INFORMAZIONE - Studi Filosofici

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FILOSOFICA
FILOSOFICA
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Italiano
per gli
Studi
Filosofici
Istituto
Lombardo
per gli Studi
Filosofici
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Via Monte di Dio 14,
80132 Napoli
Viale Monte Nero 68,
20135 Milano
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sfera armillare riproducente
il sistema copernicano
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1
* Nel numero 25
di Informazione Filosofica sono
stati inavvertitamente omessi,
tra i collaboratori, i nomi di
Luca Scarantino,
Alessandro Di Chiara,
Giuseppina Di Lauro,
e tra i redattori, il nome di
Angela Molinari.
26
EDITORIALE
Gentili lettori,
dedichiamo questo numero alla memoria di Karl R. Popper,
scomparso il 17 settembre 1994. L’insegnamento che il suo
esempio di vita e lavoro intellettuale ci lascia è quello di
un’inesauribile fede nella ricerca scientifica, di una convinzione profonda, esclusiva, nel significato della libertà e
della tolleranza. Nel 1978, Paul Feyerabend, uno degli
allievi più brillanti e più critici di Popper, scriveva: «Avevo
conosciuto Popper nel 1948 ad Alpbach. Ammiravo la sua
libertà di modi, la sua impudenza, il suo atteggiamento
privo di rispetto nei confronti dei filosofi tedeschi, che
davano peso alle discussioni in più di un senso, il suo
umorismo, e ammiravo molto anche la sua capacità di
formulare problemi “profondi” in un linguaggio semplice
e giornalistico» (La scienza in una società libera, trad. it. di
L. Sosio, Feltrinelli, Milano 1981, p.175).
É vero! Il Karl Popper, relativamente sconosciuto, del
1948 era sostanzialmente diverso dal posteriore filosofo
dell’establishment. Vorremmo tuttavia richiamare qui un
testo, successivo al periodo descritto da Feyerabend, nel
quale Popper, non ancora divenuto Sir Karl, mostra ancora «la sua libertà di modi» e «il suo umorismo».
[…]
Sono un razionalista. Con il termine razionalista intendo
dire un uomo che desidera comprendere il mondo e imparare discutendo con gli altri. (Si noti che non dico che un
razionalista sia un sostenitore dell’errata teoria secondo cui
gli uomini sono completamente o prevalentemente razionali). Con «discutendo con gli altri» intendo, più specificamente, criticandoli, provocando la loro critica e cercando di
trarne insegnamento. L’arte di discutere è una forma particolare di quella di combattere con parole anziché con
spade, ed è ispirata dall’interesse di avvicinarsi alla verità
sul mondo.
Non credo alla teoria corrente secondo la quale, allo scopo
di rendere feconda una discussione, chi vi partecipa debba
avere molto in comune. Al contrario, credo che più è
diverso il loro retroterra, più feconda sarà la discussione.
Non c’è neppure bisogno di un linguaggio comune per
iniziare: se non ci fosse stata la torre di Babele avremmo
dovuto costruirne una. La differenza rende feconda una
discussione critica. Le sole cose che devono avere in
comune i partecipanti ad una discussione sono il desiderio
di sapere e la buona volontà di imparare dall’altro, criticando severamente le sue idee - nella versione più forte che se
ne può dare - e ascoltando ciò che ha da dire in risposta.
Credo che il cosiddetto metodo della scienza consista in
questo genere di critica. Le teorie scientifiche si distinguono dai miti solo in quanto criticabili e suscettibili di modifiche alla luce della critica. Non possono venire né verificate, né rese più probabili.
Il mio atteggiamento critico - o, se si preferisce, eretico influenza, naturalmente, anche quello che ho nei confronti
dei miei colleghi filosofi.
Voi tutti conoscerete la storia del soldato che scoprì che
tutto il suo battaglione (a parte lui, naturalmente) non
marciava al passo. Io mi trovo costantemente in questa
piacevole posizione. E sono molto fortunato perché, di
regola, alcuni altri membri del battaglione sono piuttosto
disponibili a rimettersi al passo. Questo aumenta la confusione; e siccome non sono un ammiratore della disciplina in
filosofia, sono contento finché ci sono abbastanza membri
del battaglione che sono sufficientemente fuori passo l’uno
rispetto all’altro.
Alcune fra le cose che mi irritano e che mi piace criticare
sono:
(1) Le mode: non credo in mode, orientamenti, tendenze, o
scuole, né nella scienza, né nella filosofia. In effetti, penso
che si potrebbe benissimo descrivere la storia dell’umanità
come la storia delle malattie filosofiche e religiose alla
moda. Queste mode possono avere un’unica funzione seria:
quella di attirare la critica. Tuttavia, credo senz’altro nella
tradizione razionalista di una comunità del sapere e nell’urgente bisogno di preservare questa tradizione.
(2) Lo scimmiottamento della scienza fisica: disprezzo il
tentativo, fatto in campi esterni alle scienze fisiche, di
scimmiottarle praticando i loro presunti “metodi” - misurazione e «induzione dall’osservazione». La dottrina che ci sia
tanta scienza in una disciplina quanta è la matematica, o la
misurazione, o la «precisione», che vi si trova si basa su un
totale fraintendimento. Al contrario, la seguente massima
vale per tutte le scienze: non puntare mai a una precisione
maggiore di quanta non ne richieda il problema in esame.
Per questo non ho fiducia nella precisione: credo che la
semplicità e la chiarezza siano valori in se stesse, ma non
che lo siano la precisione o l’esattezza. La chiarezza e la
precisione sono obiettivi diversi e, a volte, persino incompatibili. Non credo in quella che viene spesso chiamata una
«terminologia esatta»: non credo nelle definizioni, e nemmeno nel fatto che esse possano aumentare l’esattezza; e
disprezzo in particolar modo la terminologia pretenziosa e
la pseudo-esattezza che vi è connessa. Ciò che si può dire
lo si può, e lo si dovrebbe di regola dire, con sempre
maggiore semplicità e chiarezza.
(3) L’autorità dello specialista: non credo nella specializzazione e negli specialisti. Tributando un eccessivo rispetto
allo specialista, noi stiamo distruggendo la comunità del
sapere, la tradizione razionalista e la scienza stessa.
Per concludere, penso, in quanto a ciò, che vi sia solo una
via d’accesso alla scienza - o alla filosofia: incontrare un
problema, vederne la bellezza e innamorarsene; sposarlo, e
convivere felicemente con esso, finché morte non vi separi
- a meno che non incontriate un altro e ancor più affascinante problema, o a meno che, in verità, non ne otteniate la
soluzione. Ma anche se riuscite a trovare una soluzione,
potreste poi scoprire, con vostra delizia, l’esistenza di
un’intera famiglia di incantevoli, anche se forse difficili,
figli del problema, per il cui benessere potreste lavorare,
con uno scopo, fino alla fine dei vostri giorni.
(Brano tratto da La non esistenza del metodo scientifico,
pubblicata come Postfazione, 1956 al Poscritto alla Logica
della scoperta scientifica, vol. I, Il realismo e lo scopo della
scienza (trad. it. di M. Benzi e S. Mancini, il Saggiatore,
Milano 1984). La scelta e la traduzione italiana del brano,
lievemente modificata per ragioni di uniformità, è a cura di
Stefano Gattei.)
2
SOMMARIO
5
PROFILO
5
Ricordo di Karl Popper
50 L’immediatezza intuitiva
51 La disputa sul panteismo secondo Vaysse
19 INDAGINE
53 Ritorno di Schelling
19 Filosofia tedesca oggi.
54 Il sigillo di Bruno
Il problema dell’uso linguistico apertamente strategico
55 Pragmatismo: promesse e delusioni
nella prospettiva pragmatico-trascendentale
29 AUTORI E IDEE
56 NOTIZIARIO
29 Modelli di universo
30 I limiti della conoscenza matematica
59 CONVEGNI E SEMINARI
31 Natura, storia e arte in Merleau-Ponty e Lévi-Strauss
59 La natura in filosofia
32 Per il centenario della nascita di Horkheimer
61 Filosofia e vita civile a Napoli
33 Ricordo di Cioran
61 Dio oggi
34 Psicoanalisi e filosofia
61 Storia e filosofia in Hegel
35 Politica e genealogia in Foucault
62 Alle origini dell’etica
36 La biblioteca del potere
63 La traduzione dei testi a Port-Royal
37 Nuove prospettive sul linguaggio
65 Pareyson, filosofo della libertà
66 Dipendenza e intenzionalità nella fenomenologia
39 TENDENZE E DIBATTITI
67 Valori e cultura universitaria
39 Concezioni estetiche
68 Metafisica tra ontologia e antropologia
40 La ragione di Geymonat
70 Problemi di filosofia della scienza
40 L’uomo e la cura
71 Elias e Foucault: civilizzazione e cultura
42 Sul crollo del comunismo
73 CALENDARIO
42 Incontro tra culture diverse
43 Per una nuova Europa
76 DIDATTICA
45 PROSPETTIVE DI RICERCA
76 Un Socrate...redivivo, in versione elettronica
45 Spinoza in Francia
77 Interventi, proposte, ricerche
47 Joseph Joubert
78 RASSEGNA DELLE RIVISTE
47 Diari di guerra di Sartre
48 Wittgenstein: vita e opere
82 NOVITÀ IN LIBRERIA
49 Nuovi studi su Max Weber
3
PROFILO
Karl R. Popper
4
PROFILO
qualsiasi altra cosa del genere, è radicalmente sbagliata
nonostante sia così diffusa e sia in effetti alla base di tutte
le teorie della conoscenza. Con una eccezione: la teoria
secondo la quale noi, nella scienza, lavoriamo formulando ipotesi e tentando poi di eliminarle, con congetture,
ovvero con il metodo che consiste nell’avanzare ipotesi
e nel cercare di confutarle.
I brani che seguono sono tratte da alcune interviste appartenenti all’Enciclopedia Multimediale delle Scienze
Filosofiche, curata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in collaborazione con RAI-Videosapere. I colloqui hanno avuto luogo tra il luglio
a cura di
e il novembre 1989 nella casa di
Stefano Gattei
Popper a Kenley, nel Surrey; le domande sono state poste da David
Miller e da Maria Teresa de Vito. Per evitare parziali sovrapposizioni e ripetizioni, il testo non ha più la forma dialogica
originale; sono stati inoltre operati diversi tagli e introdotte
alcune modifiche necessarie al passaggio dal linguaggio parlato a quello scritto. La suddivisione interna in paragrafi, così
come i titoli rispettivi e i corsivi, sono del curatore. La traduzione
dall’originale inglese, a cura di Dario Antiseri e di Florinda Li
Vigni, è stata a volte modificata per motivi di uniformità.
Karl Popper:
il futuro è aperto
La scienza su palafitte. Penso quindi che l’induzione sia
un mito. Esiste solo un metodo, e cioè quello di procedere
per tentativi ed errori, che consiste, ripeto, nel proporre
delle ipotesi e nel controllarle criticamente. E’ questo il
modo in cui noi dobbiamo procedere. Non abbiamo
nessun altro mezzo, e sebbene per questa via possiamo
raggiungere, se siamo fortunati, delle teorie vere, non
possiamo però mai conseguire la certezza.
La maggior parte delle nostre affermazioni ha carattere
ipotetico. Noi proponiamo le nostre ipotesi o congetture
e le mettiamo alla prova
Il problema dell’induzione.
per scartare quelle sbagliaLa ragione principale che
te, ma in nessun modo posporta a credere all’induziosiamo dimostrarne la verine è che la conoscenza, e
tà.
specialmente la conoscenQuel che è valido, detto alza scientifica, inizi con l’ostrimenti, è il conflitto di
servazione. Si tratta di una
ipotesi differenti, di assuncredenza che ritengo sia
zioni diverse, e l’individuadiffusa ancora oggi come
zione del contrasto e il tenlo è sempre stata in passato
tativo di trovare la migliore
- solo poche persone, in refra le due ipotesi; ancora, lo
altà, si rendono conto che
stabilire dei chiari criteri in
intervengono
le cose non stanno così, e
base ai quali giudicare delDario Antiseri
che non possono essere
la superiorità dell’una o dele
così. Qualsiasi osservaziol’altra ipotesi, proponendo
Giulio Giorello
ne presuppone una grande
per esempio che tra due ipoquantità di conoscenze.
tesi è migliore quella che
E’ necessaria una grande
spiega più fatti sperimentaquantità di conoscenze afli dell’altra. Se una ipotesi
finché le sensazioni mospiega di più, allora signifimentanee abbiano per noi
ca che è più interessante;
a cura di Riccardo Ruschi
un qualche significato. La
non vuol dire che sia più
gente dimentica facilmente tutto questo perché ciò che ci vera, ma che è più interessante, e che pertanto conviene
colpisce maggiormente è l’informazione momentanea. discuterla per prima, lasciando la discussione dell’ipotesi
Ha così origine l’idea che si conosca aprendo gli occhi e più debole solo nel caso che la prima fallisca.
le orecchie, osservando ed ascoltando. Si tratta però di un Einstein affermò di avere nuovi controlli per la sua teoria,
grande errore, un errore compiuto anche da tanti filosofi. controlli che non potevano essere applicati alla teoria di
La percezioni sono molto importanti, ma una percezione Newton. E più volte affermò che se tali controlli, che egli
è sempre un’ipotesi. Anche ciò che è chiamato percezio- si augurava venissero realizzati, avessero confutato la
ne di una Gestalt è un’ipotesi. Tutte le nostre percezioni sua teoria, egli avrebbe accettato la confutazione. Questo
implicano aspettative, ed è l’aspettativa che accompagna è il punto veramente molto importante. Chiunque propole percezioni a dare significato, in senso biologico, ad ne una nuova teoria dovrebbe specificare in quali circoesse. La funzione delle percezioni è quella di formarsi, in stanze egli ammetterebbe di venire sconfitto; o, meglio,
base ad esse, un’aspettativa, ovvero di ipotizzare quello dovrebbe specificare in quali circostanze la propria teoria
che accadrà negli istanti successivi, cosa che è biologica- crollerebbe.
mente molto importante. Possiamo pertanto affermare
che ipotesi ed aspettative sono più o meno equivalenti: il Il criterio di falsificabilità. Nelle mie prime pubblicatermine ‘aspettativa’ è, per così dire, l’equivalente biolo- zioni proposi come criterio del carattere empirico di una
gico del più sofisticato termine epistemologico ‘ipotesi’ teoria - o del suo carattere scientifico - la falsificabilità,
o ‘congettura’. L’osservazione libera da ipotesi non può o controllabilità. Falsificabilità vuol dire che la teoria
esistere. Per questa ragione l’idea che la scienza parta può essere sottoposta a controllo, e nel caso fallisca può
dalle osservazioni per arrivare ad ipotesi o a leggi, o a essere gettata nel cestino, oppure essere corretta. E
Ricordo
di
Karl Popper
5
PROFILO
talvolta le correzioni, pur essendo limitate, possono fare
una tremenda differenza: può accadere che una piccola
correzione rafforzi la teoria in modo tale che essa finisca
con lo spiegare molto più di quanto originariamente non
ci si aspettasse. Il falsificazionismo può condurre, in casi
estremi, al rigetto totale della teoria, cosa che può essere
sbagliata o corretta; oppure, in altri casi, può portare ad un
meraviglioso miglioramento della teoria stessa. Tutti i
controlli scientifici, gli esperimenti, sono tentativi di
confutazione, e rivestono perciò un grande valore, in
quanto non si può avere una confutazione senza imparare
qualcosa di nuovo ed importante.
La risposta alla domanda se la mia teoria sia falsificabile
oppure no è: no, non è falsificabile. Mai ha inteso infatti
essere una teoria empirica; vuole essere soltanto un
consiglio agli scienziati, cosa sicuramente differente.
Se guardiamo alla storia della scienza dal punto di vista
del mio suggerimento (cioè come una storia di ipotesi e
di confutazioni di queste ipotesi), essa apparirà maggiormente interessante e più chiara nel suo sviluppo. Se
quanto dico dovesse rivelarsi in disaccordo con la storia
della scienza, credo allora che dovrei seriamente dichiarare il fallimento della mia teoria, e concludere che il mio
suggerimento non era abbastanza buono, e avrei da
riflettere ancora sull’opportunità di dare consigli agli
scienziati.
qualcosa al di fuori di noi, al di fuori della nostra testa,
come, cioè, qualcosa di oggettivo.
Le teorie formulate con parole scritte vengono sottoposte
ad un ampio numero di persone, ciascuna delle quali, in
linea di principio, può criticarle. E’ grazie alla loro
oggettività che le nostre teorie possono venire criticate.
Il metodo con cui noi ci adattiamo all’ambiente è quello
con cui risolviamo i nostri problemi. Esso esige il linguaggio ed è così che ci è possibile sottoporre le nostre
teorie a critica oggettiva. Ma in tal modo esso ci offre
l’importantissima possibilità di lasciar morire le nostre
teorie al posto nostro. E questo è di grande importanza,
perché gli animali, per esempio, muoiono se sono portatori di teorie false circa il loro ambiente, e con la loro
morte la teoria falsa viene eliminata. Noi, invece, possiamo eliminare la teoria senza morire, anche se ci sono
persone che muoiono con le loro teorie, non tanto per le
loro teorie.
Ragione ed etica. Applicare la ragione all’etica è possibile e necessario. Non possiamo avere etica senza ragione, questo è chiaro. Naturalmente l’etica va oltre la
ragione. C’è una bellissima frase di Schopenhauer sull’etica, in cui egli dice che ciò di cui dovremmo vivere è:
«non offendere nessuno, non commettere ingiustizia
alcuna verso nessuno, ma aiuta tutti meglio che puoi».
Questa breve frase di Schopenhauer contiene davvero
gran parte, o forse tutti, i principi dell’etica.
Ci sono però dei grandi problemi nell’applicarli, e a
questi problemi dovremmo applicare la ragione. Intendo
gravi problemi etici come, ad esempio, l’aborto, in quanto problemi di questo tipo non possono davvero essere
risolti senza ragionare realmente su di essi. E credo che
una delle più importanti ragioni in questo problema sia (è
solo un esempio) che non si può condannare un bambino
non ancora nato ad avere una madre che lo ama talmente
poco da essere pronta ad ucciderlo. E’ una tremenda
condanna, per un bambino non nato, quella di essere
affidato ad una madre che vuole ucciderlo. Questo aspetto è assai differente da quanto usualmente si dice, ovvero
il diritto della donna su di sé, eccetera. Ritengo che tutto
questo sia secondario. E’ il diritto del bambino di nascere
in una famiglia nella quale è amato, ad essere supremo.
Possiamo perciò applicare la ragione all’etica, ricavando
da ciò molti altri suggerimenti, come, per esempio, che il
colore della pelle non debba incidere sulla condizione
sociale di un uomo, perché non ne altera l’anima, non ne
cambia le intenzioni, non ne decide la bontà o la cattiveria.
Il valore della critica. L’altro elemento che, a mio
avviso, è realmente decisivo nella scienza, ma molto
spesso anche in ambito prescientifico, è l’atteggiamento
mentale di critica consapevole. Il metodo consapevolmente critico consiste nel tentare di stabilire se un’ipotesi
non sia errata. Abbiamo un problema; formuliamo un’ipotesi e cerchiamo di scoprirne, di nuovo per tentativi ed
errori, i punti deboli. Vi riflettiamo e supponiamo che
forse in certe situazioni la nostra ipotesi non funzionerà;
tentiamo allora di realizzare tali circostanze attraverso
esperimenti nei quali, appunto, realizziamo proprio queste condizioni. Con un severo e consapevole controllo
andiamo alla ricerca dei nostri errori, e in questo consiste
il metodo critico che esiste, credo, solo a livello umano.
La critica che raccomando deve essere ragionevolmente
priva di attacchi e di insinuazione personali, e di altre
cose del genere. Deve essere, cioè, una critica della teoria
oggettiva, che mostri che possono esserci errori nella
teoria oggettiva e che possa quindi venire usata per
migliorare la teoria, correggerla e renderla più vicina alla
verità. Il tipo di critica che desideriamo avere nella
scienza in relazione al metodo ipotetico è la critica
razionale, che è critica delle ipotesi.
L’atteggiamento critico costituisce l’elemento umano
del nostro adattarsi all’ambiente, adattamento che è il
compito principale, biologico, della scienza. E’ importante notare una cosa: deve trattarsi di una critica praticata rigorosamente nell’interesse della ricerca della verità,
una critica tesa alla scoperta delle teorie false, degli
errori, al fine di eliminarli, e quindi apprendere da essi e
avvicinarsi alla verità. Questo atteggiamento critico è un
atteggiamento umano, ed è possibile solo perché noi
abbiamo il linguaggio, che è appunto tipico dell’uomo. Il
linguaggio ci permette di formulare le nostre teorie come
Ottimismo. Sono persuaso che il mondo occidentale
abbia imparato ad usare la ragione, e che ne faccia un
buon uso. Ci sono ovviamente dei problemi, ma in questa
parte del mondo sembra che tutti i problemi possano
essere risolti per mezzo della discussione, attraverso il
confronto verbale, attraverso la ricerca di un comune
giudizio, o attraverso giudici demandati a risolvere casi
di dispute fra le parti o fra individui, fra singoli individui
o fra organizzazioni.
Certamente molte cose in questo mondo potrebbero
andar meglio, ma c’è molta gente che lavora per migliorarlo: abbiamo medici eccellenti, abbiamo progressi im6
PROFILO
pressionanti nel settore dell’assistenza negli ospedali, in
quello delle cure mediche, e così via. Abbiamo il modo di
prevenire i governi dannosi: possiamo far sì che vengano
sostituiti. Questi sono progressi enormi, e noi dovremmo
essere consapevoli di averli conseguiti. Invece ci viene
costantemente detto che viviamo in un mondo totalmente
insoddisfacente. Ci raccontano continuamente di pericoli
che possono esistere, ma che non sono nulla in confronto
alle grandi conquiste che abbiamo realizzato. Ed è pericoloso non sottolineare, costantemente e con forza, che
abbiamo raggiunto tali conquiste, perché questo fa sì che
la gente abbia la sensazione che non si possa fare di
meglio, che non sia possibile migliorare. Possiamo migliorare, abbiamo dimostrato che possiamo costantemente cambiare le cose in meglio.
Credo sia importante imparare che viviamo in un mondo
che non solo è molto bello, ma anche profondamente
giusto: un mondo fondato sulla giustizia, che non è
sempre esistito, e dove certamente molto si può migliorare. Ma è un buon mondo, un mondo in cui tanta gente,
molta più di quanto avremmo mai potuto immaginare,
può viaggiare, può divertirsi, può studiare. Ci sono più
università, si può studiare di più, quasi tutti hanno la
possibilità di influenzare il proprio mondo per il meglio.
Non possiamo davvero dire che questo sia un mondo
brutto o irragionevole. Ovviamente esistono dei pericoli,
come l’aumento troppo rapido della popolazione e, probabilmente, l’abuso delle droghe, inclusi l’alcool e il fumo.
Penso che questi pericoli possano essere, e che di fatto
siano, combattuti. Se avremo successo in questa lotta,
non so: non sono un profeta; sono però convinto di poter
valutare la situazione attuale con le sue conquiste meglio
di quanto tanta gente possa fare, in quanto gli uomini
sono influenzati dalle ideologie, e l’ideologia è estremamente pericolosa. L’ideologia sostiene che viviamo in un
mondo orribile, il che è semplicemente una menzogna.
Ed è una menzogna cattiva e pericolosa, perché scoraggia
la gente e la rende infelice, contribuisce ad aumentare il
tasso dei suicidi, alimenta il terrorismo. A forza di sentirsi
ripetere che il mondo è così brutto, la gente finisce col
credere che non ci sia nulla di male nel renderlo un poco
più brutto uccidendo qualche persona con atti terroristici.
Questi sono dunque dei grandi pericoli, ma credo che uno
dei mezzi per combatterli sia liberare la mente delle
persone dalla menzogna, che viene loro continuamente
ripetuta: che viviamo, cioè, in un brutto mondo.
siamo costantemente assediati da tremendi pericoli; è
importante non alimentare nelle persone le immagini di
uccisioni, le terribili immagini di violenza, che così
spesso ci vengono mostrate.
Ho insegnato nella scuola elementare e in quella media,
e so per esperienza che ai ragazzi non piace vedere film
nei quali accadono cose terribili. Stringono le mani prima
di serrare le palpebre: devono venire domati per diventare capaci di assistere alla violenza. E questo è ciò che
facciamo ai nostri figli: li educhiamo a tollerare la violenza, a considerare la violenza come qualcosa che accade
dappertutto, che non può essere evitata e alla quale ci si
deve abituare. Penso che tutto questo sia terribile e che,
così facendo, minacciamo la nostra stessa sopravvivenza.
L’altra cosa terribile che i media ci fanno, oltre a diseducare sistematicamente i nostri figli, è terrorizzare i giovani e gli adulti. Raccontano costantemente loro le storie
più pericolose circa il collasso del loro universo, la Terra.
I media raccontano che la Terra è il nostro unico pianeta,
che non abbiamo nient’altro (verissimo), che dobbiamo
tenerla in ordine ed evitare che le accadano cose irreparabili (verissimo). Ma poi si spingono oltre e raccontano
che il collasso è imminente, che c’è un buco sopra il Polo
Sud. E con queste terribili e sciocche storie (sciocche
secondo me e secondo l’opinione della maggioranza
degli scienziati ragionevoli) cercano di minacciarli. Perché? Perché avvertono che solo in questo modo la gente
può essere intrattenuta. Penso ci siano altre forme di
intrattenimento, mentre questo tipo di intrattenimento
minaccia la nostra sopravvivenza. Credo perciò che i
media, a meno che non intendano rappresentare la maggiore minaccia alla nostra sopravvivenza, debbano imparare ad usare il loro immenso potere con grande cautela.
Non sono un sostenitore della censura, ma sono per
l’autodisciplina e per l’autodidattica. Così stanno oggi le
cose: le persone che lavorano nei media sono esse stesse
vittime della loro stessa propaganda: credono nella verità
di ciò che ci mostrano. Ma questo è un errore, ed essi
dovrebbero piuttosto considerare la possibilità di mostrarci anche gli aspetti belli e buoni della nostra vita,
intrattenendoci in modo diverso.
Il futuro è aperto. Quando dico che «il futuro è aperto»,
in realtà, ho in mente soprattutto il futuro dell’uomo e
quello della società. Questa tesi, che il futuro è aperto, è
diretta in particolare contro quella concezione che io
chiamo «storicismo». Si tratta della concezione secondo
la quale il futuro non è aperto e che noi possiamo
effettivamente prevedere quanto accadrà. Lo storicismo
asserisce che esistono leggi dello sviluppo storico, e che
se solo conoscessimo queste leggi potremmo, almeno a
grandi linee, prevedere il futuro.
Nella nostra epoca gli storicisti più importanti sono i
marxisti; la loro teoria dice che è possibile predire quello
che accadrà nella storia, che ci sarà uno sviluppo verso
una società senza classi, che sarebbe meravigliosa. Questo sviluppo, secondo il marxismo, è la via verso la
dittatura del proletariato; prima della dittatura, naturalmente, ci sarebbe la rivoluzione sociale che, come tutti
sanno, si verificò nel 1917 in Russia, e che avrebbe
dovuto poi attuarsi in tutto il mondo. La rivoluzione
Educazione e mezzi di comunicazione. Il pericolo maggiore sta nel minacciare la gente, nella ripetizione costante della tesi che viviamo in terribile pericolo, per esempio
nel sostenere che siamo minacciati dalle bombe atomiche. Credo che la probabilità di un utilizzo delle bombe
atomiche sia molto bassa. Ovviamente dipenderà in larga
misura da noi stessi, ma dobbiamo sperare che sapremo
evitare una guerra atomica. Esistono dei pericoli, fra i
quali quello che le nazioni più piccole possano impadronirsi di bombe atomiche [Popper si riferisce all’enorme
numero di testate atomiche immesse sul mercato nero
dopo il dissolvimento dell’U.R.S.S., ndr.] e questo può
rappresentare un pericolo molto grande. Penso però sia
importante che non venga ossessivamente ripetuto che
7
PROFILO
mondiale sarebbe seguita ovunque dall’instaurazione
della dittatura del proletariato, conquistando così il paradiso della società senza classi. E’ una predizione storica
fondata sull’analisi compiuta ne Il Capitale. In quest’opera Marx, dopo aver analizzato le tendenze generali dell’evoluzione della società, studia soprattutto
quelle relative alla società capitalista, e formula le sue
predizioni. Il fondamento di questa sua concezione è da
rintracciare in un certo tipo di determinismo: l’idea base
sta nel sostenere che noi non siamo liberi. Neppure i
capitalisti sono liberi: al pari di qualsiasi altro individuo
essi sono catturati dal meccanismo della società e del
suo sviluppo storico, così che sono costretti ad agire
come agiscono. Pertanto, sebbene debbano venire combattuti e distrutti, i capitalisti in realtà non possono
essere biasimati, in quanto agiscono soltanto costretti
dalle forze storiche e sociali.
Contro una siffatta concezione, allora, io affermo che il
futuro è aperto, nel senso che in ogni momento infinite
possibilità per quanto potrà accadere nell’immediato
futuro. Alcune di queste possibilità sono molto remote, e
si può dire che siano davvero trascurabili. Ma altre
possibilità sono davvero reali, e sono numerosissime. Ciò
che accadrà dipende in parte da fatti accidentali, in parte
da quanto effettivamente ed attualmente esiste. La questione di fondo, a mio avviso, è che dobbiamo essere
consapevoli del fatto che esistono possibilità aperte. Ed
è questo che intendo quando dico che il futuro è aperto.
Fra tutte queste possibilità c’è quella, per noi, di influire
su quello che avviene con le nostre speranze e le nostre
valutazioni.
Con “apertura” intendo, in senso ampio, che noi possiamo scegliere quei valori che sentiamo come valori portanti, per noi e per la nostra vita. La valutazione è
caratteristica della vita, sin dalle sue prime origini. I primi
organismi hanno problemi di sopravvivenza. E i problemi significano, fra le altre cose, che noi andiamo alla
ricerca di soluzioni, che, cioè, ricerchiamo qualcosa di
meglio della situazione in cui ci troviamo. Se un organismo unicellulare fugge, diciamo, da un luogo molto caldo
e si dirige verso un luogo più fresco, esso sta cercando di
migliorare la sua situazione vitale. Ma l’idea di miglioramento contiene, in realtà, l’idea di valore. Se parliamo di
miglioramento, parliamo allora di qualcosa di meglio e di
qualcosa di peggio, e queste sono valutazioni. E’ così che
la vita, fin dai suoi primissimi inizi ha creato i valori in
questo mondo, che prima della comparsa della vita non ne
aveva. Problemi e valori appaiono nel nostro universo
soltanto attraverso la vita, e assumono un’importanza
immensa per tutti gli esseri viventi. Noi tutti siamo
solutori di problemi, e sempre, in ogni istante, ci troviamo
in situazioni problematiche da risolvere. E soluzione di
problemi significa valori, significa compiere delle valutazioni. Ebbene, sin dagli inizi, questi valori si sono
evoluti insieme alla vita. E uno dei più grandi valori, che
tutti gli esseri viventi hanno caro, è la libertà: la libertà di
azione, la libertà di migliorare la propria situazione, di
risolvere i propri problemi. In tal modo diventa chiaro che
dietro ai nostri valori c’è l’immensa esperienza della vita,
c’è l’evoluzione della vita. E tra questi valori, penso, la
libertà è quello più generale. Poi, una volta che l’umanità
ebbe sviluppato linguaggio e fu in grado di comunicare,
si può dire che l’altro valore più importante divenne la
verità. I valori, dunque, hanno un’immensa rilevanza.
Quando parlo di futuro aperto, allora, non intendo soltanto che noi non possiamo impedire quello che accadrà, ma
intendo anche che quanto accadrà sarà influenzato da noi
e dai nostri valori. Questi ultimi sono nostre invenzioni,
ma non arbitrarie: sono grandi invenzioni degli esseri
umani, come, ad esempio, i valori raggiunti nella musica
dai grandi compositori, o quelli dei grandi scienziati che
si sforzano di risolvere i problemi in modo astratto e di
migliorare la nostra conoscenza della verità.
Ingegneria sociale gradualistica. Nel mio libro Miseria
dello storicismo ho cercato di spiegare che la politica
potrebbe essere qualcosa di simile all’ingegneria sociale,
nel senso che essa cerca di raggiungere certi fini utilizzando determinati mezzi, ed è appunto quanto avviene in
ingegneria. La politica, però, non può essere quel tipo di
pianificazione per il futuro su scala globale che gli
storicisti hanno in mente, ma deve essere quella che io
descrivo come ingegneria sociale gradualistica [piecemeal social engineering]. Proposi questo termine come
una sfida, per sottolineare provocatoriamente la necessità di una certa modestia nell’ambito dell’ingegneria
sociale. Tale termine è stato criticato e discusso moltissimo. Le parole, però, non contano. Ciò che era, ed è
importante in questa idea è che solo se noi facciamo certe
cose, soltanto se cerchiamo di soddisfare un certo bisogno sociale per mezzo di determinati provvedimenti
politici, si potrà constatare se le nostre misure non portino
effettivamente al risultato opposto a quello che ci proponevamo di ottenere. E questo perché molto spesso le
nostre azioni producono il risultato contrario a quello che
vogliamo raggiungere. Soltanto dei modesti tentativi
possono venire sufficientemente controllati ed ispezionati nelle loro conseguenze, al fine di essere ragionevolmente sicuri del fatto che queste conseguenze corrispondano almeno approssimativamente a quello che si voleva
che fossero. Modesti non significa necessariamente piccoli, ma certamente vuol dire che non dobbiamo essere
prigionieri di un’ideologia totalizzante, servirla, ingoiarla, costringere la gente ad accettarla, e così via.
Con tutto ciò non sono contrario alla passione che i
riformatori hanno verso le riforme, quanto piuttosto al
loro sogno di onnipotenza: al sogno stando al quale noi
possiamo davvero cambiare la società, così che tutto sia
meraviglioso. E’ questo tipo di passione che io considero
molto pericolosa e seriamente irrealistica. Quei riformatori che hanno cercato di realizzare il paradiso in terra
hanno in realtà sempre costruito qualcosa di simile all’inferno. Dobbiamo combattere i mali piuttosto che cercare
di instaurare il bene perfetto. Quest’ultima è l’idea di
quanti hanno cercato di rendere felice l’umanità nella sua
totalità, e di solito l’hanno invece resa, di fatto, infelice.
Si dovrebbe, molto semplicemente, riparare la scarpa
soltanto dove questa fa male; si dovrebbe guardare dove
la scarpa è troppo stretta e cercare lì di allargarla. Non è
una buona cosa, ogniqualvolta sentiamo che qualcosa
non va in una scarpa, comprarne subito una nuova, perché
la nuova scarpa può fare più male della vecchia. Solo
8
PROFILO
dopo averla provata e sentito dove essa può venire
riparata cercheremo di ripararla. Questa è una buona
cosa, perché è così che riusciamo ad avere un problema
chiaro, definito in modo sufficiente perché noi siamo in
grado di vedere se il nostro lavoro su di esso è riuscito a
far sì che la scarpa non faccia più male, se ne ha fatto una
scarpa migliore. Questa è l’idea fondamentale, questa è la
modestia che ho in mente.
L’utilitarismo, come si sa, consiste nell’idea della più
grande felicità per il maggior numero di persone. Quello
che è effettivamente possibile è in primo luogo eliminare
le disgrazie più grandi, poi, successivamente, quelle un
po’ meno grandi, e così via.
E molto è stato fatto in questo senso, solo che la gente
non lo sa. Questa è una delle difficoltà del miglioramento sociale: che la gente
prende questo miglioramento per garantito.
Libertà e pacifismo. In questa prospettiva è ovvio che la
pace, non solo la pace interna (che viene certamente per
prima), ma anche quella esterna sia immensamente importante, perché solo quando avremo conquistato la pace
potremo uscire dal problema militare, generato dalla
crescita degli armamenti. Kant era ben consapevole che
se la sua idea di libertà fosse stata in qualche modo
abbracciata e avesse vinto, ciò avrebbe significato la pace
sulla terra. Per questo scrisse Zum ewigen Frieden, (Per
la pace perpetua), e lo cominciò descrivendo una visita ad
un’osteria all’esterno della quale era appesa un’insegna
dove era raffigurata una pietra tombale di un cimitero
accanto a una chiesa, e sulla tomba era scritto «in pace
perpetua». Riferito questo
fatto, Kant si chiese se quella del cimitero fosse la sola
pace perpetua che noi possiamo conoscere.
Nel seguito, poi, descrive
la via alla pace e descrive
Libertà e convivenza
quella che egli chiama la
Lega delle nazioni. Dobpacifica. È tuttavia di estrebiamo infatti ricordare che
ma importanza sapere che
l’espressione Lega delle
si può abusare anche della
nazioni (quella in qualche
libertà. Il problema centrale
della vita sociale è quello,
modo “fallita” Lega delle
nazioni) è presa da Kant.
secondo me, di avere tanta
Ebbene, Kant scrisse che
libertà per ognuno quanto è
questa Lega delle nazioni
compatibile con quella dedeve essere lo scopo assogli altri. È una formulazione
kantiana del problema: Kant
luto della politica dell’umanità. Questo è il fine cui
sostiene che la vita sociale
dovrebbe essere strutturata
dobbiamo tendere se vogliamo instaurare l’ideale
in base al fine per cui ognudella minima limitazione,
no goda della massima lidella limitazione strettabertà possibile, tenuto però
mente necessaria, della noconto dell’importantissima
e significativa restrizione
stra libertà nella società.
Credo che egli avesse rache la libertà di un indivigione, e che vedesse più
duo non deve ostacolare o
lontano di alcuni nostri coridurre la libertà degli altri.
siddetti anarchici radicali o
O, per dirla diversamente,
la libertà deve venire limitafilosofi anarchici, che ritengono che gli Stati odierta in modo tale da divenire
Annotazioni di Popper su Einstein
più o meno uguale libertà
ni non siano necessari. I
nostri Stati sono invece neper tutti. Naturalmente un
simile ideale non può venire conseguito completamente, cessari, specialmente per la difesa: è questa, oggi, la
funzione principale di tutti gli Stati esistenti, ed è una
ma è certo una finalità astratta cui mirare.
Il problema sociale fondamentale è il seguente: deve funzione molto restrittiva. Essa impone allo Stato una
esserci una qualche restrizione della libertà, a causa del funzione tipicamente paternalistica, secondo la quale
fatto che della libertà si può fare cattivo uso. È importan- esso deve intervenire così come un padre interviene con
te, secondo me, capire che questo è un problema generale i propri figli. Solo lo Stato sa quali armi sono disponibili;
fondamentale, altrimenti dovremmo ammettere che ci noi non lo sappiamo, e dobbiamo essere d’accordo su
siano individui che, in nome della propria libertà, uccida- qualsiasi cosa senza un’effettiva e completa informazione.
Si tratta di una situazione altamente insoddisfacente, che
no altre persone.
In breve, il vivere insieme pacificamente implica una può essere sostituita solo da qualcosa di simile alla federacerta restrizione della libertà di ciascuno, affinché ognu- zione di cui parlava Kant, da una Lega delle nazioni.
no possa avere il massimo della libertà che è possibile Allo stato attuale il disarmo unilaterale è ancora una
conseguire nella convivenza sociale. Credo che sia que- follia: deve essere chiaro a tutti.
sto il fine cui aspiriamo.
Sono pacifista già dai giorni precedenti alla prima guerra
9
PROFILO
mondiale. La mia famiglia era di tradizione pacifista, e
così i miei genitori. Tuttavia, già allora era chiaro che il
disarmo non debba venire unilateralmente. Penso che il
disarmo unilaterale, e tutti gli atti in suo favore, abbiano
favorito lo scoppio di tutte e due le guerre mondiali.
Una politica pacifista può essere estremamente pericolosa e diventare uno dei pericoli di guerra, contribuendo di
fatto allo scoppio della guerra. Così chi è sinceramente
per l’instaurazione della pace perpetua, della pace sulla
terra, non deve appoggiare il disarmo unilaterale. Il
disarmo unilaterale è un grande sbaglio politico.
programma filosofico. Questa idea non soltanto ha reso
gli scienziati più coscienti di quello che stavano facendo,
ma ha anche dato uno scossone ad alcune ideologie che
avevano pretese scientifiche, come il marxismo e la
psicanalisi. In conclusione, direi, il contesto in cui Popper
si muove è pre-neopositivista, mentre le sue soluzioni
sono decisamente anti-neopositiviste.
D. Consideriamo, ora, la comunanza dei problemi tra
Popper e il neopositivismo. Se il Circolo di Vienna
considera l’induzione e la verificazione, Popper si rifà
alla deduzione e alla falsificabilità. Lei non pensa che,
data questa opposizione, Popper si limiti a rovesciare la
struttura epistemologica già esistente, senza sostituirla in
modo radicale?
D. Professor Antiseri, la filosofia
di Popper si snoda attraverso due
tematiche, quella epistemologica e quella politica, che spesso e
volentieri si intrecciano in una
matrice comune. Comincerei aldi
lora ad analizzare la tematica epiAdriana
stemologica, per poi passare a
Santacroce
quella politica ed infine considerarne l’origine comune. Un primo livello di analisi può essere quello di tentare una
contestualizzazione storica del discorso epistemologico.
Mi riferisco al rapporto di Popper con il Circolo di
Vienna. E’ possibile riscontrare un legame tra la concezione popperiana e le tematiche affrontate dal neopositivismo logico?
Intervista
a Dario Antiseri
R. No! Popper nega l’esistenza dell’induzione e dimostra
che la falsificazione è il solo metodo che funzioni. In
questo modo Popper nega un programma di ricerca e ne
assume un altro. C’è un volumetto di Heinrich Gomperz,
Die Wissenchaft und die Tat (La scienza e l’azione) del
’34, che dice che, nonostante sull’induzione si discuta da
quindici anni, solo ultimamente, grazie a Kraft, si è
compreso che questa non esiste.
D. Entriamo in ambito teoretico. La metodologia popperiana è caratterizzata da due tendenze: una soggettivista
- mi riferisco all’importanza delle intuizioni creative
nella formulazione delle teorie - e una oggettivista, che si
manifesta sia nell’esigenza di un metodo rigoroso, quello
falsificazionista, sia nella posizione di un ideale regolativo di verità che legittimi la crescita della conoscenza.
Non è possibile riscontrare qui un soggettivismo di fondo
ed un oggettivismo soltanto preteso?
R. Sicuramente esistono legami, anche se di problemi e
non di soluzioni. Per esempio ci sono i problemi dell’induzione, dei protocolli o del realismo, che hanno affrontato sia i neopositivisti, sia Popper, dando risposte diverse. Il vero legame, però, è tra Popper e la Vienna prima del
neopositivismo logico. Basti ricordare pensatori come
Kraft, che nel ’12 e nel ’25, ne Il Metodo della scienza,
parla di uno scienziato che fa le sue presupposizioni e trae
le conseguenze, o come Mach che, in Conoscenza ed
errore, sottolinea il ruolo delle ipotesi. Pensiamo anche
alla psicanalisi: la battaglia di Popper contro la psicanalisi, non falsificabile, era già nota a Vienna: basti pensare
a Karl Kraus, che attacca la psicanalisi perché non è
controllabile; o a Friedell che, in Storia della cultura
contemporanea, dice che la psicanalisi non è scienza. Del
resto la stessa asimmetria logica tra conferma e smentita,
cioè l’impossibilità di verificare un asserto universale,
invece falsificabile, era un’idea presente in quasi tutta
l’Europa già dalla fine dell’Ottocento. Nella mia introduzione al libro di Naville, La logica delle ipotesi, ho
mostrato come in Francia Poincarè e Duhem, in Inghilterra Weywell, e in Italia Enriquez, Vailati o Colozza (citato
da Mach in Conoscenza ed errore quasi come un postpopperiano raffinato) avevano pensato alla scienza in
modo popperiano. Anche il termine “falsificazione” era
già noto: ad esempio Lewis, nel ’28, porta l’esempio dei
“Cigni bianchi”, che può essere falsificato e non verificato; o Dickens che, in David Copperfield, dice nel primo
capitolo: «questa mia storia può essere verificata o falsificata». Il merito di Popper sta nell’aver fatto di quest’idea di falsificazione un sistema di pensiero e un
R. No! Penso di no. La questione riguarda il programma
di Kant che Popper rielabora. Per Kant noi poniamo sul
mondo le categorie che sono universali e immutabili,
mentre per Popper le categorie sono le teorie, linguistiche
e variabili. Il problema, che Popper individua come il
tema del realismo, è allora capire perché la scienza e la
tecnologia, che dipende direttamente dalle teorie scientifiche e che costituisce il mondo artificiale in cui viviamo,
funzionano e hanno questo potere sulla realtà. L’oggettività di Popper risiede in questo. Le categorie, le intuizioni
popperiane, servono per catturare il mondo reale attraverso la creazione di mondi possibili, cioè di ipotesi
coerenti, e il loro controllo. Dobbiamo tener conto del
fatto che noi abbiamo una definizione di verità, ma non
un criterio di verità. Una teoria è vera, infatti, se corrisponde ai fatti, ma non è possibile verificare le conseguenze infinite della teoria stessa. Ecco perché abbiamo
il compito di falsificare tutte le teorie scientifiche: prima
falsifichiamo una teoria e prima la comunità scientifica
sarà messa in quella stringente necessità di inventare una
teoria migliore. L’oggettività della teoria consiste proprio nella sua controllabilità, che le permetta di funzionare nella realtà.
D. A proposito del realismo, Lei sa che Feyerabend, ad
esempio, ha rivolto diverse critiche a Popper. Mi riferisco
10
PROFILO
a Contro il metodo, testo nel quale Feyerabend dimostra
come Galileo non ha mai utilizzato il metodo falsificazionista, ma anzi ha utilizzato trucchi e propaganda.
esiste, invece, un altro tipo di linguaggio, quello descrittivo, nato con le idee di verità, di falsificazione e di
controllo che, grazie allo scontro dei miti a Mileto, ha
portato alla genesi della filosofia. Mileto era una città
R. Penso che sia possibile dimostrare che le critiche di marinara, luogo di arrivo di merci e divinità nuove che,
Feyerabend a Galileo sono meno “contro il metodo” di grazie al loro scontro, hanno portato alla nascita della
quanto si possa immaginare. Facciamo degli esempi. filosofia. La matrice linguistica è quindi senza dubbio
Feyerabend imputa a Galileo l’uso delle ipotesi ad hoc. A determinante.
questo proposito Popper afferma che le ipotesi ad hoc Quello che è interessante, inoltre, è che il metodo sciennon sono eterne, nel senso che oggi possono essere ad tifico popperiano è addirittura usato dall’evoluzione biohoc, e quindi il loro uso è scorretto dal punto di vista del logica: nel momento in cui compare una mutazione
metodo, ma non è detto che domani le ipotesi non siano biologica, l’ambiente fisico la seleziona. Nella scienza
più valide. È il caso di pasuccede la stessa cosa:
emergono nuove congettudre Clavio che sosteneva
che la luna era circondata
re, cioè altri dati, e avviene
da una sfera di cristallo.
la selezione. Ecco perché
possiamo definire questa
Al tempo di Galileo l’ipotesi era ad hoc; oggi non
epistemologia evoluzionistica.
lo è più. Inoltre, secondo
Feyerabend, Popper sostieLa differenza tra l’ameba e
ne che tra due teorie noi
Einstein è che all’ameba
dobbiamo scegliere quella
dispiace sbagliare, mentre
con il maggior contenuto
Einstein è stuzzicato dalinformativo, senza precisal’errore, perché eliminerà
re che una teoria che oggi
gli errori precedenti. Penmi dice meno, che è meno
siamo ad Oppenhaimer, che
controllata, domani avrà un
diceva che la fisica va avanti
contenuto maggiormente
perché non sbaglia mai due
controllabile e io la potrò
volte allo stesso modo.
assumere come ipotesi di
Augusto Murri, fisico bolavoro. Ebbene, credo che
lognese, diceva che tra i
tutti convengano nel dire
manuali che si studiano alla
che questa è una buona reFacoltà di medicina manca
gola. Ancora Feyerabend
il manuale più importante,
afferma: «Popper dice che
il manuale degli errori. Octra due teorie deve essere
corre apprendere dai nostri
scartata quella con la base
errori e dagli errori altrui.
empirica che la contraddiCioè essere non dogmatici,
ce. Ma io dico che talvolta
ma aperti alla critica e albisogna assumere una teol’alternativa perché la logiria che è contraddetta». A
ca della scienza non è quelben guardare, quando Galila dell’assenso collettivo,
leo dimostra la rotazione
ma quella della competidella terra con l’esperimenzione. Questo è davvero
to della torre, notiamo che
Paul K. Feyerabend, Thomas S. Kuhn
molto importante: la scienFriedrich A. Von Hayek, Imre Lakatos
egli non assume una teoria
za è uno scontro continuo
contraddetta, bensì distrugtra due teorie ed avanza
ge la base empirica tolemaica, confermando quello che proprio per questo. Competizione deriva da cum petere,
dice Popper. Secondo me Feyerabend radicalizza quello e cioè ricerca fatta insieme, collaborazione in forma
che in Popper c’è già: il caso Galileo non fa che confer- agonistica. La competizione diventa, in questo modo, la
mare la teoria popperiana.
più alta forma di collaborazione.
D. In ogni caso, Feyerabend ha il merito di aver compreso
l’importanza del linguaggio come costitutivo dei fenomeni. Pensiamo, come riferimento, a B. L. Whorf, che
Lei ha spesso citato.
D. Questo vuol dire che le teorie scientifiche nascono
sempre da un problema irrisolto. Feyerabend dice, invece, che la scienza spesso non nasce da problemi ma da
questioni di gusto.
R. Certamente! Anche Popper, che si richiama a Bühler,
lo fa. Questi colloca la nascita del linguaggio descrittivo
al tempo del mito. Noi sappiamo che anche l’animale ha
un linguaggio espressivo che lo fa urlare; nell’uomo
R. Sì! Ma se non ci sono problemi, non ci possono essere
questioni di gusto; il gusto può esserci, ma non è sufficiente. Deve esistere il problema, che poi potrà anche essere
propagandato, come dice anche Feyerabend, oppure no.
11
PROFILO
D. Nel contesto della scoperta scientifica, secondo Popper, gioca un ruolo particolare la metafisica. Essa fornisce i quadri concettuali e caratterizza la nostra mente. Che
valore ha la metafisica per Popper?
quindi razionale: esistono teorie filosofiche che all’epoca
sono teorie indecidibili. Pensiamo, ad esempio, alle antinomie kantiane, che sono libere scelte delle coscienze.
Comunque, anche ridimensionando l’interpretazione del
Circolo di Vienna che, con una lettura affrettata, diceva
che con Popper la metafisica “se la passava bene”, non
possiamo non riconoscere a Popper il merito di aver
riconosciuto l’importanza del ruolo della metafisica nella
scienza.
R. Ecco un’altro contrasto con i neopositivisti. Mentre i
neopositivisti sostenevano che la metafisica è da eliminare, Popper ha fatto capire, in primo luogo, che non è
possibile eliminare la metafisica lanciandole improperi
e, in secondo luogo, che la metafisica è determinante
all’interno dell’impresa scientifica. La scienza, infatti, è
impossibile senza idee metafisiche che le facciano da
presupposto. Ad esempio, come diceva anche Einstein, il
realismo, l’idea di un mondo ordinato o la ricerca della
verità, sono presupposti tipici della scienza. Per questo la
metafisica è sensata. Inoltre la metafisica è socialmente
rilevante, perché gli uomini si fanno anche ammazzare
per idee metafisiche e questo gioca un ruolo anche nei
riguardi della scienza. In terzo luogo, esistono teorie che
sono programmi di ricerca metafisici: ad esempio il
materialismo storico, che ha fatto nascere teorie scientifiche. Non solo questa metafisica è sensata, socialmente
rilevante, ma costituisce un fondamento per la scienza.
Per di più Popper non ha mai eliminato la metafisica e la
filosofia; al contrario di Wittgenstein, che ha negato
l’esistenza della filosofia in opposizione alle scienza,
Popper ha affermato l’esistenza di autentici e genuini
problemi filosofici. Per esempio: possiamo fondare in
modo razionale i nostri valori ultimi? Dio esiste o no?
Possiamo prevedere il nostro futuro? Oppure: cosa corrisponde nella realtà effettiva ai concetti collettivi come “la
sociologia”? Questo è il problema degli universali: esiste
solo l’amore o esistono gli innamorati?
Popper ha cercato di difendere alcune idee filosofiche e
di combatterne altre - ha combattuto la dialettica e lo
storicismo, ha scelto il realismo etc... Se, però, le teorie
scientifiche sono scelte attraverso i fatti che possono
falsificarle, le teorie filosofiche, necessitano di un altro
criterio che le renda razionali: la loro criticabilità. Una
teoria filosofica è criticabile quando può scontrarsi con
qualche pezzo di Mondo 3, all’epoca consolidato, al
quale, all’epoca, non siamo disposti a rinunciare. Per
esempio quando Popper parla di storicismo, cioè di tutte
quelle filosofie che credono di aver trovato la legge di
sviluppo della storia umana, lo definisce “misero”, perché non è possibile costruire un autopredittore scientifico. Secondo Popper, ci rendiamo conto che la storia
umana dipende in gran parte dalle conoscenze che hanno
gli individui, ad esempio la tecnologia. Per questo, poiché la scienza di oggi non prevede la scienza di domani,
che dipende dalla tecnologia di domani, nessuno può
sapere come sarà la società di domani. Ad esempio, se si
scoprirà una fonte di energia non inquinante, questo
cambierà tutti i nostri rapporti futuri. Se è vero questo
pezzo di Mondo 3 (cioè che non si può costruire un
autopredittore universale), tutto lo storicismo crolla. La
critica filosofica, quindi, non avviene grazie ai fatti, come
nelle teorie scientifiche, ma grazie allo scontro con pezzi
di Mondo 3. In questo modo, la falsificabilità è un caso
della più ampia criticabilità.
Tuttavia non sempre una teoria filosofica è criticabile e
D. Passiamo ad un altro argomento. Nell’analizzare la
metodologia popperiana, Lei ha sottolineato un forte
legame tra la falsificabilità e l’ermeneutica di Gadamer.
R. Ultimamente, a Cesena, ho tenuto una conferenza in
cui ho affrontato questo tema. Nell’80 esposi quella
Teoria unificata del metodo, in cui ho confrontato l’epistemologia popperiana e il metodo gadameriano. In più
passi Popper sostiene che il metodo scientifico si risolve
in tre parole: problemi, congetture e confutazioni. Inoltre
dice che il metodo è uno solo, ovvero che il metodo di
interpretazione dei testi è lo stesso metodo delle scienze
naturali. Questa teoria, che ad esempio Albert ha tanto
criticato, è stata ripresa recentemente da Marco Vozza e
da Gianni Vattimo che, in Oltre l’interpretazione, ha
riconosciuto i miei parallelismi. Secondo Popper gli
ermeneuti, non sapendo cosa sono le scienze naturali, le
attaccano, non sapendo bene, però, cosa dire. A proposito
del circolo ermeneutico, Gadamer afferma che quando
incontriamo un testo, siamo una precomprensione, cioè
un insieme di pregiudizi: facciamo incontrare, quindi, il
testo con il contesto. Se un brano del testo “urta” con la
nostra interpretazione, dobbiamo cambiarla. L’interpretazione non è altro che una congettura circa quello che il
testo dice e che dovrà essere controllato. Per di più
l’esperienza dell’interpretazione è negativa: anche quando diciamo comunemente che abbiamo fatto un’esperienza, vogliamo dire che finora non abbiamo visto le
cose correttamente. La negatività dell’esperienza ha dunque un valore produttivo. Il critico testuale non fa altro
che ricostituire il testo come era all’inizio e lo fa con
ripetuti controlli.
D. Se, però, in Gadamer il metodo, in senso classico, non
esiste, in Popper, il metodo che cos’è?
R. In fondo, Gadamer afferma che il circolo ermeneutico
è il metodo delle interpretazioni, in cui ogni revisione di
un progetto iniziale comporta la possibilità di abbozzare
un nuovo progetto di senso. Il rapporto con il testo mette
alla prova l’attendibilità dei nostri preconcetti. Quando si
vuole risolvere un problema non si può fare altro che fare
congetture e metterle alla prova; questo vale in fisica, in
biologia e in tutte le scienze. Secondo Popper questo
metodo è utilizzato sia nelle scienze, sia nelle discipline
umanistiche. D’altra parte, l’unicità del metodo è stata
difesa anche da altri prima di Popper. Ad esempio Von
Liebing dice che intelletto e fantasia sono per il nostro
sapere ugualmente necessari e ugualmente giustificabili.
Tutti e due hanno la loro parte in tutti i problemi di fisica,
medicina, economia politica, storia e linguistica.
12
PROFILO
Naville sostiene che la presenza dell’ipotesi ci mostra che tradizione. Noi leggiamo il mondo attraverso il linguagle nostre idee, all’origine, non sono che supposizioni che gio che diventa, in Popper come in Gadamer, la casa
hanno valore solo dalla conferma sperimentale. A questo dell’essere. Su queste cose hanno parlato Marco Vozza e
proposito è interessante ricordare che il giorno di Natale Axel Bhüler.
del 1919 Einstein pubblicava a Berlino, nel «Berliner
Tageblatt», un articolo intitolato: Induktion und Deduk- D. Continuando nel parallelismo, sappiamo che Gadamer
tion in der Physik, dove affermava: «l’immagine più rifiuta le categorie metafisiche classiche (come quelle di
semplice che ci si può formare della scienza empirica si soggetto e oggetto). In questo modo, è ancora possibile
basa sul metodo induttivo: fatti singoli vengono scelti e parlare di soggetto in Popper?
raggruppati in modo da lasciare emergere con chiarezza
la relazione legiforme che li connette. Tramite il raggrup- R. Per Popper il soggetto è molto importante ed è il
pamento di questa regolarità è possibile conseguire ulte- soggetto cartesiano. Ricordiamo il triadismo popperiano:
riormente regolarità più gemondo 1, 2 e 3 nel quale
nerali fino a configurare [...]
l’individuo è una persona
un sistema più o meno unilibera, creativa e responsatario tale che la mente che
bile. D’altra pare anche
guarda le cose a partire dalGadamer, essendo antistole generalizzazioni raggiunricista e antimarxista, rivate per ultimo può usarle a
luta il soggetto.
ritroso per via puramente
logica e pervenire di nuovo
D. E il pregiudizio che fine
a singoli fatti particolari.
fa? Popper, considerando
Ma i progressi realmente
il pregiudizio come costigrandi nella conoscenza
tutivo del processo scientidella natura si sono avuti
fico, non si pone in antitesi
seguendo una via quasi diacon Bacone e con l’illumimetralmente opposta a
nismo, considerati, in fonquella dell’induzione. Una
do, i padri della scienza?
concezione introduttiva
dell’essenziale complesso
R. Il pregiudizio non viene
di cose porta il ricercatore
svalutato. L’uso antillumialla proposta di un princinista e antiromantico della
pio ipotetico o di più printradizione, e cioè il recupecipi del genere. Da un prinro, ma non l’idolatria, della
cipio o sistema di assiomi
tradizione, conduce Gadamer
lo scienziato deduce per via
a far sopravvivere alcune
puramente logico-deduttitradizioni e a eliminarne
va le conseguenze in maaltre. Comunque, possiamo
niera più completa possibiprendere Gadamer e Popper
le. Queste conseguenze,
e trovare punto per punto in
estraibili da principi, venentrambi l’identità del nugono poi messe a confronto
cleo di fondo metodologico.
con le esperienze e forniscono grossi limiti alle giuD. Passiamo ora alla politistificazioni del principio
ca. Quali sono le compoPopper negli ultimi anni
ammesso. I principi-assionenti, i caratteri reali delmi e le conseguenze formal’Open Society di Popper?
no una Teoria. Ogni individuo colto sa che i più grandi Tenendo conto del razionalismo critico come logica del
progressi nella scienza della natura hanno avuto tutti dissenso e dell’antidogmatismo, come deve essere effettiorigine per questa via: per via ipotetica. Una teoria è vamente una società aperta?
sbagliata qualora c’è un errore logico nelle sue deduzioni; oppure quando un fatto non si accorda con uno dei suoi R. Innanzitutto la Società è aperta a più valori, a più
principi. Mai può venire dimostrata la verità di una teoria, partiti, a più visioni del mondo filosofiche e religiose, a
perché mai si saprà se anche nel futuro si scoprirà più proposte per la soluzione dei problemi e alla maggior
un’esperienza che contraddica le sue conseguenze [...]». quantità di critica. Popper descrive l’Atene di Pericle
notando come questa sia aperta allo straniero e quindi al
D. E per quanto riguarda il linguaggio? È ancora uno mondo. Atene è aperta non solo alle merci che porta lo
strumento in mano al soggetto o è invece un evento?
straniero, ma anche alle idee, ai valori, ai comportamenti.
Gli ateniesi confrontano questi valori e mettono in diR. Anche per Popper il linguaggio è evento, in quanto è scussione i propri, per scegliere il meglio. Questo perché
legato al Mondo 3 e alla conoscenza di sfondo che è la Atene sa che non esistono posizioni ultime e definitive.
13
PROFILO
E’ il contrario dell’utopia, situata sempre in un’isola
lontana proprio per stare lontana dai traffici, dal confronto e quindi dalla ragione; mentre la filosofia nasce a
Mileto, dove c’erano i traffici, gli altri, gli dei. Solo la
fallibilità garantisce la nostra libertà.
La società aperta, allora, è una società aperta al maggior
numero possibile di visioni del mondo, ma non a tutte.
Non è aperta all’intollerante, perché così la società si
autodistruggerebbe e negherebbe la sua fallibilità. Inoltre, se l’intolleranza ha sempre una radice gnoseologica,
il fallibilismo ha sempre una matrice morale. Ad esempio, le guerre di religione sono nate perché c’è stata la
presunzione di “sapere” chi sia il dio giusto e imporlo agli
altri. Ciò avviene anche in etica, dove il valore è assoluto
e lo si impone; o nel marxismo, dove il proletariato
“deve” dominare il mondo. Al contrario il tollerante in
etica è colui che dice che non può fondare in modo
assoluto il suo valore e lo lascia come scelta della coscienza. L’utopia è intollerante, è violenta. Dietro la
società chiusa sta sempre la presunzione di sapere come
stanno veramente le cose. La chiave che apre la società
aperta è la fallibilità della conoscenza umana; dobbiamo
tollerarci proprio perché siamo esseri fallibili.
eliminare la violenza. Inoltre la televisione fa parte di un
sistema formativo delle coscienze. In Italia un bambino
a sei anni ha visto 1800 scene di violenza. La televisione,
che fa diventare naturale ciò che è assurdo, abitua alla
violenza e quindi va contro lo Stato di diritto. Ecco il
perché della patente televisiva: serve un giuramento
come per i medici; è necessaria una censura e una corte
che giudica.
D. Esiste un legame tra la concezione di Popper e la Free
Society di Feyerabend? In questa, però, il razionalismo
costituisce una tradizione al pari delle altre che, proprio
per questo, non devono essere prevaricate; mentre in
Popper il razionalismo critico costituisce la garanzia
dell’apertura e della libertà.
«Il mio sogno programmatico è
metafisico». Che con tale affer- Il sogno
mazione Karl Popper avvii alla metafisico
conclusione la sua opera più impe- di Popper
gnativa dopo la Logica del 1934, il
Poscritto alla Logica della scoperta scientifica (in particolare vol.
III, La Teoria dei quanti e lo sci- di
sma nella fisica, trad. it. Il Saggia- Giulio Giorello
tore, Milano 1984, p. 202), può
stupire solo chi riduce il pensatore viennese a un positivista
sui generis che avrebbe liquidato le pretese della metafisica attraverso un criterio di demarcazione, che assume la
falsificabilità delle teorie (e non la verificabilità) come
tratto distintivo del pensiero scientifico. Già in una lettera
(1933) a Erkenntnis (poi diventata la prima delle “Appendici” incluse nella versione “inglese”, del 1959, della
Logica) Popper aveva osservato che «considerando la
questione da un punto di vista storico, [la metafisica] è la
fonte da cui rampollano le teorie delle scienze empiriche»
(tr. it., Einaudi, Torino 1970, p. 348, corsivo mio) e nel
paragrafo 85 della stessa Logica aveva fornito alcuni
esempi (l’atomismo, l’idea di un unico “principio” fisico,
la teoria corpuscolare della luce, ecc.).
Eppure la Logica della scoperta scientifica, in entrambe le
versioni (1934 e 1959), resta un testo sostanzialmente
privo di casi storici, stilisticamente non molto differente
dalle opere più significative dei positivisti logici, con cui
Popper era a suo tempo entrato in polemica. E’ nel Poscritto, invece, che si fanno esplicitamente i conti con la storia.
Ritengo che tale slittamento possa venir compreso tenendo
conto della revisione (che caratterizza tutti e tre i volumi
del Poscritto) relativa alla pretesa di ogni proposta metafisica «a essere considerata almeno provvisoriamente come
vera» (III, p. 203). Più precisamente: «Non penso più,
come un tempo, che ci sia una differenza fra scienza e
metafisica su questo importantissimo punto. Ritengo che
D. Per concludere, è possibile riscontare una matrice
comune, filosofica ed etica, nelle due problematiche,
epistemologica e politica, che caratterizzano il pensiero
di Popper?
R. I principi epistemologici sono anche principi etici. Io
devo ascoltare l’altro; devo essere aperto all’altro. Hayek,
amico di Popper diceva: «La nostra libertà si basa sulla
nostra ignoranza. La conoscenza di tempo e di luogo è
parziale, smentibile e diffusa tra milioni e milioni di
uomini. Ognuno deve ammettere che non sa tutto. E’
sull’ignoranza che si basa la libertà di proporre e di
criticare».
R. L’Occidente ha creato una scienza razionale che, ad
esempio, ha eliminato le malattie infettive e ha diminuito
la mortalità. E’ possibile rifiutare questi risultati e isolarsi. Ma le tradizioni non sono tutte uguali: la danza della
pioggia non è equiparabile alla chirurgia. Io credo che
neanche Feyerabend si sarebbe buttato dal terzo piano o
non si sarebbe fatto curare in ospedale! Inoltre la Free
society ha al suo interno spezzoni di chiusura, perché il
diffondere certe tradizioni diventa un valore assoluto,
che nega l’apertura della società.
D. Pensando al panorama politico attuale, Lei collocherebbe Popper più facilmente in uno schieramento di
destra o di sinistra? Non crede che la critica al marxismo
non sia sufficiente a collocare automaticamente Popper
nella destra conservatrice?
R. Così formulata, la domanda non si pone. Destra e
sinistra sono categorie storiche; in Popper il problema è
un altro, è se noi vogliamo una società in cui l’individuo
è libero e le sue esigenze sono soddisfatte. Questo è il
pensiero liberale, che si manifesta anche nel libero mercato. In ogni caso Popper non direbbe “destra” o “sinistra”, ma direbbe che ha un metodo per risolvere i
problemi. Sulla questione, ad esempio, dei mezzi d’informazione Popper direbbe che ci vuole la competizione e la
legge anti trust. Il problema è sempre lo sesso: non chi
deve comandare, ma come controllare chi comanda.
Proprio di televisione Popper ha parlato poco prima di
morire. Noi sappiamo che lo stato di diritto cerca di
14
PROFILO
una teoria metafisica sia simile a una scientifica» (III, p.
203). Anzi, chiarisce Popper, «ogni teoria razionale, non
importa se scientifica o metafisica, è tale solo perché è in
rapporto con qualcos’altro - perché è un tentativo di
risolvere certi problemi, e si può discutere razionalmente
solo in rapporto alla situazione problematica con cui è
collegata» (Ibidem).
Nel primo volume del Poscritto (Il realismo e lo scopo
della scienza) Popper introduce l’idea di un programma
metafisico per la scienza come quel quadro concettuale da
cui il ricercatore «deriva il suo scopo - ciò che egli
considererebbe una spiegazione soddisfacente, una reale
scoperta di ciò che è “nascosto nel profondo”. Sebbene
siano empiricamente inconfutabili, questi programmi di
ricerca metafisici sono aperti alla discussione; possono
essere cambiati alla luce delle speranze che ispirano o delle
delusioni di cui possono venire ritenuti responsabili» (tr.
it., Il Saggiatore, Milano 1984, p. 208). Vorrei far notare
che tale caratterizzazione segue immediatamente a un
fondamentale paragrafo (“L’asimmetria tra falsificazione
e verificazione”) in cui Popper fa i conti con una celebre
obiezione ispirata all’opera di Pierre Duhem, La théorie
physique (La teoria fisica, 1904-1906). In fisica, aveva
sostenuto quest’ultimo, «quando l’esperienza è in disaccordo con le previsioni, essa [...] insegna che almeno una
delle ipotesi costituenti l’insieme [di ipotesi da cui le
previsioni sono derivate] è inaccettabile e deve essere
modificata, ma non indica quale» (tr. it., Il Mulino, Bologna 1978, p. 211, corsivo mio).
Se il falsificazionismo di Popper non è nato (1934) già
confutato, è perché esso non si riduce alla semplice “eliminazione” baconiana di un’ipotesi, ma ammette che nella
pratica scientifica si controllano sempre «sistemi di teorie
e che qualsiasi attribuzione della falsità a un particolare
asserto nell’ambito di un tale sistema è sempre estremamente incerta» (Poscritto, vol I, p. 203). Ovviamente,
basta assumere che una certa parte del sistema (nonché il
resto delle teorie implicate nel controllo) rientri in una
sorta di “conoscenza di sfondo non problematica” per
dissipare questa incertezza. Ma in questo modo si è solo
spostato il problema. Nelle controversie che precedono o
Il 28 luglio 1902
Karl Raimund
Popper nasce
a Himmelhof,
una località
del distretto
Ober St. Veit di
Vienna, da una
di
famiglia di oriStefano Gattei
gini ebree: il
padre, Simon
Siegmund Carl Popper, è un noto giurista,
e anche un umanista e uno scrittore di
poesie e di romanzi; la madre, Jenny Schiff,
proviene da una famiglia di appassionati e
cultori della musica.
Dal 1917 al 1918 Popper frequenta il Realgymnasium senza essere però soddisfatto
dell’insegnamento ricevuto. Una lunga
malattia lo costringe ad un’assenza di oltre due mesi, durante i quali decide di
abbandonare la scuola e si iscrive all’uni-
Karl Popper:
nota
bio - bibliografica
preparano qualche “rivoluzione scientifica” è proprio il
confine tra audaci ipotesi e conoscenza di sfondo non
problematica a essere messo in discussione. Ridefinirlo dice ancora Popper - è altrettanto difficile quanto «inventare delle nuove teorie» (p. 204). Ma il programma metafisico non interviene proprio qui, nella definizione del
confine, e nell’indicazione delle soluzioni promettenti
nell’insieme delle soluzioni possibili?
E’ stato merito di Imre Lakatos l’aver trasformato, agli
inizi degli anni Settanta, questo nesso tra la scelta delle
alternative (dopo un preteso scacco di una delle nostre
teorie preferite) e la metafisica influente in una vera e
propria “metodologia dei programmi di ricerca”. Ciò non
sarebbe avvenuto senza l’analisi di Popper della «falsificazione empirica e [delle] sue incertezze» (p. 205). Il recupero della metafisica all’area della discussione razionale
(anche se non quella della falsificabilità in senso stretto),
l’attenzione alla “situazione empirica”, la rivendicazione
che in tutto ciò «è sempre implicito un elemento di libera
scelta e di decisione» (p. 204) costituiscono, forse, uno dei
lasciti più importanti della riflessione nata con la Logica
della scoperta scientifica.
Potremmo concludere con uno degli autori preferiti da
Popper, Novalis: «Ogni [scienza] ha il suo Dio che nel
contempo è la sua meta» (Friederich von Hardenberg,
Opera filosofica, vol. II, tr. it. Einaudi, Torino 1993, p.
323). Questa riqualificazione dell’atteggiamento critico
attraverso la metafisica, del resto, consente a Popper di
chiarire quale sia il suo particolare “Dio” (fuor di metafora,
“sogno” o “programma” metafisico): la ricerca di una
«visione coerente del mondo», di un mondo «che non
rappresenti più una camicia di forza per i suoi abitanti
fisici, una gabbia in cui siamo rinchiusi, ma un habitat che
possiamo rendere più abitabile per noi stessi e per gli altri»
(Poscritto, vol. III, p. 202; esula ovviamente da questo
intervento una disamina della soluzione “metafisica” popperiana della questione del determinismo e della libertà,
che è implicita in quest’ultima citazione. Essa è altresì al
centro del vol. II del Poscritto, dal titolo L’universo aperto.
Un argomento per l’indeterminismo, tr. it., Il Saggiatore,
Milano 1984).
versità (verrà immatricolato però solo nel
1922, dopo aver conseguito il «Matura»).
Fra i suoi insegnanti ci sono Moritz Schlick, W. Wirtinger, P. Furtwängler e Hans
Hahn. Progetta di fondare una scuola di
campagna e di fare l’insegnante, ma abbandona presto l’idea.
Nel 1919 il giovane Karl si considera per
qualche mese un comunista; uno scontro
fra dimostranti e forze dell’ordine lo induce però a riflettere criticamente sul marxismo. Deluso dal carattere dogmatico del
marxismo, se ne allontana definitivamente, rimanendo però per diversi anni un
socialista e considerando il socialismo
nient’altro che un postulato etico (l’idea
di giustizia). In seguito abbandonerà anche il socialismo, convinto che non sia
possibile conciliarlo con la libertà: senza
libertà non si ha nemmeno uguaglianza.
Scopre la “psicologia individuale” di
Alfred Adler e la psicoanalisi di Siegmund
15
Freud, che si riveleranno ai suoi occhi
come «non scientifiche», a differenza delle
teorie di Albert Einstein, che lo impressionano fortemente. Assiste a una conferenza di Einstein a Vienna e ne rimane
sbalordito: la teoria della gravitazione e la
meccanica di Newton, insieme all’elettrodinamica di Maxwell, considerate fino ad
allora conquiste definitive della scienza,
vengono messe in discussione. La conferenza viennese è decisiva, rivelando in
seguito al giovane studente di fisica la
differenza fra la posizione di Marx, di
Freud o di Adler e quella di Einstein:
l’atteggiamento dei primi è dogmatico
(specialmente nei loro seguaci) e va in
cerca di verifiche, di supporti positivi per
la teoria; quello del secondo è critico, e
non mira alle conferme ma alle prove
cruciali. Popper matura così un grandissimo interesse per la matematica e per la
fisica teorica.
PROFILO
Tra il 1920 e il 1925 pensa seriamente di
dedicarsi alla musica in modo professionale: viene ammesso al Conservatorio grazie a una Fuga in Fa# Minore, composta
poco prima; il progetto viene poi abbandonato. Lascia la casa paterna per vivere
in una casa per studenti e per non pesare
sulla difficile situazione economica della
sua famiglia si rende indipendente svolgendo vari lavori.
Lavora alla costruzione delle strade, esercita la professione di ebanista e lavora per
qualche tempo nella clinica di Adler come
assistente sociale per bambini abbandonati. Partecipa alle riunioni della Verein
für musikalische Privataufführungen di
Arnold Schönberg. Nel frattempo prepara
l’abilitazione per l’insegnamento della matematica, della fisica e della chimica nelle
scuole secondarie. Va sviluppando le sue
idee sulla demarcazione fra scienza e non
scienza, ma si dedica soprattutto alla filosofia politica, interesse che si andrà poi
ampliando verso una concezione più generale della filosofia.
Nel 1925 viene ammesso all’Istituto Pedagogico, fondato in quell’anno a Vienna, e
incontra la sua futura moglie, Josephine,
che da questo momento gli rimarrà sempre
vicina e lo aiuterà moltissimo nel lavoro. A
questo periodo risalgono anche le prime
esperienze accademiche non ufficiali: organizza e tiene seminari per aiutare gli
studenti a superare gli esami; si appassiona
alle tesi di Karl Bühler, psicologo della
Gestalt e antiassociazionista, suo professore all’università. Durante il secondo anno
di frequenza Karl Polanyi lo introduce a
Heinrich Gomperz, figlio del grecista Theodor Gomperz. Nel 1928 si laurea e presenta una tesi per il dottorato in filosofia dal
titolo: Zur Methodenfrage der Denkpsychologie (Sulla questione del metodo della
psicologia ) che segna il suo allontanamento definitivo dalla psicologia.
Tra gli anni Venti e Trenta nasce ufficialmente il “Wiener Kreis”. Il Circolo, prima
denominato “Verein Ernst Mach”, si riuniva già da tempo attorno alla figura di
Moritz Schlick e contava fra i suoi membri Rudolf Carnap, Otto Neurath, Hans
Hahn, Viktor Kraft, Philipp Frank, Herbert Feigl, Hans Reichenbach, Richard
von Mises, Karl Menger, Gustav Hempel,
Friedrich Waismann e Hans Thirring.
Neurath porta Popper a conoscenza del
gruppo; Feigl, dopo un colloquio «durato
tutta la notte», lo incoraggia a scrivere un
libro che esprima le sue idee.
Nel 1929 consegue l’abilitazione per l’insegnamento della matematica e della fisica nelle scuole secondarie inferiori e nel
1930 ottiene l’incarico di insegnante nella
scuola secondaria.
Nel 1932 porta a termine, dopo due anni di
lavoro, quello che considera il primo volume di un’opera intitolata: I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza. L’opera viene apprezzata da molti
esponenti del Circolo, tra i quali Carnap
e Schlick, che si dicono disposti a pubblicarlo nella collana degli scritti “ufficiali”
del Circolo. Nel 1934 appare la Logik der
Forschung (Logica della ricerca), che riceve molte recensioni, tra cui quelle favorevoli di Carnap e di Hempel e quelle
critiche di Reichenbach e di Neurath (in
Italia appare la recensione di Ludovico
Geymonat nella «Rivista di filosofia», n.
27, 1936).
Tra il 1934 e il 1935 incontra prima a
Praga, e poi a Vienna e a Parigi, Alfred
Tarski (dal quale, scriverà, «credo di aver
imparato di più che da chiunque altro»), e
apprende la «teoria della verità come corrispondenza», cui aderisce subito, ritenendo che coincida con l’idea di verità
propria del senso comune.
Tra il 1935 e il 1937 lascia l’insegnamento
nelle scuole secondarie e compie due lunghe visite in Inghilterra, dove rimane per
circa nove mesi. Tiene conferenze su Tarski, sulla probabilità e sullo storicismo a
Londra, a Oxford e a Cambridge. Conosce
Bertrand Russell, Friedrich A. von Hayek,
Isaiah Berlin, Ernst Gombrich (che rimarrà il suo amico più caro) e George E.
Moore. Nel 1936 partecipa a un congresso
a Copenaghen e discute con Niels Bohr.
Nel frattempo la situazione in Europa si fa
difficile a causa dei regimi totalitari che si
erano imposti in diversi Paesi europei. I
membri del Circolo di Vienna si trasferiscono in Gran Bretagna o negli Stati Uniti;
nel 1936 Schlick viene ucciso da uno
studente nazista sulle scale dell’ateneo
viennese: è la fine definitiva del grande
movimento culturale sorto attorno alla
figura di questo importante fisico.
Popper decide di lasciare il Paese e risponde ad un invito del Canterbury University
College di Christchurch, in Nuova Zelanda, che gli offriva un incarico di insegnante di filosofia. Alla fine del 1936 anche
l’Università di Cambridge gli offre ospitalità accademica; tuttavia, vista la possibilità di mettersi comunque al sicuro in
Nuova Zelanda, decide di lasciare il posto
ad un allievo di Schlick, Fritz Waismann,
anch’egli alla ricerca di un asilo al riparo
dalle persecuzioni razziali e politiche.
Popper trascorre gli anni della guerra in un
clima di eccezionale tranquillità, a costo
però di un certo isolamento dal resto del
mondo. Si dedica allo studio e riprende la
riflessione sulla teoria della probabilità e
sulla fisica quantistica; si occupa in modo
più sistematico del metodo delle scienze
sociali, cui aveva iniziato a interessarsi
quando aveva abbandonato il marxismo.
All’Università di Otago, a Dunedin, conosce John C. Eccles, che rimarrà suo amico per la vita.
Negli anni neozelandesi porta a termine
quella che chiamerà poi la sua «fatica di
guerra»: La miseria dello storicismo e La
società aperta e i suoi nemici (1943). Le
due opere non hanno vita facile: la rivista
«Mind» rifiuta La miseria dello storicismo; mentre La società aperta e i suoi
16
nemici non viene pubblicata in quanto
considerata irriverente nei confronti di
Aristotele (e non di Platone, come verrebbe da pensare leggendo il libro). Solo
grazie all’intervento di Gombrich e di
Hayek riuscirà a pubblicare La società
aperta. Nel 1944 esce invece La miseria
dello storicismo. Di lì a poco Popper riceve un telegramma in cui Hayek gli offre un
lettorato presso la London School of Economics and Political Science (LSE). Lascia quindi la Nuova Zelanda e ritorna in
Europa.
Nel 1946 Popper arriva a Londra e inizia
ad insegnare alla LSE, diventando direttore del Dipartimento di Filosofia, Logica e Metodo Scientifico. Tra i suoi molti
studenti saranno Imre Lakatos, Paul
Feyerabend, Joseph Agassi, William Bartley, Czeslaw Lejewski, “Bashi” Sabra,
David Miller, e altri ancora. Pur non nascondendo la sua preferenza per le scienze
naturali, si dedica ai problemi metodologici delle scienze sociali, cercando comunque di confrontarle a quelle naturali
dal punto di vista metodologico. Si dedica
anche alla logica formale; incontra il positivismo logico, importato prima della guerra da Alfred J. Ayer con il suo Linguaggio, verità e logica.
Negli anni Trenta Ludwig Wittgenstein
era ritornato a Cambridge e insieme con
altri importanti personaggi di Oxford (John
Langshaw Austin e Gilbert Ryle) aveva
promosso uno stile di pensiero destinato a
diventare noto come “filosofia analitica”.
Dopo la seconda guerra mondiale questo
era diventato l’approccio canonico alla
filosofia in Gran Bretagna; Popper si trova ad essere fra i pochi personaggi di
prestigio del Paese a rifiutare, pressoché
in toto, la filosofia del linguaggio. Lotta
aspramente contro tutti coloro che vogliono ridurre la filosofia a vuoti giochi linguistici, riuscendo comunque a crearsi a
Londra una scuola piccola ma molto vivace, che eserciterà un’influenza considerevole sullo sviluppo della filosofia della
scienza in tutto il mondo. Le sue idee,
sebbene sostenute da scienziati militanti,
avranno solo pochi seguaci nell’ambiente
filosofico britannico.
