INFORMAZIONE FILOSOFICA FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. 50%, Milano. Singola copia: lire 10.000 Copia arretrata: 15.000 Abbonamento a 5 fascicoli: Italia: 45.000, enti 50.000, studenti 35.000; Europa: 55.000, enti 60.000, studenti 45.000; Extra-Europa: 85.000, enti 90.000, studenti 75.000. Redazione, direzione, amministrazione: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714 fax (02) 55015245 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s. r. l. 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DIRETTORE EDITORIALE Riccardo Ruschi COMITATO SCIENTIFICO Mario Agrimi Remo Bodei Giuseppe Cantillo Franco Chiereghin Girolamo Cotroneo Jacques D'Hondt Hans Dieter Klein Antonio Gargano Domenico Losurdo Giovanni Mastroianni Aldo Masullo Vittorio Mathieu Adriaan Peperzak Roberto Racinaro Enrico Rambaldi Paul Ricoeur Paolo Rossi Pasquale Salvucci Hans-Jörg Sandkühler Livio Sichirollo Franco Volpi SEGRETERIA DI REDAZIONE Mariangela Giacomini Anna Malafarina Diana Soregaroli RELAZIONI ESTERNE Luisa Santonocito CONSULENZA GRAFICA E IMPAGINAZIONE Gianluca Poletti PUBBLICITÀ Vittorio Duregon C.so Galileo Ferraris 10129 Torino Tel. (011) 3188854 Fax (011) 3188855 COLLABORATORI Salvatore Bianco Beniamino Capicotto Piero Carelli Alessandro Carli Alessandro Di Chiara Luisella Feroldi Giuseppe Fidelibus Francesca Frontini Stefano Gattei Federico Laudisa Manfredi Mannato Virginio Marzocchi Luciana Pagani STAMPA Pirovano. Tecnologie grafiche, Via della Pace 19, 20098 San Giuliano Milanese DISTRIBUZIONE Joo Distribuzione Via Argelati 35, 20143 Milano 1 * Nel numero 25 di Informazione Filosofica sono stati inavvertitamente omessi, tra i collaboratori, i nomi di Luca Scarantino, Alessandro Di Chiara, Giuseppina Di Lauro, e tra i redattori, il nome di Angela Molinari. 26 EDITORIALE Gentili lettori, dedichiamo questo numero alla memoria di Karl R. Popper, scomparso il 17 settembre 1994. L’insegnamento che il suo esempio di vita e lavoro intellettuale ci lascia è quello di un’inesauribile fede nella ricerca scientifica, di una convinzione profonda, esclusiva, nel significato della libertà e della tolleranza. Nel 1978, Paul Feyerabend, uno degli allievi più brillanti e più critici di Popper, scriveva: «Avevo conosciuto Popper nel 1948 ad Alpbach. Ammiravo la sua libertà di modi, la sua impudenza, il suo atteggiamento privo di rispetto nei confronti dei filosofi tedeschi, che davano peso alle discussioni in più di un senso, il suo umorismo, e ammiravo molto anche la sua capacità di formulare problemi “profondi” in un linguaggio semplice e giornalistico» (La scienza in una società libera, trad. it. di L. Sosio, Feltrinelli, Milano 1981, p.175). É vero! Il Karl Popper, relativamente sconosciuto, del 1948 era sostanzialmente diverso dal posteriore filosofo dell’establishment. Vorremmo tuttavia richiamare qui un testo, successivo al periodo descritto da Feyerabend, nel quale Popper, non ancora divenuto Sir Karl, mostra ancora «la sua libertà di modi» e «il suo umorismo». […] Sono un razionalista. Con il termine razionalista intendo dire un uomo che desidera comprendere il mondo e imparare discutendo con gli altri. (Si noti che non dico che un razionalista sia un sostenitore dell’errata teoria secondo cui gli uomini sono completamente o prevalentemente razionali). Con «discutendo con gli altri» intendo, più specificamente, criticandoli, provocando la loro critica e cercando di trarne insegnamento. L’arte di discutere è una forma particolare di quella di combattere con parole anziché con spade, ed è ispirata dall’interesse di avvicinarsi alla verità sul mondo. Non credo alla teoria corrente secondo la quale, allo scopo di rendere feconda una discussione, chi vi partecipa debba avere molto in comune. Al contrario, credo che più è diverso il loro retroterra, più feconda sarà la discussione. Non c’è neppure bisogno di un linguaggio comune per iniziare: se non ci fosse stata la torre di Babele avremmo dovuto costruirne una. La differenza rende feconda una discussione critica. Le sole cose che devono avere in comune i partecipanti ad una discussione sono il desiderio di sapere e la buona volontà di imparare dall’altro, criticando severamente le sue idee - nella versione più forte che se ne può dare - e ascoltando ciò che ha da dire in risposta. Credo che il cosiddetto metodo della scienza consista in questo genere di critica. Le teorie scientifiche si distinguono dai miti solo in quanto criticabili e suscettibili di modifiche alla luce della critica. Non possono venire né verificate, né rese più probabili. Il mio atteggiamento critico - o, se si preferisce, eretico influenza, naturalmente, anche quello che ho nei confronti dei miei colleghi filosofi. Voi tutti conoscerete la storia del soldato che scoprì che tutto il suo battaglione (a parte lui, naturalmente) non marciava al passo. Io mi trovo costantemente in questa piacevole posizione. E sono molto fortunato perché, di regola, alcuni altri membri del battaglione sono piuttosto disponibili a rimettersi al passo. Questo aumenta la confusione; e siccome non sono un ammiratore della disciplina in filosofia, sono contento finché ci sono abbastanza membri del battaglione che sono sufficientemente fuori passo l’uno rispetto all’altro. Alcune fra le cose che mi irritano e che mi piace criticare sono: (1) Le mode: non credo in mode, orientamenti, tendenze, o scuole, né nella scienza, né nella filosofia. In effetti, penso che si potrebbe benissimo descrivere la storia dell’umanità come la storia delle malattie filosofiche e religiose alla moda. Queste mode possono avere un’unica funzione seria: quella di attirare la critica. Tuttavia, credo senz’altro nella tradizione razionalista di una comunità del sapere e nell’urgente bisogno di preservare questa tradizione. (2) Lo scimmiottamento della scienza fisica: disprezzo il tentativo, fatto in campi esterni alle scienze fisiche, di scimmiottarle praticando i loro presunti “metodi” - misurazione e «induzione dall’osservazione». La dottrina che ci sia tanta scienza in una disciplina quanta è la matematica, o la misurazione, o la «precisione», che vi si trova si basa su un totale fraintendimento. Al contrario, la seguente massima vale per tutte le scienze: non puntare mai a una precisione maggiore di quanta non ne richieda il problema in esame. Per questo non ho fiducia nella precisione: credo che la semplicità e la chiarezza siano valori in se stesse, ma non che lo siano la precisione o l’esattezza. La chiarezza e la precisione sono obiettivi diversi e, a volte, persino incompatibili. Non credo in quella che viene spesso chiamata una «terminologia esatta»: non credo nelle definizioni, e nemmeno nel fatto che esse possano aumentare l’esattezza; e disprezzo in particolar modo la terminologia pretenziosa e la pseudo-esattezza che vi è connessa. Ciò che si può dire lo si può, e lo si dovrebbe di regola dire, con sempre maggiore semplicità e chiarezza. (3) L’autorità dello specialista: non credo nella specializzazione e negli specialisti. Tributando un eccessivo rispetto allo specialista, noi stiamo distruggendo la comunità del sapere, la tradizione razionalista e la scienza stessa. Per concludere, penso, in quanto a ciò, che vi sia solo una via d’accesso alla scienza - o alla filosofia: incontrare un problema, vederne la bellezza e innamorarsene; sposarlo, e convivere felicemente con esso, finché morte non vi separi - a meno che non incontriate un altro e ancor più affascinante problema, o a meno che, in verità, non ne otteniate la soluzione. Ma anche se riuscite a trovare una soluzione, potreste poi scoprire, con vostra delizia, l’esistenza di un’intera famiglia di incantevoli, anche se forse difficili, figli del problema, per il cui benessere potreste lavorare, con uno scopo, fino alla fine dei vostri giorni. (Brano tratto da La non esistenza del metodo scientifico, pubblicata come Postfazione, 1956 al Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I, Il realismo e lo scopo della scienza (trad. it. di M. Benzi e S. Mancini, il Saggiatore, Milano 1984). La scelta e la traduzione italiana del brano, lievemente modificata per ragioni di uniformità, è a cura di Stefano Gattei.) 2 SOMMARIO 5 PROFILO 5 Ricordo di Karl Popper 50 L’immediatezza intuitiva 51 La disputa sul panteismo secondo Vaysse 19 INDAGINE 53 Ritorno di Schelling 19 Filosofia tedesca oggi. 54 Il sigillo di Bruno Il problema dell’uso linguistico apertamente strategico 55 Pragmatismo: promesse e delusioni nella prospettiva pragmatico-trascendentale 29 AUTORI E IDEE 56 NOTIZIARIO 29 Modelli di universo 30 I limiti della conoscenza matematica 59 CONVEGNI E SEMINARI 31 Natura, storia e arte in Merleau-Ponty e Lévi-Strauss 59 La natura in filosofia 32 Per il centenario della nascita di Horkheimer 61 Filosofia e vita civile a Napoli 33 Ricordo di Cioran 61 Dio oggi 34 Psicoanalisi e filosofia 61 Storia e filosofia in Hegel 35 Politica e genealogia in Foucault 62 Alle origini dell’etica 36 La biblioteca del potere 63 La traduzione dei testi a Port-Royal 37 Nuove prospettive sul linguaggio 65 Pareyson, filosofo della libertà 66 Dipendenza e intenzionalità nella fenomenologia 39 TENDENZE E DIBATTITI 67 Valori e cultura universitaria 39 Concezioni estetiche 68 Metafisica tra ontologia e antropologia 40 La ragione di Geymonat 70 Problemi di filosofia della scienza 40 L’uomo e la cura 71 Elias e Foucault: civilizzazione e cultura 42 Sul crollo del comunismo 73 CALENDARIO 42 Incontro tra culture diverse 43 Per una nuova Europa 76 DIDATTICA 45 PROSPETTIVE DI RICERCA 76 Un Socrate...redivivo, in versione elettronica 45 Spinoza in Francia 77 Interventi, proposte, ricerche 47 Joseph Joubert 78 RASSEGNA DELLE RIVISTE 47 Diari di guerra di Sartre 48 Wittgenstein: vita e opere 82 NOVITÀ IN LIBRERIA 49 Nuovi studi su Max Weber 3 PROFILO Karl R. Popper 4 PROFILO qualsiasi altra cosa del genere, è radicalmente sbagliata nonostante sia così diffusa e sia in effetti alla base di tutte le teorie della conoscenza. Con una eccezione: la teoria secondo la quale noi, nella scienza, lavoriamo formulando ipotesi e tentando poi di eliminarle, con congetture, ovvero con il metodo che consiste nell’avanzare ipotesi e nel cercare di confutarle. I brani che seguono sono tratte da alcune interviste appartenenti all’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, curata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in collaborazione con RAI-Videosapere. I colloqui hanno avuto luogo tra il luglio a cura di e il novembre 1989 nella casa di Stefano Gattei Popper a Kenley, nel Surrey; le domande sono state poste da David Miller e da Maria Teresa de Vito. Per evitare parziali sovrapposizioni e ripetizioni, il testo non ha più la forma dialogica originale; sono stati inoltre operati diversi tagli e introdotte alcune modifiche necessarie al passaggio dal linguaggio parlato a quello scritto. La suddivisione interna in paragrafi, così come i titoli rispettivi e i corsivi, sono del curatore. La traduzione dall’originale inglese, a cura di Dario Antiseri e di Florinda Li Vigni, è stata a volte modificata per motivi di uniformità. Karl Popper: il futuro è aperto La scienza su palafitte. Penso quindi che l’induzione sia un mito. Esiste solo un metodo, e cioè quello di procedere per tentativi ed errori, che consiste, ripeto, nel proporre delle ipotesi e nel controllarle criticamente. E’ questo il modo in cui noi dobbiamo procedere. Non abbiamo nessun altro mezzo, e sebbene per questa via possiamo raggiungere, se siamo fortunati, delle teorie vere, non possiamo però mai conseguire la certezza. La maggior parte delle nostre affermazioni ha carattere ipotetico. Noi proponiamo le nostre ipotesi o congetture e le mettiamo alla prova Il problema dell’induzione. per scartare quelle sbagliaLa ragione principale che te, ma in nessun modo posporta a credere all’induziosiamo dimostrarne la verine è che la conoscenza, e tà. specialmente la conoscenQuel che è valido, detto alza scientifica, inizi con l’ostrimenti, è il conflitto di servazione. Si tratta di una ipotesi differenti, di assuncredenza che ritengo sia zioni diverse, e l’individuadiffusa ancora oggi come zione del contrasto e il tenlo è sempre stata in passato tativo di trovare la migliore - solo poche persone, in refra le due ipotesi; ancora, lo altà, si rendono conto che stabilire dei chiari criteri in intervengono le cose non stanno così, e base ai quali giudicare delDario Antiseri che non possono essere la superiorità dell’una o dele così. Qualsiasi osservaziol’altra ipotesi, proponendo Giulio Giorello ne presuppone una grande per esempio che tra due ipoquantità di conoscenze. tesi è migliore quella che E’ necessaria una grande spiega più fatti sperimentaquantità di conoscenze afli dell’altra. Se una ipotesi finché le sensazioni mospiega di più, allora signifimentanee abbiano per noi ca che è più interessante; a cura di Riccardo Ruschi un qualche significato. La non vuol dire che sia più gente dimentica facilmente tutto questo perché ciò che ci vera, ma che è più interessante, e che pertanto conviene colpisce maggiormente è l’informazione momentanea. discuterla per prima, lasciando la discussione dell’ipotesi Ha così origine l’idea che si conosca aprendo gli occhi e più debole solo nel caso che la prima fallisca. le orecchie, osservando ed ascoltando. Si tratta però di un Einstein affermò di avere nuovi controlli per la sua teoria, grande errore, un errore compiuto anche da tanti filosofi. controlli che non potevano essere applicati alla teoria di La percezioni sono molto importanti, ma una percezione Newton. E più volte affermò che se tali controlli, che egli è sempre un’ipotesi. Anche ciò che è chiamato percezio- si augurava venissero realizzati, avessero confutato la ne di una Gestalt è un’ipotesi. Tutte le nostre percezioni sua teoria, egli avrebbe accettato la confutazione. Questo implicano aspettative, ed è l’aspettativa che accompagna è il punto veramente molto importante. Chiunque propole percezioni a dare significato, in senso biologico, ad ne una nuova teoria dovrebbe specificare in quali circoesse. La funzione delle percezioni è quella di formarsi, in stanze egli ammetterebbe di venire sconfitto; o, meglio, base ad esse, un’aspettativa, ovvero di ipotizzare quello dovrebbe specificare in quali circostanze la propria teoria che accadrà negli istanti successivi, cosa che è biologica- crollerebbe. mente molto importante. Possiamo pertanto affermare che ipotesi ed aspettative sono più o meno equivalenti: il Il criterio di falsificabilità. Nelle mie prime pubblicatermine ‘aspettativa’ è, per così dire, l’equivalente biolo- zioni proposi come criterio del carattere empirico di una gico del più sofisticato termine epistemologico ‘ipotesi’ teoria - o del suo carattere scientifico - la falsificabilità, o ‘congettura’. L’osservazione libera da ipotesi non può o controllabilità. Falsificabilità vuol dire che la teoria esistere. Per questa ragione l’idea che la scienza parta può essere sottoposta a controllo, e nel caso fallisca può dalle osservazioni per arrivare ad ipotesi o a leggi, o a essere gettata nel cestino, oppure essere corretta. E Ricordo di Karl Popper 5 PROFILO talvolta le correzioni, pur essendo limitate, possono fare una tremenda differenza: può accadere che una piccola correzione rafforzi la teoria in modo tale che essa finisca con lo spiegare molto più di quanto originariamente non ci si aspettasse. Il falsificazionismo può condurre, in casi estremi, al rigetto totale della teoria, cosa che può essere sbagliata o corretta; oppure, in altri casi, può portare ad un meraviglioso miglioramento della teoria stessa. Tutti i controlli scientifici, gli esperimenti, sono tentativi di confutazione, e rivestono perciò un grande valore, in quanto non si può avere una confutazione senza imparare qualcosa di nuovo ed importante. La risposta alla domanda se la mia teoria sia falsificabile oppure no è: no, non è falsificabile. Mai ha inteso infatti essere una teoria empirica; vuole essere soltanto un consiglio agli scienziati, cosa sicuramente differente. Se guardiamo alla storia della scienza dal punto di vista del mio suggerimento (cioè come una storia di ipotesi e di confutazioni di queste ipotesi), essa apparirà maggiormente interessante e più chiara nel suo sviluppo. Se quanto dico dovesse rivelarsi in disaccordo con la storia della scienza, credo allora che dovrei seriamente dichiarare il fallimento della mia teoria, e concludere che il mio suggerimento non era abbastanza buono, e avrei da riflettere ancora sull’opportunità di dare consigli agli scienziati. qualcosa al di fuori di noi, al di fuori della nostra testa, come, cioè, qualcosa di oggettivo. Le teorie formulate con parole scritte vengono sottoposte ad un ampio numero di persone, ciascuna delle quali, in linea di principio, può criticarle. E’ grazie alla loro oggettività che le nostre teorie possono venire criticate. Il metodo con cui noi ci adattiamo all’ambiente è quello con cui risolviamo i nostri problemi. Esso esige il linguaggio ed è così che ci è possibile sottoporre le nostre teorie a critica oggettiva. Ma in tal modo esso ci offre l’importantissima possibilità di lasciar morire le nostre teorie al posto nostro. E questo è di grande importanza, perché gli animali, per esempio, muoiono se sono portatori di teorie false circa il loro ambiente, e con la loro morte la teoria falsa viene eliminata. Noi, invece, possiamo eliminare la teoria senza morire, anche se ci sono persone che muoiono con le loro teorie, non tanto per le loro teorie. Ragione ed etica. Applicare la ragione all’etica è possibile e necessario. Non possiamo avere etica senza ragione, questo è chiaro. Naturalmente l’etica va oltre la ragione. C’è una bellissima frase di Schopenhauer sull’etica, in cui egli dice che ciò di cui dovremmo vivere è: «non offendere nessuno, non commettere ingiustizia alcuna verso nessuno, ma aiuta tutti meglio che puoi». Questa breve frase di Schopenhauer contiene davvero gran parte, o forse tutti, i principi dell’etica. Ci sono però dei grandi problemi nell’applicarli, e a questi problemi dovremmo applicare la ragione. Intendo gravi problemi etici come, ad esempio, l’aborto, in quanto problemi di questo tipo non possono davvero essere risolti senza ragionare realmente su di essi. E credo che una delle più importanti ragioni in questo problema sia (è solo un esempio) che non si può condannare un bambino non ancora nato ad avere una madre che lo ama talmente poco da essere pronta ad ucciderlo. E’ una tremenda condanna, per un bambino non nato, quella di essere affidato ad una madre che vuole ucciderlo. Questo aspetto è assai differente da quanto usualmente si dice, ovvero il diritto della donna su di sé, eccetera. Ritengo che tutto questo sia secondario. E’ il diritto del bambino di nascere in una famiglia nella quale è amato, ad essere supremo. Possiamo perciò applicare la ragione all’etica, ricavando da ciò molti altri suggerimenti, come, per esempio, che il colore della pelle non debba incidere sulla condizione sociale di un uomo, perché non ne altera l’anima, non ne cambia le intenzioni, non ne decide la bontà o la cattiveria. Il valore della critica. L’altro elemento che, a mio avviso, è realmente decisivo nella scienza, ma molto spesso anche in ambito prescientifico, è l’atteggiamento mentale di critica consapevole. Il metodo consapevolmente critico consiste nel tentare di stabilire se un’ipotesi non sia errata. Abbiamo un problema; formuliamo un’ipotesi e cerchiamo di scoprirne, di nuovo per tentativi ed errori, i punti deboli. Vi riflettiamo e supponiamo che forse in certe situazioni la nostra ipotesi non funzionerà; tentiamo allora di realizzare tali circostanze attraverso esperimenti nei quali, appunto, realizziamo proprio queste condizioni. Con un severo e consapevole controllo andiamo alla ricerca dei nostri errori, e in questo consiste il metodo critico che esiste, credo, solo a livello umano. La critica che raccomando deve essere ragionevolmente priva di attacchi e di insinuazione personali, e di altre cose del genere. Deve essere, cioè, una critica della teoria oggettiva, che mostri che possono esserci errori nella teoria oggettiva e che possa quindi venire usata per migliorare la teoria, correggerla e renderla più vicina alla verità. Il tipo di critica che desideriamo avere nella scienza in relazione al metodo ipotetico è la critica razionale, che è critica delle ipotesi. L’atteggiamento critico costituisce l’elemento umano del nostro adattarsi all’ambiente, adattamento che è il compito principale, biologico, della scienza. E’ importante notare una cosa: deve trattarsi di una critica praticata rigorosamente nell’interesse della ricerca della verità, una critica tesa alla scoperta delle teorie false, degli errori, al fine di eliminarli, e quindi apprendere da essi e avvicinarsi alla verità. Questo atteggiamento critico è un atteggiamento umano, ed è possibile solo perché noi abbiamo il linguaggio, che è appunto tipico dell’uomo. Il linguaggio ci permette di formulare le nostre teorie come Ottimismo. Sono persuaso che il mondo occidentale abbia imparato ad usare la ragione, e che ne faccia un buon uso. Ci sono ovviamente dei problemi, ma in questa parte del mondo sembra che tutti i problemi possano essere risolti per mezzo della discussione, attraverso il confronto verbale, attraverso la ricerca di un comune giudizio, o attraverso giudici demandati a risolvere casi di dispute fra le parti o fra individui, fra singoli individui o fra organizzazioni. Certamente molte cose in questo mondo potrebbero andar meglio, ma c’è molta gente che lavora per migliorarlo: abbiamo medici eccellenti, abbiamo progressi im6 PROFILO pressionanti nel settore dell’assistenza negli ospedali, in quello delle cure mediche, e così via. Abbiamo il modo di prevenire i governi dannosi: possiamo far sì che vengano sostituiti. Questi sono progressi enormi, e noi dovremmo essere consapevoli di averli conseguiti. Invece ci viene costantemente detto che viviamo in un mondo totalmente insoddisfacente. Ci raccontano continuamente di pericoli che possono esistere, ma che non sono nulla in confronto alle grandi conquiste che abbiamo realizzato. Ed è pericoloso non sottolineare, costantemente e con forza, che abbiamo raggiunto tali conquiste, perché questo fa sì che la gente abbia la sensazione che non si possa fare di meglio, che non sia possibile migliorare. Possiamo migliorare, abbiamo dimostrato che possiamo costantemente cambiare le cose in meglio. Credo sia importante imparare che viviamo in un mondo che non solo è molto bello, ma anche profondamente giusto: un mondo fondato sulla giustizia, che non è sempre esistito, e dove certamente molto si può migliorare. Ma è un buon mondo, un mondo in cui tanta gente, molta più di quanto avremmo mai potuto immaginare, può viaggiare, può divertirsi, può studiare. Ci sono più università, si può studiare di più, quasi tutti hanno la possibilità di influenzare il proprio mondo per il meglio. Non possiamo davvero dire che questo sia un mondo brutto o irragionevole. Ovviamente esistono dei pericoli, come l’aumento troppo rapido della popolazione e, probabilmente, l’abuso delle droghe, inclusi l’alcool e il fumo. Penso che questi pericoli possano essere, e che di fatto siano, combattuti. Se avremo successo in questa lotta, non so: non sono un profeta; sono però convinto di poter valutare la situazione attuale con le sue conquiste meglio di quanto tanta gente possa fare, in quanto gli uomini sono influenzati dalle ideologie, e l’ideologia è estremamente pericolosa. L’ideologia sostiene che viviamo in un mondo orribile, il che è semplicemente una menzogna. Ed è una menzogna cattiva e pericolosa, perché scoraggia la gente e la rende infelice, contribuisce ad aumentare il tasso dei suicidi, alimenta il terrorismo. A