del bosco. Ha caratteristiche simili ai climi polari, con la differenza che sulle cime delle montagne si rileva una forte escursione termica giornaliera, che non si riscontra nelle zone climatiche delle alte latitudini. Come è possibile rilevare questa analogia tra i climi polari e quelli di alta montagna? I climi, in effetti, variano secondo la latitudine, ma anche secondo l’altitudine; di conseguenza, a un aumento dell’altitudine corrispondono cambiamenti climatici identici a quelli che si verificano se aumenta la latitudine. In questo modo si può trovare un clima subpolare e polare tra i ghiacciai di una montagna africana. Essa è dovuta alla diversa intensità d’insolazione che, aumentando con la quota, surriscalda le vette di giorno, determinando un’accentuata escursione termica diurna. Infatti, in alta quota fa molto caldo di giorno e molto freddo di notte. Gli scienziati hanno calcolato che salire di 100 metri in montagna equivale, sotto l’aspetto climatico, a fare un viaggio verso i poli di 400 kilometri. In Italia, nella zona alpina, è pertanto possibile trovare un bioma corrispondente alla foresta di aghifoglie, con abeti, pini e larici, sui versanti montuosi compresi all’incirca tra i 1200 m e i 1900 m. Sopra il limite dei boschi troverai il bioma della tundra, con piccoli cespugli e pascoli d’alta quota. Infine, intorno ai 3000 m, le nevi perenni. Ma se tu andassi in una zona equatoriale, come per esempio presso il monte Kilimanjaro in Africa, potresti trovare alla base di questa montagna la foresta pluviale, e poi, salendo, via via gli altri biomi che hai studiato, caratteristici di ambienti più freddi, finché sulla cima, che supera i 6000 m, troveresti le nevi perenni, come ai poli [fig. 1]. 3 UNITÀ 4 – L’ATMOSFERA TERRESTRE Lezione 4 – Il clima Approfondimento - El Niño Un fenomeno atmosferico che si origina sul Pacifico meridionale al largo delle coste del Perù e che riesce a provocare mutamenti climatici a livello planetario è stato battezzato dai pescatori delle coste dell’Ecuador e del Perù El Niño, cioè il bambinello Gesù, perché solitamente si manifesta in dicembre. Un nome non proprio adeguato, considerato che a lui si attribuiscono quei violenti uragani, abbattutisi sull’America centrale e sui Caraibi dopo la sua ultima apparizione (1997-98), i quali, a loro volta, hanno provocato ingenti alluvioni e numerosi morti. El Niño si manifesta come un riscaldamento anomalo dell’acqua superficiale del Pacifico antistante il Perù, che normalmente è fredda a causa della corrente di Humboldt; può durare parecchi mesi e ha ripercussioni sulle condizioni climatiche e meteorologiche dei continenti. Si tratta di un fenomeno climatico ricorrente che si verifica ogni 4-5 anni, ma ogni volta con un’evoluzione diversa. Già gli Incas lo conoscevano, ma la prima documentazione scritta risale al 1525. Gli antichi contadini peruviani vedevano l’arrivo del Niño come un dono del cielo, del bambino Gesù appunto, perché la corrente d’aria calda portava con sé perturbazioni e precipitazioni che rendevano le aride terre delle coste peruviane ed ecuadoregne rigogliose di vegetazione. Purtroppo le comparse del Niño, in questi ultimi decenni, più che “doni” hanno portato danni e distruzioni e, a quanto pare, le ultime sono state particolarmente devastanti. El Niño ha anche un suo contrario, La Niña, che raffredda l’acqua superficiale del Pacifico meridionale e provoca fenomeni meteorologici opposti, anche se di minore entità. Cerchiamo, ora, di comprendere come si origina e si sviluppa tale fenomeno climatico. I primi studi sistematici sul Niño furono iniziati dallo scienziato Sir Gilbert Walker, negli anni venti del secolo scorso. Osservando il clima del Pacifico egli poté individuare un andamento abbastanza costante della circolazione delle masse d’aria. I raggi del Sole scaldano le acque superficiali dell’oceano, provocando l’evaporazione e la salita di grandi quantità d’aria calda e umida. Si viene a formare così una zona di bassa pressione occidentale vicino all’Australia e all’Indonesia. L’aria, innalzandosi, si raffredda ed elimina il suo contenuto d’acqua sotto forma di abbondanti piogge. Divenuta così più secca e viaggiando a quote superiori, l’aria si dirige verso Est, raffreddandosi ancora e aumentando ulteriormente di densità. Arrivata alle coste occidentali dell’America meridionale, inizia a scendere, creando una zona di alta pressione nei pressi della superficie dell’acqua. L’aria quindi, negli strati inferiori, ritorna, sotto forma di venti alisei, verso l’Australia e l’Indonesia per terminare il suo ciclo. Questo moto circolatorio, che si verifica normalmente sopra il Pacifico equatoriale, è detto “circolazione di Walker” in onore dello Fig. 1. scienziato che lo studiò per primo. I forti venti alisei, che tengono lontana la massa d’aria calda dalle coste sudamericane, favoriscono la salita in superficie dell’acqua fredda che, essendo ricca di sostanze nutritive, rende le acque al largo delle coste del Perù le più pescose del mondo [fig. 1]. Walker scoprì, anche, che, periodicamente, si aveva un innalzamento della pressione a 4 Est, con corrispondente abbassamento della pressione a Ovest, e questi mutamenti di pressione aumentavano la forza degli alisei, provenienti da Est, sulla superficie dell’oceano. Viceversa, un’inversione del fenomeno, cioè un abbassamento della pressione a Est e un innalzamento a Ovest, indeboliva i venti provenienti da Est. Walker chiamò questo fenomeno Southern Oscillation (Oscillazione Meridionale). Quando gli alisei provenienti da Est e diretti verso il Pacifico centrale diventano più deboli (a causa dell’abbassamento della pressione a Est), l’acqua calda del Pacifico occidentale si sposta a oriente e va a riscaldare le acque al largo del Perù. A causa della forte evaporazione, per la risalita di aria calda e umida, si formano nubi temporalesche sul Pacifico centrale Fig. 2. che vanno a scaricarsi, sotto forma di pioggia torrenziale, sulle Galàpagos, sulle coste del Perù e dell’Ecuador. Lo strato superficiale di acqua calda scivola sopra quello di acqua fredda, che è ricca di sostanze nutritive, e la fauna marina si sposta a Sud in cerca di acque più fredde e più ricche di nutrimento. È questo il fenomeno del Niño [fig. 2]. Se, invece, la pressione a Est s’innalza, gli alisei provenienti da oriente si rinforzano e spingono verso Ovest (verso l’Asia) la massa d’acqua calda superficiale. L’acqua fredda riesce, così, a risalire dalle profondità, raffreddando le coste del Perù e rendendo più pescose le Fig. 3. acque. Le nubi temporalesche si spostano verso il Pacifico occidentale. È questo il fenomeno della Niña [fig. 3]. Quindi si può concludere che le acque calde portate dal Niño, quelle fredde portate dalla Niña e la Southern Oscillation fanno parte dello stesso fenomeno che gli studiosi chiamano oggi Enso (El Niño Southern Oscillation), in cui atmosfera e oceano interagiscono. 5