Nel 1946 vede finalmente la luce La società aperta e i suoi nemici, che riceve
subito una buona accoglienza in Inghilterra (in Italia viene recensita da Norberto
Bobbio su «Il Ponte», 1946). Nel 1949
diventa professore di Logica e Metodo
Scientifico alla LSE. L’anno successivo
lascia la città e si trasferisce a Penn, nel
Buckinghamshire, dove rimane fino alla
morte della moglie, avvenuta nel 1985.
Nel 1949 riceve l’invito a tenere le William James Lectures ad Harvard; nel 1950
compie quindi il suo primo viaggio negli
Stati Uniti, dove incontra alcuni vecchi
amici, come Willard Van Orman Quine e
Kurt Gödel, che non vedeva dal 1936.
Viene influenzato dall’amicizia con Peter
Medawar, premio Nobel per la medicina
PROFILO
nel 1960, oltre che dal pensiero di Hayek
e di Gombrich. L’evento principale è comunque l’incontro con Einstein a Princeton, dopo una sua conferenza dal titolo:
Indeterminismo nella fisica quantistica e
nella fisica classica, a cui assistono lo
stesso Einstein e Bohr.
Gli incontri con Einstein furono in tutto
tre, e furono tutti incentrati sull’indeterminismo, che Popper sosteneva contro la
convinzione einsteiniana che il mondo
fosse un universo chiuso, di tipo parmenideo, a quattro dimensioni, dove il cambiamento era molto simile a un’illusione.
Popper non viene meno al suo realismo
nemmeno quando questo diventa causa
di contrasti non solo con Einstein e con
Gödel, ma anche con Erwin Schrödinger,
un caro amico, con il quale ha sempre
mantenuto regolari contatti epistolari
dagli anni Quaranta.
In America conosce anche Thomas Kuhn,
che poco tempo dopo andrà a fargli visita
in Inghilterra. Kuhn sarebbe poi diventato molto celebre per la sua critica della
metodologia popperiana esposta nel suo
La struttura delle rivoluzioni scientifiche del 1962.
Dal 1950 Popper conduce una vita molto
ritirata, sulle Chiltern Hills, dedicandosi
con grande energia allo studio e al lavoro.
Pur vivendo appartato si reca periodicamente in America, in Australia, in Austria
e in Giappone per tenere cicli di lezioni e
di conferenze.
Dal 1951 al 1956 si dedica alla revisione
del suo primo lavoro; quelle che dovevano
essere delle semplici appendici acquistano una loro autonomia e assumono gradualmente le dimensioni di una sola omogenea opera, che Popper decide di pubblicare a parte, come secondo volume della
Logik, con il titolo: Postscript: After Twenty Years (Poscritto: dopo vent’anni). Nel
1957, quando le bozze sono pronte per la
correzione, un grave disturbo agli occhi
costringe l’autore a rimandare la revisione del lavoro; si teme addirittura la cecità
permanente. Riacquistata la vista altri lavori diventano più urgenti, e il progetto
del Postscript viene accantonato. Nel 1959
esce la Logica della scoperta scientifica
con una serie di ulteriori note e appendici.
Questa edizione fa conoscere l’opera e dà
il via a numerose traduzioni in tutto il
mondo (in Italia uscirà nel 1970).
Dell’ottobre del 1961 è il dibattito fra il razionalismo critico di Popper e di Hans Albert
e la Scuola di Francoforte (Habermas,
Horkheimer, Adorno e Marcuse) sulla logica delle scienze sociali, che ha luogo a
Tubinga in occasione del congresso della
Società Tedesca di Sociologia. I saggi
più significativi vengono raccolti nel volume Dialettica e positivismo in sociologia, del 1969.
Nel 1962 esce La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn, preceduta dal saggio The function of Dogma
in Scientific Research (La funzione del
dogma nella ricerca scientifica), del 1961.
Nel 1963 viene pubblicato Congetture e
confutazioni, che raccoglie diversi articoli e alcune fra le conferenze più importanti
dei tre decenni precedenti.
A Londra, dall’11 al 17 luglio 1965, presso il Bedford College di Regent’s Park,
Popper, insieme a Lakatos, Feyerabend,
Kuhn, Watkins, Musgrave e Toulmin, partecipa a un Colloquio Internazionale di
filosofia della scienza, che vede la contrapposizione delle concezioni dell’impresa scientifica di Popper e quella di
Kuhn: gli atti di questo convegno costituiscono uno dei testi fondamentali per lo
studio e la comprensione del dibattito epistemologico contemporaneo. Nel 1967,
durante una conferenza ad Amsterdam,
“Epistemologia senza soggetto conoscente”, enuncia per la prima volta la sua teoria
dei tre mondi.
Si ritira dall’insegnamento nel 1969 per
raggiunti limiti di età e diventa professore
emerito della LSE. Inizia così un secondo
periodo della sua vita, dedicato completamente allo studio e al lavoro. In Italia,
vengono tradotti per la prima volta alcuni
suoi saggi epistemologici, raccolti nel volumetto Scienza e filosofia. Nel 1971 esce
Rivoluzioni o riforme?, un confronto a
distanza fra Popper e Marcuse. Del 1972 è
invece Conoscenza Oggettiva, in cui sviluppa e approfondisce la teoria della mente oggettiva.
Nel 1974 Popper dà alle stampe la sua
Autobiografia in due volumi, che oltre
all’autobiografia intellettuale del filosofo
presenta numerosi saggi critici sul suo
pensiero da parte dei maggiori filosofi e
scienziati del secolo. Nel secondo volume
sono presenti le Replies to my Critics
(Risposte ai miei critici) e la bibliografia
completa delle sue opere fino al 1974. Nel
1976 l’autobiografia viene ripubblicata,
con lievi modifiche, in un volume autonomo con il titolo: La ricerca non ha fine.
Del 1977 è L’io e il suo cervello, scritto a
quattro mani con John Eccles, premio
Nobel per la medicina nel 1963. In quest’opera Popper riprende la sua teoria della mente oggettiva e dei tre mondi, che era
andato elaborando a cavallo degli anni
Sessanta e Settanta, e affronta il problema
mente-corpo, facendosi sostenitore del
dualismo e dell’interazionismo. Nel 1979
viene pubblicata la versione originale della prima opera di Popper, scritta all’inizio
degli anni Trenta: I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza.
Mentre nel 1983 esce, grazie anche al
lungo lavoro di un allievo di Popper, William W. Bartley III, il Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, diviso in tre
volumi: Il realismo e lo scopo della scienza, L’universo aperto e La teoria dei quanti
e Lo scisma nella fisica.
Nel 1984 viene pubblicato Alla ricerca di
un mondo migliore, raccolta di conferenze e saggi che spaziano dalla teoria della
conoscenza alla storia, alla musica e alla
17
politica. Del 1985 è invece un’opera scritta a quattro mani con Konrad Lorenz, Il
futuro è aperto. Lo stesso anno muore la
moglie Josephine; Popper preferisce lasciare la casa che avevano diviso per tanti
anni e si trasferisce a Kenley, nel Surrey.
Dal 1985 al 1994 l’attività intellettuale
continua, malgrado l’età avanzata, e anzi
si rafforza; Popper rilascia alcune interviste ai giornali e alla televisione, soprattutto su argomenti di scottante attualità. Nonostante le sue condizioni di salute peggiorino con gli anni, non abbandona la sua
battaglia contro l’irrazionalismo e ribadisce la sua fiducia nella scienza, che può
essere un valido antidoto anche contro il
disastro ambientale.
Riceve prestigiosi riconoscimenti internazionali e diventa membro o presidente
di prestigiose Accademie e Istituti: British Academy, Aristotelian Society, Istitut de France, Accademia dei Lincei, International Academy for Philosophy of
Science, American Academy of Arts and
Sciences, etc...; è Visiting Professor in
Europa, America (Yale, Princeton, Chicago, Berkeley, Emory), Australia, Nuova
Zelanda, Giappone. Nel 1990 pubblica il
suo ultimo libro, Un mondo di propensioni, che raccoglie due recenti conferenze
sull’interpretazione propensionale della
probabilità e sull’epistemologia evoluzionistica.
Nel 1992, in occasione del suo novantesimo compleanno, esce in Italia un librointervista, La lezione di questo secolo, dove
invita a superare il duopolio destra-sinistra, ad abbandonare le critiche radicali al
liberalismo e a recuperare il senso della
misura nelle valutazioni delle conquiste
delle generazioni passate e nella ricerca
delle vie migliori per difendere la pace e la
libertà. Si dedica, con molte dichiarazioni e
interviste, a quelli che considera i tre più
gravi problemi del nostro tempo: la pace,
l’esplosione demografica e l’educazione
dei più giovani. Esprime grande preoccupazione per il potere «illimitato e irresponsabile» dei mass-media, e denuncia la sua
enorme influenza sui bambini, troppo spesso sottoposti, senza filtro alcuno, a immagini e a scene violente. Pubblica un intervento nel volumetto Cattiva maestra televisione (1994). Escono due volumi di interventi e conferenze tenute negli Stati Uniti:
The Myth of the Framework e Knowledge
the Body-Mind Problem.
Il 17 settembre 1994, dopo una vita passata a riflettere sul significato e sullo scopo
dell’impresa scientifica, sulla libertà e sulla
tolleranza, Karl Popper si spegne all’ospedale di Croydon, poco lontano da casa sua.
Unended Quest, la ricerca non ha fine:
questo il titolo da lui dato alla propria
autobiografia; e questo sembra essere anche l’insegnamento che egli ci lascia, ora
che la sua personale ricerca è finita. «Per
pochi filosofi - scrive David Miller - la
sete di comprendere è rimasta così piacevolmente insoddisfatta.
INDAGINE
Karl-Otto Apel
18
INDAGINE
Karl-Otto Apel, nato nel 1922, è attualmente professore emerito presso
l’università di Francoforte sul Meno.
Nello sviluppo del suo pensiero, Apel
ha dapprima articolato il quadro concettuale di fondo per una trasformazione della filosofia trascendentale in
senso non solipsistico-coscienzialistico ma, positivamente, linguistico-comunicativo, tramite una serie di incontri con e di revisioni critiche di
alcuni tra i più significativi pensatori
del ‘900, artefici della svolta linguisti ca cont em porane a: i nnanzi tut to
Heidegger, al quale vanno aggiunti E.
Rothacker, T. Litt, e l’antropologia
filosofica di H. Plessner e A. Gehlen;
l’apporto determinante e perdurante
di C. S. Peirce, cui segue di poco il
confronto con il tardo Wittgenstein,
visto quale momento ricapitolativo degli sviluppi della
corrente analitica e quindi
possibile punto di convergenza tra quest’ultima e la
tradizione ermeneutica; la
teoria degli atti linguistici
di J. L. Austin e J. R. Searle,
letta anche alla luce degli
ampliamenti di J. Habermas.
Della vasta produzione dedicata da Apel alla filosofia
del linguaggio, intesa quale
nuova filosofia prima, sono
disponibili in traduzione italiana: Comunità e comunicazione (Rosenberg & Sellier, Torino 1977), che raccoglie saggi tratti da Transformation der Philosophie
(Trasformazione della filosofia, 1973) e soprattutto Il
logos distintivo della lingua
umana (Guida, Napoli 1989)
versione ampliata di un saggio del 1986.
Sulla scorta della necessità-inprescindibilità per ogni soggetto pensante o
conoscente (più in generale per ogni
agente che sappia quel che fa) del momento linguistico pubblico del discorrere-argomentare, Apel è poi passato a
delineare un’originale giustificazione
e articolazione di un’etica che, in quanto razionalmente fondata e universalistica, intende rispondere alle sfide che
il progresso tecnico-scientifico pone
agli individui e soprattutto alle diverse comunità, situate in un mondo reso
ormai “uno” da quello stesso progresso. Si tratta sia di favorire l’autonomo
contributo di tutti alla consensuale e
cooperativa soluzione dei conflitti, sia
di garantire insieme la possibilità di
una continua revisione critica delle
norme già poste. Una breve ma aggiornata esposizione complessiva di
questa concezione di “etica del discorso” (Diskursethik) è rappresentata dal volumetto, dello stesso Apel,
dal titolo: Etica della comunicazione
(Jaca Book, Milano 1992). Una limpida ed acuta introduzione d’insieme al
suo pensiero è la monografia di Stefano Petrucciani, Etica dell’argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel
pensiero di K. -O. Apel (Marietti, Genova 1988). Per una presentazione ed
un bilancio critico dell’intera produzione etica di Apel si veda invece il
saggio di Virginio Marzocchi, L’etica dell’argomentazione di K.-O. Apel:
una presentazione e alcune critiche
(in «Fenomenologia e società», n. 1,
1994).
Il testo che qui viene presentato è stato
esposto originariamente da Apel in un
seminario organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli; la presente pubblicazione anticipa
Filosofia tedesca oggi
Il problema
dell’uso linguistico
apertamente strategico
nella prospettiva
pragmatico - trascendentale
di
Karl-Otto Apel
a cura di Virginio Marzocchi
una raccolta di recenti saggi di Apel,
dedicati alla teoria della verità e all’etica, di prossima pubblicazione
(presso l’editore Guerini e Associati
di Milano) con il titolo: Critica senza
fondazione?, che dovrebbe almeno in
parte colmare la carenza di traduzioni
italiane di questo autore. In questo
testo Apel difende la propria concezione trascendentale (filosofico-riflessiva) della pragmatica contro quella
form ale (sci entif ico-ri costrut tiva) ,
delineata da Jürgen Habermas, amico e insieme pensatore contemporaneo a lui più vicino, nonostante la
sostanziale convergenza di conclusioni a cui i due diversi modi di giustificazione dell’approccio comunicativo
pervengono.
Ciò che qui sta a cuore ad Apel è
mostrare che i due presupposti fondamentali: 1) avanzamento in ogni atto
linguistico, o enunciazione, di quattro, tra loro irriducibili, pretese di va19
lidità - sensatezza, verità, giustezza
normativa, sincerità - quali condizioni per l’accettazione dell’atto stesso
da parte dell’ascoltatore, ovvero quali condizioni affinché lo scambio di
parola consenta non solo di trasmettere informazioni quanto di coordinare consensualmente i parlanti-agenti;
2) riscattabilità-giustificabilità discorsiva di quelle quattro pretese entro
una situazione comunicativo-argomentativa che riconosca a tutti i parlanti
simmetrici diritti/doveri di problematizzazione, ascolto e parola, non sono
in effetti ricavabili, come intende
Habermas, da un’analisi concettuale o
ricostruzione delle intuizioni implicitamente nutrite dai parlanti nella comunicazione ordinaria (del mondo
quotidiano della vita). A tal fine Apel
mostra che la comunicazione ordinaria comprende non
solo atti linguistici genuinamente orientati all’intesa
(che garantiscono la proposta linguistica tramite pretese di validità) e insieme atti
linguistici segretamente strategici (nei quali, come accade nell’informazione pubblicitaria o nella propaganda
politica, pretese di validità
vengono comunque avanzate, sebbene in modo insincero e strumentale), ma anche
atti linguistici apertamente
strategici (nei quali il parlante non ricorre a pretese di
validità, bensì prospetta vantaggi o svantaggi, per ottenere che l’ascoltatore accetti
le sue proposte), i quali ultimi, sotto forma di trattative
o di forme di pressione “educate” e “civili”, rappresentano una grossa componente
della normale coordinazione linguistica. Apel rimprovera così ad Habermas
di idealizzare indebitamente la comunicazione ordinaria.
Per Apel, l’inaggirabilità delle quattro
pretese e della loro riscattabilità argomentativa può essere ottenuta solo tramite una riflessione, da parte del parlante, su ciò che egli necessariamente
presuppone, allorché non semplicemente comunica, ma argomenta, ovvero ricorre a quella «meta-istanza insita “a
priori” in ogni comunicazione umana»
rappresentata dal discorso argomentativo. In tal modo, soltanto la razionalità comunicativa e paritaria, fondamento dell’etica del discorso, può dar conto
di se stessa, sia evitando di ricorrere a
teorie empirico-costatative, che in
quanto tali non sono mai pienamente
convalidanti sul piano normativo, sia
ponendosi quale istanza critica per ogni
consenso fattuale, per quanto diffuso e
radicato. V.M.
INDAGINE
Desidero qui prender posizione
su un problema che si è posto in
modo netto solo nel corso della
discussione critica sull’opera di
Habermas, Teoria dell’agire comunicativo (in seguito abbreviata in TAC). Come annunciato
nel titolo, si tratta del problema
“dell’uso linguistico apertamente strategico”; uso che, secondo
TAC, sarebbe da intendersi come alternativo all’ “uso
linguistico segretamente strategico” e quindi quale variante di quell’ “agire linguistico orientato al successo”
opposto all’ “agire linguistico orientato all’intesa”.
In quali termini, nel corso della ricezione di TAC, si è
imposto il particolare problema dell’uso linguistico
apertamente strategico e quale il motivo che ci indurrebbe ad analizzarlo dalla prospettiva della pragmatica
trascendentale?
Ad apertura del mio contributo e in assenza di più
precise analisi, posso avanzare una risposta solo provvisoria a queste due domande. Ciò vale in particolare
per la terminologia, che ho ripreso tale e quale da
Habermas.
Nella sua TAC, come pure in generale nella sua “pragmatica linguistica”, “universale” o “formale”, Habermas
muove dall’assunto che nel linguaggio stesso «sia insito il telos dell’intesa», priva di riserve strategiche. Di
conseguenza, egli si propone di mostrare che l’uso
linguistico “strategico”, ovvero quell’uso non primariamente “orientato all’intesa”, bensì “orientato al successo”, sta in un rapporto di dipendenza parassitaria
con l’originario uso linguistico “orientato all’intesa”.
In TAC Habermas ha potuto dimostrare validamente
tale rapporto di dipendenza parassitaria solo a riguardo
dell’ “uso linguistico segretamente strategico”; vi è
comunque riuscito in modo ottimo ed oltretutto puramente descrittivo, senza ricorrere cioè a controversi
presupposti filosofici sulle norme dell’uso linguistico.
Chi, in modo manipolativo, intende conseguire un
effetto “perlocutivo” nel suo ascoltatore, cosicché quest’ultimo, dopo aver dapprima compreso l’atto linguistico (effetto illocutivo), non abbia poi nessuna possibilità di accettarlo o meno sulla base di un giudizio sulle
pretese di validità, costui non deve far notare tutto ciò
all’altro. Deve cioè simulare, con il suo uso linguistico,
di voler offrire all’altro la possibilità di un’ “intesa su
pretese di validità”, che invece gli sottrae. In termini
sintetici e netti, possiamo dire che chi si propone di
persuadere qualcuno di qualcosa, deve simulare di
volerlo convincere. Questa descrizione del fenomeno
mostra, già di per sé, che chi impiega il linguaggio in
modo segretamente strategico, già sa, o riconosce implicitamente, che l’uso linguistico segretamente strategico dipende parassitariamente dall’agire linguistico
orientato all’intesa.
E’ possibile mostrare allo stesso modo che l’uso linguistico apertamente strategico dipende parassitariamente
dall’agire linguistico orientato all’intesa? Questo era
ed è l’obiettivo di Habermas. Ma, in TAC, come pure
nel corso della discussione che ne è seguita, Habermas
non è riuscito, a parere mio e di molti altri critici, a
dimostrare la dipendenza parassitaria dell’uso linguistico apertamente strategico.
Nel caso dell’uso linguistico apertamente strategico (come
ad esempio, secondo Habermas, in imperativi del tipo
“Mani in alto (o sparo)!”, o “Fuori i soldi (o t’ammazzo)!”) i parlanti, se la minaccia viene pronunciata sul
serio, non simulano affatto; né mostrano in alcun modo
di riconoscere, anche solo implicitamente, una qualche
sorta di dipendenza parassitaria del loro uso del linguaggio da un uso che presupponga l’intesa su pretese di
validità. Può risultare comunque difficile capire prima
facie, in che senso l’uso linguistico del rapinatore dinanzi al cassiere di una banca non sia “orientato all’intesa”.
In fondo, il rapinatore da modo al cassiere di comprendere il proprio intento e quindi, sebbene in pochissimi
secondi, di valutare se sussistano per quest’ultimo buoni
(razionali) motivi (di autointeresse), per accogliere l’intimazione del rapinatore. Non siamo in presenza, anche
qui, di un’ “intesa” per mezzo del linguaggio?
Certamente, non è in gioco in questo caso nessuna
pretesa di validità, sulla cui legittimità ci si dovrebbe o
potrebbe intendere, ma solo una pretesa di potere o di
violenza da parte del rapinatore; mentre le ragioni, che
un parlante usa produrre a sostegno delle sue pretese di
validità in un discorso orientato all’intesa, vengono
sostituite da una diretta minaccia di sanzioni (per così
dire), come fa intendere al banchiere la pistola puntata
contro di lui. La minaccia (per così dire) di svantaggi è
pero una buona ragione per il destinatario di accettare
l’atto linguistico.
La mia descrizione potrebbe venir giudicata cinica da un
punto di vista morale. Ma come è possibile mostrare che
l’atto linguistico del rapinatore in linea di principio,
ovvero nel senso del telos di ogni impiego linguistico, già
presuppone un uso linguistico di tipo diverso, da cui esso
dipenderebbe? E come mostrare che quest’uso originario presuppone a sua volta un’ “intesa” nel senso della
giustificazione e accettazione dl pretese di validità, come
verità, sincerità e giustezza normativa?
Anticipando in breve la mia posizione, direi di essere in
fondo convinto del fatto che l’intuizione centrale di
Habermas sia giusta e profonda. Sono però dell’avviso
che i tentativi habermasiani non riescano a giustificare la
tesi del parassitismo a proposito dell’ uso linguistico
apertamente strategico; e che, oltre a ciò, siano destinati
al fallimento. Il motivo del fallimento è, a mio avviso, il
seguente: sottoponendo ad una considerazione puramente empirico-descrittiva l’ uso linguistico apertamente strategico, senza ricorrere cioè a controversi presupposti filosofici sulle norme razionali dell’uso linguistico,
non è in linea di principio possibile decidere quale uso
linguistico (strategicamente razionale o razionale in
termini comunicativo-consensuali) sia quello originario
e se esista un uso linguistico originario.
Ciò significa, a mio avviso, che la questione non può
venir decisa sulla base di una pragmatica formale, in
quanto quest’ultima è in grado di documentare le presupposizioni dell’uso linguistico in modo in ultima istanza
solo empirico-descrittivo. La questione si lascerebbe
invece decidere, ed in ciò consiste la tesi che intendo
Il problema
dell’uso
linguistico
apertamente
strategico
nella prospettiva
pragmatico
trascendentale
20
INDAGINE
dimostrare, sulla base di una pragmatica universale
intesa quale pragmatica trascendentale; una pragmatica, cioè, che non si ritraesse di fronte al problema di una
fondazione ultima riflessiva della razionalità e neppure
dinanzi alla questione di un ordine fondativo dei tipi di
razionalità.
Per sviluppare questa tesi, devo dapprima entrare nel
merito dell’aporetica cui, a mio avviso, metterebbe capo
il tentativo di soluzione avanzato da Habermas. A tal fine
discuterò in primo luogo i presupposti, alquanto singolari, sottesi alla terminologia di TAC. Presupposti che,
divergendo notevolmente dalla corrente terminologia
della filosofia analitica (ad esempio, da quella in uso
nella teoria degli atti linguistici), risultano perspicui,
solo se si comprendono gli assunti speculativi, ovvero
niente affatto incontroversi fllosoficamente, della pragmatica formale di Habermas. Proprio di ciò, a mio
avviso, si avverte la mancanza nella discussione critica
fin qui condotta. Se ad esempio, come la maggior parte
dei linguisti e gli esponenti di ispirazione empirista della
filosofia analitica del linguaggio, si muove dalla convinzione che il linguaggio sia per l’uomo uno strumento o
medio neutrale per l’agire razionale rispetto allo scopo,
risulterà vano fin dall’inizio il tentativo di render giustizia, in modo ermeneuticamente e criticamente corretto,
all’argomentazione habermasiana.
Il primo assunto terminologico di TAC, e di gran lunga il
più importante, riguarda l’uso di parole e termini come
“intesa” (Verständigung) o “orientato all’intesa” (verständigungsorientiert). Habermas si affida qui, palesemente, ad un uso linguistico sistematicamente ambivalente, riscontrabile, a quanto mi è dato sapere, solo in
tedesco, ma comunque assente nella lingua francese o
inglese. Egli impiega i due termini non solo nel senso
stretto di una comprensione del senso (Sinn-Verständigung) resa possibile dalla comunicazione linguistica, bensì nel senso ampio dell’intesa come formazione di consenso (Verständigung qua Konsensbildung) su pretese
di validità (quali verità, sincerità e giustezza normativa);
inoltre, tali pretese vengono correlate da Habermas a tre
riferimenti al mondo e tre funzioni linguistiche (riprese
da Karl Bühler): 1. rappresentazione del mondo oggettivo; 2. espressione del mondo interiore soggettivo; 3.
appello come richiamo all’ordinamento normativo del
mondo sociale.
Ne deriva che il modo dell’intesa intersoggettiva che
Habermas considera originario, rispetto all’interazione
strategica, per la “coordinazione delle azioni”, non mira
soltanto alla condivisione di significati pubblici di un
linguaggio, ma, oltre a ciò, ad un consenso (Einverständnis) sulla base dell’accettazione delle pretese di validità
avanzate nel discorrere oppure delle ragioni adducibili a
legittimazione (giustificazione) di quelle pretese nel
discorso (argomentativo). Più esplicitamente, Habermas
suppone una relazione interna tra la comprensione (nella
terminologia di Austin, uptake in quanto “effetto illocutivo”) e la possibile accettazione di atti linguistici; tale
relazione interna viene intesa non soltanto, come è corrente nella filosofia analitica del linguaggio, nel senso
della relazione (per così dire avalutativa) tra significati
comprensibili e possibili condizioni di riscatto delle
pretese di validità (come, ad esempio, possibili pretese di
verità), bensì, in ultima istanza, nel senso che il telos
dell’intesa, insito nell’uso del linguaggio, può compiersi
solo nel consenso.
In tal modo, grazie ad una sorta di petitio principii
terminologica, avremmo già risolto, nel senso voluto da
Habermas, il nostro problema, relativo al rapporto di
priorità tra uso linguistico apertamente strategico e agire
linguistico orientato all’intesa. Dalla prospettiva della
semantica analitica e della pragmatica linguistica, infatti, con la sua terminologia Habermas avrebbe già operato
una connotazione normativa del concetto di intesa, anticipando tendenzialmente la conclusione, secondo non si
darebbe che una sola soluzione comunicativo-consensuale del problema della comunicazione razionale e
dunque del problema dell’intesa linguistica in senso
ampio. In questa convinzione viene già anticipata a mio
avviso la pointe dell’etica del discorso. Ma, è possibile
giustificare in chiave di pragmatica del linguaggio questa soluzione, già suggerita dal termine “intesa” (Verständigung), del problema normativo della razionalità
dell’intesa? Tutto dipende, a mio avviso, dalla possibilità di rispondere a questa domanda, giacché, in caso
contrario, la teoria habermasiana poggerebbe su una
petitio principii.
Ma torniamo alle connotazioni speculative della terminologia di TAC. In corrispondenza con l’uso enfatico del
termine “intesa”, da noi appena analizzato, Habermas
impiega in modo molto particolare, quale termine di
contrasto, l’espressione “orientato al successo” (erfolgsorientiert). Il termine non viene riferito a quelle intenzioni “perlocutive” di successo (per così dire innocenti),
che, in linea con le “convenzioni” dell’uso linguistico,
sono collegate secondo Austin a normali atti “illocutivi”:
come ad esempio l’intenzione di informare, nel caso di
statements, o quella di convincere, nel caso dl argomenti.
Discostandosi da Austin e dalla teoria degli atti linguistici che si ispira ad Austin, Habermas non definisce affatto
queste normali intenzioni di successo come “perlocutive”; le include invece fra le intenzioni o effetti “illocutivi”, poiché le considera intenzioni di accettazione che
possono venir riscattate tramite intesa sulle pretese di
validità. Secondo Habermas, dunque, le intenzioni o
effetti illocutivi includerebbero, oltre allo “uptake” (la
semplice comprensione), anche un effetto che, pur verificandosi o meno nel partner della comunicazione, si
produce solo comunque a seguito di un giudizio da parte
di quest’ultimo su quanto egli ha compreso (così, ad
esempio, non è possibile dire: «Con ciò io ti convinco del
fatto che le cose stanno così e così», in quanto l’effettoconvinzione dipende dal giudizio del partner).
Ricomprendendo l’accettazione dell’atto linguistico
entro il concetto di “effetto illocutivo”, Habermas intende mettere in chiaro che quel successo “perlocutivo”
degli atti linguistici, che Austin considera “convenzionale”, appartiene, in quanto successo dell’intesa linguistica in senso enfatico (cioè dell’intesa su pretese di
validità), a quel meccanismo di mediazione della coordinazione di azioni che non poggia su un condizionamento strategico-strumentale dell’altro, bensì, per l’appunto, sull’intesa linguistica (a differenza degli effetti
21
INDAGINE
perlocutivi non pubblicamente dicibili, come quelli, ad
esempio, che si verificano casualmente o tramite condizionamento strategico).
Con la sua innovazione terminologica, Habermas viene
a contraddire pesantemente, almeno dal punto di vista
dell’analisi del linguaggio, il criterio dell’ “io con ciò”
proprio degli atti illocutivi, in quanto esso risulta inapplicabile agli atti linguistici volti al conseguimento di
consenso (come, ad esempio, nel caso di “Io con ciò ti
convinco...”). Questo criterio non esprime null’altro che
il divieto di anticipare un “successo” dell’atto linguistico, presso il partner della comunicazione, che vada al di
là del successo “illocutivo” nel senso di Austin (ovvero
al di là della semplice “comprensione” del senso). In
breve, quella innovazione terminologica, con cui si intende adattare il significato di “illocutivo” al significato
enfatico di “intesa”, ha ben poche probabilità, a mio
avviso, di venir accolta dai rappresentanti della filosofia
analitica del linguaggio. E risulta anche superflua per gli
intenti di Habermas. Comunque, dovrebbe ormai esser
chiaro che anche questa innovazione terminologica tradisce la tendenza speculativa, presente in Habermas, a
connettere internamente la comprensione del senso degli
atti linguistici non solo con la semplice possibilità dell’
accettazione o non accettazione, bensì con il raggiungimento del consenso (ideale).
Corrispondentemente, in TAC, Habermas non ha affatto
riferito il termine “orientato al successo” ad atti linguistici normali (che devono pur sempre mirare ad un
successo, nel senso della “coordinazione di azioni”)
bensì esclusivamente a quegli atti linguistici che intendono conseguire il loro successo non attraverso l’ “uso
linguistico orientato all’intesa” ma in certo qual modo
direttamente. Tale classificazione dovrebbe applicarsi,
però, non solo agli atti linguistici manipolativi (uso
linguistico segretamente strategico), ma anche a quegli
atti linguistici definiti da Habermas apertamente strategici (uso linguistico apertamente strategico). Riemerge
così quel problema da noi prospettato all’inizio e dichiarato irrisolto. In che cosa consistono le difficoltà di
Habermas?
Una prima difficoltà, a mio avviso, è connessa al fatto
che Habermas tematizzi in TAC, quali esempi di uso
linguistico apertamente strategico, solo quei casi limite
o fenomeni marginali dell’uso linguistico, rappresentati in effetti dai “semplici imperativi” (come lui stesso li
definisce), quali ad esempio: “Mani in alto!”; o “Fuori
i soldi”. Mostreremo in seguito che questi esempi
linguistici apparentemente eccezionali rappresentano,
nella loro struttura, un vasto ambito del normale uso
linguistico, cui una teoria della comunicazione, non
priva di ambizioni sociologiche come è in effetti quella
habermasiana, dovrebbe riconoscere un significato non
periferico.
La ragione del fatto che, in TAC, Habermas non abbia
tematizzato a sufficienza quel tipo di impiego linguistico, che io considero normale, risiede, a mio avviso, in
una insufficiente consapevolezza riflessiva del fatto che
il suo uso enfatico del termine “intesa” rappresenta una
anticipazione speculativa della teoria consensuale dell’intesa. E’ pur sempre possibile - e talvolta anche
necessario - comprendere l’ “intesa” (Verständigung)
nel suo significato avalutativo, ovvero come “comprensione del senso” (Sinnverständigung), astraendo completamente, cioè, da ogni fattuale formazione di consenso su pretese di validità. Se si prende in seria considerazione questa possibilità dell’intesa linguistica, ci si può
avvedere facilmente che, entro il normale uso linguistico
del mondo della vita, esiste anche una comprensione del
senso (Sinnverständigung), non al servizio della formazione di consenso su pretese di validità, bensì al servizio
della razionalità strategica rispetto allo scopo. Penso
qui al vasto ambito di giochi linguistici e interazioni,
costituito dalle cosiddette “trattative” (in inglese, negotiations o anche bargaining). Non rappresentano, forse,
proprio esse il paradigma degli usi linguistici apertamente strategici, da cui propriamente dovremmo muovere,
per porci, in termini sufficientemente radicali, la questione della priorità linguistico-pragmatica della razionalità strategica o di quella comunicativo-consensuale?
Lascio momentaneamente da parte questa ipotesi, per
considerare la controversia sviluppatasi tra Habermas e
i suoi critici a riguardo di come valutare i cosiddetti
“semplici imperativi”, i quali risultano diversi da ordini,
richieste legittime o espressioni di desiderio, per il fatto
che in essi le pretese di validità e la loro giustificazione
virtuale sono sostituite dalla minaccia di violenze.
A tutta prima, in TAC, Habermas cerca la soluzione sulla
linea dell’argomento del parassitismo e intende così gli
usi linguistici apertamente strategici quali atti linguistici
deficienti. Nel caso di atti linguistici nel senso pieno del
telos dell’intesa, insito nel linguaggio, una “autorizzazione normativa” deve subentrare alla “pura pretesa di
potere” e le “condizioni di sanzione” devono venir sostituite da “condizioni razionalmente motivanti l’accettazione di una criticabile pretesa di validità”. Dato che
queste condizioni razionalmente motivanti, così come
Habermas si esprime, «possono venir desunte dal ruolo
illocutivo, la normale richiesta acquista un’autonomia,
che manca al semplice imperativo».
Habermas ne deriva la seguente conclusione: «Emerge
ancor più chiaramente che solo quegli atti linguistici, cui
il parlante collega una criticabile pretesa di validità,
muovono, per così dire per loro stessa forza, ovvero
grazie alla base di validità della comunicazione linguistica volta all’intesa, un ascoltatore ad accettare un atto
linguistico e quindi possono agire da meccanismo della
coordinazione delle azioni» (TAC, trad. it., Il Mulino,
Bologna 1986, vol.1, pp. 416-17).
A me sembra, come già detto sopra, che la fondamentale
intuizione qui espressa risulti affatto conseguente, se
presupponiamo il concetto enfatico di intesa. Tale concetto incontra il mio favore a livello intuitivo, come
accennavo all’inizio; ma manca, a parer mio, una vera e
propria giustificazione della prospettiva ad esso sottesa,
cioè, la giustificazione del fatto che l’uso linguistico
apertamente strategico non possa mediare condizioni
razionalmente motivanti l’accoglimento di una “richiesta” allo stesso modo dell’agire linguistico orientato
all’intesa.
La discussione critica si è però sviluppata intorno ad
un’altra difficoltà. Dato che, in TAC, Habermas, da un
22
INDAGINE
lato, distingue gli usi linguistici apertamente strategici,
in quanto atti linguistici illocutivamente comprensibili,
dagli usi linguistici segretamente strategici, ma, d’altro
lato, intendendoli come atti strategici, ovvero “orientati
al successo”, li distingue anche dall’agire linguistico
orientato all’intesa, si potrebbe giungere alla conclusione che gli usi linguistici apertamente strategici siano
contemporaneamente e sotto lo stesso rispetto (ovvero
relativamente ai loro fini perlocutivl) “orientati al successo” e “orientati all’intesa” (così da risultare, secondo
Habermas, “parassitari” e insieme “non parassitari”).
Questa la critica mossa a TAC dal norvegese Skjei.
Desidererei subito osservare che la contraddizione è, a
mio avviso, solo apparente ed è dovuta alla mancanza di
trasparenza della terminologia impiegata: ovviamente,
gli usi linguistici apertamente strategici non sono “orientati all’intesa” nello stesso senso in cui sono “orientati al
successo”, ovvero nel senso in cui essi, sospendendo
l’intesa su pretese di validità, puntano soltanto sulla
efficace affermazione della pretesa di potere (come spiegherò meglio in seguito).
Il peggio è che Habermas stesso ha ammesso la presunta
contraddizione rilevata da Skjei e cercato una nuova via
di soluzione; in modo, a mio avviso, del tutto fuorviante,
in quanto, così facendo, si perde completamente di vista
il problema filosofico in questione, ovvero il problema di
una cogente giustificazione filosofica dell’agire linguistico orientato all’intesa rispetto a quello apertamente
strategico. Come mostrarlo?
Prospettando la sua nuova soluzione, Habermas segue in
modo conseguente la tendenza, a mio avviso ben poco
condivisibile, a cercare nelle scienze sociali una risposta,
in ultima istanza empirico-descrittiva, al problema della
fondazione della pragmatica del linguaggio. Ciò significa, nel nostro caso, revocare l’intuizione, a mio avviso
giusta e profonda, in base a cui gli imperativi accompagnati da minacce di sanzioni, come “Fuori i soldi (o
sparo)!”, sarebbero atti linguistici (apertamente) strategici e, come tali, distinti in linea di principio dall’agire
linguistico orientato all’intesa. Habermas mantiene però
ferma la convinzione della loro dipendenza parassitaria
dall’agire linguistico orientato all’intesa. Come intendere questa sua posizione?
Habermas vorrebbe ora considerare gli imperativi, sui
quali però appunto verte la discussione, come empirico
caso limite di normali atti di comando, nei quali le
sanzioni, previste in caso di non ottemperanza, sono
normativamente assicurate (come avviene, ad esempio,
per ordini o disposizioni nello Stato di diritto). Habermas
si esprime così: «E’ certamente esatto che, nel caso di
semplici imperativi, l’effetto legante per la coordinazione delle azioni è fornito attraverso una pretesa di potere
e non di validità; ma sarebbe errato analizzare il modo in
cui agisce tale pretesa di potere, utilizzando come modello l’influsso strategico esercitato su un antagonista. E’
solo in casi estremi che l’accoglimento di una espressione imperativa di volontà ha luogo sulla base di una pura
sottomissione alla minaccia di sanzioni. Nel caso normale i semplici imperativi operano pienamente all’interno
del quadro dell’agire comunicativo, giacché la posizione di potere, su cui si basa la pretesa avanzata dall’impe-
rativo del parlante, è tale da essere riconosciuta dal
destinatario - sebbene essa poggi su una semplice relazione abituale di potere e risulti priva di una esplicita
autorizzazione normativa. L’approccio più promettente
consiste, a mio avviso, nel far osservare l’insostenibilità
di una netta distinzione tra imperativi normativamente
autorizzati e semplici imperativi; e che esiste piuttosto
una continuità tra potere abituale e potere tradotto in
autorità normativa. Tutti gli imperativi cui noi possiamo
attribuire forza illocutiva, infatti, possono essere analizzati secondo il paradigma di richieste normativamente
autorizzate. Sarebbe erroneo parlare di una distinzione
categoriale: pretese di potere sono spesso collegate con
contesti normativi più o meno remoti e con diffuse
pretese di validità normativa, spesso difficilmente identificabili» (J. Habermas, Replay to Skjei, in «Inquiry», n.
28, 1985).
Viene qui rimpiattata e dissolta, a mio avviso, la distinzione, filosoficamente perspicua, profonda e, soprattutto, di cruciale importanza per l’etica, tra quegli atti
linguistici che, in quanto “orientati all’intesa”, derivano
la loro “sociale forza legante” da pretese di validità
discorsivamente riscattabili, e quegli atti linguistici, la
cui “sociale forza legante “ (ovvero possibile accettazione) può consistere nella sottomissione coatta alla volontà di potere degli attori; e ciò, a parer mio, dipende dal
fatto di aver sostituito ad una analisi filosoficamente
orientata dei fenomeni una spiegazione (riduzione) empirica, filosoficamente irrelevante, del fenomeno propriamente degno di interesse. Questo mutamento di
metodo, a mio avviso sprovvisto di qualsiasi plausibilità,
trova conferma nella “Entgegnung”, con cui Habermas
risponde ai suoi critici nel volume curato da A. Honneth
e H. Jonas, Kommunikatives Handeln (Agire comunicativo, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1986): «Come sociologo avrei dovuto sapere che esiste una continuità tra il
potere abitualizzato in modo puramente fattuale e quello
mutato in autorità normativa. Perciò tutti gli imperativi,
cui noi attribuiamo una forza illocutiva, risultano analizzabili secondo il modello di richieste normativamente
autorizzate. Quella differenza che avevo erroneamente
considerata categoriale, risulta alla fine solo una differenza di grado. L’intimidazione: “Mani in alto!”, pronunciata con minaccia dal rapinatore, appartiene a quei
casi limite di azioni linguistiche apertamente strategiche, in cui la carente (appunto!, K.-0. Apel) forza illocutiva viene integrata da un potenziale di sanzioni».
La pointe risultante dalla tesi del “parassitismo”, consisterebbe qui dunque nel fatto che il richiamo ad un
potenziale di sanzioni rende possibile, nel destinatario,
una comprensione dell’atto linguistico che sarebbe derivata da atti illocutivi (come, ad esempio, ordini autorizzati entro lo Stato di diritto), in cui il potenziale di
sanzioni è normativamente legittimato. Ma è plausibile?
Ovvero, nel caso specifico, è sostenibile, da un punto di
vista (empirico)-ermeneutico, che la comprensione degli
usi linguistici apertamente strategici richieda necessariamente, per il loro potenziale di sanzioni, un prestito di
copertura normativa e quindi un rapporto parassitario di
dipendenza, entro un continuum costituito da atti illocutivi più o meno normativamente autorizzati?
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INDAGINE
Sarebbe forse impossibile indicare casi di usi linguistici apertamente strategici, per i quali possiamo presumere, da parte tanto del parlante, quanto dell’ascoltatore, una chiara comprensione del senso dei corrispondenti atti linguistici e quindi, oltre a ciò, la possibilità
di una loro accettazione, pur supponendo che quegli
atti, benché provvisti di forza illocutiva e di una “sociale forza legante”, manchino di una qualsiasi copertura
normativa?
Che Habermas non possa sentirsi del tutto a suo agio con
quella apparente soluzione, empiristica e insieme armonizzante, lo dimostrano, a parer mio, alcuni passaggi di
Nachmetaphysisches Denken (Pensiero postmetafisico),
là dove afferma: «Atti perlocutivamente autonomizzati
(come, ad esempio, minacce) non sono affatto atti illocutivi, poiché non puntano su una presa di posizione,
razionalmente motivata, da parte del destinatario». E più
oltre: «Imperativi e minacce, messi in atto in modo
puramente strategico, privati della loro pretesa normativa di validità, non sono affatto atti illocutivi, volti all’intesa» (Nachmetaphysisches Denken, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1988, pp. 74, 135). Benché questi passi non
prospettino una soluzione, corrispondono però, nella
loro tendenza di fondo, all’originaria e ben più profonda
intuizione presente in TAC. Al fine di sviluppare questa
intuizione in modo coerente, procedendo, come già altre
volte, con Habermas contro Habermas, desidero intraprendere il tentativo di un’analisi pragmatico-trascendentale degli usi linguistici apertamente strategici.
Mi propongo dapprima, svolgendo per così dire il ruolo
dell’advocatus diaboli, di accantonare momentaneamente
il concetto enfatico di “intesa” (che pur in fondo condivido con Habermas), per assumere il punto di vista,
sostenuto dalla maggior parte dei pensatori analitici,
secondo cui l’ “intesa” (Verständigung) tramite atti
illocutivi consisterebbe nella semplice comprensione
del senso (Sinnverständigung); in modo tale che quest’ultima fondamentale funzione linguistica risulterebbe
neutrale rispetto ad ulteriori pretese normative, nel senso
del consenso, ovvero dell’accordo (Einverständnis), su
pretese di validità.
Questo modo di procedere mi consente anche di tornare
definitivamente sulla posizione, condivisa da Austin e
dalla maggior parte dei sostenitori della teoria degli atti
linguistici, secondo cui l’accettazione degli atti linguistici (al di là dell’accettazione della pretesa di validità del
senso, implicita nella semplice comprensione) non potrebbe venir considerata parte integrante dell’effetto
illocutivo, configurandosi piuttosto come un tipo, convenzionalmente normale, di effetto perlocutivo. Noterei
tra parentesi che, al di là di quest’ultimo, dovrebbero
darsi almeno altri due tipi di effetti perlocutivi, ovvero,
in primo luogo, come già previsto da Austin, gli effetti
perlocutivi casualmente prodotti e, in secondo luogo,
come implicherebbe il concetto di “atto perlocutivo”
elaborato da Strawson, gli effetti perlocutivi strategicamente intesi. Ed è quest’ultimo il tipo cui si riferisce il
concetto habermasiano di uso linguistico segretamente
strategico e cui si riferirebbe, a mio avviso, anche il
concetto di uso linguistico apertamente strategico.
Assumiamo dunque, come sopra accennavo, che l’intesa
(Verständigung) tramite atti illocutivi consista nella semplice comprensione del senso (Sinn-Verständigung) e
che ogni accettazione di pretese normative di validità
possegga uno stato perlocutivo. Così facendo, siamo in
grado di portare alla luce un vasto campo di usi linguistici
apertamente strategici, o meglio di giochi linguistici
apertamente strategici, cui i semplici imperativi (come
“Mani in alto!”; o “Fuori i soldi!”) apparterrebbero in
effetti quali casi limite. In tal modo, però, essi non si
configurerebbero più quali casi limite di atti linguistici
normativamente autorizzati (sostenuti quindi da sanzioni legittime), bensì quali casi limite entro il vasto ambito
della comunicazione apertamente strategica.
Con ciò intendo riferirmi a quei giochi linguistici, già
prima ricordati, costituiti da strategiche trattative di
interessi. Non includo comunque tra essi quegli istituti
morali o giuridici, come ad esempio il rispetto dei patti,
tramite cui le trattative strategiche (ad esempio accordi
politici o economici) sono state in certo qual modo
addomesticate, già a partire dall’età arcaica e in modo
particolare nella nostra civiltà attuale. Segnalerei tra
parentesi che è in effetti estremamente interessante, e
significativo d’un profondo mutamento culturale, il fatto
che trattative strategiche, in forza di intese non strategiche (ovvero fondate sul consenso) su pretese giuridiconormative dl validità, possano venir circoscritte e messe
potenzialmente al servizio del bene comune, come ad
esempio nel caso del libero agire strategico entro il
sistema dell’economia di mercato. Nel seguito, comunque, intendo riferirmi alle sole trattative puramente
strategiche, cioè a quei giochi linguistici costituiti essenzialmente da due tipi di atti linguistici: offerte di cooperazione (spesso, di vantaggi) e minacce di svantaggi.
Questi due tipi di atti linguistici si richiamano a vicenda,
in modo tale che l’accento può cadere di volta in volta o
sulle offerte o sulle minacce, mentre gli atti complementari vengono comunque suggeriti.
Risulta così chiaro che proprio i semplici imperativi,
come “Fuori i soldi (o sparo)!”; o “Mani in alto (o
sparo)!”, presentano questa struttura di complementarità. Ma risulta anche evidente che, nel più ampio contesto
delle trattative, sono essenziali a questi giochi linguistici
strategici alcune ulteriori condizioni di funzionamento:
le quali mostrano che non si tratterebbe di un estremo e
raro fenomeno marginale del linguaggio, di per sé dipendente dall’intesa su pretese di validità, ma che si tratta
bensì di un autonomo fenomeno centrale della comunicazione propria del mondo della vita, mediante cui
vengono senz’altro prodotti agreement (un tipo specifico di intesa o consenso!) sulla scorta di una fondata
accettazione di atti linguistici (ma non di pretese di
validità). Ne deriva che non è affatto esatto supporre,
come fa Habermas, che gli atti linguistici costitutivi di
trattative strategiche - come anche gli usi linguistici
apertamente strategici, nel senso fin qui esposto - non
possiedono nessuna “sociale forza legante”, ovvero che
essi, così come Habermas si esprime, «non puntano su
una presa di posizione, razionalmente motivata, del
destinatario».
È infatti chiaro, a mio avviso, che la possibile motivazione razionale del destinatario, su cui poggia la “sociale
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INDAGINE
forza legante” degli usi linguistici apertamente strategici
all’interno di trattative, consiste esattamente in quella
razionalità strategica della massimazione dei vantaggi e
minimizzazione degli svantaggi, analizzata dalla teoria
strategica dei giochi alla luce di un presupposto, oggi
ampiamente condiviso, secondo cui essa, e solo essa,
rappresenterebbe la razionalità dell’uomo (come già
ritenevano in fondo Martin Lutero e Thomas Hobbes).
Se dunque, nel quadro di una complessiva teoria filosofica della razionalità, ci interroghiamo sul reciproco
rapporto ed in particolare sulla relazione di priorità,
intercorrente tra la razionalità di tipo strategico e la
razionalità di tipo comunicativo, così come intesa da
Habermas, ci avvedremo che la supposizione, dallo
stesso più volte avanzata, secondo cui gli usi linguistici
apertamente strategici «non punterebbero su una presa
di posizione razionalmente motivata del destinatario», si
risolve in una petitio principii. Essa capovolge la valutazione, divenuta oggi quasi di senso comune, del rapporto
esistente tra “rational choice” (in senso strategico o
razionale rispetto allo scopo) e irrazionali decisioni
etiche a riguardo dei valori ultimi o di norme. Tuttavia,
non siamo ancora pervenuti ad una decisione filosoficamente razionale della questione. Questo è il risultato che
abbiamo ottenuto finora dall’aporia degli usi linguistici
apertamente strategici.
La prospettiva pragmatico-trascendentale ci impone, a
questo punto, di affrontare in termini affatto diversi la
questione del possibile parassitismo degli usi linguistici
apertamente strategici. A tal fine, desidero dapprima
discutere il rapporto tra tre possibili tipi di razionalità
comunicativa (in senso lato): 1. la razionalità della comunicazione e dell’interazione del mondo della vita; 2. la
razionalità delle trattative strategiche; 3. la razionalità
dei discorsi argomentativi scientifici e filosofici (in
ultima istanza dei discorsi sulla teoria filosofica della
razionalità).
A riguardo del rapporto tra questi tre tipi di razionalità
vorrei sostenere le tesi seguenti.
Ad 1. La razionalità della comunicazione e dell’interazione nel mondo della vita non si configura come un tipo
unitario di razionalità; piuttosto, sono insite in essa tanto
la razionalità strategica quanto quella comunicativa (in
senso habermasiano). A livello del mondo della vita
(come in seguito chiariremo ed anzi giustificheremo),
questi due tipi di razionalità, ancor oggi, agiscono di
fatto, connettendosi e mediandosi reciprocamente, in
modi dipendenti dal contesto e dalla capacità di giudizio
(phronesis?) degli agenti. Non mancano comunque indizi del fatto che, sul lungo periodo, tale rapporto di
mediazione possa mutare in favore della razionalità
comunicativa (in senso habermasiano), così da conferire
a quest’ultima una priorità sistematica.
In tale prospettiva andrebbe sottolineata la seguente
circostanza. Nessuna società umana si potrebbe intendere adeguatamente (in modo tale che i bambini giungano, in essa, a padroneggiare il linguaggio e quindi la
comunicazione e l’interazione) solo sulla base di un uso
linguistico segretamente o anche apertamente strategico (all’incirca nel senso della recta ratio di Thomas
Hobbes o della teoria strategica dei giochi), mentre ciò,
in linea di principio, risulterebbe possibile sulla sola
base dell’agire linguistico orientato all’intesa, ovvero
solo in forza della razionalità comunicativa (in senso
habermasiano). Questa possibilità di principio è comunque (ancor oggi) irrealizzabile nella realtà del
mondo della vita, per motivi che chiariremo in seguito.
Inoltre, la stessa questione della priorità di principio
della razionalità strategica o di quella comunicativa
non è decidibile sul piano di un’analisi empirica, normativamente neutrale, dell’uso linguistico del mondo
della vita. Sulla base di empiriche analisi linguistiche
(ovvero sociologiche) della comunicazione nel mondo
della vita, non risulta possibile neanche una precisa
interpretazione degli indizi sopraddetti, ovvero una sua
convincente giustificazione contro le eventuali obiezioni di chi considera la razionalità strategico-strumentale come unica possibile forma razionale di cooperazione. Come si mostrerà in seguito, ciò è possibile solo
dalla prospettiva della razionalità del discorso, che, in
quanto autoriflessiva, consente un’autofondazione o
fondazione ultima. Ma prima di affrontare il problema
della fondazione ultima, desidero introdurre una seconda tesi, per sostenere la relativa autonomia della razionalità strategica.
Ad 2. A mio avviso, il rapporto di compromesso tra
razionalità strategica e comunicativa, funzionante nel
quadro delle tradizionali forme di vita (nel quadro, cioè,
dell’ “ingenua eticità sostanziale” (in senso hegeliano),
è stato messo in crisi, insieme con le immagini miticoreligiose del mondo, nelle epoche di rischiaramento,
apertesi finora nella storia del mondo (come, inizialmente, nella cosiddetta “età assiale” delle grandi culture); in
modo tale che, all’incirca nello stesso periodo, le trattative puramente strategiche e i discorsi argomentativi su
pretese di validità (come ad esempio quelli della filosofia in Grecia, India e Cina) si sono differenziati e sono
stati per la prima volta consapevolmente praticati quali
rivali (per così dire) nella soluzione razionale di conflitti.
Ciò si è verificato in Grecia, ad esempio, al tempo del
rischiaramento sofistico, ovvero filosofico. Quale esempio di trattative puramente strategiche, interpretabili
sullo sfondo del rischiaramento greco, potremmo addurre il famoso dialogo tra gli Ateniesl e i Meli, narrato da
Tucidide nella sua Guerra del Peloponneso (libro 5,
parr. 84-113).
Caratteristico della trattativa in questione è il fatto che
essa venga condotta da ambo le parti ad un alto livello
intellettuale, ma, palesemente, in piena coscienza della
sua struttura strategica. Ciò non significa affatto che i
contraenti non attribuissero valore alcuno a “prese di
posizioni razionalmente motivate” della controparte;
essi tentano, al contrario, di provocarle, trasponendosi,
apparentemente fino a sfiorare l’autonegazione, nella
situazione strategica della controparte (nella costellazione data dal contesto del possibili vantaggi e svantaggi
altrui); è ovvio, comunque, che ciò avvenga, restando
comunque all’interno della prospettiva dominante dell’interesse di ciascuno, ovvero delle intenzioni perlocutive di scopo risultanti dai propri interessi. Il che significa
che gli “argomenti” (se proprio vogliamo usare questo
termine) dei contraenti non fanno riferimento a pretese
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INDAGINE
di validità, razionalmente riscattabili e criticabili (neppure alla pretesa di verità), con l’unica significativa
eccezione del seguente scambio metacomunicativo di
battute all’inizio del dialogo, mediante cui gli Ateniesi
mettono subito in chiaro di non voler condurre un discorso su pretese normative di validità.
I Meli, infatti, cominciano così: «La correttezza leale
della vostra offerta, di chiarire serenamente tra noi le
varie posizioni, non si discute: ma stride, a nostro giudizio, con l’apparato bellico, che già ci minaccia, pronto a
mettersi in moto. Voi v’imponete ai nostri occhi in
aspetto di arbitri del dibattito non ancora avviato. E ci
prefiguriamo il suo esito, com’e facile del resto: se
trionferanno le nostre ragioni di giustizia (sottolineatura
di K.-0. Apel), ispirandoci fermezza, ci toccherà la
guerra. Cedendo, la schiavitù» (par. 86).
Gli Ateniesi tuttavia non accolgono la richiesta di intavolare una discussione su “ragioni di giustizia”, libera dal
“dominio”, ovvero da ogni sorta di violenza. Invitano
così i Meli a deliberare sul destino della loro città “a
partire dall’attuale situazione”; ed offrono quindi la
seguente spiegazione, ispirata probabilmente alle nuove
tesi del sofisti ateniesi: «Dal canto nostro rinunciamo
all’armamentario fastoso dell’eloquenza, alla retorica
interminabile di quei discorsi celebrativi che non danno
frutto. Sicché non ribadiremo che, per aver demolito la
prepotenza persiana, rifulge per noi il diritto all’Impero,
o che la nostra attuale campagna è la replica a un attentato
inferto al nostro onore. Ma si pretende qui che neppure
voi tentiate di piegarci, giustificando il vostro rifiuto di
fornire leve all’armata, con la circostanza che siete
coloni di Sparta, o soggiungendo che nei nostri riguardi
siete innocenti e puri. Sentite: sforziamoci di restringere
le ipotesi di compromesso nei confini del realizzabile,
attingendole ciascuno ai principi più autentici cui ispira
di norma la sua condotta [palesemente i princìpi della
illuminata ragione strategica!. Siete consapevoli quanto
noi che i concetti della giustizia affiorano e assumono
corpo nel linguaggio degli uomini, quando la bilancia
della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari.
Se no, a seconda: i più potenti agiscono, i deboli si
piegano» (par. 89).
I Meli mostrano quindi di adattarsi alla situazione: «Statene certi: ci si raccoglie per provvedere alla vita del
nostro Stato, e si proceda pure a discutere, con le regole
che avete indicato» (par. 88). Passano così ad argomentazioni strategiche: «E’ nostro avviso, almeno, che a
proposito d’interesse (già ormai è questa l’espressione
da usare, poiché voi avete subito accordato il dibattito su
questo tono dell’utile, ignorando quello della giustizia)
non vi convenga annullare le riflessioni che concernono
il vantaggio comune, e che sia ragionevole concedere a
chiunque, quando si dibatta in un rischioso frangente, i
diritti che gli spettano, se non altro in quanto creatura
umana: tra l’altro, che possa perlomeno aspirare alla
salvezza, avvalendosi, pur senza perfetto ossequio alle
severe regole del ragionare, degli argomenti che meglio
crede. Considerazione che vi tocca più da vicino di
chiunque altro, poiché nell’eventualità di una sconfitta vi
scolpireste esempio eterno nella memoria dei popoli, per
l’atrocità sanguinosa della vostra pena» (par. 90).
Il seguito del dialogo mostra come i Meli tentino di
difendere con “argomenti strategici” la loro indipendenza, mentre gli Ateniesi, ricorrendo allo stesso tipo di
“argomenti”, a volte alquanto cinici, prospettano ai Meli
l’alternativa tra la distruzione o l’ingresso nella Lega
Attica: «A voi toccherebbe la fortuna di vivere sudditi, in
luogo di soffrire il castigo più crudele; e per noi sarebbe
un guadagno non avervi annientati» (par. 93). Più oltre
gli Ateniesi aggiungono: «Non è una contesa questa, per
voi, in cui confrontarsi a parità di forze e farsi onore. [...].
Urge piuttosto provvedere con prudenza alla vita, senza
provocare un nemico troppo più forte» (par. 101). Infine,
gli Ateniesi così concludono: «Già più d’uno [...] fu
trascinato fatalmente dall’istinto noto tra gli uomini con
nome di onore: potere malefico di un nome! Domati da
una parola, costoro s’abbattono di schianto su pene
irrimediabili, spontaneamente scelte e desiderate, attingendo un’umiliazione più vile, perché prodotta dalla
propria follia, non da percossa della fortuna. State in
guardia, se vi sorregge la ragione, da questa rovina: non
sentitevi schiaffeggiati, se la città più potente di Grecia
vi costringe a cedere, con offerte equanimi. Non è per voi
infamia entrare nella sua lega, serbando la vostra terra a
prezzo di un tributo. Vi si consente di scegliere tra la
sicurezza e la lotta: non appigliatevi al partito peggiore».
(par. 111).
È nota la terribile conclusione della trattativa, in cui i
Meli preferirono alla sottomissione il rischio derivante
dalla difesa della loro indipendenza e quindi anche del
loro onore, in quanto coloni di Sparta. Comunque siano
andate le cose, il mio interesse è esclusivamente quello
di addurre un esempio di uno dei primi puri discorsi di
trattativa che ci siano stati tramandati, in cui la razionalità del confronto apertamente strategico appare consapevolmente differenziata e già in qualche modo emancipata da riserve tradizionali, in nome degli dei o del
diritto. Si tratta di un primo esempio di un tipo di discorso
che ha conservato intatta la sua importanza fino ad oggi,
in particolare nel campo della politica estera, ancora
priva di una regolazione giuridica. L’esempio può chiarire a sufficienza come, in questo caso, non si possa
parlare di un estremo caso limite, parassitariamente
dipendente da atti linguistici normativamente autorizzati, e come, tuttavia, non si tratti neppure di un tipo di
“discorso” sprovvisto di una “sociale forza legante”
razionalmente motivante.
Più esattamente, questo modo di considerare le cose è
valido dal punto di vista, per così dire, di un’analisi dei
giochi linguistici di tipo esterno, avalutativa, in senso
corrente empirico-descrittiva e empiricamente controllabile, come pure per corrispondenti tipi di razionalità,
in certo qual modo irriflessi e predati. La mia tesi a
riguardo della razionalità apertamente strategica dell’uso linguistico e quindi a riguardo della coordinazione
delle azioni mediata dall’uso linguistico di questo tipo è
dunque la seguente: tramite la corrente analisi, linguisticamente o sociologicamente orientata, del linguaggio e
della comunicazione risulta comunque possibile determinare la differenza tra razionalità dell’azione apertamente strategica e razionalità dell’azione orientata all’intesa (in senso habermasiano). Non è invece possibile
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INDAGINE
decidere in questo modo della priorità di un tipo sull’altro; infatti i soggetti della razionalità strategica non
mostrano affatto, nel loro uso strategico del linguaggio,
che quest’ultimo sia parassitariamente dipendente da
quello “orientato all’intesa”, nel senso habermasiano
dell’intesa su pretese di validità. Al contrario, come già
gli Ateniesi al tempo di Tucidide, così, anche oggi, i
sostenitori del monopolio della razionalità strumentale o
strategica (ovvero dell’esercizio della volontà di potenza, quale determinante razionalità del discorso) mostrano di essere dell’opinione che, anche sul piano metacomunicativo (in ultima istanza filosofico) del discorso, si
dimostrerebbe il carattere illusorio o dogmatico-ideologico di ogni pretesa avanzata in nome di una razionalità
rilevante per la giustificazione normativa, cioè di una
razionalità etica.
Ciò non risulta vero, a mio avviso, in un senso che
chiariremo in seguito. Sono così giunto alla mia terza
tesi: la tesi propriamente pragmatico-trascendentale a
riguardo dell’inaggirabile primato normativo della razionalità autoriflessiva della filosofia (e cioè della razionalità della teoria della razionalità).
Ad 3. Torniamo sull’ esempio di Tucidide. Se gli Ateniesi, nella loro introduzione metacomunicativa alla trattativa con i Meli, avessero accettato di proseguire questa
metacomunicazione nel senso di una aperta discussione
filosofica, avrebbero dovuto accettare anche una discussione su pretese normative di diritto, cioè un discorso
argomentativo tra partner dotati, in linea di principio, di
uguali diritti. Sul fatto se sia lecito escludere dal dialogo
pretese di diritto (ad esempio in base a considerazioni
pragmatiche), non è infatti possibile discutere seriamente (allorché non se ne impone l’esclusione in forza di una
pretesa di potere, al modo degli Ateniesi), senza attribuire ai partner della discussione, indipendentemente dai
reciproci rapporti di forza, uguali diritti nella difesa delle
pretese di diritto. Verrebbe così operato il passaggio al
discorso, in linea di principio aperto, su pretese di
validità e contemporaneamente al riconoscimento della
priorità di un tale discorso rispetto alla limitazione
strategico-razionale della razionalità in discorsi del tipo
delle trattative.
Si dovrebbe cioè riconoscere almeno questo: se il partner della comunicazione deve poter accettare la richiesta
di escludere pretese di diritto e intavolare una trattativa
puramente strategica, non solo in base a motivi di opportunità, bensì deve poterla riconoscere come intersoggettivamente valida in base a ragioni, allora la richiesta non
può venir giustificata tramite trattative strategiche, ma
solo in forza di un discorso argomentativo su pretese di
validità. Si è così ammessa la priorità della razionalità
comunicativo-consensuale, propria del discorso argomentativo.
In altre parole, non tramite descrizione e comparazione
dei diversi tipi di razionalità degli atti linguistici (così
come essi si danno al livello della comunicazione e
interazione del mondo della vita), bensì invece tramite
stretta riflessione su quella razionalità presupposta dalla stessa teoria filosofica della razionalità, ed a cui una
tale teoria deve ricorrere, è possibile mostrare che la
razionalità dell’intesa normativamente illimitata è in
effetti il “modo originario” (Habermas) della razionalità
comunicativa. Ciò non solo rispetto alla razionalità strategica, bensì anche rispetto alla razionalità, normativamente neutrale, della semplice comprensione del senso,
che, come tale, rende possibili anche gli usi linguistici
apertamente strategici e quindi il gioco linguistico delle
trattative strategiche.
Chi, infatti, al livello della autoriflessiva razionalità del
discorso filosofico, volesse ricorrere ad una razionalità
non rivolta all’intesa (nel senso tanto di un possibile
riscatto quanto di una possibile critica) su tutte le
pretese di validità, o volesse qualificare tale razionalità, da un punto di vista teorico, come la razionalità
umana, costui si porrebbe in contraddizione con la
razionalità discorsiva, cui egli di fatto ricorre in actu,
involgendosi così in una autocontraddizione performativa. Mostrerà, in tal modo, che ogni tipo di razionalità,
cui egli pretendesse ricorrere, o che intendesse sostituire alla razionalità discorsiva, dipende in modo parassitario dalla stessa razionalità discorsiva. In tal senso,
risulta possibile recuperare, a mio avviso, l’intuizione
di fondo di Habermas, così come essa affiora in TAC. E’
ora chiaro che all’autonomia del logos autoriflessivo
del linguaggio può corrispondere solo la razionalità
dell’intesa (Verständigung) in senso enfatico, e non, ad
esempio, una razionalità che integra la comprensione
del senso (Sinnverständigung), normativamente neutrale, solo con pretese di potere o considerazioni di
interesse.
È possibile dunque mostrare che, in effetti, “il telos
dell’intesa è insito” nel linguaggio. La prova di ciò si
lascia comunque produrre, a mio avviso, solo affrontando una “diversione”, ovvero affrontando la questione delle condizioni di possibilità pragmatico-trascendentali dell’argomentazione valida, in quanto tale, e
non invece tramite un’ontologia in senso prekantiano
(come suggerisce l’espressione del telos insito nel linguaggio) ed ancor meno tramite una teoria quasiempirica della comunicazione o tramite una sociologia
della comunicazione.
Dopo un difficile percorso attraverso la nuova e controversa problematica del rapporto tra razionalità strategica e comunicativa dell’azione, siamo giunti al fine al
punto culminante o, se si preferisce, alla base di una
possibile teoria pragmatico-trascendentale dei tipi di
razionalità; ovvero, al punto in cui, in certo qual modo,
una possibile teoria filosofica della razionalità recupera
riflessivamente la propria razionalità e ne mostra l’inaggirabilità. È evidente, a mio avviso, che qui, nel momento dell’autoriflessione della razionalità discorsiva, viene assicurata ad essa una priorità, in termini di validità,
non solo rispetto alla razionalità strategica della comunicazione e dell’interazione, ma anche nei confronti di tutti
i pensabili tipi di razionalità, in quanto essi si mostrano
per l’appunto come analizzabili e giustificabili solo in
termini discorsivi. Avremmo così raggiunto il punto di
approdo pragmatico-trascendentale di un’autodifferenziazione della ragione tramite riflessione sulle limitazioni astrattive del potenziale della ragione stessa, in quanto
capacità di articolare in modo differenziato i diversi tipi
di razionalità.
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AUTORI E IDEE
La terra fotografata dalla luna durante la missione Apollo
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AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Modelli di universo
Nello studio intitolato A MODEL OF THE
UNIVERSE: SPACE-TIME, PROBABILITY AND DECISION (Un modello di universo: spaziotempo, probabilità e decisione, Clarendon Press, Oxford 1994) Storrs
McCall propone di raffigurare l’universo come un albero, struttura che più di
ogni altra permette di trovare una spiegazione convincente ai problemi sollevati dall’osservazione di ciò che ci
circonda. Per quanto tale modello si
mostri adatto anche alla soluzione di
problemi scientifici, McCall si sofferma su questioni prettamente filosofiche, dedicando un’attenzione particolare al problema dello scorrere del tempo, di cui il modello dell’albero riesce
a fornire una rappresentazione dinamica. Sulla questione delle origini dell’universo interviene invece la raccolta di saggi a cura di Francesco Bertola,
Massimo Calvani, Umberto Curi, ORIGINI: L’UNIVERSO , LA VITA, L’INTELLIGENZA (Il
Poligrafo, Padova 1994). Il volume, che
raccoglie contributi sulla bioastronomia, la cosmologia, la filosofia, la storia della scienza, l’astrofisica e la teologia, prosegue il dibattito interdisciplinare sui rapporti tra le moderne
teorie cosmologiche e la loro prospettiva filosofica, aperto dall’Istituto
Gramsci Veneto con l’organizzazione
della serie delle “Venice Conferences
on Cosmology and Philosophy”.
Lo studio di Storrs McCall si propone di
fornire un modello dell’universo che permetta di trovare una soluzione ad alcune
questioni filosofiche da sempre apparse
come problematiche. La sua analisi si
concentra principalmente su otto grandi
temi: lo scorrere del tempo; il rapporto
causa/effetto e le leggi di natura; la meccanica quantistica; la probabilità; la differenza tra condizionali dotati di valore
di verità e condizionali dotati di valore di
probabilità; l’identità degli individui nel
tempo; le proprietà essenziali; la decisione e il libero arbitrio.
Il modello che McCall propone per rispondere a tutte le domande sollevate
dall’analisi di tali questioni è un albero:
esso permette di rappresentare la dimensione spazio-temporale dell’universo,
fornendo così uno schema in cui collocare gli eventi. Secondo questo modello, ad
ogni momento t esiste un tronco costituito dal progressivo incorporamento dei
rami esistenti prima di t. E’ però importante evidenziare che, in ogni momento t,
un solo ramo va ad accrescere il tronco,
mentre tutti gli altri, rappresentanti tutti
gli eventi alternativi che potevano avvenire in quel momento, cadono. Possiamo
quindi considerare l’albero come la
rappresentazione di un mondo possibile,
vale a dire come la rappresentazione dell’unico mondo, tra i tanti possibili, che si
è realizzato. Il fatto che di volta in volta
si verifichi un evento piuttosto che un
altro, e che quindi sia un ramo piuttosto
che un altro ad aggiungersi al tronco,
dipende dalle circostanze. In questo modo
McCall evita ogni determinismo, lasciando al caso il compito di scegliere tra le
possibili alternative.
In realtà, ad ogni istante t, oltre al tronco,
che corrisponde al passato, esistono infiniti rami che da esso si dipartono e che
indicano i futuri possibili; in questo quadro il presente viene posto nel punto di
origine del primo ramo. La peculiarità di
un tale modello risiede, secondo McCall,
nel suo carattere dinamico, che gli permette di rendere lo scorrere del tempo; i
rami che continuamente vanno ad ingrandire il tronco indicano, infatti, l’ininterrotta caduta del presente nel passato,
che in questo modo si arricchisce di sempre nuovi elementi, trasferendo loro la
propria caratteristica immutabilità. Nel
modello formulato da McCall non assistiamo ad un cambiamento “nel” tempo,
ma “del” tempo, in quanto esso non è che
una rappresentazione dello scorrere del
tempo, che viene appunto definito come
il “progressivo logoramento dei rami”.
Grazie a questo modello è possibile, secondo McCall, mostrare in modo ordinato e unitario fenomeni che gli studiosi
generalmente faticano a collegare. Tra
questi, in particolare, le aporie che caratterizzano la nostra concezione del tempo, prima fra tutte quella relativa alla
natura del presente. Quest’ultimo, osserva McCall, merita infatti un’attenzione
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particolare, in quanto da un lato è caratterizzato dal permanere, affinché sia possibile anche solo parlarne, dall’altro è
destinato a non avere durata, in quanto lo
scorrere del tempo lo fa ricadere continuamente nel passato. Ora, la raffigurazione del tempo sottoforma di un albero
permette di osservare entrambe queste
proprietà.
Particolarmente interessante si rivela la
discussione che McCall conduce riguardo
al problema del libero arbitrio, affermando
che le nostre azioni possono essere libere,
vale a dire non determinate. Non si tratta
però di azioni compiute a caso, ma guidate
da ragioni. Ci sono dunque azioni che vengono scelte intenzionalmente: esse costituiscono un’eccezione alla regola generale
secondo la quale è del tutto casuale il fatto
che sia un ramo piuttosto che un altro a
divenire attuale. Anche il problema della
causalità viene affrontato in modo originale da McCall. Una causa A è necessariamente legata ad una causa B se in ogni
punto di diramazione in cui occorre un
evento del tipo A esistono solo rami contenenti eventi del tipo B. Se invece ad ogni
nodo A esistono sia rami di tipo B che rami
di tipo non-B, la probabilità che eventi di
tipo A siano seguiti da eventi di tipo B sarà
tanto maggiore quanto più numerosi saranno i rami di tipo B rispetto a quelli di tipo
non-B. La causalità necessaria appare quindi come l’ontologica impossibilità che le
cose vadano altrimenti. A.R.
La raccolta dal titolo: Origini: l’universo, la vita, l’intelligenza, pone al centro
dei vari contributi che vi compaiono l’interrogativo sulle origini dell’universo,
che accompagna l’uomo dalla sua nascita ed è forse ancora oggi il punto di
congiunzione più naturale tra scienza e
speculazione filosofica. Dalle teorie statiche al big-bang, dalla concezione di un
universo immobile e sempre uguale a se
stesso alla presenza di una forte dinamicità e continua evoluzione, si sviluppano
differenze sostanziali che modificano il
modo di osservare la realtà e il nostro
rapporto con la natura e l’immagine del
mondo.
Superate le suggestioni del mito e della
religione, la cosmologia è ormai regno
AUTORI E IDEE
della scienza, che è in grado di prospettare scenari evolutivi attendibili e coerenti
(espansione dell’universo da una singolarità iniziale, formazione della materia,
allontanamento delle galassie, nascita
della vita e dell’uomo da condizioni predeterminate ecc.), che però non liberano
il campo dal dubbio. Come fa notare
Halton C. Arp nel suo contributo alla
raccolta, nuove teorie prevedono ad esempio un universo non più in espansione,
che crea continuamente materia all’interno di se stesso e attraverso la continua
ricerca di spiegazioni alle domande fondamentali.
Nei diversi interventi che compongono il
volume viene affrontato in particolare il
problema delle origini greche della cosmologia, della nascita della vita, della
ricerca di intelligenze extraterrestri (interessante è anche un’analisi delle implicazioni teologiche che una tale esistenza
comporterebbe), del passato e del possibile futuro del nostro universo. A.C.
I limiti della conoscenza
matematica
Il mondo è veramente “matematico”?
Ovvero: come può la matematica spiegare la natura e la fisica dell’universo?
Sono queste le domande che stanno
alla base del recente lavoro di John D.
Barrow, LA LUNA NEL POZZO COSMICO . CON TARE, PENSARE ED ESSERE (trad. it. di T.
Cannillo, Adelphi, Milano 1994). Si tratta di un’opera di carattere divulgativo
sulla matematica e sulla filosofia della
matematica che, con grande consapevolezza e padronanza di strumenti,
analizza il complesso rapporto tra matematica, uomo e natura. A questo
proposito è il caso di richiamare un
recente studio di Brian Rotman AD INFINITUM... THE GHOST IN TURING ’S MACHINE:
TAKING GOD OUT OF MATHEMATICS AND PUTTING THE BODY BACK IN (Ad infinitum... Il
fantasma nella macchina di Turing:
tirar fuori Dio dalla matematica e metterci il corpo, Stanford University
Press, Stanford 1993), che a partire da
un rigoroso finitismo s’interroga sul
limite delle capacità di conoscenza
dell’uomo in ambito matematico e
conseguentemente di una matematica che tenga conto della sua natura di
pratica spazialmente e temporalmente limitata.
John D. Barrow parte da una semplice
constatazione: la matematica è il linguaggio, lo strumento base, il codice strutturale
utilizzato da tutte le teorie fisiche che descrivono il comportamento della natura.
Ma perché questo accade? Com’è possibile
che la matematica, pura elaborazione astratta di un mondo di simboli, sia in grado
quantificare e interpretare la fisica dell’universo in modo apparentemente così
“naturale”? Inoltre: la matematica è qualcosa che scopriamo o qualcosa che inventiamo? Che relazione c’è tra la natura della
matematica e la psicologia e i processi
cognitivi umani?
Si tratta di quesiti “classici” della filosofia
della matematica, che hanno determinato il
formarsi di diverse scuole (formalisti, convenzionalisti, intuizionisti, platonisti), e che
coinvolgono e chiamano in causa le teorie
della conoscenza, dell’uso del linguaggio
astratto, dell’idea stessa del fare o del creare matematico. Per cercare delle correlazioni profonde che non si limitino semplicemente a constatare come tale linguaggio
simbolico “funzioni” nella pratica e nel
lavoro dei fisici e dei matematici, Barrow
risale, con intenti divulgativi, alle origini
del numero (strumento base e fondamento
di ogni quantificazione), ai primi modi di
contare dell’uomo, alla nascita e alla pratica dell’aritmetica e ai suoi collegamenti
con le necessità umane e sociali. Vengono
così spiegate, accanto all’imporsi del sistema di numerazione decimale, l’esistenza di
altri mondi e civiltà del contare, le logiche
indiane (che contemplano un certo grado di
verità diverso dal dualismo occidentale),
insieme a molte altre annotazioni sull’evoluzione originaria della numerologia. Barrow affronta poi la problematica dei “fondamenti” della matematica, ripercorrendo brevemente la strada che porta dalla fondazione
logica di Frege e Russell, all’individuazione di paradossi, che minano le basi di tale
progetto, sino al famoso teorema di Gödel,
che determina l’impossibilità di provare la
coerenza dei sistemi assiomatici.
Nel tentativo di un estremo salvataggio
della matematica dalla crisi dei suoi presupposti logici, diverse “filosofie” della
matematica si sviluppano agli inizi del secolo, grazie anche agli studi di Cantor
sugli infiniti, per giungere poi, con Brouwer e Hilbert, ad una vera e propria “disputa” tra le certezze del formalismo e il
fascino dell’intuizionismo. Giungiamo così
agli sviluppi più recenti con la matematica
computazionale, la matematica da calcolatore; e qui “l’irragionevole efficacia del
numero” diventa ancor più misteriosa, sposandosi con una sorta di possibilità di “sperimentazione” matematica.
Sebbene Barrow non fornisca risposte alle
domande iniziali, questo suo studio mostra
tuttavia come la “crisi” in cui si trova la
matematica ormai da quasi un secolo non
abbia impedito il suo continuo sviluppo e la
sua incredibile capacità di proporsi come il
miglior linguaggio a disposizione dell’uomo per avvicinarsi a comprendere la struttura del cosmo e la Mente di Dio. Per
descrivere l’arduo lavoro dei matematici,
Barrow cita una frase di Charles Darwin,
che in qualche modo racchiude anche il
senso della ricerca astratta: «Un matematico è un cieco che cerca in una stanza buia un
gatto nero che non c’è.» A.C.
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In un medesimo contesto di riflessione
Brian Rotman si propone invece di stabilire ciò che i matematici debbono fare e
fino a che punto deve spingersi la loro
indagine. L’importanza teoretica di questo
programma di rigoroso finitismo matematico sta nel fatto di concepire tale prospettiva come una naturale estensione di quella
posizione che, pur negando l’esistenza di
limiti finiti nella realtà matematica, afferma che l’infinito non può essere oggetto di
studi matematici. Partendo dalla convinzione che la matematica è essenzialmente
“la nostra pratica matematica” e prendendo
coscienza delle nostre reali capacità “pratiche” di esseri umani determinati nello spazio e nel tempo, Rotman inferisce che nella
realtà matematica non deve esistere niente
di infinito. Per giungere a una tale conclusione i finitisti sostituiscono alla nozione di
“infinito” quella di “molto grande”. Ma
anche per il matematico realista è impensabile un concetto di “infinito” senza la definizione di punti di arresto. In tal senso,
imputando in qualche modo al realista ciò
che può essere imputato al finitista, Rotman arriva a concludere che come le geometrie non-euclidee ci hanno reso consapevoli di cosa significa abitare lo spazio
nella realtà fisica effettiva, così le “aritmetiche non-euclidee”, come ad esempio un
rigoroso finitismo, ci potrebbero indicare
cosa comporta vivere nel tempo della realtà
fisica effettiva.
Per quanto riguarda poi la natura della
matematica e i suoi limiti conoscitivi, Rotman non ritiene che i numeri naturali (0, 1,
2, 3...), per quanto essenziali per la pratica
matematica, siano tali in quanto “creati da
Dio” e senza fine, ma in quanto fondati sul
“contare”, conseguenza cioè della manipolazione di simboli che ha avuto luogo storicamente. Ma che cosa s’intende per contare? Che cosa si presuppone nell’azione
del contare? - si chiede Rotman.
Nel rispondere a queste domande Rotman
definisce il programma per la costruzione
della matematica come attività che gli
esseri umani svolgono nello spazio e nel
tempo e individua tre tipi di matematico,
connessi a tre diversi modi di operare
nella pratica quotidiana della matematica.
Il primo, chiamato Persona, è l’interprete
del testo matematico, che con esso instaura un rapporto informale teso alla comprensione del valore e dell’applicazione
di ciò che vi è esposto. Il secondo, denominato Soggetto, è il destinatario del testo, che segue lo svolgimento delle prove
formali. Il terzo, chiamato Agente, è colui
che tira fuori irriflessivamente gli algoritmi per utilizzarli. In modo analogico, assimilando il matematico ad un sognatore,
Rotman descrive poi il Soggetto come il
sognatore addormentato, l’Agente come
la figura o il numero su cui si sogna e la
Persona come il sognatore desto, che successivamente ricostruisce il sogno.