forza di sentirsi ripetere che il mondo è così brutto, la gente finisce col credere che non ci sia nulla di male nel renderlo un poco più brutto uccidendo qualche persona con atti terroristici. Questi sono dunque dei grandi pericoli, ma credo che uno dei mezzi per combatterli sia liberare la mente delle persone dalla menzogna, che viene loro continuamente ripetuta: che viviamo, cioè, in un brutto mondo. siamo costantemente assediati da tremendi pericoli; è importante non alimentare nelle persone le immagini di uccisioni, le terribili immagini di violenza, che così spesso ci vengono mostrate. Ho insegnato nella scuola elementare e in quella media, e so per esperienza che ai ragazzi non piace vedere film nei quali accadono cose terribili. Stringono le mani prima di serrare le palpebre: devono venire domati per diventare capaci di assistere alla violenza. E questo è ciò che facciamo ai nostri figli: li educhiamo a tollerare la violenza, a considerare la violenza come qualcosa che accade dappertutto, che non può essere evitata e alla quale ci si deve abituare. Penso che tutto questo sia terribile e che, così facendo, minacciamo la nostra stessa sopravvivenza. L’altra cosa terribile che i media ci fanno, oltre a diseducare sistematicamente i nostri figli, è terrorizzare i giovani e gli adulti. Raccontano costantemente loro le storie più pericolose circa il collasso del loro universo, la Terra. I media raccontano che la Terra è il nostro unico pianeta, che non abbiamo nient’altro (verissimo), che dobbiamo tenerla in ordine ed evitare che le accadano cose irreparabili (verissimo). Ma poi si spingono oltre e raccontano che il collasso è imminente, che c’è un buco sopra il Polo Sud. E con queste terribili e sciocche storie (sciocche secondo me e secondo l’opinione della maggioranza degli scienziati ragionevoli) cercano di minacciarli. Perché? Perché avvertono che solo in questo modo la gente può essere intrattenuta. Penso ci siano altre forme di intrattenimento, mentre questo tipo di intrattenimento minaccia la nostra sopravvivenza. Credo perciò che i media, a meno che non intendano rappresentare la maggiore minaccia alla nostra sopravvivenza, debbano imparare ad usare il loro immenso potere con grande cautela. Non sono un sostenitore della censura, ma sono per l’autodisciplina e per l’autodidattica. Così stanno oggi le cose: le persone che lavorano nei media sono esse stesse vittime della loro stessa propaganda: credono nella verità di ciò che ci mostrano. Ma questo è un errore, ed essi dovrebbero piuttosto considerare la possibilità di mostrarci anche gli aspetti belli e buoni della nostra vita, intrattenendoci in modo diverso. Il futuro è aperto. Quando dico che «il futuro è aperto», in realtà, ho in mente soprattutto il futuro dell’uomo e quello della società. Questa tesi, che il futuro è aperto, è diretta in particolare contro quella concezione che io chiamo «storicismo». Si tratta della concezione secondo la quale il futuro non è aperto e che noi possiamo effettivamente prevedere quanto accadrà. Lo storicismo asserisce che esistono leggi dello sviluppo storico, e che se solo conoscessimo queste leggi potremmo, almeno a grandi linee, prevedere il futuro. Nella nostra epoca gli storicisti più importanti sono i marxisti; la loro teoria dice che è possibile predire quello che accadrà nella storia, che ci sarà uno sviluppo verso una società senza classi, che sarebbe meravigliosa. Questo sviluppo, secondo il marxismo, è la via verso la dittatura del proletariato; prima della dittatura, naturalmente, ci sarebbe la rivoluzione sociale che, come tutti sanno, si verificò nel 1917 in Russia, e che avrebbe dovuto poi attuarsi in tutto il mondo. La rivoluzione Educazione e mezzi di comunicazione. Il pericolo maggiore sta nel minacciare la gente, nella ripetizione costante della tesi che viviamo in terribile pericolo, per esempio nel sostenere che siamo minacciati dalle bombe atomiche. Credo che la probabilità di un utilizzo delle bombe atomiche sia molto bassa. Ovviamente dipenderà in larga misura da noi stessi, ma dobbiamo sperare che sapremo evitare una guerra atomica. Esistono dei pericoli, fra i quali quello che le nazioni più piccole possano impadronirsi di bombe atomiche [Popper si riferisce all’enorme numero di testate atomiche immesse sul mercato nero dopo il dissolvimento dell’U.R.S.S., ndr.] e questo può rappresentare un pericolo molto grande. Penso però sia importante che non venga ossessivamente ripetuto che 7 PROFILO mondiale sarebbe seguita ovunque dall’instaurazione della dittatura del proletariato, conquistando così il paradiso della società senza classi. E’ una predizione storica fondata sull’analisi compiuta ne Il Capitale. In quest’opera Marx, dopo aver analizzato le tendenze generali dell’evoluzione della società, studia soprattutto quelle relative alla società capitalista, e formula le sue predizioni. Il fondamento di questa sua concezione è da rintracciare in un certo tipo di determinismo: l’idea base sta nel sostenere che noi non siamo liberi. Neppure i capitalisti sono liberi: al pari di qualsiasi altro individuo essi sono catturati dal meccanismo della società e del suo sviluppo storico, così che sono costretti ad agire come agiscono. Pertanto, sebbene debbano venire combattuti e distrutti, i capitalisti in realtà non possono essere biasimati, in quanto agiscono soltanto costretti dalle forze storiche e sociali. Contro una siffatta concezione, allora, io affermo che il futuro è aperto, nel senso che in ogni momento infinite possibilità per quanto potrà accadere nell’immediato futuro. Alcune di queste possibilità sono molto remote, e si può dire che siano davvero trascurabili. Ma altre possibilità sono davvero reali, e sono numerosissime. Ciò che accadrà dipende in parte da fatti accidentali, in parte da quanto effettivamente ed attualmente esiste. La questione di fondo, a mio avviso, è che dobbiamo essere consapevoli del fatto che esistono possibilità aperte. Ed è questo che intendo quando dico che il futuro è aperto. Fra tutte queste possibilità c’è quella, per noi, di influire su quello che avviene con le nostre speranze e le nostre valutazioni. Con “apertura” intendo, in senso ampio, che noi possiamo scegliere quei valori che sentiamo come valori portanti, per noi e per la nostra vita. La valutazione è caratteristica della vita, sin dalle sue prime origini. I primi organismi hanno problemi di sopravvivenza. E i problemi significano, fra le altre cose, che noi andiamo alla ricerca di soluzioni, che, cioè, ricerchiamo qualcosa di meglio della situazione in cui ci troviamo. Se un organismo unicellulare fugge, diciamo, da un luogo molto caldo e si dirige verso un luogo più fresco, esso sta cercando di migliorare la sua situazione vitale. Ma l’idea di miglioramento contiene, in realtà, l’idea di valore. Se parliamo di miglioramento, parliamo allora di qualcosa di meglio e di qualcosa di peggio, e queste sono valutazioni. E’ così che la vita, fin dai suoi primissimi inizi ha creato i valori in questo mondo, che prima della comparsa della vita non ne aveva. Problemi e valori appaiono nel nostro universo soltanto attraverso la vita, e assumono un’importanza immensa per tutti gli esseri viventi. Noi tutti siamo solutori di problemi, e sempre, in ogni istante, ci troviamo in situazioni problematiche da risolvere. E soluzione di problemi significa valori, significa compiere delle valutazioni. Ebbene, sin dagli inizi, questi valori si sono evoluti insieme alla vita. E uno dei più grandi valori, che tutti gli esseri viventi hanno caro, è la libertà: la libertà di azione, la libertà di migliorare la propria situazione, di risolvere i propri problemi. In tal modo diventa chiaro che dietro ai nostri valori c’è l’immensa esperienza della vita, c’è l’evoluzione della vita. E tra questi valori, penso, la libertà è quello più generale. Poi, una volta che l’umanità ebbe sviluppato linguaggio e fu in grado di comunicare, si può dire che l’altro valore più importante divenne la verità. I valori, dunque, hanno un’immensa rilevanza. Quando parlo di futuro aperto, allora, non intendo soltanto che noi non possiamo impedire quello che accadrà, ma intendo anche che quanto accadrà sarà influenzato da noi e dai nostri valori. Questi ultimi sono nostre invenzioni, ma non arbitrarie: sono grandi invenzioni degli esseri umani, come, ad esempio, i valori raggiunti nella musica dai grandi compositori, o quelli dei grandi scienziati che si sforzano di risolvere i problemi in modo astratto e di migliorare la nostra conoscenza della verità. Ingegneria sociale gradualistica. Nel mio libro Miseria dello storicismo ho cercato di spiegare che la politica potrebbe essere qualcosa di simile all’ingegneria sociale, nel senso che essa cerca di raggiungere certi fini utilizzando determinati mezzi, ed è appunto quanto avviene in ingegneria. La politica, però, non può essere quel tipo di pianificazione per il futuro su scala globale che gli storicisti hanno in mente, ma deve essere quella che io descrivo come ingegneria sociale gradualistica [piecemeal social engineering]. Proposi questo termine come una sfida, per sottolineare provocatoriamente la necessità di una certa modestia nell’ambito dell’ingegneria sociale. Tale termine è stato criticato e discusso moltissimo. Le parole, però, non contano. Ciò che era, ed è importante in questa idea è che solo se noi facciamo certe cose, soltanto se cerchiamo di soddisfare un certo bisogno sociale per mezzo di determinati provvedimenti politici, si potrà constatare se le nostre misure non portino effettivamente al risultato opposto a quello che ci proponevamo di ottenere. E questo perché molto spesso le nostre azioni producono il risultato contrario a quello che vogliamo raggiungere. Soltanto dei modesti tentativi possono venire sufficientemente controllati ed ispezionati nelle loro conseguenze, al fine di essere ragionevolmente sicuri del fatto che queste conseguenze corrispondano almeno approssimativamente a quello che si voleva che fossero. Modesti non significa necessariamente piccoli, ma certamente vuol dire che non dobbiamo essere prigionieri di un’ideologia totalizzante, servirla, ingoiarla, costringere la gente ad accettarla, e così via. Con tutto ciò non sono contrario alla passione che i riformatori hanno verso le riforme, quanto piuttosto al loro sogno di onnipotenza: al sogno stando al quale noi possiamo davvero cambiare la società, così che tutto sia meraviglioso. E’ questo tipo di passione che io considero molto pericolosa e seriamente irrealistica. Quei riformatori che hanno cercato di realizzare il paradiso in terra hanno in realtà sempre costruito qualcosa di simile all’inferno. Dobbiamo combattere i mali piuttosto che cercare di instaurare il bene perfetto. Quest’ultima è l’idea di quanti hanno cercato di rendere felice l’umanità nella sua totalità, e di solito l’hanno invece resa, di fatto, infelice. Si dovrebbe, molto semplicemente, riparare la scarpa soltanto dove questa fa male; si dovrebbe guardare dove la scarpa è troppo stretta e cercare lì di allargarla. Non è una buona cosa, ogniqualvolta sentiamo che qualcosa non va in una scarpa, comprarne subito una nuova, perché la nuova scarpa può fare più male della vecchia. Solo 8 PROFILO dopo averla provata e sentito dove essa può venire riparata cercheremo di ripararla. Questa è una buona cosa, perché è così che riusciamo ad avere un problema chiaro, definito in modo sufficiente perché noi siamo in grado di vedere se il nostro lavoro su di esso è riuscito a far sì che la scarpa non faccia più male, se ne ha fatto una scarpa migliore. Questa è l’idea fondamentale, questa è la modestia che ho in mente. L’utilitarismo, come si sa, consiste nell’idea della più grande felicità per il maggior numero di persone. Quello che è effettivamente possibile è in primo luogo eliminare le disgrazie più grandi, poi, successivamente, quelle un po’ meno grandi, e così via. E molto è stato fatto in questo senso, solo che la gente non lo sa. Questa è una delle difficoltà del miglioramento sociale: che la gente prende questo miglioramento per garantito. Libertà e pacifismo. In questa prospettiva è ovvio che la pace, non solo la pace interna (che viene certamente per prima), ma anche quella esterna sia immensamente importante, perché solo quando avremo conquistato la pace potremo uscire dal problema militare, generato dalla crescita degli armamenti. Kant era ben consapevole che se la sua idea di libertà fosse stata in qualche modo abbracciata e avesse vinto, ciò avrebbe significato la pace sulla terra. Per questo scrisse Zum ewigen Frieden, (Per la pace perpetua), e lo cominciò descrivendo una visita ad un’osteria all’esterno della quale era appesa un’insegna dove era raffigurata una pietra tombale di un cimitero accanto a una chiesa, e sulla tomba era scritto «in pace perpetua». Riferito questo fatto, Kant si chiese se quella del cimitero fosse la sola pace perpetua che noi possiamo conoscere. Nel seguito, poi, descrive la via alla pace e descrive Libertà e convivenza quella che egli chiama la Lega delle nazioni. Dobpacifica. È tuttavia di estrebiamo infatti ricordare che ma importanza sapere che l’espressione Lega delle si può abusare anche della nazioni (quella in qualche libertà. Il problema centrale della vita sociale è quello, modo “fallita” Lega delle nazioni) è presa da Kant. secondo me, di avere tanta Ebbene, Kant scrisse che libertà per ognuno quanto è questa Lega delle nazioni compatibile con quella dedeve essere lo scopo assogli altri. È una formulazione kantiana del problema: Kant luto della politica dell’umanità. Questo è il fine cui sostiene che la vita sociale dovrebbe essere strutturata dobbiamo tendere se vogliamo instaurare l’ideale in base al fine per cui ognudella minima limitazione, no goda della massima lidella limitazione strettabertà possibile, tenuto però mente necessaria, della noconto dell’importantissima e significativa restrizione stra libertà nella società. Credo che egli avesse rache la libertà di un indivigione, e che vedesse più duo non deve ostacolare o lontano di alcuni nostri coridurre la libertà degli altri. siddetti anarchici radicali o O, per dirla diversamente, la libertà deve venire limitafilosofi anarchici, che ritengono che gli Stati odierta in modo tale da divenire Annotazioni di Popper su Einstein più o meno uguale libertà ni non siano necessari. I nostri Stati sono invece neper tutti. Naturalmente un simile ideale non può venire conseguito completamente, cessari, specialmente per la difesa: è questa, oggi, la funzione principale di tutti gli Stati esistenti, ed è una ma è certo una finalità astratta cui mirare. Il problema sociale fondamentale è il seguente: deve funzione molto restrittiva. Essa impone allo Stato una esserci una qualche restrizione della libertà, a causa del funzione tipicamente paternalistica, secondo la quale fatto che della libertà si può fare cattivo uso. È importan- esso deve intervenire così come un padre interviene con te, secondo me, capire che questo è un problema generale i propri figli. Solo lo Stato sa quali armi sono disponibili; fondamentale, altrimenti dovremmo ammettere che ci noi non lo sappiamo, e dobbiamo essere d’accordo su siano individui che, in nome della propria libertà, uccida- qualsiasi cosa senza un’effettiva e completa informazione. Si tratta di una situazione altamente insoddisfacente, che no altre persone. In breve, il vivere insieme pacificamente implica una può essere sostituita solo da qualcosa di simile alla federacerta restrizione della libertà di ciascuno, affinché ognu- zione di cui parlava Kant, da una Lega delle nazioni. no possa avere il massimo della libertà che è possibile Allo stato attuale il disarmo unilaterale è ancora una conseguire nella convivenza sociale. Credo che sia que- follia: deve essere chiaro a tutti. sto il fine cui aspiriamo. Sono pacifista già dai giorni precedenti alla prima guerra 9 PROFILO mondiale. La mia famiglia era di tradizione pacifista, e così i miei genitori. Tuttavia, già allora era chiaro che il disarmo non debba venire unilateralmente. Penso che il disarmo unilaterale, e tutti gli atti in suo favore, abbiano favorito lo scoppio di tutte e due le guerre mondiali. Una politica pacifista può essere estremamente pericolosa e diventare uno dei pericoli di guerra, contribuendo di fatto allo scoppio della guerra. Così chi è sinceramente per l’instaurazione della pace perpetua, della pace sulla terra, non deve appoggiare il disarmo unilaterale. Il disarmo unilaterale è un grande sbaglio politico. programma filosofico. Questa idea non soltanto ha reso gli scienziati più coscienti di quello che stavano facendo, ma ha anche dato uno scossone ad alcune ideologie che avevano pretese scientifiche, come il marxismo e la psicanalisi. In conclusione, direi, il contesto in cui Popper si muove è pre-neopositivista, mentre le sue soluzioni sono decisamente anti-neopositiviste. D. Consideriamo, ora, la comunanza dei problemi tra Popper e il neopositivismo. Se il Circolo di Vienna considera l’induzione e la verificazione, Popper si rifà alla deduzione e alla falsificabilità. Lei non pensa che, data questa opposizione, Popper si limiti a rovesciare la struttura epistemologica già esistente, senza sostituirla in modo radicale? D. Professor Antiseri, la filosofia di Popper si snoda attraverso due tematiche, quella epistemologica e quella politica, che spesso e volentieri si intrecciano in una matrice comune. Comincerei aldi lora ad analizzare la tematica epiAdriana stemologica, per poi passare a Santacroce quella politica ed infine considerarne l’origine comune. Un primo livello di analisi può essere quello di tentare una contestualizzazione storica del discorso epistemologico. Mi riferisco al rapporto di Popper con il Circolo di Vienna. E’ possibile riscontrare un legame tra la concezione popperiana e le tematiche affrontate dal neopositivismo logico? Intervista a Dario Antiseri R. No! Popper nega l’esistenza dell’induzione e dimostra che la falsificazione è il solo metodo che funzioni. In questo modo Popper nega un programma di ricerca e ne assume un altro. C’è un volumetto di Heinrich Gomperz, Die Wissenchaft und die Tat (La scienza e l’azione) del ’34, che dice che, nonostante sull’induzione si discuta da quindici anni, solo ultimamente, grazie a Kraft, si è compreso che questa non esiste. D. Entriamo in ambito teoretico. La metodologia popperiana è caratterizzata da due tendenze: una soggettivista - mi riferisco all’importanza delle intuizioni creative nella formulazione delle teorie - e una oggettivista, che si manifesta sia nell’esigenza di un metodo rigoroso, quello falsificazionista, sia nella posizione di un ideale regolativo di verità che legittimi la crescita della conoscenza. Non è possibile riscontrare qui un soggettivismo di fondo ed un oggettivismo soltanto preteso? R. Sicuramente esistono legami, anche se di problemi e non di soluzioni. Per esempio ci sono i problemi dell’induzione, dei protocolli o del realismo, che hanno affrontato sia i neopositivisti, sia Popper, dando risposte diverse. Il vero legame, però, è tra Popper e la Vienna prima del neopositivismo logico. Basti ricordare pensatori come Kraft, che nel ’12 e nel ’25, ne Il Metodo della scienza, parla di uno scienziato che fa le sue presupposizioni e trae le conseguenze, o come Mach che, in Conoscenza ed errore, sottolinea il ruolo delle ipotesi. Pensiamo anche alla psicanalisi: la battaglia di Popper contro la psicanalisi, non falsificabile, era già nota a Vienna: basti pensare a Karl Kraus, che attacca la psicanalisi perché non è controllabile; o a Friedell che, in Storia della cultura contemporanea, dice che la psicanalisi non è scienza. Del resto la stessa asimmetria logica tra conferma e smentita, cioè l’impossibilità di verificare un asserto universale, invece falsificabile, era un’idea presente in quasi tutta l’Europa già dalla fine dell’Ottocento. Nella mia introduzione al libro di Naville, La logica delle ipotesi, ho mostrato come in Francia Poincarè e Duhem, in Inghilterra Weywell, e in Italia Enriquez, Vailati o Colozza (citato da Mach in Conoscenza ed errore quasi come un postpopperiano raffinato) avevano pensato alla scienza in modo popperiano. Anche il termine “falsificazione” era già noto: ad esempio Lewis, nel ’28, porta l’esempio dei “Cigni bianchi”, che può essere falsificato e non verificato; o Dickens che, in David Copperfield, dice nel primo capitolo: «questa mia storia può essere verificata o falsificata». Il merito di Popper sta nell’aver fatto di quest’idea di falsificazione un sistema di pensiero e un R. No! Penso di no. La questione riguarda il programma di Kant che Popper rielabora. Per Kant noi poniamo sul mondo le categorie che sono universali e immutabili, mentre per Popper le categorie sono le teorie, linguistiche e variabili. Il problema, che Popper individua come il tema del realismo, è allora capire perché la scienza e la tecnologia, che dipende direttamente dalle teorie scientifiche e che costituisce il mondo artificiale in cui viviamo, funzionano e hanno questo potere sulla realtà. L’oggettività di Popper risiede in questo. Le categorie, le intuizioni popperiane, servono per catturare il mondo reale attraverso la creazione di mondi possibili, cioè di ipotesi coerenti, e il loro controllo. Dobbiamo tener conto del fatto che noi abbiamo una definizione di verità, ma non un criterio di verità. Una teoria è vera, infatti, se corrisponde ai fatti, ma non è possibile verificare le conseguenze infinite della teoria stessa. Ecco perché abbiamo il compito di falsificare tutte le teorie scientifiche: prima falsifichiamo una teoria e prima la comunità scientifica sarà messa in quella stringente necessità di inventare una teoria migliore. L’oggettività della teoria consiste proprio nella sua controllabilità, che le permetta di funzionare nella realtà. D. A proposito del realismo, Lei sa che Feyerabend, ad esempio, ha rivolto diverse critiche a Popper. Mi riferisco 10 PROFILO a Contro il metodo, testo nel quale Feyerabend dimostra come Galileo non ha mai utilizzato il metodo falsificazionista, ma anzi ha utilizzato trucchi e propaganda. esiste, invece, un altro tipo di linguaggio, quello descrittivo, nato con le idee di verità, di falsificazione e di controllo che, grazie allo scontro dei miti a Mileto, ha portato alla genesi della filosofia. Mileto era una città R. Penso che sia possibile dimostrare che le critiche di marinara, luogo di arrivo di merci e divinità nuove che, Feyerabend a Galileo sono meno “contro il metodo” di grazie al loro scontro, hanno portato alla nascita della quanto si possa immaginare. Facciamo degli esempi. filosofia. La matrice linguistica è quindi senza dubbio Feyerabend imputa a Galileo l’uso delle ipotesi ad hoc. A determinante. questo proposito Popper afferma che le ipotesi ad hoc Quello che è interessante, inoltre, è che il metodo sciennon sono eterne, nel senso che oggi possono essere ad tifico popperiano è addirittura usato dall’evoluzione biohoc, e quindi il loro uso è scorretto dal punto di vista del logica: nel momento in cui compare una mutazione metodo, ma non è detto che domani le ipotesi non siano biologica, l’ambiente fisico la seleziona. Nella scienza più valide. È il caso di pasuccede la stessa cosa: emergono nuove congettudre Clavio che sosteneva che la luna era circondata re, cioè altri dati, e avviene da una sfera di cristallo. la selezione. Ecco perché possiamo definire questa Al tempo di Galileo l’ipotesi era ad hoc; oggi non epistemologia evoluzionistica. lo è più. Inoltre, secondo Feyerabend, Popper sostieLa differenza tra l’ameba e ne che tra due teorie noi Einstein è che all’ameba dobbiamo scegliere quella dispiace sbagliare, mentre con il maggior contenuto Einstein è stuzzicato dalinformativo, senza precisal’errore, perché eliminerà re