Nella trattazione di Rotman il ruolo fondamentale dovrebbe essere ricoperto dal-
AUTORI E IDEE
la distinzione tra Soggetto e Agente; tuttavia essi differiscono ben poco nella caratterizzazione di Rotman; in particolare,
non viene nemmeno menzionata, nell’esecuzione delle azioni dell’Agente, la limitazione temporale, che è essenziale se si
vuole che la realtà matematica tenga conto della natura umana. Inoltre Rotman,
definendo il Soggetto come colui che segue le varie prove formali della matematica ed immagina di svolgere i vari algoritmi e l’Agente come colui che li esegue,
pone la questione se il Soggetto sia in
grado di immaginare pienamente l’esecuzione di scopi matematici rilevanti. In
caso affermativo dobbiamo ammettere che
immaginare pienamente l’esecuzione di
realtà matematiche rilevanti è eseguirle; e
allora l’Agente è ridondante. Se invece
riteniamo che per gli scopi matematici
del Soggetto sia adeguata un’attività più
schematica, allora sono superflue le severe costruzioni prescritte all’Agente. Per
Rotman questa situazione è risolvibile
accettando sì che il Soggetto possa esplicare un’attività più schematica, ma continuando a salvaguardare il fatto che
l’Agente è il Soggetto che immagina se
stesso, e qualunque cosa l’Agente faccia,
il Soggetto deve almeno “essere capace”
di farlo. M.G.
Natura, storia e arte
in Merleau-Ponty e Lévi-Strauss
Nel volume dal titolo: LINGUAGGIO, STO RIA, NATURA. CORSI AL COLLÈGE DE FRANCE
1952-1961 (a cura di M. Carbone, Edizioni Studi Bompiani, Bergamo 1995)
sono raccolti gli appunti relativi ai corsi tenuti da Maurice Merleau-Ponty tra
il 1952 e il 1961, dove traspare, al di là
di ogni chiusura dogmatica, la sua
concezione della natura, della corporeità, della storia, del linguaggio. Da
questi appunti è possibile desumere
anche una originale concezione estetica relativa all’opera dello scrittore
come richiamo a quella parola totale
che fa percepire nello stesso tempo
l’assenza. Una riflessione sulle molteplici forme dell’arte è invece quella
che Claude Lévi-Strauss ci propone in
GUARDARE, ASCOLTARE, LEGGERE (trad. it.
di F. Maiello, Il Saggiatore, Milano
1994), una raccolta di saggi dedicati a
Poussin, Ingres, Rameau, Rimbaud,
Diderot, da cui emergono anche, sempre all’interno dell’ambito artistico, i
rapporti di amicizia di Lèvi-Strauss con
Breton e Ernst.
Attraverso l’analisi degli appunti dei corsi
tenuti da Maurice Merleau-Ponty al Collège de France tra il 1952 e il 1961 si può
ricostruire la sua concezione filosofica della natura, della corporeità, della storia e del
linguaggio, in cui egli si oppone alla concezione classica della natura di tipo oggettivo, basata sulle categorie di sostanza, accidente, causa e fine e che ha come suo
fondamento il determinismo dogmatico.
Per Merleau-Ponty la natura è caratterizzata da elementi di “discontinuità” e di “probabilità”, poiché ogni essere non è situato
in una posizione unica ed assoluta. Inoltre,
non è possibile considerare la natura indipendentemente dal suo essere percepita da
un osservatore. In tale prospettiva, l’oggettività naturale è data dall’appartenenza dei
soggetti ad un unico «nucleo d’essere ancora amorfo», per cui gli esseri fisici non
sono più degli esseri matematici, «strutture
d’un insieme di operazioni».
D’altra parte, chi percepisce la natura è il
corpo umano, che è costituito da due dimensioni, “senziente” e “sensibile”. Per
Merleau-Ponty il corpo umano non si anima a seguito della presenza della coscienza, ma in quanto caratterizzato da una «metamorfosi della vita». Questa concezione
del corpo determina la fondazione di una
“filosofia della carne”, dove il corpo è
considerato come manifestazione visibile
dell’invisibile, ed è dotato di una componente di espressività simbolica, in quanto
dispone di innumerevoli sistemi simbolici,
che vanno al di là dei gesti naturali. Ciò che
per Merleau-Ponty consente ora alla significazione di essere accessibile è il linguaggio, che “rende pubbliche” le cose del mondo. L’uomo, sapendo che ogni cosa è dotata di un nome, può giungere a cogliere il
suo modo d’essere.
Questa concezione del linguaggio e della
natura, che fonda un’ontologia della vita, si
basa su una visione in senso antidogmatico
della filosofia come “interrogazione”, che
riconosce la possibilità dell’errore umano.
Per Merleau-Ponty, infatti, gli eventi che
l’uomo esperisce inducono una proiezione
verso un futuro aperto. L’attività del passato non determina dunque una “storia universale chiusa”, ma un sistema aperto, ricco di differenti possibilità, tra le quali nessuna risulta più vera, anche se qualcuna
può essere considerata più falsa. In questa
prospettiva, la storia costituisce per
Merleau-Ponty la “genesi della verità”, in
quanto detiene il fondamento del processo
vitale dei soggetti storici. La filosofia della
storia non è una “disciplina trascendente”,
ma la manifestazione completa e dispiegata del divenire umano che è principalmente
filosofico.
Attraverso il linguaggio, sostiene MerleauPonty, il nostro orizzonte è “aperto e senza
fine”. Tuttavia, l’ “essere ideale” si trova al
di fuori di ogni comunicazione ed è possibile evocarlo attraverso la parola scritta.
Nell’uso del linguaggio comune lo scrittore costruisce infatti un “sistema di segni”
che implica una ristrutturazione del mondo
e del linguaggio stesso. Anche per MerleauPonty dunque, come già per Proust, parlare o scrivere può trasformarsi in una modalità di esistenza; nel suo vivere il mondo, lo
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scrittore si serve di quella parola che si è
formata a sua insaputa. Tuttavia, se lo scritto è capace di richiamare la “parola totale”,
nello stesso tempo, esso lascia percepire
anche “l’oblio” e “l’assenza”. La filosofia
di Merleau-Ponty privilegia di fatto la dimensione del vissuto e del sentito, la cui
esperibilità è legata alla corporeità. Solo
partendo dalla sperimentazione del mondo
attraverso la corporeità è possibile avvertire il significato delle altre realtà. M.Mi.
In Guardare, ascoltare, leggere, Claude
Lévi-Strauss espone, attraverso figure di
artisti e scrittori, il suo pensiero sulla letteratura, la pittura, la musica, cercando di
superare la frattura fra intelleggibile e sensibile, causata dallo sviluppo del pensiero
scientifico, al fine di ristabilire l’unità dell’esperienza umana. Ogni opera d’arte, secondo Lévi-Strauss, è espressione, da un
parte, della tecnica, essenziale per la riuscita della composizione, e dall’altra ha come
scopo la trasmissione di un’emozione, che
caratterizza l’opera dell’artista di talento.
Alla luce di questa situazione Lévi-Strauss
si misura con Poussin per quanto riguarda
la pittura, con Rameau per la musica e con
Diderot per la letteratura.
In Poussin Lévi-Strauss riconosce il pittore filosofo, secondo il quale l’opera d’arte
deve accordare sensibilità e intelligenza;
un’operazione che richiede, oltre a qualità
artistiche, anche uno spirito filosofico che
vada al di là di semplici considerazioni
“pittoriche” e sappia cogliere quanto di
esistenziale debba comparire in un quadro
ed esprimere di conseguenza l’intenzione
figurativa. In questo, sia Lévi-Strauss che
Poussin mostrano uno spirito critico nei
confronti del sapere che li conduce alla
deliberata ricerca di un’armonia profonda
del “tutto”.
Un medesimo atteggiamento è riscontrabile in Lévi-Strauss nei confronti dell’opera musicale di Rameau, che riconosce
una necessaria corrispondenza tra l’espressione tecnica e il valore espressivo tanto
del brano musicale, quanto di ogni singola
nota che lo compone. Contenuti semantici
e elementi regolatori vengono così a configurarsi in Rameau secondo un unico
progetto musicale, che accorcia la distanza tra il compositore e l’ascoltatore.
Un artista con cui Lévi-Strauss non si
sente di condividere le idee è Diderot, in
cui si assiste a una frantumazione del
rapporto tra tecnica e contenuto, giacché
l’armonia intelleggibile e artistica viene
considerata irrealizzabile da Diderot, accusato peraltro da Lévi-Strauss di leggerezza e volubilità in tema di arte e filosofia. Di fatto, il limite di Diderot consisterebbe nel non riuscire a superare l’antinomia tra cosa e idea, sensibile e intelleggibile, accentuando l’opposizione fra l’aspetto morale e quello tecnico, a seconda dell’opera presa in considerazione, rivelando
in questo una mancanza di metodo nel
rapportarsi all’arte. D.M.
AUTORI E IDEE
Max Horkheimer
Per il centenario della nascita
di Horkheimer
Il 14 febbraio 1995 è ricorso il centenario della nascita di Max Horkheimer,
uno dei teorici fondatori della “teoria
critica”, scomparso il 7 luglio 1973 a
Norimberga. In occasione della ricorrenza sono comparsi il volume XV
dell’edizione completa delle opere di
Horkheimer, BRIEFWECHSEL 1913-1936
(Epistolario, 1913-1936, a cura di G.
Schmid Noerr, Fischer Verlag, Francoforte s/M. 1995), e un saggio critico ad
opera di Michael Schäfer, DIE RATIONALITÄT DES RATIONALSOZIALISMUS. ZUR KRITIK
PHILOSOPHISCHER FASCHISMUSTHEORIEN AM
(La razionalità del nazionalsocialismo. Per la
critica delle teorie del fascismo sull’esempio della teoria critica, Belz
Athenäum, Weinheim 1994), che prende di mira l’interpretazione della genesi del fascismo di Horkheimer.
BEISPIEL DER KRITISCHEN THEORIE
Max Horkheimer continua a far parlare
di sé, al di là dei pregiudizi ancora vivi nei
confronti della “teoria critica”, considerata ormai una dottrina superata. La fisionomia intellettuale di Horkheimer è notoriamente legata alla vicenda dell’Institut für
Sozialforschung di Francoforte, del quale
fu direttore nel 1930, succedendo a Carl
Grünberg, e che rifondò nel 1950 al rientro dall’esilio americano. Fermo assertore
che la teoria e le scienze specialistiche
debbano interagire dialetticamente, egli
costituì a Francoforte una vera e propria
“comunità di lavoro”, alla quale collaborarono figure ben note, come Pollock,
Fromm, Marcuse, Adorno e Benjamin,
per citare alcuni fra i nomi più famosi.
I rapporti fra Horkheimer ed i suoi collaboratori, nonché con le persone a lui
affettivamente più vicine, costituiscono
il contenuto principale di questo volume
della «Gesamtausgabe» delle sue opere,
dedicato al Briefwechsel, 1913-36. Altri
tre volumi di prossima pubblicazione
32
esauriranno l’insieme corposo degli scritti
epistolari.
La maggioranza delle lettere raccolte in
questo primo volume è collocabile nell’arco di tempo tra il 1934 e il 1936,
quando Horkheimer, costretto all’esilio
dal nazismo, continua insieme a Pollock
l’opera di ricerca sociale dello Institut für
Sozialforschung prima a Ginevra e a Parigi, poi a New York. Negli scambi epistolari di questi anni, in cui Horkheimer sceglie come interlocutori soprattutto Benjamin, Einstein, i fratelli Marcuse e Bloch,
si intrecciano diagnosi relative alla situazione politica e discussioni di problemi
filosofici e sociologici, al centro dei quali
sta la questione dell’interpretazione di
Nietzsche e Freud al di fuori della strumentalizzazione ideologica effettuata dal
nazismo. Di particolare interesse è la corrispondenza con Adorno, che per Horkheimer rappresenta un riferimento insieme
filosofico ed affettivo: dalle loro lettere
emerge chiaramente quanto i due amici
siano solidali nel comune pathos antiidealistico e nella scelta della critica dell’ideologia come unica risposta possibile
al dogmatismo stalinista ed alle ontologie
tradizionali.
Meno conosciute, ma di primaria importanza per comprendere lo sviluppo e la
continuità del pensiero di Horkheimer,
sono le lettere della sua giovinezza, che
documentano l’influenza del pensiero di
Schopenhauer già a partire dal 1916, come
dimostra un passo di una lettera di quegli
anni: «Tormento e sofferenza, questa è la
formula della vita [...] ogni respiro ed ogni
passo fatto sono distruzione», che lascia
trasparire quella tematica della “nostalgia
dell’Altro” (Sehnsucht nach dem Anderem), che negli ultimi anni della vita di
Horkheimer ha rappresentato la risposta,
non più rigorosamente “critica”, alla miseria dell’esistenza: di fronte alla crudeltà
della storia, osserva Horkheimer, vale la
coscienza che il mondo non è semplice
apparenza e non si identifica dunque con
la verità assoluta, l’Ultimo, perché nessun
uomo si può rassegnare all’ingiustizia della
realtà e tantomeno la può reputare come la
parola finale.
Fra le opere di Horkheimer occupa un
posto di rilievo la Dialettica dell’illuminismo, scritta in collaborazione con Adorno
e pubblicata per la prima volta nel 1947 ad
Amsterdam, anche se aveva cominciato a
circolare già tre anni prima in forma di
ciclostilato in occasione del cinquantesimo compleanno di Pollock. Quest’opera è
ancora una volta oggetto di discussione
nello studio critico di Michael Schäfer,
Die Rationalität des Nationalsozialismus,
soprattutto per quanto concerne l’interpretazione della genesi del fascismo elaborata dai due francofortesi.
Horkheimer ed Adorno ritengono che
Auschwitz sia il risultato di duemila anni
di feticizzazione della ragione compiutasi
nella storia occidentale; in tal senso l’illu-
AUTORI E IDEE
minismo, in quanto esercizio della ragione strumentale, contiene un forte potenziale autodistruttivo, poiché, se conoscere
significa manipolare, ogni rapporto si
manifesta come logica di dominio e l’incontro con l’altro si tramuta in una sfida
pericolosa, tesa a ridurre l’altro alla dimensione innocua e spregevole della cosa
posseduta.
Il libro di Schäfer offre una serie di controargomentazioni a tale proposta teorica, ricordando innanzitutto che il processo distruttivo del fascismo è figlio della
modernità tedesca. Schäfer intende inoltre dimostrare come il nazionalsocialismo sia caratterizzato da un rapporto
ambiguo con la razionalità, perché trae
origine non solo dalla volontà di esercizio indiscriminato del potere, secondo
criteri tecnocratici, ma anche da un atteggiamento spirituale antirazionale e carismatico. Ciò che è accaduto nei campi di
concentramento e di sterminio, osserva
Schäfer, è da attribuirsi alla ragione politica del “Non-Stato” (Unstaat), segnato
dall’estrema segmentazione e dall’informità del sistema politico-amministrativo: responsabile del regime di terrore
non fu certo uno “stato Leviatano”, autoritario, ma uno stato organizzato secondo
principi razionali.
La critica rivolta da Schäfer a Horkheimer ed Adorno, pur dimostrandosi valida
nella puntualizzazione di taluni aspetti
dottrinari del pensiero dei Francofortesi,
sembra tuttavia ignorare che già la Dialettica dell’illuminismo denunciava la
caduta nell’irrazionalità della ragione
strumentale. A ciò va aggiunto che lo
stesso Horkheimer, in Eclissi della ragione, sottolinea il parallelismo, esplicitato in modo evidente dalla storia, tra lo
sviluppo dell’idea di razionalità e la contemporanea diffusione, cosciente o inconscia, del risentimento contro la civilizzazione. L.R.
parigina, in rue de l’Odeon. Il risultato di
questo incontro è un esile, ma denso volume, Itineraires d’une vie, i cui meriti sono
essenzialmente due: in primo luogo far
conoscere ai lettori qualcosa di più della
giovinezza di Cioran, trascorsa dapprima
in Romania e più tardi a Parigi e, in seconda istanza, far luce sulle posizioni violentemente antidemocratiche del filosofo
durante gli anni trenta, precisando i termini della tentazione nazista subita a Berlino
nel 1933.
Se infatti ai Rumeni, almeno fino alla
caduta di Ceausescu, sono state ignote per
lungo tempo le opere di Cioran, al resto
del pubblico è stata finora negata, a causa
della riservatezza del filosofo, una conoscenza completa e particolareggiata dei
dati biografici di Cioran, in particolare dei
suoi anni infantili e dell’ambiente familiare ove mosse i primi passi. Scopriamo
così che la prima infanzia di Cioran fu
molto felice, quasi incantata, ma ciò non
gli fu affatto di aiuto durante le frequenti
crisi depressive degli anni successivi, anzi,
determinò in lui la consapevolezza di
un’età aurea perduta per sempre, di uno
stato di benessere e pienezza scomparso
con l’avvicinarsi dell’età adulta.
Si può collocare la prima grande rottura
che segnerà l’esistenza di Cioran nel 1927,
quando, studente di filosofia a Bucarest,
venne colpito da un’insonnia patologica
che durò almeno un paio d’anni, durante i
quali egli fu più volte assalito da pensieri
suicidi. Dirà in seguito Cioran: «s’impara
di più in una notte bianca che in un anno di
sonno»; e le notti bianche vennero in effetti trasformate in un formidabile strumento di conoscenza e di chiarificazione
interiore tanto da arrivare ad affermare, in
De l’inconveniente di essere nati, di aver
già intuito a vent’anni ciò di cui ebbe
conferma a sessanta. Tutto ciò, unito a una
tendenza maniaco-depressiva presente in
tutta la famiglia di Cioran, fece di lui,
quando ancora non aveva vent’anni, uno
“specialista del problema della morte”; ed
anche la lettura dei testi filosofici, nella
quale si gettò quasi disperatamente, non lo
aiutò, a suo parere, né gli fu di alcuna
utilità, se non per dargli l’illusione di
vivere attivamente.
Intanto iniziavano per lui gli incontri con
altri esponenti della vita intellettuale della
Bucarest degli anni Trenta: Nae Ionescu,
Petre Tutea, Mircea Eliade, Benjamin Fondane, ai quali era comune la consapevolezza di un insanabile contrasto tra sistemi
filosofici e vita reale. Le discussioni alla
leggendaria brasserie Capsa contribuirono senza dubbio a rinsaldare le convinzioni di Cioran il quale, sin dal principio, si
pose filosoficamente contro tutti i formalismi, le sottigliezze logiche e le distinzioni astratte e non impegnate sul piano esistenziale, accordando valore solo alle grandi tensioni della vita, alle rivelazioni della
Ricordo di Cioran
Emile Michel Cioran, importante interprete del nichilismo di questo secolo, si è spento martedì 20 giugno 1995
a Parigi. Aveva ottantaquattro anni.
Assumono così valore di testamento
spirituale la riedizione delle opere più
importanti di Cioran, OEUVRES (Opere,
Gallimard, Parigi 1995), e il volume a
cura di Gabriel Liiceanu, ITINERAIRES
D’UNE VIE, (Itinerari di una vita, Michalon, 1995), che raccoglie un saggio
biografico, un’intervista a Cioran e
un’abbondante iconografia.
Fu nel giugno 1990 che il filosofo rumeno
Gabriel Liiceanu raccolse le confidenze
e i ricordi di Emile Michel Cioran, recandosi personalmente nella sua mansarda
Emile Michel Cioran
33
AUTORI E IDEE
solitudine e della notte. Lo stesso esercizio della scrittura non fu mai per lui una
preoccupazione culturale, ma piuttosto una
terapia, un mezzo per oggettivare periodicamente le terribili ossessioni generate
dall’esistenza.
Dopo una breve esperienza come insegnante al liceo Andrei-Saguna di Brasov,
Cioran decise che avrebbe vissuto come
un “eterno studente”, beneficiando delle
borse di studio che gli venivano offerte.
Nel 1933, trovandosi a Berlino come borsista, seguì in diretta lo sviluppo e l’ascesa
dell’hitlerismo che, in un primo momento, gli parve incarnare la promessa di un
nuovo stile di vita ove il culto dell’irrazionale e l’esaltazione della vitalità erano
chiamati a giocare un ruolo determinante.
In effetti Cioran, condividendo l’opinione
di una parte degli intellettuali europei, era
giunto da tempo alla conclusione che la
democrazia fosse un sistema politico ormai irrimediabilmente compromesso e in
questo senso l’hitlerismo gli sembrò l’inizio di una nuova era positiva. Ben presto
però, di fronte alla dimensione di fanatismo e nevrastenia collettiva prodotta dal
credo hitleriano, l’entusiasmo iniziale si
mutò in un profondo disgusto. Con orrore
Cioran contemplò la metamorfosi della
massa popolare germanica, resa strumento di un divenire demoniaco e dittatoriale, per sfuggire al quale egli si dedicò allo
studio del Buddismo che, a suo dire, lo
salvò dall’intossicazione dell’hitlerismo.
Ed è in effetti dal Buddismo, oltre che
dalle più antiche dottrine scettiche, che
Cioran elaborò la sua filosofia negativa,
che fu un atteggiamento e uno stile di
vita, più che una dottrina vera e propria:
al determinismo dell’esistenza, della materia e dello spazio si può soltanto opporre la libertà di una coscienza negatrice, la
sola capace di sovvertire l’ordine del
male e, ormai priva di tutte le illusioni e
le speranze, di contrapporvi una sovrana
indifferenza.
A Partire dal 1937 Cioran si installò a
Parigi e ben presto adottò la lingua francese anche per i suoi scritti; il suo primo
volume in francese fu Precis de décomposition che apparve nel 1949. Parigi rappresentò per Cioran la patria elettiva per
un “fallito” - così amava definirsi lui stesso - «l’unica città al mondo, dove si può
essere poveri senza vergogna, complicazioni o drammi». Di fatto, esauritasi l’ultima borsa di studio nel 1945, Cioran visse
in una condizione di indigenza: la povertà
d’altronde non fu per lui un evento accidentale, ma uno stile di vita, il solo modo
per restare totalmente indipendente e libero. Ed in nome di questa totale libertà ed
autonomia della coscienza Cioran rifiutò
non solo ogni frequentazione mondana,
ma anche tutti i premi che vinse durante la
sua carriera di scrittore, proclamando la
sua ribellione ad ogni sottile tentativo di
manipolare la sua identità o di compromettere la sua lucidità. L.P.
Psicoanalisi e filosofia
Al rapporto con l’inconscio come tentativo di spiegare quello che appare
alla nostra esperienza è dedicato lo
studio di Salomon Resnik LA VISIBILITÀ
DELL’INCONSCIO (Teda Edizioni, Castrovillari 1994). Qui l’inconscio è considerato come il luogo dove tutte le manifestazioni psichiche vengono determinate da un nesso causale, la cui
matrice va ricercata negli antecedenti
del vissuto dell’individuo. In DIALOGO
TRA UNO PSICANALISTA E UN FILOSOFO. SULLE
CATEGORIE DELL’ESISTENZA (Teda Edizioni, Castrovillari 1993) Resnik intreccia
un appassionante dialogo con Renzo
Mulato, filosofo e studioso di scienze
umane e storia, nel tentativo di far
incontrare, in una comune e suggestiva area di ricerca, psicoanalisi e filosofia, da sempre aperte al confronto epistemologico.
Al di là delle non poche rivoluzioni concettuali e metodologiche di cui è debitrice la
psichiatria del nostro tempo nei confronti
della filosofia, può la psicoanalisi oggi
trovare al proprio interno gli strumenti per
filosofare? E la filosofia è in grado di
ripensare la domanda: che cos’è la mente?
Certamente sì, se il loro rapporto poggerà
non più sulla classica e forse desueta relazione mente-corpo, ma sull’ “intersoggettività”, sull’agire del soggetto nel mondo.
Sono questi i motivi ricorrenti che portano
Salomon Resnik, psicoanalista e psichiatra, allievo di E. Pichon Riviére, M. Klein,
H. Rosenfeld, a richiamare nei suoi studi
personaggi come De Waelhens, molto vicino alla “psichiatria fenomenologica”, il
quale aveva ben compreso come l’essere
umano venga “storicamente” a configurarsi e a prender corpo come esserci (Da-sein), ovvero come essere nel mondo (In-derWelt-Sein), per giungere poi all’esercizio
di quell’epoché che è il rilevamento di una
ineludibile coappartenenza tra io e mondo.
Altro ruolo di primaria importanza è stato
svolto, secondo Resnik, da Etienne Gilson,
che «ha introdotto il pensiero esistenzialista
nella particolare visione dell’ontologia cristiana» e il cui scritto Sulle categorie dell’esistenza ha ispirato il sottotitolo Dialogo
tra uno psicoanalista e un filosofo. Sicuramente la fenomenologia e l’esistenzialismo
furono tra i principali motivi ispiratori della
pratica psicoanalitica, intesa come sistema
che si fonda «nella relazione con l’Altro» e
nella valutazione del soggetto non come
oggetto, una “cosa” o un “pezzo” di realtà,
ma come soggetto di un’analisi, o meglio di
quell’ “antropoanalisi” con cui Binswanger, che considerava il soggetto essere nel
mondo (In-der-Welt-Sein), fenomeno unitario. E’ in quest’ottica che viene meno la
distinzione cartesiana tra soggetto e oggetto,
io e mondo: piuttosto entrano in contatto in
una inscindibile e reciproca dialettica nel
loro spontaneo farsi fenomeno.
34
La psicoanalisi viene dunque a significare,
per Resnik, lo svelamento della quotidianità nel suo atto d’esistere, nel suo essere
vita, in quanto attività vissuta (Erlebnis)
«che si nasconde e si rivela contemporaneamente attraverso la maschera della persona (Prosopon-Prosopopeion)». E sarà proprio attraverso la maschera che la corporeità, come esperienza dell’esistere, si incontrerà con la realtà del pensiero.
Fondamento della psicoanalisi è per Resnik «la problematica dell’uomo nel suo
stato di smarrimento e disagio», da cui
scaturisce quell’«oggetto mutante o mutativo» che è il tranfert, ovvero la semplice
possibilità di mettere in crisi l’identità dell’uno (paziente) e dell’altro (analista). Paziente e psicoanalista sono infatti varianti
perennemente in gioco, categorie sempre
in azione, in uno stato di trasformazione
continua, di cui l’Io avrà piena coscienza
quando elaborerà una personale e originale
“riflessione filosofica” su quel mistero che
ha dentro di sé: “l’inconscio”. Un inconscio che secondo Renzo Mulato non è
altro che quell’ignoto con il quale gli antichi Greci avevano instaurato una “speciale
relazione” attraverso l’oracolo di Delfi, il
cui responso spingeva a varcare le soglie
della conoscenza umana per portarsi all’origine, “dentro l’uomo”. E’ il tema della
verità come “adaequatio”, ovvero la possibilità di raggiungere una intima concordanza, una connessione “forte” tra lo smascherare dell’analisi, teso a ricomporre
l’identità del soggetto, e lo svelamento
ontico della riflessione filosofica.
L’esistenza è la “struttura portante” di un
comune campo d’indagine della filosofia e
della psicoanalisi. Sono le “categorie dell’esistenza” che fanno sì che tra lo psicoanalista e il filosofo si crei uno «spazio di
depietrificazione e scongelamento», sul
quale traslare il peso dell’esistenza umana,
colto, a sua volta, da un pensiero la cui vera
essenza è «il senso stesso dell’esistenza».
Ne la Visibilità dell’inconscio Resnik pone
l’esistenza dell’ “Io osservatore” tra invisibilità e visibilità dell’inconscio come il
luogo privilegiato di ogni campo d’esperienza. L’acquisizione della coscienza del
proprio corpo è per Resnik condizione a
priori di quella “personalizzazione” che
porta ogni psicoanalista ad avventurarsi
con prudenza e discrezione nella oscurità
ed opacità labirintica dell’inconscio. Ciò
richiama la figura di Edipo, l’eroe di cui
parla Nietzsche nella Nascita della tragedia, colui il quale voleva scrutare, conoscere i profondi recessi dell’abisso e rendere
così visibile alla propria curiosità ciò che è
vietato ad ogni seria ricerca ermeneutica
sull’origine. L’incontro con l’inconscio è
dunque per Resnik un meravigliarsi, dove
lo stupore rappresenta il momento di passaggio alla visibilità dell’inconscio, il rapportarsi ad una realtà affascinante quanto
pericolosa, dove l’inconscio stesso si trasforma in conscio nel guardarsi dentro attraverso gli occhi dell’Altro. M.Ma.
AUTORI E IDEE
Politica e genealogia
in Foucault
Lo studio di John Simons, FOUCAULT &
THE POLITICAL (Foucault e il politico, Routledge, Londra 1995), analizza l’opera
di Foucault dal punto di vista della
teoria politica e delinea le conseguenze che le sue posizioni hanno avuto
nel dibattito teorico. Simons parte
dalla definizione dell’ethos critico di
Foucault e passando per la concezione foucaultiana della trasgressione teoretica e pratica dei limiti giunge ad
un confronto conclusivo di Foucault
con alcune correnti e pensatori contemporanei. Tra le altre recenti opere
critiche dedicate a Foucault segnaliamo inoltre la raccolta dal titolo: A PARTIRE DA FOUCAULT. STUDI SU POTERE E SOGGETTIVITÀ (a cura di A. Grillo, Edizioni La
Zisa, Palermo 1993), in cui vari autori
contribuiscono a delineare la filosofia
di Foucault nella sua evoluzione dall’iniziale impostazione archeologica,
legata alla psicoanalisi freudiana, alla
successiva posizione genealogica, che
risente dell’influenza della filosofia di
Nietzsche.
Sostenendo che solamente al livello della pratica della scrittura come tecnica di auto-formazione è lecito considerare l’opera di Foucault
come una unità, in Foucault & the political
John Simons mostra come Foucault, pur mutuando il termine di “archeologia” da Kant,
consideri l’analisi dei limiti della ragione un
approccio inefficace e di conseguenza intenda
ridefinire la critica filosofica kantiana come un
problema politico. L’ethos critico della modernità, osserva Simons, non si chiede con
Kant “cosa sia l’Uomo”, ma analizza i limiti,
storici e contingenti, piuttosto che universali e
necessari, che rendono le persone quello che
sono. In tal senso, una differenza importante
per Simons è che il concetto di critica di
Foucault sia, rispetto a quello kantiano, non
solo intellettuale, ma anche pratico. Al contrario, nella concezione foucaultiana vi è una
stretta vicinanza con Nietzsche, il cui approccio storico alla ragione scientifica e morale
introduce i temi della discontinuità e della
contingenza, sconvolgendo in tal modo la
traiettoria umanistica di una graduale emancipazione della verità dal potere.
Simons affronta poi la questione dei limiti del
discorso, in particolare nelle scienze umane,
dei limiti reciproci della scienza e della conoscenza e dei limiti dei soggetti, dove tre domini
si rivelano allo sguardo genealogico: verità,
potere, etica; l’interazione di questi tre elementi di dominio determina appunto le condizioni di possibilità e i limiti della soggettività.
L’analisi del potere si configura secondo Simons in due modi: 1) il potere è ciò che ci
assoggetta; 2) in che modo i soggetti sono
dominati. I problemi sorgono quando Foucault
cerca di definire il potere, la conoscenza e la
verità in generale: se ogni verità emerge dalla
soggezione e dalla dominazione, allora la resi-
Ministanze in un albergo di Osaka (foto di M. De Biasi)
35
AUTORI E IDEE
stenza dovrebbe essere diretta contro tutte le
verità, senza essere però in grado di affermare
la propria. Secondo Simons, queste formulazioni di Foucault sono appropriate nell’ambito
della critica dell’umanesimo, ma non lo sono
quando vengono applicate a tutta l’esistenza
umana. Le genealogie del soggetto moderno
rivelano di fatto che i tre elementi di dominio:
verità, potere, etica, sono così strettamente
interconnessi che anche i progetti di liberazione riescono soltanto a riordinare le forme di
assoggettamento.
Simons affronta poi un’analisi della trasgressione e dell’estetica foucaultiana. Attraverso
un ritorno ai greci, Foucault sostiene un’estetica dell’esistenza e della cura di sé che promuove nuove forme di soggettività, in grado di
evitare l’autorinuncia e il sacrificio, impliciti
nella cultura cristiano-umanistica. Tuttavia,
osserva Simons, mancando un’analisi dell’irretimento dell’arte nelle relazioni di potere,
sembra che la concezione estetica di Foucault
abbia la capacità di separare l’etica dal potere
e dalla verità, mentre si confonde qui la differenziazione concettuale dell’autoformazione
etica ed estetica dal potere, dalla verità e dalla
morale con una separazione degli elementi
della sua genealogia.
Per quanto riguarda invece l’analisi della trasgressione teoretica dei limiti, Simons mostra
come in Foucault si trovi, da un lato, un’insopportabile difficoltà di superamento dell’umanesimo per via dei suoi limiti, dall’altro, la
presenza di luoghi privilegiati di pensiero e di
azione trasgressivi, che garantiscono possibilità di resistenza in tutti i regimi. La ricchezza
del lavoro di Foucault, osserva Simons, consiste appunto nella tensione tra questi due poli e
nella possibilità di un’etica della resistenza,
che permane in Foucault nella sua concezione
della libertà come apertura pratica e agonistica. Nell’ambito della trasgressione pratica dei
limiti, prosegue Simons, le esperienze personali dello stesso Foucault mostrano come ogni
azione pratica si confermi come un lavoro
trasgressivo sui limiti. Di fatto, poiché un
lavoro trasgressivo sui limiti è sia intellettuale
che pratico, le arti del sé sono anche arti
politiche che reinventano soggetti, spesso collocati all’interno di reti di potere, richiedendo
loro resistenza ai modi esistenti di soggettivazione e di governo.
In rapporto a Habermas, fa notare infine
Simons, Foucault propone risposte completamente diverse al dilemma e ai pericoli della
modernità: il primo desidera salvare l’ethos
filosofico dell’illuminismo come critica permanente, separandolo dall’umanesimo; il secondo punta al completamento del progetto
della modernità, sottomettendo i processi di
modernizzazione ad una ragione comunicativa, consensuale e intersoggettiva. Habermas
critica Foucault da diversi punti di vista, ma
tutti conducono alla conclusione che la critica
totale della ragione di Foucault è incoerente,
poiché fa riferimento, paradossalmente, alla
stessa struttura di razionalità cui si oppone. In
realtà i due autori, secondo Simons, divergono
completamente nella loro percezione del discorso, della conoscenza e dell’argomentazio-
ne. Il pensiero di Foucault resta tuttavia attuale
nel formulare una critica interna del nostro
presente, che procede senza proporre un sistema alternativo percorribile. M.B.
I diversi contributi presenti nella raccolta A
partire da Foucault. Studi su potere e soggettività hanno l’obiettivo di rintracciare nella
filosofia di Foucault quegli elementi che possono essere sviluppati per la loro intrinseca
attualità, dove attualità coincide per Foucault
con novità, in quanto apparizione dell’altro, di
ciò che non esiste ancora, per cui l’attuale non
si identifica con ciò che l’uomo è, ma con ciò
che l’uomo diventa.
La riflessione sulla soggettività nei suoi legami con il potere e con il sapere costituisce un
punto centrale dell’analisi teorica di Foucault.
Come mostra Salvo Vaccaro nel suo contributo, Metamorfosi del soggetto, la filosofia di
Foucault mira a scardinare l’immagine filosofica unitaria del soggetto, i cui rappresentanti
sono Wittengstein, Freud, Proust, rivelando la
sua natura pluralistica. In questo la soggettività
manifesta il suo carattere di creatività, in quanto all’uomo spetta il compito non di trovare se
stesso, ma di costruire se stesso. D’altra parte
il soggetto, in quanto subjectum, rivela il suo
legame con il potere, con la componente di
sottomissione, di “assoggettamento”, che lo
situano all’interno di attività di controllo. Stabilendo uno stretto legame tra soggetto e potere, fa notare appunto José Fernandez Vega
nel suo intervento, Potere, diritto, verità: il
triangolo strategico della ragione moderna,
Foucault inaugura una concezione empirica
del potere, secondo la quale il potere deve
essere valutato all’interno del modello “strategico” della guerra e non all’interno del modello giuridico del sovrano. Il potere non coincide
con un’essenza, non è riducibile ad una cosa,
ma è il risultato di una relazione di forze e
interagisce con il soggetto.
Nella visione filosofica di Foucault il potere
appare essere una forza più subdola di quanto
comunemente si ritenga. Come rileva Judith
Revel nel suo scritto, Scoli di Michel Foucault
dalla trasgressione letteraria alla pratica
politica, il potere può involversi in una “dialettica senza fine” che trasforma la ribellione
al potere nell’instaurazione di un altro potere.
Per evitare questo rischio bisogna, secondo
Foucault, conservare dell’insurrezione la sua
caratteristica di “atto” e giungere ad una
liberazione definitiva dal potere. D’altra parte, la stessa sessualità si rivela connessa alle
manipolazioni subdole del potere, come sottolinea Mario Coglitore nel suo intervento,
“Parlo, dunque sono?” Appunti sulla soggettività. Di fatto, secondo Foucault, l’uomo
non fa che inscrivere nel suo corpo i desideri
sessuali trasmessi dalla società. In tale prospettiva anche la psicoanalisi di Freud tradisce la sua funzione di controllo sociale, normalizzando i desideri e facendo quindi rientrare il patologico nel normale.
Nel suo intervento, Psicoanalisi e genealogia,
Stefano Berni mostra appunto il significato
della svolta di Foucault dalla posizione archeologica di stampo freudiano a quella gene36
alogica che si ispira a Nietzsche. Con l’abbandono dell’ottica psicoanalitica e in favore della
prospettiva storica, Foucault perde la credenza
in una storia le cui verità sono perdute e quindi
non attribuisce più all’uomo il compito di
ricostruirla. Come rileva Paolo Napoli nel suo
contributo, Difendere la società: Michel
Foucault e le passioni della storia, Foucault
propone una nuova concezione della storia
che rifugge dalla “cronologia rettilinea” e che
considera la guerra, la lotta come punto di
partenza e punto di arrivo. A differenza dell’approccio dialettico, la posizione storiografica di Foucault, con il suo approccio genealogico, sostiene l’esistenza di molte verità,
soggette alla concretezza della lotta e per
questo in grado di esprimere il discorso storico e di realizzarlo positivamente.
Questa prospettiva si fonda sull’analisi del
linguaggio, in quanto per Foucault l’essere
umano è detto, è parlato dal linguaggio. Come
mostra Francesco Paolo Adorno nel suo
intervento, Michel Foucault: finzione e storia,
Foucault si oppone alla riduzione unitaria del
linguaggio, evidenziando come esso sia formato da molteplici piani. In tale ottica il discorso è “surdeterminato”, in quanto è una combinazione di segni che nel loro accostamento
acquisiscono significati nuovi. La parola deve
quindi dire il nuovo, il diverso, “l’altro”.
La filosofia di Foucault, come rileva Gilles
Deleuze nel suo contributo, Che cos’è un
dispositivo?, è una filosofia dei “dispositivi
concreti” costituiti da linee di forza, da enunciazioni, ma anche attraversati da linee di
frattura, di discontinuità che causano cambiamenti nella distribuzione delle forze. La sua è
una filosofia pluralista che ripudia gli “universali” in quanto rifiuta la logica dell’eterno
a favore della logica della “creatività variabile”. Una filosofia creativa, che non si pone
l’obiettivo di ricercare l’unica verità presente, ma ritiene che la verità debba essere costruita: una filosofia genealogica che si ritrova più negli iati, nelle differenze, che interrompono la continuità dell’evoluzione storica, che nel percorso rettilineo, che si ritrova
più nella creazione del nuovo che nella scoperta del vecchio. M.Mi.
La biblioteca del potere
Libertino erudito, bibliofilo appassionato e teorico virulento della ragione di
stato, Gabriel Naudé è una di quelle
figure che godono di cattiva reputazione nella storia del pensiero politico.
Prova a riabilitarne le sorti Robert Damien nello studio: LA BIBLIOTÈQUE ET L’ETAT.
NAISSANCE D’UNE RAISON POLITIQUE DANS LA
FRANCE DU XVII SIÈCLE (La Biblioteca e lo
Stato. Nascita di una ragione politica
nella Francia del XVII secolo, PUF, Parigi 1995), dimostrando come nell’opera
di Naudé si delinei una nuova concezione di lavoro intellettuale e una moderna figura di filosofia politica.
AUTORI E IDEE
Il nome di Gabriel Naudé è legato a due
opere, Avvertenze per la costituzione di
una biblioteca (1627) e le Considerazioni
politiche sui colpi di stato (1639), che all’epoca della loro pubblicazione avevano
lasciato un’impronta importante nel rispettivo terreno di indagine: la biblioteconomia e la teoria politica. Le due opere sembrano divergere non solo nell’argomento,
ma anche nell’ispirazione che le anima,
rivolta, la prima, a pubblicizzare un sapere
che serva da fondamento alla dottrina politica, la seconda, a teorizzare la segretezza e
la violenza dell’agire politico come condizione della sua efficacia.
Ad unire questi due versanti del pensiero di
Naudé, come rileva Robert Damien nel suo
studio, è una medesima concezione di ragione politica, fondata sull’ “ordine bibliografico”. Per sostituire all’autorità spirituale
della Chiesa, custode del Libro e garante
della legittimità del potere monarchico, l’autorità bibliografica di un sapere storico e
laicamente fondato, Naudé disegna un modello di biblioteca che è insieme e necessariamente un modello di cultura. Innanzitutto
la biblioteca ideale deve essere “pubblica e
universale”: «e non può essere tale se non
contiene tutti i principali autori che hanno
scritto su ogni argomento e in ogni campo, e
in particolare su tutte le arti e le scienze».
Ciò significa che vi devono trovare spazio
anche quegli autori che si discostano dalle
tradizioni. Poiché, secondo Naudé, ogni idea
possiede un proprio valore intrinseco e saperi “popolari”, o non consolidati, quali la
divinazione e l’alchimia, come pure «le opere dei più sapienti e famosi eretici», hanno
un diritto di presenza in base a un principio
scientifico, e non ideologico, di scelta. Non
biblioteche a carattere specialistico o di mero
prestigio, con edizioni rare e ricercate, e
neppure archivi selezionati ed espurgati come
volevano i Gesuiti, che nel XVII secolo sono
i principali teorici di biblioteconomia: il
modello di Naudé, ispirato alla tradizione
civica dell’Umanesimo rinascimentale, deve
fornire al pubblico di studiosi i libri utili
all’attività erudita e allo Stato gli strumenti
di cultura per valorizzare il suo diritto politico e incrementare il consenso.
Dietro ai precetti tecnici e alle indicazioni di
biblioteconomia, alcune delle quali storicamente innovative, la biblioteca di Naudé
disegna una nuova pratica intellettuale, fondata su una metodologia critica, sull’esatta
conoscenza storica degli eventi, sulla ricerca e sulla verifica. La bibliografia si fa così
metodo; raccoglie i riferimenti, li confronta,
li verifica e permette di raggiungere una
conclusione che sia passata al vaglio del
confronto razionale dei saperi. Si tratta di un
modello laico ed empirico di conoscenza,
che rovescia i termini della ragione politica;
con questo spirito viene redatta da Naudé
nel 1633 una Bibliographia politica che non
persegue più lo scopo di una rilegittimazione sacrale del potere sovrano, ma di una
conoscenza pertinente e proficua della realtà in vista dell’azione politica. E.N.
Nuove prospettive
sul linguaggio
Nel suo studio, SCIENZA E ANALISI LINGUISTICA. IL DISTACCO TRA EPISTEMOLOGI E SCIENZIATI (Feltrinelli, Milano 1994) Michele
Marsonet mostra come i filosofi del
linguaggio, nonostante la loro adesione all’empirismo, abbiano ricostruito
la stessa metafisica su basi diverse,
determinando ripercussioni negative
sulla scienza. Per potere evitare questo esito idealistico, che evidenzia la
distanza tra la teoria professata e la
sua applicazione pratica, Marsonet
propone di rivalutare il naturalismo,
che implica un ridimensionamento
dell’importanza del linguaggio. Una
diversa prospettiva sul linguaggio ci è
offerta invece da Paolo Virno, che in
PAROLE CON LE PAROLE. POTERI E LIMITI DEL
LINGUAGGIO (Danzelli Editore, Roma
1995) pone l’accento sui dimostrativi
ed evidenzia l’autoriferimento del linguaggio, che si coniuga con l’imponente presenza di una materialità non
enunciabile.
In Scienza e analisi linguistica Michele
Marsonet si propone di mostrare come la
filosofia del linguaggio abbia avuto sulla
scienza un effetto tanto ampio, quanto
negativo. La maggior parte dei filosofi del
linguaggio, infatti, pur professando una
teoria empirista che inficia la credenza
nella metafisica, rivelano, ad un’analisi
più approfondita, una tendenza idealistica. La crisi della metafisica, secondo
Marsonet, avrebbe dunque condotto i filosofi del linguaggio alla ricostruzione di un
nuovo tipo di metafisica che si fonda sulla
chiarificazione del linguaggio attraverso
la fissazione dei limiti di senso. Infatti, se
non viene più ricercata un’essenza, in grado di spiegare tutta la realtà, al linguaggio
viene tuttavia attribuito un notevole potere in quanto chiave conoscitiva del reale.
In tale ottica la filosofia si trasforma in
“analisi linguistica”, assumendo un ruolo
assai più importante di quello di analizzare i termini e gli enunciati e acquisendo la
funzione di stabilire le condizioni che
rendono possibile la stessa conoscenza.
Questa situazione, per Marsonet, non è
che una nuova riformulazione della metafisica, in cui sono possibili asserzioni relative al modo con cui l’uomo descrive la
stessa realtà.
In questa prospettiva Marsonet individua
l’influenza della filosofia di Kant nelle
teorie linguistiche. Come Kant riteneva
che la conoscenza si basasse sulle categorie a priori presenti nell’uomo, così i
linguisti analitici sostengono che il discorso acquisisce significato solo in relazione ad un “sistema di rappresentazione
linguistica”.
Per suffragare queste tesi Marsonet prende in considerazione la teoria linguistica
di Quine. Se da un lato Quine abbraccia la
37
concezione dell’empirismo, secondo la
quale la realtà è costituita da ciò che l’uomo può percepire attraverso i sensi, dall’altro lato sostiene un “realismo logicolinguistico”, in base al quale la realtà è ciò
che sperimentiamo nell’ambito del nostro
linguaggio. La discrepanza tra queste due
direzioni teoriche conduce poi ad un offuscamento dell’empirismo in favore di una
teoria linguistica che, riconoscendo al linguaggio la capacità di determinare la forma del manifestarsi della realtà al soggetto, non pare però avere più legami con lo
stesso empirismo.
Al fine di contrastare la tendenza idealistica della teoria del linguaggio, Marsonet propone di rivalutare la concezione
naturalistica, che considera la realtà del
mondo indipendente dall’attività del pensiero e dal linguaggio umani. Infatti, osserva Marsonet, anche ipotizzando la
scomparsa del genere umano la struttura
del reale continuerebbe a sussistere. Così,
ripercorrendo le teorie linguistiche, Marsonet mostra come l’unico modo per superare le opposte concezioni del realismo e dell’idealismo sia quello di mettere in luce il legame esistente tra lo schema concettuale e il mondo, poiché tale
schema, costituendo una delle forme con
cui la realtà esiste, appartiene alla realtà
naturale. Perciò Marsonet preferisce parlare di “epistemologia naturalistica”,
piuttosto che di scienza realista o antirealista.
Abbattere il modello linguistico denotativo è invece la proposta di Paolo Virno,
secondo il quale solo prescindendo da
questo modello linguistico è possibile evidenziare come le nostre enunciazioni linguistiche si inseriscano in un ambito materiale “non enunciabile”, determinando
un autoriferimento del linguaggio. Per raggiungere il suo scopo Virno sottolinea
l’importanza del dimostrativo e quindi
dell’aspetto ostensivo del linguaggio, che
denota un carattere di universalità, non
indicando alcun oggetto in particolare. Il
dimostrativo, infatti, negando ciò che sembra indicare, si fonda su una relazione
negativa con le cose.
In questa impostazione la critica nominalistica assume un significato diverso da
quello attribuitole tradizionalmente, in
quanto non rappresenta più un tentativo
di basare la denotazione sulla singolarità
ma è una “rivendicazione della singolarità contro la denotazione”. D’altra parte,
secondo Virno, il paradosso del mentitore mette in risalto il rapporto che esiste
tra autoriferimento e denotazione: il sensibile scompare nel momento stesso in
cui è rappresentato, lasciando trasparire
la “debolezza ermeneutica” del linguaggio. E’ la parola dunque a costituire quel
contesto che chiamiamo mondo, e solo il
superamento del modello denotativo del
linguaggio consente di far apparire
l’aspetto materiale dell’appartenenza
umana al mondo. M.Mi.
TENDENZE E DIBATTITI
Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913 (copia del 1964, l’originale è andato perso)
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TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Concezioni estetiche
Attraverso un ripensamento dell’estetica kantiana, nel suo ultimo lavoro,
ANIMA MINIMA. SUL BELLO E SUL SUBLIME (a
cura di F. Sossi, Nuove Pratiche Editrice, Parma 1995), Jean-François Lyotard
ci propone un’interessante riflessione
estetica. Di diversa impostazione è
invece la concezione espressa da Luciano Nanni ne I COSMI, IL METODO. DIARIO
DI ARTE E DI EPISTEMOLOGIA 1979/1989
(Book Editore, Bologna 1994), in cui si
richiama il modello della “significazione polisemica”. Una tale impostazione del problema estetico trova riscontro in un differente modo di rapportarsi al reale, caratterizzato da una visione del mondo come energia trasformatrice, che elimina tutte le tradizionali separazioni formali. É ciò che
emerge nei contributi di vari autori
raccolti, a cura di Mario Perniola, nel
volume L’ARIA SI FA TESA. PER UNA FILOSOFIA DEL SENTIRE PRESENTE (Edizioni Costa
& Nolan, Genova 1994), che eliminando ogni distinzione formale, propone
un’estetica dell’eccesso basata sulla
priorità del sentire.
Nella sua recente riflessione sul bello e sul
sublime, Jean-François Lyotard muove
dal presupposto che la sensazione abbia la
funzione di attestare la presenza dell’anima. Per Lyotard, infatti, l’anima, se non è
toccata dal sensibile non esiste, poiché perde la sua vitalità. All’opera d’arte, nella sua
perenne oscillazione tra presenza e assenza, spetta di ricordare all’anima il suo bisogno di “esposizione”, il suo legame necessario con la sensazione e quindi la sua
schiavitù nei confronti del sensibile.
Questa concezione di Lyotard proviene da
una lunga riflessione sulla Critica del Giudizio di Kant, con l’intento di rinvenire un
particolare legame tra il sublime kantiano e
l’opera d’arte d’avanguardia. Per Lyotard,
infatti, le avanguardie artistiche, nella loro
rottura della forma e nella costruzione di
un’arte astratta e minimale, rivelano il sentimento dello stupore e del terrore tipico del
sublime kantiano, che scaturisce dalla minaccia della scomparsa, dalla “non presenza nella presenza”.
In tale ripensamento dell’estetica kantiana
l’arte figurativa delle avanguardie costituisce per Lyotard la «sfida dell’immaginazione all’intelletto» che, sopraffatto dalle forme eccessive prodotte dall’immaginazione,
accecato, ottenebrato dalla libertà dell’immaginazione, arresta il suo “gioco” con quest’ultima per lasciare emergere la “serietà”
del sublime. Ma un altro tipo di oscurità si fa
ora avanti, quella che avvolge l’immaginazione di fronte alla serietà del sublime. Infatti, osserva Lyotard, l’immaginazione prende coscienza dei suoi limiti, della sua finitudine in rapporto all’infinità del sublime.
Questa visione del sublime viene riscontrata
da Lyotard nell’arte d’avanguardia, capace di
destare quel senso di stupore per il tutto e di
orrore per il nulla che appartiene appunto
all’essenza stessa del sentimento del sublime.
Il riferimento al paradigma della “significazione polisemica”, che scardina i tradizionali schemi narrativi, rifiutando di seguire
rigorosamente la successione temporale, è
invece ciò che secondo Luciano Nanni
permette di cogliere le caratteristiche dell’arte contemporanea, superando una concezione estetica che assegna all’opera d’arte
una forma predeterminata e le permette di
attingere una verità unica, prestabilita. La
possibilità di un’interpretazione pluralistica
dell’opera d’arte rende invece quest’ultima
aperta in modo indefinito ai vari e diversi
significati che le possono venire attribuiti. In
questa situazione, fa notare Nanni, l’artista
non è più il detentore, il “proprietario” assoluto dell’opera; non ha il potere di porre la
parola definitiva, il significato ultimativo
alla propria opera. Analogamente non può
esistere un criterio di verità assoluta, che
prediliga un’interpretazione rispetto alle altre; l’unico criterio di verità accettabile è
quello della “coerenza interna” di una interpretazione, per cui tutte le sue parti risultano
organizzate secondo una logica interna.
Si assiste così, secondo Nanni, ad una “disseminazione infinita dell’opera d’arte” e
viene costruito un universo pluralistico di
significati tra i quali nessuno può assurgere
a parametro assoluto. In questa prospettiva,
comprendere l’opera d’arte significa conseguire autocoscienza, in quanto il lettore o lo
spettatore scoprono se stessi e costruiscono
la propria identità attraverso l’interpretazione dell’opera.
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Questa concezione estetica trova riscontro
in una determinata visione del mondo che
implica un diverso modo di rapportarsi alla
realtà esterna. Nella raccolta di saggi dal
titolo: L’aria si fa tesa. Per una filosofia del
sentire presente, emerge un’immagine del
mondo che supera quella consueta, basata
sulla netta distinzione tra lo spirituale e il
corporeo, optando per un mondo animato da
una energia fluida, da un magma indifferenziato che avvolge gli individui, annullando
le distanze spaziali e temporali attraverso la
telematica e la cibernetica, eliminando la
distinzione tra interno ed esterno, scardinando i punti di riferimento tradizionali.
Mario Perniola, curatore del volume, mostra come per comprendere questa visione
del mondo sia necessario passare da un’estetica del piacere ad un’estetica dell’eccitazione, che superi i concetti filosofici di spirito e di vita per entrare in un nuovo mondo,
in cui si affermi il sentire esteriore ed elimini
i confini tra ciò che è proprio e ciò che è
estraneo. Per Marie Christine Lala, questo
nuovo modo di rapportarsi alla realtà esterna
implica la categoria dell’ “eccesso”, che
diventa il simbolo del superamento dei limiti imposti all’essere. Si tratta allora di “osare”, come sottolinea Santa Vennaven, di
esporsi al rischio implicito nella scelta, manifestando la capacità di «trasformare il
possibile in reale».
Per Patrick Bandry, il superamento dei
propri limiti si può riscontrare nell’attività
dello sportivo che lotta con il proprio corpo,
che cerca di vincere gli ostacoli fisici per
intensificare al massimo le sue potenzialità,
avventurandosi nel mondo dell’infinita sperimentazione di se stesso. Dal suo canto,
Antonio Carona mostra come il mondo
cibernetico e quello della telematica eliminino la distinzione tra interiore ed esteriore,
disintegrando la stessa unità e integrità del
corpo umano. Il ciberpunk oltrepassa anche
la stessa cibernetica, proponendo l’immagine del “corpo disseminato”. Le realtà virtuali rendono infatti problematica la stessa identità dell’individuo, spingendo il corpo fuori
dai suoi limiti fisici. Caduto il paradigma
interno-esterno l’esperienza cinestetica non
conosce limiti e consente di tradurre ogni
senso in un altro a piacere, introducendo
l’individuo in un mondo di fluttuanti sensazioni. M.Mi.
TENDENZE E DIBATTITI
La ragione di Geymonat
Frutto di un dibattito tenutosi a Varese nel 1990, il volume dal titolo: LA
RAGIONE (Piemme, Milano 1994), raccoglie un dialogo tra Carlo Sini e Ludovico Geymonat, accompagnato da una
serie di saggi, scritti da Geymonat in
epoche diverse, sui grandi temi della
ragione contro il dogma. Chiude il volume un’ampia “Postfazione” di Fabio
Minazzi.
Ciò che accomuna le posizioni di Carlo
Sini e Ludovico Geymonat nel loro dialogo su problemi riguardanti la razionalità, il metodo, il senso e la fede, è il rifiuto
di una concezione della ragione intesa
come l’assoluto statico e immutabile.
Contro un criterio parmenideo ed infallibile, infatti, i due filosofi mostrano l’esigenza di una ragione critica, negata dai
fatti, e messa continuamente in discussione dall’esperienza.
A questo proposito Sini sottolinea la necessità di parlare non tanto “della” Ragione, ma di “una” ragione che ha perso la
propria dimensione di unicità. Figlia dell’Illuminismo e in grado di liberare l’individuo dallo stato di minorità, la ragione,
dopo l’età romantica, ha acquisito i caratteri della storicità e, quindi, della criticabilità. Mostrando che le tradizioni ed il
contesto giocano un ruolo determinante
nella struttura stessa della ragione, Sini
mette in evidenza gli sforzi della fenomenologia e dell’ermeneutica nel mettere in
discussione proprio queste tradizioni.
Anche la critica come rifugio dal dogma,
mostra infatti Sini, può essere in linea di
principio assolutizzabile e perciò sempre
da relativizzare.
D’accordo col rifiuto del dogma, Geymonat propone una concezione della ragione
innanzitutto come metodo. Ormai lontano
dalle posizioni assunte ne Le ragioni della
scienza (1986), in cui difendeva, in dialogo con Giulio Giorello, il rifiuto della
metafisica, la necessità del rigore e dell’aspetto sperimentale come nucleo forte
della metodologia, qui Geymonat mostra
come, da Galileo ad Einstein, il metodo
abbia perso la sua unicità e sia passato
all’esigenza di modelli alternativi. Ma la
pluralità dei metodi, secondo Geymonat,
implica necessariamente il problema della demarcazione. Non esistendo più “il”
metodo, occorre allora un criterio razionale che possa servire a questo scopo.
Inoltre, con le diverse innovazioni tecnologiche di questo secolo, emerge anche la
necessità di un criterio morale, e quindi di
critica filosofica, che fornisca il senso a
tutte quelle costruzioni scientifiche, quali
la genetica o gli studi nucleari, che rispondono a domande diverse da quelle propriamente “tecniche”.
Se nel dialogo con Sini emerge un Geymonat aperto ai problemi etici e portatore
di una metodologia razionale e critica, lo
stesso non si può dire per i saggi raccolti
nella seconda parte del volume. Scritti da
Geymonat durante l’intero arco della sua
vita e della sua produzione filosofica,
questi saggi riflettono la fedeltà alla dialettica e allo storicismo. Nell’attraversare la storia e la filosofia della scienza,
infatti, Geymonat riscontra un rapporto
tra teoria e prassi, che è risolvibile, e di
fatto viene risolto, solo dalla dialettica
materialistica; una posizione, questa, che
nelle Ragioni della scienza aveva peraltro determinato la profonda distanza tra
le posizioni di Geymonat e quelle del
“libertino” Giorello. In altre parole,
l’apertura razionale, il dialogo e, quindi,
la necessità dello scontro e della critica,
tanto difesi da Geymonat, sembrano dunque risalire non tanto ad un’effettiva posizione di apertura e libertà, quanto alla
ricerca di una struttura dialettica, e quindi aperta solamente alla sintesi, che caratterizzi il metodo e la scienza. Fedele
alle posizioni di una vita, Geymonat presenta la ragione come “devastazione” e
rottura, intendendo però con questi termini non tanto una posizione di libertà - e
le frequenti critiche al razionalismo popperiano lo confermerebbero - quanto la
difesa dello storicismo dialettico, finalizzato ad una sintesi conclusiva e portatore
di una metodologia che, anche se non in
senso dogmaticamente parmenideo, è materialisticamente strutturata. A.S.
L’uomo e la cura
L’uomo e la cura è il tema che sta al
centro del nuovo studio di Oliver Sacks,
UN ANTROPOLOGO SU MARTE (trad. it. di I.
Blum, Adelphi, Milano 1995). Dai casi
clinici di Sacks emerge la necessità di
fare del rapporto medico-paziente un
rapporto umano, di conoscenza reciproca. Di questo problema si occupa
anche Giorgio Cosmacini, storico della medicina, nel suo recente studio, LA
QUALITÀ DEL TUO MEDICO. PER UNA FILOSOFIA
DELLA MEDICINA (Laterza, Roma-Bari
1995). Per Cosmacini, come del resto
per Sacks, la qualità della professione
medica non può prescindere da una
visione complessiva della persona che
si ha in cura.
Un pittore divenuto cieco ai colori; una
donna autistica riabilitata dal contatto con
gli animali; un professionista costretto da
un guasto al cervello a dire oscenità di
ogni genere: sono questi i casi straordinari
descritti in Un antropologo su Marte, ultimo lavoro di Oliver Sacks, che ribadisce tuttavia di considerarsi un medico in
servizio permanente effettivo, un curante
che mai vorrebbe vedere trasformati dei
casi umani in casi letterari. Nel caso del
pittore divenuto cieco ai colori, in seguito
a un incidente d’auto, Sacks mostra come
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una grande sensibilità cromatica si possa
trasformare in una particolare sensibilità
per i chiaroscuri, per le gradazioni del
bianco e nero, fino ad assestarsi nella
nuova realtà. Il carattere totalmente alieno
dell’universo in bianco e nero, inizialmente percepito dal paziente come un
orribile incubo, finisce per assumere ai
suoi occhi una bellezza e un fascino singolari. Dopo numerosi sforzi, fa notare Sacks,
il paziente trova un inconsueto stile di
pittura e giunge a rifiutare la riabilitazione
che, mettendo in funzione neuroni diversi
da quelli danneggiati, gli potrebbe restituire il mondo a colori. La proposta di riabilitazione gli appare addirittura “ripugnante”: il colore gli rovescerebbe addosso un
tumulto di sensazioni incoerenti e disintegrerebbe l’ordine visivo del suo mondo,
appena restaurato. Egli si è adattato, neurologicamente e psicologicamente, a vivere nel mondo dell’acromatopsia, è giunto
a “dimenticare” il colore. Secondo Sacks,
il caso del “pittore in grigio” è la dimostrazione palese che si può vivere in una
condizione di anormalità, anzi che la cosiddetta anormalità può essere stimolo e
ricchezza.
«Il più delle volte mi sento come un
antropologo su Marte» - confessa a Sacks
la paziente autistica, che viene descritta
nell’ultima parte del suo studio. Questa
paziente, secondo il racconto di Sacks,
per superare le proprie difficoltà a capire
le emozioni umane, aveva escogitato un
sistema comodissimo, ben governabile,
in grado di somministrarle un “abbraccio” ogni volta che lei voleva, trasmettendole quel senso di calma e di piacere
che aveva sognato fin da quando era
bambina. La grande stranezza della “macchina per abbracciare” colpisce e commuove Sacks; dopo averla provata lui
stesso, comprende a fondo la sensazione
di dolcezza e rilassamento che la macchina comunica alla sua paziente, al punto di
riuscire a “insegnarle” quel sentimento
di empatia verso gli altri, di immedesimazione negli stati mentali e nelle prospettive delle persone, che l’autismo le
impedisce di avere. Un’empatia che tuttavia la paziente dimostra invece di avere
con gli animali. Il rapporto che Sacks
instaura con la paziente diviene quasi
una relazione di amicizia: diviene lui
stesso un antropologo, “l’antropologo
dell’autismo”, disposto a seguire il suo
paziente anche su “Marte”, se necessario. Curare per Sacks significa fondamentalmente rivolgersi a una persona,
intuirne le motivazioni profonde, immedesimarsi in essa fino a vedere la realtà
con i suoi occhi; lo scopo di Sacks è
comprendere le persone e il suo è un vero
e proprio viaggio dentro l’anima, è la
descrizione della “forma” del mondo
come appare al singolo soggetto.
A differenza di molti colleghi neurologi
e scienziati cognitivi, che ritengono che
la conoscenza scientifica della mente
TENDENZE E DIBATTITI
Rembrandt, Lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632 (part.)
potrà venirci solo attraverso la comprensione della biologia del cervello, Sacks
non si stanca di insistere che la necessità
di «occuparsi dell’individuo nella sua
interezza» è essa stessa una necessità
della scienza, in quanto «la fisiologia, la
neurologia e le neuroscienze stesse hanno bisogno di un concetto adeguato dell’individuo e della mente». Per descrivere la malattia mentale, Sacks descrive
“una persona” e non un cervello, anche
se, talvolta, occorre curare il cervello,
per salvare la persona. Pur accettando
una teoria della mente complessiva, Sacks
sostiene che i nostri personali stati di
coscienza rimangono tuttavia fuori da
queste indagini generali: gli stati di coscienza individuali sono legati a esperienze personalissime e irripetibili.
L’essere umano nella sua interezza costituisce il punto focale anche della riflessione di Giorgio Cosmacini: «La medicina,
da Ippocrate in poi, afferma Cosmacini si
esercita fra techne e valori umani. Scienza
applicata all’uomo e rapporto fra uomini
sono i due elementi “animatori e “categorici” del mestiere del medico. Nella medicina ippocratica essi erano coincidenti: la
“tecnologia” coincideva con l’ “antropologia”». Il medico ippocratico, archetipo
del medico impegnato tecnicamente quanto umanamente, è per Cosmacini modello
per un’antropologia medica intesa come
riflessione filosofica sul rapporto interumano tra medico e paziente e tra medico e
società.
Nell’esercizio dell’ippocratica ars curandi il medico “curante” si rapportava all’uomo “curato” nella sua totalità e interezza, in una coincidenza tra realtà fisiopatologica e realtà esistenziale, tra affezione del corpo e afflizione dell’animo.
Questa “antropologia curativa” era totalizzante. Anche lo spiritualismo medioevale, se pure sottovalutava il corpo rispetto allo spirito, non faceva tuttavia distinzione tra una “superiore” cura dell’anima
e una “inferiore” cura del corpo. La salus
41
era tanto salvezza dell’una quanto salute
dell’altro, un’unica cura, quindi, di tutto
l’essere umano. Oggi il mestiere di medico fa i conti più che mai con una crisi
interna, intrinseca al rapporto medico-paziente, un rapporto entrato in crisi da quando il medico ha cominciato a veder nel
paziente non tanto una “totalità”, quanto
piuttosto una somma oggettuale di organi.
La medicina fondamentale viene sopraffatta dalla medicina specialistica e dal
rischio, in essa implicito, dell’autoriduzione del medico a specialista del corpo
scisso. Tale situazione crea lo spazio per
un crescente “nichilismo curativo”, caratterizzato da un’assenza di ascolto e di
dialogo e da una carenza del “prendersi
cura” globale.
La “cura”, intesa come originario “prendersi cura” dell’altro, è tema centrale anche del volume dal titolo: In principio era
la cura (a cura di P. Donghi e L. Preta,
Laterza, Bari-Roma 1995), una raccolta di
contributi di studiosi italiani, tra i quali
TENDENZE E DIBATTITI
Paolo Fabbri, Alberto Oliverio e Stefano
Rodotà, appartenenti a discipline diverse, come la biologia, la chimica, la filosofia, ma accomunati dal tentativo di definire l’idea di salute/malattia. Un tentativo che non può prescindere dal concetto
di “cura”, che significa innanzitutto
“prendersi cura”, ovvero porre in discussione il rapporto con se stessi e con il
resto del mondo.
A tale necessità Cosmacini risponde con
una filosofia della medicina che parte dall’uomo, che recupera valori umanistici e
naturalistici, antropologici ed ecologici:
«Per aiutare a nascere senza pericoli e a
morire serenamente, scrive Cosmacini, per
proteggere i sani e aver cura dei malati
cronici, degli anziani e dei disabili, saranno sempre più necessari nuovi curanti che
porteranno la medicina a potenziare o recuperare, accanto alla ragion d’essere tecnologica, la vocazione antropologica che
da sempre le appartiene». E.C.
Sul crollo del comunismo
Il crollo del regime comunista sovietico ha da tempo aperto un intenso
dibattito sul futuro dell’umanità, conseguente alla modificazione degli
equilibri europei e mondiali. É ciò che
emerge anche nella raccolta di saggi
dal titolo: CROLLO DEL COMUNISMO E RIPRESA DELL ’UTOPIA (a cura di A. Colombo, Edizioni Dedalo, Bari 1994), dove
vengono affrontati temi come il valore dell’utopia comunista e le nuove
forme di governo adeguate a tale rinnovamento. In un medesimo contesto di riflessione s’inserisce lo studio
di Arrigo Colombo, La Russia e la
democrazia. Il riemergere della democrazia diretta (Edizioni Dedalo, Bari
1994).
Nel volume Crollo del comunismo e ripresa dell’utopia alcuni autori s’interrogano sul problema di un nuovo ordinamento dell’Europa dopo la caduta della
tradizionale contrapposizione tra blocchi egemonici, proponendo soluzioni per
un nuovo assetto non solo europeo, ma
anche mondiale. La caduta del regime
sovietico pone in crisi in primo luogo la
validità della stessa utopia comunista,
generando una riflessione sulla possibile
continuità o discontinuità con i principi
che hanno animato la Rivoluzione d’ottobre e l’instaurazione del regime totalitario. A questo proposito, Francesco
Benvenuti (Rivoluzione e comunismo
sovietico nella prospettiva storica della
fine: 1991-1917) ritiene che esista una
compatibilità tra il totalitarismo militare
proprio della dittatura staliniana e la componente rivoluzionaria dell’egualitarismo, legata a forme di collettivismo primitivo. Per Roberto Massari (L’inizio
autentico: i soviet, i comitati di fabbrica), la Rivoluzione d’ottobre aveva invece significato un’importante apertura
verso la possibilità di demolizione delle
basi dello sfruttamento capitalistico, possibilità che fu recisa con la formazione
del partito bolscevico, che dominava sulla classe lavoratrice. In questa direzione
si orienta anche l’intervento di Umberto
Cerroni (L’alterazione del progetto rivoluzionario: marxismo, leninismo, stalinismo), secondo il quale Stalin si appropriò in modo riduttivo della tradizione marxista disconoscendo tutta la sua
complessa problematica legata all’analisi economica e politica. Il tradimento dei
principi della Rivoluzione d’ottobre ad
opera del regime sovietico è messo in
evidenza anche da Beatrice Battaglia
(La “rivoluzione tradita” di George
Orwell), che prende spunto dall’opera di
Orwell per denunciare come il totalitarismo abbia le sue radici non nel socialismo e nelle teorie egualitarie, ma nella
disuguaglianza propria di una società capitalistica.
Il tentativo di recuperare lo sfondo ideale
della Rivoluzione d’ottobre e quindi il
suo significato utopico è al centro dell’intervento di René Schérer (Spostamento dell’utopia dopo il crollo), che
definisce la degenerazione realizzatasi
con l’avvento del regime sovietico una
“utopia pervertita”, una “disutopia”. A
ciò fa riscontro Stéphanie Bourson (Il
crollo e la vicenda dell’utopia), che mostra come tutte le utopie create dagli
uomini siano caratterizzate dalla presenza continua nella storia dell’umanità di
un ideale di società giusta, pianificata e
“armoniosa”. In questa prospettiva, per
Andrea Catone (La parabola di un’idea:
1985-1990) la Perestrojka attuata da Gorbaciov costituisce un proseguimento del
progetto che stava alla base della rivoluzione socialista. Le ambiguità inerenti
alla stessa attività della Perestrojka, avverte Guermann Diliguensky (Le ambiguità della Perestrojka), sono dovute alle
diverse fasi che ha attraversato nella sua
delineazione.
Riguardo al problema della forma politica più adeguata per i paesi dell’ex Unione Sovietica, Revolt Entov (Piano e mercato: la transizione in atto) e Antonio
Moscato (Il fallimento dei tentativi di
autoriforma) mettono a confronto l’economia socialista, fondata sulla pianificazione, e quella capitalistica, basata sul
mercato. Livio Maitan (La crisi attuale)
sottolinea invece la necessità di proporre
un modello alternativo ad entrambe queste economie, basato su una proprietà
collettiva stabilita attraverso la partecipazione democratica alla gestione dell’economia. In tale ottica si pronuncia
Giuseppe Schiavone (Democrazia borghese, democrazia di popolo, utopia),
che attraverso l’analisi storica della nascita del concetto di democrazia mostra
42
come la democrazia costituisca un “progetto utopico” di potere legittimo, basato
sulla volontà concreta dei cittadini e sempre perseguibile, che ha le sue radici
nell’energia “critico-poietica” del soggetto. A tal proposito Bruno Jossa (L’autogestione dell’impresa) e Michel Burnier (L’autogestione; le difficoltà oggi),
mettono in risalto la validità del modello
democratico, che trae la sua forza da una
società autogestita, unico ideale democratico possibile.
Alla possibilità di una democrazia fondata sull’autogestione fa riscontro uno studio specifico di Arrigo Colombo, La
Russia e la democrazia, in cui si sottolinea come il rischio principale che si può
originare dalla caduta del sistema sovietico risieda nell’elezione del modello
occidentale, fondato su uno sfrenato capitalismo e su una filosofia individualistica ed egoistica che difende il valore
della proprietà come possesso. Inoltre,
osserva Colombo, l’idea di un’unificazione europea non può essere disgiunta
dal raggiungimento di un’etica di pace,
contrapposta a un’etica di guerra, attraverso l’edificazione di una federazione
internazionale degli stati. É necessario
creare una mentalità cosmopolita che renda cosciente l’umanità di appartenere ad
un’unica terra, al di sopra dei singoli
interessi degli stati. Ciò è possibile se
verrà rivalutato il patrimonio utopico legato all’idea, mai spenta e sempre rinnovantesi, di una democrazia fondata sui
principi della solidarietà e della comunione tra gli uomini. M.Mi.
Incontro tra culture diverse
Con il titolo: L’UNIVERSALITÀ
DEI DIRITTI
‘500 (a
cura di S. Biolo, Rosenberg & Sellier,
Torino 1995), sono raccolti i contributi
di Carlos Baciero, Enrico Berti, Salvino
Biolo, Claudio Ciancio, Sergio Cotta,
Angelo Crescini, Ada Lamacchia, Luciano Malusa, Angelo Marchesi, Luciano Pereña, Gregorio Piaia, Aurelio
Rizzacasa, Livio Rossetti. L’intento
degli autori è di esaminare le conseguenze del contatto avvenuto tra l’Europa e l’America a seguito della colonizzazione, in particolar modo in relazione al problema del rispetto dei diritti universali dell’uomo.
UMANI E IL PENSIERO UMANO DEL
La colonizzazione costituisce un evento
che nel corso dei secoli ha attraversato
l’Europa e l’America, determinando la
necessità di una riflessione di carattere
storico- filosofico, religioso e giuridico
riguardo al problema dell’eventuale applicazione o violazione dei diritti umani.
Nel volume L’universalità dei diritti umani e il pensiero cristiano del 500 vari
autori si interrogano sulle conseguenze
TENDENZE E DIBATTITI
del processo di colonizzazione, prendendo in considerazione le teorie dei filosofi, giuristi e teologi del ‘500 riguardo
all’espansione dell’Europa cristiana in
America.
Per Salvino Biolo (Diritti umani e diritto
coloniale), ciò che determina il fenomeno della colonizzazione è la tendenza
dell’uomo, presente in ogni società, ad
espandersi all’esterno e a comunicare
con gli altri, pur mantenendo intatta la
propria identità. In alcuni pensatori del
‘500 come Molina e De Victoria, Biolo
riscontra in particolare il bisogno di tracciare le differenze tra il diritto e il torto
dell’espansione europea verso l’America, ritenendo che già in questi filosofi sia
possibile individuare i germi di una difesa dei diritti universali dell’uomo. Come
sottolinea anche Enrico Berti (Francisco De Victoria nell’interpretazione di
Carl Schmitt), per il De Victoria, il fondamento del diritto è rappresentato dalla
«natura razionale e politica di qualunque
uomo e in qualunque terra viva». Dal suo
canto, Angelo Marchesi (Riflessione filosofico-teologica e problemi della conquista spagnola), evidenzia come sia Las
Casas che De Victoria critichino le violenze compiute dai conquistatores spagnoli nella loro espansione in America
Latina, opponendosi alla concezione di
una derivazione divina della monarchia
spagnola. Gli Indios dell’America Latina, per De Victoria, hanno il diritto di
mantenere inalterati la loro proprietà e i
loro sistemi politici, una volta che si
rivelino conformi alla “ragione naturale
umana” e ad una “ordinata convivenza
civile”.
Come d’altra parte rileva Ada Lamacchia (Francisco De Victoria: i diritti
umani nella ‘Relectio De Indis’), il De
Victoria distingue i titoli legittimi da
quelli non legittimi nell’occupazione spagnola dei nuovi territori d’America. Riguardo ai titoli non legittimi riconosce
l’importanza del rispetto della dignità
umana degli Indios; riguardo ai titoli legittimi riprende una possibile teoria dello ius gentium, elaborando una concezione dello ius naturalis societatis et communicationis fondata sulla tendenza degli uomini ad una “spontanea espansione” verso i propri simili.
All’opera di Diego Valades dedica invece il suo contributo Livio Rossetti (Riuscire ad intendersi con gli Indios: il nuovo mondo visto da Diego Valades (1579)).
Pur accettandola, Valades non considera
l’idea di evangelizzazione come il risultato di una semplice sovrapposizione, ma
come il frutto di un incontro creativo tra
diverse culture e religioni, scevro da ogni
assimilazione violenta. In una medesima
prospettiva, Gregorio Piaia (Evangelizzazione e libertà religiosa in ‘Utopia’)
individua una similitudine tra Tommaso
Moro e Las Casas nel considerare l’opera di evangelizzazione come opera com-
piuta nel pieno rispetto della libertà degli
Indios con lo scopo di stabilire rapporti
umani tra genti diverse. Nonostante ciò,
entrambi questi autori appaiono a Piaia
poco “realistici” e incapaci, quindi, di
reagire di fronte alla “cupidigia” e alla
“superbia” della conquista.
Secondo Angelo Crescini (Il “dinamico” fondamento dei diritti dell’uomo),
la difesa potenziale dei diritti umani
universali può essere attuata solo attraverso il riferimento ad una struttura originaria che definisca l’essenza dell’uomo. Mediante l’uso di un metodo “dinamico” e fenomenologico, osserva Crescini, si può cogliere nell’uomo il carattere di una latente incompletezza, che
esige una continua realizzazione. Questa esigenza si esplica anche nel rapporto dell’uomo con gli altri uomini, anche
se l’espansione dell’uomo verso gli altri
non deve determinare l’annullamento
della sua particolarità, ma anzi favorire
una sua armonica integrazione con gli
altri. Nella stessa direzione si muove
Sergio Cotta (Diritti dell’uomo: la questione del fondamento), che a proposito
della “natura ontologica” dell’uomo sostiene che l’applicazione del principio
di eguaglianza universale deve comportare la possibilità della formazione di
particolari diversità “esistenziali, personali e culturali”. M.Mi.
Per una nuova Europa
Una serie di recenti studi s’interroga
sulle possibilità e i modi di realizzazione della nuova Europa. In EUROPA
FENICIA . IDENTITÀ LINGUISTICA, COMUNITÀ,
LINGUAGGIO COME PRATICA SOCIALE (Franco Angeli, Milano 1994) Patrizia Calefato mostra la necessità di ristrutturare il linguaggio, inteso come pratica sociale, per eliminare quelle forme
di razzismo che si sono verificate con
la migrazione di molti popoli in Europa. Alla questione delle radici cristiane dell’Europa è dedicato il volume
FILOSOFIA E CULTURA NELL ’ EUROPA DI DOMANI (a cura di B. Mondin, Edizioni
Città Nuova, Roma 1993), a cui si
affianca, in un medesimo contesto di
riflessione, lo studio di Nynfa Bosco,
L’ EUROPA E IL SUO ORIENTE . LA SPIRITUALITÀ
DEL CRISTIANESIMO ORIENTALE (Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli 1993), che
rileva la necessità una conoscenza
più approfondita del cristianesimo
orientale.
Analizzando il fenomeno della migrazione, Patrizia Calefato ricerca le possibilità di un’identità europea come “dialogicità interculturale e interlinguistica”,
che trovi realizzazione all’interno di una
comunità protesa verso un’alterità extracomunitaria. Tale riflessione nasce da
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un’analisi dell’Europa come nuova “Babele”, caratterizzata da continue migrazioni e quindi da molteplici movimenti di
popoli, lingue e saperi, che stanno cambiando la prospettiva di valutazione del
mondo. Solo una nuova concezione del
linguaggio, che rivaluti il suo carattere
sociale, può permettere, secondo Calefato, di superare tutte le alienazioni e le
reificazioni dell’altro. Il linguaggio in
quanto pratica sociale è divenuto, infatti,
veicolo inconsapevole di ideologie e valori e solo modificando la struttura del
linguaggio è possibile far corrispondere
alla crescente pluralità di culture e di
lingue in Europa l’abolizione di ogni
forma di razzismo e di oppressione.
L’importanza del cristianesimo per la
formazione dell’unità europea è al centro
della raccolta Filosofia e cultura nell’Europa di domani, a cura di Battista
Mondin. Un primo ordine di riflessioni
presente nel volume è indirizzato a sottolineare le radici ideali dell’Europa e le
componenti filosofiche della nuova Europa. Nei contributi di Vittorio Possenti,
Giorgio Penzo, Abelardo Lobato, Piero
Viotto, Ubaldo Pellegrino, Mariano Fazio, Francesco Russo, Giordano Frosini,
Enrico Berti, Rocco Buttiglione, Battista
Mondin, l’era capitalistica viene in vario
modo collegata ad un pensiero nichilistica, che affonda le sue radici in filosofi
come Nietzsche, Kierkegaard, Heidegger
e che si basa sull’esaltazione del soggetto, sull’immanentismo, sull’edonismo,
sulla mancanza di valori trascendenti, a
causa della scissione tra il piano della
fede e quello della ragione. In contrapposizione a questa mentalità individualistica viene rivalutato il significato positivo
del cristianesimo per il recupero dei valori della solidarietà, della fraternità, dell’amore, della giustizia, della trascendenza, al di là di ogni irrigidimento assolutistico in forme coattive e autoritarie,
che non lascino aperta la possibilità della
ricerca.
Un secondo ordine di interventi, a cui si
possono ricondurre i contributi di Luciano Corradini, Paolo Miccoli, Gilberto
Campana, è rivolto invece all’analisi del
modo in cui l’educazione, all’interno della
scuola, possa formare una concezione
cristiana dell’Europa. Viene così evidenziata la necessità di un tipo di pedagogia
che si occupi non solo dell’istruzione,
ma soprattutto della formazione degli
alunni attraverso una nuova educazione
che, recuperando l’ispirazione cristiana
crei una mentalità sensibile ai problemi
dell’integrazione comunitaria. Tuttavia,
osserva Nynfa Bosco in L’Europa e il
suo oriente, per costruire una nuova concezione dell’Europa, fondata su valori
cristiani, è necessario conoscere anche le
forme di cristianesimo orientale, in modo
da poter individuare gli elementi di convergenza con quello occidentale al di là
delle ineliminabili differenze. M.Mi.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Baruch Spinoza
44
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Spinoza in Francia
Pierre-François Moreau consacra alla
nozione spinoziana di esperienza il
suo ultimo lavoro: SPINOZA, L’EXPÉRIENCE
ET L’ÉTERNITÉ, (Spinoza, l’esperienza e
l’eternità, PUF, Parigi 1994). Uno dei
maggiori meriti di questo studio è il
rovesciamento definitivo dell’idea
semplicista, ma diffusa, di uno Spinoza
razionalista, sordo alle realtà dell’esperienza. Nel contesto della ricerca su
Spinoza in Francia segnaliamo anche,
nella «Revue de Métaphysique et de
Morale» (ottobre/dicembre 1994), la
pubblicazione degli atti d’una giornata di studio, svoltasi il 12 marzo 1994
alla Sorbona e dedicata a una riflessione sulla quarta parte dell’ ‘Ethica’ spinoziana. L’interpretazione di Spinoza
offerta da Gilles Deleuze e Louis
Althusser è invece oggetto specifico
dello studio di Vesa Oittinen, SPINOZISTISCHE DIALEKTIK. DIE SPINOZA-LEKTÜRE DES
FRANZÖSISCHEN STRUKTURALISMUS UND POSTSTRUKTURALISMUS (Dialettica spinozistica. La lettura di Spinoza nello strutturalismo e nel post-strutturalismo francese, Lang, Francoforte s/M.-BerlinoNew York-Parigi-Vienna 1994), che attraverso la critica delle interpretazioni
anti-dialettiche del pensiero spinoziano intende mettere in luce, in rapporto
a Hegel, il ruolo della dialettica nel
pensiero di Spinoza.
In Francia, il pensiero di Spinoza è oggetto
di una riflessione privilegiata, condotta senza interruzioni da più di cinquant’anni presso L’Ecole Normale Supérieure de Fontenay-St Cloud (Parigi), sotto la direzione di
studiosi quali Martial Gueroult, Alexandre
Matheron, Pierre-François Moreau. L’interesse per Spinoza è attualmente al centro
dell’attività del Centre d’Etudes en Rhétorique, Philosophie et Histoire des Idées de
l’Humanisme aux Lumières (CERPHI), creato nel 1993 e diretto da Pierre-François
Moreau, che accoglie insegnanti e ricercatori dell’ENS, del CNRS, dell’università e del
liceo. Il programma di ricerca verte sulla
disamina della storia intellettuale dell’ âge
classique in senso lato (XVI/XVIII), nel suo
stretto legame con i grandi sistemi filosofici.
Il Groupe de Recherche Spinoziste del CERPHI constituisce oggi un’ équipe a parte, con
il compito principale di elaborare un’edizione scientifica delle opere di Spinoza e di
pubblicare ogni anno un bollettino bibliografico internazionale sulla ricerca spinozista. Sul piano della riflessione, la prospettiva di ricerca del Groupe de Recherche Spinoziste si manifesta chiaramente nella volontà di affrontare la filosofia di Spinoza alla
luce d’una conoscenza precisa dei contesti
di riferimento.
Questa prospettiva caratterizza decisamente l’analisi che Pierre-François Moreau
dedica alla nozione spinoziana di esperienza
nel suo saggio: Spinoza, l’expérience et
l’éternité. Esaminando minuziosamente
nell’opera di Spinoza tutte le occorrenze
della nozione di esperienza, Moreau ne sottolinea la multiforme fecondità e affronta, in
modo molto convincente, la misteriosa affermazione contenuta nell’Ethica (V, 23,
sc): «sentimos experimurque nos aeternos
esse (sentiamo e sperimentiamo che siamo
eterni)». Inoltre, Moreau propone una dettagliata lettura genetica del pensiero di Spinoza,
il quale, dal Tractatus de intellectus emendatione al Tractatus politicus, passando per
l’Ethica, avrebbe accordato una maggiore
positività all’essere singolare finito e, di
conseguenza, all’esperienza.
Il punto di partenza di Moreau è un’analisi
dei primi undici paragrafi del Tractatus de
intellectus emendatione, in cui il termine
esperienza risuona fin dalla prima frase e
indica uno sguardo retrospettivo sull’esistenza degli uomini, la cui autenticità dipende dal fatto di considerare seriamente, perfino tragicamente, i luoghi comuni di cui
l’esperienza è cosparsa e i cambiamenti di
senso assunti in essa dalle nozioni di certezza e di autentico bene. L’experientia che
compare nel Tractatus de intellectus emendatione, osserva Moreau, è del tutto di natura “spinoziana”: i beni deperibili, infatti,
non sono mai interpretati come falsi beni e la
vita comune è descritta attraverso un’ “antropologia senza soggetto”, priva di
moralismo; inoltre, la decisione d’istituire
una nuova vita riposa su un processo puramente positivo e immanente. Tuttavia, fa
notare Moreau, l’esperienza non è qui che
momento occasionale del sistema, incapace
di condurre ad esso da sola, restando con45
trassegnata da un’irriducibile opacità: l’individualità, infatti, è qui pensata ancora come
un’entità debole, spettatrice più che attrice
dei suoi eventi interiori e come dominata dai
propri oggetti d’amore.
Rivalutando, più tardi, la problematica dell’individualità, l’accezione spinoziana di
esperienza si arricchisce, senza cambiare di
contenuto, investendo i domini che le sono
propri e in cui, per l’appunto, l’individualità
si costituisce e si dispiega. Tre funzioni, fa
notare Moreau, le sono attribuite da Spinoza
nella lettera X a Simon de Vries: confermare, costituire, indicare; tre i campi che le
spettano: il linguaggio, le passioni, la storia.
In questa prospettiva, Spinoza sviluppa una
riflessione sulla positività della lingua come
ricettacolo privilegiato del passato, in grado
d’organizzare e di rendere disponibile, nella
forma dell’uso (usus), l’esperienza umana
accumulatasi. A questa ricca riflessione sullo spessore della lingua corrisponde, parallelamente, una messa a punto dell’arte di
questionare: definire, secondo l’uso, il significato del testo letto; ricostruire la mentalità dell’autore attraverso tutti i possibili
indizi; determinare il genere letterario in cui
si esprime.
Ma è nel campo delle passioni che secondo
Moreau si manifesta in modo perspicuo il
doppio regime del pensiero e dell’esperienza. Sul piano della “psicologia” e della politica l’esperienza ha in primo luogo funzione
di conferma del sistema; diviene costitutiva
quando si tratta di cogliere l’individuo in ciò
che in esso vi è di più irriducibile, l’ingenium. Nel confronto con Hobbes e
Machiavelli, la riflessione di Moreau sul
pensiero politico di Spinoza permette di
cogliervi alcuni temi propri delle concezioni
contemporanee, quali la permanenza irriducibile nell’uomo d’un nocciolo passionale
antipolitico, l’idea d’ingenium in un popolo
come prodotto di una storia primitiva e
infine la necessità da parte degli Stati, individui molto complessi, ma poco differenziati, di ritornare periodicamente al loro principio per mezzo di procedimenti simbolici.
Queste considerazioni psicologiche e politiche sull’esperienza, fa notare Moreau, si
prolungano nel campo della storia, in cui
l’esperienza gioca, ancora una volta, il suo
duplice ruolo. Come fortuna essa è la categoria dell’esteriorità e dell’imprevedibilità,
PROSPETTIVE DI RICERCA
cioè della forma contingente assunta dalla
necessità universale, ma anche l’occasione,
per gli Stati e per gli individui, d’essere
virtuosi. Come raccoglimento e saturazione
dell’esperienza umana, la storia costituisce
l’oggetto della riflessione che permette di
pensare le leggi fondamentali degli Stati.
Infine Moreau affronta la questione dell’esperienza dell’eternità. Non si tratta per Spinoza
della conoscenza posseduta dal saggio, ma
del sentimento universalmente condiviso da
chi ha assaporato “la certezza dell’intelletto”.
Lungi dall’essere un’apertura mistica al di là
della finitezza umana, quest’ultima costituirebbe invece la condizione della suddetta
apertura; essa permetterebbe alla necessità,
per una sorta di sensazione differenziale,
d’essere non solamente un oggetto della conoscenza adeguata, ma anche del sentimento.
Di conseguenza, l’esperienza si vede investita di una terza funzione, non più confirmativa
o costitutiva, ma incitativa, indicando, senza
mai fondarla, la possibilità della conoscenza
adeguata dell’eternità.
La riflessione di Moreau procede, per così
dire, in modo spinoziano, scorgendo nella
finitezza umana non l’infelice esperienza dei
limiti, ma il campo delle condizioni concrete
di esistenza, azione e pensiero. Inoltre, il
metodo impiegato da Moreau ristabilisce la
dimensione culturale dell’opera filosofica,
diversamente dalla tradizione critica francese, più attenta alla logica interna
La discussione su Spinoza in area francese
trova ulteriore riscontro e sviluppo tematico
nei contributi apparsi sulla Revue de Métaphysique et de Morale (ottobre/dicembre 1994),
dedicati a una riflessione sulla quarta parte
dell’Ethica spinoziana. A partire da quest’opera, ma riferendosi anche al Tractatus
theologico-politicus e Tractatus politicus,
Lelia Pezillo (Roma) dimostra che per
Spinoza le società sono possibili a una duplice condizione, affettiva e razionale. Per quanto spontaneo, il desiderio di vivere in comunità resterebbe una semplice aspirazione se
non fosse sostenuto da principi razionali che,
sottoforma di Morale o Religione, sono in
grado di realizzare quell’alleanza su cui si
fonda, tra sottomissione e consensus, la possibilità sociale.
Per quanto riguarda un’altro problema presente nella quarta parte dell’Ethica, concernente la coesistenza fra il razionale e l’immaginario, Pierre Macherey (Lille) rileva nel
ritratto dell’uomo libero tracciato da Spinoza
nelle proposizioni 67-73 la figura transitoria
d’una razionalità emergente, ossia un ponte
fra le rappresentazioni dell’immaginazione e
le idee dell’intelletto. Commentando le proposizioni 70 e 71, Macherey delinea una
“etica del quotidiano”, di cui sottolinea la
forza e la grandezza, senza tuttavia tralasciare
di metterne in evidenza, con ironia, il permanervi di visioni non libere della libertà. A un
tale ritratto dell’uomo libero Pierre Temkine (Dijon) attribuisce invece una maggiore
consistenza ontologica. In effetti, nella quarta
parte dell’Ethica Spinoza elabora un modello, annunciato nella prefazione, che funzio-
nerebbe secondo i puri principi dell’immanenza meccanicista, senza sentirsi in debito
rispetto alla triplice illusione del finalismo,
della trascendenza e del libero-arbitrio: se
l’uomo si rapporta ai suoi simili in modo
immaginario, osserva Temkine, non c’è che
scorgere in quest’idea o modello un’espressione adeguata dell’essenza dell’uomo.
Proseguendo nel suo intento di chiarimento
globale delle proposizioni dell’Ethica,
Alexandre Matheron (Fontenay/St Cloud)
dimostra come nelle proposizioni 29-31 siano stabiliti i fondamenti di una “etica della
similitudine”. Sottolineando l’importanza
cruciale del termine quatenus, Matheron spiega che cosa spinga Spinoza a porre l’equivalenza tra similitudine e utilità. Infine, JeanMarie Beyssade (Parigi), traduttore dell’Ethica, rileva come nel Capitolo 7 dell’ “Appendice” con il termine vix Spinoza lasci aperto
uno spazio alla possibilità, per quanto minima, che un saggio sussista in una città priva
d’ordine, dato che «l’etica fonda la politica e
non l’inverso». P.T.
Scopo dello studio di Vesa Oittinen è «mostrare che nello strutturalismo e nel poststrutturalismo francese domina un segreto
consenso circa la valutazione di Spinoza».
Un aspetto comune ad autori come Althusser
e Deleuze, altrimenti assai diversi tra loro, è
il carattere anti-soggettivistico e anti-dialettico delle rispettive posizioni, che nel primo
trova espressione in una filosofia senza soggetto (dissolto nelle - o ridotto alle - strutture
dell’economia e dei rapporti di produzione) e
senza contraddizione, e nel secondo mette
capo a una filosofia della “differenza”, in cui
la pluralità dei desideri, delle pulsioni e delle
forze cresce “rizomaticamente” su se stessa e
oltre se stessa e appare irriducibile sia al
soggetto della tradizione cartesiana, sia alla
dialettica di identità e alterità di hegeliana
memoria.
Queste caratteristiche si riflettono, secondo
Oittinen, nelle interpretazioni di Spinoza proposte da Althusser, da Deleuze e dai rispettivi
seguaci, che vedono in Spinoza un pensatore
se non anti-dialettico almeno non-dialettico,
situato nella storia della filosofia al polo
opposto rispetto a Hegel e avvicinabile a
Nietzsche. In quest’ultima prospettiva - rappresentata esemplarmente, oltre che da
Deleuze, da Antonio Negri - Spinoza appare
come il filosofo antimoderno che, ai concetti
di “individuo”, “mediazione”, “trascendenza”, fondamentali nelle grandi filosofie della
modernità (da Cartesio a Hegel fino a
Heidegger), oppone i concetti alternativi di
una soggettività “collettiva”, dell’amore e del
corpo come “potenza”. Nonostante le divergenze delle rispettive prospettive filosofiche,
scrive Oittinen, Deleuze e Althusser trovano
un terreno comune in una “riattualizzazione
di Nietzsche”, che ha come suo centro teorico
«la critica della dialettica, del concetto classico di soggetto e della teoria della verità come
corrispondenza, e che sfocia conseguentemente in un concetto volontaristico della
prassi (accentuato negli althusseriani nel sen46
so di un orientamento di estrema sinistra, e in
Deleuze in senso anarchicheggiante)».
Sulla base dei tratti comuni ai due orientamenti, Oittinen mette però in luce anche le
differenze delle rispettive posizioni. Mentre
Deleuze rifiuta in assoluto la possibilità di
sviluppare una dialettica a partire da Spinoza,
l’althusseriano Pierre Macherey individua
in Spinoza la possibilità di sviluppare una
versione materialistica della dialettica.
Nel primo dei tre saggi che compongono il
volume, Oittinen analizza i tentativi di stilizzare Spinoza facendone un precursore della
teoria althusseriana dell’ideologia e procede
a una disamina del concetto spinoziano di
verità e della corrispondente dottrina delle
idee, con l’intento di mostrare come entrambi
abbiano poco in comune col punto di vista di
Althusser. Il secondo saggio mette in rapporto l’interpretazione di Spinoza sviluppata da
Deleuze con la generale critica deleuziana
della dialettica. A Deleuze, Spinoza appare
come una tappa sulla linea di pensiero che
conduce a quella “logica della differenza”
che rappresenta ai suoi occhi un’alternativa
alla dialettica (e in cui svolge un ruolo fondamentale la dottrina nietzscheana dell’eterno
ritorno). La critica della dialettica sviluppata
da Deleuze ha in particolare come obiettivo i
concetti di “opposizione” e di “alterità”. La
nozione di “differenza” non esprime un’opposizione di tipo dialettico (che presuppone
l’esistenza di un rapporto tra le singole alterità all’interno di una totalità): le entità che
differiscono una dall’altra non hanno un rapporto reciproco ma sono singolarità irrelate
che semplicemente affermano se stesse. Il
risultato dell’interpretazione di Spinoza che
si svolge a partire da questi presupposti è per
Ottinen di ignorare la componente dialettica
del suo pensiero.
La questione della dialettica in Spinoza diventa centrale nel terzo saggio dello studio di
Oittinen, in cui viene criticata l’interpretazione di Althusser, che vede in Spinoza un
filosofo dell’ “assenza di soggettività”. In
opposizione a essa la filosofia di Spinoza
appare come un’alternativa alle filosofie
moderne della soggettività, non nel senso di
un rifiuto dell’istanza della soggettività, ma
in quanto essa proporrebbe modalità alternative della costituzione del soggetto. Contro la
dialettica teleologica di Hegel (dietro la quale
si cela un soggetto che pone degli scopi),
Oittinen vede in Spinoza e nella sua dottrina
dell’immanenza la presenza embrionale di
una concezione materialistica della dialettica, alternativa a quella di Hegel. Punto di
partenza della filosofia non è in Spinoza il
soggetto ma il mondo, la sostanza o la natura
come “causa sui”, come riferentesi solo a se
stessa: «Così la verità è misura di se stessa, e
la virtù premio a se stessa. Proprio in questa
autoreferenzialità, caratteristica della “logica
divina”, consiste la dialettica di Spinoza. La
logica della soggettività, che costituisce il
fondamento della dialettica hegeliana, è, dal
punto di vista dello spinozismo, solo un caso
particolare e un riflesso della logica divina
generale». M.M.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Joseph Joubert
Scritti privati, annoverati in un’area di
confine tra filosofia e letteratura, vengono ora ripubblicati i CARNETS (Taccuini, vol. I e II, Gallimard, Parigi 1994)
che Joseph Joubert, amico di Diderot
e Chateaubriand, scrisse nell’arco di
cinquant’anni, dal 1786 fino alla morte. Quella attuale è una ristampa dell’edizione del 1938, arricchita da una
premessa di Jean-Paul Corsetti e dalla
duplice prefazione di André Bellesort
e di André Beaunier. A questa edizione fa riscontro in Italia lo studio recente di Valerio Magrelli, LA CASA DEL PENSIERO: INTRODUZIONE ALL ’OPERA DI JOSEPH
JOUBERT (Pacini, Pisa 1995), a cui si
deve anche, già da alcuni anni, una
BIBLIOGRAFIA DI JOSEPH JOUBERT («Micromégas», gennaio/agosto 1988).
Apparsi per la prima volta nel 1838 in forma
ridotta di raccolta di Pensées, a cura di Chateaubriand, solo cento’anni dopo questi Carnets furono pubblicati in edizione completa,
a cura di André Beaunier, nell’originario
ordine cronologico. L’unicità di questi scritti
consiste nel fatto che Joseph Joubert (17541824) non ha prodotto nella sua vita che
questo monumentale lavoro preparatorio a
un’opera, che di fatto non sarebbe mai stata
scritta: bisogna «essere capaci di non scrivere» - commentava Joubert - e «scartare con
cura la moltitudine dei termini». La sua riflessione puntigliosa intorno alla scrittura diventa ossessione di rintracciarne il momento
fontale, le condizioni di possibilità, definizione e scavo dello spazio in cui scrivere. L’atteggiamento di Joubert mostra, così, singolari consonanze con i percorsi della modernità
intorno ai temi della scrittura e del linguaggio, suscitando in questo l’interesse di Maurice Blanchot, anche se la sua produzione fu
per lo più confusa dai contemporanei con
quella dei fabbricatori di massime. Forse a
causa del suo gusto per la demistificazione fu
considerato un moralista, erede di La Rochefoucauld, La Bruyère, Vauvenargues e
Chamfort: le sue incursioni nello spazio che
genera la scrittura furono lette come conseguenza di una pura passione per la frammentarietà e la brevità.
A Maurice Blanchot si deve lo smascheramento di questo equivoco e il riconoscimento
della modernità della lunga riflessione, discontinua e dolorosa, che Joubert traduceva
in pensieri intimi dal tono metafisico, religioso ed estetico. Joubert ama la pagina bianca e
scopre il vuoto, di cui i contemporanei hanno
orrore, come spazio proprio all’emergenza
del testo, in cui i bianchi, i tagli e il silenzio
significano quanto le parole. D’altronde, in
Joubert, la riflessione sulla scrittura si avvale
spesso di metafore spaziali: scrivere è «abitare uno spazio», è «far vedere»; così come
parlare è «scrivere nell’aria quel che si dice»;
ma è anche «scavare lo spazio» secondo le
leggi della prospettiva e dell’armonia visiva,
che è al contempo uditiva e gustativa. Infine,
poiché «ogni pensiero è luce», sta al lettore
immaginare il mondo della parola, dandogli
forma e figura.
Come rileva Valerio Magrelli, Joubert non
creò mai quell’opera poetica di cui con tanta
precisione definì, nell’arco di decenni, i contorni ambiziosi. La sua visione estetica rimase prigioniera di uno schema platonico che,
ponendo il primato dell’idea nella ricerca
della sua migliore forma sensibile, condannava l’opera d’arte a una frammentazione
infinita in piccole isole di senso, di suono e
d’armonia, a una sorta di bellezza spezzata e,
in definitiva, impossibile. La sua estetica si
condanna pertanto a essere una estetica della
frase, se non addirittura della parola che
«sussista da sola e porti in sé il suo spazio» e
la sua luce.
Quello che per Joubert sembra contare maggiormente sono gli incontri attraverso il tempo con i grandi scrittori e filosofi dell’antichità, in primo luogo Platone: «Più Platone di
Platone in persona, [...] mi separo dal mondo
e divento puro spirito». Nei confronti delle
posizioni teoriche dei contemporanei è invece abbastanza critico, giudicando, per esempio, semplicistica l’identificazione fatta da
Rousseau tra coscienza e regola morale, in
quanto la coscienza è ciò che vi è di più
diverso e mobile nell’uomo e tra gli uomini.
Così, al dogmatismo dei Lumi Joubert preferisce l’oscurità, il mistero non rivelato. Il suo
ideale è una scrittura speculativa in cui i
pensieri si sussueguano con la stessa armonia
degli astri nella volta celeste. La sua incapacità di aderire pienamente a un sistema filosofico, la sua sfiducia nella possibilità di raggiungere la certezza, lo conduce verso gli
incerti territori dell’introspezione borghese e
della cattiva coscienza che incomincia a minarla. D.F.
Diari di guerra di Sartre
Con il titolo: CARNETS DE LA DRÔLE DE
GUERRE. SEPTEMBRE 1939 - MARS 1940 (Diari della strana guerra. Settembre 1939 Marzo 1940, Gallimard, Parigi 1995)
vengono pubblicati i diari tenuti da
Jean-Paul Sartre durante l’ultima guerra mondiale, una guerra la cui stranezza consiste nell’attesa snervante e
umiliante di un nemico che non si manifesta (Sartre era infatti impiegato nelle
retrovie ai servizi metereologici). Oltre
all’interesse biografico - descrizione dell’atmosfera bellica, ma anche del mondo intellettuale parigino, a cui Sartre
rimane legato attraverso le lettere scritte agli amici e a Simone de Beauvoir,
cui è dedicato il primo quaderno - questi diari presentano un interesse letterario e filosofico.
Nel 1983 era stata pubblicata una prima tranche di questi Carnets, comprendente i quaderni III, V, XI, XII e XIV, sfuggiti alla
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distruzione; nel 1991 fu fortunosamente ritrovato il primo quaderno del ciclo (che originariamente ne comprendeva quindici), contenente annotazioni riferite alla permanenza
di Sartre a Marmoutier, nel Basso Reno. Il
ritrovamento ha dato l’impulso a questa nuova edizione.
Al momento della partenza per il servizio
militare, Sartre sta lavorando a L’Età della
ragione, primo volume della trilogia I cammini della libertà, ma la chiamata alle armi
non interrompe la sua attività di scrittore. La
guerra gli appare, anzi, come un’esperienza
che ogni scrittore dovrebbe conoscere, e il
riferimento è allo Stendhal della campagna di
Russia. L’attitudine stoica è l’unica che secondo Sartre conviene a un filosofo inghiottito nella “palude vischiosa” del conflitto
bellico: questi quaderni costituiscono infatti
un esercizio di lucidità e auto-analisi, con la
loro descrizione spietata dei moti della coscienza e delle trappole dell’inautenticità,
che anticipano le parti centrali de L’Essere e
il Nulla.
Nel suo “cammino alla ricerca di una saggezza esistenziale” - così può essere interpretata
la tonalità morale di questi scritti - Sartre
trova vano il rifiuto di vivere la guerra; anche
se la ritiene un’assurdità, la riconosce come
modalità particolarmente illuminante dell’essere nel mondo: «Abiezione dell’uomo, liberazione della coscienza trascendentale, rottura con la ‘vita’, presenza della morte, anonimato dell’individuo e del luogo». In questa
situazione, Sartre porta avanti con profitto il
suo dialogo a distanza con Martin Heidegger
(in particolare sul tema della morte), il cui
frutto maturo, L’Essere e il Nulla del 1943,
uscirà in parte proprio dai quaderni. Specificamente al primo appartiene un’analisi della
distruzione come finalità principale della
guerra e dei suoi strumenti, nonché una luminosa teoria del “capro espiatorio”, ispirata a
una vicenda personale. Sono considerazioni
fatte alla luce dell’idea di autenticità, presa a
prestito da Heidegger, che la definiva in relazioneall’essere-per-la-morte del Dasein. Sartre
dà alla nozione di autenticità una coloritura
morale e politica, fondandola su una necessità
della libertà: quella di assumere la propria
situazione, il proprio essere-per-la-guerra, appunto. Ciò che i quaderni rendono visibile è
proprio la svolta, o sarebbe meglio dire la
“muta” sartriana, per cui da esteta anarchizzante e antiumanista ne esce “impegnato”
nella riflessione sul proprio tempo: la guerra
rappresenta l’incontro di Sartre con la storia.
Accanto a questi diari bellici vale la pena di
segnalare una serie di testi, di recente pubblicazione, che hanno per oggetto la figura di
Sartre e i suoi rapporti conflittuali con l’ambiente intellettuale francese: Pour Sartre (Per
Sartre, Lattès, Parigi 1995), di Jean-Jacques
Brochier; Sartre, un art déloyal. Théâtralité
et engagement (Sartre, un’arte sleale. Teatralità e impegno, Editions Jean-Michel
Place, Tolosa 1995), di John Ireland;
Silences de Sartre (Silenzi di Sartre, Presses
Universitaires du Mirail, Parigi 1995), di
Jean-François Louette. D.F.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Ludwig Wittgenstein
Wittgenstein: vita e opere
Un ambizioso progetto di una nuova
edizione completa delle opere di Ludwig Wittgenstein, la «Wiener Ausgabe», prende avvio con la pubblicazione dei primi due volumi in programmazione, dedicati alle PHILOSOPHISCHE
BEMERKUNGEN (Osservazioni filosofiche,
Springer, Wien - New York 1994). Da
segnalare anche, tra i nuovi spunti di
ricerca sull’opera di Wittgenstein, un
volume documentario: LUDWIG HÄNSEL LUDWIG WITTGENSTEIN. EINE FREUNDSCHAFT.
BRIEFE, AUFSÄTZE, KOMMENTARE (L. Hänsel
- L. Wittgenstein. Un’amicizia. Lettere, saggi, commenti, a cura, tra altri, di
I. Somavilla, Haymon, Innsbruck 1994).
L’autorevole edizione completa delle opere
di Ludwig Wittgenstein, la «Werkausgabe», pubblicata a partire dal 1960, potrebbe
essere presto affiancata da una nuova edizione, la «Wiener Ausgabe». Per il momento è prevista l’edizione integrale degli appunti di Wittgenstein risalenti agli anni 19291933, di cui ogni anno dovrebbero uscire da
due a cinque tomi, per un totale di undici
volumi. Per proseguire la pubblicazione delle
altre opere, il curatore di questa nuova edizione, Michael Nedo, dovrà invece attendere l’ulteriore placet dei curatori degli scritti
postumi, la parte più cospicua dell’eredità
filosofica di Wittgenstein.
Il progetto editoriale della «Wiener Ausga-
be» risale agli anni Settanta, quando divenne evidente che l’edizione degli scritti di
Wittgenstein, curata dagli amministratori
degli scritti postumi (fra i quali Elizabeth
Anscombe, Rush Rhees e George Henrik
von Wright) non era sufficientemente affidabile: la microfilmatura degli inediti aveva
infatti mostrato quanto essa fosse libera e
parziale. Perché il nuovo progetto editoriale
potesse dare esiti concreti dovevano però
trascorrere ancora molti anni; i lavori vennero infatti bloccati da una serie di circostanze
sfortunate, come la scissione del primo gruppo di studio istituito presso l’Archivio
Wittgenstein a Tubinga, o le numerose pubblicazioni non autorizzate, con le conseguenti querele editoriali. Oggi, però, sembra
finalmente che la nuova edizione possa rapidamente venire alla luce.
I primi due volumi pubblicati riproducono
quattro manoscritti di appunti, che Wittgenstein stese tra il febbraio del 1929 e l’agosto
del 1930 e da cui estrasse in seguito due
dattiloscritti, poi riordinati in fogli singoli e
rielaborati con note a penna. Una parte considerevole dei primi quattro manoscritti venne pubblicata già nel 1964 da Rush Rhees
con il titolo: Philosophische Bemerkungen
(Osservazioni filosofiche). Attualmente, la
«Wiener Ausgabe» propone lo stesso materiale, ma in versione integrale, compresi i
due dattiloscritti. Il tutto dovrebbe poi essere
corredato da volumi di concordanze testuali, per aiutare il lettore a orientarsi fra le
diverse stratificazioni e stesure.
48
All’inizio del 1929, dopo un’assenza di quasi sedici anni, Wittgenstein tornò a Cambridge. Da quando, più di dieci anni prima,
aveva terminato il Tractatus in un campo di
prigionieri di guerra, egli non si era più
occupato di filosofia, se si eccettuano le
sporadiche discussioni con alcuni membri
del “Circolo di Vienna” negli anni 1927-28.
Dopo la guerra aveva lavorato come insegnante di scuola elementare in alcune province della bassa Austria e, dall’autunno del
1926, aveva preso parte alla progettazione
della nuova casa viennese della sorella Margareth Stonborough. Tanto più sorprendente appare dunque la rapidità e l’intensità con
cui, a partire dal suo arrivo a Cambridge,
Wittgenstein si lascia assorbire da un impegno teorico di grande portata: il profondo,
radicale ripensamento dei risultati della sua
prima opera. In particolare, Wittgenstein fu
costretto a rivedere la sua concezione delle
proposizioni elementari quale “specchio”
dei “fatti atomici” del mondo (soprattutto a
causa delle difficoltà sollevate dalle proposizioni intorno ai colori), la teoria della
raffigurazione e il concetto di proposizione
dotata di senso.
Il maggior pregio dei manoscritti di appunti
che vengono ora pubblicati è proprio quello
di evidenziare come alcuni motivi, risalenti
alla sua prima speculazione, si intreccino a
un nuovo modo di considerazione degli stessi. Nel terzo volume si legge, ad esempio,
una frase che anticipa una convinzione cardine del cosiddetto “tardo” Wittgenstein
delle Philosophische Untersuchungen (Ricerche filosofiche), relativa alla natura del
linguaggio: «Il linguaggio è uno strumento
che permette molti usi; le parole sono come
impugnature che rendono possibili le operazioni più diverse».
A proposito della distinzione tra un “primo”
e un “secondo” Wittgenstein, è opportuno
richiamare lo studio di Matthias Kroß:
‘Klarheit als Selbstzweck’. Wittgenstein über
Philosophie, Religion, Ethik und Gewißheit
(‘Chiarezza come fine in sé’. Wittgenstein su
filosofia, religione, etica e certezza, Akademie, Berlino 1993), sicuramente uno degli
studi più interessanti, dedicati in questi ultimi
anni al pensatore austriaco. Secondo Kroß, è
un errore, da un punto di vista eminentemente
filosofico, contrapporre il Tractatus alla successiva teoria dei “giochi linguistici”, dal
momento che si tratta di sviluppi conseguenti
di un medesimo tema, la riflessione sul linguaggio e sui limiti del linguaggio.
Sul problema del limite, osserva Kroß,
Wittgenstein poteva condividere la distinzione rigorosa di Kant tra ciò che possiamo
“conoscere” e ciò che dobbiamo soltanto
“credere”, e con ciò delimitare anzitutto il
campo del sapere scientifico come quello di
un sapere universalmente valido e da qui
gettare poi uno sguardo sulla totalità. A
seguito del suo rapporto con Bertrand Russel, Wittgenstein si era infatti scontrato con
la cosiddetta “questione dei fondamenti”,
che all’inizio del Novecento aveva travolto
la matematica, la logica simbolica e in gene-
PROSPETTIVE DI RICERCA
rale tutti i sistemi formali, rifiutandosi di
assumere qualsiasi punto di vista esterno. A
suo avviso, la coesione delle proposizioni
poteva essere raggiunta soltanto “dall’interno”, restando cioè “nei limiti” del linguaggio e del sistema di partenza. A questo
proposito Kroß richiama tre passaggi del
Tractatus: «La filosofia limita il campo disputabile della scienza naturale.» (4.113 );
«Essa deve delimitare il pensabile e con ciò
l’impensabile. Essa deve delimitare l’impensabile dal di dentro attraverso il pensabile.» (4.114); «Essa significherà l’indicibile
rappresentando chiaro il dicibile.» (4.115).
Wittengstein è dunque è convinto (diversamente da Kant) che lo scontro coi limiti del
dicibile non si possa esibire in un discorso,
in una “teoria”, ma resti inespresso, in quanto appunto inesprimibile-inesprimibile (diversamente da Russel) senza autocontraddizione o regresso all’infinito. Certo, il dilemma del linguaggio è che lo scontro col limite
si comunica pur sempre mediante proposizioni; il punto è però che queste ultime non
confluiscono in un metalinguaggio e neppure in un paralinguaggio.
Wittgenstein viene paragonato da Kroß, che
riprende in questo una felice immagine di
Paul Engelmann, a un cartografo che vuole
rappresentare la linea costiera di un’isola,
pur sapendo che la questione riguarda tutto
l’oceano. In tal senso, il “secondo”
Wittgenstein dei giochi linguistici sarebbe
colui che vuole disegnare non tanto il profilo
di un’isola, ma l’intero arcipelago. Tenendo
fermo alla decisione di Wittgenstein di mantenersi al di qua del limite, Kroß può individuare, tra le varie fasi della speculazione
wittgensteiniana, una continuità di temi e
problemi fondamentali.
Nel suo studio Kroß si concentra anche su
quei temi che Wittgenstein affida al silenzio, come l’etica e la religione, utilizzando a
questo scopo i cosiddetti Geheime Tagebücher (Diari segreti), pubblicati da
Wilhelm Baum contro la volontà degli
amministratori degli scritti postumi. Per quel
che riguarda la religione, fa notare Kroß, per
Wittgenstein nulla nel mondo ci rimanda a
Dio; semmai è il mondo come totalità a
costituire un richiamo verso il trascendente.
L’uomo, però, non può oltrepassare il limite
del mondo; il che significa: egli non può dire
nulla sulla causa, l’origine, lo scopo del
mondo; tuttavia questo silenzio non è “fine
a se stesso”. “Chiarezza come fine in sé”,
così suona il titolo del saggio di Kroß, deve
essere appunto inteso nel senso che
Wittgenstein, nel far luce su «ciò che si può
dire» e giungendo al limite del linguaggio, si
proietta con questo già “oltre”.
La migliore testimonianza di tale tensione
ci viene offerta dalla vita del filosofo, la
vita non-scritta, che “mostra” nei fatti quanto egli avesse compreso di ciò che giace al
di là del limite. Da questo punto di vista è
molto eloquente il profondo legame che
Wittgenstein intrecciò con Ludwig Hänsel,
e di cui il volume dal titolo: Ludwig Hänsel
- Ludwig Wittgenstein. Eine Freundschaft,
ci offre ampia documentazione. Hänsel conobbe Wittgenstein nel 1919, durante la
prigionia di guerra presso Cassino, e fu uno
dei primi a leggere la Logisch-philosophische Abhandlung. Malgrado ciò, la loro
amicizia non nacque da uno scambio puramente intellettuale. Erano infatti le qualità
personali, la bontà, l’equilibrio e soprattutto
la fede di Hänsel ad attrarre Wittgenstein. I
loro colloqui riguardavano, più che la logica, i grandi temi dell’esistenza, Dio, la morale e la morte, e spesso sfociavano in domande senza risposta. Così nel loro scambio
epistolare, durato più di trent’anni, troviamo
soprattutto riferimenti alla vita quotidiana;
una dimensione che i curatori illustrano,
insieme alle lettere, attraverso fotografie,
brevi commenti, oltre a qualche tentativo di
speculazione filosofica di Hänsel. A.M.
raccolta delle lettere scritte da Weber
nel biennio 1909-1910, curata da M.
Rainer Lepsius e Wolfagang J. Mommsen, con la collaborazione di Birgit
Rudhardt e Manfred Schön. A ciò si
aggiunge lo studio di Friedrich Jäger,
BÜRGERLICHE MODERNISIERUNGSKRISE UND
HISTORISCHE SINNBILDUNG. KULTURGESCHICHTE BEI DROYSEN, BURCKHARDT UND MAX
(Crisi della modernizzazione
borghese e formazione storica del senso. Storia della cultura in Droysen,
Burcckhardt e Max Weber, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottinga 1994), che
riprende la necessità di considerare
Weber in linea di continuità con la
tradizione storicistica tedesca. Al Weber autore di studi storici fondamentali si rivolge invece la raccolta DIE
OKZIDENTALE STADT NACH MAX WEBER . ZUM
WEBER
PROBLEM DER ZUGEHÖRIGKEIT IN ANTIKE UND
(La città occidentale. Sul
problema dell’appartenenza nell’antichità e nel medioevo, Oldenbourg
Verlag, Monaco di Baviera 1994), a
cura di Christian Meier. Un tema cruciale del pensiero weberiano è poi
quello affrontato da Andreas Anter
nello studio: MAX WEBERS THEORIE DES
MODERNEN STAATES. HERKUNFT, STRUKTUR
UND BEDEUTUNG (La teoria dello Stato
moderno in Max Weber. Origine, struttura e significato, Duncker & Humblot,
Berlino 1995).
MITTELALTER
Nuovi studi su Max Weber
La ricerca sull’opera di Max Weber
può oggi avvalersi di nuovi strumenti
storico-critici. L’edizione completa
dell’opera di Max Weber, il cui prospetto programmatico risale al 1981,
propone con il titolo: BRIEFE 1909-1910
(Lettere 1909-1910, «Max-Weber-Gesamtausgabe» sezione II/6, J.C.B.
Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1994), la
Max Weber
49
PROSPETTIVE DI RICERCA
Una parte importante della corrispondenza
presente in questo volume dei Briefe è quella che Max Weber intrecciò con il suo
editore, Paul Siebeck di Tubinga, una corrispondenza peraltro già menzionata da
Johannes Winckelmann in Max Webers
Hinterlassenes Hauptwerk (Il lascito dell’opera principale di Max Weber, 1986), che
ci permette di cogliere i tormenti e le preoccupazioni che accompagnarono la produzione scientifica di Weber tra il 1909 e il
1910. Ma le lettere di questi anni consentono
soprattutto di chiarire quale sia stato il ruolo
di Weber nella fondazione della Società
tedesca di sociologia (Deutsche Gesellschaft
für Soziologie).
Anche in questo volume si confermano quelli
che vogliono essere i caratteri complessivi
con cui i curatori, M. Rainer Lepsius, Wolfagang J. Mommsen e Wolfgang Schluchter, hanno inteso dar vita all’edizione completa delle opere di Weber. Il progetto che vi
sta alla base, e che giustifica l’intera impresa
editoriale, è quello di offrire una sequenza
delle opere di Weber secondo una precisa e
accurata ricostruzione di quello che è stato il
loro effettivo ordine di ideazione e messa in
opera. Non si tratta, ovviamente, di mettere
da parte il criterio cronologico, che impone
di ordinare i testi in base alla loro data di
edizione; piuttosto, l’intento è di affiancare
questo criterio con la necessità di individuare la pertinenza contestuale di un testo con
un altro, indipendentemente dal momento
della sua pubblicazione. Ne risulta un interessante collegamento tra cronologia e pertinenza induttiva come criterio di ordinamento delle opere.
Altro intento fondamentale di questa raccolta di lettere è quello di offrire l’esatto contesto storico e intellettuale entro cui si situano
i lavori di Weber nello stesso momento in
cui vengono concepiti e portati a termine,
sebbene un’opera come quella di Weber
difficilmente sembra lasciarsi coerentemente
definire ed esaurire in un quadro storicocontestuale. D’altronde già in uno studio
precedente, Max Weber und die deutsche
Politik (Max Weber e la politica tedesca,
1959; trad. it. Bologna 1994), Wolfgang J.
Mommsen aveva già fortemente contestualizzato il pensiero di Weber in connessione
alle vicende storiche e politiche del suo
tempo. Qui si tratterebbe però di coglierne
gli apporti, gli stimoli e i debiti intellettuali
da lui contratti, o le specifiche occasioni di
polemica scientifica che hanno mosso il suo
pensiero e con cui esso interagisce.
Nel senso di una storicizzazione dell’opera
di Weber e nello stesso tempo di una ripresa
di interesse per il ruolo da questi svolto
all’interno dello storicismo tedesco si muove lo studio di Friedrich Jäger, che intende
mostrare come tra Droysen, Burckhardt e
Weber sia possibile rinvenire sorprendenti
analogie. Per quanto riguarda Weber, in
particolare, Jaeger intende confutare la tesi
secondo cui questi, lasciandosi definitivamente alle spalle ogni pretesa di fondazione
di tipo metafisico, sarebbe con ciò pervenu-
to ad una soluzione di quei problemi da cui
lo storicismo non sapeva uscire. In realtà, fa
notare Jäger, l’intuizione con cui Weber
postula la necessità di una scienza storica
wertfrei, basata cioè sull’avalutatività, non
sembra a sua volta del tutto scevra di valore;
anzi, essa stessa postulerebbe addirittura
una sua propria metafisica, una sorta di
“ontologia del caos”. Jäger si auspica perciò
che si compia, dopo Weber, l’ultimo passo
di quel completo disincantamento che egli
stesso non ha voluto o saputo compiere. Se
la donazione di senso storico costituisce un
esigenza sorta con il moderno processo di
secolarizzazione, allora, osserva Jäger, è
necessario che questo venga spinto fino alle
sue estreme conseguenze, fino al punto in
cui non resti che una ragione storica emancipata dalla nostalgia del fondamento.
Al Weber autore di studi storici fondamentali si rivolge invece una raccolta di saggi, a
cura di Christian Meier, Die okzidentale
Stadt nach Max Weber, che riporta i contributi presentati in una delle sezioni del congresso degli storici, tenutosi a Bochum nel
1990, il cui tema complessivo riguardava l’
“identità”, vale a dire le forme sociali e
strutturali di appartenenza, di cui la città
antica e quella medievale offrono una delle
configurazioni storiche più rilevanti. In riferimento a Weber, che su questo punto, come
è noto, ha offerto contributi originali di
notevole portata, gli interventi raccolti nel
volume si propongono di dimostrare quanto
produttive siano state le sue tesi e le sue
categorie, presentando un bilancio della letteratura critica e dello stato della ricerca che
si può far risalire alla sua opera.
Il volume contiene in tutto sei contributi, tre
riguardanti la città antica e tre la città medievale. Il saggio di Otto Gerhard Oexle mostra quanto innovative siano state le formulazioni di Weber già rispetto alla scienza
storica del suo tempo. Che lo strumentario
scientifico approntato da Weber sia a tutt’oggi valido è convinzione anche di Klaus
Schreiner, che si mostra particolarmente
interessato al versante culturale tedesco nella ricostruzione della città storica medievale. Wilfried Nippel propone addirittura di
mettere nuovamente a frutto le stesse basi
metodiche e teoriche di Weber, per vedere la
loro attuale portata. Anche Jochen Martin
ritiene che sia ancora possibile porre sotto
nuova luce le distinzioni fondamentali apportate da Weber nello studio sulla città
antica; mentre Hinnerk Bruhns propone di
mettere in rapporto Weber con la moderna
ricerca storica antropologica, fino ad oggi
indipendente dal suo influsso. Infine Ernst
Voltmer s’interroga sulla validità dell’impianto tipologico della “città occidentale”
elaborato da Weber.
In Max Webers Theorie des modernen Staates, Andreas Anter ordina tutti i riferimenti
testuali, relativi alla concezione della stato
moderno, presenti nell’opera weberiana,
ponendoli in rapporto con il dibattito teorico
dell’epoca. Punti focali dell’analisi di Anter
sono, oltre al concetto weberiano di stato,
50
imperniato sull’idea di monopolio della violenza, la relazione che intercorre in Weber
tra i tre tipi di legittimazione del potere e le
sue considerazioni inerenti il carattere e le
funzioni delle istituzioni. L’analisi si allarga
poi al rapporto tra teoria dello stato e concezione dei giudizi di valore, all’idea dello
stato-macchina e quindi ad una ricostruzione dei processi di formazione dello stato
moderno. In Weber, secondo Anter, da un
lato il concetto del politico è inscindibilmente connesso a quello di stato, dall’altro
è possibile parlare in senso proprio di stato
solo nella sua configurazione moderna. Lo
stato moderno, concepito da Weber, sostiene ancora Anter, trova nell’idea di nazione il
suo ultimo presupposto di valore, per quanto
questa forzatura nazionalistica venga controbilanciata in senso liberale da un convinto e radicato individualismo. Da qui l’attenzione di Anter per le ambivalenze che attraversano il pensiero weberiano dello stato,
oscillante tra la priorità della funzionalità e
dell’efficienza e il criterio “irrazionale” dell’individuo come misura ultima, posta a
salvaguardia dell’universo sociale.
A conclusione è opportuno segnalare, per
coloro che prima di affidarsi al versante
interpretativo vogliano raccogliere le fila
della personalità scientifica e umana di
Weber, lo studio di Dirk Käsler, Max Weber. Eine Einführung in Leben, Werk und
Wirkung (Max Weber. Una introduzione
alla vita, all’opera e alla ricezione, Campus
Verlag, Francoforte s/M. 1995). G.B.
L’immediatezza intuitiva
Nel volume dal titolo: LETTERA SULL’UOMO E ALTRI SCRITTI (a cura di M. Mazzocut-Mis e L. Rustichelli, Hestia edizioni, Cernusco L. 1994), che raccoglie
vari scritti di Frans Hemsterhuis, si
può individuare una tematica dominante nella concezione dell’immediatezza come componente principale
della conoscenza intuitiva, che si rivela nelle varie dimensioni della vita
umana, dai sentimenti alla sfera estetica, dalla giustizia alla religione.
Nonostante la diversità degli argomenti trattati, questa raccolta di scritti di Frans Hemsterhuis, Lettera sull’uomo e i suoi rapporti, Lettera sulla scultura, Alessi o l’età dell’oro e Alessi o il militare, è caratterizzata da
una sostanziale omogeneità nell’affrontare
la questione dell’immediatezza, che è propria della conoscenza intuitiva del genio e
determina il sentimento e l’azione morale.
Ciò si evidenzia in particolar modo nella
Lettera sull’uomo e i suoi rapporti, dove
Hemsterhuis mostra l’esistenza di una forza
primitiva, la “velleità dell’uomo” o “spontaneità”, che rappresenta il centro di gravità
dell’individuo e costituisce la causa primigenia di ogni movimento, di quel movimen-
PROSPETTIVE DI RICERCA
to che agita tutto l’universo attraverso la
relazione della coppia azione-reazione. In
questo Hemsterhuis mette in evidenza come
nell’uomo esista un organo morale, che gli
rivela la dimensione morale dell’universo,
così come l’organo del tatto mostra la dimensione tangibile dell’universo e quello
della vista manifesta la sua dimensione visibile. Ciò che differenzia l’organo morale
dagli altri organi sensibili è il fatto che per
l’organo morale l’io stesso si trasforma in
“oggetto di contemplazione”, mentre per gli
altri organi le cose conosciute sono “oggetti
di contemplazione”. L’organo morale, che è
strettamente collegato con l’anima, è costituito, nei vari individui, da diversi gradi di
perfezione in relazione alle leggi naturali e
all’ordine che promana dalla coesione delle
cose. La saggezza più elevata è raggiunta
dall’uomo che è capace di adeguare tutti i
suoi comportamenti agli impulsi del suo
organo morale, senza curarsi delle istituzioni umane o dell’opinione altrui. Mediante
l’organo morale l’uomo riesce anche a stabilire un rapporto con la divinità .
Come emerge nello scritto Alessi o l’età
dell’oro, l’organo morale che si manifesta
nell’immediatezza del sentimento è governato dall’attrazione, forza che costituisce il
principio di coesione e di omogeneità di
tutto l’universo naturale. Per Hemsterhuis,
l’uomo primitivo si trovava, come l’animale, in una situazione pacifica di appagamento, poichè i suoi istinti limitati trovavano
soddisfazione negli elementi naturali. Successivamente la sua insaziabilità naturale,
mostrandogli la limitatezza di quegli oggetti, gravati irrimediabilmente dal marchio
della finitezza, lo condusse a desiderare e a
ricercare assurdamente l’infinità del “principio indeterminato” nella quantità innumerevole degli oggetti finiti. Così Hemsterhuis
auspica l’avvento di una terza età, un’età
dell’oro, nella quale l’uomo, scorgendo l’incommensurabilità tra i suoi desideri e le
possibilità di appagamento offerte dalla terra, trova il “giusto equilibrio” tra i suoi
desideri e gli oggetti.
Anche per quanto riguarda la giustizia,
come si può ricavare dallo scritto Alessi o il
militare, le leggi giuridiche devono essere
ricavate da quella essenza gravitazionale di
attrazione che domina tutto l’universo, unificandone le molteplici componenti. La
stessa giustizia divina, d’altro canto, è fondata, per Hemsterhuis, sull’unione necessaria delle cose, conseguente a una tale
attrazione naturale.
Infine, nello scritto Lettera sulla scultura
(Cfr. «Informazione Filosofica» n. 22/23,
p. 42), in cui Hemsterhuis affronta la tematica estetica, è ancora una volta dominante
la presenza di una componente unificante.
Il sentimento della bellezza sorge infatti da
una situazione eccezionale, nella quale vengono suscitate innumerevoli idee in un arco
di tempo limitatissimo. Nell’Introduzione
al volume, Maddalena Mazzocut-Mis sottolinea ulteriormente quel carattere unitario che collega l’estetica di Hemsterhuis
alla sua gnoseologia e alla sua cosmologia.
Così il principio estetico del maximum di
idee nel minimum di tempo si trasforma in
teoria della conoscenza intuitiva e in principio cosmologico che spiega l’attrazione dei
corpi e delle anime, avendo come radice
unitaria proprio l’immediatezza intuitiva.
Anche il sentimento religioso scaturisce da
una “disposizione interna naturale e immediata”. Come l’idea del bello, anche la fede
coincide per Hemsterhuis con l’intuizione
immediata, che non può essere spiegata
attraverso prove razionali. Tuttavia, osserva Mazzocut-Mis, la tematica religiosa è
caratterizzata nella filosofia di Hemsterhuis da evidenti ambivalenze: da un lato si
ispira al deismo, chiamando in causa un
essere trascendente, che viene intuito mediante la fede unita al sentimento, dall’altro
manifesta anche l’esigenza di oltrepassare
questo dualismo per realizzare la fusione
dell’anima con l’Essere Supremo. M.Mi.
La disputa sul panteismo
secondo Vaysse
Il rinnovamento dell’interpretazione
di Fichte e di Schelling ha permesso di
superare una concezione dell’idealismo tedesco come sviluppo uniforme
da Kant a Hegel. Sarebbe comunque
un eccesso inverso rinunciare a uno
sguardo d’insieme in grado di evidenziare lo straordinario concerto di problemi e di soluzioni proprio di una tale
epoca filosofica. Quest’unità di pensiero è stata recentemente messa in
luce e analizzata da Jean-Marie Vaysse nel suo studio: TOTALITÉ ET SUBJECTIVITÉ. SPINOZA DANS L’IDÉALISME ALLEMAND
(Totalità e soggettività. Spinoza nell’idealismo tedesco, Vrin, Parigi 1994),
che prende in esame la problematica
del ‘Pantheismusstreit’ (disputa sul
panteismo) come luogo d’origine della riflessione idealistica.
Nel 1785 le polemiche sul panteismo di
Lessing si estesero in Germania a macchia
d’olio, dando origine a una vera e propria
disputa filosofica, nota come Pantheismusstreit. Tale querelle è stata spesso interpretata come l’inizio della ripresa della filosofia di Spinoza nel pensiero occidentale.
Questa lettura, tuttavia, trascura l’autentica
importanza storica e filosofica della disputa.
In effetti, il Pantheismusstreit metteva in
gioco due questioni fondamentali cruciali:
l’alternativa kantiana al razionalismo dogmatico e la rielaborazione critica, perfino
radicale, dell’Illuminismo.
Consapevole dell’importanza di tale problematica, Jean-Marie Vaysse intraprende una
rilettura delle principali controversie dell’idealismo tedesco alla luce di questa querelle, che contrassegnò un momento innovativo nel pensiero tedesco. Come già ave51
vano indicato Alexis Philonenko (1983),
Jascques Rivelaygue (1990), Robert Legros
(1980), Hermann Timm (1974) e Frederick
C. Beiser (1987), uno dei primi compiti
assunti dall’idealismo tedesco fu di rispondere alla sfida al razionalismo lanciata da
Jacobi tra il 1785 e il 1787: «I problemi
sollevati in particolare da Jacobi - scrive
Vaysse - superano di gran lunga il quadro
delle cricche d’intellettuali e dischiudono
un nuovo orizzonte di pensiero, annunciando non solo i problemi che saranno propri
delle grandi partenogenesi speculative in
corso d’elaborazione, ma anche quelli propri delle ulteriori grandi imprese di distruzione della metafisica e della problematizzazione del suo fondamento in Marx, Kiergegaard, Nietzsche e Heidegger. A questo
riguardo, l’invenzione di Jacobi del concetto di nichilismo per caratterizzare la metafisica moderna è decisiva». La ragione infatti,
osserva Vaysse, è per Jacobi nichilista in
quanto si vede costretta a far scomparire
l’oggetto (volendo esplicitare il “meccanismo della sua nascita”) e al contempo il
soggetto della conoscenza (riducendo ogni
azione a un semplice effetto di una catena
determinante). Per Jacobi, l’autentico filosofo, fa notare Vaysse, deve invece «svelare
l’esistenza», e puntare «a ciò che non si
lascia esplicitare: il Semplice, l’Indissolubile». Di conseguenza, occorre compiere un
“salto mortale” fuori dalla ragione verso ciò
che la fonda autenticamente, cioè la fede
(Glaube).
Dopo aver brevemente ricordato le circostanze della querelle e in particolare la controversia fra Mendelssohn, Jacobi e Kant,
Vaysse dimostra, riprendendo le analisi di
Cassirer, come Jacobi anticipi i dibattiti
post-kantiani, invitando da un lato a un
superamento dell’Aufklärung, dall’altro ponendo il problema della cosa-in-sé di Kant.
Dal carattere aporetico (o supposto tale)
della cosa-in-sé prenderebbero infatti origine i sistemi post-kantiani: è questo, in fondo,
il nodo cruciale dello spinozismo all’alba
dell’idealismo speculativo. Il problema, osserva Vaysse, era infatti come portare a
compimento il kantismo senza cadere nei
due rischi che esso stesso aveva così scrupolosamente identificato, cioè lo scetticismo e
il dogmatismo; come superare Kant grazie a
Spinoza ed evitare Spinoza grazie a Kant.
Alla luce di questi problemi Vaysse analizza
i grandi autori dell’idealismo tedesco, mettendo in evidenza il nucleo problematico e
l’articolazione storico-filosofica dei complessi dibattiti che caratterizzano questo
periodo di pensiero. Così facendo Vaysse
chiama in causa anche le più recenti interpretazioni di Fichte, Schelling e Hegel; con
quest’ultimo, secondo Vaysse, terminerebbe il Pantheismusstreit, poiché ragione e
vita appaiono riconciliate e al contempo
Kant e Spinoza compiuti e superati, anche se
si tratta di una ricaduta nel dogmatismo e,
più che un “compimento”, sembrerebbe essere, a ben guardare, un armistizio provvisorio. P-H.T. (trad. F.M.Z.)
PROSPETTIVE DI RICERCA
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, disegno di C. Ch. Vogel, 1851
52
PROSPETTIVE DI RICERCA
Ritorno di Schelling
Con l’espressione: «Le retour de
Schelling», Xavier Tilliette salutava nel
1976, sulla rivista «Archivio di Filosofia», la rinascita degli studi schellinghiani. Di un “ritorno di Schelling” si
può forse parlare anche oggi alla luce
del prossimo congresso internazionale
dedicato a questo autore, che si terrà a
Milano nell’ottobre del 1995, a cui fa
riscontro l’edizione di una nuova traduzione del dialogo di Schelling, BRUNO (a
cura di Enrico Guglielminetti, Esi, Milano 1994) e due nuovi studi critici: SENSO
E IMMAGINE. SIMBOLO E MITO NEL PRIMO SCHELLING (Guerini e Associati, Milano 1994),
di Tonino Griffero, e KÉNOSIS DEL LOGOS.
RAGIONE E RIVELAZIONE NELL’ULTIMO SCHELLING (Città Nuova editrice, Roma 1994),
di Francesco Tomatis. I due volumi sono
stati presentati il 13 gennaio 1995 a
Torino, alla presenza di Gianni Vattimo,
Francesco Moiso e Claudio Ciancio. Di
uno studio su Schelling è autore anche
Martin Heidegger, di cui è apparso
appunto in edizione italiana lo scritto
dal titolo: SCHELLING (trad. it. di C. Tatasciore, Guida, Napoli 1994), dove l’ontologia della libertà schellinghiana viene considerata una sorta di anticipazione dei principi espressi da Heidegger in
‘Essere e tempo’ e conseguentemente
posta come fondamento dell’analitica
dell’essere.
Il percorso di ricerca delineato da Tonino Griffero in Senso e immagine attraversa a ritroso un arco di tempo della
riflessione di Schelling che dalla filosofia dell’identità va a recuperare i testi del
giovanissimo Schelling, studente a Tubinga: Antiquissimi de prima malorum
origine philosophematis Genes. III explicandi tentamen criticum et philosophicus, del 1792, e Über Mythen, historische Sagen und Philosopheme der ältesten Welt, del 1793, per poi tornare a
concludere l’analisi, seguendo la tematica del simbolo, con il Sistema dell’Idealismo trascendentale (1800) e la Filosofia dell’arte (1802-1803).
Griffero suddivide la filosofia giovanile
di Schelling in tre fasi: una fase iniziale,
tra il 1792 e il 1793, che rivela una conoscenza storico-critica della sapienza mitologica; una seconda fase, caratterizzata
dal progetto della mitologia della ragione, ed infine una terza, del periodo dell’identità, che presenta una teoria simbolico-estetica del mito. Scoperta la potenzialità filosofica del mito come modalità
conoscitiva altra accanto alla ragione, il
tentativo di Schelling in questo arco di
anni, osserva Griffero, è quello di costruire una mitologia della ragione o mitologia filosofica, che in una fase più matura
del filosofo si dimostrerà anche una filosofia della mitologia.
Sulla scia dell’idea goethiana di scrive-
re il romanzo dell’universo va ricondotto il tentativo schellinghiano di scrivere
un Lehrgedicht, una dottrina in forma
poetica o poema filosofico-scientifico,
che avesse i contenuti della fisica speculativa, espressi però nella lingua della
poesia. Era questo un primo passo verso
la Neue Mythologie (nuova mitologia)
che doveva mostrare la parentela tra
lingua poetica e lingua scientifica. Tra il
1799 e il 1802, fa notare Griffero,
Schelling credeva infatti di poter dare
corpo all’unione di filosofia e poesia in
una operazione poetica vera e propria,
tentativo che sarà successivamente abbandonato dal filosofo con l’abbandono
del punto di vista estetico come ottica di
interpretazione della stessa filosofia
della natura.
La concezione di Schelling si fonda sulla chiarificata capacità rappresentativa
del simbolo che, precisa Griffero, non è
un generico Symbol, ma un Sinnbild,
cioè unione di senso e immagine, che
permette l’autoesplicazione dell’assoluto nella sua originaria condizione edenica, ovvero l’unità di ideale e reale che
si dà solo nell’intuizione estetica. La
lingua simbolica, Bildersprache, rivela
la condizione di un’originaria non scissione tra intuizione e riflessione: tentativo di coniugare uno stato di natura
originario ad un’idea della ragione. Lo
stesso enigma del mondo può essere
sciolto da un’ermeneutica del simbolico, poiché il mondo stesso, la natura,
rappresentata come un grande organismo, ha i caratteri del simbolo. In questo
senso Griffero propone un’interpretazione della filosofia della natura attraverso il simbolo, che dopo essere stato
lingua filosofico-scientifica che permette di dire l’assoluto, modalità artistica di
dare forma all’idea, è anche organismo,
microcosmo simbolico che rispecchia la
processualità dell’universo. Il linguaggio diviene così luogo del simbolico; in
questo, Schelling riprende l’idea arcaica di un linguaggio universale, un linguaggio dei linguaggi, che mantiene
un’unità naturale tra cosa e idea e si
presenta come Natursprache, lingua di
un pensiero vivente.
A questo proposito Griffero suggerisce una
fondamentale dipendenza di Schelling
dalla letteratura emblematica, moda culturale tardosettecentesca (il culto per i
geroglifici, l’egittomania, l’araldica), soprattutto nella già citata scelta lessicale
di Sinnbild per Symbol, in cui il riferimento all’emblema indica la possibilità
di non scindere il senso dall’immagine e
di produrre una significazione immediata attraverso la presenzialità sensibile
dell’immagine (Bild). L’autorappresentatività del simbolo-emblema è al contempo autointerpretazione; in tal modo,
osserva Griffero, viene evitata la cattiva
infinità dell’esegesi allegorica.
Il campo d’applicazione privilegiata del
53
simbolo come linguaggio universale,
come organismo e come emblema risulta
essere per Schelling quello della mitologia e dell’arte. La costruzione di una
nuova mitologia è appunto il compito che
Schelling si propone: la Germania non
sarà una nuova Grecia, e non utilizzerà i
vecchi miti per esprimere i nuovi contenuti della filosofia della natura, ma dovrà
recuperare la sua “veste simbolica”, che
significa recupero della familiarità con la
natura.
Il cosmo simbolico su cui lo Schelling
basava la speranza della presenza dell’assoluto viene meno verso il 1809, con
gli scritti sulla libertà. Tuttavia, sottolinea Griffero, con Schelling non si tratta
di proporre un ritorno al mito che comporti l’esclusione del logos, della razionalità filosofica, piuttosto, conclude Griffero, «cercarne un emendamento, limitarne il soggettivismo, rendersi conto
della condizionatezza storica del modello stesso di scienza, affermatosi non da
ultimo proprio nella presunte scissione
di mythos e logos.»
Di uno Schelling più maturo e che ha
mutato il suo interesse dominante si occupa lo studio di Francesco Tomatis,
Kénosis del Logos, un’analisi del rapporto tra ragione e rivelazione, che nei
termini usuali si configura come il discusso rapporto tra filosofia negativa e
filosofia positiva nell’ultimo Schelling.
Inserendosi nell’acceso dibattito critico, che vede schierati e contrapposti
Fuhrmans, che legge la filosofia negativa come premessa a quella positiva,
che è la vera filosofia, e Schulz, che
considera la filosofia positiva come un
accadere a partire da quella negativa,
Tomatis si accosta piuttosto alle posizioni interpretative di Pareyson e
Tilliette, che considerano globalmente
le due filosofie. Il percorso proposto da
Tomatis parte dalle lezioni di Schelling
a Monaco di Baviera negli anni 18271836, considerato come periodo preparatorio alla filosofia positiva, per arrivare agli ultimi anni del soggiorno di
Schelling a Monaco, al periodo berlinese e all’elaborazione della Filosofia razionale, tra il 1837 e il 1854, vera ultima
fase del pensiero schellinghiano che,
secondo Tomatis, «andrebbe interpretata come “teologia razionale positiva”,
che si apre alla storicità della rivelazione cristiana, cioé al dono e all’amore in
cui consiste la libertà di Dio».
Ma cosa dobbiamo intendere con filosofia negativa e filosofia positiva? “L’intimo, insolubile dissidio” del sapere
umano, spiega Tomatis, è dato dalla ricerca del Principio, del Soggetto che
diviene il protagonista stesso del sapere
e a cui deve giungere il sapere umano
attraverso il mutare e il succedersi di
tutti i sistemi di sapere. Ma in quanto
Soggetto assoluto, esso risulta inafferrabile, “è” ma “non può essere ciò che
PROSPETTIVE DI RICERCA
è”. La teologia negativa finisce per definirlo come quell’ente particolare che è il
ni-ente: a questo concetto negativo di
quel Soggetto assoluto, che va ricercando, arriva l’ascesi della ragione, senza
poterlo esprimere in modo propositivo.
Qui si colloca la distinzione tra estasi
negativa ed estasi positiva: la prima pone
l’uomo di fronte alla realtà della sua
separazione dal Soggetto assoluto e lo
getta nella crisi; ad essa succede l’estasi
positiva, l’atto di volere che porta alla
rinuncia di ogni sapere per fare spazio al
Soggetto.
Tomatis indica nel periodo dal 1837 al
1854, il momento in cui in Schelling
l’akme dell’estasi e la crisi inducono alla
realtà positiva, a Dio come libera rivelazione, dando adito al passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva: dopo
una prima crisi (“estasi di Erlangen”) l’Io
rinuncia a sé e riconosce la necessità di
assimilarsi all’assoluto; una seconda crisi (“estasi di Berlino”) fa conoscere alla
ragione lo stupore, il doversi aprire a
Dio. Il problema della filosofia positiva,
fa notare Tomatis, è infatti il dar forma al
pre-concetto che è Dio stesso, a quel
prius della ragione e di Dio, che solo a
posteriori comprendiamo come Dio. Questo Dio come actus purissimus deve perciò avere la possibilità di essere; la creazione è uno dei modi attraverso cui Dio
può mostrarsi altro da sé, e di porsi con
questo fuori di sé, cioè fuori dal prius. La
creazione, lotta estrema contro il nulla,
a partire dal nulla, conferma il primato
di Dio signore dell’essere, che in tal
modo viene dato dal Padre al Figlio e
quindi allo Spirito, secondo l’ortodossia della Trinità; in questo, sottolinea
Tomatis, l’uomo viene solo alla fine
della creazione ed è contemporaneamente il fine della creazione, in quanto vero
altro da Dio, individualità libera come
Dio che ha esistenza solo ed esclusivamente grazie a Dio.
Come rileva Tomatis, secondo Schelling
l’errore umano è stato di non accontentarsi di essere “come Dio” (wie Gott), ma
di aver preteso di essere “in quanto Dio”
(als Gott). La caduta dell’uomo segna
l’inizio dell’età del Figlio: il Padre si
ritira in attesa del ritorno del Figlio e
dell’uomo stesso redento dal peccato; Il
Figlio si allontana dal Padre, per accompagnare l’avventura dell’uomo e ricondurlo sulla via del ritorno. Solo il Figlio
di Dio, infatti, abbassandosi al livello
dell’uomo, fino alla morte, potrà salvarlo
dalla caduta e ricondurlo a Dio, a scoprire Dio come al di là dell’Io, come origine.
Nell’attesa del ritorno dell’uomo dopo
l’opera di redenzione del Figlio, osserva
inoltre Tomatis, Dio Padre manifesta una
docta ignorantia: sa già tutto del futuro
degli uomini; eppure, nel momento del
ritorno, sa che l’uomo, pur tornato ad
immediato contatto con la creazione, può
manifestare la libertà di rifiutarsi al redi-
tus. In questo, secondo Schelling, l’uomo ha una possibilità di de-creazione
solo nella misura in cui ritarda il riconoscimento del Figlio come Figlio di Dio. É
questa per l’uomo la prova, storicamente mai conclusa, dell’esistenza di Dio.
L’uomo nel periodo in cui attende il
ricongiungimento a Dio, vive nell’ignorantia Dei. L’attesa è attesa della rivelazione di Dio nel mondo, e dopo la morte
e la resurrezione di Cristo l’opera del
Figlio continua in una interiore lotta
contro Satana e in una ekklesia visibile,
dove sarà l’uomo stesso a continuare
l’opera di Dio. F.V.
Ricavato da un corso tenuto nel 1936, lo
Schelling di Martin Heidegger costituisce il tentativo, peraltro riuscito, di ricondurre la filosofia schellinghiana, e in
particolare le ricerche sull’essenza della
libertà, all’ontologia dell’essere. Secondo Heidegger, la libertà analizzata da
Schelling non riguarda esclusivamente
l’uomo, quanto l’essere nella sua autenticità e si pone per questo come strumento per accedere all’ontologia. Come in
Essere e tempo l’Esserci costituirà l’elemento mediatore tra l’essere e l’ente,
così la libertà in Schelling si pone come
il fondamento comune tra Dio e uomo e,
di conseguenza, come il principio della
differenza ontologica.
Heidegger analizza minuziosamente, dal
punto di vista etimologico e concettuale,
il pensiero di Schelling, arrivando a porre il panteismo come il presupposto dell’ontologia della libertà. Infatti, contro
l’equazione di panteismo e necessità,
Heidegger dimostra che il pensiero panteista ha come fondamento la libertà ontologica. Qui, la libertà dell’uomo presuppone necessariamente quella di Dio e
pone le basi per una metafisica dell’abisso, in cui l’identità di pensiero ed essere
si manifesta con tutti i suoi limiti. In
Schelling, Heidegger ritrova infatti, da
una parte, la consapevolezza del limite
dell’idealismo e dell’apoteosi della ragione e, dall’altra, la ricerca di un’ontologia che, se nei saggi sulla libertà si
coglie nell’ethos e nella volontà, in Essere e tempo si compie come aletheia dell’Essere che non è più verità come trasparenza, ma come nascondimento e svelamento.
Il mondo privato dal Dio assoluto e autotrasparente, diventa in tal modo la
patria del finito che, in Schelling come
in Heidegger, rimane l’unico elemento
di abbandono dell’individuo. Limite di
Schelling, nota Heidegger, è il non aver
compiuto l’ulteriore passo, il non aver
compreso che se l’essere è libero, e perciò finito, si pone in stretta relazione
con il nulla. D’altra parte, riconosce
Heidegger, il contesto idealistico e l’autorità di Hegel hanno impedito a Schelling
di comprendere totalmente l’erramento
dell’Essere. A.S.
54
Il sigillo di Bruno
La pubblicazione della prima traduzione italiana dell’opera di Giordano Bruno, IL SIGILLO DEI SIGILLI. I DIAGRAMMI ERMETICI, (a cura di U. Nicola, tr. it. di E.
Colombi, Mimesis, Milano 1995) offre
la possibilità di riflettere su una modalità del pensiero filosofico, quella analogica-figurativa, che si affianca a quella logica-sequenziale. Intanto, di Bruno viene pubblicata in Francia, nella
traduzione di Yves Hersant, LE SOUPER
DES CENDRES (La cena delle ceneri, Les
Belles Lettres, Parigi 1995), a cui fa
riscontro una biografia non romanzata ad opera di Bertrand Levergeois,
GIORDANO BRUNO (Fayard, Parigi 1995).
Il valore di questa edizione italiana de Il
sigillo dei sigilli è costituito anzitutto dall’opera di recupero, nella sua integrità e
completezza, dei Diagrammi ermetici, repertorio grafico-simbolico di complemento all’esposizione teorica. In quest’opera
Bruno redige una sorta di mappa della
mente e della sua funzionalità modulare,
con l’intento di «confrontare tutte le disposizioni dell’animo e perfezionare le
attitudini», come recita il sottotitolo, affinché le facoltà della mente risultino potenziate proprio dalla rappresentazione
iconica delle sue funzionalità. Il “Sigillo
dei sigilli” viene esemplificato da Bruno
tramite un’immagine tradizionale degli
epigoni di Raimondo Lullo, utilizzata
per mostrare il concetto di “mente di Dio”,
in cui la totale e contemporanea connessione del tutto con il tutto viene rappresentata secondo quella combinatoria mentale
che è alla base, oltre che dell’ars memorandi, anche dell’ars inveniendi: le connessioni confluiscono tra loro in un centro, in un avvicinamento all’Unità, all’Ordine, che è a sua volta un procedere all’Infinito che sfugge alla totale comprensibilità.
Emergono qui quelle che per Bruno rappresentano le tre funzioni della mente e il
loro modo di procedere: il senso, con la
sua rettilineità; la ragione, con la sua circolarità; l’immaginazione, con la sua obliquità. In quest’ultima risiede il centro
operativo della mente, che in questo si
avvale della capacità dell’immaginazione
di produrre strumenti per la memorizzazione e l’invenzione, quali le figurazioni
naturalistico-simboliche (“statuificazione”) e le costruzioni semi-geometriche
(“sigillazione”). In tale prospettiva, il significato dei sigilli è sia mnemonico, sia
inventivo; in altri termini, attraverso la
creazione di connessioni grafiche, utili
alla memoria, emergono connessioni di
elementi concettuali dapprima inosservate. L’ars combinatoria si unisce, in tal
modo, con l’ars memoriae in quel particolare tipo di osservazione che è la rappresentazione analogica. La “scienza dei sigilli” si presenta, dunque, come una meta-
PROSPETTIVE DI RICERCA
conoscenza di carattere generale, fondata
sulla raffigurazione delle tracce mnestiche e dei processi cognitivi.
La tradizione critica ha in passato considerato i disegni di Bruno o mere decorazioni, o “evocazioni grafiche di démoni”,
accreditando l’idea di Bruno come “mago
ermetico”, secondo la definizione, ad
esempio, di Francis Amelia Yates. Altre
volte questi sigilli sono stati considerati
una forma di linguaggio cifrato, strumento segreto di comunicazione di una setta
fondata dallo stesso Bruno, i “Giordanisti”. Ubaldo Nicola, curatore dell’edizione italiana de Il sigillo dei sigilli, è invece
dell’opinione che si tenda, con queste critiche, a imputare alla magia ciò che semplicemente appare oggi poco comprensibile, come le capacità potenziali della
mente risvegliate dalla mnemotecnica, di
cui Bruno era uno studioso, oltre che un
prodigioso praticante. La spiegazione
mnemotecnica, secondo Nicola, sarebbe
invece la chiave per comprendere Il sigillo dei sigilli non come un manuale di
psicologia descrittiva, ma come parte programmatica di un progetto di potenziamento “artificiale”, cioè non immediatamente dato in natura, della conoscenza,
attraverso la riabilitazione di forme di
pensiero trasversali, quali i segni grafici,
le figure, i simboli.
Possiamo leggere il sigillo bruniano anche come la figura rappresentativa di “un
ordine delle cose negli accidenti”, che si
avvicina a ciò che Jaspers denominava
“cifra”, ovvero il modo con cui la trascendenza e l’inogettivabilità dell’Essere si
rende immanente nella visibilità e visualizzabilità del simbolo. Il mondo è ciò che
costituisce questo linguaggio cifrato, questa scrittura ermetica. D’altra parte, anche
il lessico di Bruno può dirsi cifrato, visivo, dato l’uso continuo di metafore e figuralità, mutuate dalla teologia della luce.
L’opera di Bruno è divenuta in questi
ultimi anni in Francia oggetto di particolare interesse. Yves Hersant è il curatore
della recente traduzione francese della
Cena delle ceneri, il primo dei dialoghi
metafisici in cui Bruno, attento interprete
dello Spirito della sua epoca, dialoga in
volgare con Copernico e Tolomeo sulla
“divinità innumerabile degli astri”, sull’infinità dell’universo e quindi sull’infinità dei soli. Dopo l’epoca del trionfo
della misura e dell’armonia, si arriva sul
finire del ‘500 e agli inizi del ‘600, passando attraverso gli studi magici e alchemici,
alla scoperta dell’innumerabile, dell’infinito e quindi dell’indecidibile. L’influsso
su Bruno di questa particolare situazione
culturale spingeva Joyce, nel 1903, a ravvisare nello stile di pensiero bruniano
“l’ebbrezza di Dio”, quell’ubriacarsi della ragione che supera il proprio limite e
che porta Bruno ad essere “il padre della
filosofia moderna”.
A questa traduzione si affianca la biografia non romanzata di Bruno ad opera di
Bertrand Levergeois, uno dei massimi
studiosi in Francia dell’opera brunniana,
al quale si devono anche le traduzioni in
francese de L’infinito, l’universo e i mondi, L’espulsione della bestia trionfante,
La Cabala del cavallo Pegaso.
La biografia di Levergeois è un’attenta
ricostruzione della vita e dell’opera di
Bruno, al di là delle leggende che corrono
attorno alla sua vita. Biografia precisa e
scrupolosa, ricca di particolari, che mostra Bruno come uomo del suo tempo,
quel Rinascimento tragico che volge alla
sua fine, in quel debordare della misura
nell’infinità del cosmo che fece di Bruno
un eretico. G.Di L.
Pragmatismo: promesse
e delusioni
Lo studio di John P. Diggins, THE PROMISE OF PRAGMATISM: MODERNISM AND THE
CRISIS OF KNOWLEDGE AND AUTHORITY (La
promessa del pragmatismo: modernità e crisi di conoscenza e autorità,
University of Chicago Press, Chicago
1994) è incentrato sui problemi sollevati dalle riflessioni sulla modernità
dello storico Henry Adams. L’attualità
della ricerca di Diggins sul pragmatismo sta nella sostanziale ripresa delle
teorie di Richard Rorty, di cui viene
delineata un’analisi critica a partire
dalle disillusioni provocate dal pragmatismo originario.
L’attenzione di John P. Diggins si concentra sugli autori fondamentali del pragmatismo, John Dewey, William James,
Charles Sanders Peirce; principale riferimento delle sue analisi resta però lo storico Henry Adams e la sua concezione
del mondo moderno. Adams e Dewey
appaiono qui come i portatori di due
visioni della modernità completamente
divergenti e opposte: il primo sostiene
che la vita moderna è definita dalle sue
perdite, quali l’agnosticismo o la scoperta di Darwin che gli uomini sono solo una
parte del regno animale. Con la morte
dell’universo e del pensiero magico tutto
ciò con cui abbiamo a che fare, osserva
Diggins, sono la scienza della natura e il
calcolo razionale, che tuttavia non ci possono dire niente a proposito di ciò che
dobbiamo volere o perseguire. Dewey è
invece presentato da Diggins come il
portavoce di una posizione che afferma
che la condizione moderna sia più un
guadagno che una perdita, nella convinzione che i problemi della modernità fossero più apparenti che reali.
Il XIX secolo, secondo Diggins, ha tentato di dare una risposta al problema della
presenza nel mondo di una divina provvidenza. L’insoddisfazione di Adams nei
confronti delle risposte che la modernità
55
ha saputo dare a questo problema è determinata dal fatto che né la scienza, nè la
storia, sono in grado di rilevare alcun
ordine che sottenda al divenire degli eventi. Il totale disincanto venne per Adams
dall’incontro con la nuova fisica: il processo di entropia significò per lui la conferma che ogni cosa stava precipitando in
uno stato di disordine e disunione, del
tutto in balia del caso e inesplicabile; la
ricerca di una teoria della storia che potesse rendere intelligibile e docile il mondo era finita nel nulla.
Da un tale punto di vista, tanto meno
potevano rassicurare Adams le soluzioni
di Dewey, secondo il quale, come mostra
Diggins, in una società più soddisfacente
di quella della fine del XIX secolo in
America i tormenti metafisici si sarebbero
estinti. In Dewey assistiamo ad una deviazione dell’inquietudine metafisica e religiosa in riforma politica e sociale, che
tuttavia fallì disastrosamente: Pearl Harbour è stata la più brutale delle possibili
dimostrazioni di fallimento politico che il
pragmatismo e l’isolazionismo di Dewey
potesse dare. Di fatto, osserva Diggins, il
pragmatismo è stato sempre impotente
come guida dell’azione politica.
L’attenzione di Diggins per il pragmatismo è dovuta in particolare alla ripresa di
questa corrente nel neopragmatismo di
Richard Rorty che, esattamente come
Dewey, predica l’autosufficienza del
mondo quotidiano. Rorty, sottolinea Diggins, insiste sul fatto che le politiche
liberaldemocratiche non necessitino di
alcun fondamento filosofico al di fuori
della nostra accettazione della narrazione edificante della storia americana: la
storia di una nazione dedita alla libertà e
all’uguaglianza e in grado di offrire opportunità e appagamento individuale. Una
tale narrazione edificante, sostiene Diggins, non è credibile in se stessa, né
sufficientemente condivisa, per poter
provvedere a tutto il sostentamento politico che essa necessita. Che vi sia grande
polemica sui principi primi, sostiene Diggins, è dato dalla casuale rinuncia da
parte di Rorty di dare un fondamento
filosofico ai principi primi, proprio perché non è possibile concordare su una
tale narrazione edificante. Alla prospettiva indicata da Rorty Diggins preferisce
l’ironia dei Padri Fondatori: la loro disillusa comprensione della fragilità della
natura umana e l’inevitabilità della contaminazione di alti ideali con bassi interessi era radicata nella vita politica. La
loro retorica era accompagnata dalla comprensione degli interessi che era necessario
soddisfare se si voleva dare un senso a quella
stessa retorica; così costruirono una narrazione edificante del nuovo mondo politico
che stava nascendo, pur non perdendo di
vista la sua verità. Se furono pragmatisti,
non lo furono in senso filosofico, ma in
funzione di uno spiccato interesse per l’abilità dell’artefice istituzionale. M.B.
NOTIZIARIO
È da pochi giorni disponibile nelle
librerie italiane la BIBLIOGRAFIA
DEGLI SCRITTI DI NORBERTO
BOBBIO 1934-1993 , (Laterza,
Roma-Bari 1995), curato da Carlo
Violi. Il volume, cinquecento pagine
per documentare l’attività del filosofo torinese, saggi, recensioni, pubblicazioni (2040 titoli), è preceduto da
una Autobiografia intellettuale, che
riporta il testo della relazione introduttiva al Convegno: “La figura y el
pensamiento de Norberto Bobbio”,
svoltosi presso l’Università Menéndez Pelàyo di Santander tra il 20 e il
24 luglio 1992. Apre l’elenco bibliografico la citazione dello scritto:
Aspetti odierni della filosofia giuridica in Germania, apparso nel 1934
sulla «Rivista Internazionale di filosofia del diritto».
Di Norberto Bobbio, la Princeton
University Press ha recentemente
pubblicato Ideological Profile of
Twentieth-Century Italy, nella traduzione di Lydia Cochrane. Il volume
è in uscita negli Stati Uniti nel mese di
ottobre 1995 e nel mese di dicembre
1995 negli altri paesi. L.S.