che una teoria che oggi gli errori precedenti. Penmi dice meno, che è meno siamo ad Oppenhaimer, che controllata, domani avrà un diceva che la fisica va avanti contenuto maggiormente perché non sbaglia mai due controllabile e io la potrò volte allo stesso modo. assumere come ipotesi di Augusto Murri, fisico bolavoro. Ebbene, credo che lognese, diceva che tra i tutti convengano nel dire manuali che si studiano alla che questa è una buona reFacoltà di medicina manca gola. Ancora Feyerabend il manuale più importante, afferma: «Popper dice che il manuale degli errori. Octra due teorie deve essere corre apprendere dai nostri scartata quella con la base errori e dagli errori altrui. empirica che la contraddiCioè essere non dogmatici, ce. Ma io dico che talvolta ma aperti alla critica e albisogna assumere una teol’alternativa perché la logiria che è contraddetta». A ca della scienza non è quelben guardare, quando Galila dell’assenso collettivo, leo dimostra la rotazione ma quella della competidella terra con l’esperimenzione. Questo è davvero to della torre, notiamo che Paul K. Feyerabend, Thomas S. Kuhn molto importante: la scienFriedrich A. Von Hayek, Imre Lakatos egli non assume una teoria za è uno scontro continuo contraddetta, bensì distrugtra due teorie ed avanza ge la base empirica tolemaica, confermando quello che proprio per questo. Competizione deriva da cum petere, dice Popper. Secondo me Feyerabend radicalizza quello e cioè ricerca fatta insieme, collaborazione in forma che in Popper c’è già: il caso Galileo non fa che confer- agonistica. La competizione diventa, in questo modo, la mare la teoria popperiana. più alta forma di collaborazione. D. In ogni caso, Feyerabend ha il merito di aver compreso l’importanza del linguaggio come costitutivo dei fenomeni. Pensiamo, come riferimento, a B. L. Whorf, che Lei ha spesso citato. D. Questo vuol dire che le teorie scientifiche nascono sempre da un problema irrisolto. Feyerabend dice, invece, che la scienza spesso non nasce da problemi ma da questioni di gusto. R. Certamente! Anche Popper, che si richiama a Bühler, lo fa. Questi colloca la nascita del linguaggio descrittivo al tempo del mito. Noi sappiamo che anche l’animale ha un linguaggio espressivo che lo fa urlare; nell’uomo R. Sì! Ma se non ci sono problemi, non ci possono essere questioni di gusto; il gusto può esserci, ma non è sufficiente. Deve esistere il problema, che poi potrà anche essere propagandato, come dice anche Feyerabend, oppure no. 11 PROFILO D. Nel contesto della scoperta scientifica, secondo Popper, gioca un ruolo particolare la metafisica. Essa fornisce i quadri concettuali e caratterizza la nostra mente. Che valore ha la metafisica per Popper? quindi razionale: esistono teorie filosofiche che all’epoca sono teorie indecidibili. Pensiamo, ad esempio, alle antinomie kantiane, che sono libere scelte delle coscienze. Comunque, anche ridimensionando l’interpretazione del Circolo di Vienna che, con una lettura affrettata, diceva che con Popper la metafisica “se la passava bene”, non possiamo non riconoscere a Popper il merito di aver riconosciuto l’importanza del ruolo della metafisica nella scienza. R. Ecco un’altro contrasto con i neopositivisti. Mentre i neopositivisti sostenevano che la metafisica è da eliminare, Popper ha fatto capire, in primo luogo, che non è possibile eliminare la metafisica lanciandole improperi e, in secondo luogo, che la metafisica è determinante all’interno dell’impresa scientifica. La scienza, infatti, è impossibile senza idee metafisiche che le facciano da presupposto. Ad esempio, come diceva anche Einstein, il realismo, l’idea di un mondo ordinato o la ricerca della verità, sono presupposti tipici della scienza. Per questo la metafisica è sensata. Inoltre la metafisica è socialmente rilevante, perché gli uomini si fanno anche ammazzare per idee metafisiche e questo gioca un ruolo anche nei riguardi della scienza. In terzo luogo, esistono teorie che sono programmi di ricerca metafisici: ad esempio il materialismo storico, che ha fatto nascere teorie scientifiche. Non solo questa metafisica è sensata, socialmente rilevante, ma costituisce un fondamento per la scienza. Per di più Popper non ha mai eliminato la metafisica e la filosofia; al contrario di Wittgenstein, che ha negato l’esistenza della filosofia in opposizione alle scienza, Popper ha affermato l’esistenza di autentici e genuini problemi filosofici. Per esempio: possiamo fondare in modo razionale i nostri valori ultimi? Dio esiste o no? Possiamo prevedere il nostro futuro? Oppure: cosa corrisponde nella realtà effettiva ai concetti collettivi come “la sociologia”? Questo è il problema degli universali: esiste solo l’amore o esistono gli innamorati? Popper ha cercato di difendere alcune idee filosofiche e di combatterne altre - ha combattuto la dialettica e lo storicismo, ha scelto il realismo etc... Se, però, le teorie scientifiche sono scelte attraverso i fatti che possono falsificarle, le teorie filosofiche, necessitano di un altro criterio che le renda razionali: la loro criticabilità. Una teoria filosofica è criticabile quando può scontrarsi con qualche pezzo di Mondo 3, all’epoca consolidato, al quale, all’epoca, non siamo disposti a rinunciare. Per esempio quando Popper parla di storicismo, cioè di tutte quelle filosofie che credono di aver trovato la legge di sviluppo della storia umana, lo definisce “misero”, perché non è possibile costruire un autopredittore scientifico. Secondo Popper, ci rendiamo conto che la storia umana dipende in gran parte dalle conoscenze che hanno gli individui, ad esempio la tecnologia. Per questo, poiché la scienza di oggi non prevede la scienza di domani, che dipende dalla tecnologia di domani, nessuno può sapere come sarà la società di domani. Ad esempio, se si scoprirà una fonte di energia non inquinante, questo cambierà tutti i nostri rapporti futuri. Se è vero questo pezzo di Mondo 3 (cioè che non si può costruire un autopredittore universale), tutto lo storicismo crolla. La critica filosofica, quindi, non avviene grazie ai fatti, come nelle teorie scientifiche, ma grazie allo scontro con pezzi di Mondo 3. In questo modo, la falsificabilità è un caso della più ampia criticabilità. Tuttavia non sempre una teoria filosofica è criticabile e D. Passiamo ad un altro argomento. Nell’analizzare la metodologia popperiana, Lei ha sottolineato un forte legame tra la falsificabilità e l’ermeneutica di Gadamer. R. Ultimamente, a Cesena, ho tenuto una conferenza in cui ho affrontato questo tema. Nell’80 esposi quella Teoria unificata del metodo, in cui ho confrontato l’epistemologia popperiana e il metodo gadameriano. In più passi Popper sostiene che il metodo scientifico si risolve in tre parole: problemi, congetture e confutazioni. Inoltre dice che il metodo è uno solo, ovvero che il metodo di interpretazione dei testi è lo stesso metodo delle scienze naturali. Questa teoria, che ad esempio Albert ha tanto criticato, è stata ripresa recentemente da Marco Vozza e da Gianni Vattimo che, in Oltre l’interpretazione, ha riconosciuto i miei parallelismi. Secondo Popper gli ermeneuti, non sapendo cosa sono le scienze naturali, le attaccano, non sapendo bene, però, cosa dire. A proposito del circolo ermeneutico, Gadamer afferma che quando incontriamo un testo, siamo una precomprensione, cioè un insieme di pregiudizi: facciamo incontrare, quindi, il testo con il contesto. Se un brano del testo “urta” con la nostra interpretazione, dobbiamo cambiarla. L’interpretazione non è altro che una congettura circa quello che il testo dice e che dovrà essere controllato. Per di più l’esperienza dell’interpretazione è negativa: anche quando diciamo comunemente che abbiamo fatto un’esperienza, vogliamo dire che finora non abbiamo visto le cose correttamente. La negatività dell’esperienza ha dunque un valore produttivo. Il critico testuale non fa altro che ricostituire il testo come era all’inizio e lo fa con ripetuti controlli. D. Se, però, in Gadamer il metodo, in senso classico, non esiste, in Popper, il metodo che cos’è? R. In fondo, Gadamer afferma che il circolo ermeneutico è il metodo delle interpretazioni, in cui ogni revisione di un progetto iniziale comporta la possibilità di abbozzare un nuovo progetto di senso. Il rapporto con il testo mette alla prova l’attendibilità dei nostri preconcetti. Quando si vuole risolvere un problema non si può fare altro che fare congetture e metterle alla prova; questo vale in fisica, in biologia e in tutte le scienze. Secondo Popper questo metodo è utilizzato sia nelle scienze, sia nelle discipline umanistiche. D’altra parte, l’unicità del metodo è stata difesa anche da altri prima di Popper. Ad esempio Von Liebing dice che intelletto e fantasia sono per il nostro sapere ugualmente necessari e ugualmente giustificabili. Tutti e due hanno la loro parte in tutti i problemi di fisica, medicina, economia politica, storia e linguistica. 12 PROFILO Naville sostiene che la presenza dell’ipotesi ci mostra che tradizione. Noi leggiamo il mondo attraverso il linguagle nostre idee, all’origine, non sono che supposizioni che gio che diventa, in Popper come in Gadamer, la casa hanno valore solo dalla conferma sperimentale. A questo dell’essere. Su queste cose hanno parlato Marco Vozza e proposito è interessante ricordare che il giorno di Natale Axel Bhüler. del 1919 Einstein pubblicava a Berlino, nel «Berliner Tageblatt», un articolo intitolato: Induktion und Deduk- D. Continuando nel parallelismo, sappiamo che Gadamer tion in der Physik, dove affermava: «l’immagine più rifiuta le categorie metafisiche classiche (come quelle di semplice che ci si può formare della scienza empirica si soggetto e oggetto). In questo modo, è ancora possibile basa sul metodo induttivo: fatti singoli vengono scelti e parlare di soggetto in Popper? raggruppati in modo da lasciare emergere con chiarezza la relazione legiforme che li connette. Tramite il raggrup- R. Per Popper il soggetto è molto importante ed è il pamento di questa regolarità è possibile conseguire ulte- soggetto cartesiano. Ricordiamo il triadismo popperiano: riormente regolarità più gemondo 1, 2 e 3 nel quale nerali fino a configurare [...] l’individuo è una persona un sistema più o meno unilibera, creativa e responsatario tale che la mente che bile. D’altra pare anche guarda le cose a partire dalGadamer, essendo antistole generalizzazioni raggiunricista e antimarxista, rivate per ultimo può usarle a luta il soggetto. ritroso per via puramente logica e pervenire di nuovo D. E il pregiudizio che fine a singoli fatti particolari. fa? Popper, considerando Ma i progressi realmente il pregiudizio come costigrandi nella conoscenza tutivo del processo scientidella natura si sono avuti fico, non si pone in antitesi seguendo una via quasi diacon Bacone e con l’illumimetralmente opposta a nismo, considerati, in fonquella dell’induzione. Una do, i padri della scienza? concezione introduttiva dell’essenziale complesso R. Il pregiudizio non viene di cose porta il ricercatore svalutato. L’uso antillumialla proposta di un princinista e antiromantico della pio ipotetico o di più printradizione, e cioè il recupecipi del genere. Da un prinro, ma non l’idolatria, della cipio o sistema di assiomi tradizione, conduce Gadamer lo scienziato deduce per via a far sopravvivere alcune puramente logico-deduttitradizioni e a eliminarne va le conseguenze in maaltre. Comunque, possiamo niera più completa possibiprendere Gadamer e Popper le. Queste conseguenze, e trovare punto per punto in estraibili da principi, venentrambi l’identità del nugono poi messe a confronto cleo di fondo metodologico. con le esperienze e forniscono grossi limiti alle giuD. Passiamo ora alla politistificazioni del principio ca. Quali sono le compoPopper negli ultimi anni ammesso. I principi-assionenti, i caratteri reali delmi e le conseguenze formal’Open Society di Popper? no una Teoria. Ogni individuo colto sa che i più grandi Tenendo conto del razionalismo critico come logica del progressi nella scienza della natura hanno avuto tutti dissenso e dell’antidogmatismo, come deve essere effettiorigine per questa via: per via ipotetica. Una teoria è vamente una società aperta? sbagliata qualora c’è un errore logico nelle sue deduzioni; oppure quando un fatto non si accorda con uno dei suoi R. Innanzitutto la Società è aperta a più valori, a più principi. Mai può venire dimostrata la verità di una teoria, partiti, a più visioni del mondo filosofiche e religiose, a perché mai si saprà se anche nel futuro si scoprirà più proposte per la soluzione dei problemi e alla maggior un’esperienza che contraddica le sue conseguenze [...]». quantità di critica. Popper descrive l’Atene di Pericle notando come questa sia aperta allo straniero e quindi al D. E per quanto riguarda il linguaggio? È ancora uno mondo. Atene è aperta non solo alle merci che porta lo strumento in mano al soggetto o è invece un evento? straniero, ma anche alle idee, ai valori, ai comportamenti. Gli ateniesi confrontano questi valori e mettono in diR. Anche per Popper il linguaggio è evento, in quanto è scussione i propri, per scegliere il meglio. Questo perché legato al Mondo 3 e alla conoscenza di sfondo che è la Atene sa che non esistono posizioni ultime e definitive. 13 PROFILO E’ il contrario dell’utopia, situata sempre in un’isola lontana proprio per stare lontana dai traffici, dal confronto e quindi dalla ragione; mentre la filosofia nasce a Mileto, dove c’erano i traffici, gli altri, gli dei. Solo la fallibilità garantisce la nostra libertà. La società aperta, allora, è una società aperta al maggior numero possibile di visioni del mondo, ma non a tutte. Non è aperta all’intollerante, perché così la società si autodistruggerebbe e negherebbe la sua fallibilità. Inoltre, se l’intolleranza ha sempre una radice gnoseologica, il fallibilismo ha sempre una matrice morale. Ad esempio, le guerre di religione sono nate perché c’è stata la presunzione di “sapere” chi sia il dio giusto e imporlo agli altri. Ciò avviene anche in etica, dove il valore è assoluto e lo si impone; o nel marxismo, dove il proletariato “deve” dominare il mondo. Al contrario il tollerante in etica è colui che dice che non può fondare in modo assoluto il suo valore e lo lascia come scelta della coscienza. L’utopia è intollerante, è violenta. Dietro la società chiusa sta sempre la presunzione di sapere come stanno veramente le cose. La chiave che apre la società aperta è la fallibilità della conoscenza umana; dobbiamo tollerarci proprio perché siamo esseri fallibili. eliminare la violenza. Inoltre la televisione fa parte di un sistema formativo delle coscienze. In Italia un bambino a sei anni ha visto 1800 scene di violenza. La televisione, che fa diventare naturale ciò che è assurdo, abitua alla violenza e quindi va contro lo Stato di diritto. Ecco il perché della patente televisiva: serve un giuramento come per i medici; è necessaria una censura e una corte che giudica. D. Esiste un legame tra la concezione di Popper e la Free Society di Feyerabend? In questa, però, il razionalismo costituisce una tradizione al pari delle altre che, proprio per questo, non devono essere prevaricate; mentre in Popper il razionalismo critico costituisce la garanzia dell’apertura e della libertà. «Il mio sogno programmatico è metafisico». Che con tale affer- Il sogno mazione Karl Popper avvii alla metafisico conclusione la sua opera più impe- di Popper gnativa dopo la Logica del 1934, il Poscritto alla Logica della scoperta scientifica (in particolare vol. III, La Teoria dei quanti e lo sci- di sma nella fisica, trad. it. Il Saggia- Giulio Giorello tore, Milano 1984, p. 202), può stupire solo chi riduce il pensatore viennese a un positivista sui generis che avrebbe liquidato le pretese della metafisica attraverso un criterio di demarcazione, che assume la falsificabilità delle teorie (e non la verificabilità) come tratto distintivo del pensiero scientifico. Già in una lettera (1933) a Erkenntnis (poi diventata la prima delle “Appendici” incluse nella versione “inglese”, del 1959, della Logica) Popper aveva osservato che «considerando la questione da un punto di vista storico, [la metafisica] è la fonte da cui rampollano le teorie delle scienze empiriche» (tr. it., Einaudi, Torino 1970, p. 348, corsivo mio) e nel paragrafo 85 della stessa Logica aveva fornito alcuni esempi (l’atomismo, l’idea di un unico “principio” fisico, la teoria corpuscolare della luce, ecc.). Eppure la Logica della scoperta scientifica, in entrambe le versioni (1934 e 1959), resta un testo sostanzialmente privo di casi storici, stilisticamente non molto differente dalle opere più significative dei positivisti logici, con cui Popper era a suo tempo entrato in polemica. E’ nel Poscritto, invece, che si fanno esplicitamente i conti con la storia. Ritengo che tale slittamento possa venir compreso tenendo conto della revisione (che caratterizza tutti e tre i volumi del Poscritto) relativa alla pretesa di ogni proposta metafisica «a essere considerata almeno provvisoriamente come vera» (III, p. 203). Più precisamente: «Non penso più, come un tempo, che ci sia una differenza fra scienza e metafisica su questo importantissimo punto. Ritengo che D. Per concludere, è possibile riscontare una matrice comune, filosofica ed etica, nelle due problematiche, epistemologica e politica, che caratterizzano il pensiero di Popper? R. I principi epistemologici sono anche principi etici. Io devo ascoltare l’altro; devo essere aperto all’altro. Hayek, amico di Popper diceva: «La nostra libertà si basa sulla nostra ignoranza. La conoscenza di tempo e di luogo è parziale, smentibile e diffusa tra milioni e milioni di uomini. Ognuno deve ammettere che non sa tutto. E’ sull’ignoranza che si basa la libertà di proporre e di criticare». R. L’Occidente ha creato una scienza razionale che, ad esempio, ha eliminato le malattie infettive e ha diminuito la mortalità. E’ possibile rifiutare questi risultati e isolarsi. Ma le tradizioni non sono tutte uguali: la danza della pioggia non è equiparabile alla chirurgia. Io credo che neanche Feyerabend si sarebbe buttato dal terzo piano o non si sarebbe fatto curare in ospedale! Inoltre la Free society ha al suo interno spezzoni di chiusura, perché il diffondere certe tradizioni diventa un valore assoluto, che nega l’apertura della società. D. Pensando al panorama politico attuale, Lei collocherebbe Popper più facilmente in uno schieramento di destra o di sinistra? Non crede che la critica al marxismo non sia sufficiente a collocare automaticamente Popper nella destra conservatrice? R. Così formulata, la domanda non si pone. Destra e sinistra sono categorie storiche; in Popper il problema è un altro, è se noi vogliamo una società in cui l’individuo è libero e le sue esigenze sono soddisfatte. Questo è il pensiero liberale, che si manifesta anche nel libero mercato. In ogni caso Popper non direbbe “destra” o “sinistra”, ma direbbe che ha un metodo per risolvere i problemi. Sulla questione, ad esempio, dei mezzi d’informazione Popper direbbe che ci vuole la competizione e la legge anti trust. Il problema è sempre lo sesso: non chi deve comandare, ma come controllare chi comanda. Proprio di televisione Popper ha parlato poco prima di morire. Noi sappiamo che lo stato di diritto cerca di 14 PROFILO una teoria metafisica sia simile a una scientifica» (III, p. 203). Anzi, chiarisce Popper, «ogni teoria razionale, non importa se scientifica o metafisica, è tale solo perché è in rapporto con qualcos’altro - perché è un tentativo di risolvere certi problemi, e si può discutere razionalmente solo in rapporto alla situazione problematica con cui è collegata» (Ibidem). Nel primo volume del Poscritto (Il realismo e lo scopo della scienza) Popper introduce l’idea di un programma metafisico per la scienza come quel quadro concettuale da cui il ricercatore «deriva il suo scopo - ciò che egli considererebbe una spiegazione soddisfacente, una reale scoperta di ciò che è “nascosto nel profondo”. Sebbene siano empiricamente inconfutabili, questi programmi di ricerca metafisici sono aperti alla discussione; possono essere cambiati alla luce delle speranze che ispirano o delle delusioni di cui possono venire ritenuti responsabili» (tr. it., Il Saggiatore, Milano 1984, p. 208). Vorrei far notare che tale caratterizzazione segue immediatamente a un fondamentale paragrafo (“L’asimmetria tra falsificazione e verificazione”) in cui Popper fa i conti con una celebre obiezione ispirata all’opera di Pierre Duhem, La théorie physique (La teoria fisica, 1904-1906). In fisica, aveva sostenuto quest’ultimo, «quando l’esperienza è in disaccordo con le previsioni, essa [...] insegna che almeno una delle ipotesi costituenti l’insieme [di ipotesi da cui le previsioni sono derivate] è inaccettabile e deve essere modificata, ma non indica quale» (tr. it., Il Mulino, Bologna 1978, p. 211, corsivo mio). Se il falsificazionismo di Popper non è nato (1934) già confutato, è perché esso non si riduce alla semplice “eliminazione” baconiana di un’ipotesi, ma ammette che nella pratica scientifica si controllano sempre «sistemi di teorie e che qualsiasi attribuzione della falsità a un particolare asserto nell’ambito di un tale sistema è sempre estremamente incerta» (Poscritto, vol I, p. 203). Ovviamente, basta assumere che una certa parte del sistema (nonché il resto delle teorie implicate nel controllo) rientri in una sorta di “conoscenza di sfondo non problematica” per dissipare questa incertezza. Ma in questo modo si è solo spostato il problema. Nelle controversie che precedono o Il 28 luglio 1902 Karl Raimund Popper nasce a Himmelhof, una località del distretto Ober St. Veit di Vienna, da una di famiglia di oriStefano Gattei gini ebree: il padre, Simon Siegmund Carl Popper, è un noto giurista, e anche un umanista e uno scrittore di poesie e di romanzi; la madre, Jenny Schiff, proviene da una famiglia di appassionati e cultori della musica. Dal 1917 al 1918 Popper frequenta il Realgymnasium senza essere però soddisfatto dell’insegnamento ricevuto. Una lunga malattia lo costringe ad un’assenza di oltre due mesi, durante i quali decide di abbandonare la scuola e si iscrive all’uni- Karl Popper: nota bio - bibliografica preparano qualche “rivoluzione scientifica” è proprio il confine tra audaci ipotesi e conoscenza di sfondo non problematica a essere messo in discussione. Ridefinirlo dice ancora Popper - è altrettanto difficile quanto «inventare delle nuove teorie» (p. 204). Ma il programma metafisico non interviene proprio qui, nella definizione del confine, e nell’indicazione delle soluzioni promettenti nell’insieme delle soluzioni possibili? E’ stato merito di Imre Lakatos l’aver trasformato, agli inizi degli anni Settanta, questo nesso tra la scelta delle alternative (dopo un preteso scacco di una delle nostre teorie preferite) e la metafisica influente in una vera e propria “metodologia dei programmi di ricerca”. Ciò non sarebbe avvenuto senza l’analisi di Popper della «falsificazione empirica e [delle] sue incertezze» (p. 205). Il recupero della metafisica all’area della discussione razionale (anche se non quella della falsificabilità in senso stretto), l’attenzione alla “situazione empirica”, la rivendicazione che in tutto ciò «è sempre implicito un elemento di libera scelta e di decisione» (p. 204) costituiscono, forse, uno dei lasciti più importanti della riflessione nata con la Logica della scoperta scientifica. Potremmo concludere con uno degli autori preferiti da Popper, Novalis: «Ogni [scienza] ha il suo Dio che nel contempo è la sua meta» (Friederich von Hardenberg, Opera filosofica, vol. II, tr. it. Einaudi, Torino 1993, p. 323). Questa riqualificazione dell’atteggiamento critico attraverso la metafisica, del resto, consente a Popper di chiarire quale sia il suo particolare “Dio” (fuor di metafora, “sogno” o “programma” metafisico): la ricerca di una «visione coerente del mondo», di un mondo «che non rappresenti più una camicia di forza per i suoi abitanti fisici, una gabbia in cui siamo rinchiusi, ma un habitat che possiamo rendere più abitabile per noi stessi e per gli altri» (Poscritto, vol. III, p. 202; esula ovviamente da questo intervento una disamina della soluzione “metafisica” popperiana della questione del determinismo e della libertà, che è implicita in quest’ultima citazione. Essa è altresì al centro del vol. II del Poscritto, dal titolo L’universo aperto. Un argomento per l’indeterminismo, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1984). versità (verrà immatricolato però solo nel 1922, dopo aver conseguito il «Matura»). Fra i suoi insegnanti ci sono Moritz Schlick, W. Wirtinger, P. Furtwängler e Hans Hahn. Progetta di fondare una scuola di campagna e di fare l’insegnante, ma abbandona presto l’idea. Nel 1919 il giovane Karl si considera per qualche mese un comunista; uno scontro fra dimostranti e forze dell’ordine lo induce però a riflettere criticamente sul marxismo. Deluso dal carattere dogmatico del marxismo, se ne allontana definitivamente, rimanendo però per diversi anni un socialista e considerando il socialismo nient’altro che un postulato etico (l’idea di giustizia). In seguito abbandonerà anche il socialismo, convinto che non sia possibile conciliarlo con la libertà: senza libertà non si ha nemmeno uguaglianza. Scopre la “psicologia individuale” di Alfred Adler e la psicoanalisi di Siegmund 15 Freud, che si riveleranno ai suoi occhi come «non scientifiche», a differenza delle teorie di Albert Einstein, che lo impressionano fortemente. Assiste a una conferenza di Einstein a Vienna e ne rimane sbalordito: la teoria della gravitazione e la meccanica di Newton, insieme all’elettrodinamica di Maxwell, considerate fino ad allora conquiste definitive della scienza, vengono messe in discussione. La conferenza viennese è decisiva, rivelando in seguito al giovane studente di fisica la differenza fra la posizione di Marx, di Freud o di Adler e quella di Einstein: l’atteggiamento dei primi è dogmatico (specialmente nei loro seguaci) e va in cerca di verifiche, di supporti positivi per la teoria; quello del secondo è critico, e non mira alle conferme ma alle prove cruciali. Popper matura così un grandissimo interesse per la matematica e per la fisica teorica. PROFILO Tra il 1920 e il 1925 pensa seriamente di dedicarsi alla musica in modo professionale: viene ammesso al Conservatorio grazie a una Fuga in Fa# Minore, composta poco prima; il progetto viene poi abbandonato. Lascia la casa paterna per vivere in una casa per studenti e per non pesare sulla difficile situazione economica della sua famiglia si rende indipendente svolgendo vari lavori. Lavora alla costruzione delle strade, esercita la professione di ebanista e lavora per qualche tempo nella clinica di Adler come assistente sociale per bambini abbandonati. Partecipa alle riunioni della Verein für musikalische Privataufführungen di Arnold Schönberg. Nel frattempo prepara l’abilitazione per l’insegnamento della matematica, della fisica e della chimica nelle scuole secondarie. Va sviluppando le sue idee sulla demarcazione fra scienza e non scienza, ma si dedica soprattutto alla filosofia politica, interesse che si andrà poi ampliando verso una concezione più generale della filosofia. Nel 1925 viene ammesso all’Istituto Pedagogico, fondato in quell’anno a Vienna, e incontra la sua futura moglie, Josephine, che da questo momento gli rimarrà sempre vicina e lo aiuterà moltissimo nel lavoro. A questo periodo risalgono anche le prime esperienze accademiche non ufficiali: organizza e tiene seminari per aiutare gli studenti a superare gli esami; si appassiona alle tesi di Karl Bühler, psicologo della Gestalt e antiassociazionista, suo professore all’università. Durante il secondo anno di frequenza Karl Polanyi lo introduce a Heinrich Gomperz, figlio del grecista Theodor Gomperz. Nel 1928 si laurea e presenta una tesi per il dottorato in filosofia dal titolo: Zur Methodenfrage der Denkpsychologie (Sulla questione del metodo della psicologia ) che segna il suo allontanamento definitivo dalla psicologia. Tra gli anni Venti e Trenta nasce ufficialmente il “Wiener Kreis”. Il Circolo, prima denominato “Verein Ernst Mach”, si riuniva già da tempo attorno alla figura di Moritz Schlick e contava fra i suoi membri Rudolf Carnap, Otto Neurath, Hans Hahn, Viktor Kraft, Philipp Frank, Herbert Feigl, Hans Reichenbach, Richard von Mises, Karl Menger, Gustav Hempel, Friedrich Waismann e Hans Thirring. Neurath porta Popper a conoscenza del gruppo; Feigl, dopo un colloquio «durato tutta la notte», lo incoraggia a scrivere un libro che esprima le sue idee. Nel 1929 consegue l’abilitazione per l’insegnamento della matematica e della fisica nelle scuole secondarie inferiori e nel 1930 ottiene l’incarico di insegnante nella scuola secondaria. Nel 1932 porta a termine, dopo due anni di lavoro, quello che considera il primo volume di un’opera intitolata: I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza. L’opera viene apprezzata da molti esponenti del Circolo, tra i quali Carnap e Schlick, che si dicono disposti a pubblicarlo nella collana degli scritti “ufficiali” del Circolo. Nel 1934 appare la Logik der Forschung (Logica della ricerca), che riceve molte recensioni, tra cui quelle favorevoli di Carnap e di Hempel e quelle critiche di Reichenbach e di Neurath (in Italia appare la recensione di Ludovico Geymonat nella «Rivista di filosofia», n. 27, 1936). Tra il 1934 e il 1935 incontra prima a Praga, e poi a Vienna e a Parigi, Alfred Tarski (dal quale, scriverà, «credo di aver imparato di più che da chiunque altro»), e apprende la «teoria della verità come corrispondenza», cui aderisce subito, ritenendo che coincida con l’idea di verità propria del senso comune. Tra il 1935 e il 1937 lascia l’insegnamento nelle scuole secondarie e compie due lunghe visite in Inghilterra, dove rimane per circa nove mesi. Tiene conferenze su Tarski, sulla probabilità e sullo storicismo a Londra, a Oxford e a Cambridge. Conosce Bertrand Russell, Friedrich A. von Hayek, Isaiah Berlin, Ernst Gombrich (che rimarrà il suo amico più caro) e George E. Moore. Nel 1936 partecipa a un congresso a Copenaghen e discute con Niels Bohr. Nel frattempo la situazione in Europa si fa difficile a causa dei regimi totalitari che si erano imposti in diversi Paesi europei. I membri del Circolo di Vienna si trasferiscono in Gran Bretagna o negli Stati Uniti; nel 1936 Schlick viene ucciso da uno studente nazista sulle scale dell’ateneo viennese: è la fine definitiva del grande movimento culturale sorto attorno alla figura di questo importante fisico. Popper decide di lasciare il Paese e risponde ad un invito del Canterbury University College di Christchurch, in Nuova Zelanda, che gli offriva un incarico di insegnante di filosofia. Alla fine del 1936 anche l’Università di Cambridge gli offre ospitalità accademica; tuttavia, vista la possibilità di mettersi comunque al sicuro in Nuova Zelanda, decide di lasciare il posto ad un allievo di Schlick, Fritz Waismann, anch’egli alla ricerca di un asilo al riparo dalle persecuzioni razziali e politiche. Popper trascorre gli anni della guerra in un clima di eccezionale tranquillità, a costo però di un certo isolamento dal resto del mondo. Si dedica allo studio e riprende la riflessione sulla teoria della probabilità e sulla fisica quantistica; si occupa in modo più sistematico del metodo delle scienze sociali, cui aveva iniziato a interessarsi quando aveva abbandonato il marxismo. All’Università di Otago, a Dunedin, conosce John C. Eccles, che rimarrà suo amico per la vita. Negli anni neozelandesi porta a termine quella che chiamerà poi la sua «fatica di guerra»: La miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici (1943). Le due opere non hanno vita facile: la rivista «Mind» rifiuta La miseria dello storicismo; mentre La società aperta e i suoi 16 nemici non viene pubblicata in quanto considerata irriverente nei confronti di Aristotele (e non di Platone, come verrebbe da pensare leggendo il libro). Solo grazie all’intervento di Gombrich e di Hayek riuscirà a pubblicare La società aperta. Nel 1944 esce invece La miseria dello storicismo. Di lì a poco Popper riceve un telegramma in cui Hayek gli offre un lettorato presso la London School of Economics and Political Science (LSE). Lascia quindi la Nuova Zelanda e ritorna in Europa. Nel 1946 Popper arriva a Londra e inizia ad insegnare alla LSE, diventando direttore del Dipartimento di Filosofia, Logica e Metodo Scientifico. Tra i suoi molti studenti saranno Imre Lakatos, Paul Feyerabend, Joseph Agassi, William Bartley, Czeslaw Lejewski, “Bashi” Sabra, David Miller, e altri ancora. Pur non nascondendo la sua preferenza per le scienze naturali, si dedica ai problemi metodologici delle scienze sociali, cercando comunque di confrontarle a quelle naturali dal punto di vista metodologico. Si dedica anche alla logica formale; incontra il positivismo logico, importato prima della guerra da Alfred J. Ayer con il suo Linguaggio, verità e logica. Negli anni Trenta Ludwig Wittgenstein era ritornato a Cambridge e insieme con altri importanti personaggi di Oxford (John Langshaw Austin e Gilbert Ryle) aveva promosso uno stile di pensiero destinato a diventare noto come “filosofia analitica”. Dopo la seconda guerra mondiale questo era diventato l’approccio canonico alla filosofia in Gran Bretagna; Popper si trova ad essere fra i pochi personaggi di prestigio del Paese a rifiutare, pressoché in toto, la filosofia del linguaggio. Lotta aspramente contro tutti coloro che vogliono ridurre la filosofia a vuoti giochi linguistici, riuscendo comunque a crearsi a Londra una scuola piccola ma molto vivace, che eserciterà un’influenza considerevole sullo sviluppo della filosofia della scienza in tutto il mondo. Le sue idee, sebbene sostenute da scienziati militanti, avranno solo pochi seguaci nell’ambiente filosofico britannico. Nel 1946 vede finalmente la luce La società aperta e i suoi nemici, che riceve subito una buona accoglienza in Inghilterra (in Italia viene recensita da Norberto Bobbio su «Il Ponte», 1946). Nel 1949 diventa professore di Logica e Metodo Scientifico alla LSE. L’anno successivo lascia la città e si trasferisce a Penn, nel Buckinghamshire, dove rimane fino alla morte della moglie, avvenuta nel 1985. Nel 1949 riceve l’invito a tenere le William James Lectures ad Harvard; nel 1950 compie quindi il suo primo viaggio negli Stati Uniti, dove incontra alcuni vecchi amici, come Willard Van Orman Quine e Kurt Gödel, che non vedeva dal 1936. Viene influenzato dall’amicizia con Peter Medawar, premio Nobel per la medicina PROFILO nel 1960, oltre che dal pensiero di Hayek e di Gombrich. L’evento principale è comunque l’incontro con Einstein a Princeton, dopo una sua conferenza dal titolo: Indeterminismo nella fisica quantistica e nella fisica classica, a cui assistono lo stesso Einstein e Bohr. Gli incontri con Einstein furono in tutto tre, e furono tutti incentrati sull’indeterminismo, che Popper sosteneva contro la convinzione einsteiniana che il mondo fosse un universo chiuso, di tipo parmenideo, a quattro dimensioni, dove il cambiamento era molto simile a un’illusione. Popper non viene meno al suo realismo nemmeno quando questo diventa causa di contrasti non solo con Einstein e con Gödel, ma anche con Erwin Schrödinger, un caro amico, con il quale ha sempre mantenuto regolari contatti epistolari dagli anni Quaranta. In America conosce anche Thomas Kuhn, che poco tempo dopo andrà a fargli visita in Inghilterra. Kuhn sarebbe poi diventato molto celebre per la sua critica della metodologia popperiana esposta nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche del 1962. Dal 1950 Popper conduce una vita molto ritirata, sulle Chiltern Hills, dedicandosi con grande energia allo studio e al lavoro. Pur vivendo appartato si reca periodicamente in America, in Australia, in Austria e in Giappone per tenere cicli di lezioni e di conferenze. Dal 1951 al 1956 si dedica alla revisione del suo primo lavoro; quelle che dovevano essere delle semplici appendici acquistano una loro autonomia e assumono gradualmente le dimensioni di una sola omogenea opera, che Popper decide di pubblicare a parte, come secondo volume della Logik, con il titolo: Postscript: After Twenty Years (Poscritto: dopo vent’anni). Nel 1957, quando le bozze sono pronte per la correzione, un grave disturbo agli occhi costringe l’autore a rimandare la revisione del lavoro; si teme addirittura la cecità permanente. Riacquistata la vista altri lavori diventano più urgenti, e il progetto del Postscript viene accantonato. Nel 1959 esce la Logica della scoperta scientifica con una serie di ulteriori note e appendici. Questa edizione fa conoscere l’opera e dà il via a numerose traduzioni in tutto il mondo (in Italia uscirà nel 1970). Dell’ottobre del 1961 è il dibattito fra il razionalismo critico di Popper e di Hans Albert e la Scuola di Francoforte (Habermas, Horkheimer, Adorno e Marcuse) sulla logica delle scienze sociali, che ha luogo a Tubinga in occasione del congresso della Società Tedesca di Sociologia. I saggi più significativi vengono raccolti nel volume Dialettica e positivismo in sociologia, del 1969. Nel 1962 esce La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn, preceduta dal saggio The function of Dogma in Scientific Research (La funzione del dogma nella ricerca scientifica), del 1961. Nel 1963 viene pubblicato Congetture e confutazioni, che raccoglie diversi articoli e alcune fra le conferenze più importanti dei tre decenni precedenti. A Londra, dall’11 al 17 luglio 1965, presso il Bedford College di Regent’s Park, Popper, insieme a Lakatos, Feyerabend, Kuhn, Watkins, Musgrave e Toulmin, partecipa a un Colloquio Internazionale di filosofia della scienza, che vede la contrapposizione delle concezioni dell’impresa scientifica di Popper e quella di Kuhn: gli atti di questo convegno costituiscono uno dei testi fondamentali per lo studio e la comprensione del dibattito epistemologico contemporaneo. Nel 1967, durante una conferenza ad Amsterdam, “Epistemologia senza soggetto conoscente”, enuncia per la prima volta la sua teoria dei tre mondi. Si ritira dall’insegnamento nel 1969 per raggiunti limiti di età e diventa professore emerito della LSE. Inizia così un secondo periodo della sua vita, dedicato completamente allo studio e al lavoro. In Italia, vengono tradotti per la prima volta alcuni suoi saggi epistemologici, raccolti nel volumetto Scienza e filosofia. Nel 1971 esce Rivoluzioni o riforme?, un confronto a distanza fra Popper e Marcuse. Del 1972 è invece Conoscenza Oggettiva, in cui sviluppa e approfondisce la teoria della mente oggettiva. Nel 1974 Popper dà alle stampe la sua Autobiografia in due volumi, che oltre all’autobiografia intellettuale del filosofo presenta numerosi saggi critici sul suo pensiero da parte dei maggiori filosofi e scienziati del secolo. Nel secondo volume sono presenti le Replies to my Critics (Risposte ai miei critici) e la bibliografia completa delle sue opere fino al 1974. Nel 1976 l’autobiografia viene ripubblicata, con lievi modifiche, in un volume autonomo con il titolo: La ricerca non ha fine. Del 1977 è L’io e il suo cervello, scritto a quattro mani con John Eccles, premio Nobel per la medicina nel 1963. In quest’opera Popper riprende la sua teoria della mente oggettiva e dei tre mondi, che era andato elaborando a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, e affronta il problema mente-corpo, facendosi sostenitore del dualismo e dell’interazionismo. Nel 1979 viene pubblicata la versione originale della prima opera di Popper, scritta all’inizio degli anni Trenta: I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza. Mentre nel 1983 esce, grazie anche al lungo lavoro di un allievo di Popper, William W. Bartley III, il Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, diviso in tre volumi: Il realismo e lo scopo della scienza, L’universo aperto e La teoria dei quanti e Lo scisma nella fisica. Nel 1984 viene pubblicato Alla ricerca di un mondo migliore, raccolta di conferenze e saggi che spaziano dalla teoria della conoscenza alla storia, alla musica e alla 17 politica. Del 1985 è invece un’opera scritta a quattro mani con Konrad Lorenz, Il futuro è aperto. Lo stesso anno muore la moglie Josephine; Popper preferisce lasciare la casa che avevano diviso per tanti anni e si trasferisce a Kenley, nel Surrey. Dal 1985 al 1994 l’attività intellettuale continua, malgrado l’età avanzata, e anzi si rafforza; Popper rilascia alcune interviste ai giornali e alla televisione, soprattutto su argomenti di scottante attualità. Nonostante le sue condizioni di salute peggiorino con gli anni, non abbandona la sua battaglia contro l’irrazionalismo e ribadisce la sua fiducia nella scienza, che può essere un valido antidoto anche contro il disastro ambientale. Riceve prestigiosi riconoscimenti internazionali e diventa membro o presidente di prestigiose Accademie e Istituti: British Academy, Aristotelian Society, Istitut de France, Accademia dei Lincei, International Academy for Philosophy of Science, American Academy of Arts and Sciences, etc...; è Visiting Professor in Europa, America (Yale, Princeton, Chicago, Berkeley, Emory), Australia, Nuova Zelanda, Giappone. Nel 1990 pubblica il suo ultimo libro, Un mondo di propensioni, che raccoglie due recenti conferenze sull’interpretazione propensionale della probabilità e sull’epistemologia evoluzionistica. Nel 1992, in occasione del suo novantesimo compleanno, esce in Italia un librointervista, La lezione di questo secolo, dove invita a superare il duopolio destra-sinistra, ad abbandonare le critiche radicali al liberalismo e a recuperare il senso della misura nelle valutazioni delle conquiste delle generazioni passate e nella ricerca delle vie migliori per difendere la pace e la libertà. Si dedica, con molte dichiarazioni e interviste, a quelli che considera i tre più gravi problemi del nostro tempo: la pace, l’esplosione demografica e l’educazione dei più giovani. Esprime grande preoccupazione per il potere «illimitato e irresponsabile» dei mass-media, e denuncia la sua enorme influenza sui bambini, troppo spesso sottoposti, senza filtro alcuno, a immagini e a scene violente. Pubblica un intervento nel volumetto Cattiva maestra televisione (1994). Escono due volumi di interventi e conferenze tenute negli Stati Uniti: The Myth of the Framework e Knowledge the Body-Mind Problem. Il 17 settembre 1994, dopo una vita passata a riflettere sul significato e sullo scopo dell’impresa scientifica, sulla libertà e sulla tolleranza, Karl Popper si spegne all’ospedale di Croydon, poco lontano da casa sua. Unended Quest, la ricerca non ha fine: questo il titolo da lui dato alla propria autobiografia; e questo sembra essere anche l’insegnamento che egli ci lascia, ora che la sua personale ricerca è finita. «Per pochi filosofi - scrive David Miller - la sete di comprendere è rimasta così piacevolmente insoddisfatta. INDAGINE Karl-Otto Apel 18 INDAGINE Karl-Otto Apel, nato nel 1922, è attualmente professore emerito presso l’università di Francoforte sul Meno. Nello sviluppo del suo pensiero, Apel ha dapprima articolato il quadro concettuale di fondo per una trasformazione della filosofia trascendentale in senso non solipsistico-coscienzialistico ma, positivamente, linguistico-comunicativo, tramite una serie di incontri con e di revisioni critiche di alcuni tra i più significativi pensatori del ‘900, artefici della svolta linguisti ca cont em porane a: i nnanzi tut to Heidegger, al quale vanno aggiunti E. Rothacker, T. Litt, e l’antropologia filosofica di H. Plessner e A. Gehlen; l’apporto determinante e perdurante di C. S. Peirce, cui segue di poco il confronto con il tardo Wittgenstein, visto quale momento ricapitolativo degli sviluppi della corrente analitica e quindi possibile punto di convergenza tra quest’ultima e la tradizione ermeneutica; la teoria degli atti linguistici di J. L. Austin e J. R. Searle, letta anche alla luce degli ampliamenti di J. Habermas. Della vasta produzione dedicata da Apel alla filosofia del linguaggio, intesa quale nuova filosofia prima, sono disponibili in traduzione italiana: Comunità e comunicazione (Rosenberg & Sellier, Torino 1977), che raccoglie saggi tratti da Transformation der Philosophie (Trasformazione della filosofia, 1973) e soprattutto Il logos distintivo della lingua umana (Guida, Napoli 1989) versione ampliata di un saggio del 1986. Sulla scorta della necessità-inprescindibilità per ogni soggetto pensante o conoscente (più in generale per ogni agente che sappia quel che fa) del momento linguistico pubblico del discorrere-argomentare, Apel è poi passato a delineare un’originale giustificazione e articolazione di un’etica che, in quanto razionalmente fondata e universalistica, intende rispondere alle sfide che il progresso tecnico-scientifico pone agli individui e soprattutto alle diverse comunità, situate in un mondo reso ormai “uno” da quello stesso progresso. Si tratta sia di favorire l’autonomo contributo di tutti alla consensuale e cooperativa soluzione dei conflitti, sia di garantire insieme la possibilità di una continua revisione critica delle norme già poste. Una breve ma aggiornata esposizione complessiva di questa concezione di “etica del discorso” (Diskursethik) è rappresentata dal volumetto, dello stesso Apel, dal titolo: Etica della comunicazione (Jaca Book, Milano 1992). Una limpida ed acuta introduzione d’insieme al suo pensiero è la monografia di Stefano Petrucciani, Etica dell’argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di K. -O. Apel (Marietti, Genova 1988). Per una presentazione ed un bilancio critico dell’intera produzione etica di Apel si veda invece il saggio di Virginio Marzocchi, L’etica dell’argomentazione di K.