Dopo essersi dedicati alla stesura della monumentale Storia della civiltà in
45 volumi, che dai primordi della
civiltà giunge fino all’età napoleonica, ne LE LEZIONI DELLA STORIA
(Araba fenice, Cuneo 1995) Willi e
Ariel Durant affrontano il significato della storia in relazione a tematiche
come la biologia, il carattere, la morale, l’economia, il socialismo, il progresso. L’obiettivo è quello di proporre una concezione sintetica della
storia, in grado di oltrepassare ogni
separazione di carattere specialistico,
ricostruendo l’ambiente storico-politico all’interno del quale eventi e fasi
storiche sono avvenuti e decaduti. La
storia, per i Durant, non potendo essere identificata con la scienza e dunque conosciuta nella sua completezza, si deve basare necessariamente su
“conoscenze parziali” e su “probabilità provvisorie”.
Nell’analizzare le “ragioni” della storia, i Durant esplorano diversi ambiti
ad essa collegati. Così, se da un lato la
geografia è la “matrice” della storia,
dall’altro la storia stessa è un “frammento” della biologia. Importante risulta anche il ruolo della razza nella
formazione delle civiltà, poiché ogni
cultura crea un tipo di uomo con le
sue abitudini e le sue tradizioni. D’altra parte, è la natura umana che costituisce il fondamento stesso della storia, quale totalità dei principali sentimenti dell’umanità.
Altri ambiti importanti, posti in relazione con la storia, sono la morale e la
religione. La morale influenza la storia nella misura in cui risulta costituita da regole, attraverso le quali una
società richiede agli individui che la
compongono di attenersi ad un comportamento adeguato. D’altra parte, i
Durant auspicano una conciliazione
tra filosofia e religione, ritenendo fondamentale il legame della morale con
la religione, dato che nella storia non
NOTIZIARIO
è possibile rinvenire esempi significativi di società che abbiano difeso i
principi essenziali della vita morale
senza l’appoggio della religione.
Unica eccezione sembra essere, per i
Durant, il comunismo, che tuttavia
può essere considerato come una specie di “temporanea sostituzione” della religione.
Fondamentale nella storia risulta essere anche la funzione svolta dall’economia produttiva: dal momento
che la concentrazione della ricchezza
è la conseguenza inevitabile della
concentrazione delle abilità, è necessario, per i Durant, realizzare una
sintesi tra capitalismo e socialismo in
modo da limitare la mancanza di eguaglianza nel capitalismo, la privazione
della libertà nel socialismo.
Un altro problema che attraversa tutta la storia, osservano i Durant, è
quello relativo alla forma di governo
più idonea per uno Stato. Questa
sembra essere la democrazia, nonostante i suoi evidenti difetti. La guerra, tuttavia, viene considerata una
“costante” della storia dell’umanità,
poiché inerisce allo stesso principio
di selezione naturale proprio della
specie umana. M.Mi.
ch for Similarity in the Linguist’s
Cognition, di Raffaele Simone. Bisognerà attendere l’estate per il secondo
volume della collana, Knowledge
Trough Signs. Ancient Semiotic Theories and Practices, che conterrà contributi di G. Minetti, U. Eco, A. Long,
D. Sedley, D. Glidden, G. Verbeke,
E. Asmis, D. Maggi, M. Vegetti, W.
Leszl, G. Pucci, F. Lo Piparo, M.
Bettini, M. Bettetini. La collana, che
prevede altri tre volumi, Hjemslev
aujourd’hui, The Future of the Book,
Phonosymbolism and Poetic Language, è curata da Umberto Eco e Patrizia
Violi. L.S.
Con la sua monografia dedicata a
ANTIOCO ZUCCA. UN FILOSOFO
SCONOSCIUTO (Editrice 2D Me-
diterranea, Sassari 1992) Antonio
Pinna ripercorre le linee essenziali
del pensiero filosofico di Zucca, partendo dall’analisi delle sue prime
opere, tra le quali L’uomo e l’infinito,
fino a giungere alla sua ultima opera
filosofica, I rapporti tra l’individuo e
l’universo. La riflessione teorica di
Zucca, come rileva Pinna, nasce dall’intento di avvicinare l’uomo all’infinito, nonostante la limitatezza e contingenza umana, nella convinzione
che la coscienza dell’infinito possa
consentire all’uomo di superare la
sua condizione transeunte e finita,
proiettandolo verso un «essere infinito, necessario, perfetto». Questo essere infinito, secondo Zucca, è l’universo visibile formato da molteplici
mondi caratterizzati da una successione eterna di nascita e di morte; in
tale prospettiva l’uomo concretizza
l’esistenza oggettiva dell’infinito.
Zucca, osserva Pinna, pur provenendo dal positivismo di Ardigò e dal
materialismo, non condivide la fiducia positivistica nella scienza e nella
sua capacità di fornire una soluzione
soddisfacente agli enigmi dell’universo. Inoltre si oppone alla tesi positivistica dell’esistenza dell’inconoscibile, credendo nella possibilità di cogliere l’Assoluto, che tuttavia non
deve essere identificato con la trascendenza.
A questo proposito, rileva Pinna, il
progetto di Zucca appare caratterizzato da un evidente risvolto etico,
laddove si sostiene che l’uomo deve
basarsi unicamente sulle sue forze,
L’International Center for Semiotic
and Cognitive Studies dell’Università di San Marino propone una nuova
collana, SEMIOTIC AND COGNITIVE STUDIES, in cui verranno pubblicati i testi delle conferenze tenutesi
presso il Centro dal 1988 a oggi. Il
primo volume oggi disponibile, Similarity in language, thought and perception, a cura di Cristina Cacciari,
raccoglie i contributi alla conferenza
su “Similarity in Language, Thought
and Perception”, tenutasi nel 1991
presso il Centro. Questi i titoli dei
saggi raccolti nel volume: The Old
Town No Longer Looks the Same:
Computation of Visual Similarity after Brain Damage, di Glyn W. Humphreys, M. J. Riddoch; Simmetry and
Similarity: The Phenomenology of
Decorative Patterns, di Michael Kubovy; Metaphoric Comparisons, di
Sam Glucksberg, Deanna Manfredi;
The Predicates of Similarity, di Douglas L. Medin, Robert Goldstone; Similarity is like analogy: Structural
Alignment in Comparison, di Dedre
Gentner, Arthur Markman; The Sear-
56
senza appoggiarsi a divinità o ad essenze metafisiche: la coscienza individuale deve trasformarsi nella coscienza stessa del cosmo, determinando la formazione di un “uomo
cosmico”, per il quale la morte non
esiste. Nell’acquisizione della coscienza di sé, l’universo infinito implica il passaggio dalla materia inorganica a quella organica, dal vivente
inconscio a quello cosciente.
Nella sua ultima opera, I rapporti tra
l’individuo e l’universo, Zucca accentua il carattere pampsichico della
realtà cosmica, in cui l’uomo acquisisce sempre di più la funzione di realizzare la sua componente infinita
attraverso il pensiero del cosmo. Questa visione pampsichistica dell’universo sarà ciò che determina la critica
di Zucca alla concezione cristiana e
cattolica di Dio, basata su un Dio
tiranno e sulla mancanza di libertà.
Nella sua ricostruzione, Pinna evidenzia anche un legame tra la filosofia di Zucca e la concezione pessimistica di Leopardi della “natura matrigna”. A differenza di quest’ultimo,
Zucca crede tuttavia nel progresso,
dove sofferenze e lotte costituiscono
contrasti inevitabili che favoriscono
la consapevolezza sempre più ampia
dell’infinito.
Tra i critici che si sono occupati di
Zucca, Pinna sottolinea la posizione
di Tarozzi, che stabilisce un legame
tra il positivismo di Zucca e la filosofia di Ardigò, dal quale proverrebbero quegli elementi vitali, necessari
per una concezione pampsichistica
dell’universo. La critica di Tauro tende invece a vedere in Zucca un idealista, sebbene sia presente nel suo
pensiero una concezione naturalistica della vita. M.Mi.
In occasione del centenario della
morte (1894) di HERMANN VON
HELMHOLTZ, sono stati pubblicati
una raccolta di saggi, a cura di Lorenz Krüger, Universalgenie Helmoltz: Rückblick nach 100 Jahren (Il
genio universale di Helmholtz: retrospettiva dopo 100 anni, Akademie
Verlag, Berlino 1994), che presenta
una serie di analisi storiche e filosofiche sulla posizione epistemologica di
Helmholtz, e lo studio di Helmut
Rechenberg, Hermann von Helmoltz.
Bilder seines Lebens und Wirkens
(Hermann von Helmholtz. Immagini
della sua vita e della sua attività,
VCH, Weinheim 1994), che propone
una biografia intellettuale dello studioso.
Il volume curato da Krüger pone l’accento sulla vastità degli interessi culturali di Helmoltz, che non fu solo un
grande matematico, fisico, fisiologo,
medico e psicologo (Freud fu notoriamente suo allievo), ma coltivò anche interessi teoretico-filosofici e influenzò, con i suoi studi nel campo
dell’acustica, lo stesso Schönberg. Gli
autori dei vari contributi del volume
hanno infatti cercato di mostrare come
le scoperte di Helmholtz fossero il
prodotto dell’intricata concatenazione di costruzioni concettuali, ambiente
NOTIZIARIO
culturale locale e strutture private ed
universitarie dell’organizzazione
scientifica. Particolarmente eterogenee si rivelano le analisi relative ai
fondamenti filosofici del programma
meccanicistico di Helmholtz, da lui
stesso sintetizzato nell’affermazione
che «lo scopo finale della scienza è di
risolversi nella meccanica»; conoscere la natura significa dunque scoprire
la legge matematica che è causa di
tutti i fenomeni fisici.
Tra i vari contributi al volume, Gregor Schiemann rileva che la considerazione puramente materialistica
del mondo naturale, condivisa da
Helmoltz a partire dal 1860, permette
di negare qualsiasi rapporto effettivo
tra la sua visione della natura e le
filosofie di Leibniz e Kant, ancora
legate a presupposti metafisici ormai
superati. Di diverso parere sono invece Krüger e Röseberg, che sottolineano il debito di Helmholtz nei confronti delle filosofie naturali del XVIII secolo, mentre Heidelberger identifica nell’idealismo soggettivo di
Fichte la fonte teoretica dei fondamenti epistemologici della ricerca
helmholtziana. Helmoltz parlava infatti di “attività propria dello spirito”,
che si mantiene estraneo al determinismo del mondo dei corpi ed è superiore ad esso in forza della propria
capacità produttiva (a lui si deve la
scoperta della dipendenza dei fasci
nervosi dai gangli cerebrali).
La monografia di Helmut Rechenberg si ispira in modo abbastanza
fedele alla biografia in tre volumi di
Leo Koenigsberger, datata 1902/
1903, integrandola con fonti aggiuntive. Risultato è una trattazione cronologica dei successi scientifici di
Helmholtz, documentati da lettere,
articoli e libri, nonché da episodi e
aneddoti biografici di importanza rilevante per la definizione del personaggio, anche se fattori “interni” ed
“esterni” della sua vicenda esistenziale rimangono estranei gli uni agli
altri, come se la sua vita non fosse
altro che un corollario del lavoro scientifico. L.R.
Per la collana Biblioteca di Cultura
Moderna è stato pubblicato il volume
LA RELIGIONE. ANNUARIO FILOSOFICO EUROPEO (Laterza, Roma-
Bari 1995), a cura di Jacques Derrida e Gianni Vattimo. Oltre a una
breve introduzione dei curatori sull’origine e gli intenti dell’opera, il
volume contiene contributi di G. Vattimo, E. Trias, A. Gargani, V. Vitiello, M. Ferraris, J. Derrida e H. G.
Gadamer. L’opera esce contemporaneamente anche in Francia, per i tipi
di Le Edition du Seuil. L.Sa.
Con la pubblicazione del primo volume dal titolo: Theodor Lessing. Bildung ist Schönheit. Autobiographische Zeugnisse und Schriften zur Bildungsreform (Theodor Lessing.
L’educazione è bellezza. Testimonianze autobiografiche e scritti sul-
la riforma dell’educazione, Donat
Verlag, Brema 1995) ha avuto inizio l’edizione delle opere scelte di
THEODOR LESSING, curata da
Jörg Wollenberg con la collaborazione di Ruth Schwalke e Helmut
Donat.
In questo primo volume occupano un
posto di rilievo gli scritti pedagogici,
elaborati da Lessing sulla base delle
esperienze didattiche da lui vissute al
ginnasio di Haubinda e alla Volkshochschule di Hannover. In entrambi i
casi, Lessing cercò di integrare l’insegnamento tradizionale con una prassi educativa che prevedeva esperienze di rapporto diretto con i mondi
della natura, del lavoro e della società, al fine di conferire anche agli individui meno privilegiati la capacità e
la possibilità di esprimere la propria
condizione. Inoltre, Lessing fu uno
dei primi acuti critici della catastrofe
ecologica che lo sviluppo industriale avrebbe prodotto e riconobbe l’importanza di un’educazione del popolo imperniata non solo sul rapporto
con la patria e la tradizione, ma supportata anche dal riferimento ai “demoni” della natura, che costituiva
per lui un’efficace metafora della
realtà umana.
La pedagogia di Lessing, permeata da
pathos socialista e influenzata dalle
riflessioni schopenhaueriane sul dolore come evidenza universale, può venire fondatamente considerata una
“pedagogia dell’autonomia”, volta ad
emancipare gli spiriti dalla loro originaria situazione di subordinazione ed
inconsapevolezza. L’anticonformismo
delle riflessioni di Lessing sembra però
sfuggire a Jörg Wollenberg, curatore
di questo primo volume delle opere,
che si fa implicitamente scudo di una
concezione tradizionale dell’educazione, intesa come “assistenza”, e sulla
scorta di questo presupposto procede a
una selezione delle opere decisamente
riduttiva, a cui si contrappone un apparato critico eccessivamente ampio e
dettagliato. L.R.
Da quando Wilhelm Dilthey, nel secolo scorso, formulò il suo programma per un “Archivio della letteratura”, la pubblicazione degli epistolari
dei filosofi appartiene ai generi letterari della storia dello spirito. Non va
dimenticato, però, che da allora il
rapporto tra i filosofi e il loro pubblico è molto cambiato. Se, ad esempio,
il dialogo filosofico fra Leibniz e
Voltaire conteneva senza dubbio un
APPUNTI
In riferimento all’incongruenza rilevata da Franco Melandri in “Appunti” del numero 24 di «Informazione
Filosofica» (p. 51), l’autore dell’articolo in questione,
Manfredi Mannato, fa notare che l’equivoco è sorto
soprattutto a causa di alcuni tagli redazionali, impropriamente apportati alla stesura originale dell’articolo, che ne
hanno provocato lo “snaturamento”. Se l’articolo «fosse
stato riportato nella sua integralità - ribadisce Mannato si sarebbe capito che la mia interpretazione era esatta, in
quanto per Herzen la realtà - natura, uomini, cose - è
“UNA” e soltanto “UNA”. L’accostamento al mondo della
natura (segue citazione da A. Herzen, Dall’altra sponda,
Milano 1993, p.76) voleva essere, ancora una volta, un
modo o un momento significativo per rigettare qualsivoglia filosofia della storia o prospettiva finalistica del
mondo». La Redazione prende atto dell’intervento che ha
causato l’equivoco, scusandosi con l’autore.
Nel numero 24 di «Informazione Filosofica», all’interno
dell’Intervista a Remo Bodei (p.7), a causa di una svista
nella correzione redazionale del testo, è stato involontariamente stravolto il senso di una frase: «Mi viene in
mente Rosa Luxemburg, che negli anni Cinquanta diceva
che non vi sono rivoluzioni tentate e fallite.» La frase
deve essere rettificata come segue: «Mi viene in mente
Rosa Luxemburg, che diceva: “meglio cinquanta rivoluzioni tentate e fallite che nessuna”». Ci scusiamo con
l’autore della suddetta intervista, ringraziando Tiziano
Tussi per la segnalazione dell’errore.
57
implicito riferimento a una “comunità” letteraria e filosofica, a distanza di
un secolo un pensatore come Nietzsche poteva considerare la pubblicazione delle proprie lettere «una grave
scorrettezza». Per un filosofo contemporaneo, «avviluppato nella rete
del linguaggio», il proprio epistolario
costituisce addirittura un «libro a parte» (Kafka), il cui stile e il cui spirito
riflettono la crisi del linguaggio tipica
del nostro tempo.
Il desiderio di custodire la propria
vita privata e nello stesso tempo coltivare una dimensione pubblica caratterizza anche la corrispondenza di
Edmund Husserl che, se da un lato si
definisce un «solus ipse completamente isolato», da un altro si lamenta
di dover sbrigare una «ricchissima
corrispondenza»; questi considerava
infatti le lettere come «visite», che
meritavano una grande attenzione,
ma che nello stesso tempo lo distoglievano dal «compito della sua vita»,
cioè il «completo sovvertimento della filosofia intera». Ciò nonostante,
che le lettere di Husserl rivestano una
grande importanza per l’adeguata
comprensione del suo pensiero, risulta chiaramente nella Prefazione alla
«Husserliana» e trova ulteriore riscontro nella recente pubblicazione dell’edizione completa, in 10 volumi, a
cura di Elisabeth e Karl Schuhmann,
della sua corrispondenza: EDMUND
HUSSERLS BRIEFWECHSEL (Edmund Husserl: corrispondenza, «Husserliana», vol. III, Kluwer Academic
Publishers, Dordrecht-Boston-London 1994).
Per quanto alcune parti e frammenti
(ad esempio lo scambio epistolare
con Roman Ingarden), siano già stati
pubblicati, oggi è finalmente possibile gettare uno sguardo d’insieme sulla vastissima corrispondenza di Husserl, a partire dal rispettoso scambio
di idee con Brentano, suo maestro,
attraverso i rapporti con i colleghi
all’interno e al di fuori del movimento fenomenologico, fino all’intensa e
sofferta ricerca di discepoli e successori, quali Fink, Heidegger e Landgrebe. Tutto ciò, se da una parte documenta l’estrema versatilità dell’opera del filosofo, dall’altra getta una
luce sull’uomo Husserl, il quale, pronto ad accogliere incondizionatamente domande che lo chiamavano in
causa «da tutto il mondo», non esitava nello stesso tempo a rettificare
gelidamente le opinioni di un presunto plagiatore (Theodor Lessing), o a
esternare il suo disinganno rispetto al
“fenomeno” Heidegger, divenuto «il
più grande nemico del noto movimento fenomenologico husserliano». Dalle «lettere familiari» indirizzate a Gustav Albrecht apprendiamo anche la
ragione “filosofica” dello «splendido
isolamento» in cui Husserl si ritirò
durante la guerra: «è stato necessario,
dopo la “bancarotta” di una coscienza
radicale e universale - affermava- [...].
Colui che, in questa disposizione d’animo, si è isolato e ha veramente il
coraggio di tale radicalità, questi
“deve” giungere al mio stesso esito;
soltanto “poi” sarà nuovamente possibile filosofare nella comunità». A.M.
CONVEGNI E SEMINARI
Jeronimus Bosch, Il giardino delle delizie (particolare)
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CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
La natura in filosofia
Coordinato da Fulvio Papi, si è svolto
da ottobre a dicembre 1995, presso la
Casa della Cultura di Milano, un ciclo
di conferenze dal titolo: “FILOSOFIA E
NATURA”, al quale hanno partecipato,
oltre al coordinatore, Mario Ceruti,
Francesco Moiso, Felice Mondella,
Salvatore Natoli, Giuseppe Semerari,
Carlo Sini e Luca Vanzago. Come in
passato, il ciclo ha seguito un percorso storico, esaminando l’articolarsi del
tema all’interno della riflessione di alcuni pensatori, che risultano connessi
in un dialogo storicamente e filosoficamente determinato; un dialogo, in
altri termini, che non accade (talvolta
contro le apparenze) né in una dimensione sovrastorica, né in quanto immediatamente rivolto alle “cose del
mondo”, bensì come mediato dagli
elementi concettuali e dai percorsi offerti dalla tradizione.
In apertura del ciclo, Fulvio Papi ha sottolineato la rilevanza del tema della natura
tanto dal punto di vista della riflessione
epistemologica relativa alle scienze naturali, quanto da quello dell’istituzione della
problematicità del rapporto fra natura e
cultura, natura e civiltà.
Mauro Ceruti (“Storia della natura e natura della storia”) ha rilevato come la questione della storia della natura costituisca una
specificazione rilevante all’interno della
considerazione filosofica della natura. Dopo
lo sgretolamento del cosiddetto “mondo
chiuso”, e con la scoperta e l’esplorazione
dello “spazio profondo”, l’ampliamento
quantitativo dello spazio, ha rilevato Ceruti, ha mutato la sua considerazione qualitativa. Analogamente è accaduto in campo
storico, anche se la scoperta dello spazio
profondo e del tempo profondo hanno generato scenari confliggenti, essi hanno dato
luogo da un lato alla questione relativa alla
natura della storia, dall’altro a quella relativa alla storia della natura. Per quel che
concerne il secondo aspetto, ha osservato
Ceruti, il presupposto dell’omogeneità e
continuità dell’universo nello spazio e nel
tempo, emerso nella fisica moderna tra il
Seicento e l’Ottocento, permette di estra-
polare e di applicare leggi in ambiti differenti da un periodo storico all’altro. In tal
senso, con l’evoluzionismo darwiniano si
verifica un rivolgimento ontologico; non
però con Darwin, la cui teoria dell’evoluzione mostra il tentativo di dissolvere la
contingenza dei processi storici, e con ciò
l’essenza stessa della storicità, in leggi atemporali. Al contrario, ha ribadito Ceruti,
occorre pensare la contingenza non come
una correzione del determinismo, non come
una linea mediana fra casualità e necessità,
bensì “per sé”, come ciò grazie a cui l’evento storico risulta non predicibile rispetto
alle leggi storiche. In questo, ha aggiunto
Ceruti rispondendo a una sollecitazione di
Papi, il concetto di catastrofe si identifica
con quello di contingenza: esso indica un
avvenimento repentino, uno sconvolgimento non prevedibile a partire dalle condizioni e dalle leggi della situazione data.
Francesco Moiso (“La filosofia della natura di Schelling”) ha ricordato come nel
Settecento la conquista dell’oggettività
passi attraverso la possibilità di esprimere
caratteristiche qualitative per mezzo di strumenti quantitativi. Ciò comportava la necessità di isolare i fenomeni in laboratorio,
liberandoli dai vincoli naturali. La reazione ottocentesca a questa situazione, ha continuato Moiso, consiste anzitutto nella rivendicazione della necessità, ai fini della
comprensione del singolo fenomeno, di
uno sguardo sulla totalità che permettesse
di individuare non il “mondo vero” dietro
ai fenomeni, bensì il rapporto fra la totalità
della natura e quella della ragione. A questo proposito, ha rilevato Moiso, la principale intuizione di Schelling riguarda la
necessità di considerare non i prodotti della
natura, cioè gli enti, bensì la natura in
quanto produttività, fondamento di tutte le
sue realizzazioni. Così, la filosofia schellinghiana della natura non parte dalla datità
degli oggetti, bensì dalle forze che li giustificano; il suo trascendentalismo, intrinsecamente concreto, intende opporsi a quello
astratto, proprio di Kant. Con l’identificazione di natura e spirito, ha proseguito
Moiso, la filosofia della natura di Schelling
intende configurarsi come filosofia della
totalità in quanto non sottoposta alla scissione tra soggettività e oggettività, materia
e spirito. La sua originalità consiste nel
59
fatto di introdurre, nel quadro di una prospettiva dinamica della totalità, una considerazione morfologica, che conferma l’effettiva differenzialità del reale senza annegarla nell’indistinzione. Da questo punto
di vista, ha osservato Moiso, il celebre
attacco di Hegel al carattere olistico della
prospettiva schellinghiana, sul piano della filosofia della natura, deve essere ridimensionato in funzione dell’atomismo e
del morfologismo della concezione di
Schelling.
Salvatore Natoli (“La natura nella filosofia di Schopenhauer”) ha esordito richiamando la necessità di comprendere nel
senso di una “dissoluzione del moderno”
la filosofia della natura di Schopenhauer,
mettendola in rapporto all’intera sua filosofia e in particolare al suo confronto con
la cultura orientale, intesa come compimento delle categorie della filosofia occidentale. In Schopenhauer la modernità, in
quanto secolarizzazione, assume, secondo Natoli, due aspetti: compimento della
tradizione teologica cristiana ed errore
radicale. L’idea schopenhaueriana della
natura è del tutto formalistico-meccanicista: la sua filosofia si configura come una
filosofia dell’onnipotenza della ragione,
dove la soggettività dell’io si presenta, dal
punto di vista della conoscenza, come
legislatrice assoluta, che lascia sussistere
fuori di sé soltanto il noumeno, non coglibile conoscitivamente. Per questo, ha osservato Natoli, si può sostenere che in
Schopenhauer la natura si colloca sia nella
rappresentazione, sia, in quanto noumeno, nel principio, cioè nella volontà. La
nozione schopenhaueriana di natura si
sviluppa tra immanenza (la natura, in quanto oggetto di rappresentazione, è nel soggetto) e dualismo trascendentale (la natura, in quanto organizzazione, presenta in
sé caratteri teleologici). A partire dalla
determinatezza degli enti, ha fatto notare
Natoli, si sviluppa la dimensione teleologica della natura; ciò introduce nell’assoluta casualità del reale, nella sua assoluta
aleatorietà, il carattere della rigida necessità. Come ha sottolineato Natoli, traspare
qui in Schopenhauer l’ascendenza spinoziana, per cui in ogni cosa è presente il
principio organizzatore, la volontà; manca, tuttavia, il monismo uniplanare carat-
CONVEGNI E SEMINARI
teristico di Spinoza: dal mondo, secondo
Schopenhauer, è possibile e necessario
uscire, e il motivo, nonché il motore di tale
sortita, è rappresentato dal dolore. Arte e
ascesi permettono di redimersi non solo
dalla natura in quanto rappresentazione,
ma anche in quanto principio, volontà.
Felice Mondella (“La filosofia della natura nel positivismo”) ha fatto notare che i
concetti fondamentali che guidano il positivismo provengono dalla riflessione non
sulla scienza ad esso contemporanea, ma
su quella dell’epoca precedente. Per comprendere l’evoluzionismo di Spencer, ad
esempio, appaiono rilevanti il morfologismo di Goethe, nonché il suo monismo
panteistico, o la teoria dell’evoluzione lamarckiana. La concezione evoluzionistica
di Spencer presuppone infatti l’esistenza di
una realtà unitaria e inizialmente omogenea, all’interno della quale avviene in seguito la differenziazione, l’eterogeneità e,
infine, il perfezionamento. Nel campo delle ricerche biologiche, ha poi rilevato Mondella, la teoria della non ereditarietà dei
caratteri acquisiti si affermò soltanto verso
la metà dell’Ottocento; Spencer condusse
una battaglia di retroguardia a favore di tale
teoria, sostenendo una forma radicale di
comportamentismo ante litteram.
Anche la Morfologia generale di Theodor
Haeckel, ha inoltre rilevato Mondella, rappresenta, per quanto confusamente, un ilozoismo panteista, che risale fino a Goethe e
a Spinoza e prevede l’unificazione di forze
fisiche e psichiche. Queste ascendenze romantiche del movimento positivista suscitarono le critiche di Emile du Bois-Raymond, che sottolineava l’imprecisione del
concetto di forza, la vaghezza di quello di
vita e il carattere non scientifico del teleologismo.
Quattro sono i temi sui quali si è articolata
la relazione di Giuseppe Semerari
(“Heidegger: tecnica e natura”): l’espressione heideggeriana di “deserto della terra
devastata”; il rapporto tra physis e techne,
ovvero tra terra e mondo; il quesito dell’aforisma «dove maggiore è il pericolo,
più grande è ciò che salva»; la categoria
heideggeriana di Seinlassen (lasciar essere) nella sua traduzione, terminologica e
concettuale, americana di «let things be»,
che lega la riflessione heideggeriana a tematiche ecologiste e ambientaliste. In quest’ultimo indirizzo di pensiero, dove il concetto heideggeriano di essere viene letto a
partire da quello di “essere nel mondo”,
l’affermazione relativa al “deserto della
terra devastata” riguarda il destino del
mondo in quanto luogo di dominio dell’uomo calcolante; la tecnica si rivela, in tal
senso, come la struttura ontologica nella
quale si dispiega l’imperialismo del soggetto. Secondo Heidegger tuttavia, ha fatto notare Semerari, inquietante è il fatto che
l’uomo non riesca a padroneggiare tale
dispiegarsi. La “terra devastata” non è più,
di fatto, il luogo dell’abitare dell’uomo,
bensì quello dell’articolarsi del Ge-Stell,
del dispositivo di cui l’uomo stesso rappresenta un’articolazione.
Alla nozione heideggeriana di physis, ha
aggiunto Semerari, non corrisponde semplicemente ciò che intendiamo con “natura”, ma tutto ciò che “si genera”, si dischiude in modo spontaneo, senza sollecitazioni
estranee. La physis heideggeriana si nutre
di un’ambivalenza, in qualche modo rapportabile alla distinzione spinoziana tra
natura naturans e natura naturata. Physis
e techne appaiono dunque imparentate, in
Heidegger, nel comune carattere di produzione, che consiste in un “portare alla luce”.
La differenza decisiva risiede nel fatto che
la tecnica, in quanto manipolazione, può
andare al di là dei limiti del manifestarsi
della natura. L’elemento specifico della
tecnica moderna, ha fatto notare Semerari,
consiste nell’intervento dell’uomo sulla
natura, concepita come puro e semplice
oggetto utilizzabile per le esigenze dell’uomo. Per uscire dal mondo della tecnica”,
dal Ge-Stell, la via indicata da Heidegger
mette in discussione l’uomo concepito come
fattore di occultamento dell’essere e della
physis.
Carlo Sini (“Galileo, Husserl e l’immagine della natura”) ha esordito tematizzando
la crisi delle scienze della natura in rapporto a quella delle scienze dello spirito. Queste ultime, secondo Husserl, entrano in
crisi, in primo luogo, perché tentano di
imitare un metodo che non è loro proprio;
in secondo luogo perché entra in crisi il loro
stesso modello, le scienze naturali. Nella
valutazione husserliana, ha osservato Sini,
la “rivoluzione galileiana” opera una svolta che si prepara fin dalla grecità, quando
viene approntata la definizione delle idealità geometriche, sull’origine delle quali il
geometra non si interroga. Il luogo di tale
origine, secondo Sini, è costituito dal linguaggio: in esso, dapprima l’intersoggettivizzazione esige la spoliazione dalla soggettività individuale; in seguito, l’eternizzazione dei significati nella scrittura compie il destino dell’ideale conoscitivo della
filosofia occidentale. Il rischio ìnsito in ciò,
ha fatto notare Sini, consiste nell’impossibilità, da parte della scrittura, di riprodurre
le operazioni di senso che hanno dato luogo
ai significati.
La “scrittura” geometrica idealizza i corpi
estesi; da questo punto di vista Galileo,
secondo Husserl, è consapevole di essere
l’erede della filosofia antica e del suo progetto di scienza universale dell’ente in quanto tale. Tuttavia, per perseguire il progetto
avviato dalla filosofia antica, occorre lasciar cadere la prospettiva della geometria
ad essa contemporanea e parlare il linguaggio dell’esattezza: occorre, cioè, utilizzare
la scrittura della matematica, la scrittura
delle idealità numeriche. Galileo tuttavia,
come tutta la scienza moderna, non si rende
conto del luogo di origine di questa idealizzazione, ovvero della genesi della contrapposizione fra “mondo vero”, oggettivo, e
mondo sensibile, soggettivo: per Galileo, il
60
mondo vero è scritto in caratteri matematici, laddove è la scrittura matematica a istituire il mondo vero. Si colloca qui, secondo
Husserl, la crisi della scienza europea, incapace di mostrare, al di là della propria
utilità, la legittimità delle proprie pretese di
validità universale.
A differenza della prospettiva heideggeriana, l’analisi di Husserl permette, secondo
Sini, una riflessione sulla scienza a partire
dalla scienza medesima; il suo limite, tuttavia, è quello di ridurre la molteplicità e la
specificità delle singole pratiche del mondo sensibile nella dimensione omnicomprensiva del linguaggio e dell’Umwelt.
Secondo Sini, occorre invece individuare
l’elemento che determina il “salto nell’astrazione”, da Husserl individuato ma non analizzato, e non ritenere, come fa Husserl,
“più vero” il mondo sensibile rispetto a
quello costruito dall’astrazione.
Infine, l’intervento di Fulvio Papi e Luca
Vanzago (“Whitehead: la natura come processo”) ha mostrato la stretta connessione
tra la riflessione di Alfred Whitehead e la
scienza. Papi ha sottolineato che la filosofia di Whitehead consiste in un’ontologia
del pensiero scientifico, che avvicina la sua
concezione della natura a quella di Schelling
per il fatto che entrambe non rappresentano
una semplice derivazione del punto di vista
filosofico dai risultati ai quali è pervenuta
l’osservazione scientifica, ma intendono
invece inquadrare questi ultimi in un programma filosofico che li precede.
Whitehead assegna alla filosofia, nei confronti della ricerca scientifica, un ruolo
normativo; egli intende emendare, come ha
precisato Vanzago, il quadro concettuale
della scienza, facendo parlare la natura,
iuxta principia sua, contro il materialismo
newtoniano, che pretende di ricondurre la
realtà organica della natura alle pure astrazioni e ipostasi della geometria. Il quadro
di riferimento concettuale che l’epistemologia moderna propone per i dati scientifici
rappresenta, per Whitehead, un tradimento
del carattere organico della realtà dell’esperienza. Per questo, ha osservato Vanzago,
Whitehead entra in collisione con la teoria
della relatività einsteiniana sulla questione
dello spazio-tempo, una nozione che costituisce, per Whitehead, un’astrazione.
Il concetto whitheadeano di esperienza,
intrinsecamente relazionale, oltrepassa il
quadro di riferimento dell’empirismo tradizionale e sfocia in una metafisica della
natura. Il “fatto”, oggetto dell’esperienza,
costituisce una totalità che soltanto in seguito si articola nei suoi “fattori”; ciascun
fattore rinvia a una relazionalità. La totalità
relazionale ha la caratteristica del flusso; lo
sguardo “istantaneo”, fissante, è invece
frutto della prospettiva scientifica. Ogni
fatto è un processo; nessun individuo è
effettivamente sussistente dal punto di vista sostanziale. Il mondo è costituito dalla
totalità di questi eventi, e appare, come ha
rilevato Vanzago, una nozione assimilabile a quella husserliana di orizzonte. F. C.
CONVEGNI E SEMINARI
Filosofia e vita civile a Napoli
Dal 16 al 20 gennaio 1995, presso la
sede dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli, Saverio Ricci ha
tenuto un seminario su “FILOSOFIA E
VITA CIVILE A NAPOLI NELLA SECONDA META’
DEL SETTECENTO”, con l’intento di mettere in luce il rapporto tra le concezioni
filosofiche di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri e la filosofia moderna,
tra la vita culturale ed intellettuale
napoletana e le vicende storico-politiche ed istituzionali del Regno.
Agli inizi del Settecento, ha esordito Saverio Ricci, si rinsalda la filosofia moderna a
Napoli con gli apporti, da un lato, di cartesiani, lockiani, newtoniani quali Celestino
Galiani, Nicola Cirillo e Bartolomeo Intieri,
dall’altro con l’insegnamento di Giovambattista Vico e soprattutto di Paolo Mattia
Doria. Questi ultimi condividevano il radicale rifiuto del meccanicismo astratto, il
tentativo di profonda rielaborazione delle
tradizioni vitalistiche del Rinascimento italiano, la ripresa di temi platonici e soprattutto l’attenzione nel porre la filosofia al centro
dei problemi della storia e della società,
affermando la funzione civile della filosofia
stessa.
Nel contesto di crescita della cultura e della
filosofia napoletane nella seconda metà del
Settecento emerge la figura di Antonio
Genovesi (1713-1769), neoplatonico influenzato dal pensiero di Doria, amico di
Galiani, che già nel 1746 manifestava un
cauto newtonismo, estraneo, però, a ogni
eccesso teologico e misticheggiante, e incline piuttosto a una particolare concretezza
nella ricerca filosofica. Ciò gli attirerà le ire
dei gesuiti, e comprometterà i suoi rapporti
con il sovrano Carlo III di Borbone.
Fenomeno peculiare dell’Europa settecentesca è il diffondersi della massoneria; ciò
avviene anche a Napoli, già durante il viceregno austriaco (1707-1734) e troverà diffusione, successivamente, per l’opera di Raimondo di Sangro di Sansevero, che sarà
perseguitato dai gesuiti; nel 1751 una bolla
di Benedetto XIV ed un editto di Carlo III
condannano la massoneria. Si inserisce in
questo clima di scontro politico-ideologico
il rogo in piazza del 1753 de L’idea di una
perfetta repubblica di Paolo Mattia Doria,
una delle fonti più autorevoli di Genovesi, di
Filangieri e di Francesco Mario Pagano, che
ne erediteranno la concezione del primato
della politica e della ricerca della virtù nell’agire politico. Nella Lezione di commercio, ossia di economia civile (1765-67)
Antonio Genovesi propose una nuova politica economica per lo stato napoletano, rielaborando elementi mercantilistici alla luce
delle nuove dottrine fisiocratiche e liberiste.
Il periodo intorno al 1750-70 è l’età d’oro
della cultura e della politica nel Regno di
Napoli, e coincide sostanzialmente con il
ministero di Bernardo Tanucci e l’attività
culturale e scientifica di Antonio Genovesi.
E’ il periodo del “riformismo borbonico”,
caratterizzato da una forte polemica anticuriale che porterà alla cacciata dei gesuiti
(1767). Sebbene Genovesi non assuma mai
una carica pubblica, vi è però una comunanza di intenti tra le riforme di Tanucci e la
lezione di Genovesi; Tanucci mira ad indebolire l’aristocrazia feudale, promuove la
liberalizzazione del commercio dei grani,
abolisce la giurisdizione feudale, favorisce
la piccola proprietà terriera, ostacola la nobiltà sia cittadina sia delle campagne, razionalizza l’amministrazione della giustizia.
Ugualmente straordinario appare l’apporto
dell’opera di Gaetano Filangieri (17521788) al clima culturale dell’Europa della
seconda metà del Settecento. Proveniente
da una famiglia nobile ma decaduta, riceve
un’educazione neoplatonica, unita ad un’inclinazione anti-curiale e ad un’attenzione
per i problemi della politica e del diritto. Tra
il 1778 e il 1780 scrive la Scienza della
legislazione (I e II volume), in cui propone
la lotta al potere feudale ed ecclesiastico,
alla concentrazione della ricchezza, indicando una politica di distribuzione della
proprietà, di razionalizzazione del sistema
dei tributi, di riforma dell’esercito, di promozione delle libertà di commercio. Nel
1783 escono il III e IV volume della Scienza
in cui Filangieri propone l’abolizione della
giurisdizione baronale ed una radicale riforma dell’aristocrazia come aristocrazia dei
“doveri” e dei “saperi”. Il Re non è il “proprietario” dello Stato, ma ne è l’ “amministratore fiduciario” e ha bisogno del consenso a posteriori del popolo. Sotto i ripetuti
attacchi dei conservatori e della Chiesa, nel
1784 l’opera viene messa all’Indice. Ma nel
1785 escono il V, il VI e il VII volume, che
contengono l’analisi delle leggi dedicate
all’educazione, ai costumi e all’istruzione
pubblica. Dopo la morte di Filangieri (1788),
esce l’VIII volume, contenente la prima
parte del Libro V, dedicata alla religione.
Filangieri è espressione del tentativo di costruire un “uomo nuovo”, manifestando una
tendenza all’elaborazione utopica, improntata da elementi platonici. C.P.
Dio oggi
Il 18 febbraio 1995, nella sede dell’Istituto di Scienze Religiose “Italo Mancini” di Urbino, si è tenuto un convegno
sul tema: “DOV’È DIO OGGI?”, che ha
visto la partecipazione di Piergiorgio
Grassi, Paolo Debenedetti, Giorgio
Ripanti e Settimio Cipriani.
Richiamandosi a Jonas, Paolo Debenedetti ha considerato il mutamento che l’esperienza di Auschwitz ha determinato nella
coscienza ebraica: attraverso un percorso
teorico che va da Dostoevskji a Lévinas
emerge il passaggio dal Dio solo ascoltato
dell’Esodo, che non si esperisce se non
61
attraverso l’udito, al Dio del genocidio, che
costringe gli ebrei a parlare, a interrogarsi
sulla sua presenza. Sulla debolezza del
segnale divino, annientato dal dolore e dallo scandalo dell’Olocausto, ha focalizzato
la sua attenzione anche Settimio Cipriani.
Rileggendo l’endiadi Dio-amore nella
modernità secondo la prospettiva giovannea e agostiniana, Cipriani ha ricompreso
l’esperienza di Auschwitz nella chènosi,
nell’eterna vicenda di Dio che si dà agli
uomini attraverso il sacrificio del Cristo.
Un amore questo che può essere anche
scandalo, anche dolore, e che non si situa al
di fuori del divino, anzi esorta all’amore
verso l’uomo.
Giorgio Ripanti ha sottolineato come siano mutate le categorie dell’interpretazione
teologica dopo il genocidio, indicando come
l’esigenza di decifrare la dimensione divina debba porsi in tal senso come compito
primario della rivista «Hermeneutica». La
rivista intende infatti approfondire la tematica nel moderno, con particolare attenzione al pensiero hegeliano, ma interrogandosi soprattutto sulle categorie del post-moderno. Oggi ci si chiede se l’amore possa
essere ancora il luogo privilegiato della
manifestazione del divino o sia necessario
ripensare Dio attraverso il mistero, la modalità cioè che più sembra attagliarsi ai
nostri tempi. M.P.R.
Storia e filosofia in Hegel
Dal 9 al 13 gennaio 1995 presso la sede
dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Giovanni Bonacina ha
tenuto un seminario su: “STORIA UNIVERSALE E STORIA DELLA FILOSOFIA IN HEGEL”, ponendo a confronto le considerazioni hegeliane su ciò che da un lato
differenzia e dall’altro accomuna la
storia dell’universo e la storia della
filosofia.
Nelle Lezioni sulla filosofia della storia, ha
esordito Giovanni Bonacina, Hegel osserva
che nella storia della filosofia il processo
avviene per accumulo di tradizioni, mentre
nella storia universale l’antico e il moderno
non sono continui, ma mescolati. Inoltre, gli
individui storici realizzano le capacità tipiche
dell’epoca in cui vivono e quindi riflettono lo
Spirito del mondo, mentre i filosofi obbediscono al progetto della razionalità. Ma la
differenza principale, ha continuato Bonacina, è che mentre la storia universale è scandita
in tre o quattro regni, la storia della filosofia
viene scandita in tre fasi (antica, medievale e
moderna), che non corrispondono alle fasi
della storia universale.
Dopo aver elencato la serie delle differenze
tra le due storie Bonacina ha affrontato il
termine comune, la ragione, che muove entrambe le storie. Ciò significa che la filosofia
appartiene al processo universale della storia,
CONVEGNI E SEMINARI
in quanto interagisce con esso, ma non lo
subisce, giungendo quando il tempo che
essa comprende è compiuto o è al tramonto. Hegel, ha osservato Bonacina, generalizza un modello che gli è offerto da Socrate,
quale promotore della crisi dell’eticità antica. La prima crisi della storia della filosofia riguarda il tramonto delle città ioniche,
da cui nasce la filosofia ionica; la seconda
crisi è la decadenza della poleis, da cui
nascono la filosofia socratica e platonica;
la terza crisi è quella della repubblica romana, da cui nascono le filosofie stoica ed
epicurea; la quarta crisi riguarda la fine
dell’impero romano, da cui il neoplatonismo; la quinta è la crisi del mondo moderno, da cui nasce la filosofia moderna fino
all’idealismo tedesco, figlio della rivoluzione francese.
Il mondo greco è per Hegel il mondo di
un’eticità libera, in cui il cittadino gode
della sua appartenenza alla città; la crisi di
questo mondo è fatta risalire alla guerra del
Peloponneso e al dissidio tra Atene e Sparta. Il processo di crisi dei valori interni alla
città, ha rilevato Bonacina, si traduce in un
ripiegamento della coscienza su se stessa,
che indaga sul bene e sul male, sul lecito e
l’illecito. Di questo momento si fa interprete Socrate, che per Hegel è il continuatore
dell’attività già intrapresa dai sofisti. Hegel
parla di Socrate come dell’inventore della
morale non affidata ai valori tradizionali,
ma al giudizio soggettivo di chi agisce, cioè
la morale interiore: la coscienza socratica è
la prefigurazione del soggettivismo del cristianesimo. Sul piano politico la rivoluzione socratica è rappresentata dall’identificazione degli interessi della comunità con
gli interessi dei singoli cittadini; sul piano
religioso da uomini che non credono più
negli dèi tradizionali.
Platone è per Hegel colui che si impegna a
dimostrare l’ingiustizia della condanna socratica. Il progetto politico platonico, ha
sottolineato Bonacina, è infatti per Hegel
un tentativo di restaurazione della Grecia
antica. Aristotele è invece il filosofo che
getta una luce sul passato, ma in lui la
speranza di impedire il cambiamento è
svanita. In queste tre figure di filosofi si
sperimenta, secondo Bonacina, lo sfasamento della filosofia rispetto alla storia
universale.
Il mondo romano è ciò che pone per Hegel
le premesse per il mondo moderno. L’impero romano esercita la sua funzione positiva sulla base di una capacità di distruzione di tutto quello che lo precede, che stimola nell’uomo una necessità di ripiegamento
su se stesso, per cui Hegel parla di infelicità
universale del mondo romano. Le filosofie
ellenistiche, considerate da Hegel come
omogenee, rappresentano invece la felicità
dell’individuo mediante il ritiro dalle passioni e dal mondo. L’avvento del cristianesimo, ha sottolineato Bonacina, segna una
rottura nel corso della storia della filosofia.
Al neo-platonismo Hegel riconosce il merito di aver disposto gli strumenti teorici, di
cui il cristianesimo si servirà per esercitare
il suo dominio culturale nel Medioevo. Il
retaggio che la filosofia antica lascia al
mondo moderno riguarda la natura di Dio,
il senso del male, la libertà dell’uomo.
L’età moderna è, per Hegel, la sola epoca in
possesso di una filosofia originale. Il Medioevo è invece messo tra parentesi, in
accordo con la tradizione illuministica. In
realtà, ha osservato Bonacina, Hegel ritiene che la grande innovazione del mondo
moderno sia rappresentata dalla Riforma,
che segna l’apparire della coscienza individuale. Il corrispettivo filosofico della Riforma luterana è, secondo Hegel, la filosofia cartesiana; con Cartesio si afferma il
primato del pensiero che muove se stesso e
che fonda il sapere. La soluzione cartesiana, ha fatto notare Bonacina, è rappresentata dalla diversa visione della soggettività
rispetto agli antichi.
L’opera di Cartesio viene portata avanti
dall’idealismo; il principio cartesiano, infatti, è ancora pervaso dal dualismo tra Io e
Mondo, tipico della filosofia della riflessione, a cui appartengono perfino Kant e
Fichte, ma non Schelling. La filosofia della
riflessione ha tuttavia per Hegel il valore di
critica radicale delle istituzioni e della tradizione culturale e filosofica: per Hegel
infatti l’Illuminismo nasce da una volontà
di rottura nei confronti della tradizione, nei
confronti della religione e nei confronti
dello Stato. La rivoluzione francese nasce
appunto per Hegel dallo spirito di indipendenza del mondo moderno, quindi dalla
Riforma e dalla stessa filosofia illuministica. L’Illuminismo, nonostante segni la crisi del mondo moderno, segna nello stesso
tempo il compimento del mondo moderno,
compimento che naturalmente avviene in
epoca hegeliana.
Alle origini dell’etica
Organizzato dall’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, si è svolto a Napoli, dal 18 al 21 aprile 1995, un ciclo
di seminari tenuti da Giovanni Stelli
sul tema: “IL FONDAMENTO PERDUTO : ALLE
ORIGINI DELL’ ETICA MODERNA”, con l’intento di analizzare la demolizione
nell’etica di un fondamento unitario
e la conseguente dissoluzione dell’etica filosofica.
Punto di partenza del seminario di Giovanni Stelli è stata la distruzione della “teleologia classica” ad opera della rivoluzione
scientifica, che con la scissione esserevalore, sottrae all’etica ogni base normativa: l’essere diviene un puro mondo di fatti
e la soggettività, isolata e spaesata, risulta
interdetta da ogni finalità superiore.
Secondo Stelli, Hume è colui che procede
in modo inequivoco alla costruzione di
un’etica coerentemente “a-valutativa” e “a62
teleologica”; una simile impostazione approderà, sia pure tardivamente, all’ “impossibilità dell’etica” in autori quali Russel
e Wittgenstein. Il paradigma “riduzionista”, che assimila l’agire umano alla dinamica dei corpi, è già attivo nell’antropologia humiana; ne consegue la neutralizzazione di ogni pratica prescrittiva in riferimento alle movenze tipiche dell’uomo. Di
fatto, la “scommessa” epistemologica humiana, ha osservato Stelli, è quella di giustificare, a partire da un’etica rigorosamente “descrittiva”, il problema delle distinzioni morali; l’incommensurabilità di vero e
bene costringe tuttavia lo “scienziato” ad
ancorare ogni asserzione a un fondamento
meramente “genetico”.
Per Hume, ha sottolineato Stelli, anche nel
“fatto” umano più atroce (parricidio, incesto) non ci può essere per definizione traccia di un presunto “male oggettivo”, anche
se ne abbiamo sdegno. La soluzione a questo apparente paradosso è custodita, per
Hume, nel “nostro cuore”: vizio e virtù
altro non sono che l’ipostatizzazione dell’individuale disapprovazione e approvazione di un evento. Il possibile esito “relativistico” di tale proposizione, ha rilevato
Stelli, viene scongiurato da Hume mediante la definizione di “natura umana”. Vizio
e virtù rappresentano sì “percezioni mentali”, ma in quanto espressione di una comune natura; le valutazioni morali dei singoli,
pertanto, non possono che coincidere, poiché coincidente è negli uomini il “corso
normale” delle passioni. L’etica, dunque,
continua a sussistere in quanto sopravvive,
ha sottolineato Stelli, un’ “ontologia naturalistica” in grado di individuare, in base al
criterio di “normalità”, le varie anomalie
“di natura”. La stessa “ragione” è rimessa
in gioco, per Hume, come razionalità strumentale finalizzata allo scopo; non solo:
quale fonte per la formulazione di “norme
ipotetiche”, la ragione elabora le “virtù
artificiali”, tra cui la stessa “giustizia”.
L’operazione humiana, eticamente “tranquillizzante”, ha mostrato Stelli, viene sottoposta a critica demolitrice da parte di
Sade, che respinge la traduzione del “fondamento fattico” in “senso morale” come
teoreticamente inconsistente: virtù e vizio
non sono degli assoluti metatemporali, ma
delle “contingenze storico-spaziali”. Per
Sade, ha proseguito Stelli, l’etica non ha
più ragion d’essere, perché l’unico criterio
valoriale ammissibile è il “fatto”; di conseguenza, ogni “fatto” può essere scelto come
valore, senza eccezioni. Davanti alle conseguenze devastanti della scissione verobene, Sade, ha concluso Stelli, non indietreggia, con la conseguenza di una “deantropomorfizzazione”, oltrechè della natura, dell’uomo stesso, e la risoluzione dell’antinomia fatto-valore a vantaggio del
primo dei due termini. Una simile radicalità teoretica conduce, secondo Stelli, al sacrificio dell’idea stessa di uomo, ridotto
ormai ad un granello di vile materia destinato all’annientamento. S.B.
CONVEGNI E SEMINARI
La traduzione dei testi
a Port-Royal
Il 3 febbraio 1995 si è svolto a Napoli,
a cura del Dipartimento di Filologia
Francese dell’Università di Napoli “Federico II” e dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, un seminario internazionale di studi sul tema: “TEORIE E
PRATICHE DELLA TRADUZIONE NELL’ AMBITO
DEL MOVIMENTO PORT-ROYALISTE”. Al convegno hanno partecipato: Jean Robert Armogathe, Roger Zuber, Luigi
De Nardis e Raffaele Simone, Philippe
Sellier, Emmanuel Bury, Flavia Mariotti e Giovanna Malquori Fondi.
Il seminario si è aperto con la relazione di
Jean Robert Armogathe (“Arnauld traducteur”) che ha messo in risalto lo sviluppo del pensiero di Antoine Arnauld
dalle sue prime traduzioni di Sant’Agostino, criticate da Charles Joseph III (detto
Tricassinus) e dal père Vatier, fino ai suoi
contributi alla traduzione delle Sacre Scritture, in cui Arnauld riscopre il buon uso
dell’oscurità del testo sacro con un ricorso
più preciso alla letteralità. Il problema
della fedeltà al testo originale è argomento di continue polemiche e dibattiti sulle
traduzioni dei solitaires di Port Royal. Su
questo argomento è tornato anche Roger
Zuber (“De l’application de quelques règles: Arnauld d’Andilly correcteur de Guez
de Balzac et de Perrot d’Ablancaurt”), che
ha messo in luce la qualità di scrittore di
Robert Arnauld d’Antilly e ha sottolineato l’importanza delle sue Remarques sur
la traduction française (Note sulla traduzione francese), che confermano l’interesse di d’Antilly per i problemi di eleganza e di stile e la sua preoccupazione per la
fedeltà delle traduzioni al testo originario.
Nella sesta Remarque, tuttavia, d’Antilly
afferma il famoso “principio di compensazione”, molto discusso nel circolo portroyaliste, secondo cui il traduttore, di fronte
ad espressioni del testo latino che nella
trasposizione in francese sono destinate a
perdere la loro originale bellezza, è autorizzato a compensare l’eliminazione di
tali espressioni con qualche bellezza equivalente, che si può trovare nella lingua
francese.
Luigi De Nardis (“Un trattato inedito
sulle metafore e i tropi di A. Le Maistre”)
ha posto in luce un altro aspetto della
riflessione di Port-Royal, quello più propriamente retorico-linguistico. Il breve
trattato di Antoine Le Maistre sulle locuzioni figurate e le figure retoriche, inedito
fino ad oggi e risalente al 1655 circa,
costituisce una testimonianza importante
della riflessione sulla retorica francese a
Port-Royal, anche se bisognerà aspettare
l’Art de parler (L’arte di parlare, 1675) di
Bernard Lamy per avere un primo trattato sulla retorica da ricollegare alle riflessioni dei giansenisti e impregnato di spirito port-royaliste. Ma il trattato di Lamy
appartiene già ad una fase più tarda della
riflessione dei solitaires sulla retorica. Un
elemento innovativo e importante del trattato di Le Maistre riguarda l’applicazione
del principio della “gradazione”, secondo
il quale la chiarezza occupa una posizione
di primo piano, mentre l’ornamento deve
essere l’ultima preoccupazione di chiunque voglia fare un buon uso della lingua.
Quello che conta è, per Le Maistre, il
senso ultimo del messaggio, che deve raggiungere il proprio destinatario nella maniera più completa, mentre un eccesso di
artificio non fa che ostacolare l’espressione della verità.
Partendo dalla considerazione che la
Grammaire générale et raisonnéè (Grammatica generale e ragionata), nonostante
il titolo, sia in realtà concentrata soprattutto sulla lingua francese, Raffaele Simone
(“Unicità del linguaggio e varietà delle
lingue in Port-Royal”) ha messo in luce il
paradosso di proporre una grammatica
che fosse generale e al tempo stesso basata
su una sola lingua. Uno dei principi fondamentali di una tale concezione era che alla
base di tutte le lingue vi sia un fondamento
comune, uguale per tutti, che oggi chiameremmo “linguaggio”. Il problema di
spiegare l’unicità del “linguaggio” e la
contemporanea esistenza di varie lingue
diverse tra loro, conduce a quello che
viene definito il paradosso della varietà: le
lingue non avrebbero alcun motivo reale
per essere diverse; però lo sono. A questo
paradosso ne è collegato un altro: il “paradosso del grammatico generale”, ossia
come accedere al linguaggio attraverso
una lingua sola. Tra le varie risposte al
paradosso della varietà, riscontrabili nella
storia della linguistica, Simone si è soffermato su quella della grammatica universale di Chomsky, il quale sostiene che
nella mente umana sono innati alcuni principi potenziali di funzionamento delle lingue e sono, quindi, uguali per tutte le
lingue. Ciò che differenzia le lingue è,
invece, il modo in cui tali principi vengono attuati - ed è questo un elemento di
arbitrarietà.
Philippe Sellier (“Traduire la Bible”) ha
voluto sottolineare il valore di grande testo letterario di quell’opera di traduzione
della Bibbia, nell’ambito di Port-Royal,
che si colloca all’incirca tra il 1656 e il
1700 e che ha dato vita alla cosiddetta
Bibbia di Sacy, dal nome del suo principale artefice, che ha avuto un successo notevole fino alle soglie del 1900. Secondo
Sellier la controversia sulle traduzioni bibliche, molto serrata nel XVII secolo, può
essere analizzata attraverso tre tipi di considerazioni. Per quanto riguarda quali testi tradurre, Port-Royal rivendicava la propria indipendenza nei confronti della Chiesa, sfidando così le condanne ecclesiastiche. Le considerazioni possibili sull’ordine in cui sono stati tradotti i testi sacri
lasciano intravedere, in esso, una sorta di
specchio della cultura del tempo. Infine,
63
per quel che riguarda come tradurre i testi,
è possibile fare tutta una serie di considerazioni sullo stile scelto, il lessico adottato
e il livello di chiarezza, che portano al
vecchio problema della fedeltà, affrontato
dai traduttori di Port-Royal con la consapevolezza che, pur essendo indispensabile rimanere fedeli al testo di origine, è
altresì necessario fare ogni sforzo per rendere la bellezza del testo originale in un’altra lingua, insieme alla luce particolare
che da esso emana.
Su problemi di natura estetica si è soffermato anche Emmanuel Bury (“Les traductions de Saint Jean Chrysostome à
Port-Royal: problèmes théoriques et
esthétiques”). Dopo aver ricordato l’importanza di San Crisostomo, père di Costantinopoli, spesso paragonato a Sant’Agostino, nell’ambito di Port-Royal,
Bury ha analizzato l’elevata qualità dello
stile oratorio di San Crisostomo e la chiarezza della dottrina, che ne hanno fatto un
vero e proprio modello di eloquenza per
gli stessi traduttori di Port-Royal.
Al problema delle regole della traduzione
è tornata anche Flavia Mariotti (“Gaspard de Tende e le Règles de la traduction”), secondo la quale de Tende, partendo dalle traduzioni del tempo, si pone
come scopo la creazione di un ordine, di
una costruzione coerente e razionale che
renda possibile la confluenza di vero, bene
e bello in un ideale rappresentato dalla
buona traduzione, che rinvii ad un unico
modello di trasposizione da una lingua
all’altra; anche se in realtà, ha osservato
Mariotti, de Tende non riesce a staccarsi
definitivamente dalla sfera dei suggerimenti pratici. Nelle Règles de la traduction (Regole della traduzione) è presente
una certa tendenza ed eliminare ogni equivoco, ogni elemento di disturbo alla piena
comprensione del testo, a creare una coerenza concettuale e una pertinenza semantica perfette. La traduzione, per de Tende,
deve essere “bella e intelligibile”; i poli
entro cui si muove la traduzione perfetta
sono “fedeltà” e “abbellimento”. La vera
fedeltà, da questo punto di vista, non deve
essere intesa come fedeltà alla lettera, che
è contingente e peritura, ma al senso invariante che la precede e che è l’unico comunicabile. Le Règles di fatto riflettono il
tipo di traduzione che domina in quegli
anni a Port-Royal, dove le preoccupazioni
estetiche sembrano avere ancora un ruolo
determinante nel lavoro dei traduttori.
Infine Giovanna Malquori Fondi (“Le
Père Bouhours juge de Limitation de Jésus-Christ traduite par L.I. Le Maistre de
Sacy”) ha fornito un’idea precisa delle
argomentazioni e dei modi utilizzati nelle
polemiche del tempo sulla traduzione,
caratterizzando gli interessi di quanti fossero attenti non solo ai problemi della
lingua e dello stile, ma anche al modo in
cui la lingua veniva utilizzata per fini non
soltanto legati alla semplice comunicazione. B.C.
CONVEGNI E SEMINARI
Luigi Pareyson
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CONVEGNI E SEMINARI
Pareyson, filosofo della libertà
Organizzata dall’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, nei giorni 6 e 7 marzo 1995, presso il Castello
Lo Faro di S. Margherita Ligure (Rapallo), si è tenuta una celebrazione
dell’opera e della filosofia di Luigi
Pareyson. Il convegno ha visto la partecipazione di alcuni allievi e amici
del filosofo torinese: Sergio Givone,
Reinhard F.M. Lauth, Gianni Vattimo,
Pietro Prini, Giuseppe Riconda, Xavier Tilliette, Alessandro Di Chiara,
Luciano Malusa.
L’essere è libertà, l’uomo è rapporto con
l’essere, la libertà è illimitata. La libertà
non è preceduta che dal nulla. Non c’è
ontologia senza meontologia. «Il male è il
non essere + la scelta». Sono queste alcune delle tematiche centrali della prima
parte, “In cammino verso la libertà”, dell’opera postuma di Luigi Pareyson, Ontologia della libertà.
La vis filosofica di Pareyson, trova in
queste pagine di profonda ermeneutica
religiosa ampia soddisfazione. Per Luigi
Pareyson l’uomo è rapporto con l’essere e
l’essere trova il proprio fondamento nella
libertà (fondamento senza fondamento).
«La libertà è illimitata o non è»; vale a dire
che la peculiarità della libertà è quella di
non essere preceduta che dal nulla.
Nell’ambito dell’esperienza religiosa
Pareyson propone un’ermeneutica del
mito; solo questa può scrutare il significato di credere o non credere in Dio. Dio «è
autore dei propri atti, ma anche della propria libertà»; viceversa «l’uomo è autore
dei propri atti, ma non autore della propria
libertà». La perentorietà dell’affermazione di Pareyson, «Dio prima di Dio», testimonia la bontà e la potenza dell’atto divino, il quale indica che «l’irruzione di Dio
nella realtà è una vittoria sul nulla».
Pareyson intuisce che non ci può essere
nessuna ontologia senza meontologia. Dio
crea l’uomo libero, ma innanzi a questa
libertà si espone al «pericolo», al «rischio». Infatti, dopo aver creato l’uomo,
Dio si è trovato di fronte al fallimento
della sua creazione. Qui si compie il mistero dell’esistenza; qui, Dio chiede collaborazione all’uomo, il quale si trova innanzi alla scelta fra “obbedienza” e la
“ribellione”, che lo porta a «sostituire a
Dio la propria libertà». La scelta è momento fondamentale e ineluttabile nell’intera filosofia dell’interpretazione pareysoniana. Essa è possibilità di scegliere
l’essere o il non essere, il bene o il male.
«Il male è il non essere + la scelta», vale a
dire che «il male è il non essere scelto».
Ecco perché affermare che Dio ha optato
per il bene significa dire che questa scelta
è stata operata in opposizione. La possibilità del male è quindi, seppur come opzione, in Dio stesso.
Pareyson ci richiama così al suo compa-
gno di vita, Karl Barth, il quale chiama la
“traccia” di negatività in Dio l’ “ombra di
Dio”, la sua “mano sinistra”. Ma il vero e
unico ridestatore del male è l’uomo. In lui,
figlio della caduta, trova compimento la
malvagità, così ben raccontata dall’altro
fondamentale interlocutore di Pareyson,
Dostoevskij. Nei personaggi del romanziere russo, il filosofo torinese trova notevoli spunti ermeneutici, dal male alla sofferenza, dall’ateismo al cristianesimo.
Nell’ultima parte di “In cammino verso la
libertà” (Libertà e dialettica), l’autore affronta l’ineffabile momento dell’apocatastasi, che è trionfo della libertà, annientamento del male, conferma del bene. L’apocatastasi è «conciliazione tra totalità e
libertà»; si cela nel silenzio; è “contraddittoria”. Inoltre essa rappresenta una forma
di panteismo divino, in quanto Dio, nella
trasfigurazione dell’apocatastasi, assume
su di sè oltre all’umanità anche la natura.
La sofferenza, vera apertura al mistero
dell’essere e unica verità e possibilità di
espiazione e riscatto, è il gradino più alto
verso l’apocatastasi. Nella sofferenza si
trova «il capovolgimento, l’inversione di
marcia, l’avvio alla positività». Un concetto che ritorna, come un monito, nella
lezione di congedo di Pareyson all’Università di Torino: solo la sofferenza «contiene il senso della libertà e rivela il segreto di quella vicenda universale che coinvolge Dio, l’uomo e il mondo in una
tragica storia di male e dolore, peccato ed
espiazione, perdizione e salvezza».
Aprendo il convegno, Sergio Givone
(“Estetica, ermeneutica e pensiero tragico”) ha affrontato gli elementi di novità
dell’ultimo capitolo della postuma Ontologia della Libertà. In particolare, dell’ultimo capitolo (quello dedicato all’escatologia) Givone ha analizzato due affermazioni di Pareyson: la prima sul radicale
antiplatonismo del cristianesimo; la seconda sul fatto che al centro della realtà vi
sia contraddizione. Da ciò Givone ha preso spunto per rileggere il percorso di
Pareyson dall’estetica all’ermeneutica fino
al pensiero tragico, esponendo anche, tra
l’altro, le differenze e il diverso atteggiamento in rapporto a Hegel nell’ermeneutica gadameriana e nella filosofia della
interpretazione di Pareyson. Gadamer,
sviluppa un’ermeneutica dello spirito oggettivo (tradizione come casa dell’essere); mentre per Pareyson la tradizione è «il
campo di battaglia in cui l’esistenza si
trova in conflitto con il senso stesso dell’essere».
Dopo aver ricordato la profonda e sincera
amicizia che lo lega a Pareyson e dopo
aver richiamato alla memoria gli incontri
abituali al Caffè di Rapallo - «Pareyson
era fiero della sua Rapallo (...); mi mostrò
dove avevano abitato Husserl e Sibelius
(...); il volto tradiva che egli era passato
attraverso forti dolori. Lo sguardo vivace
rivelava una certa angoscia di vivere. Ma
appena si apriva un poco s’irradiava una
65
grande bontà, si riluceva religiosità» -,
Reinhard F. M. Lauth (“Ricordo delle
mie conversazioni con Pareyson”), ha ribadito le sue riserve (a differenza di
Pareyson) sia su Schelling che su
Heidegger («a causa del suo atteggiamento doppiamente vergognoso nei confronti
del nazionalsocialismo»), mentre concorda con Pareyson nel ritenere «insostenibile un sistema chiuso come quello di Hegel».
Lauth ha affermato il valore di una filosofia sistematica della libertà (Descartes), la
quale «può comprendere l’intero dei principi della realtà in un sistema»; per Lauth
la storia non può essere compresa solo
sulla base dei miti. Richiamando l’impatto pagano ed ebraico nella visione religiosa di Pareyson, Lauth ha chiuso il suo
intervento affermando che Pareyson non
comprende l’amore nella sua intera portata: il sacrificio di Cristo è sacrificio d’amore; il tormento della morte e la gloria della
resurrezione sono inseparabili.
Gianni Vattimo (“Pareyson e l’ermeneutica contemporanea”), ha sottolineato la
prematurità della scomparsa di Pareyson,
evidenziando come l’attualità di Pareyson
sia riscontrabile dai numerosi problemi
ancora aperti della sua filosofia (il rapporto tra pensiero estetico e pensiero tragico,
tra visione ermeneutica e esistenzialismo
cristiano). Vattimo ha riflettuto sulla questione della drammaticità dell’atto interpretativo pareysoniano e dell’apparente
mancanza di drammaticità negli altri pensatori ermeneutici (Gadamer). Infine
Vattimo ha ritenuto importante richiamare l’ermeneutica al fondamentale compito
di riscoprire l’ontologia dell’inesauribile
e il rapporto con la tradizione religiosa.
In un breve intervento, Francesco Tomatis ha ripercorso le tappe della filosofia di
Pareyson, traendo spunto dall’autointerpretazione di Pareyson stesso e dalla sua
Ontologia della libertà.
Dopo aver ricordato gli incoraggiamenti
di Pareyson «a parlare di esistenzialismo»,
poi richiama l’attenzione alla «essenziale
componente esistenzialista» di Pareyson,
Pietro Prini (“Il discorso «temerario» di
Pareyson sull’abisso della libertà in Dio”)
ha messo in luce le profonde divergenze
tra Gadamer e il filosofo torinese, affermando che per Pareyson l’interpretazione
falsa (a differenza di Gadamer) è il frutto
di una distruzione. Prini si è soffermato
anche a dimostrare come Plotino sia il
vero “sottofondo” della filosofia pareysoniana. Infine, secondo Prini, Pareyson
non ha enucleato le difficoltà del problema della libertà «come inizio e scelta».
Giuseppe Riconda (“Ateismo e nichilismo nel pensiero di Pareyson”) ha esaminato in quattro punti della sua relazione la
profondità del pensiero di Pareyson in
rapporto al problema dell’ateismo e del
nichilismo. Nella prima parte del suo intervento (Cristianesimo come problema
filosofico fondamentale) Riconda ha auspicato insieme a Pareyson un «ritrova-
CONVEGNI E SEMINARI
mento e recupero del cristianesimo». Successivamente (Problema dell’ateismo in
Kierkegaard e Feuerbach) ha mostrato
come sia Kierkegaard, sia Feuerbach ci
«pongono innanzi ad una alternativa inevitabile». Riconda ha poi affrontato (Problema del nichilismo in Dostoevskij) la
figura di Ivan Karamazov, in cui l’apologia divina della fede passa innanzi al
«crogiolo del dubbio». Nell’ultima parte
del suo intervento (Il tema pascaliano
della scommessa) Riconda ha mostrato
come per Pareyson sia «nella figura pascaliana della scommessa, e non in quella
nietzscheana della morte di Dio, la cifra
per la comprensione della situazione dell’uomo contemporaneo». Ad esso la meditazione di Pareyson è «essenzialmente
rivolta nel senso di condividerne i dubbi
e l’angoscia nello sforzo però di convertirli in domanda che esige e sollecita un
continuo approfondimento della scelta
filosofico-religiosa».
Con due brevi relazioni sono intervenute
anche Marianna Genzabella e Teresa
Longo. La prima ha interpretato il valore
estremo della morte e della apocatastasi
nel pensiero di Pareyson, mentre la seconda ha sottolineato la continuità tra esistenzialismo ed ermeneutica nell’iter filosofico di Pareyson.
Xavier Tilliette (“Il male e l’espiazione”)
ha esposto uno dei temi fondamentali
dell’Ontologia della libertà: il problema
del male. Secondo Tilliette «Dio ha vinto
ed espulso per sempre il male con il mero
fatto della propria manifestazione». Il
male, ha osservato Tilliette, trova la propria forza distruttrice nell’uomo: «il male
non è in quanto male in Dio. Diventa male
in quanto scatenato dall’uomo». Tilliette
ha analizzato anche la sofferenza, «lo scandalo peggiore», e l’espiazione come guarigione.
Alessandro Di Chiara (“Pareyson e il
valore tragico-soteriologico della sofferenza”) ha osservato la notevole influenza
di Berdjaev nell’intera forma mentis di
Pareyson (in particolare nel tema della
libertà, della sofferenza, dell’escatologia),
sottolineando come, nell’ambito di un’ermeneutica religiosa, il momento della croce rappresenti l’unione teandrica nell’attesa escatologica, unica apertura verso
l’apocatastasi.
A proposito di queste ultime considerazioni, vale la pena richiamare un passo
significativo dell’Ontologia della libertà:
«Si può considerare cristiano chi senza
enfasi e con impassibile fortezza è capace
di “sopportare” le durissime idee seguenti: l’idea che il cuore della realtà è fatto di
male e di dolore; l’idea che Dio non cessa
d’esser Dio se soffre e si abbassa, perché
il male può esser completamente vinto
solo con la cenosi di Dio, che deve dunque
esser messa in conto della sua onnipotenza; l’idea che l’uomo non ha alcun diritto
alla felicità né alcun permesso di lamentarsi, perché del fallimento del mondo non
ha da incolpare che se stesso; l’idea che
non si soffre mai abbastanza, a causa dell’economia sbilanciata dell’universo, e che
perciò anche gli innocenti sono chiamati a
prestare il loro contributo di sofferenza,
del che non Dio ma l’uomo stesso è responsabile; l’idea che segno e misura dell’essere cristiano è la continua disponibilità a soffrire per gli altri, anzi a volerlo
fare, anzi a trovarvi soddisfazione, cioè
sollievo alla propria colpevolezza e infelicità; l’idea che proprio la sofferenza, e
non un qualsiasi divertissement, è il rimedio contro la noia, il taedium vitae, la
scontentezza, l’inquietudine, e anzi proprio il dolore può diventare sede della
gioia». A.Di C.
Opere di Luigi Pareyson (in volume):
L’esistenzialismo di Karl Barth (Sansoni,
Firenze 1939); La filosofia dell’esistenza
e Carlo Jaspers (Loffredo, Napoli 1940;
nuova ed., Karl Jaspers, Marietti, Casale
Monferrato 1983); Studi sull’esistenzialismo (Sansoni, Firenze 1943, 1950,
rist.1971); Vita, arte, filosofia (Edizioni
dell’Istituto di Filosofia della Facoltà di
Lettere dell’Università di Torino, Torino
1947); Fichte (Edizioni di “Filosofia”,
Torino 1950; nuova ed. aumentata, Mursia, Milano 1976); Esistenza e persona
(Taylor, Torino 1950, 1960, 1966; nuova
ed. Il Melangolo, Genova 1985); L’estetica dell’idealismo tedesco (Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950); Il verosimile nella
Poetica di Aristotele (Tipografia “La Salute”, Torino 1950); Libertà e peccato
nell’esistenzialismo (Pro Civitate Christiana, Assisi 1952); Unità della filosofia
(Edizioni di «Filosofia», Torino 1952; trad.
ingl., The Unity of Philosophy, in «Cross
Currents», IV, I, 1953); Estetica: teoria
della formatività (Edizioni di «Filosofia»,
Torino 1954; 2ª ed. Zanichelli, Bologna
1960; 3ª ed. Sansoni, Firenze 1974; trad.
romena, Estetica. Teoria formativitâtii,
Univers, Bucarest 1977); L’Estetica giovanile di Goethe (Viretto, Torino 1957);
L’Estetica preclassica di Goethe (Viretto,
Torino 1958); L’estetica di Paul Valery
(Viretto, Torino 1959); Il concetto di abitudine , (Viretto, Torino 1959); L’estetica
di Goethe e il viaggio in Italia (Viretto,
Torino 1960); L’estetica di Novalis (Viretto, Torino 1961); L’estetica e i suoi
problemi (Marzorati, Milano 1961);
L’estetica di Schiller (Viretto, Torino
1962); La prima estetica classica di Goethe
(Gheroni, Torino 1963); L’estetica di
Schelling (Giappichelli, Torino 1964);
L’etica di Kierkegaard nella prima fase
del suo pensiero (Giappichelli, Torino
1965); Teoria dell’arte. Saggi di estetica
(Marzorati, Milano 1965); I problemi dell’estetica (Marzorati, Milano 1966. Traduzione portoghese: Os Problemas da
Estética, Martins Fontes, Sâo Paulo, 1984
); Conversazioni di estetica (Mursia, Milano 1966. Traduzione spagnola: Conversaciones de estética, Visor, Madrid 1988);
66
L’etica di Pascal (Giappichelli, Torino
1966); Filosofia e ideologia (Edizioni di
“Filosofia”, Torino 1967); Il pensiero etico di Dostoevskij (Giappichelli, Torino
1967); L’estetica di Kant (Mursia, Milano
1968; nuova ed. aum. 1984); L’iniziativa
morale (Giappichelli, Torino 1969); Etica
ed estetica in Schiller (Giappichelli, Torino 1969; nuova ed., Mursia, Milano 1983);
Verità e interpretazione (Mursia, Milano 1971, 1972, 1981); Essere e libertà
(Giappichelli, Torino 1970); L’etica di
Kierkegaard nella “Postilla” (Giappichelli, Torino 1971); L’esperienza artistica:
saggi di storia dell’estetica (Marzorati,
Milano 1974); Schelling. Presentazione e
antologia (Marietti, Torino 1975); Schellingiana rariora (Bottega d’Erasmo, Torino 1977); Filosofia della libertà (Il Melangolo, Genova 1989); Prospettive di filosofia contemporanea (Mursia, Milano
1993); Dostoevskij (Einaudi, Torino 1993);
Ontologia della libertà (Einaudi, Torino
1994).
Dipendenza e intenzionalità
nella fenomenologia
Nell’ambito del ciclo di seminari su
“Phénoménologie, Cognition et Morphodynamique”, organizzato dal
CREA e dall’ENS di Parigi sotto la direzione di Jean Petitot, Kevin Mulligan
ha tenuto il 6 marzo 1995, nella Sala
Cavaillès dell’Ecole Normale Supérieure di Parigi, una conferenza dal titolo:
“DÉPENDANCE, PRÉDICATION ET PERCEPTION:
PROBLÈMES PHÉNOMÉNOLOGIQUES”.
Al centro della propria relazione Kevin
Mulligan ha posto due tesi: la centralità
della nozione di dipendenza nella fenomenologia e l’assenza in quest’ultima di
un’effettiva teoria dell’intenzionalità.
Anzitutto Mulligan ha mostrato come
l’elaborazione delle Ricerche logiche di
Husserl abbia risentito fortemente di quattro differenti matrici teoriche: la fenomenologia realista di Geiger, Scheler e
Reinhardt; la psicologia descrittiva di
Brentano; la tradizione della filosofia
austriaca, che da Bolzano giunge, attraverso Zimmermann, a Brentano e Mach e
si esaurisce poi in Popper, Hayek e
Feyerabend; i primordi della filosofia
analitica. In quest’ottica, ha osservato
Mulligan, due questioni appaiono decisive per una piena comprensione dei successivi sviluppi della fenomenologia: la
definizione della struttura predicativa
delle proposizioni e l’analisi dell’apprensione percettiva nella VI Ricerca; il rapporto tra le due questioni prefigura la
tematica della verificazione e della falsificazione, aprendo la via alla questione
dell’astrazione.
In generale, la trattazione della tematica
CONVEGNI E SEMINARI
husserliana della predicazione è viziata,
secondo Mulligan, dalla diffusa incomprensione dell’assiomatica delle relazioni
tra dipendenza e indipendenza, descritta
nella III Ricerca, per mezzo della quale
Husserl definisce un particolare tipo di
relazioni interne, i cui termini possono
essere tanto momenti, quanto cose. Se
nelle Ricerche logiche Husserl definisce
le specie come tipi ideali, di cui i momenti
sono le esemplificazioni particolari, la
nozione di dipendenza che lega le specie
ai momenti viene qui a descrivere un rapporto di tipo fondativo. Applicando questi
strumenti concettuali alla sintassi dei predicati (IV Ricerca), ha sottolineato Mulligan, Husserl individua nella nozione di
dipendenza una categoria semantico-sintattica primitiva, che concorre a definire
la forma logica della proposizione, individuata appunto dalla relazione di dipendenza tra i termini. Accanto a questa nozione primitiva Mulligan ne ha richiamata
un’altra, che consiste nella relazione di
subordinazione in cui si articola la struttura di una proposizione complessa. Oltre a
queste categorie primitive, dette “normali”, altre, dette “anormali”, regolano in
Husserl la strutturazione semantico-sintattica delle proposizioni. Fra queste figura la modificazione nominalizzante, che
avviene nel caso della menzione di un
nome in una frase, e la corrispondente
“normalità” della struttura delle proposizioni complesse, di contro alle proposizioni componenti che compaiono all’interno delle prime in forma nominalizzata.
Tutto ciò costituisce per Mulligan il retaggio più vivo della linguistica husserliana,
che del resto ha il merito di aver marcato
l’inizio di una tradizione linguistica del
pensiero contemporaneo, tramite l’assunzione dell’eterogeneità tra il senso di una
proposizione e gli stati di fatto che essa
esprime.
Mulligan ha poi proseguito descrivendo le
molteplici involuzioni subite dal pensiero
husserliano già immediatamente dopo le
Ricerche logiche. Sottolineando come nella teoria semantica e sintattica di Husserl
sia da ravvisarsi la più chiara risposta allo
psicologismo, Mulligan ha fatto notare
come già nella Filosofia come scienza
rigorosa Husserl avesse denunciato il naturalismo delle Ricerche, dando in tal modo
al proprio pensiero una direzione completamente diversa. L’errore naturalista a cui
Husserl intendeva riparare derivava infatti dall’aver definito gli eventi mentali come
sole possibili istanziazioni per le strutture
ideal-sintattiche. Questo creava una contraddizione, dato che tali atti mentali venivano situati nel tempo oggettivo mentre,
non essendo reidentificabili, non potevano trovarvisi. La maggior parte dei critici,
ha osservato Mulligan, sembra viceversa
ignorare che per Husserl una cosa che
esiste nell’ordine temporale deve poter
essere reidentificabile. Così, gli eventi
mentali che istanziano le strutture sintatti-
che sarebbero tali, semmai, in senso biologico, ma non certo in quanto strutture
ideali che, come tali, non si trovano collocate nel tempo ordinario, ma soltanto in
quello immanente. Il ripensamento su
questo punto segna, secondo Mulligan,
una svolta nel pensiero husserliano: del
resto, proprio la questione della reidentificabilità era divenuto un punto centrale
della filosofia dello spirito dell’ultimo
Wittgenstein.
Le riduzioni fenomenologiche introdotte
da Husserl successivamente alle Ricerche
conducono manifestamente, secondo Mulligan, ad un sofismo genetista, non essendo esse in alcun modo coinvolte nel processo di determinazione della verità o
falsità di una determinata analisi. La loro
introduzione su questo terreno realizza
così pienamente quella deriva genetista e
psicologista, la cui eliminazione aveva
costituito il maggiore successo delle Ricerche.
Tutto ciò si riflette infine, secondo Mulligan, nella questione dell’intenzionalità
percettiva. Contro la grande maggioranza
della critica, Mulligan ha negato che si
possa trovare in alcun punto dell’opera di
Husserl una compiuta teoria dell’intenzionalità, ed è dunque del tutto fantasioso
parlare, per la fenomenologia, di una “teoria dell’intenzionalità”. In particolare,
ha sottolineato Mulligan, non è affatto
tale la teoria dei noemi, che presenta due
limiti capitali. Anzitutto, essa si limita a
dirci che in un’apprensione percettiva è
possibile isolare un’entità, detta noema,
caratterizzata da un insieme di predicati;
una teoria dell’intenzionalità dev’essere
invece fondata su un’analisi dei rapporti
tra uno stato percettivo e l’oggetto della
percezione. In secondo luogo, Husserl era
finalmente giunto a sgombrare il campo
dalla nozione brentaniana di oggetto intenzionale. Nelle Idee, invece, la correlazione noetico-noematica, pur senza essere
chiarita a fondo, ripropone un modello
relazionale strutturalmente identico a quello di Brentano: non si dà alcuna noesi
senza noema, e quest’ultimo è altrettanto
oscuro dei misteriosi oggetti immanenti
brentaniani. L.S.
Valori e cultura universitaria
Su invito dell’Istituto Teologico di
Chieti, il 25 febbraio 1995, presso l’Aula Magna del Seminario Pontificio Regionale di Chieti, Adriano Bausola ha
tenuto una conferenza sul tema: “VALORI E CULTURA UNIVERSITARIA”. L’incontro è stato aperto dall’introduzione
del Rettore, Don Marco Trivisonne, e
dalla documentata presentazione di
R. Corona, che hanno costituito parte
integrante della positiva riuscita dell’iniziativa.
67
Aprendo il suo intervento, Adriano Bausola ha preso le mosse da una constatazione di fatto: la sostanziale e predominante
autodisciplina e/o autolimitazione di scienziati e addetti alla ricerca scientifica ed il
sostanziale rifiuto di qualsivoglia limite
imposto dall’esterno. A ciò corrisponde,
secondo Bausola, un’autolimitazione reale dei contenuti della ricerca della verità
stessa, la cui positività, sebbene comunemente riconosciuta, viene normalmente
identificata con la provvisorietà tipica della
sua modalità empirica. Ciò motiverebbe,
nei più, il rifiuto, più o meno esplicito,
della metafisica in quanto non interessante per l’uomo e di ogni verità assoluta in
quanto causa principale di intolleranza.
La dilagante “cultura dell’indifferenza”
nell’ambiente universitario nascerebbe
proprio dall’incontro tra il rifiuto di ogni
verità assoluta e la corrispettiva limitazione empiristica del suo contenuto, per cui
indifferenza teorica ai valori e indifferenza pratica alle persone vengono a complicarsi in un comune atteggiamento scettico
e disimpegnato verso i problemi degli
altri.
Tra un nichilismo “gnoseologico” ed uno
di tipo “pratico” (dal “nulla è vero” al
“tutto è permesso”) Bausola ha segnalato
la presenza di un “nichilismo equilibrato”
(indifferentismo), più sottile e surrettizio,
tipico di chi non vuole essere nichilista e
si limita ad orizzonti parziali (i valori) di
senso. Confutando, poi, il detto di Hans
Kung: «Tutto è assurdo, solo i singoli
passi sono ragionevoli», Bausola ha concluso che «non si può non dare una risposta sull’orizzonte totale, se si vuole tematizzare il contesto particolare», pena lo
scadere nell’assurdo. Non si può essere
solo chi vive sforzandosi di superare continuamente il (suo ed altrui) nichilismo.
Passando al secondo punto della sua relazione, Bausola ha sottolineato come, a
fronte di questo “impossibile nichilismo”
e della contraddittorietà intrinseca all’indifferenza come atteggiamento, stia il compito dell’uomo di cultura; compito che
non consiste in un vacuo e neutrale rispetto della libertà dell’altro, formalmente considerata, ma in una ragionevole tematizzazione dei contenuti stessi delle sue scelte libere. Analogamente, ha continuato
Bausola, a fronte del diffuso e incondizionato liberalismo, della “vergogna prometeica” dello homo faber dinanzi ai mezzi
tecnici concepiti dalla sua stessa autoprogettazione, «si tratta di far capire che ci
sono ancora valori che non dipendono
dalla libera intrapresa del soggetto».
Bausola ha concluso la sua prolusione
indicando nell’Università un luogo paradigmatico in cui queste “evidenze etiche
universali” vengano riconosciute non in
astratto, ma all’interno del momento concreto ed operativo della ricerca come sede
privilegiata dell’originaria e propriamente umana domanda sul senso totale (vocazione). G.F.
CONVEGNI E SEMINARI
Metafisica tra ontologia
e antropologia
Presso la sala incontri dell’ISU dell’Università degli Studi di Milano, il 16
febbraio 1995 si è svolto un dibattito
dal titolo: “LA ‘QUAESTIO METAPHYSICA’
TRA ONTOLOGIA E ANTROPOLOGIA”, al quale
hanno partecipato, oltre all’autore,
Fulvio Papi, Mario Ruggenini, Carlo
Sini. L’incontro ha avuto luogo in occasione della presentazione del volume di Flavio Cassinari, DEFINIZIONE E
RAPPRESENTAZIONE. ANTROPOLOGIA E METAFISICA NELL’INTERPRETAZIONE HEIDEGGERIANA DI KANT (Prefazione di C. Sini, Guerini e Associati, Milano 1994).
Introducendo il dibattito, Fulvio Papi ha
fatto notare come molte delle correnti che
compongono il panorama della riflessione
filosofica novecentesca tentino di rispondere alla questione di una definizione del-
l’essenza umana. E’ questo il caso di
Heidegger, che ricerca in Kant elementi
che anticipino il proprio tentativo di superamento della prospettiva antropocentrica,
tipica della metafisica occidentale nel suo
caratterizzarsi come pensiero rappresentativo. In questo quadro di riferimento storico e concettuale, Papi ha ricostruito l’ambito problematico in cui si colloca l’interpretazione di Flavio Cassinari: muovendosi, con Heidegger, sulla scena del finito,
inteso come l’essenza stessa del filosofico,
Cassinari mostra negli scritti heideggeriani
dedicati a Kant l’insuperabilità del piano
rappresentativo. In Heidegger la trasformazione dell’”io penso” in un soggetto
finito avviene attraverso la strategia fenomenologica del far apparire, del rivelarsi di
un’essenza, il Da-sein. La struttura compositiva del testo heideggeriano costituisce il
tessuto argomentativo di questa strategia e
la sua analisi, a parere di Papi, rappresenta
la strada che Cassinari percorre per dimo-
Immanuel Kant in un dipinto di Gottlieb Doeppler, 1791
68
strare come nell’ “apparire” e nel “manifestarsi” riaffiori ancora quel rapporto tra
rappresentazione e idealizzazione, sul quale si fonda l’antropocentrismo del soggetto
moderno.
La questione antropologica, ha osservato
Papi, viene recuperata da Heidegger nel
tentativo di far emergere il tema della finitudine. Tuttavia, ha obiettato Papi, il finito
è dato ed è costituito dalla nostra appartenenza a pratiche plurali, tutte inderogabilmente segnate dalla finitudine stessa; in tal
senso il problema concettualmente rilevante appare non tanto quello del “dire la
finitudine”, quanto piuttosto quello del “dire
nella finitudine”.
Papi si è dichiarato d’accordo con la tesi
secondo la quale in Kant und das Problem
der Metaphysik (Kant e il problema della
metafisica, 1929) Heidegger mostra l’insuperabilità del pensiero e del linguaggio
rappresentativi. Se Heidegger mirava a rintracciare in Kant il prefigurarsi della questione dell’essere, la finitezza del Dasein
quale “tratto ontologico decisivo”, avrebbe
dovuto cercarla, secondo Papi, non nell’
“Analitica trascendentale”, ossia sul piano
della rappresentazione intuitivo-immaginativa del soggetto finito, bensì nella “Dialettica”, e dunque, all’opposto, sul versante
relativo all’infinità della ratio e al principio
ontologico della libertà. La mancanza in
Heidegger dello “sfondo” di infinità presente nella prospettiva kantiana, non solo
pratica, ma anche teoretica, è stata rilevata
da Ernst Cassirer, come appunto indica
anche Cassinari nella sua ricostruzione.
Tuttavia, ha sostenuto Carlo Sini nel suo
intervento, la meditazione heideggeriana
su Kant resta pur sempre un’interpretazione che, molto più della lettura di Cassirer e
dei neokantiani, continua a far problema. Il
fallimento della lettura di Heidegger del
testo kantiano, osserva Sini nella sua “Prefazione” allo studio di Cassinari, evidenzia
alcune questioni decisive. Innanzitutto l’impossibilità di definire l’uomo, per cui, secondo Sini, «ogni domanda comunque formulata sull’ “essenza” dell’uomo, così come
sull’ermeneutica e sul suo “circolo”, risulta
por capo a un pensare infondato»; di qui il
tentativo delle correnti ermeneutiche postheideggeriane, o presunte tali, di trovare
un fondamento al proprio sapere, assumendo coloriture storiciste o sociologiche.
L’esito a cui giunge Heidegger nel suo
confronto con Kant chiarisce, in definitiva,
l’irresolubilità «dell’obiettivo di un pensare non rappresentativo, nonché di un “ascolto” e un “abbandono” non volontaristici».
Per Sini occorre innanzitutto chiedersi perché a Heidegger interessi tanto Kant; o
meglio, perché mai continui ad interessarlo, anche dopo che la lettura di Dilthey ha
mostrato come il soggetto kantiano resti un
soggetto astratto. Di contro all’interpretazione tradizionale, che nella Critica kantiana sottolinea il problema gnoseologico,
Heidegger interroga Kant intorno alla questione della metafisica e dell’antropologia.
CONVEGNI E SEMINARI
Martin Heidegger
Ciò determina uno spostamento d’attenzione dalla logica all’estetica, dalle categorie all’immaginazione, quale facoltà intuitiva più potente. D’altra parte, ha fatto
notare Sini, le categorie sono per Kant solo
denominazioni delle funzioni logiche del
soggetto; l’elemento qualificante dell’ambito trascendentale è prima di tutto l’iopenso (Ich denke), che «deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni». In
altri termini, le categorie kantiane vanno
considerate di secondaria importanza rispetto al nodo centrale dell’ “io penso”, di
cui esse rappresentano, al contempo, l’articolazione e l’irrigidimento. Per Heidegger,
ha sottolineato Sini, occorre spiegare il
significato del fatto che l’ “io penso” accompagni le rappresentazioni - cosa che
Hegel, a buon diritto, definirà vacua, intellettualistica; occorre, in altri termini, interrogarsi sull’origine ontologica di questo
“accompagnare”: in questo senso l’obiezione decisiva, che Heidegger muove ai
neokantiani, riguarda la necessità di far
emergere un soggetto che si dà, che ex-iste.
Merito principale della prospettiva heideggeriana, ha ribadito Sini, consiste nell’aver
messo in questione il soggetto kantiano nel
tentativo di tracciare per esso una genesi,
spogliandolo del suo carattere di certezza e
di centralità. In questo Heidegger ha mostrato che non solo è legittimo, ma anche
doveroso chiedersi quale sia il luogo in cui
si colloca il soggetto kantiano, del quale si
è spesso evidenziato il carattere formale.
Occorre, in altri termini, mettere in questione ciò che istituisce il soggetto incarnato di Kant, l’ “occhio pubblico”, quello
sguardo sintetico che rende universalmente valide le conoscenze alle quali giunge
ogni uomo dotato di ragione.
Secondo Mario Ruggenini, il merito dello
studio di Cassinari consiste nell’aver mostrato l’aspetto aporetico della riflessione
heideggeriana su Kant, tutta incentrata intorno alla quaestio metaphysica tra ontologia e antropologia; dopo di essa, il tentativo
di porre la domanda sull’uomo attraverso
un’ontologia appare problematico. In Essere e tempo, ha osservato Ruggenini,
Heidegger chiama in causa tutta la tradizione ontologica, che da Parmenide in poi
ha misconosciuto l’essere, trattandolo come
un ente. Ciò ha creato necessariamente una
tensione tra il progetto di distruzione dell’ontologia tradizionale e la necessità di
affrontare il problema dell’uomo ancora in
termini ontologici. Anche se, ha aggiunto
Ruggenini, all’opera heideggeriana non può
non essere riconosciuto il merito di aver
comunque tentato un’elaborazione dell’esistenzialità dell’uomo: ogni rappresentazione metafisica delle cose non può fare a
meno del concetto di “essere”, ma soltanto
l’uomo “è” in senso proprio. In questo,
secondo Ruggenini, non si cela però un
riaffermarsi dell’antropocentrismo, poiché,
al di là di ogni aporia in cui può essere
ricaduto il suo pensiero, nel porre la domanda sull’uomo Heidegger pone un pro69
blema autentico: il problema dell’uomo
nella sua finitezza. Benché egli tenda a
mistificare la questione dell’essere, resta il
fatto che Heidegger è il primo a interrogarsi sul significato del presupposto ontologico di tutti i nostri discorsi.
La riflessione heideggeriana, ha osservato
Ruggenini, ci indica che l’essere dell’uomo è un “esistere” che è ben lontano dal
potersi ridurre a puro e semplice “essere
qualcosa più del nulla”, che attribuiamo
agli enti. Il proprium del solo essere che
esiste, l’uomo, consiste nella sua radicale
finitezza, nel fatto che egli debba morire,
che percorra una parabola e abbia dei “mezzi” limitati. A partire dal riconoscimento di
questa situazione, che per noi oggi può
avvenire solo a partire da Heidegger, si
rivela illusorio il programma, ancora vivo
in Kant, di chiamare in giudizio la natura
extraumana, per attuarne una conoscenza
totale e asservirla ai propri fini. In questo
concepire il soggetto come il datore di
senso di una realtà che, “in sé”, costituisce
un fatto bruto risiede, ben prima di Nietzsche, la radice del nichilismo. Se è vero,
come ricorda Cassinari, che nello scritto su
Kant Heidegger non viene a capo dell’essenza della rappresentatività; e se pure è
legittimo sostenere che il limite della lettura heideggeriana consista nell’arrestarsi alla
“Dialettica”, occorre tuttavia non dimenticare, ha aggiunto Ruggenini, che il fallimento e gli errori di Heidegger nella sua
lettura di Kant sono caratterizzati dallo
CONVEGNI E SEMINARI
sforzo di farsi interprete di Kant. Valorizzando il tema della finitezza come ciò che
costitutivamente apre l’uomo al mondo,
Heidegger per primo ha tentato di pensare
il problema dell’essere dell’uomo al di là
del paradigma fondativo della metafisica
moderna, la certezza di sé del cogito cartesiano.
Intervenendo nel dibattito, Flavio Cassinari ha ribadito come soprattutto nelle
lezioni di Heidegger, più che nelle sue
opere, la questione antropologica si riveli
tema centrale del dialogo tra Heidegger e
Kant. Le lezioni forniscono la chiave di
lettura del tentativo heideggeriano di oltrepassamento della prospettiva antropocentrica della metafisica tradizionale. La tesi,
centrale in Essere e tempo, della finitezza
della conoscenza umana funge da presupposto nel progetto di “ontologia fondamentale”, che innerva la riflessione di Heidegger
nel corso degli anni Venti e fonda la sua
lettura di Kant, nell’intento di pervenire a
una dimensione “originaria” della funzione rappresentativa. Il progetto heideggeriano di un’ “ontologia fondamentale”
mostra perciò, secondo Cassinari, la sua
contiguità con quello rivolto, negli anni
Trenta, all’ “oltrepassamento della metafisica”.
Due momenti, in particolare, della lettura
heideggeriana di Kant lasciano emergere le
difficoltà che Heidegger incontra nel progetto di oltrepassamento della metafisica:
la scelta dei testi kantiani, in cui ad esempio
non figurano parti relative alla trattazione
dell’ideale trascendentale, o alcune sezioni
della filosofia pratica, che pure risulterebbero congruenti con l’obiettivo perseguito;
la sovrapposizione alla determinazione
kantiana dell’ “oggetto in sé” della propria
nozione di essere, dove la distinzione kantiana tra “fenomeno” e “oggetto in sé”
viene letta come una versione della propria
concezione di “differenza ontologica”. In
quanto fondata sulla funzione rappresentativa, ha osservato Cassinari, la nozione di
conoscenza ontologica delineata da Kant
appare infatti inadeguata al ruolo che
intenderebbe attribuirle Heidegger. Se
Heidegger, nella sua lettura di Kant, non
riesce a tener fermo alle proprie convinzioni sulla natura della funzione rappresentativa, fallendo così il proposito di oltrepassamento della prospettiva antropocentrica,
ciò dipende, secondo Cassinari, dall’idea
stessa di oltrepassamento e dalla sua caratterizzazione ancora antropologica.
Inseguendo il progetto di un’ “ontologia
fondamentale”, Heidegger va alla ricerca
di una de-finizione dell’uomo e, insistendo
sulla sua finitezza, lo determina come DaSein - laddove in ben altra direzione, e con
esiti più fruttuosi, si muove invece proprio
Kant. Ma il tentativo heideggeriano, secondo Cassinari, è destinato a risolversi in
uno scacco: nel coniugarsi di finitezza e
rappresentazione si ripropone, infatti, come
ineliminabile la pratica definitoria nei confronti dell’essere e dell’essenza umani. L.F.
Problemi di filosofia
della scienza
Con il titolo “CURRENT ISSUES IN THE
PHILOSOPHY OF SCIENCE ” si è svolto a
Firenze, nei giorni 11 e 12 marzo
1995, il II Convegno annuale organizzato dalla sede fiorentina dell’Università di Standford e dal Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della
Scienza, con il patrocinio della Provincia di Firenze. Più che problemi
generali della filosofia della scienza
tradizionale, oggetto di discussione
del Convegno sono stati i problemi
filosofici delle scienze particolari,
suddivisi in tre aree tematiche: fondamenti della probabilità, logica e
fondamenti della matematica e fondamenti della fisica.
P. Suppes, studioso tra i più importanti
nell’area dei fondamenti della probabilità, si è occupato del problema di una
possibile “misura” della libertà di scelta
mediante la nozione di entropia, e delle
possibili applicazioni al caso della libertà nella scelta di prodotti (mercato
economico) e al caso della libertà nella
scelta di un candidato alle elezioni (mercato politico). M. C. Galavotti ha ricondotto la posizione di Suppes alla
forma di “empirismo probabilistico”, di
cui egli è esponente. L’empirismo probabilistico attribuisce un ruolo centrale
alla probabilità nella teoria della conoscenza e nella filosofia della scienza, e
una costante attenzione all’analisi dei
dati e alla sperimentazione anche nel
campo delle scienze sociali.
L’intervento di R. Festa ha affrontato il
problema dell’analogia nell’ambito dell’approccio bayesiano alla metodologia
scientifica, che fa uso di una teoria delle
probabilità induttive. Alla base della prospettiva di Festa vi è la generale assunzione della concezione popperiana e dell’attuale verisimilitude theory (teoria
della verosomiglianza), secondo cui
l’obbiettivo cognitivo della scienza è il
raggiungimento di un alto grado di verosomiglianza.
D. Costantini si è occupato di due celebri articoli di Boltzmann, comparsi nel
1868 e nel 1872, nei quali vengono poste le basi della moderna meccanica statistica. In questi articoli Boltzmann,
fondandosi sull’approccio statistico al
moto atomico introdotto da Maxwell,
ottenne risultati fondamentali sui processi di trasposrto e sul problema della
tendenza all’equilibrio nella teoria cinetica dei gas. Della possibilità di un
approccio “pragmatico” ai fondamenti
della teoria della meccanica statistica si
è occupato invece Y. Guttman. L’intervento di G. C. Ghirardi ha affrontato le
implicazioni di tipo “realistico” (nei fondamenti della meccanica quantistica e
nel problema della relazione tra micro e
70
macro-eventi del mondo fisico) contenute nel modello di riduzione dinamica
recentemente sviluppato da Ghirardi
stesso insieme a Rimini, Weber, Grassi
e Pearle. Questo modello affronta l’annoso problema della misurazione quantistica, introducendo una modificazione
non lineare dell’equazione di Schrödinger, mediante la quale si “impedisce” al processo di riduzione della funzione d’onda di estendersi al livello
macrofisico.
Anche l’intervento di J. Butterfield ha
posto al centro dell’attenzione il problema della misurazione, analizzato nella
sua connessione con il problema ben più
antico della relazione tra mente e materia, dal momento che ogni teoria che
asserisca di fornire una descrizione completa del mondo fisico deve dar conto
della nostra esperienza mentale di osservatori.
Nel loro intervento M. L. Dalla Chiara,
R. Giuntini e G. Cattaneo hanno invece proposto una particolare formalizzazione di alcune fondamentali nozioni
della teoria dei modelli empirici applicata alla fisica. In questa formalizzazione si tiene conto dei rapporti tra la generalizzazione operazionale della meccanica quantistica e un approccio di tipo
costruttivistico ai fondamenti della fisica, rivolto in particolare al problema
della computabilità in fisica. L’intervento di D. Mundici è stato dedicato
alla storia del teorema di completezza
delle logiche polivalenti di Lukasiewicz
(logiche a infiniti valori). Mundici ha
ripercorso l’evoluzione del problema,
dalla dimostrazione di Chang in teoria
dei modelli applicata ai gruppi totalmente ordinati, alla dimostrazione sintattica di Rose e Rosser, alla dimostrazione di Cignoli, che utilizza la rappresentazione degli L-gruppi abeliani liberi, e infine alla recente dimostrazione di
Panti, che utilizza profondi risultati di
geometria algebrica.
L’intervento di I. Pitowsky è stato infine rivolto alla relazione tra il teorema di
incompletezza di Goedel e la tesi di
Church sull’equivalenza tra computabilità effettiva e ricorsività per le funzioni in teoria dei numeri. Riferendosi a
un discusso articolo di Dummett del
1986, Pitowsky ha sostenuto che se si
assume come criterio per il carattere
assiomatico di una teoria l’esistenza di
una procedura effettiva, in grado di determinare se una formula data è o non è
un assioma della teoria, allora la tesi di
Church è un presupposto essenziale del
teorema di incompletezza di Goedel. Se
la tesi di Church dovesse rivelarsi infondata, la portata del teorema di Goedel
risulterebbe, secondo Pitowsky, notevolmente ridotta. F.L.
CONVEGNI E SEMINARI
Ambrogio Lorenzetti, Veduta della città sul mare, (part.)
Elias e Foucault:
civilizzazione e cultura
Il Centro Culturale della Fondazione
S. Carlo di Modena ha organizzato da
gennaio ad aprile 1995 un ciclo di lezioni dal titolo: “MODELLI PER LA TEORIA E
LA STORIA DELLE CULTURE . NORBERT ELIAS.
MICHEL FOUCAULT”. Le tre lezioni dedicate ad Elias hanno visto la partecipazione di Simonetta Tabboni, Carlo Ossola
ed Antonio Roversi; mentre le tre dedicate a Foucault sono state tenute da
Mario Vegetti, Pasquale Pasquino e
Axel Honneth.
Le tre lezioni su Norbert Elias, raccolte
sotto il titolo di “Epoche del processo di
civilizzazione. Economia pulsionale, figurazione sociale e storia in Norbert Elias”,
hanno inteso analizzare la genesi, a livello
psicologico, della società assolutistico-curiale, attraverso la formazione di uno stabile apparato di autocostrizione individuale,
che porta il singolo a reprimere la manifestazione incontrollata dei sentimenti. Questa evoluzione, che può essere esemplificata nel passaggio dalla figura del cavaliere a
quella del cortigiano, costituisce per Elias
la chiave per comprendere il processo di
individualizzazione che accompagna lo
sviluppo della civiltà occidentale.
Simonetta Tabboni (“Teoria dei processi
storici e sociologia di figurazione in Norbert Elias”) ha affrontato i fondamenti del
metodo sociologico di Elias, secondo il
quale la Modernità sorge con la monopolizzazione della violenza da parte dell’autorità; un processo di civilizzazione, questo, che può essere facilmente riscontrato
nella società di corte, dove il guerriero
viene educato nella rinuncia all’istintuale
propensione per lo scontro fisico. Scontro
e conflitto sono concetti fondamentali nel
pensiero di Elias. Particolarmente importanti risultano in questo contesto i termini
di figurazione e interdipendenza, con cui
Elias prende posizione nei confronti della
71
cultura marxista, elaborando un’analisi
della società che non ricerca contrapposizioni inconciliabili (individuo-società, natura-cultura), ma una sintesi delle dicotomie.
A partire dall’Alto Medioevo, l’individuo
è legato agli altri da rapporti sempre più
stretti, dove il potere si configura sempre
più come una relazione, quanto mai instabile, tra gli individui. La violenza fisica
diventa sempre meno utile e ad essa si
sostituiscono la perspicacia, la capacità di
analisi. Analizzando il sorgere della società moderna, Elias viene così elaborando
non solo un ideale di individuo, ma anche
di studioso. Come per il cortigiano la dote
fondamentale non è la forza fisica o il
coraggio, ma la capacità di saper comprendere le mosse degli avversari e del re, così
anche per il sociologo è più importante
comprendere appieno le figurazioni sociali, nelle quali si mescolano quantità variabili di bene e di male, che cedere a banali
semplificazioni. Questo può anche spiega-
CONVEGNI E SEMINARI
re l’iniziale silenzio di Elias nei confronti
del nazismo, che pure lo costrinse ad emigrare, come anche la sua diffidenza per i
filosofi accusati di voler conoscere l’uomo
a prescindere dalla società.
Carlo Ossola (“Norbert Elias: cerimonie
tra rito e secolarizzazione”), ha affrontato
più da vicino quella che viene definita la
“teoria delle maniere”. Secondo Ossola, in
rapporto al problema dei riti esistono due
tipi di sociologia, una morfologica, che si
limita a descrivere, e una tipologica, che
analizza i tipi, come ad esempio il funzionario di corte. A questo secondo modello
appartengono le analisi di Elias, che si era
avvalso in questo del suo lavoro come
psicoterapeuta e degli studi di Freud, in
particolare Totem e tabù (1912-13). Nell’orda originale, secondo Elias, si sarebbe
creata una tensione dialettica tra gli individui, che avrebbe portato ad introdurre elementi di disciplinamento dell’io. Questa
evoluzione, che attraverso diverse tappe si
è protratta lungo tutta la storia umana e
prosegue tutt’oggi, non è causata da uno
sviluppo biologico, ma da uno sviluppo
sociale e psichico. Fondamentali in questa
evoluzione sono, secondo Ossola, i termini
di “coinvolgimento” e “distacco”. La civilizzazione tende da una parte a distanziare
gli uomini gli uni dagli altri, creando una
società degli individui, dall’altra favorisce
anche l’indeterminatezza, l’uguaglianza:
gli individui non provano più piacere, ma
repulsione per la sofferenza dell’altro, nel
quale si identificano.
Legando il processo di individualizzazione
con quello di autocostrizione, Elias vede in
questo una speranza per un futuro pacificato. Secondo Ossola, invece, la secolarizzazione, la fine della società di corte portano
ad un indebolimento dell’efficacia dei protocolli e al declino delle buone maniere.
Antonio Roversi (“Processi di de-civilizzazione. Linee di ricerca nell’opera di
Elias”) ha voluto sottolineare nel suo intervento come anche Elias si sia posto il
problema della decivilizzazione. Nella prima parte della sua lezione Roversi ha presentato e discusso alcuni concetti della
concezione di Elias, in particolare la sua
sociologia delle configurazioni e i concetti
di interdipendenza e squilibrio di potere.
Nella seconda parte sono stati discussi gli
aspetti più rilevanti della teoria della civilizzazione, in particolare attraverso l’analisi del trapasso dalla società cortese cavalleresca a quella assolutistico curiale. Infine
nella terza parte è stato analizzato più da
vicino il tema della decivilizzazione, che
sembra aver preoccupato molto Elias negli
anni Settanta e Ottanta. Contrariamente a
quanto poteva trapelare dai suoi lavori precedenti, Elias rileva come nel mondo contemporaneo il processo di civilizzazione
abbia una vita più difficile e come costante
sia il pericolo del riaccendersi dell’insofferenza tanto all’interno quanto al di fuori dei
confini di ogni singolo stato.
Le tre lezioni dedicate a Michel Foucault,
raccolte sotto il titolo: “Dall’epistème alle
tecniche del sé. Michel Foucault su ragione
e potere”, hanno cercato invece di ricostruirne il pensiero a partire dai due concetti di ragione e potere, che sembrano caratterizzare l’opera foucaultiana nelle sue diverse fasi, dai primi lavori degli anni Sessanta, incentrati sull’epistème, a quelli sulle tecniche del sé, alle lezioni al Collège de
France e ai volumi sulla storia della sessualità.
Mario Vegetti (“L’arte di vivere. Foucault
e gli antichi”), ha analizzato l’approccio
di Foucault al mondo antico attraverso
una lettura degli ultimi due volumi della
storia della sessualità (L’uso dei piaceri e
La cura di sé). In primo luogo Vegetti ha
riassunto le categorie fondanti dell’interpretazione foucaultiana della cultura: forme del potere, processi di assoggettamento/soggettivazione, dispositivi di interdetto
e controllo sui discorsi e sui saperi. In base
a queste categorie il mondo antico appare
paradossalmente come culla della civiltà
occidentale, da un lato, dall’altro come un
mondo molto lontano da quello cristiano e
moderno.
Secondo Vegetti, il problema che Foucault
si pone, analizzando il mondo antico, è
sostanzialmente quello di individuare i
dispositivi di potere in società nelle quali
gli apparati di controllo sono leggeri o
inesistenti; al contrario vi è una grande
libertà di condotta, di accessi al discorso,
di formazioni epistemiche prive di ordinamento. Con il termine di “signoria”, cui
può essere affiancato quello greco di enkrateia, Foucault vuole indicare la padronanza di sé che rende possibile anche quella
sugli altri: tutto è possibile a chi sa controllare le sue passioni. Grande importanza assumono in Foucault anche le tecnologie del sé, che si concretizzano in generi
letterari molto diffusi soprattutto nel mondo romano, come le lettere ad un amico
(ad esempio quelle di Seneca), il diario o
l’esame di coscienza (si vedano gli scritti
di Marco Aurelio). Questi testi, ha osservato Vegetti, non possono essere considerati opere antropologiche, in quanto non
descrivono fedelmente l’uomo antico, che
in realtà era piuttosto iracondo e immoderato, ma sono piuttosto opere di storia
delle idee, e anche di etica; il modello
stoico, che emerge dallo studio del mondo
antico, sembra infatti generalizzabile, e
viene proposto dall’ultimo Foucault come
un modo di eludere, anche nel mondo
moderno, la coazione del potere.
Dedicata alla teoria della politica foucaultiana è stata invece la lezione di Pasquale
Pasquino (“La teoria politica della guerra
e della pace. Michel Foucault e la storia
del pensiero politico moderno”), che ha
fatto riferimento a Difendere la società,
testo tratto dalla registrazione di un corso
tenuto da Foucault nel 1976 su alcuni
aspetti della teoria politica moderna. In
particolare, Pasquino ha messo l’accento
sull’originale interpretazione foucaultia72
na di Hobbes, le cui teorie vengono lette
non in funzione della legittimazione del
potere, ma della formazione della soggettività. Analizzando il discorso sulla sovranità nel Leviatano, Foucault dimostra di
non credere all’immagine di un Hobbes
teorico della guerra come principio delle
relazioni interpersonali, da cui deriverebbe l’ordine dello stato. Per Hobbes ogni
stato nasce da un contratto: il potere del
conquistatore sul conquistato nasce da un
riconoscimento da parte degli sconfitti del
vincitore come loro rappresentante.
Dal punto di vista della storia del pensiero
politico, la riflessione di Foucault sul Leviatano, ha osservato Pasquino, mostra
come la concezione hobbesiana segni il
passaggio dalla teoria politica antica (dai
greci a Machiavelli) a quella moderna. La
prima analizzava la società secondo uno
schema binario: l’ordine e il potere servono ad allontanare la minaccia di una guerra civile all’interno della società, perennemente divisa in due fazioni opposte; la
seconda, al contrario, sarebbe iniziata solo
con Hobbes, che secondo Foucault avrebbe per primo giustificato la sovranità con
il diritto degli individui.
La serie di lezioni su Foucault si è conclusa con la lezione pubblica di Axel Honneth (“L’analisi della storia in Michel
Foucault. Disciplinamento del corpo e
potere decentralizzato”), introdotta da
Alessandro Ferrara. Honneth ha distinto
tre fasi della teoria foucaultiana della società: una prima fase, che si conclude con
L’ordine del discorso (1970), ha la forma
di un’etnologia applicata ai modelli d’ordine linguistici e cognitivi dell’Europa
moderna; una seconda analizza la giustizia criminale in Francia per mettere in
rilievo i sistemi cognitivi e istituzionali
della riproduzione del potere; una terza,
infine, incentrata sulla storia della sessualità e sull’estetica dell’esistenza, pone l’accento sulla dimensione della soggettività
umana come sfera indipendente. In particolare Honneth ha messo l’accento sui
rapporti tra Foucault e lo strutturalismo:
questi, infatti, farebbe implicitamente uso
della capacità di comprensione sviluppata
dall’etnologia strutturalista, piegandola
però agli scopi di una analisi della società
moderna.
L’opera in cui Foucault aderisce più strettamente a una teoria strutturalista della
storia e della società, ha mostrato Honneth, sembra essere Sorvegliare e punire
(1975), dove la nascita della prigione viene letta non come un passo in avanti verso
l’umanizzazione delle pene, ma come un
raffinamento delle tecniche per «plasmare un soggetto ubbidiente» da parte di un
potere decentralizzato e reso anonimo.
Qui appaiono anche i limiti della impostazione foucaultiana, che analizza la società
quasi esclusivamente dal punto di vista
delle strategie produttive di potere, ignorando il dominio dell’azione comunicativa in quanto azione non-strategica. F.F.
CALENDARIO
In occasione del bicentenario dello
scritto kantiano Sulla pace perpetua,
si è tenuta a Kaliningrad, dal 19 al 22
settembre 1995, la Settima Conferenza Kantiana, organizzata dalla
Russian Kant Society e la Kaliningrad State University.
Informazioni: Prof. Dr. Vladimir Bryushinkin, Department of Philosophy, Kaliningrad State University, Universitetskaya 2, 236040 Kalingrad, Russia; tel. (0112) 431 229,
fax (0112) 465813.
CALENDARIO
La Società filosofica della Svizzera
italiana ha tenuto a Montagnola, il 22
e il 23 settembre 1995, un convegno
di studio su Max Horkheimer a cento anni dalla nascita. Sono intervenuti: A. Ponsetto: “Max Horkheimer
e il recupero dell’idea originaria di
filosofia”; L. Cortel.la: “La teoria critica di Max Horkheimer e i percorsi
della dialettica dopo Hegel”; G. Mascioni: “Max Horkheimer e il Ticino”; M. Calloni: “Patologie e diagnosi del moderno: dalla teoria critica
alla filosofia sociale”; G. Schmid
Noerr: “Die Emigration der Frankfurter Schule und die Krise der kritischen Theorie”; V. Pedroni: “Eclisse
della ragione e ragione comunicativa”; A. Bandolfi: “Il giudizio di Max
Horkheimer sulla Riforma protestante. Un contributo ad una teoria critica
della modernità”; N. Emery: “Max
Horkheimer e la funzione dello scetticismo”. Hanno collaborato alla realizzazione del convegno la Fondazione Max Horkheimer di Lugano, l’Istituto di etica sociale dell’Università di
Zurigo e la Commissione Culturale
della Collina d’Oro.
Informazioni: Società filosofica
della Svizzera italiana, casella postale 669, CH-6612 Ascona.
a cura di Luisa Santonocito
•
•
Come nasce, si sviluppa e infine cade
la res publica? Venerdì 6 ottobre 1995,
presso il Centro Culturale Polivalente
di Cattolica, si è tenuto un convegno di
filosofia della politica su Ascesa e
declino delle repubbliche, organizzato dalla Biblioteca Comunale di
Cattolica in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Napoli. Venerdì 6 ottobre, V. D’Ambrosio: “Dal bene comune alla crisi
della politica”; E. Berti: “Declino (reale) e ascesa (ideale) della polis greca”; M. Bovero: “La ricetta di Polibio
e la profezia di Tocqueville”; sabato 7
ottobre, A. Schiesaro: “La ‘seconda
repubblica’ romana”; M. Viroli:
“Machiavelli e le repubbliche corrotte”; U. Cerroni: “Le repubbliche perdute”; D. Losurdo: “L’avvento della
democrazia: un’analisi comparata”; M.
Tarchi: “La crisi delle democrazie europee del Novecento e il tramonto
dell’idea di ‘bene comune’”; A. Bolaffi: “Weimar: e poi? Elogio di una
repubblica ‘senza qualità’”.
Informazioni: Centro Culturale
Polivalente, piazza della Repubblica
31, 47033 Cattolica (Forlì),
tel. 0541 967802, fax 967803.
•
Fondamenti di informatica per le
scienze umane è il titolo di un corso
di introduzione all’elaborazione dell’informazione simbolica, rivolto a docenti, ricercatori e studenti di discipline
umanistiche, tenutosi dal 9 al 13 ottobre
1995 presso l’ex monastero Santa Chiara, nella Repubblica di San Marino.
Organizzato dall’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, dal
Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi.
Informazioni: Universitàdi San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San
Marino, tel. 0549/882516, fax 882519.
Filosofia e Medicina nella tradizione dell’Occidente è il tema del
ciclo di conferenze a cura di F. Papi,
organizzato dalla Casa della Cultura
di Milano nei mesi di ottobre e novembre 1995. Questo il programma degli
incontri: 4 ottobre, S. Moravia: “Mente e Corpo”; 11 ottobre, M. Vegetti:
“Saperi terapeutici. Il difficile rapporto tra medicina e filosofia nell’antichità”; 18 ottobre, C. Crisciani: “Guarire
e curare. Immagini di terapia nel Medioevo”; 25 ottobre, G. Cosmacini:
“Medicina e neuroscienze da Cartesio
ai Lumi”; 8 novembre, G. Zanier:
“Medicina e influenze celesti: anatomia di un mito”; 15 novembre, F.
Moiso: “Medicina e Romanticismo”;
22 novembre, F. Mondella: “Medicina dell’Ottocento: scienza e sanità”;
29 novembre, L. Magnani: “Medici
automatici e intel.ligenza artificiale”.
Informazioni: Casa della Cultura,
via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02
795567.
•
Con il titolo: Il pensiero antico nella filosofia di Schelling, dall’11 al 14
ottobre 1995, si è tenuto al Palazzo
delle Stel.line di Milano un convegno
organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con il GoetheInstitut, l’Internationale Schelling-Gesellschaft e il Comune di Milano. Questi gli interventi: M. Baum: “Platone e
la filosofia critica”; I. Strohschneider:
“Modelli e contromodelli nella ricezione dell’antico dell’epoca di Goethe”; J.
Jantzen: “L’interpretazione di Platone
nel giovane Schelling”; J. Matsuyama:
“Il pensiero platonico nella Filosofia
della Natura”; F. Moiso: “L’antichità
nella Filosofia dell’Arte”; C. Bickmann:
“La ricerca di una forma di identità alla
luce della dialettica platonica in
Schelling”; S. Otto: “Il Symbolum della
vera Filosofia. La filosofia nolana di
Schelling nella mediazione di Jacobi”;
D. Barbaric: “L’interpretazione schellinghiana di Platone secondo la filosofia razionale pura”; L. Procesi: “Il
Prologo del Vangelo di Giovanni
nella Filosofia della Rivelazione di
Schelling”; G. Frigo: “Il ruolo della
mitologia nella filosofia positiva”; M.
Boenke: “Nelle reti della ragione. La
filosofia razionale pura di Schelling”;
G. Riconda: “Platone e l’impostazione
della filosofia positiva”; W. Ehrhardt:
“La fine dell’antichità nella Filosofia
della Rivelazione di Schelling”. Hanno
aperto e chiuso i lavori le conferenze
pubbliche di X. Tilliette, “Schelling e il
pensiero antico: da Pitagora a Plotino”,
e di R. Bubner, “Platone nel pensiero
schellinghiano”.
Informazioni: Goethe-Institut di
Milano, via San Paolo 10, 20121 Milano, Tel.. 02 76005571
•
Scienze cognitive e filosofia: che pertinenza ha la fenomenologia? Questo
l’argomento del colloquio internazionale su Actualité cognitive de la
phénomènologie: les défis de la
naturalisation, tenutosi dal 19 al 21
ottobre 1995 a Bordeaux, presso la
Sala Conferenze del Museo d’Arte
Contemporanea, a cura dei Gruppi di
Ricerca “Phénoménologie et cognition” e “Pierre Duhem”. Interventi di
R. Barbaras, R. Casati, J. F. Courtine,
D. Follesdal, T. Van Gelder, R. Mcintyre, W. Miskiewicz, K. Mulligan, E.
pacherie, B. Pachoud, L. Petit M.
Petit, J. Petitot, B. Smith, D. W. Smith, J. M. Roy, J. M. Salanskis, F.
Varela, Y. M. Visetti.
Informazioni: Phénoménologie et
Cognition, 150, rue du Chateau Paris
75014 Francia; tel. (161) 331 45389539,
fax (161) 331 44323122, e-mail: @heraclite. ens. fr.
•
Il Centre Culturel Francais di Milano,
in collaborazione con il dipartimento
di Filosofia dell’Università Statale e
la casa editrice Feltrinelli, ha organizzato, lunedì 16 ottobre 1995, a
Milano, e mercoledì 18 ottobre 1995,
a Bologna, due giornate di studio su
Michel Foucault: lunedì 16, Pensare
•
73
la storia, Michel Foucault: dall’archivio all’ontologia del presente,
con interventi di M. Perrot: “Michel
Foucault e l’Histoire des Femmes”;
G. Levi: “Foucault e la storia: analogia e comparazione”; R. Castel.: “Présent et généalogie du présent: une
approche non-évolutionniste du changement”; P. Redondi: “Il linguaggio
dello sguardo”; C. Sini: “Verità e
storia”; a conclusione si è tenuta una
tavola rotonda su: “Foucault e gli
storici: un incontro mancato?”, con
A. Dal Lago, S. Natoli, A. Pandolfi,
V. Marchetti, E. François. Mercoledì
18, Filosofia e politica: Foucault
fra teoria del potere e pratica della resistenza, con interventi di F.
Ewald: “Foucault er l’atualité”; V.
Marchetti: “La naissance de la biopolitique”; E. François: “Sécurité, territoire, population: une nouvelle caractérisation du politique”; A. Dal
Lago: “Foucault dimenticato”; ha
chiuso la giornata una tavola rotonda
su: “Foucault italiano?”, con M. Bertani, A. Pandolfi, G. Scalia.
Informazioni: Judith Revel,
Centre Culturel Francais, via Bigli
2, Milano, tel. 06/6833736; Nicolas
Guilhot, 02/ 76013966.
•
Sabato 21 e domenica 22 ottobre 1995,
presso l’Aloisianum di Gallarate si è
tenuto il VI incontro di studio del
Seminario permanente di Teoria critica su: Comunità, differenza, convivenza. Al seminario, realizzato in
collaborazione con la rivista «Fenomenologia e società», hanno partecipato, tra gli altri: K.-O. Apel, M.
Calloni, M. Kettner, R. Esposito, V.
Marzocchi, F. Longato, A. Ferrara, E.
Pulcini, D. Ungaro.
Informazioni: Marina Calloni,
via Crema 12, Milano, tel./fax 02/
58321753.
•
Con il titolo: I filosofi e la genesi
della coscienza culturale della
“nuova Italia” (1799-1900), si è
tenuto a Santa Margherita Ligure,
dal 23 al 25 ottobre 1995, un seminario di studio promosso dall’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici e
dall’Università degli Studi di Genova. Tre le direttive di ricerca: “Tradizione e progresso: le grandi sintesi
metafisiche ed il loro influsso”; “Italia ed Europa: come la rivendicazione di una tradizione nazionale si accorda con l’idea dell’Europa”; “Natura e società: lo spirito positivo nei
progetti e nella realizzazione della
‘nuova Italia’, sono intervenuti F.
Tessitore, G. A. M. Tripodi, G.
Cotroneo, F. Rizzo, G. Oltrini, G.
Piaia, G. Bergamaschi, F. Ottonello,
E. Botto, L. Mauro, C. Vasoli, S.
Mastellone, I. Semino, N. De Cumis, G. Cacciatore, M. Ferrari, W.
Büttemeyer, S. Poggi, A. Savorelli,
G. Landucci.
Informazioni: Prof. Luciano Malusa, Dipartimento di Filosofia, via
Balbi 4, 16126 Genova, tel. 010/
2099857, fax 2099864.
•
CALENDARIO
A Lecce, dal 23 al 25 ottobre 1995, si
è tenuto il sesto convegno internazionale sull’utopia dal titolo: La democrazia diretta, cioè il progetto politico dell’utopia , organizzato dal
Centro interdipartimentale di ricerca
sull’utopia dell’Università di Lecce.
Strettamente collegato al tema del convegno del 1992 (“Il crollo del comunismo sovietico e la ripresa del progetto
utopico”). Al convegno hanno partecipato: B. Vetere; G. Schiavone; P.
Scoppola; A. Colombo; A. Graziani.
Informazioni: Giuseppe Schiavone, via Benevento 11, Zona 167
A, 73100 Lecce, tel. 0832/391064,
406626.
•
Nella ricorrenza del ventennale della
morte di Michele Federico Sciacca e
della pubblicazione dell’opera “Il secolo XX”, il XIII Incontro del Giornale di metafisica, che si svolge a Palermo nei giorni lunedì 6 e martedì 7
novembre 1995, ha come tema: Assolutezza e storicità. Interventi di S.
Nicosia, N. Incardona, A. Masullo, E.
Riondato, M. Olivetti, D. Conci, Vittorio Sainati, A. Moscato, V. Mathieu,
N. Grimaldi, X. Tilliette, R. Alvira, E.
Moutsopoulos, F. Inciarte.
Informazioni: Istituto di Filosofia, Facoltà di Lettere e Filosofia,
Università degli Studi di Palermo,
viale delle Scienze, tel.. 091/6560228.
•
sperimentazione”; B. Morcavallo:
“Cartesio e Hume sugli animali”; M.
Isnardi Parente: “Sviluppi storici della
controversia con spunto da testi classici”; T. Pitch: “I diritti animali”; G.
Santese: “Plutarco sugli animali”. Intervengono inoltre: L. Canavacci: “Immaginazione e specismo”; P. Carrano:
“Letteratura e animali”; P. Donatel.li:
“Sulla definizione di essere umano e
di animale”; L. L. Vallauri: “Domande sulla distinzione tra anima vegetativa, sensitiva, intel.lettiva nella Psycologia metaphysica di P. Siwek S.J.”.
Informazioni: Laura Canavacci,
Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”, tel. 06 49917289
- fax 49917306.
sabato 9 dicembre: “Grégoire et la
théologie du verbe”; “Le concile de
381 et le problème du Saint-Esprit”.
Informazioni: Centre d’etudes du
Saulchoir, 43 bis rue de la glacière,
75013, Parigi, tel. (1) 44 08 71 97, fax
(1) 43 31 07 56.
•
Hegelismo francese è il tema del
convegno che si tiene sabato 18 e
domenica 19 novembre 1995 presso
l’Istituto filosofico Aloisianum di
Gallarate, organizzato dal Seminario
Permanente di Filosofia Contemporanea e dal Centre Culturel Français
di Milano. Questo il programma: sabato 18 novembre, J. Revel: “L’Hegelismo francese: storia di una reazione”; A. Zanini: “Il Marx (Hegel)
di Hyppolite”; F. Cassinari: “Tra fenomenologia e dialettica: Hyppolite,
Heidegger et la Fenomenologia dello
spirito”; L. Franco: “Kojève e
Husserl”; M. Piccinini: “Kojève e
Strauss”; M. Guareschi: “Kojève: una
fenomenologia del diritto fra tempo e
concetto”; L. Lanzillo: “Considerazioni sulla fine della storia”. Domenica 19 novembre: V. Descombes: “Retour sur l’hégèlianisme français”.
Informazioni: Centre Culturel
Français, via Bigli 2, 20121 Milano,
tel. 02/76013966, fax 02/76013669.
•
Bioetica, informazione, metodologia
sono alcuni degli argomenti trattati nel
ciclo seminariale Chirone Incontri,
organizzato dalla Sezione di Comunicazione Scientifica dell’Accademia
Nazionale di Medicina.
Informazioni: Informazioni:
Stefania Ledda, Accademia Nazionale di Medicina, Forum per la Formazione Biomedica, piazza della
Vittoria 15/1, 16121 Genova, tel.
010/5458611, fax 010/541761.
•
•
Thought and Ontology è il titolo
Dall’8 novembre 1995 al 21 febbraio
1996, presso la Fondazione Centro
San Raffaele del Monte Tabor (Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele),
Evandro Agazzi terrà un corso di filosofia della scienza su Natura e Forme della Conoscenza Scientifica.
Tra gli argomenti che verranno affrontati: “La concezione fenomenista della
scienza fisica”; “La nozione di oggettività scientifica come intersoggettività”; “La portata conoscitiva e il significato realista della scienza”; “La scienza medica: in che senso la medicina è
una scienza”; “La cosiddetta ‘nuova
filosofia della scienza’: limitazioni
dovute all’esclusivismo linguistico in
cui essa permane”.
Informazioni: Fondazione Centro
San Raffaele del Monte Tabor, Segreteria Generale per la Didattica, Palazzo
Dibit, via Olgettina 58, 20123 Milano,
tel. 02/26433022, fax 02/26433012.
•
della conferenza internazionale che
si svolge a Genova (Torre di Francia,
via De Marini 6) dall’8 all’11 novembre 1995, a cura del Centro Studi per
la Filosofia Contemporanea del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I lavori si aprono mercoledì 8 novembre
con il saluto di C. Wrubl e la presentazione di E. Agazzi: “Thought and
Ontology”, seguita dall’intervento di
M. Santambrogio: “Truthmaking”.
Proseguono, giovedì 9 novembre, con
gli interventi di P. Leonardi: “On
Content”; M. Sainsbury: “Fregean
Indexicals”; E. Picardi: “Is Language
a Natural Object?”; D. Marconi: “Semantic Normativity”. Venerdì 10, M.
Marsonet: “Conceptual Schemes”; J.
Hornsby: “Thinkables”; S. Sturgeon:
“Reason and Reality”; M. Martin:
“The Reality of Appearances”. Si
concludono sabato 11 novembre con
una tavola rotonda a cui partecipano,
tra gli altri, E. Agazzi, M. Martin, C.
Penco, M. Santambrogio, A. Savile.
Informazioni: C.N.R. Centro Studi sulla Filosofia Contemporanea, via
Lomellini 8/8, I-16124 Genova, tel.
010/293511, fax 010/2471184.
Il Centro Culturale della Fondazione
Collegio San Carlo di Modena organizza, da ottobre 1995 a marzo 1996, un
ciclo di lezioni su Natura e identità.
Investimenti etici ed espressivi sul
mondo naturale. Questo il calendario
dei prossimi incontri: venerdì 17 novembre, E. Greblo: “Le condizioni del
valore. Natura e questione etica nella
modernità”; venerdì 24 novembre, K.
Eder: “Quale identità attraverso la natura? Oltre il progetto dell’ecologismo”;
mercoledì 13 dicembre, F. Farinelli:
“L’immagine del mondo”; venerdì 19
gennaio 1996, U. Fabietti: “La costruzione dell’etnia”; venerdì 9 febbraio, l.
Sciolla: “Cura e mistica di sé”; venerdì
8 marzo, R. Bodei: “Natura e identità”.
Inoltre, per il ciclo di lezioni Le vie dei
santi, organizzate dal centro di Studi
Religiosi della Fondazione, segnaliamo: giovedì 7 dicembre 1995, R. Di
Donato: “Venerare l’uomo. Dal culto
degli eroi al culto dei martiri”; lunedì 29
gennaio 1996, A. Vauchez: “L’evento
miracoloso”; giovedì 15 febbraio, E.
Genre: “Le virtù della vita quotidiana”.
Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena, tel.. 059 222315, fax 222585.
•
•
Il dibattito sui diritti degli animali non
umani è al centro del convegno Etica
e animali: un confronto tra diversi
approcci, organizzato il 7 novembre
1995, a Villa Mirafiori di Roma, dal
Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Queste le
relazioni: G. Alpa: “I diritti animali”;
L. Battaglia: “Diritti animali e progresso sociale”; P. Cavalieri: “Estendere il contratto sociale”; M. T. Marcialis: “Diritti animali nel Sei-Settecento”; A. Oliverio: “Approcci alla
Sabato 4 novembre 1995 e sabato 9
dicembre 1995, presso la biblioteca
del Centro di Studi del Saulchoir (Parigi), Jean Bernardi tiene due seminari
su: Saint Grégoire le Théologien:
Filosofia & Informatica è il titolo del
primo incontro italiano sulle applicazioni informatiche e multimediali nelle discipline filosofiche, che si tiene
all’Università di Roma «La Sapienza»
giovedì 23 e venerdì 24 novembre
1995. Questo il calendario: giovedì 23
novembre, per la sessione “Strumenti
telematici”, intervengono F. Proietti:
un intel.lectuel contemplatif dans
l’action. Questo il programma delle
relazioni: sabato 4 novembre: “Une
époque chamière”; “Une existence
paradoxale”; “Un homme de parole
et de plume”; “L’oeuvre positive”;
74
“La rete Internet e gli strumenti NIR
(networked information retrieval)”; L.
Floridi: “Il pensiero attaccato a un filo:
strumenti e risorse Internet per la filosofia”; A. Camana: “Un Gopher napoletano: il progetto per l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”; per la
sessione su “La didattica elettronica”,
intervengono L. Rossetti: “Fare filosofia al computer: ipertesti e altri possibili standards. Presentazione del software didattico per l’Eutifrone di Platone”; P. Carelli: “Socrate ovvero una
provocazione a pensare: un manuale
interattivo di storia della filosofia”; R.
Parascandolo: “La diffusione della filosofia con altri media”; R. Bodei, G.
Fornero, F. Valentini: “Presentazione
del software didattico «Viaggio tra i
filosofi», realizzato da Paravia, Rai
Videosapere, Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici”. Venerdì 24 novembre, per la sessione “I testi elettronici”,
intervengono D. Buzzetti: “L’insegnamento della logica a Bologna nel secolo XIV: critica e analisi dei testi. Presentazione della banca dati dei
manoscritti di logica in uso a Bologna
nel Trecento”; M. Fattori: “Aspetti
quantitativi del lessico filosofico del
‘600 e del ‘700"; R. Busa: “Fare filosofia sul computer, fare filosofia con il
computer”; E. Picchi: “Relazione sul
Philosopher’s Index”; per la sessione
su “Banche dati e gestione delle informazioni”, intervengono D. Barbieri:
“Encyclomedia. Relazione sulla guida
multimediale alla storia della civiltà
europea: Il Seicento”; W. Di Palma:
“Museo della matematica di Roma:
sperimentazione e idee per un ipermedia”; R. Ruschi: “Attualità filosofica:
una ricerca impossibile? L’edizione elettronica di «Informazione Filosofica»”.
Informazioni: Carla Guetti, segreteria S.F.I., via Lucrino 18, 00199
Roma, tel. e fax 06/8604360.
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Monoteismo e conflitto è il titolo del
convegno internazionale di studi che si
tiene a Napoli, dal 13 al 15 dicembre
1995, presso l’Istituto Universitario
Suor Orsola Benincasa. Tra gli altri,
interventi di R. Garaudy, R. Barkai, F.
Cardini, E. Ferri, G. Filoramo, V. Vitiello, S. Quinzio, G. Levi. Il convegno
presenta una mostra di pittura e un’esposizione di circa 1200 volumi, di cui 150
testi antichi e rari.
Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, via Suor
Orsola 10, Napoli, tel.. 081/412908,
fax 081/421363.
•
La Casa Zoiosa di Milano organizza un
ciclo di incontri su Filosofia e Scienza. Tra gli interventi: lunedì 6 novembre 1995, L. Sichirollo: “La morale e la
politica”; 9 novembre, A. Burgio: “Verità, teoria e fatti”. Vi partecipano, inoltre, F. Moiso, E. Bellone, S. Natoli, G.
Galli, F. Della Peruta, L. Genapini, F.
Denozza, G. Celli.
Informazioni: La Casa Zoiosa, Corso di Porta Nuova 34, 20121 Milano,
tel.. 02/6551813, fax 6551448.
•
CALENDARIO
Friedrich Engels
nel centenario della morte
Presso l’Università di Wuppertal, dal
9 al 12 ottobre 1995, si è tenuto un
Simposio internazionale su Engels,
articolato nelle seguenti tematiche:
“Epistemologie, Dialektik, historischer Materialismus, Natur”; “Okonomie, Plitik und Theorie der Geschichte”; “Der Revolutionär Friedrich Engels: 1848, Erste Internationale und danach, Zweite Internationale”. Contributi, tra gli altri, di: G.
Achcar, T. Bergmann, J. Bischoff, H.
Feldner, M. Kebler, S. E. Liedman,
G. Mayer, R. Poulin, R. Wahsner, M.
Sliwa.
Informazioni: Theodor Bergmann,
Im Asemwald 26, 6, 215 70 599
Stuttgart.
•
Promosso dal Centro nazionale per la
ricerca scientifica e dall’Università
di Parigi-X Nanterre, in collaborazione con il Laboratorio per le ricerche filosofiche sulla logica e sul comportamento, l’Instituto di ricerche
marxiste, la Fondazione Jean Jaurès,
si è svolto a Parigi, dal 17 al 20
ottobre 1995, un colloquio internazionale su:Friedrich Engels savant
et révololutionnaire, con interventi di E. Concheiro, C. Kanelopoulos, T. Bergmann, C. Mainfroy, J.
Texier, E. Traverso, J. Robelin , J.
Massardo, G. Labica, , A. Tosel , G.
Caire, H. Mahler.
Informazioni: Mireille Delbraccio,
Ura 1394 C. H. S. D. , 7 rue Guy
Môquet B. P. 8 94801 Villejuif Cedex,
tel. (1) 49 58 36 59 - fax (1) 49 58 36 65.
A Madrid, presso la Fondazione di
Ricerche Marxiste, il 25, 26 e 27
ottobre 1995 si è tenuto un convegno dal titolo: Engels y el marxismo, con interventi di J. Trias, P.
Ribas, S. Castillo, A. Santucci, G.
Liguori, R. Finelli, F. Buey, D.
Losurdo, G. Labica.
Informazioni: Fondazione di
Ricerche Marxiste, Madrid, tel. 420
13 88, fax 420 20 04.
•
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Organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’I.S.U., la
Fondazione Feltrinelli e il Goethe-Institut di Milano, si tiene a Milano, dal 16
al 18 novembre 1995, un convegno
internazionale di studi dal titolo: Friedrich Engels (1820-1895) nel primo
centenario. Ipotesi per un bilancio
critico. Per la sessione “Filosofia, Scien-
ze , Natura”, giovedì 16 novembre introduce al convegno M. Cingoli e S.
Timpanaro, intervengono S. Tagliagambe, V. Schürmann, E. Fiorani, F.
Mondella, P. Bellinazzi, A. Zanardo, L.
Angelini, F. Moiso, G. Micheli, A.
Guerrazzo, F. Minazzi, M. Quaranta, F.
Vidoni, V. Morfino. Per la sessione
“Storia, Economia, Politica”, venerdì
17 novembre intervengono M. Vanzulli, F. Tomasoni, J. M. Vincent, A. Burgio, G. Libretti, F. Della Peruta, E.
Ronchetti, L. Frasconi, G. Prestipino,
F. Fergnani, G. Baratta, D. Losurdo, G.
M. Bravo, D. Bidussa, P. Favilli, D.
Berger, A. Catone, P. Foraboschi, M.
Zanantoni, R. Hecker, M. Turchetto;
sabato 18 intervengono R. Zani, M.
Gervasoni, C. Lucchini, R. Veneziano.
Informazioni: prof. Mario Cingoli, Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono 7, tel. 02/5463592.
•
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Palazzo Serra di Cassano
via Monte di Dio 14, Napoli
6-10 novembre 1995
Franco Ferrarotti
Memoria e identità
Il ricordo come momento fondamentale nella costituzione del soggetto Memoria e contesto. Le dimensioni
sociali della memoria - Tempo passato e tempo vissuto - Memoria collettiva e coscienza storica. Il concetto di nazione - Problemi e prospettive della società multi-etnica e multiculturale.
16 novembre 1995 - 15 febbraio 1996
Incontri di aggiornamento
per la scuola
a cura di Antonio Gargano
Il pensiero italiano del Rinascimento
Leonardo da Vinci - Niccolò Machiavelli
- Francesco Guicciardini - Bernardino
Telesio - Giordano Bruno - Tommaso
Campanella.
conocimiento - El statuto giuridico
de los ignorantes: de los rùsticos a las
mujeres - Derecho y costumbre: la
ignorancia del Leviatan
28-29 novembre 1995
André Jacob
La question du temps humain
In collaborazione con il Dipartimento di filosofia dell’Università di Napoli “Federico II”.
20-23 novembre 1995
John Freccero
La poetica del tempo
13-17 novembre 1995
Giuseppe Cacciatore
Filosofia “civile” e filosofia pratica
nell’Italia moderna
Introduzione generale: la tradizione
“civile” della filosofia italiana - Vico
e la filosofia pratica - Dal vichismo al
positivismo: la filosofia, la politica,
la storia - Croce: etica, vita, politica Il profilo etico-politico dello storicismo critico italiano.
nella Divina Commedia
Grammatica e teologia nella tradizione agostiniana - Il tempo della scrittura morta: Inferno X - Visibile parlare:
Purgatorio X - Tempo e liturgia:
Paradiso X.
Miguel de Unamuno
e il sentimento tragico della vita
Unamuno e la filosofia come meditatio mortis - Il sentimento tragico della
vita - Il chisciottismo di Unamuno Unamuno e i protestanti liberali Unamuno e l’esistenzialismo.
11-15 dicembre 1995
Aldo Trione
Il caos e la forma
Poetica e trasposizione simbolica Simbolo, immagine, destino - Poesia
e coscienza estetica - La nascita della
forma - Forma e temporalità.
4-6 dicembre 1995
Giovanni De Crescenzo
27 novembre - 1 dicembre 1995
Hans-Georg Gadamer
La bioetica e l’odierno dibattito
epistemologico
12-15 dicembre 1995
Giuseppe Mazzotta
Che cos’è la bioetica - La bioetica e la
nuova concezione della scienza e della prassi interdisciplinare - Le questioni fondamentali della bioetica e
l’odierna riflessione morale.
Il gioco del mondo nel Rinascimento
L’atomismo antico e moderno
Democrito - Aristotel.e - Galilei - La
fisica quantistica.
13-17 novembre 1995
Armando Savignano
menti di filosofia del diritto - Hegel,
Lezioni di filosofia della storia - Marx,
Manoscritti economico-filosofici del
1844 - Marx-Engels, Manifesto del
Partito Comunista.
5 dicembre 1995 - 23 aprile 1996
Incontri di aggiornamento
per la scuola
a cura di Antonio Gargano
27 novembre - 1 dicembre 1995
Antonio Serrano Gonzàles
La filosofia classica tedesca
Kant, Critica della ragion pura - Kant,
Critica della ragion pratica - Kant,
Critica del Giudizio - Fichte, Dottrina della scienza e Missione dell’uomo - Hegel, Fenomenologia dello
spirito - Hegel, Enciclopedia delle
scienze filosofiche - Hegel, Linea-
La ignorancia del derecho
El Derecho en los textos: scientia
iuris y scientia ignorantiae - Las gentes si textos: salvajes, indios y otros
animales - Perceptiones de la ignorantia iuris: la ley como objeto de
75
Poliziano e la crisi del neoplatonismo
- potere e gioco: Machiavelli, Erasmo, Ariosto - Mondi possibili: Campanella, Galileo e Bellarmino - L’artificio barocco: Bernini, Alberti e
Bruno.
18-21 dicembre 1995
Domenico Jervolino
La genesi della comunità
in Patocka
Patocha nel movimento fenomenologico - Il tema del mondo naturale e
la prima filosofia del linguaggio Spazio, interpellazione, comunità Comunità e storia: “platonismo negativo” ed etica della resistenza.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Un Socrate...redivivo,
in versione elettronica
DIALOGA CON SOCRATE SULLA BASE DELL ’EU-
(Armando Editore,
Roma 1995) si potrebbe definire senza
enfasi - se ci riferiamo al pubblico italiano ed al settore filosofico - un “evento editoriale”. Il prodotto (una ricreazione molto libera di un analogo programma chiamato “Dialog 1”, elaborato da un’équipe nord-americana dell’area di Seattle; cfr., «Informazione
filosofica», n. 15), collaudato a lungo,
è opera di Livio Rossetti, docente di
filosofia antica all’Università di Perugia, che ha saputo mobilitare intorno
al suo progetto-pilota un’ampia gamma di energie intellettuali: dall’Università in cui insegna al Centro di calcolo elettronico della stessa Università all’IRRSAE dell’Umbria.
TIFRONE PLATONICO
Dialoga con Socrate sulla base dell’Eutifrone platonico è un giuoco che libera
energie intellettuali, una simulazione in
cui l’interlocutore si mette nei panni di
Eutifrone, un libro in cui il lettore è costretto a scrivere la sua parte, a prendere
posizione varie decine di volte: una sorta
di iniziazione alla ricerca filosofica che ha
come scopo gli studenti (soprattutto della
scuola media superiore), ma che potrebbe
benissimo avere come utente anche un
pubblico adulto. Qui Socrate (il Socrate
dell’Eutifrone) non distribuisce la classica “filastrocca di opinioni” di hegeliana
memoria, ma pone un “problema” e sollecita l’interlocutore - catapultato nella temperie culturale del 399 a. C. ad Atene - a
risolverlo, aiutandolo ad effettuare “operazioni” di analisi e di sintesi, a connettere
proposizioni, a ricavare proposizioni da
altre, a cogliere nessi necessari, facendo
addirittura ricorso ai rudimenti della logica formale.
L’autore di quest’opera, Livio Rossetti,
specialista di Socrate, dimostra una grande fedeltà all’Eutifrone di Platone: stesso
tema, stessi passaggi, stesso ruolo di
Socrate, stessa atmosfera. Cambia solo il
ruolo di Eutifrone: l’utente, posto nei panni di Eutifrone, può scegliere di seguirlo o
no, lasciarsi trasportare dalla logica di
Socrate, o anche provocare lo stesso
Socrate. L’unità narrativa, ovviamente, è
smontata; i passaggi logici sono liberati
dal contesto letterario e vengono messi in
evidenza, focalizzati, in alcuni casi perfino “formalizzati”, facendo uso delle classiche variabili P e Q. Viene esplicitata la
contraddizione in cui si cade quando si
traggono certe conclusioni da premesse
date. L’interlocutore, cioè, è messo nelle
condizioni di costruire lui stesso lo sviluppo del discorso, di vagliare con attenzione
ogni passaggio, di diventare co-protagonista del dialogo. Ci troviamo, in altre
parole, davanti ad un Platone che da una
parte è fedele al Platone storico e dall’altra se ne discosta per comprenderlo meglio, per penetrare più in profondità nel
suo pensiero.
All’utente è consentita la possibilità di
confrontare direttamente i due testi, accedendo direttamente (mediante una icona a
forma di pagina scritta) alla traduzione,
dello stesso Rossetti, dell’Eutifrone e quindi di cogliere lo specifico dell’originale
rispetto alla simulazione. L’iniziazione
alla ricerca filosofica viene in tal modo
effettuata non in astratto, non al di fuori
del tempo, ma con un’immersione profonda in quella metodologia della ricercatipo che è incarnata storicamente dai dialoghi” di Platone. La novità radicale è
che Platone, grazie all’informatica,
viene...«scongelato» - come definisce
l’operazione lo stesso Rossetti: il dialogo
platonico non è più un prodotto “congelato” del passato; e neanche meccanismo
“congelante” di condizionamento dell’interlocutore, per cui Socrate non può che
avere ragione. L’interlocutore entra nel
dialogo e svolge il suo ruolo, sfidando, se
vuole, lo stesso Socrate. Naturalmente,
questi fa di tutto per portare l’interlocutore dalla sua parte limitandosi, però, a condurre l’utente a scoprire coerenze e incoerenze, deduzioni corrette e scorrette, contraddizioni: opportunità, osserva Rossetti, che gli insegnanti devono valorizzare,
stimolando negli studenti un più alto grado di riflessione e provocandoli a «risalire
da quel che si vede a quel che “non si
vede”».
Se all’inizio del dialogo vi sono troppi “è
vero!” scontati, nel cuore e nella fase
76
finale, al contrario, l’interlocutore può
provare l’impressione di essere psicologicamente pressato da distinzioni che appaiono a prima vista troppo sottili, di restare
paralizzato, non sapendo come tirare una
conseguenza coerente da una serie di premesse, come digitare i termini “giusti” o
la proposizione esatta. Si tratta, tuttavia,
di momenti che vengono a lungo preparati
da una serie graduale di passaggi; inoltre,
il dialogo vuole essere un’iniziazione al
rigore del ragionare filosofico, non un’evasione tecnologica: la precisione richiesta
nel digitare proposizioni “giuste” non risponde solo a esigenze del programma,
che non tollera che un numero contenuto
di variabili, ma anche all’esigenza che
l’utente impari ad “estrarre” la proposizione nuova da quelle date. Il ricorso alla
“formalizzazione” potrebbe, infine, disturbare un utente non allenato ad usare simboli in un dialogo discorsivo, anche se
abbiamo a che fare con un ricorso molto
leggero ed in più accompagnato da esemplificazioni chiare ed efficaci.
Quest’opera di Rossetti e di David Lanari, che ha innovato in modo significativo
il software statunitense di Dialog1, facendo del programma un vero e proprio gioiello dal punto di vista “grafico”, potrebbe
aprire una nuova era nella scuola superiore (il prezzo, tra l’altro, è appetibilissimo:
il volumetto Invito a dialogare con Socrate
via computer, a cui è abbinato il dischetto,
costa 16.000 lire; la Guida per l’insegnante 6.000 lire; il corposo saggio su Eutifrone 20.000 lire). Di prossima pubblicazione, poi, è il saggio, a cura dello stesso
Rossetti, dal titolo: Socrate nel computer,
che presenterà, tra l’altro, le esperienze in
corso.
È auspicabile che Dialoga con Socrate
vada anche oltre i confini della scuola:
non presuppone conoscenze filosofiche,
né di informatica; non presuppone neanche la preventiva lettura dell’Eutifrone di
Platone. È un fecondo strumento utile per
tutti coloro che vogliono cominciare (o
ricominciare) a pensare in proprio, a interrogarsi, a scavare in profondità; per tutti
coloro che intendono provare a liberarsi
dai condizionamenti, soprattutto da quei
potentissimi condizionamenti rappresentati dai mass-media. P.C.
DIDATTICA
Interventi, proposte, ricerche
È apparso il primo numero (aprile 1995)
del «BOLLETTINO DEL C.R.I.F. - QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE DEL CENTRO DI RICERCA PER L’INSEGNAMENTO FILOSOFICO», la
cui finalità principale consiste nel diffondere nelle scuole il programma della
“Philosophy for children”, elaborato
da Matthew Lipman e dai suoi collaboratori all’Università di Montclair nel
New Jersey (cfr., «Informazione filosofica», n. 22/23).
Nell’articolo di apertura Francesco Valentino fa il punto sul significato della conversazione nella “filosofia per bambini”. L’uso
della conversazione o del dialogo (presi qui
come sinonimi, pur senza ignorare i tratti
semantici diversi) si inserisce in una strategia
didattica di apprendimento della filosofia che
ne vuole consentire l’ingresso nella scuola
inferiore. Alla base della riflessione di Matthew Lipmann, l’ “ideatore” della “filosofia
per bambini”, vi è del resto «una concezione
del fare filosofico come attività dialogica,
conversazione democratica dell’umanità»,
che respinge una visione irrigidita della filosofia come «campo di sistemi intellettuali
totalizzanti, costruiti l’uno sull’altro».
La conversazione filosofica in classe, osserva
Valentino, si qualifica per essere conversazione “problematica” (la filosofia, infatti, «è
una vasta articolazione della problematicità»), “paritaria” (la conversazione filosofica
deve essere «una relazione simmetrica, i cui
partecipanti sono pari tra loro e reciprocamente rispettosi»), “autocorrettiva” (non deve
isterilirsi in contrasti insanabili fra posizioni
preconcette). Nel prosieguo dell’articolo Valentino illustralavalenzaeducativa, nellescuole
inferiori, della conversazione filosofica, che
favorisce il superamento dei limiti di non
pertinenza tematica e di personalizzazione,
che contraddistinguono gli interventi dei bambini o dei ragazzi nelle situazioni di dialogo.
Nel «Bollettino del C.R.I.F.» sono inoltre
riassunti i racconti (sette in tutto) che scandiscono il curriculum della “Philosophy for
Children” in rapporto ad una precisa fascia di
età e alla classe scolastica corrispondente:
Elfie (classi I-II elementare), Kio e Gus (classi III-IV elementare), Pixie (classi IV-V elementare), Harry Stottlemeier’s Discovery
(classi I-II-III media; tradotto in italiano col
titolo: M. Lipmann, Il prisma dei perché,
Armando, Roma 1992), Lisa (biennio della
scuola secondaria superiore), Suki (biennio e
classi del triennio superiore), Mark (biennio
e classi del triennio). Un articolo di Antonio
Cosentino fa il punto intorno ad alcuni problemi di metodo nell’applicazione di programmi della filosofia per bambini, mettendo
in guardia da una interpretazione eccessivamente rigida e vincolante degli obiettivi proposti. Sono inoltre elencati alcuni suggerimenti di P. C. Guin per aiutare la classe a
trasformarsi in una “comunità di ricerca”.
Il «Bollettino del C.R.I.F.» contiene inoltre
una panoramica sulle attività dei gruppi di
ricerca e dei corsi di aggiornamento in Italia,
collegati ai progetti della “Philosophy for
Children”, accompagnata da una bibliografia. Viene dato anche un elenco delle scuole
(per l’esattezza 24) nelle quali una o più classi
hanno sperimentato (o sperimentano) il programma della “Philosophy for Children” a
partire dall’anno scolastico 1993-94. La quota associativa al C.R.I.F. è di £. 20.000 e
comprende l’abbonamento al «Bollettino».
Si può versare sul c/c postale n° 13469879
intestato a: CRIF - via S. Francesco, 46 87022 Cetraro (CS).
Sul n. 26 di «Sensate esperienze» (aprile 1995) appare un articolo di Maria
Cristina Mirabello, FILOSOFIA IN UNA III
LICEO SCIENTIFICO PNI, che contiene alcune nuove proposte e soprattutto
un’ampia documentazione di materiale didattico per impostare la programmazione annuale di Filosofia nelle classi del triennio liceale. Nello stesso numero di «Sensate esperienze» è
pubblicata una recensione di P. Palmeri del volume di Biancardi, Bolognini, Deiana, Marchetti, LA FILOSOFIA INSEGNATA (Pagus Edizioni, Treviso 1994;
cfr. «Informazione filosofica», n. 21).
A prescindere dal carattere criptico della
sigla finale che compare nel titolo dell’articolo (presumibilmente si tratta del Piano
Nazionale di Informatica) e da altre soluzioni espressive non del tutto trasparenti ai
“non addetti ai lavori”, Maria Cristina
Mirabello propone nel suo intervento una
serie di formulari e di schemi - in parte già
esistenti, in parte approntati per l’occasione
- da utilizzare nel primo mese di scuola e
funzionali ai seguenti scopi: «dare una possibilità di esplicitazione alle motivazione
degli alunni rispetto alla disciplina...; far
esercitare gli alunni su un materiale che
consente loro di misurare le proprie capacità
di concentrazione e che in qualche modo sia
vicino ai loro interessi scientifici...; dare agli
alunni il senso che solo una sistemazione
rigorosa dei loro sforzi... può condurre il
processo di apprendimento ad un esito positivo; individuare le potenzialità di correzione degli alunni...; fornire uno schema articolato per punti su cui discutere con tutta la
classe e propedeutico al programma del
terzo anno». L’esperienza avviata nel primo
mese e proseguita attraverso il lavoro di
programmazione del primo quadrimestre ha
evidenziato l’evoluzione degli alunni da un
atteggiamento di iniziale scetticismo ad una
acquisizione della filosofia come “utile”,
“interessante”, “coinvolgente”, così come è
emerso da un questionario di autovalutazione di fine quadrimestre.
Per quanto riguarda la recensione del volume
di Biancardi, Bolognini, Deiana, Marchetti,
La filosofia insegnata, P. Palmeri sottolinea
in particolare la ricchezza di proposte praticabili suggerite dagli autori del volume, mettendo in luce come «innumerevoli siano le sollecitazioni che se ne possono trarre: sollecita77
zioni a fare, a innovare, a sperimentare, ma
dopo aver pensato, riflettuto, discusso»; tutto
questo in una prospettiva per cui «finalità
primaria dello studio della filosofia nella
scuola secondaria superiore debba essere
quella di concorrere alla ricostruzione della
tradizione culturale europea».
La Sezione Lombarda della Società
Filosofica Italiana propone una serie di
incontri e conferenze sul tema I LINGUAGGI DELLA FILOSOFIA, che intendono
offrire un contributo serio e rigoroso
per chi voglia insegnare filosofia attraverso le opere degli autori. Il programma che viene presentato propone altresì una guida a chi intende avviare
una sperimentazione secondo i Programmi elaborati dalla “Commissione
Brocca”. Agli incontri, che si terranno
presso l’Università degli Studi di Milano (via Festa del Perdono, 7), presso
l’Aula Crociera Alta del Dipartimento di
Filosofia, parteciperanno: E. Berti, A.
Ghisalberti, F. Mignini, E. Franzini.
L’iniziativa vuole corrispondere anzitutto
alla finalità di ancorare l’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie superiori
alla lettura diretta delle opere filosofiche,
per salvaguardare così la storicità del pensiero nel suo sviluppo, la specificità del
linguaggio filosofico, il senso dell’unità
dell’opera filosofica, la fondatezza degli
incroci interdisciplinari. Essa intende inoltre evidenziare le possibili correlazioni tra
aspetti dell’analisi critica delle opere e le
funzioni critico-educative della loro trasmissione ai giovani. Ogni conferenza in cui si
articola questa iniziativa sarà seguita da una
comunicazione: un docente di liceo evidenzierà le valenze critico-formative nella lettura dell’opera proposta.
Gli incontri si articoleranno secondo il seguente calendario: 30 novembre 1995, ore
16.30: E. Berti, “Le regole dell’inganno: le
Confutazioni sofistiche di Aristotele”, a cui
farà seguito una comunicazione di A. Franco Repellini; 25 gennaio 1996, ore 16.30: A.
Ghisalberti, “Interiorità, comunicazione e
linguaggio in Agostino” (che prenderà in
esame il De magistro di Agostino, di cui
è apparsa una recente edizione dal titolo:
Il Maestro e la Parola, Rusconi, Milano
1995), a cui farà seguito una comunicazione di P. Pirzio; 28 marzo 1996, ore 16.30:
F. Mignini, “La geometria del linguaggio
in Spinoza” (che prenderà in esame l’Ethica more geometrico demonstrata di
Spinoza), a cui farà seguito una comunicazione di R. Lazzari; 2 maggio 1996, ore
16.30: E. Franzini, “Il linguaggio dell’automa in Bergson” (che prenderà in esame
Il riso di Bergson), a cui farà seguito una
comunicazione di F. Mignini.
Il corso è gratuito, ma ai partecipanti viene
richiesta l’iscrizione alla Sezione Lombarda della SFI. Il corso ha il riconoscimento
ministeriale. (Informazioni: tel. 02/
39214905.) R.L.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Vol. LXXII, n. 1, gennaio-marzo 1995
Giuffré Editore, Milano
Delitto e peccato nel giusnaturalismo di
Samuel Pufendorf, di V. Fiorillo: l’articolo intende individuare se Pufendorf, parlando della pena, concettualizzi anche la
categoria del delitto come rigorosamente
autonoma rispetto a quella di peccato; lo
scopo è quello di contribuire alla storia del
diritto penale in modo del tutto indipendente da qualsiasi riferimento all’ambito
della teologia.
L’ordinamento giuridico come sistema di
diritti soggettivi. Franz Von Zeiller, di M.
La Torre: analisi del codice civile austriaco, entrato in vigore nel 1812 ed opera del
Von Zeiller, che mostra una concezione del
diritto non giuspositivistica, ma ancora giusnaturalistica.
El concepto de obligacion en la ultima
iusfilosofia española, di B. Rivaya Garcia.
Il diritto tra misconoscimento e disconoscimento, di P. Savarese: un’analisi speculativa del diritto alla luce del rapporto tra
singolo e intersoggettività.
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Anno L, n. 1, 1995
Franco Angeli, Milano
Dignità e finitezza dell’uomo: alcune riflessioni sul ‘De immortalitate animae’ di
Pietro Pomponazzi, di T. Suarez-Nani: la
formula della tradizione ermetica: “magnum miraculum est homo”, rappresenta
una costante di tutta la filosofia del Rinascimento. L’articolo vuole in particolare
mettere in luce la presenza del concetto
dell’uomo microcosmo nel testo di Pomponazzi in relazione alla problematica della dignità dell’uomo e del rapporto tra
filosofia e religione.
Chimica e mental science in Inghilterra:
l’esempio di James Mill, di S. Bucchi: la
teoria dell’ associazione delle idee nella
filosofia inglese del secolo scorso proposta
da Mill fu paragonata fin da allora ad una
composizione chimica, per cui le operazioni della mente assomiglierebbero alle composizioni nei corpi fisici degli elementi
chimici. Questa analogia tra filosofia e
chimica trova conferma nelle scelte dello
stesso filosofo, per cui la chimica fu fonte
di analogie soprattutto da un punto di vista
metodologico.
Mario Dal Pra e l’esistenzialismo positivo
di Nicola Abbagnano, di E. Rambaldi.
Riflessioni sulla distinzione rules/principles nell’opera di Ronald Dworkin, di A.
Schiavello.
Criteri e metodo per una nuova raccolta
delle testimonianze sugli “agrapha platonica”, di M. Isnardi Parente.
I conflitti normativi e l’etica del discorso,
di E. Diciotti: la questione dei conflitti
morali e l’etica del discorso elaborata da
Apel e Habermas.
Una nuova storia della filosofia medievale, di F. Bottin: analisi del secondo volume
(La filosofia medievale) della nuova Storia
della filosofia, curata da Pietro Rossi e
Carlo A. Viano (Laterza, Bari-Roma 1995).
Interpretazione: pluralità e fedeltà, di P.
Valenza: un rapporto/sintesi dei contenuti
emersi nel seminario sul tema: “Interpretazione. Pluralità e fedeltà” (Roma, 20-22
maggio 1994).
Il problema della “diffinitio” nel razionalismo scolastico e le prime critiche dell’umanesimo giuridico, di M. Manzin.