-O. Apel: una presentazione e alcune critiche (in «Fenomenologia e società», n. 1, 1994). Il testo che qui viene presentato è stato esposto originariamente da Apel in un seminario organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli; la presente pubblicazione anticipa Filosofia tedesca oggi Il problema dell’uso linguistico apertamente strategico nella prospettiva pragmatico - trascendentale di Karl-Otto Apel a cura di Virginio Marzocchi una raccolta di recenti saggi di Apel, dedicati alla teoria della verità e all’etica, di prossima pubblicazione (presso l’editore Guerini e Associati di Milano) con il titolo: Critica senza fondazione?, che dovrebbe almeno in parte colmare la carenza di traduzioni italiane di questo autore. In questo testo Apel difende la propria concezione trascendentale (filosofico-riflessiva) della pragmatica contro quella form ale (sci entif ico-ri costrut tiva) , delineata da Jürgen Habermas, amico e insieme pensatore contemporaneo a lui più vicino, nonostante la sostanziale convergenza di conclusioni a cui i due diversi modi di giustificazione dell’approccio comunicativo pervengono. Ciò che qui sta a cuore ad Apel è mostrare che i due presupposti fondamentali: 1) avanzamento in ogni atto linguistico, o enunciazione, di quattro, tra loro irriducibili, pretese di va19 lidità - sensatezza, verità, giustezza normativa, sincerità - quali condizioni per l’accettazione dell’atto stesso da parte dell’ascoltatore, ovvero quali condizioni affinché lo scambio di parola consenta non solo di trasmettere informazioni quanto di coordinare consensualmente i parlanti-agenti; 2) riscattabilità-giustificabilità discorsiva di quelle quattro pretese entro una situazione comunicativo-argomentativa che riconosca a tutti i parlanti simmetrici diritti/doveri di problematizzazione, ascolto e parola, non sono in effetti ricavabili, come intende Habermas, da un’analisi concettuale o ricostruzione delle intuizioni implicitamente nutrite dai parlanti nella comunicazione ordinaria (del mondo quotidiano della vita). A tal fine Apel mostra che la comunicazione ordinaria comprende non solo atti linguistici genuinamente orientati all’intesa (che garantiscono la proposta linguistica tramite pretese di validità) e insieme atti linguistici segretamente strategici (nei quali, come accade nell’informazione pubblicitaria o nella propaganda politica, pretese di validità vengono comunque avanzate, sebbene in modo insincero e strumentale), ma anche atti linguistici apertamente strategici (nei quali il parlante non ricorre a pretese di validità, bensì prospetta vantaggi o svantaggi, per ottenere che l’ascoltatore accetti le sue proposte), i quali ultimi, sotto forma di trattative o di forme di pressione “educate” e “civili”, rappresentano una grossa componente della normale coordinazione linguistica. Apel rimprovera così ad Habermas di idealizzare indebitamente la comunicazione ordinaria. Per Apel, l’inaggirabilità delle quattro pretese e della loro riscattabilità argomentativa può essere ottenuta solo tramite una riflessione, da parte del parlante, su ciò che egli necessariamente presuppone, allorché non semplicemente comunica, ma argomenta, ovvero ricorre a quella «meta-istanza insita “a priori” in ogni comunicazione umana» rappresentata dal discorso argomentativo. In tal modo, soltanto la razionalità comunicativa e paritaria, fondamento dell’etica del discorso, può dar conto di se stessa, sia evitando di ricorrere a teorie empirico-costatative, che in quanto tali non sono mai pienamente convalidanti sul piano normativo, sia ponendosi quale istanza critica per ogni consenso fattuale, per quanto diffuso e radicato. V.M. INDAGINE Desidero qui prender posizione su un problema che si è posto in modo netto solo nel corso della discussione critica sull’opera di Habermas, Teoria dell’agire comunicativo (in seguito abbreviata in TAC). Come annunciato nel titolo, si tratta del problema “dell’uso linguistico apertamente strategico”; uso che, secondo TAC, sarebbe da intendersi come alternativo all’ “uso linguistico segretamente strategico” e quindi quale variante di quell’ “agire linguistico orientato al successo” opposto all’ “agire linguistico orientato all’intesa”. In quali termini, nel corso della ricezione di TAC, si è imposto il particolare problema dell’uso linguistico apertamente strategico e quale il motivo che ci indurrebbe ad analizzarlo dalla prospettiva della pragmatica trascendentale? Ad apertura del mio contributo e in assenza di più precise analisi, posso avanzare una risposta solo provvisoria a queste due domande. Ciò vale in particolare per la terminologia, che ho ripreso tale e quale da Habermas. Nella sua TAC, come pure in generale nella sua “pragmatica linguistica”, “universale” o “formale”, Habermas muove dall’assunto che nel linguaggio stesso «sia insito il telos dell’intesa», priva di riserve strategiche. Di conseguenza, egli si propone di mostrare che l’uso linguistico “strategico”, ovvero quell’uso non primariamente “orientato all’intesa”, bensì “orientato al successo”, sta in un rapporto di dipendenza parassitaria con l’originario uso linguistico “orientato all’intesa”. In TAC Habermas ha potuto dimostrare validamente tale rapporto di dipendenza parassitaria solo a riguardo dell’ “uso linguistico segretamente strategico”; vi è comunque riuscito in modo ottimo ed oltretutto puramente descrittivo, senza ricorrere cioè a controversi presupposti filosofici sulle norme dell’uso linguistico. Chi, in modo manipolativo, intende conseguire un effetto “perlocutivo” nel suo ascoltatore, cosicché quest’ultimo, dopo aver dapprima compreso l’atto linguistico (effetto illocutivo), non abbia poi nessuna possibilità di accettarlo o meno sulla base di un giudizio sulle pretese di validità, costui non deve far notare tutto ciò all’altro. Deve cioè simulare, con il suo uso linguistico, di voler offrire all’altro la possibilità di un’ “intesa su pretese di validità”, che invece gli sottrae. In termini sintetici e netti, possiamo dire che chi si propone di persuadere qualcuno di qualcosa, deve simulare di volerlo convincere. Questa descrizione del fenomeno mostra, già di per sé, che chi impiega il linguaggio in modo segretamente strategico, già sa, o riconosce implicitamente, che l’uso linguistico segretamente strategico dipende parassitariamente dall’agire linguistico orientato all’intesa. E’ possibile mostrare allo stesso modo che l’uso linguistico apertamente strategico dipende parassitariamente dall’agire linguistico orientato all’intesa? Questo era ed è l’obiettivo di Habermas. Ma, in TAC, come pure nel corso della discussione che ne è seguita, Habermas non è riuscito, a parere mio e di molti altri critici, a dimostrare la dipendenza parassitaria dell’uso linguistico apertamente strategico. Nel caso dell’uso linguistico apertamente strategico (come ad esempio, secondo Habermas, in imperativi del tipo “Mani in alto (o sparo)!”, o “Fuori i soldi (o t’ammazzo)!”) i parlanti, se la minaccia viene pronunciata sul serio, non simulano affatto; né mostrano in alcun modo di riconoscere, anche solo implicitamente, una qualche sorta di dipendenza parassitaria del loro uso del linguaggio da un uso che presupponga l’intesa su pretese di validità. Può risultare comunque difficile capire prima facie, in che senso l’uso linguistico del rapinatore dinanzi al cassiere di una banca non sia “orientato all’intesa”. In fondo, il rapinatore da modo al cassiere di comprendere il proprio intento e quindi, sebbene in pochissimi secondi, di valutare se sussistano per quest’ultimo buoni (razionali) motivi (di autointeresse), per accogliere l’intimazione del rapinatore. Non siamo in presenza, anche qui, di un’ “intesa” per mezzo del linguaggio? Certamente, non è in gioco in questo caso nessuna pretesa di validità, sulla cui legittimità ci si dovrebbe o potrebbe intendere, ma solo una pretesa di potere o di violenza da parte del rapinatore; mentre le ragioni, che un parlante usa produrre a sostegno delle sue pretese di validità in un discorso orientato all’intesa, vengono sostituite da una diretta minaccia di sanzioni (per così dire), come fa intendere al banchiere la pistola puntata contro di lui. La minaccia (per così dire) di svantaggi è pero una buona ragione per il destinatario di accettare l’atto linguistico. La mia descrizione potrebbe venir giudicata cinica da un punto di vista morale. Ma come è possibile mostrare che l’atto linguistico del rapinatore in linea di principio, ovvero nel senso del telos di ogni impiego linguistico, già presuppone un uso linguistico di tipo diverso, da cui esso dipenderebbe? E come mostrare che quest’uso originario presuppone a sua volta un’ “intesa” nel senso della giustificazione e accettazione dl pretese di validità, come verità, sincerità e giustezza normativa? Anticipando in breve la mia posizione, direi di essere in fondo convinto del fatto che l’intuizione centrale di Habermas sia giusta e profonda. Sono però dell’avviso che i tentativi habermasiani non riescano a giustificare la tesi del parassitismo a proposito dell’ uso linguistico apertamente strategico; e che, oltre a ciò, siano destinati al fallimento. Il motivo del fallimento è, a mio avviso, il seguente: sottoponendo ad una considerazione puramente empirico-descrittiva l’ uso linguistico apertamente strategico, senza ricorrere cioè a controversi presupposti filosofici sulle norme razionali dell’uso linguistico, non è in linea di principio possibile decidere quale uso linguistico (strategicamente razionale o razionale in termini comunicativo-consensuali) sia quello originario e se esista un uso linguistico originario. Ciò significa, a mio avviso, che la questione non può venir decisa sulla base di una pragmatica formale, in quanto quest’ultima è in grado di documentare le presupposizioni dell’uso linguistico in modo in ultima istanza solo empirico-descrittivo. La questione si lascerebbe invece decidere, ed in ciò consiste la tesi che intendo Il problema dell’uso linguistico apertamente strategico nella prospettiva pragmatico trascendentale 20 INDAGINE dimostrare, sulla base di una pragmatica universale intesa quale pragmatica trascendentale; una pragmatica, cioè, che non si ritraesse di fronte al problema di una fondazione ultima riflessiva della razionalità e neppure dinanzi alla questione di un ordine fondativo dei tipi di razionalità. Per sviluppare questa tesi, devo dapprima entrare nel merito dell’aporetica cui, a mio avviso, metterebbe capo il tentativo di soluzione avanzato da Habermas. A tal fine discuterò in primo luogo i presupposti, alquanto singolari, sottesi alla terminologia di TAC. Presupposti che, divergendo notevolmente dalla corrente terminologia della filosofia analitica (ad esempio, da quella in uso nella teoria degli atti linguistici), risultano perspicui, solo se si comprendono gli assunti speculativi, ovvero niente affatto incontroversi fllosoficamente, della pragmatica formale di Habermas. Proprio di ciò, a mio avviso, si avverte la mancanza nella discussione critica fin qui condotta. Se ad esempio, come la maggior parte dei linguisti e gli esponenti di ispirazione empirista della filosofia analitica del linguaggio, si muove dalla convinzione che il linguaggio sia per l’uomo uno strumento o medio neutrale per l’agire razionale rispetto allo scopo, risulterà vano fin dall’inizio il tentativo di render giustizia, in modo ermeneuticamente e criticamente corretto, all’argomentazione habermasiana. Il primo assunto terminologico di TAC, e di gran lunga il più importante, riguarda l’uso di parole e termini come “intesa” (Verständigung) o “orientato all’intesa” (verständigungsorientiert). Habermas si affida qui, palesemente, ad un uso linguistico sistematicamente ambivalente, riscontrabile, a quanto mi è dato sapere, solo in tedesco, ma comunque assente nella lingua francese o inglese. Egli impiega i due termini non solo nel senso stretto di una comprensione del senso (Sinn-Verständigung) resa possibile dalla comunicazione linguistica, bensì nel senso ampio dell’intesa come formazione di consenso (Verständigung qua Konsensbildung) su pretese di validità (quali verità, sincerità e giustezza normativa); inoltre, tali pretese vengono correlate da Habermas a tre riferimenti al mondo e tre funzioni linguistiche (riprese da Karl Bühler): 1. rappresentazione del mondo oggettivo; 2. espressione del mondo interiore soggettivo; 3. appello come richiamo all’ordinamento normativo del mondo sociale. Ne deriva che il modo dell’intesa intersoggettiva che Habermas considera originario, rispetto all’interazione strategica, per la “coordinazione delle azioni”, non mira soltanto alla condivisione di significati pubblici di un linguaggio, ma, oltre a ciò, ad un consenso (Einverständnis) sulla base dell’accettazione delle pretese di validità avanzate nel discorrere oppure delle ragioni adducibili a legittimazione (giustificazione) di quelle pretese nel discorso (argomentativo). Più esplicitamente, Habermas suppone una relazione interna tra la comprensione (nella terminologia di Austin, uptake in quanto “effetto illocutivo”) e la possibile accettazione di atti linguistici; tale relazione interna viene intesa non soltanto, come è corrente nella filosofia analitica del linguaggio, nel senso della relazione (per così dire avalutativa) tra significati comprensibili e possibili condizioni di riscatto delle pretese di validità (come, ad esempio, possibili pretese di verità), bensì, in ultima istanza, nel senso che il telos dell’intesa, insito nell’uso del linguaggio, può compiersi solo nel consenso. In tal modo, grazie ad una sorta di petitio principii terminologica, avremmo già risolto, nel senso voluto da Habermas, il nostro problema, relativo al rapporto di priorità tra uso linguistico apertamente strategico e agire linguistico orientato all’intesa. Dalla prospettiva della semantica analitica e della pragmatica linguistica, infatti, con la sua terminologia Habermas avrebbe già operato una connotazione normativa del concetto di intesa, anticipando tendenzialmente la conclusione, secondo non si darebbe che una sola soluzione comunicativo-consensuale del problema della comunicazione razionale e dunque del problema dell’intesa linguistica in senso ampio. In questa convinzione viene già anticipata a mio avviso la pointe dell’etica del discorso. Ma, è possibile giustificare in chiave di pragmatica del linguaggio questa soluzione, già suggerita dal termine “intesa” (Verständigung), del problema normativo della razionalità dell’intesa? Tutto dipende, a mio avviso, dalla possibilità di rispondere a questa domanda, giacché, in caso contrario, la teoria habermasiana poggerebbe su una petitio principii. Ma torniamo alle connotazioni speculative della terminologia di TAC. In corrispondenza con l’uso enfatico del termine “intesa”, da noi appena analizzato, Habermas impiega in modo molto particolare, quale termine di contrasto, l’espressione “orientato al successo” (erfolgsorientiert). Il termine non viene riferito a quelle intenzioni “perlocutive” di successo (per così dire innocenti), che, in linea con le “convenzioni” dell’uso linguistico, sono collegate secondo Austin a normali atti “illocutivi”: come ad esempio l’intenzione di informare, nel caso di statements, o quella di convincere, nel caso dl argomenti. Discostandosi da Austin e dalla teoria degli atti linguistici che si ispira ad Austin, Habermas non definisce affatto queste normali intenzioni di successo come “perlocutive”; le include invece fra le intenzioni o effetti “illocutivi”, poiché le considera intenzioni di accettazione che possono venir riscattate tramite intesa sulle pretese di validità. Secondo Habermas, dunque, le intenzioni o effetti illocutivi includerebbero, oltre allo “uptake” (la semplice comprensione), anche un effetto che, pur verificandosi o meno nel partner della comunicazione, si produce solo comunque a seguito di un giudizio da parte di quest’ultimo su quanto egli ha compreso (così, ad esempio, non è possibile dire: «Con ciò io ti convinco del fatto che le cose stanno così e così», in quanto l’effettoconvinzione dipende dal giudizio del partner). Ricomprendendo l’accettazione dell’atto linguistico entro il concetto di “effetto illocutivo”, Habermas intende mettere in chiaro che quel successo “perlocutivo” degli atti linguistici, che Austin considera “convenzionale”, appartiene, in quanto successo dell’intesa linguistica in senso enfatico (cioè dell’intesa su pretese di validità), a quel meccanismo di mediazione della coordinazione di azioni che non poggia su un condizionamento strategico-strumentale dell’altro, bensì, per l’appunto, sull’intesa linguistica (a differenza degli effetti 21 INDAGINE perlocutivi non pubblicamente dicibili, come quelli, ad esempio, che si verificano casualmente o tramite condizionamento strategico). Con la sua innovazione terminologica, Habermas viene a contraddire pesantemente, almeno dal punto di vista dell’analisi del linguaggio, il criterio dell’ “io con ciò” proprio degli atti illocutivi, in quanto esso risulta inapplicabile agli atti linguistici volti al conseguimento di consenso (come, ad esempio, nel caso di “Io con ciò ti convinco...”). Questo criterio non esprime null’altro che il divieto di anticipare un “successo” dell’atto linguistico, presso il partner della comunicazione, che vada al di là del successo “illocutivo” nel senso di Austin (ovvero al di là della semplice “comprensione” del senso). In breve, quella innovazione terminologica, con cui si intende adattare il significato di “illocutivo” al significato enfatico di “intesa”, ha ben poche probabilità, a mio avviso, di venir accolta dai rappresentanti della filosofia analitica del linguaggio. E risulta anche superflua per gli intenti di Habermas. Comunque, dovrebbe ormai esser chiaro che anche questa innovazione terminologica tradisce la tendenza speculativa, presente in Habermas, a connettere internamente la comprensione del senso degli atti linguistici non solo con la semplice possibilità dell’ accettazione o non accettazione, bensì con il raggiungimento del consenso (ideale). Corrispondentemente, in TAC, Habermas non ha affatto riferito il termine “orientato al successo” ad atti linguistici normali (che devono pur sempre mirare ad un successo, nel senso della “coordinazione di azioni”) bensì esclusivamente a quegli atti linguistici che intendono conseguire il loro successo non attraverso l’ “uso linguistico orientato all’intesa” ma in certo qual modo direttamente. Tale classificazione dovrebbe applicarsi, però, non solo agli atti linguistici manipolativi (uso linguistico segretamente strategico), ma anche a quegli atti linguistici definiti da Habermas apertamente strategici (uso linguistico apertamente strategico). Riemerge così quel problema da noi prospettato all’inizio e dichiarato irrisolto. In che cosa consistono le difficoltà di Habermas? Una prima difficoltà, a mio avviso, è connessa al fatto che Habermas tematizzi in TAC, quali esempi di uso linguistico apertamente strategico, solo quei casi limite o fenomeni marginali dell’uso linguistico, rappresentati in effetti dai “semplici imperativi” (come lui stesso li definisce), quali ad esempio: “Mani in alto!”; o “Fuori i soldi”. Mostreremo in seguito che questi esempi linguistici apparentemente eccezionali rappresentano, nella loro struttura, un vasto ambito del normale uso linguistico, cui una teoria della comunicazione, non priva di ambizioni sociologiche come è in effetti quella habermasiana, dovrebbe riconoscere un significato non periferico. La ragione del fatto che, in TAC, Habermas non abbia tematizzato a sufficienza quel tipo di impiego linguistico, che io considero normale, risiede, a mio avviso, in una insufficiente consapevolezza riflessiva del fatto che il suo uso enfatico del termine “intesa” rappresenta una anticipazione speculativa della teoria consensuale dell’intesa. E’ pur sempre possibile - e talvolta anche necessario - comprendere l’ “intesa” (Verständigung) nel suo significato avalutativo, ovvero come “comprensione del senso” (Sinnverständigung), astraendo completamente, cioè, da ogni fattuale formazione di consenso su pretese di validità. Se si prende in seria considerazione questa possibilità dell’intesa linguistica, ci si può avvedere facilmente che, entro il normale uso linguistico del mondo della vita, esiste anche una comprensione del senso (Sinnverständigung), non al servizio della formazione di consenso su pretese di validità, bensì al servizio della razionalità strategica rispetto allo scopo. Penso qui al vasto ambito di giochi linguistici e interazioni, costituito dalle cosiddette “trattative” (in inglese, negotiations o anche bargaining). Non rappresentano, forse, proprio esse il paradigma degli usi linguistici apertamente strategici, da cui propriamente dovremmo muovere, per porci, in termini sufficientemente radicali, la questione della priorità linguistico-pragmatica della razionalità strategica o di quella comunicativo-consensuale? Lascio momentaneamente da parte questa ipotesi, per considerare la controversia sviluppatasi tra Habermas e i suoi critici a riguardo di come valutare i cosiddetti “semplici imperativi”, i quali risultano diversi da ordini, richieste legittime o espressioni di desiderio, per il fatto che in essi le pretese di validità e la loro giustificazione virtuale sono sostituite dalla minaccia di violenze. A tutta prima, in TAC, Habermas cerca la soluzione sulla linea dell’argomento del parassitismo e intende così gli usi linguistici apertamente strategici quali atti linguistici deficienti. Nel caso di atti linguistici nel senso pieno del telos dell’intesa, insito nel linguaggio, una “autorizzazione normativa” deve subentrare alla “pura pretesa di potere” e le “condizioni di sanzione” devono venir sostituite da “condizioni razionalmente motivanti l’accettazione di una criticabile pretesa di validità”. Dato che queste condizioni razionalmente motivanti, così come Habermas si esprime, «possono venir desunte dal ruolo illocutivo, la normale richiesta acquista un’autonomia, che manca al semplice imperativo». Habermas ne deriva la seguente conclusione: «Emerge ancor più chiaramente che solo quegli atti linguistici, cui il parlante collega una criticabile pretesa di validità, muovono, per così dire per loro stessa forza, ovvero grazie alla base di validità della comunicazione linguistica volta all’intesa, un ascoltatore ad accettare un atto linguistico e quindi possono agire da meccanismo della coordinazione delle azioni» (TAC, trad. it., Il Mulino, Bologna 1986, vol.1, pp. 416-17). A me sembra, come già detto sopra, che la fondamentale intuizione qui espressa risulti affatto conseguente, se presupponiamo il concetto enfatico di intesa. Tale concetto incontra il mio favore a livello intuitivo, come accennavo all’inizio; ma manca, a parer mio, una vera e propria giustificazione della prospettiva ad esso sottesa, cioè, la giustificazione del fatto che l’uso linguistico apertamente strategico non possa mediare condizioni razionalmente motivanti l’accoglimento di una “richiesta” allo stesso modo dell’agire linguistico orientato all’intesa. La discussione critica si è però sviluppata intorno ad un’altra difficoltà. Dato che, in TAC, Habermas, da un 22 INDAGINE lato, distingue gli usi linguistici apertamente strategici, in quanto atti linguistici illocutivamente comprensibili, dagli usi linguistici segretamente strategici, ma, d’altro lato, intendendoli come atti strategici, ovvero “orientati al successo”, li distingue anche dall’agire linguistico orientato all’intesa, si potrebbe giungere alla conclusione che gli usi linguistici apertamente strategici siano contemporaneamente e sotto lo stesso rispetto (ovvero relativamente ai loro fini perlocutivl) “orientati al successo” e “orientati all’intesa” (così da risultare, secondo Habermas, “parassitari” e insieme “non parassitari”). Questa la critica mossa a TAC dal norvegese Skjei. Desidererei subito osservare che la contraddizione è, a mio avviso, solo apparente ed è dovuta alla mancanza di trasparenza della terminologia impiegata: ovviamente, gli usi linguistici apertamente strategici non sono “orientati all’intesa” nello stesso senso in cui sono “orientati al successo”, ovvero nel senso in cui essi, sospendendo l’intesa su pretese di validità, puntano soltanto sulla efficace affermazione della pretesa di potere (come spiegherò meglio in seguito). Il peggio è che Habermas stesso ha ammesso la presunta contraddizione rilevata da Skjei e cercato una nuova via di soluzione; in modo, a mio avviso, del tutto fuorviante, in quanto, così facendo, si perde completamente di vista il problema filosofico in questione, ovvero il problema di una cogente giustificazione filosofica dell’agire linguistico orientato all’intesa rispetto a quello apertamente strategico. Come mostrarlo? Prospettando la sua nuova soluzione, Habermas segue in modo conseguente la tendenza, a mio avviso ben poco condivisibile, a cercare nelle scienze sociali una risposta, in ultima istanza empirico-descrittiva, al problema della fondazione della pragmatica del linguaggio. Ciò significa, nel nostro caso, revocare l’intuizione, a mio avviso giusta e profonda, in base a cui gli imperativi accompagnati da minacce di sanzioni, come “Fuori i soldi (o sparo)!”, sarebbero atti linguistici (apertamente) strategici e, come tali, distinti in linea di principio dall’agire linguistico orientato all’intesa. Habermas mantiene però ferma la convinzione della loro dipendenza parassitaria dall’agire linguistico orientato all’intesa. Come intendere questa sua posizione? Habermas vorrebbe ora considerare gli imperativi, sui quali però appunto verte la discussione, come empirico caso limite di normali atti di comando, nei quali le sanzioni, previste in caso di non ottemperanza, sono normativamente assicurate (come avviene, ad esempio, per ordini o disposizioni nello Stato di diritto). Habermas si esprime così: «E’ certamente esatto che, nel caso di semplici imperativi, l’effetto legante per la coordinazione delle azioni è fornito attraverso una pretesa di potere e non di validità; ma sarebbe errato analizzare il modo in cui agisce tale pretesa di potere, utilizzando come modello l’influsso strategico esercitato su un antagonista. E’ solo in casi estremi che l’accoglimento di una espressione imperativa di volontà ha luogo sulla base di una pura sottomissione alla minaccia di sanzioni. Nel caso normale i semplici imperativi operano pienamente all’interno del quadro dell’agire comunicativo, giacché la posizione di potere, su cui si basa la pretesa avanzata dall’impe- rativo del parlante, è tale da essere riconosciuta dal destinatario - sebbene essa poggi su una semplice relazione abituale di potere e risulti priva di una esplicita autorizzazione normativa. L’approccio più promettente consiste, a mio avviso, nel far osservare l’insostenibilità di una netta distinzione tra imperativi normativamente autorizzati e semplici imperativi; e che esiste piuttosto una continuità tra potere abituale e potere tradotto in autorità normativa. Tutti gli imperativi cui noi possiamo attribuire forza illocutiva, infatti, possono essere analizzati secondo il paradigma di richieste normativamente autorizzate. Sarebbe erroneo parlare di una distinzione categoriale: pretese di potere sono spesso collegate con contesti normativi più o meno remoti e con diffuse pretese di validità normativa, spesso difficilmente identificabili» (J. Habermas, Replay to Skjei, in «Inquiry», n. 28, 1985). Viene qui rimpiattata e dissolta, a mio avviso, la distinzione, filosoficamente perspicua, profonda e, soprattutto, di cruciale importanza per l’etica, tra quegli atti linguistici che, in quanto “orientati all’intesa”, derivano la loro “sociale forza legante” da pretese di validità discorsivamente riscattabili, e quegli atti linguistici, la cui “sociale forza legante “ (ovvero possibile accettazione) può consistere nella sottomissione coatta alla volontà di potere degli attori; e ciò, a parer mio, dipende dal fatto di aver sostituito ad una analisi filosoficamente orientata dei fenomeni una spiegazione (riduzione) empirica, filosoficamente irrelevante, del fenomeno propriamente degno di interesse. Questo mutamento di metodo, a mio avviso sprovvisto di qualsiasi plausibilità, trova conferma nella “Entgegnung”, con cui Habermas risponde ai suoi critici nel volume curato da A. Honneth e H. Jonas, Kommunikatives Handeln (Agire comunicativo, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1986): «Come sociologo avrei dovuto sapere che esiste una continuità tra il potere abitualizzato in modo puramente fattuale e quello mutato in autorità normativa. Perciò tutti gli imperativi, cui noi attribuiamo una forza illocutiva, risultano analizzabili secondo il modello di richieste normativamente autorizzate. Quella differenza che avevo erroneamente considerata categoriale, risulta alla fine solo una differenza di grado. L’intimidazione: “Mani in alto!”, pronunciata con minaccia dal rapinatore, appartiene a quei casi limite di azioni linguistiche apertamente strategiche, in cui la carente (appunto!, K.