Immagini, parole e cose nella formazione
dell’uomo. Nota sulla critica di Port Royal
a Comenio, di M. Ferrari: la critica di Port
Royal alla didattica di Comenio mette in
luce la questione di una nuova lingua, chiara e trasparente, in grado di condurre l’uomo verso la luce della verità.
Giuseppe Rensi interprete di Spinoza, di A.
Montano.
78
L’oggetto della conoscenza scientifica secondo Rodolfo il Bretone, di P. Rossi:
l’articolo vuole delineare la dottrina di
Rodolfo il Bretone riguardo l’oggetto della conoscenza scientifica analizzata dal
filosofo attraverso i commenti all’opera
di Aristotele.
Questiones super analytica posteriora, di
R. Brito.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXVI, n. 2, agosto 1995
Il Mulino, Bologna
Devozioni vichiane, di P. Rossi: una riflessione sul ruolo di Vico nella storia della
filosofia a partire dal dibattito dell’ultimo
decennio.
La teoria bolzaniana dello spazio e del
tempo, di P. Bucci: l’articolazione interna
della teoria dello spazio e del tempo di
Bolzano sui tre piani, ontologico, lektologico-semantico, gnoseologico.
Il neocriticismo tedesco e la teoria della
relatività, di M. Ferrari: la stagione dell’interpretazione neokantiana della teoria della relatività speciale di Einstein si
apre con Natorp nel 1910 e Hönigswald
nel 1912, contro i quali prese autorevole
posizione Schlick, che chiarì le difficoltà in cui cadeva la filosofia kantiana con
i suoi presupposti newtoniani alla luce
della teoria della relatività. Dopo la prima guerra mondiale vi fu una ripresa
degli studi, al centro dei quali vi era
l’analisi di Cassirer volta a chiarire quali fossero gli strumenti concettuali usati
da Einstein nella sua costruzione teorica, mostrando anche come la teoria della relatività rappresenti, più che una rottura con la fisica classica, la sua più
compiuta realizzazione; interessante
anche l’avvicinamento di Cassirer alla
epistemologia di Duhem, dall’esclusione delle possibilità dell’experimentum
crucis alla concezione della fisica come
RASSEGNA DELLE RIVISTE
concettualizzazione “simbolica” di “fatti” in termini matematici.
Einstein, l’argomento di EPR e le variabili
nascoste: un problema da riconsiderare?,
di F. Laudisa.
L’addomesticamento del caso, di L. Cataldi Madonna: recensione di I. Hacking: Il
caso domato (Il Saggiatore, Milano 1994).
Ronald Dworkin e il dominio della vita, di
E. Soetje.
VERIFICHE
Anno XXIV, n. 1-2, Trento
IL PENSIERO
Anno XXXIV, n. 1, 1995
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
Sull’inizio e la fine della storia: discussione tra M. Cacciari, B. Forte, V. Vitiello.
La negazione del tempo in Nietzsche, di F.
Tomatis: dalla teoria dell’essere come caos
in-finito nasce la dottrina del tempo come
eterno ritorno.
Criticità e/o fondazione filosofica? Dalla
critica della ragione strumentale (Horkheimer e Adorno) alla giustificazione della
razionalità comunicativa (Habermas, Apel
e oltre), di V. Marzocchi: il confronto di
Habermas con la prima teoria critica francofortese.
Hegel e il “liberalismo”: un dibattito aperto di T. Amato: il dibattito, italiano e non,
intorno al problema dell’accordo tra il pensiero politico hegeliano e la tradizione liberale, soprattutto alla luce delle lezioni di
Filosofia del diritto.
Heidegger e il marxismo, di A. Bertin:
benché Heidegger non abbia mai realmente affrontato un confronto con Marx ed il
marxismo, tuttavia l’elaborazione della sua
filosofia politica e della teoria della tecnica
risentono dell’influenza marxista.
Due tipi di storia universale: i casi di E. A.
Freeman e Max Weber, di A. Momigliano.
Sul concetto matematico dell’infinito e del
continuo nella Fisica di Aristotele, di A.
Moretto: la trattazione aristotelica dell’infinito e del continuo ha rilevanza anche
relativamente alla filosofia della matematica, in quanto chiarisce il confronto tra i
diversi punti di vista sull’infinito e sul
continuo. Fondamentale appare la lezione
delle discussioni accademiche sulle grandezze geometriche ed in particolare delle
elaborazioni di Eudosso di Cnido.
Marx, la filosofia della storia e la giustizia,
di V. Vitiello: analisi di due recenti studi
sulla necessità di rileggere Marx alla luce
del presente: Spettri di Marx, di J. Derrida,
e Il sogno filosofico della storia, di F. Papi.
Sidgwick e la filosofia morale di Kant, di L.
Franco.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
La tesi dell’impotenza dello spirito e il
problema del dualismo nell’ultimo Scheler, di G. Cusinato: l’analisi del tema scheleriano dell’Ohnmacht.
Lo stile di Wittgenstein, di G. P. Terravecchia: attraverso l’analisi del modo di scrivere del filosofo, ad esempio la ripetitività
e le molte domande, l’articolo cerca di
comprendere il metodo e l’approccio del
filosofare di Wittgenstein. Inoltre viene
proposta una nuova interpretazione sul significato complessivo del Tractatus nel
quale è possibile osservare compiutamente
lo stile del filosofo.
Vedere con gli occhi dell’anima: la funzione dell’ala nella Palinodia di Socrate, di
A. Fussi.
Deduzione dialettica e fede nella fondazione kantiana della morale, di G. Tomasi:
recensione di S. Landucci: Sull’etica di
Kant (Guerini e Associati, Milano 1994).
prese di posizione della critica sociologica
tedesca su Freud, viene analizzata l’interpretazione di Weber dapprima nel contesto
del marxismo occidentale, dalle cui tesi
Habermas sembra discostarsi, poi in rapporto all’incontro tra Weber e Habermas.
Sulla filosofia della storia di Fichte. Risposta ad un recensore, di G. V. Di Tommaso.
Anno XVII, n.2, 1994
Rosemberg & Sellier, Torino
La costituzione dello Stato nazionale e il
principio di autodeterminazione dei popoli, di F. Avanzini: dalle radici storiche e
ideologiche del principio di autodeterminazione dei popoli ad una riflessione sullo
stato dell’Europa contemporanea.
Carisma e Stato. La teologia politica di
Carl Schmitt, di A. Bertin.
Cittadinanza universale: dopo la nazione,
di L. Bonante: la crescita del concetto di
cittadinanza in rapporto a quello di nazione
come processo di democratizzazione dell’ultimo scorcio di secolo.
Aristotele e la teoria delle crisi politiche, di
F. Ingravalle: il pensiero politico ateniese
del IV secolo, tematizzato in realtà fin dai
tempi dei poeti arcaici, ha come tema la
trasformazione degli ordinamenti politici.
La posizione di Platone e l’analisi della crisi
degli ordinamenti politici di Aristotele.
FILOSOFIA
Anno XLV, n. 3, settembre-dicembre 1994
Mursia, Milano
Il rapporto tra i concetti di possibile ed
esistente nel quadro della teoria leibniziana dei mondi possibili, di G. Auletta: l’articolo esamina il rapporto, nel Leibniz
maturo, tra i concetti di mondo possibile e
mondo esistente, prescindendo dalla loro
origine scotistica e allo scopo di distinguere le coppie di concetti contingenza-necessità e esistenza-possibilità.
Kierkegaard: la seduzione, l’interiorità,
l’ironia, di G. Gallino: la seduzione e la
musica, la sofferenza ed il paradosso, l’ironia e l’umorismo.
Il sogno, la fanciullezza e l’arte nel pensiero
di Giovanni Gentile, di V. Stella: il problema dell’educazione estetica in Gentile.
Oltre l’interpretazione: ermeneutica e nichilismo, di F. D’Agostini: recensione di
G. Vattimo: Oltre l’interpretazione (Bari,
Laterza 1994).
Le forme diffratte di Serres. Prolegomeni
ad una filosofia della storia, di A. Delcò: la
“tragedia” come unica fonte di unità sia
politica, sia logica nel pensiero di Serres.
IRIDE
Henry Corbin e l’ontologia del mundus
imaginalis, di M. Falcioni.
Che cosa significa teoria critica?, di P.
Costa: significato dell’operare e scopo della teoria critica.
L’arte, l’opera, l’origine. M. Blanchot, di
S. Zampieri: il legame tra il filosofo francese ed il pensiero di Heidegger.
Un’ “illuminante incoerenza”: Jurgen
Habermas legge Max Weber, di E. Donaggio: dopo aver esaminato le più recenti
79
Anno VIII, n. 14, aprile 1995
Il Mulino, Bologna
Vengono pubblicati i materiali relativi ad
alcuni interventi al V Convegno Internazionale di Locarno (8-10 ottobre 1992) dal
titolo: “Luoghi della memoria e dell’oblio”:
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Il delirio della memoria e la memoria come
delirio, di A. Ballerini; La percezione è il
“bordo d’attacco” della memoria?, di D.
C. Dennett; “Debbo io ricordare?” L’arte
e la negazione della memoria, di H. Fisch;
Forgiare e dimenticare: i doveri dell’oblio,
di D. Löwenthal; Ricordo ed oblio. La
Germania dopo la sconfitta nelle due guerre, di E. Nolte; Per una ontologia del
ricordare, di F. Papi; Il velo e il fiume.
Riflessioni sulle metafore dell’oblio, di F.
Rigotti; La scienza e la dimenticanza, di P.
Rossi; Sulla nostalgia. La memoria tormentata, di J. Starobinski; Due corsi della
vita: la memoria e l’oblio, di R. Wollheim.
La questione ecologica e nuove identità
collettive, di K. Eder.
E’ possibile decidere argomentativamante
il linguaggio in cui argomentiamo? La
svolta linguistica di K. O. Apel, di V. Marzocchi: vengono qui presentati i passaggi
essenziali e gli esiti della riflessione sul
linguaggio proposta da Apel, sottolineandone in particolare il rapporto con Kant,
Heidegger, Peirce, Wittgenstein e Searle.
La causalità, di W. C. Salmon: la questione
della causalità posta da Hume e la tesi che
la natura della causalità sia di ordine fisico.
Derrida e la rivendicazione dello spirito
del marxismo, di M. Iofrida: l’ “inattualità”
della scelta di Derrida in Spettri di Marx.
Stato del debito, lavoro del lutto e nuova
Internazionale.
Una lettura possibile. A proposito de “I
boschi narrativi” di Umberto Eco, di M.
Brini Savorelli.
lizza, da un punto di vista storico, lo sviluppo delle interpretazioni relative alla concezione tomista dell’essere, che dalla convinzione di una perfetta uguaglianza con la
concezione aristotelica della sostanza arriva a individuarne una provenienza neoplatonica. Da un punto di vista speculativo,
questo passaggio è giustificato da una diversa individuazione del carattere fondamentale del concetto di essere in S. Tommaso: non più una differenziazione intrinseca dell’essere, ma la sua sostanziale unità
ed identità.
Leibniz’ principle of contradiction is not
what Aristotle called “the most cartain of
all principles”, di C. J. Mc Cadden: la
diversa trattazione di Leibniz, rispetto ad
Aristotele, del principio di contraddizione.
Filosofia ed esperienza religiosa nel pensiero di Luigi Pareyson, di A. Ales Bello.
L’approccio fenomenologico al vissuto
psicotico, di A. Ales Bello: il rapporto tra
fenomenologia e prassi psicoterapeutica.
Una lettura metafisica del ‘De fide rerum
quae non videntur’ di S. Agostino, di C.
Pandolfi: l’articolo propone di leggere l’insieme delle considerazioni agostiniane sulla fede alla luce della nozione di tempo
passato come «quanto noi non abbiamo più
presente».
La pulchritudo di Dionigi Areopagita nel
commento di Tommaso d’Aquino, di M.
Germinario.
La vita come totalità, di A. M. Pezzella:
l’attenzione per i problemi pedagogici in E.
Stein.
Ponty concorda con Sartre circa la questione del rapporto tra le concrete individualità
storiche, dall’altro, per superare la scissione tra io e gli altri, si richiama proprio al
monismo heideggeriano del reale, che implica il superamento della scissione tra io e
mondo.
L’esistenzialismo francese e la sua autocritica. Merleau-Ponty e Sartre, di P. della
Vigna: caratteristica della riflessione politica dell’esistenzialismo francese nel secondo dopoguerra è di coniugare la praxis
con l’ontologia; se in Sartre l’istanza principale è quella di una lotta per la liberazione della coscienza infelice dalla propria
alienazione, in Merleau-Ponty il senso della dimensione politica si ritrova nell’applicazione dei processi conoscitivi alla prassi
politica. Il confronto con il marxismo di
Lukács.
Linguaggio e verità. Il chiasma: il sentire
della carne, di T. Villani: il concetto di
chiasma e il rapporto che esso implica tra
linguaggio e verità all’interno della tematica del corpo e della carnalità.
Ateo per malinteso. La religione secondo
M. Merleau-Ponty, di G. L. Brena: sulla
concezione della religione in MerleauPonty, anche intesa come descrizione fenomenologica dell’esperienza religiosa, ed il
progressivo abbandono di queste problematiche alla luce dell’avvicinamento al
marxismo, anch’esso poi abbandonato. La
questione dell’ateismo di Merleau-Ponty.
Immaginazione e libertà: Jean-Paul Sartre,
di U. Fadini e G. Pascucci: la teoria dell’immaginazione in Sartre.
Linguaggio comune e descrizione fenomenologica, di L. Ponticelli.
Croce e il superuomo. Una variante nell’edizione della ‘Filosofia della pratica’
del 1923, di S. Cingari.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
La maieutica dell’essere coscienti, di L.
Ponticelli.
Anno XVII, n. 3, 1994
Rosenberg & Sellier, Torino
AQUINAS
Anno XXXVIII, n. 1, gennaio-aprile 1995
Pont. Univ. Lateranense, Roma
Cassirer e il simbolo, di P. Pellecchia: il
simbolo è lo strumento che consente a
Cassirer di comprendere al tempo stesso
sia l’universalità, sia le peculiarità specifiche delle varie forme della vita culturale.
Domanda di senso e ragione ermeneutica,
di D. Iannotta: una riflessione di tipo filosofico intorno alla problematica della nuova evangelizzazione, del suo linguaggio e
del suo metodo.
La “dedución metafísica” del ente natural,
di S. F. Burillo.
Gli studi sull’ontologia tomista: status quaestionis, di G. Ventimiglia: l’articolo ana-
Da Malebranche a Maine de Biran, di M.
Merleau Ponty: viene qui tradotta, a cura di
Alessia Graziano, l’ottava lezione di un
corso tenuto dal filosofo francese nell’anno accademico 1947-48. Il corso trattava il
tema anima-corpo ed in questa lezione le
figure di Malebranche e Maine de Biran,
analizzati in una prospettiva fenomenologica, sembrano costituire i fondamenti storici di una “via francese” alla fenomenologia.
Tra Heidegger e Sartre: l’ontologia del
tempo-mondo in Maurice Merleau-Ponty,
di F. Cassinari: analizzando le critiche di
Sartre a Heidegger, e di Merleau-Ponty a
Sartre, come pure il recupero di Heidegger
da parte di Merleau-Ponty, l’articolo colloca l’ontologia di quest’ultimo tra Sartre ed
Heidegger. Se infatti da un lato Merleau80
TEORIA
Anno XV, n. 1, 1995
ETS, Pisa
La sezione “saggi” della rivista è dedicata
a “Problemi del pensiero francese contemporaneo”, in cui viene presa in considerazione, oltre a quella di Derrida, anche la
posizione di Badiou e Lacoue-Labarthe,
importanti esponenti della filosofia francese post-heideggeriana.
La questione dell’essere oggi, di A. Badiou: Heidegger ha mostrato come la storia
della metafisica occidentale sia caratterizzata da un controllo dell’essere da parte
dell’Uno; Badiou si propone allora di sottrarre l’essere dal potere di controllo dell’Uno attraverso il pensiero di un moltepli-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
ce puro, senza la sottomissione all’Uno.
Questa ontologia del molteplice richiede
anche di sottrarsi al potere della definizione e proporsi come pensiero assiomatico;
ma una tale ontologia non può essere che
quella matematica. Viene infine brevemente
delineato il confine con il pensiero di
Deleuze.
Il coraggio della poesia, di P. LacoueLabarthe: la riflessione di Heidegger sulla
poesia di Hölderlin e la prospettiva teologico-politica.
Heidegger tra evento e figura, di G. Scibilia: considerazioni sugli interventi precedenti.
Husserl sull’intersoggettività e la fenomenologia, di M. Bianchin: la progressiva
genesi del concetto di intersoggettività in
Husserl e le interpretazioni che sistematicamente e direttamente si riferiscono ai
testi husserliani.
Note sull’argomento ontologico nell’età
moderna, di S. Di Bella: recensione di: E.
Scribano, L’esistenza di Dio. Storia della
prova ontologica da Descartes a Kant (Laterza, Roma-Bari 1994).
Teoremi di Gödel e meccanicismo, di C.
Marletti: osservazioni sulla tesi di Lucas,
che si serve del teorema di Gödel per confutare il meccanicismo nella filosofia della
mente.
Ermeneutica come atto di scrittura: colloquio di P. Marrati-Guénoun con
J. Derrida intorno ad alcuni concetti come ermeneutica filosofica, “secolarizzazione”, esistenza, decostruzione come gesto di affermazione.
nell’educazione umana; concetti che peraltro sono tipici della tradizione del Timeo
presente nella Scuola di Chartres.
Leibniz, el cristianismo europeo y la ‘Teodicea’, di A. A. Rodrigo: l’elaborazione
della teodicea leibniziana sulla base della
monadologia ha trasformato questa teoria
in una antropodicea.
Reflexión y principio de la lógica en Hegel,
di J. Ezquerra Gómez: con l’aiuto della
concezione kantiana del nulla come ens
rationis, l’articolo mostra la struttura riflessiva del principio della logica hegeliana.
La lógica de la identidad en G. Frege, di
J. Sánchez Sánchez: l’articolo intende
mostrare come il concetto di identità in
Frege resti limitato più alla tesi dell’identità relativa che all’analisi referenzialista, basata sulla tesi classica dell’identità
assoluta.
Comparando qué? La “endeblez metodológica” de la ética según W. V. Quine y sus
críticos, di F. J. Rodríguez Alcázar.
La delimitación de la pragmática con respecto a la sociolingüística, di J. M. De
Cózar Escalante: il dominio della linguistica pragmatica rispetto al dominio della
sociolinguistica.
“Mundo administrado” o “Colonización
del mondo de la vida”. La depotenciación
de la teoría crítica de la sociedad en
Habermas, di V. Gómez Ibáñez.
INFORMAZIONE
IL VERRI (n. 1-2, gennaio-giugno 1995,
Mucchi Editore, Milano) si apre con un
breve scritto di Fausto Curi, dedicato a
Luciano Anceschi.
AESTHETICA (n. 44, Centro Internaziona-
le Studi di Estetica, Palermo) è dedicata
alla memoria di Rosario Assunto ed alle
tematiche fondamentali della sua filosofia:
il paesaggio. il rapporto con l’antico, il
giardino, Goethe.
TEMPO PRESENTE (n. 172, aprile 1995,
Roma) presenta articoli di P. E. Fornaciari
(Pico della Mirandola tra cristianesimo ed
ebraismo), G. Pellegrini (Kafka lettore di
Kierkegaard. Analisi di una interpretazione), V. Esposito (Benedetto Croce e la
bella Angelina).
PROSPETTIVA PERSONA (Anno IV, n.
12, aprile-giugno 1995, Demian edizioni)
presenta un intervento di A. Lorenzon:
L’opera di Paul Ricoeur e la realtà latinoamericana.
ESPIRITU (Vol. XLIV, n. 111, giugno 1995,
Barcellona) presenta i seguenti articoli: El
problema de la constitución epistémica de
la antropología, di M. E. Sacchi; Critica de
la noción de ser ideal en las Investigaciones
lógicas de Husserl, di V. Valarde Mayol;
Francisco Suárez: teólogo y filósofo del
humanismo renacentista (II), di S. F. Burillo; Ser hombre significa ser con los demás,
di E. Forment.
JACQUES E I SUOI QUADERNI (n. 25,
FILOSOFICA
È ANCHE ON-LINE
DAIMON
n. 10, gennaio-giugno 1995
Università di Murcia, Murcia
Unamuno traductor de Th. Carlyle, di L. Robles: i tempi impiegati e le influenze subite da Unamuno nella traduzione della Storia della rivoluzione francese di
Carlyle.
El Comentario a la Eneida de
Bernardo Silvestre, di F. Tauste Alcocer: l’analisi di questo
commentario, attribuito a Bernardo Silvestre, mette in luce
alcuni concetti importanti, la
dottrina dell’integumentum,
l’evoluzione intellettuale e morale del saggio, la spiegazione
naturalistica della genesi del cosmo, il ruolo delle arti liberali
IN RETE INTERNET
ALL’INDIRIZZO:
http://www.handson.it/infophil/
e-mail: [email protected]
[email protected]
1995, Pisa) propone il tema:
“Perorazioni metafisiche, ovvero bilancio di interpretazioni
empiriche”, a cura di E. De Angelis.
TEMPO PRESENTE (n. 174,
giugno 1995, Roma) presenta
un articolo di M. Biscuso, Individuo, tolleranza e libertà
in Spinoza, e uno di G. Pecora,
La democrazia di Hans Kelsen. Individualismo etico e libertà. Segnaliamo anche D.
Losurdo: Analisi storica concreta e fantasmi ideologici.
Ancora sul “sofisma di Talmon”.
LIBRI E RIVISTE D’ITALIA
(Anno XLVII, gennaio-aprile
1995, Roma) presenta un intervento di M. L. Cicalese: Il mito
del Risorgimento dai neohegeliani di Napoli alla scuola gentiliana.
HERMENEUTICA (1995, Mor-
celliana, Brescia) presenta un
fascicolo monografico dal titolo: “Kerygma e prassi. Filosofia e teologia in Italo Mancini”.
81
NOVITÀ IN LIBRERIA
A.A.V.V.
Julius Evola
Fascicolo quadrimestrale
Greco & Greco, luglio 1995
pp.25, £.30.000.
In questo fascicolo viene analizzata
la figura di Evola da diversi autori.
Interessanti sono le analisi relative
all’attualità di Evola, ai suoi rapporti
con il fascismo e il nazional-socialismo e al giudizio su di lui da parte di
Sibilla Aleramo.
Abel, Karlhans
Die Sinnfrage des Lebens.
Philosophisches Denken
im Vor- und Umfeld
des frühen Christentums
Steiner, luglio-agosto 1995
pp. 350, DM 148
Adam, Michel
Malebranche et problème moral
Bière, agosto 1995
pp. 235, F 135
Sotto la doppia influenza della filosofia di Cartesio e del pensiero di Sant’
Agostino, Malebranche ha elaborato
un percorso filosofico originale, i cui
caratteri fondamentali possono essere
ritrovati nella sua morale. Privilegiando l’esperienza vissuta, Malebranche
valorizza la vita affettiva.
Agazzi, Evandro
Das Gute , das Böse und
die Wissenschaft.
Die ethische Dimension
der wissenschaftlich-technologischen
Unternehmung
Akademie-Vlg., giugno 1995
pp. 340, DM 48
Agazzi cerca di riportare le discussioni politiche, ormai forzate, al loro
livello scientifico e di costruire, su
questa base, una nuova etica della
responsabilità, consolidata e reale.
Airaksinen, Timo
The Philosophy
of the Marquis de Sade
Routledge, giugno 1995
pp. 224, UK £12.99
Questo testo fornisce una lettura teoretica della filosofia del Marchese de
Sade. Esamina le pretese di de Sade,
secondo il quale, per essere felici e
liberi, bisogna fare del male e discute
le motivazioni del tipico eroe sadeiano, che conduce una vita piena di
piaceri perversi ed estremi.
Albert, Karl
Philosophie im Schatten
von Auschwitz. Edith Stein Theodor Lessing - Walter Benjamin
Paul Ludwig Landsberg
Röll, giugno 1995
pp. 136, DM 28
Albrecht, E. - Albrecht, K.
Sprache und Kultur
vol. II: Sprachphilosophie,
Sprachstrukturforschung,
computerlinguistische
Modellierung
Die Blaue Eule, giugno 1995
pp. 168, DM 46
NOVITÀ IN LIBRERIA
Allen, Barry
Truth in Philosophy
Harvard UP, giugno 1995
pp. 248, UK £12.75
Questo testo esamina quale significato abbia assunto il concetto di verità
nella tradizione filosofica, che cosa ci
sia di errato in molti modi di concepire la verità e perché i filosofi rifiutino
di affrontare apertamente il problema
del valore della verità. L’arco di tempo considerato va dai pre-socratici
fino al 1990.
pp.192, £.16.000.
Si tratta di una raccolta di quattordici
lettere, pare scritte tra il 58 e il 64
d.C., tra il filosofo romano e l’apostolo cristiano. Secondo alcuni sarebbe
un epistolario apocrifo.
Artuso, Paolo
Hilary Putman: realismo
e comprensione
Ets, luglio 1995
pp.180, £.25.000.
Artuso ricostruisce il pensiero di Hilary Putman, filosofo dell’indirizzo
analitico anglo-americano. Putman si
occupa non solo del problema classico della conoscenza, ma anche di
problemi dell’etica e dell’estetica.
Negli anni 70, impegnato nei movimenti pacifisti, abbandonò in parte lo
studio analitico per dedicarsi alla scrittura di saggi di filosofia politica.
Amadio, Carla
Fichte e la dimensione estetica
della politica: a partire
da : Sullo spirito e la lettera
nella filosofia
Guerini e associati, luglio 1995
pp.104, £.25.000.
Questo libro mette in risalto gli elementi più significativi dello scritto
fichtiano Sullo spirito e la lettera
nella filosofia per l’approfondimento
del nesso tra la dimensione estetica,
intesa quale primo avvertirsi dell’io
nella sua libertà e la sfera politica,
proposta quale spazio della relazione
tra le libertà.
Atwell, John E.
Schopenhauer on the Character
of the World:
The Metaphysics of Will
Univ California, giugno 1995
pp. 236, $ 42
Questo lavoro analizza in maniera
critica e simpatetica l’opera principale di Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione, dimostrando che il sistema filosofico che
viene promosso costituisce un insieme coerente.
Ancona Leonardo, Gambazzi Paolo,
Garroni Emilio, Neri Guido,
Panza Pierluigi, Penzo Giorgio,
Piana Giovanni, Sichirollo Livio
e altri
Il canto di Seikilos. Scritti
per Dino Formaggio
nell’ottantesimo compleanno
Guerini, agosto 1995
pp. 232, £.35.000.
Per celebrare Formaggio, per anni
docente di estetica all’Università Statale di Milano, ricercatore e filosofo
di spicco, amici e allievi della scuola
hanno riunito interventi e ricordi, che
hanno come tema il contributo di
Formaggio alla cultura italiana.
Auyang, Sunny Y.
How is Quantum Field
Theory Possible?
Oxford UP., luglio-agosto 1995
pp. 320, £ 49,50
Si tratta dell’unica analisi filosofica,
così estesa da occupare un intero libro, della teoria del campo dei quanti.
Il volume è anche il primo in cui la
filosofia dello spazio tempo, la meccanica dei quanti ed i sistemi interattivi vengono considerati come facenti parte di un unico schema.
Andreatta, Alberto
Le americhe di Gaetano Filangieri
Esi, giugno 1995
pp.80, £.12.000.
L’illuminismo riformatore di Filangeri si misura con un topos della filosofia politica: le americhe, il mito
della libertas americana.
Bachtin Michail, Kanaev Ivan,
Medvedev Pavel, Volosinov V.N.
Bachtin e le sue maschere
a cura di De Michiel Margherita,
Jachia Paolo, Ponzio Augusto
Dedalo, luglio 1995
pp.300, £.35.000.
Vengono esposti i fondamenti della
filosofia, delle scienze dei segni e
della teoria e critica della letteratura
contenuti nei primi testi inediti del
Anonimo
Epistolario tra Seneca e S.Paolo
a cura di Natali Monica
Rusconi, luglio 1995
82
filosofo russo Michail Bachtin. Vengono approfonditi attraverso i testi,
pubblicati dai suoi collaboratori, riguardanti i problemi della filosofia
morale e dell’estetica, della critica
letteraria, della semiotica e delle scienze umane.
Baier, Annette C.
Moral Prejudices: Essays on Ethics
Harvard UP, giugno 1995
pp. 384, UK £14.25
Questo testo ci invita a far sì che le
nostre nozioni morali di base non
siano governate da regole o codici ma
dalla fiducia, cioè da un pregiudizio
morale. Nella sua indagine delle implicazioni derivanti dal dar fiducia
alla fiducia piuttosto che ad una prescrizione, l’autrice intreccia aneddoti
ed autobiografia con letture di Hume
e Kant.
Barry, Brian
Justice as Impartiality
Clarendon Pr., giugno 1995
pp. 320, £ 25
Questo volume, che è il seguito del
libro Theories of Justice, che ha vinto
un premio, offre una riaffermazione
contemporanea dell’idea dell’Illuminismo, secondo la quale certi principi
fondamentali possono pretendere la
fedeltà da parte di ogni essere umano
razionale.
Battistini, Andrea
La sapienza retorica di
Giambattista Vico
Guerini, luglio 1995
pp. 138 £.26.000.
Dopo una ricognizione preliminare
delle forme in cui lo statuto della
retorica venne, tra Sei e Settecento,
declinato a Napoli, vengono prese in
esame da Andrea Battistini le risposte
personali di Vico, che dell’arte della
persuasione si valse per edificare il
mito di se stesso nell’autobiografia,
sia per interpretare e descrivere il
passato più remoto dell’antichità e
per esporlo con lo stile di pensiero più
confacente.
Baum, Hermann
Bannkreise des Tötens.
Zur Kritik des utilitaristischen
Standpunkts
zum Schwangerschaftsabbruch
Academia-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 170, DM 36
Baumgartner, M. - Jacobs, W.G.
(a cura di)
Schellings Weg
zur Freiheitsschrift.
Akten der Fachtagung
der Internationalen Schelling
-Gesellschaft vom Oktober 1992
Frommann-Holzboog
luglio-agosto 1995
pp. 300, DM 78
Si tratta degli atti del convegno della
Internationale Schelling-Gesellschaft ,
tenutosi nell’ottobre del 1992.
Bausola, Adriano
Libertà e responsabilità
Vita e pensiero, luglio 1995
pp.132, £.20.000.
Il presente volume discute, nella pri-
NOVITÀ IN LIBRERIA
ma parte, il problema della libertà dal
punto di vista ontologico cercando di
dare una risposta positiva al problema. La seconda parte affronta alcune
questioni etico-politiche che una risposta affermativa alla domanda sulla libertà del volere porta con sé: il
problema della genesi esistenziale
dell’atteggiamento deterministico,
quello del rapporto tra libertà e valori
e altri ancora, inerenti al tema della
responsabilità morale.
Bausola, Adriano
Natura e progetto dell’uomo
Vita e pensiero, luglio 1995
pp.300, £.25.000.
Il presente volume esamina il problema relativo a quali possibilità e responsabilità l’uomo abbia verso la
propria natura sia dal punto di vista
teorico, sia e soprattutto da quello
storico, con particolare attenzione per
l’esistenzialismo sartriano, per lo
strutturalismo e per il marxismo. In
rapporto al marxismo, la discussione
verte anche sul tema del dialogo tra
marxisti e cristiani.
Bazzanella Emiliano
Orizzonte: passività e soggetto
in Husserl e Merleau Ponty
Guerini Scientifica, luglio 1995
pp.148, £.18.000.
L’autore mostra come Husserl abbia
trovato il fondamento del soggetto e
dell’intenzionalità in uno strato della
coscienza pre-categoriale passivo senza riuscire ad aggirare l’ostacolo di
una passività originariamente intenzionale. D’altra parte, Merleau-Ponty,
dialogando a distanza con Husserl,
non si è prefissato il superamento di
questa contaminazione, bensì ne ha
fatto il centro della propria riflessione
ontologica.
Bazzanella, Emiliano
Contaminazione: l’idea
di struttura in Heidegger
Franco Angeli, giugno 1995
pp.104, £.20.000.
Bazzanella in questo libro mostra
come nell’analisi della filosofia di
Heidegger rimanga disattesa, vittima
di una inspiegabile rimozione, la questione del rapporto dello spazio e del
tempo. Così questo studio cerca di
colmare questa parziale omissione
sottolineando una particolare accezione di struttura in cui l’idea metafisica di «origine» perde rilevanza e si
delineano i contorni di un mondo
confusivo, regolato dalla sistematica
contaminazione dei principi e da una
serie di meccanismi assimilabili al
«gioco».
Beaufret, Jean
Dialogo con Heidegger
Volume II: Filosofia moderna
a cura di Zaccaria Gino,
traduzione di Citton Giuliana
Egea, agosto 1995
pp.370, £.30.000.
Viene esposta la filosofia moderna
alla luce delle osservazioni di
Heidegger, interpretate e “tradotte”
dall’autore.
Bechler, Zev
Aristotele’s Theory of Actuality
State Univ. of New York,
luglio-agosto 1995
pp. 384, $ 24
Il libro presenta un attacco ad Aristotele che mostra come la sua tendenza
errata verso un’applicazione coerente della sua ontologia attualistica (negando la realtà di tutte le cose potenziali) risulta essere essenzialmente
priva di basi nella maggior parte delle
sue tesi più importanti.
una storiografia angustamente razionalistica.
Bidima, Jean Godefroy
La philosophie negro-africaine
PUF, agosto 1995
pp. 128, F 40
Il discorso filosofico negro-africano
ha inizialmente riflettuto sulla sua
esistenza, quindi sullo stato della cultura africana, sull’insegnamento, sulle lingue africane, le religioni e, infine, sullo Stato. Tutte queste riflessioni ruotavano intorno al paradigma di
una possibile rifondazione della storia africana. Il volume è di ambito e di
interesse universitari.
Bencivenga, Ermanno
Filosofia: istruzioni per l’uso
Mondadori, luglio 1995
pp.160, £.8.000.
Si tratta di una raccolta di esercizi per
vivere filosoficamente.
Billig, Michael
Ideologia e opinioni
Studi di psicologia retorica
traduzione di Marraffa Massimo
La Terza, agosto 1995
pp.272, £.35.000.
Viene analizzata la retorica come
costruzione delle opinioni e trasformazione di esse in ideologia e strumento di potere: le tecniche di argomentazione e di propaganda dall’antichità all’odierno pregiudizio, ai discorsi sulla politica e all’interno della
famiglia.
Benjamin, Walter
Il carattere distruttivo.
Gli orrori del quotidiano
Mimesis, luglio 1995
pp.160, £.22.000.
Vengono esposti i lineamenti dei contributi più strettamente filosoficopolitici del pensiero di Benjamin.
L’analisi del carattere distruttivo deve
essere collocata nell’ambito della
necessità di rinnovamento che si manifesta in un ciclo storico quando
questo è giunto a un punto di crisi
irreversibile.
Biolo, Salvino (a cura di)
Trascendenza divina: itinerari
filosofici
interventi di Enrico Berti et al.
Rosenberg & Sellier, luglio 1995
pp.316, £.50.000.
Si tratta del 48 Convegno del Centro
studi filosofici di Gallarate tenutosi
nell’aprile del 1993. Gli scritti mostrano come la comprensione delle
cose si chiarifichi nella prospettiva
della trascendenza. Infatti, la mappa
del sapere scientifico, la sua struttura
interna, resta uguale a se stessa anche
per il teologo : ma ogni vero naturale
è inteso nel suo contesto ontologico
di struttura creata e portata dalla mano
di Dio.
Bennett, Jonathan
The Act itself
Clarendon Pr., giugno 1995
pp. 272, £ 25
Questo libro ci permette di capire
meglio i nostri pensieri morali riguardo al comportamento umano. Bennett presenta l’analisi concettuale
come un mezzo per ottenere maggior
controllo dei nostri pensieri e quindi
delle nostre vite.
Berkowitz, Peter
Nietzsche: The Ethics
of an Immoralist
Harvard UP, giugno 1995
pp. 336, UK £27.95
Questo testo sostiene che il pensiero
di Nietzsche ha le sue radici in opinioni conflittuali sulla metafisica e la
natura umana. Scoprendo un’unità
nell’opera di Nietzsche, questo libro
mostra che Nietzsche è un filosofo
morale e politico, in senso socratico,
la cui domanda-guida è: “qual’è la
vita migliore?”.
Biolo, Salvino (a cura di)
L’universalità dei diritti umani
e il pensiero cristiano del’500
interventi di Carlos Baciero
et al.
Rosenberg & Sellier, luglio 1995
pp.232, £.37.000.
Si tratta dei contributi al 47 Convegno del Centro di studi filosofici di
Gallarate tenutosi nel settembre del
1992.
Beschin, Giuseppe (a cura di)
Antonio Rosmini,
filosofo del cuore? Philosophia
e theologia cordis
nella cultura occidentale
Morcelliana, giugno 1995
pp.617, £.70.000.
Si tratta degli Atti del convegno tenutosi a Rovereto il 6-7-8 ottobre 1993.
Emerge in questi Atti un inedito profilo del pensiero occidentale da Platone a Paolo, dalla Patristica a Bonaventura, da Dante a Pascal, dai mistici a Kierkegaard e Nietzsche, in cui è
possibile soprendere l’attualità di una
res - il cuore come simbolo di interiorità, conoscenza meta-razionale, locus revelationis - a lungo obliata da
Blasche, S. (a cura di)
Sorgfalt des Denkens.
Festschrift für Brigitte Scheer
Königshausen & Neumann
giugno 1995
pp. 232, DM 48
Bodei, Remo
Le forme del bello
Mulino, luglio 1995
pp.140, £.15.000.
Questo libro è dedicato alle parole
chiave, opposte e complementari, di
“bello” e “brutto”. Delinea i principali modelli della “costellazione della
bellezza”, così come si è venuta configurando nel corso dei secoli. Dal
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bello come idea di ordine, di misura e
di armonia, al bello imponderabile
che si esprime nella valorizzazione
del gusto.
Bojadziev, Coco
Die frühgriechische Philosophie
als Phänomen der Kultura
Königshausen & Neumann,
luglio-agosto 1995
pp. 216, DM 48
Bondeli Martin
Das Anfangsproblem
bei Karl Leonhard Reinhold.
Eine systematische
und entwicklungsgeschichtliche
Untersuchung
zur Philosophie Reinholds
Klostermann, luglio-agosto 1995
pp. 446, DM 186
La filosofia elementare di Karl Leonhard Reinhold, che si collega all’architettura del sistema kantiano,
mette in moto una dinamica che fa di
lui un concorrente della filosofia dell’identità di Schelling e Hegel e, paradossalmente, lo rende anche un ispiratore dello Hegel “fenomenologico”.
Bonessio Di Terzet, Ettore
Occasioni di mito
Marsilio, luglio 1995
pp.128, £.24.000.
In questo libro viene compiuta un’analisi di alcuni momenti della letteratura e dell’arte moderna (Carrol, Nietzsche, Proust, Villon, Corbière) al fine
di recuperare modalità innovative per
una rifondazione dell’estetica.
Bönker-Vallon, Angelika
Metaphysik und Mathematik
bei Giordano Bruno
Akademie Vlg., giugno 1995
pp. 230, DM 120
L’autrice fornisce un nuovo contributo ad una più profonda comprensione della discussione sui metodi nel
XVI secolo ed indica Giordano Bruno come uno dei precursori della concezione scientifica leibniziana.
Bori, Pier Cesare
Per un consenso etico tra culture
Marietti, giugno 1995
pp.120, £.19.000.
I convincimenti che sono alla base
della convivenza unana e che sono
racchiusi nelle scritture, ricercando
quegli elementi di convergenza che
accomunano le diverse culture.
Börncke, Fr. - Roser, A.
(a cura di)
Konkordanz zu Ludwig
Wittgensteins ‘Tractatus
logico-philosophicus’
intr. di Joachim Schulte
Olms-Weidmann, giugno 1995
pp. 216, DM 118
Bourdieu, P. - Haacke, H.
Freier Austausch.
Für die Unabhängigkeit der
Phantasie und des Denkens
S. Fischer, giugno 1995
pp. 160, DM 36
NOVITÀ IN LIBRERIA
Boutot, Alain
La pensée allemande moderne
PUF, agosto 1995
pp. 128, F 40
Dal 1830 ai giorni nostri, il pensiero
tedesco è stato attraversato da diverse
correnti: il marxismo, la Scuola di
Francoforte, il neo-kantismo, la fenomenologia... Al di là di questa diversità apparente, l’autore evidenzia alcuni temi ricorrenti che testimoniano
la specificità e la vitalità del pensiero
tedesco.
Carnap, Rudolf
The Unity of Science
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 101, UK £9.99
Convinto che le affermazioni abbiano un significato solo se sono empiricamente verificabili, Carnap si sforza
di trovare un modo in cui le affermazioni derivanti dall’osservazione necessarie alla verifica non restino solo
qualcosa di privato, cioè di solo dominio dell’osservatore.
Carriou, Marie
Bergson et Bachelard
PUF, giugno-luglio 1995
pp. 128, F 98
Questo dialogo sui silenzi e le vertigini della ragione collega la malinconia
dei sogni poetici e dialettici a dei
sogni scientifici. Tra l’aurora dell’epistemologia ed il crepuscolo della
metafisica, tra Bachelard e Bergson,
l’autore non cerca di schierarsi a favore dell’uno o dell’altro, ma di riunire gli opposti. Il libro interesserà ad
un vasto pubblico.
Catucci, Stefano
La filosofia critica di Husserl
Guerini Scientifica, luglio 1995
pp.281, £.30.000.
Questo libro vuole tenere aperto lo
spazio problematico del pensiero di
Husserl senza ridurne le tensioni o
correggerne le debolezze. Dei concetti fondamentali della fenomenologia vengono perciò messe in luce le
istanze critiche e le strategie discorsive, non solo gli obiettivi programmatici.
Cavalier Robert, Lurio Eric
Platone
traduzione di Lanza Lorenza
Feltrinelli, giugno 1995
pp.180, £.12.000.
Filosofia di Platone per gli studenti in
difficoltà di fronte ai “testi sacri”.
Cheneval, Francis
Die Rezeption der ‘Monarchia’
Dantes bis zur ‘Editio princeps’
im Jahre 1559. Metamorphosen
eines philosophischen Werkes.
Mit einer kritischen Edition
von Guido Vernanis, ‘Tractatus
de potestate summi pontificis’
Fink, luglio-agosto 1995
pp. 490, DM 98
Il De Monarchia di Dante deve essere preso in considerazione maggiormente, rispetto a quanto fatto finora,
anche per la spiegazione della genesi
della filosofia politica dell’età moderna.
Ciancio, Claudio
Cartesio o Pascal?: un dialogo
sulla modernità
Rosenberg & Sellier, luglio 1995
pp.145, £. 25.000.
Quella tra Cartesio e Pascal è un’alternativa costitutiva del pensiero
moderno, un motivo ricorrente e decisivo. Tornare ad essa, come rileva
Ciancio, è una condizione necessaria
per attraversare la crisi della filosofia
contemporanea senza smarrire le alternative fodamentali che la caratterizzano: l’esperienza della modernità
come frattura, l’autonomia della ragione, la riformulazione dell’ontologia a partire dal principio della libertà.
Qui Copp difende una forma di realismo morale naturalistico e relativistico, introducendo nuove prospettive
riguardo alla ragione ed alla scelta
razionale.
Costantino, Salvatore
Il linguaggio e la civetta:
saggio su Hegel
Abelardo, luglio 1995
pp.247, £.35.000.
In questo lavoro Costantino ha mostrato quale ruolo assume il linguaggio soprattutto nella costituzione del
diritto, dello Stato e della storia nella
filosofia hegeliano esaminando i Lineamenti della filosofia del diritto,
Le lezioni sulla filosofia della storia e
Le lezioni sulla storia della filosofia
di cui, tra l’altro, ha colto alcuni tratti
di attualità . Infatti, il pensiero politico di Hegel appare profetico in quanto gli permette di elaborare una dottrina che garantisce contemporaneamente l’autorità dello Stato e la libertà individuale mantenendo una posizione moderata-centrista.
Cioran, E.M.
La caduta del tempo
Adelfhi, agosto 1995
pp.120, £.20.000.
Si tratta di una sequenza di meditazioni che parlano dell’albero della
vita, della civiltà, dello scetticismo
della barbarie, della gloria e della
malattia. Il percorso è sempre obliquo e esamina temi inesauribili ed
elusivi, primo fra tutti nel tempo e
“quella caduta nel tempo” che costituisce la storia.
Cristofolini, Paolo
La scienza nuova di Vico:
introduzione alla lettura
Nis, luglio 1995
pp.165, £. 22.500.
La prima parte di questo testo è dedicata ad un’introduzione storica e traccia alcune linee di orientamento generale sulla “scienza della natura delle nazioni” che Vico inaugura sulla
Bibbia ed Omero come fonti della
storia delle origini. Seguono poi dei
capitoli volti ad illustrare le ideeguida dell’opera vichiana, dal “mondo fatto dagli uomini” e dalla sapienza poetica, alla provvidenza e ai ricorsi della storia umana.
Clearly, John J.
Aristotle and the Mathematics.
Aporetic Method in Cosmology
and Metaphysics
Brill, luglio-agosto 1995
FOL 260
Collingwood, R.G.
An Essay on Philosophical Method
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 240, UK £14.99
Questo saggio di metafisica cerca di
riconsiderare la nozione del metodo
filosofico, assegnando alla filosofia
il compito di “ripensare a fondo l’idea
di un oggetto che debba necessariamente soddisfare le richieste della
ragione”.
Cristofolini, Paolo
Vico et l’histoire
PUF, giugno-luglio 1995
pp. 128, F 45
Questo contemporaneo di Fontenelle
dà un’interpretazione originale del
problema dell’origine delle favole
antiche, utilizzando contemporaneamente anche la Bibbia come testochiave per ricostruire le catastrofi della
preistoria ed i poemi di Omero come
una sorta di rivista dalla quale attingere informazioni sull’umanità pagana. Il libro interesserà ad un vasto
pubblico.
Contini, Annamaria
Jean-Marie Guyan. Una filosofia
di vita e l’estetica.
Clueb, giugno 1995
pp.224, £.25.000.
Guyan, scomparso nel 1988 a trentatrè anni, riesce a influenzare Bergson
e Nietzsche con le sue riflessioni su
arte, morale ed estetica.
Cropsey, Joseph
Plato’s World. Man’s Place
in the Cosmos
Univ. of Chicago,
luglio-agosto 1995
pp. 238, $ 35
Cropsey in questo lavoro, che è frutto
di una vita di studio, esamina il rapporto cruciale tra la concezione di
Platone della natura dell’universo e la
morale di questo filosofo ed il pensiero politico.
Cooper, David
A Companion to Aesthetics
Blackwell Publishers, giugno 1995
pp. 466, UK £15.99
Questo volume copre l’intero campo
degli argomenti estetici. Le 130 voci
documentano nuove direzioni di indagine, includendo anche argomenti
tradizionali quali la catarsi ed il sublime. Passa in rassegna i concetti più
significativi, problemi, movimenti ed
autori nella filosofia dell’arte.
D’Abbiero, Marcella (a cura di)
Individuo e modernità: saggi
sulla filosofia hegeliana
Guerini, luglio 1995
pp.333, £.50.000.
Un Hegel complesso, problematico,
Copp, David
Morality, Normativity
and Society
Oxford UP, luglio-agosto 1995
pp. 272, £ 30
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la cui meditazione attraversa nel suo
evolversi contraddizioni e ripensamenti, un Hegel sorprendemente
moderno: è l’inedito ritratto delineato dagli autori di questo volume, che
si colloca all’interno di un più generale movimento teso a ristabilire, al di
là dei pregiudizi e luoghi comuni,
l’autentica fisionomia del pensiero
hegeliano.
D’Ancona Costa, Christina
Recherches sur le ‘Liber de Causis’
Vrin, luglio-agosto 1995
pp. 292, F 350
Questa raccolta di studi sul Liber de
Causis (l’adattamento rimaneggiato
degli assiomi degli Elementi di teologia di Proclo), propone diversi approcci a questo testo cruciale per le
filosofie orientali ed occidentali, a
partire dalla sua analisi strutturale,
per arrivare ad un suo commento dal
punto di vista dottrinale, passando
per le ricerche sulle sue fonti e la
storia della sua ricezione nel Medioevo. L’autore è uno specialista di
questo settore.
D’Aosta, Anselmo
Monologion
a cura di Sciuto Italo
Rusconi, luglio 1995
pp.264, £.18.000.
Si tratta di una riflessione, scritta nel
1076, sul rapporto tra ragione e religione.
D’Ippolito, Bianca Maria,
Mazzarella, Eugenio,
Piromallo, Gambardella Agata
(a cura di)
Sogno e mondo
al confine della ragione
Esi, luglio 1995
pp.226, £.33.000.
In questo libro viene effettuata un’analisi fenomenologica e uno studio sul
sogno, sull’immaginazione poetica,
sul corpo e sulla follia attraverso la
considerazione degli scritti di Husserl,
Heidegger, Binswanger, Bachelard,
Stein e Leibnitz.
Da Silva, Gérard
De l’égalité à l’équité
L’Harmattan, giugno-luglio 1995
pp. 271, F 140
Per la città, l’uguaglianza è il principio primario e necessario. Quindi si
va dal principio stabilito alla spiegazione cronologica della serie che l’ha
mediatizzato. Infine, in questo volume, viene data una definizione della
democrazia secondo il principio dell’uguaglianza: che essa sia sia istituzionale che formale e che si opponga
sia all’egualitarismo che al liberalismo. Il libro interesserà ad un vasto
pubblico.
Damasio, Antonio R.
Descartes’ Irrtum. Fühlen,
Denken und das menschliche Gehirn
List, luglio-agosto 1995
pp. 384, DM 44
Un neurologo rivoluziona la nostra
concezione della razionalità e dell’emozione. Una delle idee-base del
pensiero occidentale è la divisione
della ragione e del sentimento. Da-
NOVITÀ IN LIBRERIA
masio dimostra, tramite i sorprendenti ed innovativi risultati delle sue
ricerche, che nessuna azione razionale è possibile senza la presenza dei
sentimenti. Il che significherebbe:
sento quindi penso.
Danneberg, L. (a cura di)
Metapher und Innovation.
Die Rolle der Metapher
im Wandel von Sprache
und Wissenschaft
Haupt, luglio-agosto 1995
pp. 355, DM 60
Dannemann, R. - Jung, W.
(a cura di)
Objektive Möglichkeit.
Beiträge zu Georg Lukàcs’
’Zur Ontologie
des gesellschaftlichen Seins’.
Frank Benseler zum 65. Geburtstag
Westdt. Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 325, DM 58
Darwall, Stephen
The British Moralists
and the Internal Ought: 1640-1740
Cambridge UP, giugno 1995
£ 12.95
Questo studio sulla storia dell’etica
esamina gli inizi della filosofia britannica. Evidenzia due tradizioni distinte che si basano sulla filosofia
morale del XVII e XVIII secolo: la
tradizione empirica e naturalistica e
quella che contiene le premesse alla
teoria della volontà che si autodetermina.
De La Rochefoucauld, Francois
L’umana doppiezza
Mondadori, luglio 1995
pp.160, £.8.000.
In questo libro è contenuta la dissertazione del marchese de La Rochefoucauld, vissuto nel Seicento, sulla
vera essenza della natura umana.
De Martino, Giulio
L’illuminismo meridionale:
la tradizione filosofica del Regno
di Napoli tra ‘600 e’700: disegno
storico e scelta dei testi
Liguori, luglio 1995
pp.256, £.25.000.
Il testo ricostruisce l’intero tracciato
delle vicende del pensiero riformatore nel Regno di Napoli e in quello di
Sicilia con un serrato parallelismo tra
gli eventi storici e gli sviluppi ideali e
filosofici. Mette in risalto la figura e
l’opera di Vico, Giannone, Genovesi,
Ferdinando Galiani, Filangieri, Pagano e di tanti altri protagonisti di una
vigorosa tradizione di pensiero di cui,
nel ‘900, a partire dagli studi di Benedetto Croce e Fausto Nicolini, si è
riusciti a stabilire il giusto valore.
De Monticelli, Roberta
L’ascesi filosofica. Studi
sul temperamento platonico
Feltrinelli, giugno 1995
pp.272, £.35.000.
Etica, estetica e psicologia secondo i
criteri platonici attuabili anche oggi.
De Vitiis, Pietro
Il problema religioso in Heidegger
Bulzoni, giugno 1995
pp.161, £.22.OOO.
De Vitiis rintraccia nell’opera heideggeriana la sua concezione religiosa che, contrapponendosi all’ontoteologia si definisce come “manifestativa” in quanto si apre al mistero
dell’essere al di là delle elaborazioni
concettuali.
mente elusivi. Il testo esplora quanto
del suo pensiero possa essere ritrovato nel lavoro di Frege e discute di
etica in un modo che riflette l’influenza di Wittgenstein.
Dolnikowski, Edith Wilks
Thomas Bradwardine’s View
of Time. A Study
of the Interrelationship
of Natural Philosophy and Theology
in the Fourteenth Century
Brill, giugno 1995
pp. 350, FOL 185
Del Prete, A. - Gajano, A.
Bouchilloux, H. - Ledu-Fayette, D.
Jacquet, C. - Guéry, F.
XVIIe siècle, Mersenne, Descartes,
Pascal, Spinoza, Leibniz
PUF, agosto 1995
pp. 144, F 125
Si tratta di una raccolta di articoli di
questi autori su cinque grandi pensatori del XVII secolo.
Döring, E. - Döring, W.
(a cura di)
Philosophie der Demokratie
bei Kant und Popper.
Zum Verhältnis von Freiheit
und Verantwortung
Akademie Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 288, DM 48
Vengono presentati Kant e Popper,
due noti filosofi della libertà e della
società aperta, due testimoni fondamentali della democrazia liberale, di
cui vengono presentati i fondamenti
filosofici rispetto alla democrazia, la
libertà e la responsabilità.
Deleuze, Gilles
Critica e clinica. Scrittura
e delirio
alle frontiere del linguaggio
Anabasi, agosto 1995
pp.120, £.20.000.
Spaziando dalla letteratura all’arte,
dal cinema alla filosofia, il filosofo
francese traccia alcuni percorsi alla
ricerca di nuove possibilità linguistiche, sulle frontiere dell’espressione e
del pensiero.
Dowek, Gilles
La logique
Flammarion, giugno-luglio 1995
pp. 128, F 39
Una prima parte del libro è consacrata al ragionamento, la seconda pone il
problema del posto della logica in
seno alle nostre conoscenze. Il libro è
indirizzato al grande pubblico.
Desmond, William
Being and the between
State Univ. of New York,
luglio-agosto 1995
pp. 576, $ 25
Questo libro rappresenta il vertice di
una metafisica sistematica scritta da
un filosofo di livello mondiale, nel
quale si dimostra il bisogno di un
rinnovamento della metafisica.
Dupre, John
The Disorder of Things:
Metaphysical Foundations
of the Disunity of Science
Harvard UP, giugno 1995
pp. 320, UK £14.25
Questo testo attacca sistematicamente l’ideale dell’unità scientifica del
XX secolo, dimostrando come i suoi
principi di base si scontrino con le
conclusioni fondamentali della scienza stessa. Al posto dell’unità scientifica, propone una metafisica molto
più consona a ciò che del mondo
viene rivelato all’osservatore da parte della scienza
Despoix, Philippe
Ethique du désenchantement:
essais sur la modernité allemande
au début du siècle
pref. di Jacques Le Rider
L’Harmattan, giugno-luglio 1995
pp. 215, F 120
Partendo dai lavori di Max Weber,
Gustav Landauer, Leo Popper, György Lukacs e Siegfried Kracauer, l’opera evidenzia la tipologia dei rapporti
che intercorrevano tra gli ambiti dell’etica e dell’estetica nei primi dibattiti sulla modernità tedesca. Il libro
interesserà ad un vasto pubblico.
Dzielska, Maria
Hypatia of Alexandria
Harvard UP, giugno 1995
pp. 176, UK £23.95
Questo libro indaga e riesamina la
leggenda di Ipatia di Alessandria matematico, neoplatonico, donna di
rinomata bellezza che fu brutalmente
trucidata da una folla di Cristiani nel
415 - per fornire nuove prospettive
sulla sua vita e la sua morte.
Detzer, K.
Wer verantwortet
den industriellen Fortschritt?
Springer, giugno 1995
pp. 300, DM 78
Ad una presentazione dei rischi della
tecnica, facendo riferimento alla problematica del clima, segue un’esposizione relativa ai codici di comportamento, alla tecnica come oggetto di
responsalità, ma anche alla scienza
come luogo di creazione di valori.
Eckart, Meister
La via del distacco
Mondadori, luglio 1995
pp.160, £.8.000.
Questo libro contiene una raccolta di
racconti, detti e aneddoti legati alla
figura del mistico medievale tedesco
vissuto a cavallo tra il Milleduecento
e il Milletrecento.
Diamond, Corab
The Realistic Spirit:
Wittgenstein, Philosophy,
and the Mind
A Bradford Book, giugno 1995
pp. 408, UK £14.95
Questo studio spiega gli scritti tardi
di Wittgenstein, che sono notoria-
85
Eggensperger, Th. - Engel, U.
(a cura di)
Wahrheit, Recherchen zwischen
Hochscholastik und Postmoderne
Matthias-Grünewald-Vlg.
giugno 1995
pp. 268, DM 52
Esfeld, Michael
Mechanismus und Subjektivität
in der Philosophie von Thomas
Hobbes
Frommann-Holzboog, giugno 1995
pp. 420, DM 148
Esser, A. (a cura di)
Autonomie der Kunst?
Zur Aktualität von Kants Ästhetik
Akademie-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 130, DM 29,80
Nell’attuale discussione viene sempre
indicata la Critica del giudizio di Kant,
in quanto fondamento del giudizio estetico. I contributi raccolti in questo volume, mostrano prospettive differenti riguardo all’estetica kantiana.
Ferguson, Harvey
Destino della felicità
Ecig, giugno 1995
pp.320, £.34.000.
Viene trattata la felicità nel mondo
occidentale, nella psicologia e nell’esperienza mistica.
Ferrari, Franco
Dio, idee e materia: la struttura
del cosmo in Plutarco di Cheronea
presentazione di Pierluigi Donini,
Mario Vegetti
D’Auria, giugno 1995
pp.318, £.60.000.
In questo libro Ferrari prende in considerazione il rapporto etica-ontologia e la struttura del sapere filosofico
secondo Plutarco. Particolare attenzione viene da lui dedicata all’esame
della teoria dei principi tra ontologia
e cosmologia, dell’ordinamento matematico come «mediazione cosmica» e del piano eidetico-divino nella
prospettiva filosofica plutarchiana.
Ferrarini, Marisa
Libertinismo
Bibliografica, agosto 1995
pp.93, £.9.000.
In questo libro viene analizzato il
libertinismo con particolare attenzione al suo contesto storico-culturale,
alla sua affermazione e al suo sviluppo, ai suoi protagonisti e alla sua
eredità.
Ferretti, Giovanni (a cura di)
Filosofia ed esperienza religiosa:
a partire da Luigi Pareyson
Giardini, maggio 1995
pp.188, £.36.000.
Il libro raccoglie gli Atti del convegno di filosofia ed esperienza religiosa tenutosi dal 7 al 9 ottobre del 1993
all’Università di Macerata. In esso
viene delineata la concezione filosofica di Pareyson con particolare attenzione al passaggio dalla iniziale
ermeneutica religiosa alla successiva
ontologia della libertà, concezione
che è maturata attraverso il rapporto con quattro pensatori: Pascal,
Schelling, Kierkegaard e Dostoevskij.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Ficthe, Johann Gottlieb
Dottrina della scienza.
Esposizione del 1807
a cura di Rametta Gaetano
Guerini, giugno 1995
pp.207, £.35.000.
Le lezioni di filosofia fondamentale
tenute da Fichte a Koenisberg nel
1807 costituiscono la più compiuta
esposizione di quella dottrina della
scienza che il filosofo tedesco era
andato elaborando negli anni precedenti, dopo un periodo di silenziosa
concentrazione e di intensa riflessione. Una confutazione ante litteram
dell’idealismo e dell’empirismo.
Finch, H.L.
The Vision of Wittgenstein
Element Books Ltd, giugno 1995
pp. 160, UK £4.99
Si tratta di uno studio sull’importanza universale, spirituale, culturale ed
a lungo termine di Wittgenstein. Prendendo spunto liberamente dagli scritti del filosofo, il libro riesce a dimostrare quali furono le sue posizioni,
l’impatto del suo lavoro sul mondo di
oggi e la sua probabile importanza
per il secolo a venire.
Fischer, P. (a cura di)
Freiheit oder Gerechtigkeit.
Perspektiven Politischer
Philosophie
Reclam, giugno 1995
pp. 250, DM 22
Fitzgibbons, Athol
Adam Smith’s System of Liberty,
Wealth, and Virtue. The Moral
and Political Foundations
of ‘The Wealth of Nations’
Clarendon Pr., luglio-agosto 1995
pp. 224, £ 25
Questo libro esamina l’influenza della filosofia di Adam Smith sulle sue
teorie economiche, soffermandosi
sulle parti spesso trascurate degli scritti di Smith, allo scopo di mostrare che
le teorie politiche ed economiche erano una conseguenza logica del suo
pensiero morale.
Flashar, H. (a cura di)
Die Philosophie der Antike
vol. IV: Die Hellenistische
Philosphie
Schwabe & Co., luglio-agosto 1995
pp. 1272, DM 348
Questo quarto volume in due tomi
raccoglie i seguenti contributi:
“Epicuro”, “La scuola di Epicuro”,
“Lucrezio” di Michael Erler; “La
Stoa” di Peter Steinmetz; “Il vecchio
pirroismo”, “La nuova accademia”,
“Antioco di Ascalona” di Woldemar
Görler; “Cicerone” di Günter Gawlick e Woldemar Görler.
Flotow, Paschen von
Die Doppelrolle des Geldes.
Georg Simmels Philosophie
des Geldes
Suhrkamp, luglio-agosto 1995
pp. 200, DM 18,80
Fontana, Biancamaria
Benjamin Constant
e il pensiero postrivoluzionario
Baldini, agosto 1995
pp.224, £.40.000.
Si tratta di uno studio sulla vita e sul
pensiero di Constant, storico e filosofo svizzero dell’800. Mostra le analogie della sua dottrina con le moderne
strutture degli stati democratici.
ni teoriche della disciplina, sia pur
entro una cornice non unitaria in cui
convivono percorsi e metodi diversi.
Dalla querelle sugli antichi e i moderni, passando per le dispute sul bello,
sul genio e sul gusto, l’estetica si
afferma e conquista un suo spazio.
Franchini, Raffaello, 1920-1990
La teoria della storia
di Benedetto Croce
a cura di Renata Viti Cavaliere
Edizioni scientifiche italiane
giugno 1995
pp.225, £.34.000.
Nei dieci capitoli del volume, che si
presentano come una serie di agili e
limpide monografie scritte con particolare aderenza ai testi, il nucleo problematico del pensiero di Croce viene
criticamente vagliato in una esposizione assai perspicua e nell’ottica di
una personale prosecuzione teorica.
Temi centrali sono; la storia ridotta
sotto il concetto generale dell’arte,
l’unità logica di filosofia e storiografia, la contemporaneità della storia e
il circolo di pensiero ed azione.
Freudenthal, Gad
Aristotle’s Theory
of Material Substance:
Heat and Pneuma, Form and Soul
Clarendon Press, giugno 1995
pp. 256, UK £27.50
Si tratta di un saggio originale su una
delle dottrine centrali di Aristotele, la
sua teoria della sostanza materiale.
Alla base di questo studio vi e un’accurata riflessione sugli scritti di Aristotele, attraverso la quale l’autore
arriva a sostenere che il calore vitale
è una parte centrale, sebbene finora
ignorata, del suo pensiero.
Fumagalli, Armando
Il reale nel linguaggio
Indicalità e realismo
nella semiotica di Peirce
Vita e pensiero, 1995
pp.395, £.64.000.
L’intento del volume è duplice: anzitutto ricostruire in modo rigoroso il
percorso dell’ampio e articolato complesso teorico peirceano sul quale si
innesta la semiotica e senza la quale si
rischia di non cogliere appieno la
portata e il significato di alcune nozioni: in secondo luogo indagare nel
dettaglio le articolazioni interne della
semiotica e mettere a fuoco la tematica dell’indicalità, che è stata assai
ricca di sviluppi in Morris, Jakobson,
Benveniste e molti altri autori, ma
che finora era rimasta in secondo piano negli studi peirceani.
Frank, Daniel - Herztberg, Arthur
Judah Halevi
Peter Halban, giugno 1995
pp. 176, UK £7.99
Judah Halevi (1075 ca.-1141), filosofo e poeta spagnolo fu una delle figure ebraiche eminenti, all’interno del
mondo medioevale mediterraneo.
Franzini Elio, Zecchi Stefano
(a cura di)
Storia dell’estetica. Vol. 1
Dai presocratici a Hegel
Antologia di testi
Mulino, luglio 1995
pp.520, £.48.000.
Si tratta di un’antologia di testi che
copre il periodo che va dalla classicità al primo Ottocento e a Hegel. Ogni
parte è preceduta da una breve introduzione che riguarda, nelle sue linee
teoriche e storico-filosofiche, sia il
periodo che gli autori esaminati. Privilegia i grandi autori che hanno segnato le tappe della riflessione filosofica sull’estetica.
Furnari Luvarà, Giusi
La logica del preferibile:
Chaïm Perelman e la nuova retorica
Soveria Mannelli, giugno 1995
pp.244, £.20.000.
In questo libro viene sottolineato come
le forme dell’argomentazione retorica raccolgano i luoghi dell’ “agire
politico” ma più a fondo portino con
sè un significato esistenziale che si dà
come scelta etica, scelta di un ordine
di preferibilità dei valori che impone
la tolleranza e il rispetto assoluto dell’alterità.
Franzini Elio, Zecchi Stefano
(a cura di)
Storia dell’esterica. Vol 2.
Dai post-hegeliani
al decostruzionismo
Antologia di testi
Mulino, luglio 1995
pp.484, £.48.000.
Si tratta di un’antologia di testi che
parte dall’estetica post-hegeliana per
arrivare al decostruzionismo moderno. Ogni parte è preceduta da una
breve introduzione che riguarda, nelle sue linee teoriche e storico-filosofiche, sia il periodo che gli autori
esaminati. Privilegia i grandi autori
che hanno segnato le tappe della riflessione filosofica sull’estetica.
Gabel, Gernot U.
Husserl. Ein Verzeichnis
der Hochschulschriften
aus europäischen
und nord-amerikanischen
Ländern 1912-1990
Ed. Gemini, giugno 1995
pp. 60, DM 20
Galeazzi, Giancarlo ( a cura di)
Crisi morale e bene comune
in Italia
interventi di Enrico Berti et al.
Massimo, giugno 1995
pp.144, £.18.000.
Il volume raccoglie le relazioni del
Convegno su «Crisi morale e bene
comune in Italia», organizzato dall’Istituto italiano «Jacques Maritain»
nel 1993 presso il Centro «San Do-
Franzini, Elio
L’estetica del Settecento
Mulino, luglio 1995
pp.180, £.15.000.
Il Settecento è un secolo cruciale per
la storia dell’estetica moderna. Sono
di questo secolo le prime elaborazio-
86
menico» di Bologna. Filosofi, storici,
sociologi e politici analizzano l’attuale crisi morale e le responsabilità
culturali, religiose e politiche che
hanno determinato l’attuale situazione e individuano nel «bene comune»
l’ideale storico-concreto per ricostruire ciò che è stato distrutto, prospettando modi e fini per orientare l’azione di ricostruzione.
Galileo, Galilei
Dialogo sui massimi sistemi
a cura di Guerneri Gian Luca
Guaraldi, giugno 1995
pp.544, £.18.000.
Un confronto cruciale tra il sistema
cosmologico aristotelico-tolemaico e
il paradigma della Nuova Scienza.
Gaskin, Richard
The Sea Battle and
the Master Argument.
Aristotle and Diodorus Cronus
on the Metaphysics of Future
de Gruyter, giugno 1995
pp. 406, DM 230
Si tratta di un saggio critico su Aristotele ed il logico megariano Diodoro
Crono (300 a. C. ca.), relativo al problema della contingenza e della verità
futura.
Gaudenzi, Giuseppe
Evoluzionismo
Bibliografica, agosto 1995
pp.93, £.9.000.
In questo libro viene esaminato l’evoluzionismo con particolare attenzione al suo contesto storico-culturale,
alla sua nascita e al suo sviluppo, ai
suoi protagonisti e alla sua eredità.
Gaudin, Claude
Platone e l’alfabeto
a cura di Ronchi Ronco,
traduzione di Tassinari Maria
Egea, agosto 1995
pp.318, £.40.000.
Viene analizzato il pensiero platonico relativo alla concezione dell’alfabeto sotto diversi aspetti: storico, pedagogico e filosofico. Mette, inoltre,
in luce sia l’importanza filosofica del
principio di giustezza ortografica e
ortofonica. Tale riflessione conduce
al nucleo centrale della filosofia platonica: la dialettica.
Gaukroger, Stephen
Descartes
An Intellectual Biography
Oxford UP, giugno 1995
pp. 608, £ 25
Gaukroger, un’importante autorità per
quanto riguarda Cartesio, traccia il
suo sviluppo intellettuale, partendo
dall’infanzia, mostrando i collegamenti tra la sua vita intellettuale e
personale e situando questi a loro
volta all’interno del contesto culturale dell’Europa del diciassettesimo
secolo.
Georgopoulos, N. - Heim, M.
Being Human in the Ultimate.
Studies in the
Thought of John M. Anderson
Rodopi, luglio-agosto 1995
pp. 346, FOL 150
Per John M. Anderson la filosofia,
NOVITÀ IN LIBRERIA
come l’amore per la saggezza, è una
preoccupazione per ciò che è definitivo e supremo. I saggi di questo
volume colgono perfettamente questo modo di considerare la filosofia e
sono quindi risposte a ciò che è supremo.
Geras, Norman
Solidarity in the Conversation
of Humankind: The Ungroundable
Liberalism of Richard Rorty
Verso, giugno 1995
pp. 240, UK £13.95
Con l’aiuto dell’opera di Richard
Rorty - un sostenitore del liberalismo
radicale umano - questo studio analizza i paradossi di una filosofia che
respinge qualsiasi precisa visione
della natura umana. Il libro si occupa
di questioni importanti per la filosofia etica.
Giannantoni Gabriele (a cura di)
La tradizione socratica:
seminario di studi
Seminario di studi, luglio 1995
pp.158, £.35.000.
In questo libro viene esaminata la
tradizione socratica da vari autori
mostrando il suo influsso nella filosofia; nella tradizione accademica-scettica, nella filosofia esoterica di Platone ed anche nella filosofia heideggeriana.
Giddens, Anthony
Politics, Sociology
and Social Theory:
Encounters with Classical
and Contemporary Social Thought
Polity Press, giugno 1995
pp.280, UK £12.95
Questo volume, costituito da una serie di confronti critici con figure di
rilievo del pensiero sociale e politico
sia classico che dei giorni nostri, offre
non solo una critica delle principali
tradizioni dell’analisi sociale e politica, ma anche prospettive riguardanti
le idee sviluppate dall’autore.
Gily Reda, Clementina
L’antropologia filosofica di
Remo Cantoni: i miti
come arabeschi
Fondazione Ugo Spirito,
giugno 1995
pp.326, £.35.000.
Gily Reda in questo testo esamina
l’antropologia, la mitologia, la morale nella prospettiva filosofica di Cantoni attraverso il dialogo con altri
pensatori come Hartmann, Dostoevskij, Kierkegaard, Nietzsche, Kafka,
Marx e Spirito.
Giordano, Bruno
De rerum principiis: una riforma
della magia
a cura di Nicoletta Tirinnanzi
prefazione di Michele Ciliberto
Procaccini, luglio 1995
pp.170, £.10.OOO.
Viene presentata l’opera di Bruno
sulla magia caratterizzata tra le altre
cose dall’analisi dei principi della luce
e delle tenebre che dominano sui segni e sui singoli pianeti.
Giorello, Giulio e Sindoni, Elio
L’uomo, i limiti e le speranze.
Una rotta verso il Terzo Millennio
Piemme, giugno 1995
Un ponte gettato tra passato e futuro,
una storia che ha come protagonista
l’uomo che si affaccia al terzo millennio come un essere “nuovo” ma che,
per il suo “amore” e per i suoi “odi”
non è poi molto diverso da quello che
ha costruito le piramidi o per primo
ha varcato le colonne d’Ercole.
Girard, Louis
L’Argument ontologique
chez Saint Anselme et chez Hegel
Editions Rodopi, luglio-agosto 1995
pp. 666, FOL 200
Nietzsche e Sartre si sono realmente
preoccupati della possibilità di autenticità. In questo studio, analizzando
l’etica di questi filosofi, Jacob Golomb esamina attentamente la loro
letteratura ed i loro scritti.
spettiva in cui non viene accettata
nessuna idea permanente del Sé. Viene invece sviluppata l’idea dei processi mentali potenti e mutevoli. Il
testo approfondice argomenti relativi
all’insegnamento del non-Sé.
Goodman, E. Lenn
L’Universo di Avicenna
Ecig, giugno 1995
pp.288, £.30.000.
Si tratta di uno studio sull’opera del
filosofo arabo Ibn Sinn, noto in Europa come Avicenna.
Hauptli, Bruce W.
The Reasonableness of Reason:
Explaining Rationality
Naturalistically
Open Court, giugno 1995
pp. 280, UK £16.95
Questo testo dibatte la domanda:”la
fiducia nella ragione richiede un’irragionevole fede nella ragione?” I fideisti (sostenitori della fede) affermano che ci sono credenze, convinzioni ed impegni che sono necessariamente al di là della ragione.
Gordon, Haim - Gordon, Rivca
Sartre and Evil: Guidelines
for a Struggle
Greenwood Press, giugno 1995
pp. 256, UK £53.95
Sartre può parlare del male - delle sue
origini, degli effetti sull’uomo moderno e del modo di combatterlo - in
maniera più completa di qualsiasi filosofo del XX secolo. Gli autori di
questo libro esaminano le opere letterarie e filosofiche di Sartre, allo scopo di analizzare che cosa hanno da
dire sulla natura del male e sui suoi
effetti sulla nostra vita.
Girgenti, Giuseppe
Giustino Martire:
il primo cristiano platonico
con in appendice Atti
del martirio di San Giustino
presentazione
di Claudio Moreschini
Vita e pensiero, luglio, 1995
pp.174, £.18.000.
Girgenti ripercorre le diverse interpretazioni della figura di Giustino,
filosofo e martire, avanzando la sua
nuova proposta: «l’identificazione
Logos/Cristo fa del cristianesimo non
una filosofia ma la Sophia cioè la
Verità stessa». La presenza del Logos
di Dio in tutti gli uomini rende questi
ultimi «filosofi», in quanto ricercano
la sapienza, mentre Dio nella persona
storica del Cristo, è la Sapienza in sè.
Griffero, Tonino
Senso ed immagine: simbolo e mito
nel primo Schelling
Guerini Scientifica, luglio 1995
pp.356, £.38.000.
Griffero esamina la nuova concezione del simbolo nel primo Schelling
mostrando il suo tentativo di comprendere il carattere mitopoietico di
ogni processo della realtà. L’autore
valuta anche la portata euristica di
questa nuova concezione del simbolo
nelle tre fasi della giovanile filosofia
della mitologia di Schelling.
Giuntini, Claudia
La chimica della mente:
associazione delle idee e scienza
della scienza umana da Locke
a Spencer
Università degli studi, Fondo
di studi Parini-Chirio, giugno 1995
pp.377, £.55.000.
In questo testo si profila una lettura
delle dottrine lockiane che si presta a
sostenere prima le istanze teologiche
del determinismo di Hartley e Priestley, poi i progetti di riforma dei radicali benthamiani, infine la visione
spenceriana dei rapporti tra l’articolazione dei processi psicofisici e le
leggi evolutive della natura. Inoltre, il
libro riporta alla luce un’interpretazione alternativa della psicologia dell’associazione, che rifiuta l’ottimismo programmatico e le tentazioni
metafisiche degli “alchimisti della
mente”.
Grossklaus, Götz
Medien-Zeit, Medien-Raum.
Zum Wandel der raumzeitlichen
Wahrnehmung in der Moderne
Suhrkamp, luglio-agosto 1995
DM 19,80
Hammacher, Kl. - Schottkj, R.
Schrader, W.H. (a cura di)
Subjektivität
Editions Rodopi, luglio-agosto 1995
pp. 263, FOL 75
I curatori pubblicano questo volume
per conto della Johann-GottliebFichte-Gesellschaft.
Harris, H. Sir (a cura di)
Identity
Clarendon Pr., giugno 1995
pp. 165, £ 17
Illibro contiene articoli e contributi di
sei famosi studiosi. Viene esaminato
il tema centrale, filosofico, dell’identità, dai punti di vista di altre discipline accademiche, che vanno dalla politica, alla letteratura, alla biologia.
Gloy, Karen
Bibliographie zu Hegels
’Enzyklopädie der philosphischen
Wissenschaften im Grundrisse’.
Primär und Sekundärliteratur
1817-1994
Frommann-Holzboog
luglio-agosto 1995
pp. 123, DM 68
Harvey, Peter
The Selfless Mind: Personality,
Consciousness and Nirvana
in early Buddhism
Curzon Press, giugno 1995
pp. 260, UK £12.99
Quest’analisi del primo pensiero buddista prende in considerazione la pro-
Golomb, Jacob
In Search of Authenticity:
Existentialism from Kierkegaard
to Camus
Routledge, giugno 1995
pp. 224, UK £12.99
Grandi filosofi come Kierkegaard,
87
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Fenomenologia dello spirito
(Testi a fronte)
Rusconi, luglio 1995
pp.1150, £.33.000.
E’ il primo volume del “Sistema della
scienza” di Hegel. Viene trattato il
sapere nel suo divenire, cioè le varie
tappe dell’autodispiegamento dialettico dello Spirito della Storia.
Heimsoeth, Heinz
The six Great Themes of Western
Metaphysics and the End
of the Middle Ages
Wayne State Univ., giugno 1995
pp. 320, UK £16.95
Questo testo passa in rassegna ed
analizza l’evoluzione di circa 2500
anni di riflessioni all’interno della
cultura occidentale riguardo sei problemi fondamentali della metafisica:
Dio ed il mondo; l’infinito ed il finito;
l’anima ed il mondo esterno; l’essere
e la vita; l’individuo; l’intelletto e la
volontà.
Held, George F.
Aristotele’s Teleological
Theory of Tragedy and Epic
Winter, luglio-agosto 1995
pp. 159, DM 48
Hereth, Michael
Montesquieu zur Einführung
Junius, giugno 1995
pp. 200, DM 24,80
Heydrich, Wolfgang
Relevanzlogik
und Situationssemantik
de Gruyter, giugno 1995
pp. 328, DM 218
Si tratta della presentazione di una
nuova teoria dei significati delle lingue naturali, che si esprime anche nel
tentativo di gettare un ponte tra le
teorie del significato riguardanti la
referenza (quelle logiche e della filosofia della lingua) e quelle legate alla
rappresentazione (linguistiche e psicologiche).
Höffe, O. (a cura di)
Aristoteles: Die Nikomachische
Ethik
Akademie Vlg., giugno 1995
pp. 250, DM 29,80
I tredici contributi raccolti in questo
NOVITÀ IN LIBRERIA
volume presentano sia le basi dell’indagine aristotelica che lo scenario
moderno che caratterizza la ricezione
dei fondamenti di Aristotele.
pp. 324, UK £45
In questo libro, Lord Henry Home di
Kames non dice ai suoi lettori che
cosa pensare, ma come pensare.
Hoffmann, T.S. - Majetschak, St.
(a cura di)
Denken der Individualität.
Festschrift für Josef Simon
zum 65. Geburtstag
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 421, DM 238
Vengono qui raccolti degli studi riguardo al problema dell’identità nella soggettività e nell’essere, nella natura e nell’arte.
Home, Henry
Sketches of the History of Man
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 1896, UK £240
Lord Henry Home di Kames raccolse
il materiale per quest’opera in un periodo di oltre trentanni prima della
stesura della stessa e scelse le illustrazioni e gli esempi da numerose fonti.
Höfliger, Jean-Claude
Jacques Derridas Husserl-Lektüren
Königshausen & Neumann
giugno 1995
pp. 176, DM 38
Lo scopo principale di questo studio
- che costituisce anche la tesi di laurea, tenuta da Höfliger presso l’università di Zurigo nel ’94 - è di stabilire
quale fu la prospettiva di lettura che
portò, negli anni ’60, al contrasto ed
allo scontro tra Jacques Derrida e la
fenomenologia di Edmund Husserl.
Hogrebe, W. (a cura di)
Fichtes Wissenschaftslehre 1794.
Philosophische Resonanzen
Suhrkamp, luglio-agosto 1995
pp. 240, DM 19,80
Hohmann, W.L. (a cura di)
Glück. Möglichkeiten Un-Möglichkeiten. Vorträge
aus dem 5. Verlagskolloquium
1994 in Essen
Die Blaue Eule, luglio-agosto 1995
pp. 256, DM 58
Homann, Arne
Diltheys Bruch mit der Metaphysik.
Die Aufhebung der Hegelschen
Philosophie im geschichtlichen
Bewußtsein
Alber, luglio-agosto 1995
pp. 352, DM 94
Home, Henry
Essays on Several Subjects
Concerning British Antiquities
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 220, UK £30
Di questo testo, scritto durante la rivolta giacobina del 1745, David Hume
disse che «i ragionamenti sono solidi,
le congetture ingegnose ed il tutto
risulta istruttivo».
Home, Henry
Essays on the Principles
of Morality and Natural Religion
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 390, UK £50
Nato come risposta al Trattato sulla
natura umana di David Hume (17391740), questo saggio è una discussione
filosofica di una serie di problemi fondamentali per l’Illuminismo scozzese.
Il testo illustra anche l’interesse intellettuale di Lord Henry Home di Kames
per la filosofia, la legge e la cultura.
Home, Henry
Introduction to the Art of Thinking
Thoemmes Press, giugno 1995
della religione, per fornire una risposta alla domanda del perché ci compiacciamo della tragica descrizione
dell’umana sofferenza ed ai motivi
per cui un giudizio estetico può essere più valido di un altro.