-0. Apel) forza illocutiva viene integrata da un potenziale di sanzioni». La pointe risultante dalla tesi del “parassitismo”, consisterebbe qui dunque nel fatto che il richiamo ad un potenziale di sanzioni rende possibile, nel destinatario, una comprensione dell’atto linguistico che sarebbe derivata da atti illocutivi (come, ad esempio, ordini autorizzati entro lo Stato di diritto), in cui il potenziale di sanzioni è normativamente legittimato. Ma è plausibile? Ovvero, nel caso specifico, è sostenibile, da un punto di vista (empirico)-ermeneutico, che la comprensione degli usi linguistici apertamente strategici richieda necessariamente, per il loro potenziale di sanzioni, un prestito di copertura normativa e quindi un rapporto parassitario di dipendenza, entro un continuum costituito da atti illocutivi più o meno normativamente autorizzati? 23 INDAGINE Sarebbe forse impossibile indicare casi di usi linguistici apertamente strategici, per i quali possiamo presumere, da parte tanto del parlante, quanto dell’ascoltatore, una chiara comprensione del senso dei corrispondenti atti linguistici e quindi, oltre a ciò, la possibilità di una loro accettazione, pur supponendo che quegli atti, benché provvisti di forza illocutiva e di una “sociale forza legante”, manchino di una qualsiasi copertura normativa? Che Habermas non possa sentirsi del tutto a suo agio con quella apparente soluzione, empiristica e insieme armonizzante, lo dimostrano, a parer mio, alcuni passaggi di Nachmetaphysisches Denken (Pensiero postmetafisico), là dove afferma: «Atti perlocutivamente autonomizzati (come, ad esempio, minacce) non sono affatto atti illocutivi, poiché non puntano su una presa di posizione, razionalmente motivata, da parte del destinatario». E più oltre: «Imperativi e minacce, messi in atto in modo puramente strategico, privati della loro pretesa normativa di validità, non sono affatto atti illocutivi, volti all’intesa» (Nachmetaphysisches Denken, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1988, pp. 74, 135). Benché questi passi non prospettino una soluzione, corrispondono però, nella loro tendenza di fondo, all’originaria e ben più profonda intuizione presente in TAC. Al fine di sviluppare questa intuizione in modo coerente, procedendo, come già altre volte, con Habermas contro Habermas, desidero intraprendere il tentativo di un’analisi pragmatico-trascendentale degli usi linguistici apertamente strategici. Mi propongo dapprima, svolgendo per così dire il ruolo dell’advocatus diaboli, di accantonare momentaneamente il concetto enfatico di “intesa” (che pur in fondo condivido con Habermas), per assumere il punto di vista, sostenuto dalla maggior parte dei pensatori analitici, secondo cui l’ “intesa” (Verständigung) tramite atti illocutivi consisterebbe nella semplice comprensione del senso (Sinnverständigung); in modo tale che quest’ultima fondamentale funzione linguistica risulterebbe neutrale rispetto ad ulteriori pretese normative, nel senso del consenso, ovvero dell’accordo (Einverständnis), su pretese di validità. Questo modo di procedere mi consente anche di tornare definitivamente sulla posizione, condivisa da Austin e dalla maggior parte dei sostenitori della teoria degli atti linguistici, secondo cui l’accettazione degli atti linguistici (al di là dell’accettazione della pretesa di validità del senso, implicita nella semplice comprensione) non potrebbe venir considerata parte integrante dell’effetto illocutivo, configurandosi piuttosto come un tipo, convenzionalmente normale, di effetto perlocutivo. Noterei tra parentesi che, al di là di quest’ultimo, dovrebbero darsi almeno altri due tipi di effetti perlocutivi, ovvero, in primo luogo, come già previsto da Austin, gli effetti perlocutivi casualmente prodotti e, in secondo luogo, come implicherebbe il concetto di “atto perlocutivo” elaborato da Strawson, gli effetti perlocutivi strategicamente intesi. Ed è quest’ultimo il tipo cui si riferisce il concetto habermasiano di uso linguistico segretamente strategico e cui si riferirebbe, a mio avviso, anche il concetto di uso linguistico apertamente strategico. Assumiamo dunque, come sopra accennavo, che l’intesa (Verständigung) tramite atti illocutivi consista nella semplice comprensione del senso (Sinn-Verständigung) e che ogni accettazione di pretese normative di validità possegga uno stato perlocutivo. Così facendo, siamo in grado di portare alla luce un vasto campo di usi linguistici apertamente strategici, o meglio di giochi linguistici apertamente strategici, cui i semplici imperativi (come “Mani in alto!”; o “Fuori i soldi!”) apparterrebbero in effetti quali casi limite. In tal modo, però, essi non si configurerebbero più quali casi limite di atti linguistici normativamente autorizzati (sostenuti quindi da sanzioni legittime), bensì quali casi limite entro il vasto ambito della comunicazione apertamente strategica. Con ciò intendo riferirmi a quei giochi linguistici, già prima ricordati, costituiti da strategiche trattative di interessi. Non includo comunque tra essi quegli istituti morali o giuridici, come ad esempio il rispetto dei patti, tramite cui le trattative strategiche (ad esempio accordi politici o economici) sono state in certo qual modo addomesticate, già a partire dall’età arcaica e in modo particolare nella nostra civiltà attuale. Segnalerei tra parentesi che è in effetti estremamente interessante, e significativo d’un profondo mutamento culturale, il fatto che trattative strategiche, in forza di intese non strategiche (ovvero fondate sul consenso) su pretese giuridiconormative dl validità, possano venir circoscritte e messe potenzialmente al servizio del bene comune, come ad esempio nel caso del libero agire strategico entro il sistema dell’economia di mercato. Nel seguito, comunque, intendo riferirmi alle sole trattative puramente strategiche, cioè a quei giochi linguistici costituiti essenzialmente da due tipi di atti linguistici: offerte di cooperazione (spesso, di vantaggi) e minacce di svantaggi. Questi due tipi di atti linguistici si richiamano a vicenda, in modo tale che l’accento può cadere di volta in volta o sulle offerte o sulle minacce, mentre gli atti complementari vengono comunque suggeriti. Risulta così chiaro che proprio i semplici imperativi, come “Fuori i soldi (o sparo)!”; o “Mani in alto (o sparo)!”, presentano questa struttura di complementarità. Ma risulta anche evidente che, nel più ampio contesto delle trattative, sono essenziali a questi giochi linguistici strategici alcune ulteriori condizioni di funzionamento: le quali mostrano che non si tratterebbe di un estremo e raro fenomeno marginale del linguaggio, di per sé dipendente dall’intesa su pretese di validità, ma che si tratta bensì di un autonomo fenomeno centrale della comunicazione propria del mondo della vita, mediante cui vengono senz’altro prodotti agreement (un tipo specifico di intesa o consenso!) sulla scorta di una fondata accettazione di atti linguistici (ma non di pretese di validità). Ne deriva che non è affatto esatto supporre, come fa Habermas, che gli atti linguistici costitutivi di trattative strategiche - come anche gli usi linguistici apertamente strategici, nel senso fin qui esposto - non possiedono nessuna “sociale forza legante”, ovvero che essi, così come Habermas si esprime, «non puntano su una presa di posizione, razionalmente motivata, del destinatario». È infatti chiaro, a mio avviso, che la possibile motivazione razionale del destinatario, su cui poggia la “sociale 24 INDAGINE forza legante” degli usi linguistici apertamente strategici all’interno di trattative, consiste esattamente in quella razionalità strategica della massimazione dei vantaggi e minimizzazione degli svantaggi, analizzata dalla teoria strategica dei giochi alla luce di un presupposto, oggi ampiamente condiviso, secondo cui essa, e solo essa, rappresenterebbe la razionalità dell’uomo (come già ritenevano in fondo Martin Lutero e Thomas Hobbes). Se dunque, nel quadro di una complessiva teoria filosofica della razionalità, ci interroghiamo sul reciproco rapporto ed in particolare sulla relazione di priorità, intercorrente tra la razionalità di tipo strategico e la razionalità di tipo comunicativo, così come intesa da Habermas, ci avvedremo che la supposizione, dallo stesso più volte avanzata, secondo cui gli usi linguistici apertamente strategici «non punterebbero su una presa di posizione razionalmente motivata del destinatario», si risolve in una petitio principii. Essa capovolge la valutazione, divenuta oggi quasi di senso comune, del rapporto esistente tra “rational choice” (in senso strategico o razionale rispetto allo scopo) e irrazionali decisioni etiche a riguardo dei valori ultimi o di norme. Tuttavia, non siamo ancora pervenuti ad una decisione filosoficamente razionale della questione. Questo è il risultato che abbiamo ottenuto finora dall’aporia degli usi linguistici apertamente strategici. La prospettiva pragmatico-trascendentale ci impone, a questo punto, di affrontare in termini affatto diversi la questione del possibile parassitismo degli usi linguistici apertamente strategici. A tal fine, desidero dapprima discutere il rapporto tra tre possibili tipi di razionalità comunicativa (in senso lato): 1. la razionalità della comunicazione e dell’interazione del mondo della vita; 2. la razionalità delle trattative strategiche; 3. la razionalità dei discorsi argomentativi scientifici e filosofici (in ultima istanza dei discorsi sulla teoria filosofica della razionalità). A riguardo del rapporto tra questi tre tipi di razionalità vorrei sostenere le tesi seguenti. Ad 1. La razionalità della comunicazione e dell’interazione nel mondo della vita non si configura come un tipo unitario di razionalità; piuttosto, sono insite in essa tanto la razionalità strategica quanto quella comunicativa (in senso habermasiano). A livello del mondo della vita (come in seguito chiariremo ed anzi giustificheremo), questi due tipi di razionalità, ancor oggi, agiscono di fatto, connettendosi e mediandosi reciprocamente, in modi dipendenti dal contesto e dalla capacità di giudizio (phronesis?) degli agenti. Non mancano comunque indizi del fatto che, sul lungo periodo, tale rapporto di mediazione possa mutare in favore della razionalità comunicativa (in senso habermasiano), così da conferire a quest’ultima una priorità sistematica. In tale prospettiva andrebbe sottolineata la seguente circostanza. Nessuna società umana si potrebbe intendere adeguatamente (in modo tale che i bambini giungano, in essa, a padroneggiare il linguaggio e quindi la comunicazione e l’interazione) solo sulla base di un uso linguistico segretamente o anche apertamente strategico (all’incirca nel senso della recta ratio di Thomas Hobbes o della teoria strategica dei giochi), mentre ciò, in linea di principio, risulterebbe possibile sulla sola base dell’agire linguistico orientato all’intesa, ovvero solo in forza della razionalità comunicativa (in senso habermasiano). Questa possibilità di principio è comunque (ancor oggi) irrealizzabile nella realtà del mondo della vita, per motivi che chiariremo in seguito. Inoltre, la stessa questione della priorità di principio della razionalità strategica o di quella comunicativa non è decidibile sul piano di un’analisi empirica, normativamente neutrale, dell’uso linguistico del mondo della vita. Sulla base di empiriche analisi linguistiche (ovvero sociologiche) della comunicazione nel mondo della vita, non risulta possibile neanche una precisa interpretazione degli indizi sopraddetti, ovvero una sua convincente giustificazione contro le eventuali obiezioni di chi considera la razionalità strategico-strumentale come unica possibile forma razionale di cooperazione. Come si mostrerà in seguito, ciò è possibile solo dalla prospettiva della razionalità del discorso, che, in quanto autoriflessiva, consente un’autofondazione o fondazione ultima. Ma prima di affrontare il problema della fondazione ultima, desidero introdurre una seconda tesi, per sostenere la relativa autonomia della razionalità strategica. Ad 2. A mio avviso, il rapporto di compromesso tra razionalità strategica e comunicativa, funzionante nel quadro delle tradizionali forme di vita (nel quadro, cioè, dell’ “ingenua eticità sostanziale” (in senso hegeliano), è stato messo in crisi, insieme con le immagini miticoreligiose del mondo, nelle epoche di rischiaramento, apertesi finora nella storia del mondo (come, inizialmente, nella cosiddetta “età assiale” delle grandi culture); in modo tale che, all’incirca nello stesso periodo, le trattative puramente strategiche e i discorsi argomentativi su pretese di validità (come ad esempio quelli della filosofia in Grecia, India e Cina) si sono differenziati e sono stati per la prima volta consapevolmente praticati quali rivali (per così dire) nella soluzione razionale di conflitti. Ciò si è verificato in Grecia, ad esempio, al tempo del rischiaramento sofistico, ovvero filosofico. Quale esempio di trattative puramente strategiche, interpretabili sullo sfondo del rischiaramento greco, potremmo addurre il famoso dialogo tra gli Ateniesl e i Meli, narrato da Tucidide nella sua Guerra del Peloponneso (libro 5, parr. 84-113). Caratteristico della trattativa in questione è il fatto che essa venga condotta da ambo le parti ad un alto livello intellettuale, ma, palesemente, in piena coscienza della sua struttura strategica. Ciò non significa affatto che i contraenti non attribuissero valore alcuno a “prese di posizioni razionalmente motivate” della controparte; essi tentano, al contrario, di provocarle, trasponendosi, apparentemente fino a sfiorare l’autonegazione, nella situazione strategica della controparte (nella costellazione data dal contesto del possibili vantaggi e svantaggi altrui); è ovvio, comunque, che ciò avvenga, restando comunque all’interno della prospettiva dominante dell’interesse di ciascuno, ovvero delle intenzioni perlocutive di scopo risultanti dai propri interessi. Il che significa che gli “argomenti” (se proprio vogliamo usare questo termine) dei contraenti non fanno riferimento a pretese 25 INDAGINE di validità, razionalmente riscattabili e criticabili (neppure alla pretesa di verità), con l’unica significativa eccezione del seguente scambio metacomunicativo di battute all’inizio del dialogo, mediante cui gli Ateniesi mettono subito in chiaro di non voler condurre un discorso su pretese normative di validità. I Meli, infatti, cominciano così: «La correttezza leale della vostra offerta, di chiarire serenamente tra noi le varie posizioni, non si discute: ma stride, a nostro giudizio, con l’apparato bellico, che già ci minaccia, pronto a mettersi in moto. Voi v’imponete ai nostri occhi in aspetto di arbitri del dibattito non ancora avviato. E ci prefiguriamo il suo esito, com’e facile del resto: se trionferanno le nostre ragioni di giustizia (sottolineatura di K.-0. Apel), ispirandoci fermezza, ci toccherà la guerra. Cedendo, la schiavitù» (par. 86). Gli Ateniesi tuttavia non accolgono la richiesta di intavolare una discussione su “ragioni di giustizia”, libera dal “dominio”, ovvero da ogni sorta di violenza. Invitano così i Meli a deliberare sul destino della loro città “a partire dall’attuale situazione”; ed offrono quindi la seguente spiegazione, ispirata probabilmente alle nuove tesi del sofisti ateniesi: «Dal canto nostro rinunciamo all’armamentario fastoso dell’eloquenza, alla retorica interminabile di quei discorsi celebrativi che non danno frutto. Sicché non ribadiremo che, per aver demolito la prepotenza persiana, rifulge per noi il diritto all’Impero, o che la nostra attuale campagna è la replica a un attentato inferto al nostro onore. Ma si pretende qui che neppure voi tentiate di piegarci, giustificando il vostro rifiuto di fornire leve all’armata, con la circostanza che siete coloni di Sparta, o soggiungendo che nei nostri riguardi siete innocenti e puri. Sentite: sforziamoci di restringere le ipotesi di compromesso nei confini del realizzabile, attingendole ciascuno ai principi più autentici cui ispira di norma la sua condotta [palesemente i princìpi della illuminata ragione strategica!. Siete consapevoli quanto noi che i concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini, quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda: i più potenti agiscono, i deboli si piegano» (par. 89). I Meli mostrano quindi di adattarsi alla situazione: «Statene certi: ci si raccoglie per provvedere alla vita del nostro Stato, e si proceda pure a discutere, con le regole che avete indicato» (par. 88). Passano così ad argomentazioni strategiche: «E’ nostro avviso, almeno, che a proposito d’interesse (già ormai è questa l’espressione da usare, poiché voi avete subito accordato il dibattito su questo tono dell’utile, ignorando quello della giustizia) non vi convenga annullare le riflessioni che concernono il vantaggio comune, e che sia ragionevole concedere a chiunque, quando si dibatta in un rischioso frangente, i diritti che gli spettano, se non altro in quanto creatura umana: tra l’altro, che possa perlomeno aspirare alla salvezza, avvalendosi, pur senza perfetto ossequio alle severe regole del ragionare, degli argomenti che meglio crede. Considerazione che vi tocca più da vicino di chiunque altro, poiché nell’eventualità di una sconfitta vi scolpireste esempio eterno nella memoria dei popoli, per l’atrocità sanguinosa della vostra pena» (par. 90). Il seguito del dialogo mostra come i Meli tentino di difendere con “argomenti strategici” la loro indipendenza, mentre gli Ateniesi, ricorrendo allo stesso tipo di “argomenti”, a volte alquanto cinici, prospettano ai Meli l’alternativa tra la distruzione o l’ingresso nella Lega Attica: «A voi toccherebbe la fortuna di vivere sudditi, in luogo di soffrire il castigo più crudele; e per noi sarebbe un guadagno non avervi annientati» (par. 93). Più oltre gli Ateniesi aggiungono: «Non è una contesa questa, per voi, in cui confrontarsi a parità di forze e farsi onore. [...]. Urge piuttosto provvedere con prudenza alla vita, senza provocare un nemico troppo più forte» (par. 101). Infine, gli Ateniesi così concludono: «Già più d’uno [...] fu trascinato fatalmente dall’istinto noto tra gli uomini con nome di onore: potere malefico di un nome! Domati da una parola, costoro s’abbattono di schianto su pene irrimediabili, spontaneamente scelte e desiderate, attingendo un’umiliazione più vile, perché prodotta dalla propria follia, non da percossa della fortuna. State in guardia, se vi sorregge la ragione, da questa rovina: non sentitevi schiaffeggiati, se la città più potente di Grecia vi costringe a cedere, con offerte equanimi. Non è per voi infamia entrare nella sua lega, serbando la vostra terra a prezzo di un tributo. Vi si consente di scegliere tra la sicurezza e la lotta: non appigliatevi al partito peggiore». (par. 111). È nota la terribile conclusione della trattativa, in cui i Meli preferirono alla sottomissione il rischio derivante dalla difesa della loro indipendenza e quindi anche del loro onore, in quanto coloni di Sparta. Comunque siano andate le cose, il mio interesse è esclusivamente quello di addurre un esempio di uno dei primi puri discorsi di trattativa che ci siano stati tramandati, in cui la razionalità del confronto apertamente strategico appare consapevolmente differenziata e già in qualche modo emancipata da riserve tradizionali, in nome degli dei o del diritto. Si tratta di un primo esempio di un tipo di discorso che ha conservato intatta la sua importanza fino ad oggi, in particolare nel campo della politica estera, ancora priva di una regolazione giuridica. L’esempio può chiarire a sufficienza come, in questo caso, non si possa parlare di un estremo caso limite, parassitariamente dipendente da atti linguistici normativamente autorizzati, e come, tuttavia, non si tratti neppure di un tipo di “discorso” sprovvisto di una “sociale forza legante” razionalmente motivante. Più esattamente, questo modo di considerare le cose è valido dal punto di vista, per così dire, di un’analisi dei giochi linguistici di tipo esterno, avalutativa, in senso corrente empirico-descrittiva e empiricamente controllabile, come pure per corrispondenti tipi di razionalità, in certo qual modo irriflessi e predati. La mia tesi a riguardo della razionalità apertamente strategica dell’uso linguistico e quindi a riguardo della coordinazione delle azioni mediata dall’uso linguistico di questo tipo è dunque la seguente: tramite la corrente analisi, linguisticamente o sociologicamente orientata, del linguaggio e della comunicazione risulta comunque possibile determinare la differenza tra razionalità dell’azione apertamente strategica e razionalità dell’azione orientata all’intesa (in senso habermasiano). Non è invece possibile 26 INDAGINE decidere in questo modo della priorità di un tipo sull’altro; infatti i soggetti della razionalità strategica non mostrano affatto, nel loro uso strategico del linguaggio, che quest’ultimo sia parassitariamente dipendente da quello “orientato all’intesa”, nel senso habermasiano dell’intesa su pretese di validità. Al contrario, come già gli Ateniesi al tempo di Tucidide, così, anche oggi, i sostenitori del monopolio della razionalità strumentale o strategica (ovvero dell’esercizio della volontà di potenza, quale determinante razionalità del discorso) mostrano di essere dell’opinione che, anche sul piano metacomunicativo (in ultima istanza filosofico) del discorso, si dimostrerebbe il carattere illusorio o dogmatico-ideologico di ogni pretesa avanzata in nome di una razionalità rilevante per la giustificazione normativa, cioè di una razionalità etica. Ciò non risulta vero, a mio avviso, in un senso che chiariremo in seguito. Sono così giunto alla mia terza tesi: la tesi propriamente pragmatico-trascendentale a riguardo dell’inaggirabile primato normativo della razionalità autoriflessiva della filosofia (e cioè della razionalità della teoria della razionalità). Ad 3. Torniamo sull’ esempio di Tucidide. Se gli Ateniesi, nella loro introduzione metacomunicativa alla trattativa con i Meli, avessero accettato di proseguire questa metacomunicazione nel senso di una aperta discussione filosofica, avrebbero dovuto accettare anche una discussione su pretese normative di diritto, cioè un discorso argomentativo tra partner dotati, in linea di principio, di uguali diritti. Sul fatto se sia lecito escludere dal dialogo pretese di diritto (ad esempio in base a considerazioni pragmatiche), non è infatti possibile discutere seriamente (allorché non se ne impone l’esclusione in forza di una pretesa di potere, al modo degli Ateniesi), senza attribuire ai partner della discussione, indipendentemente dai reciproci rapporti di forza, uguali diritti nella difesa delle pretese di diritto. Verrebbe così operato il passaggio al discorso, in linea di principio aperto, su pretese di validità e contemporaneamente al riconoscimento della priorità di un tale discorso rispetto alla limitazione strategico-razionale della razionalità in discorsi del tipo delle trattative. Si dovrebbe cioè riconoscere almeno questo: se il partner della comunicazione deve poter accettare la richiesta di escludere pretese di diritto e intavolare una trattativa puramente strategica, non solo in base a motivi di opportunità, bensì deve poterla riconoscere come intersoggettivamente valida in base a ragioni, allora la richiesta non può venir giustificata tramite trattative strategiche, ma solo in forza di un discorso argomentativo su pretese di validità. Si è così ammessa la priorità della razionalità comunicativo-consensuale, propria del discorso argomentativo. In altre parole, non tramite descrizione e comparazione dei diversi tipi di razionalità degli atti linguistici (così come essi si danno al livello della comunicazione e interazione del mondo della vita), bensì invece tramite stretta riflessione su quella razionalità presupposta dalla stessa teoria filosofica della razionalità, ed a cui una tale teoria deve ricorrere, è possibile mostrare che la razionalità dell’intesa normativamente illimitata è in effetti il “modo originario” (Habermas) della razionalità comunicativa. Ciò non solo rispetto alla razionalità strategica, bensì anche rispetto alla razionalità, normativamente neutrale, della semplice comprensione del senso, che, come tale, rende possibili anche gli usi linguistici apertamente strategici e quindi il gioco linguistico delle trattative strategiche. Chi, infatti, al livello della autoriflessiva razionalità del discorso filosofico, volesse ricorrere ad una razionalità non rivolta all’intesa (nel senso tanto di un possibile riscatto quanto di una possibile critica) su tutte le pretese di validità, o volesse qualificare tale razionalità, da un punto di vista teorico, come la razionalità umana, costui si porrebbe in contraddizione con la razionalità discorsiva, cui egli di fatto ricorre in actu, involgendosi così in una autocontraddizione performativa. Mostrerà, in tal modo, che ogni tipo di razionalità, cui egli pretendesse ricorrere, o che intendesse sostituire alla razionalità discorsiva, dipende in modo parassitario dalla stessa razionalità discorsiva. In tal senso, risulta possibile recuperare, a mio avviso, l’intuizione di fondo di Habermas, così come essa affiora in TAC. E’ ora chiaro che all’autonomia del logos autoriflessivo del linguaggio può corrispondere solo la razionalità dell’intesa (Verständigung) in senso enfatico, e non, ad esempio, una razionalità che integra la comprensione del senso (Sinnverständigung), normativamente neutrale, solo con pretese di potere o considerazioni di interesse. È possibile dunque mostrare che, in effetti, “il telos dell’intesa è insito” nel linguaggio. La prova di ciò si lascia comunque produrre, a mio avviso, solo affrontando una “diversione”, ovvero affrontando la questione delle condizioni di possibilità pragmatico-trascendentali dell’argomentazione valida, in quanto tale, e non invece tramite un’ontologia in senso prekantiano (come suggerisce l’espressione del telos insito nel linguaggio) ed ancor meno tramite una teoria quasiempirica della comunicazione o tramite una sociologia della comunicazione. Dopo un difficile percorso attraverso la nuova e controversa problematica del rapporto tra razionalità strategica e comunicativa dell’azione, siamo giunti al fine al punto culminante o, se si preferisce, alla base di una possibile teoria pragmatico-trascendentale dei tipi di razionalità; ovvero, al punto in cui, in certo qual modo, una possibile teoria filosofica della razionalità recupera riflessivamente la propria razionalità e ne mostra l’inaggirabilità. È evidente, a mio avviso, che qui, nel momento dell’autoriflessione della razionalità discorsiva, viene assicurata ad essa una priorità, in termini di validità, non solo rispetto alla razionalità strategica della comunicazione e dell’interazione, ma anche nei confronti di tutti i pensabili tipi di razionalità, in quanto essi si mostrano per l’appunto come analizzabili e giustificabili solo in termini discorsivi. Avremmo così raggiunto il punto di approdo pragmatico-trascendentale di un’autodifferenziazione della ragione tramite riflessione sulle limitazioni astrattive del potenziale della ragione stessa, in quanto capacità di articolare in modo differenziato i diversi tipi di razionalità. 27 AUTORI E IDEE La terra fotografata dalla luna durante la missione Apollo 28 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Modelli di universo Nello studio intitolato A MODEL OF THE UNIVERSE: SPACE-TIME, PROBABILITY AND DECISION (Un modello di universo: spaziotempo, probabilità e decisione, Clarendon Press, Oxford 1994) Storrs McCall propone di raffigurare l’universo come un albero, struttura che più di ogni altra permette di trovare una spiegazione convincente ai problemi sollevati dall’osservazione di ciò che ci circonda. Per quanto tale modello si mostri adatto anche alla soluzione di problemi scientifici, McCall si sofferma su questioni prettamente filosofiche, dedicando un’attenzione particolare al problema dello scorrere del tempo, di cui il modello dell’albero riesce a fornire una rappresentazione dinamica. Sulla questione delle origini dell’universo interviene invece la raccolta di saggi a cura di Francesco Bertola, Massimo Calvani, Umberto Curi, ORIGINI: L’UNIVERSO , LA VITA, L’INTELLIGENZA (Il Poligrafo, Padova 1994). Il volume, che raccoglie contributi sulla bioastronomia, la cosmologia, la filosofia, la storia della scienza, l’astrofisica e la teologia, prosegue il dibattito interdisciplinare sui rapporti tra le moderne teorie cosmologiche e la loro prospettiva filosofica, aperto dall’Istituto Gramsci Veneto con l’organizzazione della serie delle “Venice Conferences on Cosmology and Philosophy”. Lo studio di Storrs McCall si propone di fornire un modello dell’universo che permetta di trovare una soluzione ad alcune questioni filosofiche da sempre apparse come problematiche. La sua analisi si concentra principalmente su otto grandi temi: lo scorrere del tempo; il rapporto causa/effetto e le leggi di natura; la meccanica quantistica; la probabilità; la differenza tra condizionali dotati di valore di verità e condizionali dotati di valore di probabilità; l’identità degli individui nel tempo; le proprietà essenziali; la decisione e il libero arbitrio. Il modello che McCall propone per rispondere a tutte le domande sollevate dall’analisi di tali questioni è un albero: esso permette di rappresentare la dimensione spazio-temporale dell’universo, fornendo così uno schema in cui collocare gli eventi. Secondo questo modello, ad ogni momento t esiste un tronco costituito dal progressivo incorporamento dei rami esistenti prima di t. E’ però importante evidenziare che, in ogni momento t, un solo ramo va ad accrescere il tronco, mentre tutti gli altri, rappresentanti tutti gli eventi alternativi che potevano avvenire in quel momento, cadono. Possiamo quindi considerare l’albero come la rappresentazione di un mondo possibile, vale a dire come la rappresentazione dell’unico mondo, tra i tanti possibili, che si è realizzato. Il fatto che di volta in volta si verifichi un evento piuttosto che un altro, e che quindi sia un ramo piuttosto che un altro ad aggiungersi al tronco, dipende dalle circostanze. In questo modo McCall evita ogni determinismo, lasciando al caso il compito di scegliere tra le possibili alternative. In realtà, ad ogni istante t, oltre al tronco, che corrisponde al passato, esistono infiniti rami che da esso si dipartono e che indicano i futuri possibili; in questo quadro il presente viene posto nel punto di origine del primo ramo. La peculiarità di un tale modello risiede, secondo McCall, nel suo carattere dinamico, che gli permette di rendere lo scorrere del tempo; i rami che continuamente vanno ad ingrandire il tronco indicano, infatti, l’ininterrotta caduta del presente nel passato, che in questo modo si arricchisce di sempre nuovi elementi, trasferendo loro la propria caratteristica immutabilità. Nel modello formulato da McCall non assistiamo ad un cambiamento “nel” tempo, ma “del” tempo, in quanto esso non è che una rappresentazione dello scorrere del tempo, che viene appunto definito come il “progressivo logoramento dei rami”. Grazie a questo modello è possibile, secondo McCall, mostrare in modo ordinato e unitario fenomeni che gli studiosi generalmente faticano a collegare. Tra questi, in particolare, le aporie che caratterizzano la nostra concezione del tempo, prima fra tutte quella relativa alla natura del presente. Quest’ultimo, osserva McCall, merita infatti un’attenzione 29 particolare, in quanto da un lato è caratterizzato dal permanere, affinché sia possibile anche solo parlarne, dall’altro è destinato a non avere durata, in quanto lo scorrere del tempo lo fa ricadere continuamente nel passato. Ora, la raffigurazione del tempo sottoforma di un albero permette di osservare entrambe queste proprietà. Particolarmente interessante si rivela la discussione che McCall conduce riguardo al problema del libero arbitrio, affermando che le nostre azioni possono essere libere, vale a dire non determinate. Non si tratta però di azioni compiute a caso, ma guidate da ragioni. Ci sono dunque azioni che vengono scelte intenzionalmente: esse costituiscono un’eccezione alla regola generale secondo la quale è del tutto casuale il fatto che sia un ramo piuttosto che un altro a divenire attuale. Anche il problema della causalità viene affrontato in modo originale da McCall. Una causa A è necessariamente legata ad una causa B se in ogni punto di diramazione in cui occorre un evento del tipo A esistono solo rami contenenti eventi del tipo B. Se invece ad ogni nodo A esistono sia rami di tipo B che rami di tipo non-B, la probabilità che eventi di tipo A siano seguiti da eventi di tipo B sarà tanto maggiore quanto più numerosi saranno i rami di tipo B rispetto a quelli di tipo non-B. La causalità necessaria appare quindi come l’ontologica impossibilità che le cose vadano altrimenti. A.R. La raccolta dal titolo: Origini: l’universo, la vita, l’intelligenza, pone al centro dei vari contributi che vi compaiono l’interrogativo sulle origini dell’universo, che accompagna l’uomo dalla sua nascita ed è forse ancora oggi il punto di congiunzione più naturale tra scienza e speculazione filosofica. Dalle teorie statiche al big-bang, dalla concezione di un universo immobile e sempre uguale a se stesso alla presenza di una forte dinamicità e continua evoluzione, si sviluppano differenze sostanziali che modificano il modo di osservare la realtà e il nostro rapporto con la natura e l’immagine del mondo. Superate le suggestioni del mito e della religione, la cosmologia è ormai regno AUTORI E IDEE della scienza, che è in grado di prospettare scenari evolutivi attendibili e coerenti (espansione dell’universo da una singolarità iniziale, formazione della materia, allontanamento delle galassie, nascita della vita e dell’uomo da condizioni predeterminate ecc.), che però non liberano il campo dal dubbio. Come fa notare Halton C. Arp nel suo contributo alla raccolta, nuove teorie prevedono ad esempio un universo non più in espansione, che crea continuamente materia all’interno di se stesso e attraverso la continua ricerca di spiegazioni alle domande fondamentali. Nei diversi interventi che compongono il volume viene affrontato in particolare il problema delle origini greche della cosmologia, della nascita della vita, della ricerca di intelligenze extraterrestri (interessante è anche un’analisi delle implicazioni teologiche che una tale esistenza comporterebbe), del passato e del possibile futuro del nostro universo. A.C. I limiti della conoscenza matematica Il mondo è veramente “matematico”? Ovvero: come può la matematica spiegare la natura e la fisica dell’universo? Sono queste le domande che stanno alla base del recente lavoro di John D. Barrow, LA LUNA NEL POZZO COSMICO . CON TARE, PENSARE ED ESSERE (trad. it. di T. Cannillo, Adelphi, Milano 1994). Si tratta di un’opera di carattere divulgativo sulla matematica e sulla filosofia della matematica che, con grande consapevolezza e padronanza di strumenti, analizza il complesso rapporto tra matematica, uomo e natura. A questo proposito è il caso di richiamare un recente studio di Brian Rotman AD INFINITUM... THE GHOST IN TURING ’S MACHINE: TAKING GOD OUT OF MATHEMATICS AND PUTTING THE BODY BACK IN (Ad infinitum... Il fantasma nella macchina di Turing: tirar fuori Dio dalla matematica e metterci il corpo, Stanford University Press, Stanford 1993), che a partire da un rigoroso finitismo s’interroga sul limite delle capacità di conoscenza dell’uomo in ambito matematico e conseguentemente di una matematica che tenga conto della sua natura di pratica spazialmente e temporalmente limitata. John D. Barrow parte da una semplice constatazione: la matematica è il linguaggio, lo strumento base, il codice strutturale utilizzato da tutte le teorie fisiche che descrivono il comportamento della natura. Ma perché questo accade? Com’è possibile che la matematica, pura elaborazione astratta di un mondo di simboli, sia in grado quantificare e interpretare la fisica dell’universo in modo apparentemente così “naturale”? Inoltre: la matematica è qualcosa che scopriamo o qualcosa che inventiamo? Che relazione c’è tra la natura della matematica e la psicologia e i processi cognitivi umani? Si tratta di quesiti “classici” della filosofia della matematica, che hanno determinato il formarsi di diverse scuole (formalisti, convenzionalisti, intuizionisti, platonisti), e che coinvolgono e chiamano in causa le teorie della conoscenza, dell’uso del linguaggio astratto, dell’idea stessa del fare o del creare matematico. Per cercare delle correlazioni profonde che non si limitino semplicemente a constatare come tale linguaggio simbolico “funzioni” nella pratica e nel lavoro dei fisici e dei matematici, Barrow risale, con intenti divulgativi, alle origini del numero (strumento base e fondamento di ogni quantificazione), ai primi modi di contare dell’uomo, alla nascita e alla pratica dell’aritmetica e ai suoi collegamenti con le necessità umane e sociali. Vengono così spiegate, accanto all’imporsi del sistema di numerazione decimale, l’esistenza di altri mondi e civiltà del contare, le logiche indiane (che contemplano un certo grado di verità diverso dal dualismo occidentale), insieme a molte altre annotazioni sull’evoluzione originaria della numerologia. Barrow affronta poi la problematica dei “fondamenti” della matematica, ripercorrendo brevemente la strada che porta dalla fondazione logica di Frege e Russell, all’individuazione di paradossi, che minano le basi di tale progetto, sino al famoso teorema di Gödel, che determina l’impossibilità di provare la coerenza dei sistemi assiomatici. Nel tentativo di un estremo salvataggio della matematica dalla crisi dei suoi presupposti logici, diverse “filosofie” della matematica si sviluppano agli inizi del secolo, grazie anche agli studi di Cantor sugli infiniti, per giungere poi, con Brouwer e Hilbert, ad una vera e propria “disputa” tra le certezze del formalismo e il fascino dell’intuizionismo. Giungiamo così agli sviluppi più recenti con la matematica computazionale, la matematica da calcolatore; e qui “l’irragionevole efficacia del numero” diventa ancor più misteriosa, sposandosi con una sorta di possibilità di “sperimentazione” matematica. Sebbene Barrow non fornisca risposte alle domande iniziali, questo suo studio mostra tuttavia come la “crisi” in cui si trova la matematica ormai da quasi un secolo non abbia impedito il suo continuo sviluppo e la sua incredibile capacità di proporsi come il miglior linguaggio a disposizione dell’uomo per avvicinarsi a comprendere la struttura del cosmo e la Mente di Dio. Per descrivere l’arduo lavoro dei matematici, Barrow cita una frase di Charles Darwin, che in qualche modo racchiude anche il senso della ricerca astratta: «Un matematico è un cieco che cerca in una stanza buia un gatto nero che non c’è.» A.C. 30 In un medesimo contesto di riflessione Brian Rotman si propone invece di stabilire ciò che i matematici debbono fare e fino a che punto deve spingersi la loro indagine. L’importanza teoretica di questo programma di rigoroso finitismo matematico sta nel fatto di concepire tale prospettiva come una naturale estensione di quella posizione che, pur negando l’esistenza di limiti finiti nella realtà matematica, afferma che l’infinito non può essere oggetto di studi matematici. Partendo dalla convinzione che la matematica è essenzialmente “la nostra pratica matematica” e prendendo coscienza delle nostre reali capacità “pratiche” di esseri umani determinati nello spazio e nel tempo, Rotman inferisce che nella realtà matematica non deve esistere niente di infinito. Per giungere a una tale conclusione i finitisti sostituiscono alla nozione di “infinito” quella di “molto grande”. Ma anche per il matematico realista è impensabile un concetto di “infinito” senza la definizione di punti di arresto. In tal senso, imputando in qualche modo al realista ciò che può essere imputato al finitista, Rotman arriva a concludere che come le geometrie non-euclidee ci hanno reso consapevoli di cosa significa abitare lo spazio nella realtà fisica effettiva, così le “aritmetiche non-euclidee”, come ad esempio un rigoroso finitismo, ci potrebbero indicare cosa comporta vivere nel tempo della realtà fisica effettiva. Per quanto riguarda poi la natura della matematica e i suoi limiti conoscitivi, Rotman non ritiene che i numeri naturali (0, 1, 2, 3...), per quanto essenziali per la pratica matematica, siano tali in quanto “creati da Dio” e senza fine, ma in quanto fondati sul “contare”, conseguenza cioè della manipolazione di simboli che ha avuto luogo storicamente. Ma che cosa s’intende per contare? Che cosa si presuppone nell’azione del contare? - si chiede Rotman. Nel rispondere a queste domande Rotman definisce il programma per la costruzione della matematica come attività che gli esseri umani svolgono nello spazio e nel tempo e individua tre tipi di matematico, connessi a tre diversi modi di operare nella pratica quotidiana della matematica. Il primo, chiamato Persona, è l’interprete del testo matematico, che con esso instaura un rapporto informale teso alla comprensione del valore e dell’applicazione di ciò che vi è esposto. Il secondo, denominato Soggetto, è il destinatario del testo, che segue lo svolgimento delle prove formali. Il terzo, chiamato Agente, è colui che tira fuori irriflessivamente gli algoritmi per utilizzarli. In modo analogico, assimilando il matematico ad un sognatore, Rotman descrive poi il Soggetto come il sognatore addormentato, l’Agente come la figura o il numero su cui si sogna e la Persona come il sognatore desto, che successivamente ricostruisce il sogno. Nella trattazione di Rotman il ruolo fondamentale dovrebbe essere ricoperto dal- AUTORI E IDEE la distinzione tra Soggetto e Agente; tuttavia essi differiscono ben poco nella caratterizzazione di Rotman; in particolare, non viene nemmeno menzionata, nell’esecuzione delle azioni dell’Agente, la limitazione temporale, che è essenziale se si vuole che la realtà matematica tenga conto della natura umana. Inoltre Rotman, definendo il Soggetto come colui che segue le varie prove formali della matematica ed immagina di svolgere i vari algoritmi e l’Agente come colui che li esegue, pone la questione se il Soggetto sia in grado di immaginare pienamente l’esecuzione di scopi matematici rilevanti. In caso affermativo dobbiamo ammettere che immaginare pienamente l’esecuzione di realtà matematiche rilevanti è eseguirle; e allora l’Agente è ridondante. Se invece riteniamo che per gli scopi matematici del Soggetto sia adeguata un’attività più schematica, allora sono superflue le severe costruzioni prescritte all’Agente. Per Rotman questa situazione è risolvibile accettando sì che il Soggetto possa esplicare un’attività più schematica, ma continuando a salvaguardare il fatto che l’Agente è il Soggetto che immagina se stesso, e qualunque cosa l’Agente faccia, il Soggetto deve almeno “essere capace” di farlo. M.G. Natura, storia e arte in Merleau-Ponty e Lévi-Strauss Nel volume dal titolo: LINGUAGGIO, STO RIA, NATURA. CORSI AL COLLÈGE DE FRANCE 1952-1961 (a cura di M. Carbone, Edizioni Studi Bompiani, Bergamo 1995) sono raccolti gli appunti relativi ai corsi tenuti da Maurice Merleau-Ponty tra il 1952 e il 1961, dove traspare, al di là di ogni chiusura dogmatica, la sua concezione della natura, della corporeità, della storia, del linguaggio. Da questi appunti è possibile desumere anche una originale concezione estetica relativa all’opera dello scrittore come richiamo a quella parola totale che fa percepire nello stesso tempo l’assenza. Una riflessione sulle molteplici forme dell’arte è invece quella che Claude Lévi-Strauss ci propone in GUARDARE, ASCOLTARE, LEGGERE (trad. it. di F. Maiello, Il Saggiatore, Milano 1994), una raccolta di saggi dedicati a Poussin, Ingres, Rameau, Rimbaud, Diderot, da cui emergono anche, sempre all’interno dell’ambito artistico, i rapporti di amicizia di Lèvi-Strauss con Breton e Ernst. Attraverso l’analisi degli appunti dei corsi tenuti