Hüntelmann, Rafel
Schellings Philosophie
der Schöpfung. Zur Geschichte
des Schöpfungsbegriffs
Röll, giugno 1995
pp. 268, DM 48
Hursthouse, Rosalind
Virtues and Reasons:
Essays in Honour of Philippa Foot
Clarendon Press, giugno 1995
pp. 336, UK £30
Quest’opera è un tributo a Philippa
Foot, considerata come uno dei più
originali e rispettati filosofi degli anni
recenti. Dodici eminenti filosofi, dalle
due sponde dell’Atlantico, presentano
saggi che illustrano argomenti di filosofia morale, ai quali lei ha contribuito.
Honecker, Martin
Grundriß der Sozialethik
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 790, DM 78
Il volume fornisce una panoramica
complessiva che riguarda temi centrali di sei settori della vita: vita e
salute (Medizinische Ethik , l’etica
medica); matrimonio, famiglia e sessualità; natura e ambiente; politica e
Stato; economia; cultura e diritto.
Hooker, C.A.
Reason, Regulation, and Realism.
Toward a Regulatory Systems
Theory of Reason and Evolutionary
Epistemology
State Univ. of New York Pr.,
luglio-agosto 1995
pp. 433, $ 25
Utilizzando una sintesi di filosofia e
nuove scienze dei sistemi di adattamento complesso, Hooker dimostra
come la ragione umana ed il sapere
umano siano parte dei sistemi della
natura.
Irigaray, Luce
L’oblio dell’aria
a cura di Resta Caterina
Boringhieri, luglio 1995
pp. 176, £.20.000.
Questo libro è dedicato a Heidegger e
ripropone alcune tematiche care all’autrice, come i rischi dell’autodistruzione di un mondo sempre più
tecnologico e indifferente alle voci
della natura.
Jamme, Ch.
Weisser-Lohmann, E.
(a cura di)
Politik und Geschichte.
Zu den Intentionen von G.W.F.
Hegels Reformbill-Schrift
Bouvier, giugno 1995
pp. 320, DM 120
Questa raccolta documenta i contributi da parte degli storici e dei filosofi
intervenuti ad un colloquium internazionale, tenutosi presso la Ruhr-Universität di Bochum dal 30 settembre
al 2 ottobre del ’92.
Horn, Christoph
Plotin über Sein, Zahl und Einheit.
Eine Studie zu den systematischen
Grundlagen der ‘Enneaden’
Teubner, giugno 1995
pp. 350, DM 110
Hubbert, Joachim
Untersuchungen
zur philosophischen Ästhethik
vol. I: Kunst als Lehre
vom ‘Begriff’ und von der
’Neuen Unmittelbarkeit’
Brockmeyer, giugno 1995
pp. 128, DM 29,80
Janssen, Paul et. al.
Philosophie der UnVerbindlichkeit.
Einführungen in ein
ausstehendes Denken
Könighausen & Neumann
giugno 1995
pp. 240, DM 48
Nessuna teoria della filosofia è riuscita ad affermare la sua validità a
livello generale. Quindi vale la pena
di porre un’altra volta e diversamente
la domanda su ciò che la particolarità
del filosofare ed il carattere vincolante dell’affermazione filosofica potrebbero costituire. I contributi a questo
volume possono essere situati in questa fase di crisi della filosofia.
Hubbert, Joachim
Untersuchungen z
ur philosophischen Ästhethik
vol. II: Kunst in der ‘Perspektive’
und ohne ‘Leitbild’
Brockmeyer, giugno 1995
pp. 149, DM 29,80
Hubig, Christoph
Technik- und Wissenschaftsethik.
Ein Leitfaden
Springer, luglio-agosto 1995
pp. 200, DM 58
Si tratta della seconda edizione di
questo libro.
Jaspers, Karl
La filosofia dell’esistenza
a cura di Penzo Giorgio
traduzione di Kirch Ursula
La Terza, agosto 1995
pp.144, £.16.000.
Filosofo dell’esistenza e psicologo,
l’autore affronta concetti come ragione, verità, realtà, democrazia, politica.
Hume, David
Four Dissertations
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 258, UK £14.99
In questo volume Hume usa teorie già
sviluppate nel suo Trattato sulla natura umana per spiegare l’origine
88
Kamm, F.M.
Morality, Mortality:
Rights, Duties and Value
vol. 2
Oxford UP Inc, giugno 1995
pp. 352, UK £37.50
Con questo secondo volume, l’autrice continua lo sviluppo di una teoria
etica non consequenzialista e delle
sue applicazioni ai problemi etici pratici. La Kamm esamina la distinzione
tra ammazzare e lasciare morire, i
concetti dei diritti, delle prerogative e
della super-erogazione.
Kant Immanuel
Critica della ragion pura
a cura di Chiodi Pietro
Tea, luglio 1995
pp.706, £.28.000.
Kant, Immanuel
Critica della ragion pura
traduzione di Giorgio Colli
Adelphi, agosto 1995
pp.910, £.30.000.
Viene presentata l’opera fondatrice
del pensiero moderno.
Kimmerle, H. (a cura di)
Poesie und Philosophie
in einer tragischen Kultur.
Texte eines Hölderlin-Symposium
mit einem Bildteil
Königshausen & Neumann
luglio-agosto 1995
pp. 144, DM 48
Kirkham, Richard L.
Theories of Truth: A Critical
Introduction
A Bradford Book, giugno 1995
pp. 416, UK £14.95
Questo studio passa in rassegna le
maggiori teorie filosofiche della verità. Il testo comprende discussioni di
teorie quali le teorie delle corrispondenza, della coerenza, pragmatiche,
semantiche, esecutive, della ridondanza, della valutazione e della verità
come giustificazione.
Kiss, Endre
Studien zur österreichischen
Philosophie
Junghans, luglio-agosto 1995
pp. 300, DM 48
Koncsik, Imre
Die Gottesfrage
aus anthropologischer Perspektive.
Versuch einer Philosophie
des Selbstseins
Tectum-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 116, DM 29,80
Kornwachs, Kl. - Jacoby, K.
(a cura di)
Information. New Questions
to a Multidisciplinary Concept
Akademie-Vlg., giugno 1995
pp. 32O, DM 120
Questo volume è basato sugli interventi tenuti alla conferenza di Cottbus (marzo ’94), riguardanti gli aspetti
multidisciplinari della teoria dell’informazione. Gli aspetti teoretici, fisici, biologici, filosofici, linguistici e
sociologici vengono analizzati, per
giungere ad un’estesa comprensione
dell’informazione, considerata come
NOVITÀ IN LIBRERIA
un concetto fondamentale per la nostra epoca.
stioni: la fondazione della morale e la
libertà della volontà.
Krüger, L. - Falkenburg, B.
(a cura di)
Physik, Philosophie und die Einheit
der Wissenschaften
Spektrum, luglio-agosto 1995
pp. 300, DM 78
I numerosi contributi di diversi autori, alcuni scritti in lingua inglese, qui
raccolti offrono un’immagine ricca
di sfaccettature, una rappresentazione controversa dell’origine, delle possibilità e dei limiti di un’unità della
conoscenza della natura. Questi sono
alcuni temi trattati: l’unità nel pensiero, la fisica del tempo e dello spazio,
la cosmologia e la storia della natura,
il sapere nella teoria e nella storia.
Lauriola, Giovanni (a cura di)
Antropologia ed etica politica
Centro studi personalisti
Giovanni Duns Scoto, luglio 1995
pp.273, £.40.OOO.
Il tema così ampio e complesso del III
Convegno Internazionale, organizzato dal Centro Studi Personalisti “Duns
Scoto” dal titolo Antropologia ed Etica Politica, è stato trattato da diversa
angolatura scientifica e filosofica, per
assicurare, attraverso la vasta gamma
di interventi, una presentazione più
ampia e profonda possibile dell’argomento.
Kühn, Rolf
Sinn - Sein - Sollen.
Beiträge zu einer
phänomenologischen
Existenzanalyse
in Auseinandersetzung
mir dem Denken Viktor E. Frankls
Junghans, luglio-agosto 1995
pp. 222, DM 55
Si tratta della terza edizione di questo
libro
Kuokkanen, M. (a cura di)
Idealization VII: Structuralism,
Idealization and Approximation
Rodopi, giugno 1995
FOL 170
Il volume tratta dei seguenti argomenti: l’idealizzazione, l’approssimazione e counterfactual (frasi condizionali, in cui la prima proposizione è
al congiuntivo paiù che perfetto ed
esprime qualcosa contrario ai fatti)
nel contesto strutturalista. L’idealizzazione, l’approssimazione e la formazione della teoria. L’idealizzazione, l’approssimazione e la misurazione.
Kutschera, Franz von
Platons ‘Parmenides’
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 171, DM 48
Si tratta dell’interpretazione di uno
dei più importanti dialoghi di Platone. Il testo presenta citazioni originali
in greco.
Kymlicka, Will
Multicultural Citizenship.
A Liberal Theory of Minority Rights
Clarendon Pr., luglio-agosto 1995
pp. 280, £ 20
Tramite questo saggio critico, quest’importante filosofo della sua generazione fornisce un’indagine accurata della tematica multiculturale.
Landucci, Sergio
Sull’etica di Kant
Guerini, luglio 1995
pp.413, £.68.000.
Le opere maggiori di Kant sull’etica
vengono studiate, in questo volume,
in una prospettiva nettamente evolutiva. E’ possibile infatti, alla luce delle differenze di fondo di queste opere,
individuare una linea di sviluppo del
pensiero kantiano, che si manifesta
soprattutto relativamente a due que-
ta la difesa degli studi umanistici,
contro quei nietzschiani come Leo
Strauss e Derrida.
Liebert, Georges
Nietzsche et la musique
PUF, giugno-luglio 1995
pp. 288, F 148
Prima di consacrarsi alla filosofia,
Nietzsche componeva. Il filosofo ha
fatto dimenticare il musicista. Nonostante questo, la musica occupa un
posto estremamente importante nell’opera di Nietzsche e, per capire il
suo pensiero, è altrettanto importante
conoscere Tristano e Parsifal che
conoscere le opere di Schopenhauer,
Kant e Heidegger. Il libro sarà di
sicuro interesse per il pubblico.
Le Moigne, Jean-Louis
Les épistémologies constructives
PUF, agosto 1995
pp. 128, F 40
Poiché l’epistemologia è “lo studio
della costituzione delle conoscenze
valide”, non è forse legittimo interrogarsi sulla natura, sui metodi e sull’organizzazione di queste conoscenze? Nel momento in cui emergono
tutte le parti inter-disciplinari e transdisciplinari, questa presentazione dell’epistemologie costruttiviste propone le risposte a queste domande.
Lister, Peter
Diritto di vivere, diritto
di morire. Storia di un’eutanasia
Esi, luglio 1995
pp.100, £.15.000.
Vengono analizzate le implicazioni
morali e religiose intorno all’eutanasia: soluzione feroce e nazista o in
sintonia con la solidarietà umana.
Lister, Peter
1997: l’eutanasia in Italia:
un racconto filosofico
e politico
Edizioni scientifiche italiane,
settembre 1995
pp.100, £.15.000.
Questo racconto filosofico e politico
aiuta a riflettere immaginando che
cosa potrebbe accadere in Italia se
l’eutanasia fosse legalizzata nel prossimo futuro, diciamo nel 1997: come
suppone Lister, visto che nelle more
della stampa anche l’Australia ha legalizzato la «buona morte», mentre i
medici italiani hanno approvato un
Codice deontologico più garantista.
L’ipotesi si esprime in un vero caso
poliziesco. Non si può dire come va a
finire. Servirà al lettore solo a pensare
meglio e di più l’eutanasia e la bioetica.
Lenk, Hans
Interpretation und Realität.
Vorlesungen über Realismus
in der Philosophie
der Interpretationskonstrukte
Suhrkamp, giugno 1995
pp. 268, DM 19,80
Lecaldano, Eugenio
Etica
Utet libreria, agosto 1995
pp.247, £.28.000.
Il libro si propone di offrire un quadro
sistematico delle principali concezioni filosofiche che oggi operano sulla
natura dei problemi morali, sui modi
di discutere e ragionare intorno ad essi
e sui princìpi validi per risolverli. Questa ricostruzione viene raccordata con
un esame dell’eredità della filosofia
morale dal XVII secolo a oggi. Infine
l’esposizione propone una valutazione critica delle teorie discusse.
Llewelyn, John
Emmanuel Levinas:
The Genealogy of Ethics
Routledge, giugno 1995
pp. 248, UK £12.99
Si tratta di uno studio del’opera di
Levinas. Ripercorrendo la sua opera
filosofica in ordine più o meno cronologico, il libro mostra come l’ argomentazione di Levinas - cioè che la
metafisica è anarchicamente etica derivi dalla tradizione culminante con
Hegel e dal pensiero di contemporanei come Husserl e Heidegger.
Levergois, Bertrand
Giordano Bruno
Fayard, giugno-luglio 1995
F 170
Contemporaneo di Montaigne, Giordano Bruno è uno dei grandi filosofi
della fine del Rinascimento. Questa
biografia fa il punto di una vita spesso
mitizzata. B. Levergois ci mostra come
questo eretico della ragione fosse in
rottura con il suo tempo, ma non necessariamente con il nostro. Il libro è
indirizzato al grande pubblico.
Logue, James I.J.
Projective Probability
Clarendon Press, giugno 1995
pp. 192, £ 25
Questo libro presenta una nuova teoria della probabilità e del giudizio
della probabilità: il soggettivismo
fortemente coerentista. Questa teoria
propone una prospettiva quasi realista, in cui le probabilità vengono viste
come proiezioni di valutazioni soggettive.
Levine, Peter
Nietzsche and the Modern Crisis
of the Humanities.
State Univ. of New York Press
luglio-agosto 1995
pp. 256, $ 19
Il libro è una critica alla teoria della
cultura di Nietzsche. Levine propone
un paradigma alternativo che permet-
89
Losurdo, D. (a cura di)
Zukunft des Marzismus.
Kolloquium der Internationalen
Gesellschaft für Dialektische
Philosophie, Societas Hegeliana,
Forio d’Ischia,
19.-21. September 1991
Dinter, luglio-agosto 1995
pp. 125, DM 29,80
Lowe, Jonathon
Locke on Human Understanding
Routledge, giugno 1995
pp. 224, UK £6.99
Questo libro guida attraverso un’analisi dell’opera più importante di
Locke, il Saggio sull’intelletto umano che risulta essere un’opera fondamentale per molti settori della filosofia e soprattutto per l’epistemologia,
la metafisica, la filosofia della mente
e della lingua.
Löwith, Karl
Von Hegel zu Nietzsche.
Der revolutionäre Bruch
im Denken des neunzehnten
Jahrhunderts
Meiner, giugno 1995
pp. 466, DM 78
Lycan, William G.
Consciousness
A Bradford Book, giugno 1995
pp. 184, UK £13.50
Questo volume offre una rassegna di
svariati punti di vista filosofici sulla
coscienza, includendo quelli di Kripke, Block e Campbell. L’autore di
questo testo dimostra come ogni punto di vista in opposizione ad un altro
possa essere collocato in una sua cornice di idee o di principi. Egli definisce questa originale teoria della mente “funzionalismo omuncolare”.
Maddoli, Gianfranco
(a cura di)
L’Athenaion politeaia
di Aristotele. 1891-1991
Per un bilancio di cento anni
di studi
Esi, luglio 1995
pp.316, £.40.000.
Si tratta degli atti dell’omonimo convegno del 1991 tenutosi ad Acquasparta, che ha riassunto cento anni di
studi aristotelici.
Mainzer, Klaus
Computer - Neue Flügel des Geistes?
Die Evolution computergestützter
Technik, Wissenschaft, Kultur
und Philosophie
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 882, DM 78
Questo libro analizza le domande teoretico-conoscitive legate alla matematica, alle scienze naturali ed alle
scienze culturali quando utilizzano i
metodi informatici e propone una filosofia dello spirito che tiene conto
anche delle nuove tecnologie.
Maker, William
Philosophy without Foundations.
Rethinking Hegel
State Univ. of New York Pr.,
giugno 1995
pp. 288, $ 20
A partire dalla fine degli anni ’60, la
NOVITÀ IN LIBRERIA
filosofia contemporanea ha iniziato a
riscosprire lo Hegel “radicale”, seppellito sotto le interpretazioni “oziose” del passato. Questo libro porta
avanti questo progetto.
Mancini Roberto
L’ascolto come radice: teoria
dialogica della verità
Edizioni scientifiche italiane,
giugno 1995
pp.364, £.36.000.
In questo libro Mancini opponendosi
al pensiero occidentale basato sul
paradigma ottico ed implicante la tesi
dell’esistenza di una verità assoluta,
propone una teoria dialogica della
verità intesa come vivente ed in continuo divenire, che ha il suo fondamento nella dinamica dell’ascolto
come radice primaria dell’esperienza
e come rivelazione del divino.
Manfreda, Luigi Antonio
Aporie del simbolo: saggio
su Otto Weininger
Liguori, giugno 1995
pp.193, £.24.000.
Il saggio di Manfreda analizza le
valenze filosofiche dell’opera weiningeriana, al di là degli psicologismi volti all’elemento biografico o
dell’enfatizzazione di quell’aspetto
che nella storia delle interpretazioni doveva fatalmente divenire il suo
segno distintivo: la definizione della donna come nulla, pura espressione dell’elemento materiale che
distrae l’uomo dalla vita dell’ascesi
come emerge nel suo libro Sesso e
carattere.
Marchetti, Antonio
Riscoprire Vico. Attualità
di una metafisica della storia
Dante Alighieri, luglio 1995
pp.208, £.30.000.
Questo libro è uno studio monografico su Giambattista Vico.
coprono tutti i diversi aspetti del pensiero di Hobbes.
salità. The Facts of Causation è un
importante studio di uno dei filosofi
più rilevanti a livello mondiale, riguardante uno degli argomenti filosofici più a lungo dibattuti.
Masi, Giuseppe
Lo spiritualismo ellenistico:
la grande svolta del pensiero
occidentale
Clueb, agosto 1995
pp.189, £.23.000.
La «grande svolta» che viene presa in
esame in questo libro è quella che
caratterizza il trapasso dall’oggettivismo naturalistico della filosofia greca classica (Platone e Aristotele inclusi) al soggettivismo antropocentrico della «nuova filosofia» che è
maturata in Grecia in epoca tardoellenistica a cominciare da Panezio di
Rodi e da Posidonio di Apamea, primi araldi di una concezione «spiritualistica» in quanto pone a fondamento
esplicativo di ogni realtà lo Spirito,
per giungere fino al cristianesimo.
Merrill, John C.
Legacy of Wisdom:
Great Thinkers and Journalism
Iowa State Univ., giugno 1995
pp. 200, UK £22.50
Si tratta di un’introduzione a trenta
filosofi importanti a livello mondiale
ed ai loro sistemi etici, così come
vengono applicati al giornalismo. Il
libro costituisce una base dalla quale
possono poi partire analisi ulteriori.
La scelta dei filosofi qui trattati include Confucio, Platone, Machiavelli,
Milton, Locke, Voltaire, Kant e Murdoch.
Metzinger, Th. (a cura di)
Bewußtsein. Beiträge
aus der Gegenwartsphilosophie
Schöningh, giugno 1995
pp. 440, DM 258
Maso Stefano, Franco Carlo
(a cura di)
Sofisti: Protagora, Gorgia, Dissoì
Lógoi: una reinterpretazione
dei testi
Zanichelli, luglio 1995
pp.239, £.25.000.
Ai sofisti va ascritto il merito di essersi per primi interrogati sull’interrogare medesimo, mantenendo al fondo l’«essere» nella sua ineffabilità ed
introducendo in superficie il soggetto
che considera il suo considerare qualcosa. Leggendo i testi frammentari di
Protagora, Gorgia e i cosiddetti dissoì
lógoi si vorrebbe stimolare una riflessione sulla condizione dell’uomo
d’oggi, inevitabilmente aperto, a causa della propria intelligenza al «gioco» e al «dramma» della dimensione
sofistica.
Marciszewski, W. - Murawski, R.
Mechanization of Reasoning
in a Historical Perspective
Editions Rodopi, luglio-agosto 1995
pp. 267, FOL 120
Il volume si occupa di questi fenomeni in senso storico, a partire dal XIX
secolo, fino ad arrivare alle moderne
indagini sulla formalizzazione, l’algebrizzazione e la meccanizzazione
del ragionamento.
Max, I. - Stelzner, W. (a cura di)
Logik und Mathematik.
Frege-Kolloquium 1993
de Gruyter, giugno 1995
pp. 553, DM 270
Si tratta del secondo volume del libro
comparso nel ’93, dal titolo Philosophie und Logik. Nei due volumi
compaiono quindi contributi in tedesco ed in inglese relativi alla filosofia
ed alla logica di Gottlob Frege (18481925), alle linee che caratterizzano,
attualmente, la discussione delle logiche di tipo non classico e il concetto
di informazione.
Marco Aurelio
Pensées pour moi-même
tr. dal greco Frédérique Vervliet
a cura di Ernest Renan
Arléa, agosto 1995
pp. 256, F 45
Si tratta di un esame di coscienza
quasi giornaliero dell’imperatore romano, molto ispirato dalla dottrina
stoicista, che si esprime qui in greco.
Mayer, Michael
Transzendenz und Geschichte.
Ein Versuch im Anschluß
an Lévinas und seine
Erörterung Heideggers
Die Blaue Eule, luglio-agosto 1995
pp. 400, DM 53
Si tratta della tesi di laurea, tenuta da
Mayer presso l’Università di Friburgo nel ’94.
Martinich, A.P.
A Hobbes Dictionary
Blackwell, luglio-agosto 1995
pp. 400, £ 15
Questo dizionario fornisce un’esposizione ed una spiegazione completa
e coesa, raccolta in circa centocinquanta voci, di concetti-chiave che
Mellor, D.H.
The Facts of Causation
Routledge, luglio-agosto 1995
pp. 256, £ 35
Nonostante ci siano stati molti progressi, si attende ormai da troppo
tempo un resoconto completo sulla
natura e sulle conseguenze della cau-
Millikan, Ruth Garrett
White Queen Psychology
and other Essays for Alice
A Bradford Book, giugno 1995
pp. 400, UK £15.75
Questa raccolta di saggi serve sia
come introduzione a Language, Thought, and Other Biological Categories
di Ruth Millikan che come estensione
ed applicazioni dei temi centrali della
Millikan, specialmente per quanto
riguarda la filosofia della psicologia.
Minois, Georges
Piccola storia dell’inferno
Mulino, luglio 1995
pp.120, £.16.000.
Un piccolo viaggio nell’universo degli inferi ci insegna che l’idea di inferno è antica quanto la coscienza
dell’umanità. Luogo infausto dell’aldilà o condizione di angoscia esistenziale già di questa terra, l’inferno è lo
specchio della condizione umana e
dei suoi fallimenti.
Meuter, Norbert
Narrative Identität.
Das Problem der personalen
Identität im Anschluß
an Ernst Tugendhat,
Niklas Luhmann und P Ricoeur
M & P, giugno 1995
pp. 300, DM 39,80
Mittelstaedt, P. (a cura di)
Ethik und wissenschaftlicher
Fortschritt. Veranstaltung
in der Halle des Historischen
Rathauses zu Köln am 23. Juni 1994
Bouvier, giugno 1995
pp. 92, DM 24
Meyer, Michel
Science et métaphysique chez Kant
PUF, giugno-luglio 1995
pp. 256, F 62
La Critica della ragion pura cerca di
fondare la metafisica o di consolidare
la scienza? Questa domanda trova la
sua origine nella differenza, finora
rimasta inspiegata o semplicemente
negata, tra le due edizioni della Critica . Queste due versioni, radicalizzandosi dopo Kant, sfoceranno una
nell’idealismo e l’altra nel positivismo.
Mohrs, Thomas
Hobbes: Soziobiologie
und Erdpolitik
Akademie-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 450, DM 84
Sulla base dell’antropologia di
Hobbes, che viene presentata in maniera esaustiva, il libro svolge un’indagine relativa a problemi politici
attuali: la situazione della comunità
di Stati internazionale, lo sviluppo
della popolazione mondiale, la minaccia del collasso a livello ecologico.
Miccoli, Paolo
Corso di estetica
Urbaniana university press,
luglio 1995
pp.213, £.22.000.
Questo corso di estetica insegue le
seduzioni ed il fascino della bellezza
artistica, sondandone la natura misteriosa sia nel gesto produttivo della
forma poetica, sia nella fruizione estasiante dell’opera d’arte. In quanto
riflessione razionale sul bello e sull’arte, l’estetica è mediazione teorica
tra l’artista e il pubblico: è funzione
“obliqua” rispetto alla creazione dell’artista ossia alla poíesis.
Moreno, Jonathan D.
Bioethics and Moral Consensus
Oxford UP Inc, giugno 1995
pp. 192, UK £25.
Sebbene sia una disciplina ancora
giovane, la bioetica gioca un ruolo
influente nei dibattiti riguardanti la
difesa della salute nella nostra società. Questo studio affronta il tema complesso dei valori morali da punti di
vista filosofici, storici e socio-scientifici.
Miller Jr, Fred D.
Nature, Justice, and Rights
in Aristotle’s ‘Politics’
Clarendon Press, giugno 1995
pp. 384, UK £40
Questo studio del testo di Aristotele
si oppone all’idea che il concetto dei
diritti sia alieno al pensiero di Aristotele, portando a prova dell’opinione
di Miller la descrizione di come la
teoria della giustizia di Aristotele sia
in realtà una pretesa di diritti indivi-
90
duali, che sono sia politici che basati
sulla natura.
Moritz, Helmut
Science, Mind and the Universe.
An Itroduction
to Natural Philosophy
Wichmann, giugno 1995
pp. 298, DM 98
Morris, Paul - Herztberg, Arthur
Rosenzweig
Peter Halban, giugno 1995
pp. 176, UK £7.99
Franz Rosenzweig (1886-1929), il
teologo ebreo-tedesco, è attualmente
considerato uno dei pensatori religiosi moderni più profondi.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Morton, Adam
A Guide through
the Theory of Knowledge
Thoemmes Press, giugno 1995
pp. 128, UK £9.99
Si tratta di una guida alla teoria della
conoscenza che fa riferimento alla
Ricerca sull’intelleto umano di Hume,
alle Meditazioni di Cartesio ed ai
Problemi di filosofia di Russell.
Descrive gli argomenti-chiave - giustificazione, percezione, certezza e
probabibilità, conoscenza della mente - ed i legami che li uniscono.
Moscone, Maurizio
Filosofia ermeneutica oggi
Studium, giugno 1995
pp.163, £.24.000.
In questo volume sono ripercorse, nei
loro momenti essenziali, le tappe fondamentali che le teorie interpretative
hanno compiuto da Spinoza a Ricoeur
e viene mostrato come l’ermeneutica
sia la disciplina che ha di mira l’interpretazione non solo del significato
dei testi, ma anche del senso della
realtà. In particolare, vengono prese
in considerazione le critiche che Hebermas, Hirch e Albert hanno rivolto
a Gadamer e le risposte ad esse da
parte di questo.
Moser, P. - Trout, J.D.
(a cura di)
Contemporary Materialism.
A Reader
Routledge, luglio-agosto 1995
pp. 400, £ 17
Il volume raccoglie articoli-chiave di
molti filosofi contemporanei di tutto
rilievo. Ogni autore è stato invitato a
produrre uno scritto che desse ulteriori informazioni e completasse il
precedente, allo scopo di affermare il
progresso e lo sviluppo di questo campo, fin dalla comparsa del materialismo classico contemporaneo.
Mourral, Isabelle - Millet, Louis
Petite encyclopédie philosophique
Ed. universitaires
giugno-luglio 1995
pp. 395, F 148
In questa enciclopedia, le parole non
trovano solo una definizione o un’analisi dei loro diversi significati, ma
anche un articolo che riguarda i problemi da essi sollevati. Attraverso i
nomi degli autori trattati, si arriva ad
un’esposizione dei grandi orientamenti del loro pensiero. Il libro sarà di
sicuro interesse per il pubblico.
Müller, Anselm Windfred et al.
Ende der Moral?
Kohlhammer, giugno 1995
pp. 200, DM 29
Ende der Moral? descrive fenomeni,
nomina fattori e scopre le radici filosofiche della crescente negazione
della moralità, mostra però anche che
la morale non deve temere i criteri ed
i metodi adottati dalla razionalità critica.
Muller, Jean-Marie
Simone Weil: l’exigence
de non-violence
Desclée De Brouwer
giugno-luglio 1995
pp. 213, F 125
J.-M. Muller, membro fondatore del
Mouvement pour une alternative nonviolente (Movimento per un’alternativa non violenta), studia qui l’insieme dei testi di Simone Weil per cogliere quale sia la sua posizione riguardo alla non violenza. Il libro sarà
di sicuro interesse per il pubblico.
W. Fink, luglio-agosto 1995
pp. 416, DM 98
Nietzsche
Le parole e le immagini
a cura di Pier G.Carizzoni
A.Mondadori, luglio 1995
pp.112, £.8.000.
I testi di Nietzsche riportati in questo volume sono tratti da: Adelphi
Edizioni Opere 1975/1990 e da
F.N.Epistolario 2 voll, Adelphi Edizioni, 1976. Le fotografie e i documenti contenuti in questo volume provengono dall’Archivio Goethe-Schiller di Weimar e sono stati forniti in
occasione della mostra “Sguardo su
Nietzsche”.
Münster, Arno
Nietzsche et le nazisme
Kimé, giugno-luglio 1995
pp. 160, F 125
La storia della ricezione di Nietzsche
è segnata da diversi paradossi che
attestano tutti che l’opera nietzschiana è stata oggetto di molti malintesi
differenti tra di loro. L’autore, specialista di questo campo, si propone
di smontare questi malintesi.
Nietzsche
Werke. Kritische Gesamtausgabe
sezioneI, vol. 1: Nachgelassene
Aufzeichnungen Anfang
Sommer 1852 - Sommer 1858
a cura di J. Figl
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 397, DM 188
Si tratta di un’edizione completa delle opere di Nietzsche, in 40 volumi, e
9 sezioni, fondata da G. Colli e M.
Montinarie proseguita poi da W.
Müller-Lauter e K. Pestalozzi.
Mura Gaspare, Di Ianni Mauro
Metodologia: con una guida
bibliografica per lo studio
della filosofia e della teologia
Urbaniana University Press
giugno 1995
pp.235, £.20.000.
Il testo, occupandosi di metodologia
scientifica si propone come un manuale didattico con lo scopo di far
comprendere progressivamente allo
studente la diversità esistente tra lo
studio svolto nei Licei, in genere nelle scuole secondarie e il metodo di
studio proprio dell’Università che attraverso i suoi corsi accademici, i
seminari, le ricerche richiede fin dall’inizio una partecipazione di studio
creativa e infine un contributo personale di ricerca.
Nietzsche, Friederich
Epistolario 1875-1879
Adelphi, agosto 1995
pp.500, £.100.000.
Il terzo volume dell’epistolario che
copre un quinquennio fondamentale della vita di Nietzsche, un periodo segnato dalla rottura con
Schopenhauer e Wagner e da un profondo contrasto interiore.
Murphy, Cornelius F.
Beyond Feminism:
Towards a Dialogue on Difference
Catholic UP USA, giugno 1995
UK £13.50
In questo studio la discussione sulle
relazioni tra uomo e donna prende
l’avvio da una premessa cruciale: la
lotta per l’uguaglianza dei diritti delle
donne è giunta ad un punto in cui la
collaborazione tra i sessi piuttosto
che lo scontro è necessaria per l’evolversi del processo di uguaglianza.
Nietzsche, Friederich
Autobiografia
attraverso l’epistolario
a cura di Buttazzi Carla
Piemme, agosto 1995
pp.288, £.30.000
Si tratta di una parte delle lettere di
Nietzsche raccolte da Carla Buttazzi
con un commento di Claudio Pozzoli.
Nietzsche, Friedrich
Aurore; réflexions
sur les préjugés morales
tr. dal tedesco di Henri Albert
a cura di Angèle Kremer-Marietti
LGF, giugno-luglio 1995
pp. 416, F 40
Pubblicata per la prima volta nel 1881,
l’Aurora attacca e sferza un colpo
decisivo al problema della morale,
mettendo in opera il metodo genealogico. Denunciando il sistema costrittivo delle pratiche morali create dall’uomo e che è diventato come una
seconda natura, affronta in particolar
modo Platone e Schopenhauer. Il pubblico troverà interessante questo volume e gli argomenti trattati.
Negro, Matteo
Oltre le apparenze: filosofia
della percezione di R.M. Chisholm
Franco Angeli, giugno 1995
pp.184, £.22.000.
Scopo del presente volume è evidenziare, alla luce dei molteplici riferimenti storico-teoretici, la genesi e l’evoluzione della teoria chisholmiana della percezione. L’orientamento di
Chisholm a partire dal 1981 è di impronta soggettivistica. Egli considera
essenzialmente l’apparire come una
proprietà intenzionale, con la conseguenza di considerare a sua volta ogni
contenuto percettivo come una proprietà del soggetto. Il self diviene così
progressivamente il vero referente, diretto o indiretto delle qualità sensibili.
Norris, Christopher
Reclaiming the Truth:
Contribution to a Critique
of Cultural Relativism
Lawrence & Wishart, giugno 1995
pp. 244, UK £12.99
Questo volume contiene un avvertimento polemico contro un fin troppo
Neumaier, Otto
Moralische Verantwortung.
Beiträge zur Analyse
eines ethischen Begriffs
91
facile rifiuto dei criteri correnti relativi alla verità ed ai valori nel mondo
moderno. Il libro rappresenta un’ulteriore mossa della lunga battaglia di
Christopher Norris contro la tendenza più estrema del post-modernismo,
in particolare contro gli esponenti
delle tecniche di “decostruzione”.
Padula, Salvatore
Rinascita culturale, rinascita
sociale: apologia del primato
della morale
Levante, luglio 1995
pp.168, £.22.000.
La finalità sostanziale del progetto
filosofico avviato dall’autore con
questo lavoro è il ripristino del primato della filosofia sul sapere tecnicoscientifico, della morale sulla politica e sull’economia, degli esseri umani sulle cose.
Paolozzi, Ernesto
Il liberalismo come metodo:
Antoni, Croce, De Ruggiero,
Popper
Fondazione Luigi Einaudi
per gli studi
di politica ed economia, giugno, 1995
pp. 159, £. s.p.
In questo libro Ernesto Paolozzi esamina la tematica del liberalismo evidenziando il rapporto tra natura e
storia nella filosofia crociana, la restaurazione del diritto nella prospettiva di Antoni, il significato del ritorno
alla ragione nella teoria di De Ruggiero e infine il falsificazionismo e
l’antistoricismo nella filosofia di Popper.
Pascal, Blaise
I pensieri
a cura di Vozza Chiara
Guaraldi, giugno 1995
pp.480, £.18.000.
Si tratta di una raccolta di riflessioni
teologico-filosofiche.
Pascal, Blaise
Pensée
a cura di Michel Le Guern
Gallimard, giugno-luglio 1995
pp. 768, F 35
Questi frammenti destinati ad un’apologia della religione cristiana diventeranno l’opera postuma dei Pensieri. Il libro è di interesse per il grande
pubblico.
Peale, Norman Vincent
Il pensiero positivo
traduzione di Guarneri Annarita
Armenia, agosto 1995
pp.160, £.20.000.
Si tratta di una raccolta di riflessioni,
massime, brevi frasi del “pensiero
positivo”.
Perini, Roberto
Soggetto e storicità.
Il problema della soggettività
finita tra Hegel e Kierkegaard
Esi, luglio 1995
pp.170, £.25.000.
Viene esaminata la costituzione del
soggetto umano come ente storico,
quindi finito ed insufficiente, attraverso la speculazione complementare di due grandi della filosofia.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Perniola, Mario et al.
Oltre il desiderio e il piacere:
territori dell’estremo
e spaesamento
Mimesis, giugno 1995
pp.160, £.22.000.
In questo libro Perniola definisce “tecno-pagana” la condizione più propria
del presente quotidiano considerato
come territorio dell’estremo il cui
modo di essere è lo spaesamento. In
questa prospettiva il pensiero si configura come una sorta di esercizio di
antropologia filosofica, ossia un farsi
sguardo disvelante sul qui ed ora, che
appare per molti aspetti opacizzato
dalla vulgata multimediale.
Perone, Ugo
Nonostante il soggetto
Rosenberg & Sellier, luglio 1995
pp.194, £.29.000.
L’ermeneutica fa i conti con il soggetto, perchè ne smaschera tutti gli
inganni ma non lo liquida. Attraverso
le riflessioni del libro sulle vicende
del soggetto nella modernità sorge un
nuovo possibile soggetto, non più
chiuso ed autosufficiente ma intimamente attraversato da una complessità e da una alterità che lo costituiscono. A tale soggetto è possibile affidare di nuovo il compito della filosofia
come ricerca della verità.
Petrucci, Armando
Le scritture ultime: ideologia
della morte e strategie
dello scrivere nella tradizione
occidentale
G. Einaudi, agosto 1995
pp.186, £.60.000.
Questo racconto segue un itinerario
di millenni, a partire dagli inizi, dalla
preistoria, e procede tra geografie e
vicende svariatissime avendo come
protagonisti epigrafi, iscrizioni, sculture, monumenti, graffiti, segnali ma
anche quanto è stato messo in atto via
via, per riprendere e sottolineare nel
tempo il bisogno di indicare e testimoniare la presenza dei morti.
Picardi, Filippo
L’evoluzione dell’etica
e la dottrina del diritto
ne la metafisica dei costumi
di E. Kant
Abelardo, agosto 1995
pp.117, £.25.000.
La metafisica dei costumi, che è il
punto privilegiato di questa ricerca,
deve aiutarci non solo a rispondere al
problema di individuare il ruolo degli
stimoli e del sentimento ma anche a
cogliere i tratti distintivi della dottrina della virtù e della dottrina del diritto e quindi dei doveri e degli obblighi.
Pico della Mirandola, Giovanni
(1463-1494)
De hominis dignitate = la dignità
dell’uomo
traduzione di Carlo Carena
S.Berlusconi, agosto 1995
pp.221, £.32.000.
La concezione pichiana dell’uomo è
affidata ad uno scritto, De hominis
dignitate che, originariamente concepito come premessa a novecento
Conclusiones volte a racchiudere la
totalità del sapere filosofico-religioso, assunse ben presto una propria
autonoma e peculiare fisionomia. Tale
scritto appare qui in un’edizione che
a una nuova traduzione seguita dal
testo latino e introdotta da due insigni
studiosi contemporanei affianca la
biografia dell’autore redatta dal nipote Gianfrancesco.
Polidori, Fabio
Necessità di una illusione:
lettura di Nietzsche
Guerini scientifica, luglio 1995
pp.142, £.16.000.
Polidori in questo libro mette in luce
come la critica di Nietzsche alla soggettività come principio unitario,
come fondamento unitario a cui ricondurre la molteplicità del reale e
quindi la sua attribuzione ad essa di
un carattere illusorio e menzognero,
non sfoci nella dissoluzione della
medesima soggettività ma anzi riconduca alla considerazione del necessario mantenimento di questa illusione.
Pies, I. - Leschke, M. (a cura di)
John Rawls’ politischer
Liberalismus
J.C.B. Mohr, giugno 1995
pp. 240, DM 50
La teoria della giustizia di Rawls ha
avuto un ruolo determinante nella ripresa del dibattito all’interno della filosofia politica. Nei suoi ultimi lavori,
Rawls sviluppa questa sua teoria fino
alla concezione di un liberalismo politico. La sua opera viene qui reinterpretata, alla luce di questa concezione.
Ponzio, Augusto
I segni dell’altro.
Eccedenza letteraria e prossimità
Esi, luglio 1995
pp.250, £.36.000.
Viene compiuta una ricerca sulla comunicazione e sulle sue possibilità di
riconoscere l’alterità fuori dai ruoli,
dalle convenzioni e dalle immagini
stereotipate.
Pinchard, Bruno (a cura di)
Fine folie ou La catastrophe
humaniste: études sur les
transcendentaux à la Renaissance
Champion, agosto 1995
pp. 272, F 240
Attraverso l’essere, il vero, il bene, ed
i loro giochi di opposizione e di congiunzione, scaturisce a mano a mano
un’immagine del Rinascimento, che
potrebbe anche essere valida come
ipotesi della nascita del mondo moderno. Testo specialistico.
Potrc, M. (a cura di)
Philosophy of Mind
and Epistemology
Röll, luglio-agosto 1995
pp. 156, DM 39
Powel, J.G.F. (a cura di)
Cicero the Philosopher
Clarendon Pr., luglio-agosto 1995
pp. 376, £ 40
Powel cura ed introduce dodici saggi;
egli presenta quindi una nuova e stimolante selezione di recenti studi di
specialisti delle opere filosofiche di
Cicerone, studi che fanno di Cicerone
uno vero scrittore filosofico.
Planty-Bonjour Guy
Hegel e il pensiero filosofico
in Russia (1830-1917)
Guerini, agosto 1995
pp.340, £.50.000.
Vengono esposte in questo libro le
alterne vicende del pensiero di Hegel
dai primi clamorosi successi alle successive polemiche fino all’affermarsi
di una corrente neohegeliana.
Privitera, Salvatore
Narrare la vita alla generazione
presente per le generazioni future
Armando, luglio 1995
pp.154, £.30.000.
Il libro è dedicato in particolar modo
alla teorizzazione ed alla esemplificazione del modo narrativo di far
bioetica. Inoltre, si occupa di problemi relativi alle categorie più dimenticate, come sono le generazioni future
e l’embrione, o di problemi oggi emergenti, come quelli relativi alla donazione degli organi, all’uso dei farmaci ed alla dimensione politica che
potrebbero essere meglio affrontati,
forse, mediante il linguaggio narrativo.
Platone
Breviario
a cura di Marcellino Claudio
Rusconi, luglio 1995
pp.440, £.19.000.
Si tratta di una raccolta di aforismi,
citazioni e frasi “notevoli” del grande
filosofo.
Pleines, Jürgen-Eckhardt
Teleologie als metaphysisches
Problem
Königshausen & Neumann
luglio-agosto 1995
pp. 568, DM 98
Puech, Henri-Charles
Il manicheismo
traduzione di Comba Augusto
Einaudi, agosto 1995
pp.500, £.68.000.
Scritti in epoche differenti e su temi
diversi, i saggi qui raccolti sono legati
da un tema unificante: il manicheismo. L’autore si sofferma di volta in
volta su un aspetto particolare del
problema: la concezione della salvezza, del male, del peccato e della
confessione; la musica; la liturgia e i
rituali manichei; i rapporti con altre
grandi eresie.
Poellner, Peter
Nietzsche and Metaphysics
Clarendon Press, giugno 1995
pp. 352, UK £35
Questo testo offre un’interpretazione
ed un giudizio critico dell’importante
opera di Friederich Nietzsche su questioni tradizionalmente centrali della
filosofia riguardanti la possibilità della
conoscenza e la natura della realtà.
Pöggeler, Otto
Ein Ende der Geschichte?
Von Hegel zu Fukuyama
Westdeutscher Vlg., giugno 1995
pp. 38, DM 14
92
Putman, Hilary
Realismo del volto umano
Mulino, luglio 1995
pp.520, £.56.000.
Questo libro riflette sulla necessità di
intraprendere una radicale revisione
del programma filosofico e di riportare la filosofia alla sua dimensione
umana, colmando il divario tra lo
stato attuale della disciplina e quelle
aspirazioni umane che essa dovrebbe
rappresentare e che in passato ha effettivamente rappresentato.
Radman, Z. (a cura di)
From a Metaphorical Point of View.
A Multidisciplinary Approach
to the Cognitive Content
of Metaphor
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 460, DM 58
Si tratta di una raccolta di articoli di
diverse discipline sulla metafora come
figura del pensiero.
Raffelt, A. (a cura di)
Das Tun, der Glaube, die Vernunft.
Studien zur Philosophie
Maurice Blondels.
’L’Action’ 1893-1993
Echter, luglio-agosto 1995
pp. 244, DM 39
Rappe, Guido
Archaische Leibererfahrung.
Der Leib in der frühgriechischen
Philosophie und
in der außereuropäischen Kulturen
Akademie Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 550, DM 120
Ci si interroga qui intorno alla funzione, costitutiva per il sistema, del sentire e delle sensazioni del corpo e poi
rispettivamente anche sulle ripercussioni dell’esperienza corporale sulla
nascita delle teorie filosofiche ed antropologiche nelle diverse culture.
Raulet, Gérard
Vaysse, Jean-Marie (a cura di)
Communauté et modernité
L’Harmattan, agosto 1995
pp. 348, F180
La comunità non è, contrariamente a
quanto si ammette generalmente, una
nozione pre-moderna o anti-moderna, bensì - come si sforza di dimostrare quest’opera - un operatore logico
essenziale per il modo in cui la modernità si pensa e, contemporaneamente, un perno fondamentale intorno al quale ruota il dibattito attuale
sulla “condizione post-moderna”. Il
libro sarà di sicuro interesse per il
pubblico.
Regebogen, A. - Fellsches, J.
(a cura di)
Universalistische Moral
und Ethik in der Lehre
Meiner, giugno 1995
pp. 171, DM 36
Regina, Umberto
Servire l’essere con Heidegger
Morcelliana, luglio 1995
pp.451, £.45.000.
L’autore ricava dal percorso heideggeriano l’«ermeneutica della trasfigurazione». Infatti, a partire dal «senso dell’essere» il divenire, lungi dal
NOVITÀ IN LIBRERIA
costituire un insostenibile contraddirsi, viene letto come invito a «servire» le cose al di là di ogni prospettiva
di comodo; quando l’invito è accolto
la storia diviene la «trasfigurazione
del mondo».
Rehmann-Sutter, Chr. - Müller, Hj.
(a cura di)
Ethik und Gentherapie.
Zum praktischen Diskurs
um die molekulare Medizin
Attempto-Vlg., luglio-agosto 1995
DM 39
Renault, Laurence
Dieu et les créatures
selon Saint Thomas d’Aquin
PUF, agosto 1995
pp. 128, F 45
La scolastica inizia nel XIII secolo.
Questa struttura fondamentalmente
discorsiva del pensiero europeo si
sviluppa fino al XVII secolo. E’ sempre nel XIII secolo che il pensiero
occidentale “riscopre” Aristotele e vi
si confronta. Almeno per quanto riguarda questi due aspetti, il pensiero
di Tomaso d’Aquino (1225-1274) è
esemplare e merita il nostro interesse.
Ricci Sindoni, Paola
Hannah Arendt: come raccontare
il mondo
Studium, luglio 1995
pp.236, £.28.000.
L’autrice in questo libro più che una
rigorosa ricostruzione sistematica del
pensiero della Arendt, ha guardato a
quelle tematiche, di sicuro spessore
filosofico, che hanno orientato lo
sguardo di Hannah sulle vicende storico-politiche del suo tormentato tempo così da individuare, tramite il suo
speciale modo di raccontare e di amare il mondo, l’originaria specificazione della «natalità» come principio
attraverso cui raccogliere lo spazio
dell’«azione» e qualificare in tal senso l’ambito privilegiato del fare «politica».
Richardson Jr, Robert D.
Emerson: The Mind on Fire
Univ California Press, giugno 1995
pp. 680, UK £27
Si tratta di uno studio su Ralph Waldo
Emerson, una delle più importanti
figure della storia del pensiero, della
religione e della letteratura americani. Il libro prende in esame una grande quantità di materiale comprendente anche la corrispondenza tra i fratelli Emerson.
Ricklin, Thomas
Die ‘Physica’ und der
’Liber de causis’ im 12.
Jahrhundert. Zwei Studien
intr. di Ruedi Imbach
Universitäts-Vlg.,
luglio-agosto 1995
pp. 128, DM 32
Riedl, R. - Delpos M. (a cura di)
Die evolutionäre Erkenntnistheorie
im Spiegel der Wissenschaften
WUV-Univ.-Vlg., giugno 1995
pp. 300
Riesenhuber, Heinz
Ethik inWissenschaft und Technik
C.F. Müller, luglio-agosto 1995
pp. 24, DM 18
rapporto medico-malato, il significato della bioetica, la formazione e l’insegnamento della bioetica, i legami
tra filosofia, teologia e bioetica, tra
diritto e bioetica, tra psicologia ed
etica medica, tra sociologia, medicina sociale e bioetica, la dimensione
della genetica, il problema ontologico e giuridico della vita umana nascente, quello della procreazione assistita, il maltrattamento del bambino, la situazione del malato terminale, la sperimentazione sull’uomo, i
trapianti d’organo, i problemi etici e
di criminologia ed infine la medicina
tradizionale cinese.
Riolo, Franco
Etica degli affari e codici etici
aziendali
Edibank, agosto 1995
pp.267, £.42.000.
Spaziando dagli Stati Uniti all’Europa per soffermarsi a lungo sull’Italia,
Franco Riolo analizza a fondo il codice etico aziendale, che è uno strumento assai diffuso nei paesi di cultura
protestante, con il quale l’azienda
orienta i propri dipendenti sugli atti
da evitare e quelli da compiere al fine
di salvaguardare e valorizzare l’integrità e l’immagine aziendale. Per l’autore, l’etica degli affari è in fondo
etica delle regole e requisito indispensabile per un capitalismo maturo.
Rossi, Paolo
Naufragi senza spettatore: l’idea
di progresso
Il mulino, luglio 1995
pp.149, £. 18.000.
Questo libro affronta i mutamenti ai
quali sono state sottoposte le nozioni
di «crescita» e di «progresso». Lo fa
richiamandosi ai testi di filosofi, scienziati, letterati, rimescolando le carte,
mettendo in discussione molti luoghi
comuni consolidati, prospettando ai
disinvolti costruttori di «quadri epocali» una impressionante serie di anomalie. La storia delle idee coincide
qui con il piacere di scoprire, mettere
in relazione, organizzare un percorso, mettere in causa direttamente o
indirettamente le certezze del presente.
Rodano, Paola
L’irrequieta certezza: saggio
su Cartesio
Bibliopolis, luglio 1995
pp.321, £.50.000.
Dedicato alla filosofia di Cartesio e in
particolar modo all’opera maggiore
le Meditazioni, questo libro ne riesamina i nodi classici: la struttura della
mente come logica e volontà, il dubbio e il «genio maligno»:, il cogito, le
verità eterne e Dio. Attraverso un
percorso di lettura analitica e rigoroso, il lavoro approda ad un’originale
interpretazione del pensiero cartesiano, che si rivela segnato dalla tensione tra due prospettive teoriche difficilmente compatibili e di diversa qualità filosofica.
Rossi, Paolo (a cura di)
La filosofia
vol 4°
Utet, giugno 1995
pp.2.100, £.400.000.
Viene attuata una ricostruzione del
quadro complessivo della filosofia
contemporanea. Si articola in 4 volumi : “Le filosofie speciali”, “La filosofia e le scienze”, “Le parti della
filosofia”, “Stili e modelli teorici del
Novecento”. Offre approfondite analisi su problemi, metodi, tendenze,
temi, esprimendo in modo compiuto
che cosa, oggi, è di fatto, la filosofia.
Rohls, Jan
Storia dell’etica
Mulino, luglio 1995
pp.508, £.46.000.
In questo libro si trova una sintesi
della storia dell’etica dall’antichità al
nostro secolo. L’etica è qui considerata in un’ampia prospettiva di filosofia pratica che pone al centro dell’analisi il nesso tra bene individuale
e bene sociale. Una storia dell’etica
giocata sulle coppie fede/libertà, individuo/società e particolarmente attenta alle grandi scansioni storiche.
Rullmann, Marit et al.
Philosophinnen
vol. II: Von der Romantik
bis zur Moderne
Edition Ebersbach
luglio-agosto 1995
DM 58
Un’opera classica che riesce ad insegnare ma è anche in grado di offrire il
piacere della lettura di un libro di
filosofia sia ai profani che agli esperti
del settore.
Röhrig, M. - Stenger, G.
(a cura di)
Philosophie oder Struktur ’Fahrzeug’ der Zukunft?
Für Heinrich Rombach
Alber, luglio-agosto 1995
pp. 648, DM 148
Rummel, Erika
The Humanistic Scholastic Debate
in the Renaissance and Reformation
Harvard UP, giugno 1995
pp. 264, UK £35.95
Questo testo esamina la ripresa del
classico dibattito platonico sui meriti
rispettivi della filosofia e della retorica che emersero nella discussione del
tardo XV secolo tra umanisti e scolastici a proposito della filologia e della
dialettica.
Romani, Romano
Theoreticà. Libro primo
Cadmo, agosto 1995
pp.101, £.15.000.
Si tratta di una raccolta di 31 brevi
scritti filosofici sul limite.
Romano Carlo, Grassani Goffredo
(a cura di)
Bioetica
Utet, agosto 1995
pp.737, £.80.000.
In questo libro vengono esaminati ; il
93
Russel, Bertrand
Saggi scettici
Tea, luglio 1995
pp.260, £.14.000.
Viene compiuta in questo testo
un’analisi e una critica di molti temi
considerati al di sopra di ogni giudizio: psicoanalisi, teoria della relatività, decandenza dell’impulso scientifico, valori della libertà.
Russell, Bertrand
Mortals and others:
American Essays 1931-1935
Routledge, giugno 1995
pp. 192, UK £9.99
Si tratta di una raccolta di saggi e di
reportage che coprono un ampio spettro di argomenti. Questo libro mostra
il lato serio e quello non serio della
personalità e del lavoro di Russell,
fornendo anche un’introduzione al
pensiero di Russell adatta a lettori di
ogni livello.
Sallis, John
Delimitations. Phenomenology
and the End of Metaphysics
Indiana UP, giugno 1995
pp. 272, $ 16
Si tratta della seconda edizione riveduta di un libro che rappresenta il
contributo maggiore all’attuale dibattito, nella filosofia europea, sui limiti
della metafisica.
Sandkähler, H.J. (a cura di)
Interaktionen zwischen
Philosophie und empirischen
Wissenschaften. Philosophieund Wissenschaftsgeschichte
zwischen Francis Bacon
und Ernst Cassirer
Lang, giugno 1995
pp. 496, DM 100
Santayana, George
The Birth of Reason
and other Essays
a cura di Daniel Cory
Columbia UP, giugno 1995
pp. 204, UK £10.50
Si tratta di una raccolta di saggi recenti del filosofo americano, presidente della Santayana Society. Gli
argomenti discussi includono la filosofia del viaggio, la politica della
religione, l’amicizia, l’apparenza e la
realtà ed i passi falsi della filosofia.
Santucci, Antonio
Empirismo, pragmatismo,
filosofia italiana
Clueb, giugno 1995
pp.252, £.32.000.
Viene esposta una storia delle tematiche della filosofia italiana legata all’empirismo, da Abbagnano e Geymonat, alla semiotica degli anni 80.
Savater, Fernardo
Apostati ragionevoli.
Vite di ribelli illustri
Mulino, luglio 1995
pp. 220, £.20.000.
Ordinati cronologicamente sono raccolti quindici ritratti di personaggi
legati da una comune caratteristica.
Furono tutti apostati, ribelli all’ortodossia religiosa, scientifica o letteraria - in cui si erano formati. Furono
NOVITÀ IN LIBRERIA
pertanto tutti apostati “ragionevoli”
in quanto fecero dell’ apostasia il loro
problema teorico fondamentale.
Savi, Cristina
Husserl e lo scetticismo
Guerini scientifica, luglio 1995
pp.319, £.35.000.
In questo libro l’autrice mostra come
la fenomenologia di Husserl rappresenti l’ultimo tentativo di combattere
lo scetticismo nella sua versione “psicologistica”.
Saviani, Lucio (a cura di)
Segnalibro: voci da un dizionario
della contemporaneità
Liguori, luglio 1995
pp.259, £.25.000.
Si tratta di una raccolta di saggi sul
tema della contemporaneità intesa non
come apertura ma come testo conchiuso, e ancora altrove assente. Viene quindi indicato come prendere delle
voci da un dizionario che non c’è.
Sono voci esatte e, contemporaneamente scritte in uno stesso libro.
Scalfari, Eugenio
Quel miserabile animale
che noi siamo
Rizzoli, agosto 1995
pp.120, £.26.000.
Viene compiuto un confronto in forma dialogica su temi di attualità tra
due esponenti, Eugenio Scalfari e
Voltaire, che impersonificano e rispecchiano due secoli differenti.
Schäfer, L. - Ströker, E.
(a cura di)
Naturauffassungen in Philosophie,
Wissenschaft, Technik
vol . III: Aufklärung
und späte Neuzeit
Alber, luglio-agosto 1995
pp. 290, DM 74
Schmid, Dirk
Religion und Christentum
in Fichtes Spätphilosophie 1810-1813
de Gruyter, luglio-agosto 1995
pp. 230, DM 168
Nell’enucleazione di un rapporto sistematico tra la teoria della religione
filosofico-trascendentale e la teoria
del cristianesimo filosofico-storica
diventa visibile il loro significato per
il programma globale della filosofia
trascendentale di Fichte.
Schmidt, Hartwig
Das entwürfige Selbst.
Zur Kritik des Ipsismus
Decaton-Vlg., giugno 1995
pp. 148, DM 22,80
Schneider, Friedhelm
Kindsein - ein Gleichnis.
Philosophisch-theologische
Gedanken zum generativen
Verhältnis
Attempto-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 70, DM 18
Schopenhauer, Arthur
Sulla quadruplice radice
del principio
di ragione sufficiente
traduzione di Giametta Sossio
Rizzoli, agosto 1995
pp.400, £.18.000.
E’ il trattato filosofico, la tesi di Laurea del giovane Schopenhauer. Vengono distinte due facoltà dello spirito: l’intelletto e la ragione. L’intelletto prevale sulla ragione in quanto
demiurgo che crea il mondo per l’uomo, nelle coordinate di spazio e di
tempo, permettendo all’uomo di viverci dentro con la guida della causalità, di cui vengono analizzate le quattro radici.
Questo volume propone delle traduzioni dei saggi più importanti di Seneca, tra cui alcuni dei saggi morali e
dei primi quattro libri di De beneficiis. Essi offrono un quadro del punto di
vista sociale e morale di un pensatore
stoico, strettamente coinvolto nel
governo dell’Impero romano.
Seneca
Werke (Philosophische Schriften)
intr., note e a cura di Manfred
Rosenbach
Wiss. Buchges., luglio-agosto 1995
pp. 2952, DM 114
Si tratta dell’unica edizione delle opere di Seneca in versione latino-tedesco, che è ora disponibile in cinque
volumi, in cofanetto.
Schubert, Venanz (a cura di)
Experimente mit der Natur.
Wissenschaft und Verantwortung.
Interdisziplinäres Forum
EOS-Verlag, giugno 1995
pp. 370, DM 24,80
Il volume contiene anche un’introduzione al tema della responsabilità della
scienza nel campo degli esperimenti
con la natura, scritta dal curatore.
Seneca, Lucio Anneo
Dialoghi
a cura di Carena Carlo
traduzione di Manca Gavino
Einaudi, agosto 1995
pp.500, £.17.500.
Contiene sette scritti filosofici: La
Provvidenza, Fermezza del saggio,
La vita felice, Vita contemplativa, La
tranquillità dell’animo e la brevità
della vita. Ogni dialogo è preceduto
da un’introduzione e da un commento. Testo originale a fronte.
Sciuto, Italo
La felicità e il male: studi
di etica medievale
Franco Angeli, luglio 1995
pp.229, £.32.000.
L’autore analizzando il significato che
i concetti di male e di felicità assumono nell’ambito del pensiero medievale, dedica ampio spazio alla concezione agostiniana del male come privazione del bene. Nella teoria agostiniana si ricava un’immagine dell’uomo dinamica e conflittuale che è centrata sull’enigma della volontà implicando un interessante confronto con
la filosofia di Nietzsche.
Senner, Walter
Johannes von Sterngassen
und sein Sentenzenkommentar
parte I: Studien
Akademie-Vlg., giugno 1995
pp. 472, DM 128
Sedgwick, P. (a cura di)
Nietzsche. A Critical Reader
Blackwell, luglio-agosto 1995
£ 15
Questo volume riunisce per la prima
volta una documentazione di branichiave selezionati, comprendente le
tre principali tradizioni o metodologie dell’interpretazione di Nietzsche:
la tradizione anglo-americana, quella
tedesca e quella francese.
Serrini, Franco
La filosofia nella storia
della cultura europea:
[da Platone a Popper
alla scoperta della cultura
occidentale]
Firenze Atheneum, maggio 1995
pp.278, £.35.000.
Serrini in questo libro ha affrontato il
problema di come sia possibile fare
una divulgazione della filosofia, convinto che premessa ad una trattazione
strettamente filosofica sia l’introdurre il lettore non specialista nello svolgimento storico che tale disciplina ha
avuto nel corso dei secoli. La filosofia appare in tal modo nella stretta
connessione con le altre produzioni
di pensiero umano e con gli avvenimenti storici che l’hanno condizionata nella proposta e nella soluzione dei
suoi problemi.
Seelmann, Kurt
Anerkennungsverlust
und Selbstsubsumtion.
Hegelsstraftheorien
Alber, luglio-agosto 1995
pp. 160, DM 48
Semerari, Giuseppe (a cura di)
Pensiero e narrazioni: modelli
di storiografia filosofica
Contributi di Alberto Altamura
et al.
Dedalo, luglio 1995
pp.277, £.32.000.
Il libro analizza i modelli materialistico, criticistico e neoscolastico della storiografia filosofica e le principali questioni di metodo sui caratteri del
filosofare contemporaneo, fornendo
un ampio panorama dei rapporti di
discussione tra filosofia, storia della
filosofia e didattica.
Severino, Emanuele
Pensieri sul Cristianesimo
Rizzoli, giugno 1995
pp.320, £.30.000.
Sono contenute in questo libro delle
riflessioni storico-filosofiche sul Cristianesimo.
Severino, Emanuele
Tautotes. Divenire
e destino dell’identità
Adelphi, agosto 1995
pp.300, £.70.000.
Seneca
Seneca: Moral and Political Essays
tr., note a cura di John M. Cooper
Cambridge UP,giugno 1995
UK £14.95
Sgalambro, Manlio
La consolazione
Adelphi, luglio 1995
94
pp.166, £.15.OOO.
Viene descritta la figura del filosofo
edificante che non insegna, che è infallibile, che rappresenta una sospensione teleologica della vita, che si
pone il problema della pazienza, per
giungere a definire l’essenza della
consolazione come consolazione edificante.
Simmel, George
Sull’amore (Lo spirito del tempo)
traduzione di Belluzzo Sara
Anabasi, giugno 1995
pp. 144, £.23.000.
Sono contenute in questo libro le riflessioni sulla vita amorosa di uno dei
più creativi sociologi del Novecento.
L’amore è un “a priori”: non può
“essere prodotto da una molteplicità
di fattori dei quali nessuno, appunto,
è amore”.E’ questa intuizione filosofica che Simmel arricchisce con riflessioni, digressioni e analisi volte a
cogliere la specificità e l’unicità della
relazione amorosa.
Sluga, Hans
Heidegger’s Crisis:
Philosophy and Politics
in Nazi Germany
Harvard UP, giugno 1995
pp. 304, UK £11.95
Questo testo esamina non solo come
i nazisti sfruttarono le idee filosofiche ed usarono i filosofi per farsi
accettare pubblicamente, ma anche
come i filosofi tedeschi sfruttarono i
nazisti. Il libro descrive la crescita,
dalla I Guerra mondiale in poi, di un
potente movimento di destra nella
filosofia tedesca.
Smith, Quentin
Oaklander, L. Nathan
Time, Change and Freedom:
An Introduction to Metaphysics
Routledge, giugno 1995
pp. 224, UK £11.99
Quest’introduzione alla metafisica è
strettamente legata all’idea del tempo. Ci si domanda se ci fu un “inizio
del tempo” e se ci sarà la possibilità di
un “passato infinito” e di un “futuro
eterno”. Il saggio considera che cosa
accade quando le cose cambiano e
quale effetto questo comporti su di
noi e sulla nostra identità.
Smith, Tara
Moral Rights and Political Freedom
Rowman & Littlefield, giugno 1995
pp. 248, UK £19.95
Tara Smith, alla ricerca di poter uscire dall’impressionante aumentare di
rivendicazioni di diritto, offre qui un
resoconto sistematico della natura e
dei fondamenti dei diritti. Il libro
mostra che cosa sia la libertà politica
e dimostra perché essa dovrebbe essere protetta dai diritti.
Sossi, Federica
Mentre l’angoscia si fa guardare:
lo spazio dell’oggetto in Freud,
Heidegger e Kant
Guerini scientifica, luglio 1995
pp.269 £.28.000.
Negli anni in cui Freud interrogherà
di nuovo l’enigma dell’angoscia facendosi accompagnare dal fantasma
NOVITÀ IN LIBRERIA
di Hans, Heidegger ricerca al di là
della paura una situazione emotiva
più originaria e autentica che come
l’angoscia di Hans ci assale con il
volto inquietante dell’indeterminato.Il
gioco che anche Kant aveva intravisto nella contemplazione del bello, si
interrompe d’improvviso di fronte ad
un strano oggetto che suscita in noi un
sentimento sublime. Che si tratti dell’angoscia o della serietà del sublime
ci troviamo comunque esposti nel
grande territorio dell’assenza.
Southern, R.W.
Scholastic Humanism and
the Organization of Christendom
vol. I: Foundations
Blackwell, luglio-agosto 1995
pp. 288, £ 25
Questo è il primo di tre volumi che
considereranno la storia dell’umanesimo scolastico. Questo volume, si
occupa degli anni tra il 1100 ed il
1160 quando furono create le linee
principali del pensiero scolastico e ne
furono stabiliti gli argomenti.
Spinoza Benedictus (1632 -1677)
Trattato teologico - politico:
natura e salvezza
a cura di Arnoldo Petterlini
Zanichelli, luglio 1995
pp.286, £. 25.000.
Questo volume comprende la prefazione e i capitoli 1, 4, 6, 7, 12, 14 e 15
del “Trattato teologico-politico”. La
libertà del filosofare e poi del vivere
umano in tutta la sua drammatica
storicità è stretta tra la rivelazione del
vero che salva e l’immaginazione/
intuito che consente alla ragione di
interrogarsi sulla salvezza.
Splenger, Oswald
Quesiti essenziali. Frammenti
ed aforismi
Guanda, luglio 1995
pp.540, £.50.000.
Vengono affrontati tutti i temi della
riflessione spengleriana, con l’ambizione di collocarli entro un vero e
proprio sistema : metafisica, forma
della civiltà, storia, filosofia della storia e politica.
Spruit, Leen
Species intellegibilis.
From Perception to Knowledge
vol. II: Renaissance Controversies,
later Scholasticism,
and the Elimination
of the Intelligible Species
in Modern Philosophy
Brill, luglio-agosto 1995
FOL 135
Stanziale, Pasquale
Mappe dell’alienazione: da Hegel
al cyberpunk: ad uso
delle giovani generazioni
Erre emme, agosto 1995
pp.176, £.15.000.
In questo libro viene esaminato il
significato dell’alienazione riferita
alle dimensioni dell’essere, dell’avere e del simulare. Per quella dell’essere vengono presi in considerazione
Hegel, Feuerbach e Marx ; per quella
dell’essere Weber, Simmel, Husserl,
Jaspers, Berdjaev, Marcel, Sartre,
Heidegger, Lukács, Bloch, Horkheimer, Adorno, Benjamin, Marcuse,
Fromm, Habermas, Kosik e Heller;
per quella del simulare Freud, Nietzsche,
Marcuse, Lévi Strauss, Althusser,
Foucault, Deleuze, Lacan, Guattari,
Reich, Laing, Cooper, Debord, Vaneigem, Lyotard, Baudrillard, Jameson, Harvey, Virilio e Berardi.
Strinati, Dominic
Introduction to Theories
of Popular Culture
Routledge, giugno 1995
pp. 240, UK £10.99
Si tratta di una guida introduttiva alle
principali teorie di cultura popolare.
Il libro esamina le principali aree degli studi della cultura popolare contemporanea, come le teorie di Adorno e della Scuola di Francoforte, lo
strutturalismo, la semiologia, il marxismo, il femminismo ed il post-modernismo.
Steen, Wim J. van der
Facts, Values, and Methodology.
A New Approach to Ethics
Editions Rodopi, luglio-agosto 1995
pp. 168, FOL 50
La scienza non è libera dai valori e
l’etica non è libera dai fatti. La
scienza e l’etica dovrebbero essere
simili, ma non lo sono. L’autore
indica come la ricerca sull’etica
dovrebbe cambiare, in vista di quanto sopra enunciato.
Strosetzki, Chr. (a cura di)
Juan Luis Vives.
Sein Werk und seine Bedeutung
für Spanien und Deutschland.
Akten der internationalen
Tagung vom 14.-15. Dezember 1992
in Münster
Vervuert, giugno 1995
pp. 259, DM 56
Steinkellner, E. - Much, M.T.
Texte der erkenntnistheoretischen
Schule des Buddhismus
intr. di Heinz Bechert
Vandenhoeck und Rupprecht
luglio-agosto 1995
pp. 137, DM 40
Szondi, Peter
Antico e moderno nell’estetica
dell’età di Goethe
Guerini, agosto 1995
pp.256, £.38.000.
Questo libro è dedicato all’evoluzione della filosofia dell’arte e della poetica tra ‘700 e ‘800 in Germania,
attraverso le monografie sui massimi
esponenti del tardo illuminismo, dello “Sturm und Drang” e del classicismo.
Stelli, Giovanni
La ricerca del fondamento:
il programma filosofico
dell’idealismo tedesco
nello scritto di Fichte
Sul concetto della dottrina
della scienza
prefazione di Vittorio Hösle
Guerini e associati, luglio 1993
pp.265, £.45.000.
Nel libro viene evidenziata la straordinaria attualità teoretica dell’impostazione fichtiana messa a confronto
con il relativismo gnoseologico ed
etico contemporaneo - in particolar
modo con il razionalismo critico di
derivazione popperiana - e con le sue
conseguenze etico-politiche. Alla luce
di tale confronto le profonde e rigorose argomentazioni fichtiane si inseriscono a buon diritto nel dibattito filosofico attuale, in una ideale linea di
continuità con la pragmatica trascendentale di Karl Otto Apel e il neoidealismo oggettivo di Vittorio Hösle.
Tarter, Sandro
La riva di un altro mare.
Alterità, soggettività, giustizia:
a partire da Levinas
Ets, giugno 1995
pp.158, £.20.000.
Vengono analizzate la filosofia del
diritto e la filosofia morale attraverso
l’ esame della storia dello studio della
giustizia.
Taureck, Bernhard H.F.
Die Sophisten
Junius, giugno 1995
pp. 180, DM 24,80
Thiel, Manfred
Versuch einer Ontologie
der Persönlichkeit
vol. III: Die Gestalt
oder die Philosophie
der Gegenwärtigkeit
Elpis-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 650 (parte I), 850 (parte II), DM
380, 420 risp.
Si tratta del terzo volume di quest’opera, diviso in due parti.
Stewart, R.M. (a cura di)
Philosophical Perspectives
on Sex and Love
Oxford UP, giugno 1995
pp. 320, $ 15
Questo libro, riflettendo la tendenza, nel corso degli ultimi vent’anni,
ad esaminare più attentamente la
natura dell’amore e della sessualità
all’interno del contesto filosofico,
presenta, nella sua chiave di eclettica antologia, numerose prospettive
relative ai ruoli ed alle norme sessuali, all’erotismo, alla pornografia,
al femminismo, alla prostituzione,
alla perversione, all’amicizia ed all’amore filiale.
Thielen, Helmut
Diskurs und Widerstand.
Philosophie
der gesellschaftlichen Praxis
Horlemann, giugno 1995
pp. 320, DM 42
Thierry, Yves
Conscience et humanité
selon Husserl:
essai sur le sujet politique
PUF, giugno-luglio 1995
pp. 208, F 168
Questo studio cerca di dimostrare che
la fenomenologia della coscienza,
Störmer, Uta
Über das Gewissen.
Texte zur Begrändung
der Neuzeitlichen Subjektivität
Beltz Athenäum, giugno 1995
pp. 130, DM 24
95
fondata e sviluppata nelle principali
opere di Husserl, permette di pensare
una via soggettiva ed inter-soggettiva
tale da differenziarsi dal suo mondo e
da non cessare però di costituirsi in
relazioni concrete con esso. Il libro è
scritto da uno specialista di Husserl.
Tomatis, Francesco
Ontologia del male: l’ermeneutica
di Pareyson
presentazione di Piero Coda
Città nuova, agosto 1995
pp.197, £.22.000.
Tomatis ha dedicato il presente lavoro all’ultima fase del pensiero di
Pareyson, individuandone la questione principale nel problema ontologico- non soltanto morale- del male.
Nel pensiero dell’ultimo Pareyson vi
è uno sforzo continuo della filosofia
di aprirsi alla comprensione della realtà del male, ricorrendo ai contenuti
veritativi dell’esperienza religiosa.
Tönnies, Sibylle
Der westliche Universalismus
und seine Widersacher
Westdeutscher Vlg., giugno 1995
pp. 250, DM 46
L’universalismo occidentale (che un
tempo veniva chiamato “diritto naturale razionale”) è il fondamento della
democrazia. Tuttavia dalla fine dell’Illuminismo - almeno in Germania non ha più una posizione filosofica:
fu distrutto dalla scienza politica restaurativa del Romanticismo e da allora viene considerato come non fondato scientificamente. Questo testo si
preoccupa di riabilitare l’universalismo occidentale.
Toussaint, Stéphane (a cura di)
L’Esprit du quattrocento:
le ‘De ente et uno’
de Pic de La Mirandole
Champion, giugno-luglio 1995
pp. 398, F 230
La Toscana dei Medici, i dibattiti del
concilio di Firenze sui riavvicinamenti
tra Oriente ed Occidente, il confronto
tra Aristotele e Platone, il grande periodo degli umanisti raffinati e l’affiorare di una mentalità nuova, libera
dalla tradizione delle scuole - questi
gli argomenti trattati nella prima parte. Nella seconda parte di questo libro, compaiono diversi testi di Pico
della Mirandola (in edizione bilingue
latino-francese): De ente et uno, Responsiones....
Ulrich, Konrad
Eine andere Welt.
Naturwissenschaftliche
Korrektur menschlicher
Selbstüberhöhung
Die Blaue Eule, giugno 1995
pp. 392, DM 68
Valdinoci, Serge
Vers une méthode d’europanalyse
L’Harmattan, giugno-luglio 1995
pp. 351, F 180
La europanalyse radicalizza l’esigenza di immanenza che si trova nella fenomenologia husserliana. L’autore getta le fondamenta di un metodo
del reale, libero da tutti i passaggi al
limite tra l’esteriore e l’interiore, o
NOVITÀ IN LIBRERIA
vice versa, che si trovano abitualmente nei lavori filosofici. Il libro
interesserà al pubblico.
Vassallo, Nicla
La depsicologizzazione
della logica: un confronto
tra Boole e Frege
Franco Angeli, giugno 1995
pp.310, £.34.000.
Il presente volume si propone di analizzare la matrice e il destino dello
psicologismo attraverso l’esame critico delle argomentazioni di Boole e
Frege. Nelle rispettive differenze e
similarità Boole e Frege forniscono
due ottiche privilegiate per inquadrare i rapporti tra logica e psicologia
così come quelli tra pensiero e linguaggio nella storia e della filosofie e
della logica.
Visker, Rudi
Michel Foucault:
Genealogy as Critique
Verso, giugno 1995
pp. 288, UK £19.95
Si tratta di una ricostruzione del corpus delle opere di Foucault, dalla sua
prima opera sulla follia, alla Storia
della sessualità.. Visker offre un ritratto di Foucault come di un autore
che non rientra né nella categoria
relativista né in quella positivista, ma
come l’inventore di una nuova analisi
dei meccanismi moderni del controllo e dell’esclusione.
Vogel, Max Werner
Nietzsches Hinterkopf.
Meditationen über
Friedrich Nietzsche
Die Blaue Eule, luglio-agosto 1995
pp. 160, DM 36
Vollmer, Gerhard
Auf der Suche nach der Ordnung.
Beiträge zu einem naturalistischen
Welt- und Menschbild
intr. di H. Albert
Hirzel, giugno 1995
pp. 195, DM 34
Voltaire
Trattato sulla tolleranza
traduzione di Bianchi Lorenzo
Feltrinelli, giugno 1995
pp.152, £.10.000.
Si tratta di una difesa di Voltaire di un
commerciante ugonotto, accusato
dell’assassinio del figlio.
Warr, John
Una scintilla nella cenere.
Teologia e ribellione
Cortina, giugno 1995
pp.130, £.16.000.
Un grande sommovimento ideale,
prima ancora che economico e sociale, ha fornito le principali direttive
intellettuali della nostra stessa modernità: macchina statale e garanzie
per l’individuo, scoperta dell’interiorità e gusto per l’esperimento.
Weiland, R. (a cura di)
Philosophische Anthropologie
der Moderne
Beltz Athenäum, giugno 1995
pp. 250, DM 48
Weis, K. (a cura di)
Bilder vom Menschen
in Wissenschaft, Technik
und Religion
Westdt. Vlg, giugno 1995
pp. 570, DM 64
Dietro a tutte le nostre azioni, così come
a tutti i discorsi della scienza e all’esperienza quotidiana si trovano delle precise idee, delle rappresentazioni dell’essere umano. Gli autori analizzano le
diverse concezioni dell’essere umano,
prendendo in considerazione oltre venti settori. L’ambito tematico spazia dall’informatica, la scienza e la filosofia
della tecnica passando per il fondamentalismo, lo sport e la filosofia della
tecnica, per arrivare poi alla ricerca sul
cervello ed anche al Buddismo.
White, Stephen K.
The Cambridge Companion
to Habermas
Cambridge UP, giugno 1995
UK £12.95
Il volume esamina il contesto storico ed intellettuale da cui emerse
l’opera di Habermas ed offre una
panoramica delle sue idee principali. Gli argomenti trattati sono: i suoi
rapporti con la Scuola di Francoforte della teoria critica e Marx ed i
suoi contributi alla filosofia delle
scienze sociali.
Widmann, Joachim
Effizientes Denken.
Die logischen Grundstrukturen
von Algebra und Geometrie
Ars Una, luglio-agosto 1995
pp. 288, DM 88
Weiss, Paul
Being and other Realities
Open Court, giugno 1995
pp. 390, UK £19.95
In questo testo, l’autore sostiene che
“il compito primario ed essenziale della
filosofia è fornire un resoconto delle
realtà primarie e di evidenziare le loro
precondizioni, interrelazioni e conseguenze primarie”. Egli prende in esame persone, realtà trasformate dall’intervento umano, la natura ed il cosmo.
Williams, Bernard
Making Sense of Humanity:
And other Philosophical Papers
1982-1993
Cambridge UP, giugno 1995
pp. 272, UK £12.95
Questo volume di scritti filosofici è
diviso in tre parti: “Azione, libertà,
responsabilità”; “Filosofia, evoluzione e scienze umane” e, infine, “Etica”. Queste parti contengono saggi
strettamente collegati al libro di Williams del 1993, Ethics and the Limits
of Philosophy.
Wesson, R. et al. (a cura di)
Evolution and Human Values
Editions Rodopi, luglio-agosto 1995
pp. 251, FOL 75
Evolutionary Ethics (“etica evolutiva”), la prima sezione di questo libro
presenta delle ricerche contemporanee relative ad un’area esplorata inizialmente da H. Spencer. Evolved
Ethics (“etica evoluta”) discute dell’evoluzione della lingua e della religione e del loro impatto sul pensiero
morale ed il sentimento. L’ultima sezione Scientific Ethichs (“etica scientifica”), si interroga sull’evoluzione
della natura umana e le implicazioni
di tale natura per la teoria etica e la
politica sociale.
Wisser, Richard
Karl Jaspers. Philosophie
in der Bewährung. Vorträge
und Aufsätze
Königshausen & Neumann
giugno 1995
pp. 318, DM 58
Wittgenstein, Ludwig
Wiener Ausgabe
vol. III: Bemerkungen.
Philosophische Bemerkungen
Springer, giugno 1995
pp. 334, DM 210
Informazioni bibliografiche
relative
alle pubblicazioni italiane
sono tratte
dalla banca dati
della
Le Osservazioni filosofiche e la Grammatica filosofica di Wittgenstein si
basano sui volumi I-X dei manoscritti,
che vanno dal 1929 al 32. Essi vengono pubblicati adesso nella Wiener Ausgabe, nei volumi dal I a V, per la
prima volta in modo filosoficamente
corretto e completo.
Wolf, Jean-Claude
Freiheit. Analyse
und Bewertung
Passagen-Vlg., luglio-agosto 1995
pp. 120, ÖS 196
Wolin, Richard
The Terms of Cultural Criticism:
The Frankfurt School,
Existentialism, Poststructuralism
Columbia UP, giugno 1995
pp. 300, UK £12
Questo testo - inserendosi nel dibattito
tra tre scuole di pensiero, la Scuola di
Francoforte, l’esistenzialismo ed il
post-strutturalismo - riflette sui modi
in cui i precetti dell’Illuminismo, piuttosto che essere stati fondamentalmente
fraintesi, sono falliti storicamente.
Wolters, G. - Lennox, J.G.
(a cura di)
Concepts, Theories
and Rationality in the Biological
Sciences.
The Second Pittsburgh-Konstanz
Colloquium in the Philosophy
of Science, University of Pittsburg
October 1993
UVK, giugno 1995
pp. 408, DM 118
I contributi raccolti in questo volume,
frutto del convegno tenutosi presso
l’università di Pittsburg nell’ottobre
1993, rappresentano il livello attuale
della ricerca in importanti settori della filosofia della biologia.
Wüstehube, A. (a cura di)
Pragmatische Rationalitätstheorien
Königshausen & Neumann, giugno
1995
pp. 320, DM 120
Secondo l’opinione di famosi autori, la
“razionalità” dovrebbe, in primo luogo,
essere considerata come una traccia
normativa, un programma, e dovrebbe,
in secondo luogo, prendere in considerazione molto di più, rispetto a quanto
non abbia fatto fino ad ora, le limitazioni prammatiche al nostro pensiero, alle
nostre azioni ed al nostro giudicare.
Zimmer, Robert
Edmund Burke zur Einführung
Junius, luglio-agosto 1995
pp. 150, DM 19,80
via B. da Maiano, 3
50014 Fiesole (FI)
telefono 055.599941
fax 055.598895
[email protected]
96
Zwierlein, E. (a cura di)
Normalität, Differenz,
Asymmetrie.
Ethische Herausforderungen
im Umgang mit Schwachen und
Fremden
Schulz-Kirchner, giugno 1995
pp. 178, DM 32
(Biblio. it. di M.Mi.; trad. it. di L.T.)
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