da Maurice Merleau-Ponty al Collège de France tra il 1952 e il 1961 si può ricostruire la sua concezione filosofica della natura, della corporeità, della storia e del linguaggio, in cui egli si oppone alla concezione classica della natura di tipo oggettivo, basata sulle categorie di sostanza, accidente, causa e fine e che ha come suo fondamento il determinismo dogmatico. Per Merleau-Ponty la natura è caratterizzata da elementi di “discontinuità” e di “probabilità”, poiché ogni essere non è situato in una posizione unica ed assoluta. Inoltre, non è possibile considerare la natura indipendentemente dal suo essere percepita da un osservatore. In tale prospettiva, l’oggettività naturale è data dall’appartenenza dei soggetti ad un unico «nucleo d’essere ancora amorfo», per cui gli esseri fisici non sono più degli esseri matematici, «strutture d’un insieme di operazioni». D’altra parte, chi percepisce la natura è il corpo umano, che è costituito da due dimensioni, “senziente” e “sensibile”. Per Merleau-Ponty il corpo umano non si anima a seguito della presenza della coscienza, ma in quanto caratterizzato da una «metamorfosi della vita». Questa concezione del corpo determina la fondazione di una “filosofia della carne”, dove il corpo è considerato come manifestazione visibile dell’invisibile, ed è dotato di una componente di espressività simbolica, in quanto dispone di innumerevoli sistemi simbolici, che vanno al di là dei gesti naturali. Ciò che per Merleau-Ponty consente ora alla significazione di essere accessibile è il linguaggio, che “rende pubbliche” le cose del mondo. L’uomo, sapendo che ogni cosa è dotata di un nome, può giungere a cogliere il suo modo d’essere. Questa concezione del linguaggio e della natura, che fonda un’ontologia della vita, si basa su una visione in senso antidogmatico della filosofia come “interrogazione”, che riconosce la possibilità dell’errore umano. Per Merleau-Ponty, infatti, gli eventi che l’uomo esperisce inducono una proiezione verso un futuro aperto. L’attività del passato non determina dunque una “storia universale chiusa”, ma un sistema aperto, ricco di differenti possibilità, tra le quali nessuna risulta più vera, anche se qualcuna può essere considerata più falsa. In questa prospettiva, la storia costituisce per Merleau-Ponty la “genesi della verità”, in quanto detiene il fondamento del processo vitale dei soggetti storici. La filosofia della storia non è una “disciplina trascendente”, ma la manifestazione completa e dispiegata del divenire umano che è principalmente filosofico. Attraverso il linguaggio, sostiene MerleauPonty, il nostro orizzonte è “aperto e senza fine”. Tuttavia, l’ “essere ideale” si trova al di fuori di ogni comunicazione ed è possibile evocarlo attraverso la parola scritta. Nell’uso del linguaggio comune lo scrittore costruisce infatti un “sistema di segni” che implica una ristrutturazione del mondo e del linguaggio stesso. Anche per MerleauPonty dunque, come già per Proust, parlare o scrivere può trasformarsi in una modalità di esistenza; nel suo vivere il mondo, lo 31 scrittore si serve di quella parola che si è formata a sua insaputa. Tuttavia, se lo scritto è capace di richiamare la “parola totale”, nello stesso tempo, esso lascia percepire anche “l’oblio” e “l’assenza”. La filosofia di Merleau-Ponty privilegia di fatto la dimensione del vissuto e del sentito, la cui esperibilità è legata alla corporeità. Solo partendo dalla sperimentazione del mondo attraverso la corporeità è possibile avvertire il significato delle altre realtà. M.Mi. In Guardare, ascoltare, leggere, Claude Lévi-Strauss espone, attraverso figure di artisti e scrittori, il suo pensiero sulla letteratura, la pittura, la musica, cercando di superare la frattura fra intelleggibile e sensibile, causata dallo sviluppo del pensiero scientifico, al fine di ristabilire l’unità dell’esperienza umana. Ogni opera d’arte, secondo Lévi-Strauss, è espressione, da un parte, della tecnica, essenziale per la riuscita della composizione, e dall’altra ha come scopo la trasmissione di un’emozione, che caratterizza l’opera dell’artista di talento. Alla luce di questa situazione Lévi-Strauss si misura con Poussin per quanto riguarda la pittura, con Rameau per la musica e con Diderot per la letteratura. In Poussin Lévi-Strauss riconosce il pittore filosofo, secondo il quale l’opera d’arte deve accordare sensibilità e intelligenza; un’operazione che richiede, oltre a qualità artistiche, anche uno spirito filosofico che vada al di là di semplici considerazioni “pittoriche” e sappia cogliere quanto di esistenziale debba comparire in un quadro ed esprimere di conseguenza l’intenzione figurativa. In questo, sia Lévi-Strauss che Poussin mostrano uno spirito critico nei confronti del sapere che li conduce alla deliberata ricerca di un’armonia profonda del “tutto”. Un medesimo atteggiamento è riscontrabile in Lévi-Strauss nei confronti dell’opera musicale di Rameau, che riconosce una necessaria corrispondenza tra l’espressione tecnica e il valore espressivo tanto del brano musicale, quanto di ogni singola nota che lo compone. Contenuti semantici e elementi regolatori vengono così a configurarsi in Rameau secondo un unico progetto musicale, che accorcia la distanza tra il compositore e l’ascoltatore. Un artista con cui Lévi-Strauss non si sente di condividere le idee è Diderot, in cui si assiste a una frantumazione del rapporto tra tecnica e contenuto, giacché l’armonia intelleggibile e artistica viene considerata irrealizzabile da Diderot, accusato peraltro da Lévi-Strauss di leggerezza e volubilità in tema di arte e filosofia. Di fatto, il limite di Diderot consisterebbe nel non riuscire a superare l’antinomia tra cosa e idea, sensibile e intelleggibile, accentuando l’opposizione fra l’aspetto morale e quello tecnico, a seconda dell’opera presa in considerazione, rivelando in questo una mancanza di metodo nel rapportarsi all’arte. D.M. AUTORI E IDEE Max Horkheimer Per il centenario della nascita di Horkheimer Il 14 febbraio 1995 è ricorso il centenario della nascita di Max Horkheimer, uno dei teorici fondatori della “teoria critica”, scomparso il 7 luglio 1973 a Norimberga. In occasione della ricorrenza sono comparsi il volume XV dell’edizione completa delle opere di Horkheimer, BRIEFWECHSEL 1913-1936 (Epistolario, 1913-1936, a cura di G. Schmid Noerr, Fischer Verlag, Francoforte s/M. 1995), e un saggio critico ad opera di Michael Schäfer, DIE RATIONALITÄT DES RATIONALSOZIALISMUS. ZUR KRITIK PHILOSOPHISCHER FASCHISMUSTHEORIEN AM (La razionalità del nazionalsocialismo. Per la critica delle teorie del fascismo sull’esempio della teoria critica, Belz Athenäum, Weinheim 1994), che prende di mira l’interpretazione della genesi del fascismo di Horkheimer. BEISPIEL DER KRITISCHEN THEORIE Max Horkheimer continua a far parlare di sé, al di là dei pregiudizi ancora vivi nei confronti della “teoria critica”, considerata ormai una dottrina superata. La fisionomia intellettuale di Horkheimer è notoriamente legata alla vicenda dell’Institut für Sozialforschung di Francoforte, del quale fu direttore nel 1930, succedendo a Carl Grünberg, e che rifondò nel 1950 al rientro dall’esilio americano. Fermo assertore che la teoria e le scienze specialistiche debbano interagire dialetticamente, egli costituì a Francoforte una vera e propria “comunità di lavoro”, alla quale collaborarono figure ben note, come Pollock, Fromm, Marcuse, Adorno e Benjamin, per citare alcuni fra i nomi più famosi. I rapporti fra Horkheimer ed i suoi collaboratori, nonché con le persone a lui affettivamente più vicine, costituiscono il contenuto principale di questo volume della «Gesamtausgabe» delle sue opere, dedicato al Briefwechsel, 1913-36. Altri tre volumi di prossima pubblicazione 32 esauriranno l’insieme corposo degli scritti epistolari. La maggioranza delle lettere raccolte in questo primo volume è collocabile nell’arco di tempo tra il 1934 e il 1936, quando Horkheimer, costretto all’esilio dal nazismo, continua insieme a Pollock l’opera di ricerca sociale dello Institut für Sozialforschung prima a Ginevra e a Parigi, poi a New York. Negli scambi epistolari di questi anni, in cui Horkheimer sceglie come interlocutori soprattutto Benjamin, Einstein, i fratelli Marcuse e Bloch, si intrecciano diagnosi relative alla situazione politica e discussioni di problemi filosofici e sociologici, al centro dei quali sta la questione dell’interpretazione di Nietzsche e Freud al di fuori della strumentalizzazione ideologica effettuata dal nazismo. Di particolare interesse è la corrispondenza con Adorno, che per Horkheimer rappresenta un riferimento insieme filosofico ed affettivo: dalle loro lettere emerge chiaramente quanto i due amici siano solidali nel comune pathos antiidealistico e nella scelta della critica dell’ideologia come unica risposta possibile al dogmatismo stalinista ed alle ontologie tradizionali. Meno conosciute, ma di primaria importanza per comprendere lo sviluppo e la continuità del pensiero di Horkheimer, sono le lettere della sua giovinezza, che documentano l’influenza del pensiero di Schopenhauer già a partire dal 1916, come dimostra un passo di una lettera di quegli anni: «Tormento e sofferenza, questa è la formula della vita [...] ogni respiro ed ogni passo fatto sono distruzione», che lascia trasparire quella tematica della “nostalgia dell’Altro” (Sehnsucht nach dem Anderem), che negli ultimi anni della vita di Horkheimer ha rappresentato la risposta, non più rigorosamente “critica”, alla miseria dell’esistenza: di fronte alla crudeltà della storia, osserva Horkheimer, vale la coscienza che il mondo non è semplice apparenza e non si identifica dunque con la verità assoluta, l’Ultimo, perché nessun uomo si può rassegnare all’ingiustizia della realtà e tantomeno la può reputare come la parola finale. Fra le opere di Horkheimer occupa un posto di rilievo la Dialettica dell’illuminismo, scritta in collaborazione con Adorno e pubblicata per la prima volta nel 1947 ad Amsterdam, anche se aveva cominciato a circolare già tre anni prima in forma di ciclostilato in occasione del cinquantesimo compleanno di Pollock. Quest’opera è ancora una volta oggetto di discussione nello studio critico di Michael Schäfer, Die Rationalität des Nationalsozialismus, soprattutto per quanto concerne l’interpretazione della genesi del fascismo elaborata dai due francofortesi. Horkheimer ed Adorno ritengono che Auschwitz sia il risultato di duemila anni di feticizzazione della ragione compiutasi nella storia occidentale; in tal senso l’illu- AUTORI E IDEE minismo, in quanto esercizio della ragione strumentale, contiene un forte potenziale autodistruttivo, poiché, se conoscere significa manipolare, ogni rapporto si manifesta come logica di dominio e l’incontro con l’altro si tramuta in una sfida pericolosa, tesa a ridurre l’altro alla dimensione innocua e spregevole della cosa posseduta. Il libro di Schäfer offre una serie di controargomentazioni a tale proposta teorica, ricordando innanzitutto che il processo distruttivo del fascismo è figlio della modernità tedesca. Schäfer intende inoltre dimostrare come il nazionalsocialismo sia caratterizzato da un rapporto ambiguo con la razionalità, perché trae origine non solo dalla volontà di esercizio indiscriminato del potere, secondo criteri tecnocratici, ma anche da un atteggiamento spirituale antirazionale e carismatico. Ciò che è accaduto nei campi di concentramento e di sterminio, osserva Schäfer, è da attribuirsi alla ragione politica del “Non-Stato” (Unstaat), segnato dall’estrema segmentazione e dall’informità del sistema politico-amministrativo: responsabile del regime di terrore non fu certo uno “stato Leviatano”, autoritario, ma uno stato organizzato secondo principi razionali. La critica rivolta da Schäfer a Horkheimer ed Adorno, pur dimostrandosi valida nella puntualizzazione di taluni aspetti dottrinari del pensiero dei Francofortesi, sembra tuttavia ignorare che già la Dialettica dell’illuminismo denunciava la caduta nell’irrazionalità della ragione strumentale. A ciò va aggiunto che lo stesso Horkheimer, in Eclissi della ragione, sottolinea il parallelismo, esplicitato in modo evidente dalla storia, tra lo sviluppo dell’idea di razionalità e la contemporanea diffusione, cosciente o inconscia, del risentimento contro la civilizzazione. L.R. parigina, in rue de l’Odeon. Il risultato di questo incontro è un esile, ma denso volume, Itineraires d’une vie, i cui meriti sono essenzialmente due: in primo luogo far conoscere ai lettori qualcosa di più della giovinezza di Cioran, trascorsa dapprima in Romania e più tardi a Parigi e, in seconda istanza, far luce sulle posizioni violentemente antidemocratiche del filosofo durante gli anni trenta, precisando i termini della tentazione nazista subita a Berlino nel 1933. Se infatti ai Rumeni, almeno fino alla caduta di Ceausescu, sono state ignote per lungo tempo le opere di Cioran, al resto del pubblico è stata finora negata, a causa della riservatezza del filosofo, una conoscenza completa e particolareggiata dei dati biografici di Cioran, in particolare dei suoi anni infantili e dell’ambiente familiare ove mosse i primi passi. Scopriamo così che la prima infanzia di Cioran fu molto felice, quasi incantata, ma ciò non gli fu affatto di aiuto durante le frequenti crisi depressive degli anni successivi, anzi, determinò in lui la consapevolezza di un’età aurea perduta per sempre, di uno stato di benessere e pienezza scomparso con l’avvicinarsi dell’età adulta. Si può collocare la prima grande rottura che segnerà l’esistenza di Cioran nel 1927, quando, studente di filosofia a Bucarest, venne colpito da un’insonnia patologica che durò almeno un paio d’anni, durante i quali egli fu più volte assalito da pensieri suicidi. Dirà in seguito Cioran: «s’impara di più in una notte bianca che in un anno di sonno»; e le notti bianche vennero in effetti trasformate in un formidabile strumento di conoscenza e di chiarificazione interiore tanto da arrivare ad affermare, in De l’inconveniente di essere nati, di aver già intuito a vent’anni ciò di cui ebbe conferma a sessanta. Tutto ciò, unito a una tendenza maniaco-depressiva presente in tutta la famiglia di Cioran, fece di lui, quando ancora non aveva vent’anni, uno “specialista del problema della morte”; ed anche la lettura dei testi filosofici, nella quale si gettò quasi disperatamente, non lo aiutò, a suo parere, né gli fu di alcuna utilità, se non per dargli l’illusione di vivere attivamente. Intanto iniziavano per lui gli incontri con altri esponenti della vita intellettuale della Bucarest degli anni Trenta: Nae Ionescu, Petre Tutea, Mircea Eliade, Benjamin Fondane, ai quali era comune la consapevolezza di un insanabile contrasto tra sistemi filosofici e vita reale. Le discussioni alla leggendaria brasserie Capsa contribuirono senza dubbio a rinsaldare le convinzioni di Cioran il quale, sin dal principio, si pose filosoficamente contro tutti i formalismi, le sottigliezze logiche e le distinzioni astratte e non impegnate sul piano esistenziale, accordando valore solo alle grandi tensioni della vita, alle rivelazioni della Ricordo di Cioran Emile Michel Cioran, importante interprete del nichilismo di questo secolo, si è spento martedì 20 giugno 1995 a Parigi. Aveva ottantaquattro anni. Assumono così valore di testamento spirituale la riedizione delle opere più importanti di Cioran, OEUVRES (Opere, Gallimard, Parigi 1995), e il volume a cura di Gabriel Liiceanu, ITINERAIRES D’UNE VIE, (Itinerari di una vita, Michalon, 1995), che raccoglie un saggio biografico, un’intervista a Cioran e un’abbondante iconografia. Fu nel giugno 1990 che il filosofo rumeno Gabriel Liiceanu raccolse le confidenze e i ricordi di Emile Michel Cioran, recandosi personalmente nella sua mansarda Emile Michel Cioran 33 AUTORI E IDEE solitudine e della notte. Lo stesso esercizio della scrittura non fu mai per lui una preoccupazione culturale, ma piuttosto una terapia, un mezzo per oggettivare periodicamente le terribili ossessioni generate dall’esistenza. Dopo una breve esperienza come insegnante al liceo Andrei-Saguna di Brasov, Cioran decise che avrebbe vissuto come un “eterno studente”, beneficiando delle borse di studio che gli venivano offerte. Nel 1933, trovandosi a Berlino come borsista, seguì in diretta lo sviluppo e l’ascesa dell’hitlerismo che, in un primo momento, gli parve incarnare la promessa di un nuovo stile di vita ove il culto dell’irrazionale e l’esaltazione della vitalità erano chiamati a giocare un ruolo determinante. In effetti Cioran, condividendo l’opinione di una parte degli intellettuali europei, era giunto da tempo alla conclusione che la democrazia fosse un sistema politico ormai irrimediabilmente compromesso e in questo senso l’hitlerismo gli sembrò l’inizio di una nuova era positiva. Ben presto però, di fronte alla dimensione di fanatismo e nevrastenia collettiva prodotta dal credo hitleriano, l’entusiasmo iniziale si mutò in un profondo disgusto. Con orrore Cioran contemplò la metamorfosi della massa popolare germanica, resa strumento di un divenire demoniaco e dittatoriale, per sfuggire al quale egli si dedicò allo studio del Buddismo che, a suo dire, lo salvò dall’intossicazione dell’hitlerismo. Ed è in effetti dal Buddismo, oltre che dalle più antiche dottrine scettiche, che Cioran elaborò la sua filosofia negativa, che fu un atteggiamento e uno stile di vita, più che una dottrina vera e propria: al determinismo dell’esistenza, della materia e dello spazio si può soltanto opporre la libertà di una coscienza negatrice, la sola capace di sovvertire l’ordine del male e, ormai priva di tutte le illusioni e le speranze, di contrapporvi una sovrana indifferenza. A Partire dal 1937 Cioran si installò a Parigi e ben presto adottò la lingua francese anche per i suoi scritti; il suo primo volume in francese fu Precis de décomposition che apparve nel 1949. Parigi rappresentò per Cioran la patria elettiva per un “fallito” - così amava definirsi lui stesso - «l’unica città al mondo, dove si può essere poveri senza vergogna, complicazioni o drammi». Di fatto, esauritasi l’ultima borsa di studio nel 1945, Cioran visse in una condizione di indigenza: la povertà d’altronde non fu per lui un evento accidentale, ma uno stile di vita, il solo modo per restare totalmente indipendente e libero. Ed in nome di questa totale libertà ed autonomia della coscienza Cioran rifiutò non solo ogni frequentazione mondana, ma anche tutti i premi che vinse durante la sua carriera di scrittore, proclamando la sua ribellione ad ogni sottile tentativo di manipolare la sua identità o di compromettere la sua lucidità. L.P. Psicoanalisi e filosofia Al rapporto con l’inconscio come tentativo di spiegare quello che appare alla nostra esperienza è dedicato lo studio di Salomon Resnik LA VISIBILITÀ DELL’INCONSCIO (Teda Edizioni, Castrovillari 1994). Qui l’inconscio è considerato come il luogo dove tutte le manifestazioni psichiche vengono determinate da un nesso causale, la cui matrice va ricercata negli antecedenti del vissuto dell’individuo. In DIALOGO TRA UNO PSICANALISTA E UN FILOSOFO. SULLE CATEGORIE DELL’ESISTENZA (Teda Edizioni, Castrovillari 1993) Resnik intreccia un appassionante dialogo con Renzo Mulato, filosofo e studioso di scienze umane e storia, nel tentativo di far incontrare, in una comune e suggestiva area di ricerca, psicoanalisi e filosofia, da sempre aperte al confronto epistemologico. Al di là delle non poche rivoluzioni concettuali e metodologiche di cui è debitrice la psichiatria del nostro tempo nei confronti della filosofia, può la psicoanalisi oggi trovare al proprio interno gli strumenti per filosofare? E la filosofia è in grado di ripensare la domanda: che cos’è la mente? Certamente sì, se il loro rapporto poggerà non più sulla classica e forse desueta relazione mente-corpo, ma sull’ “intersoggettività”, sull’agire del soggetto nel mondo. Sono questi i motivi ricorrenti che portano Salomon Resnik, psicoanalista e psichiatra, allievo di E. Pichon Riviére, M. Klein, H. Rosenfeld, a richiamare nei suoi studi personaggi come De Waelhens, molto vicino alla “psichiatria fenomenologica”, il quale aveva ben compreso come l’essere umano venga “storicamente” a configurarsi e a prender corpo come esserci (Da-sein), ovvero come essere nel mondo (In-derWelt-Sein), per giungere poi all’esercizio di quell’epoché che è il rilevamento di una ineludibile coappartenenza tra io e mondo. Altro ruolo di primaria importanza è stato svolto, secondo Resnik, da Etienne Gilson, che «ha introdotto il pensiero esistenzialista nella particolare visione dell’ontologia cristiana» e il cui scritto Sulle categorie dell’esistenza ha ispirato il sottotitolo Dialogo tra uno psicoanalista e un filosofo. Sicuramente la fenomenologia e l’esistenzialismo furono tra i principali motivi ispiratori della pratica psicoanalitica, intesa come sistema che si fonda «nella relazione con l’Altro» e nella valutazione del soggetto non come oggetto, una “cosa” o un “pezzo” di realtà, ma come soggetto di un’analisi, o meglio di quell’ “antropoanalisi” con cui Binswanger, che considerava il soggetto essere nel mondo (In-der-Welt-Sein), fenomeno unitario. E’ in quest’ottica che viene meno la distinzione cartesiana tra soggetto e oggetto, io e mondo: piuttosto entrano in contatto in una inscindibile e reciproca dialettica nel loro spontaneo farsi fenomeno. 34 La psicoanalisi viene dunque a significare, per Resnik, lo svelamento della quotidianità nel suo atto d’esistere, nel suo essere vita, in quanto attività vissuta (Erlebnis) «che si nasconde e si rivela contemporaneamente attraverso la maschera della persona (Prosopon-Prosopopeion)». E sarà proprio attraverso la maschera che la corporeità, come esperienza dell’esistere, si incontrerà con la realtà del pensiero. Fondamento della psicoanalisi è per Resnik «la problematica dell’uomo nel suo stato di smarrimento e disagio», da cui scaturisce quell’«oggetto mutante o mutativo» che è il tranfert, ovvero la semplice possibilità di mettere in crisi l’identità dell’uno (paziente) e dell’altro (analista). Paziente e psicoanalista sono infatti varianti perennemente in gioco, categorie sempre in azione, in uno stato di trasformazione continua, di cui l’Io avrà piena coscienza quando elaborerà una personale e originale “riflessione filosofica” su quel mistero che ha dentro di sé: “l’inconscio”. Un inconscio che secondo Renzo Mulato non è altro che quell’ignoto con il quale gli antichi Greci avevano instaurato una “speciale relazione” attraverso l’oracolo di Delfi, il cui responso spingeva a varcare le soglie della conoscenza umana per portarsi all’origine, “dentro l’uomo”. E’ il tema della verità come “adaequatio”, ovvero la possibilità di raggiungere una intima concordanza, una connessione “forte” tra lo smascherare dell’analisi, teso a ricomporre l’identità del soggetto, e lo svelamento ontico della riflessione filosofica. L’esistenza è la “struttura portante” di un comune campo d’indagine della filosofia e della psicoanalisi. Sono le “categorie dell’esistenza” che fanno sì che tra lo psicoanalista e il filosofo si crei uno «spazio di depietrificazione e scongelamento», sul quale traslare il peso dell’esistenza umana, colto, a sua volta, da un pensiero la cui vera essenza è «il senso stesso dell’esistenza». Ne la Visibilità dell’inconscio Resnik pone l’esistenza dell’ “Io osservatore” tra invisibilità e visibilità dell’inconscio come il luogo privilegiato di ogni campo d’esperienza. L’acquisizione della coscienza del proprio corpo è per Resnik condizione a priori di quella “personalizzazione” che porta ogni psicoanalista ad avventurarsi con prudenza e discrezione nella oscurità ed opacità labirintica dell’inconscio. Ciò richiama la figura di Edipo, l’eroe di cui parla Nietzsche nella Nascita della tragedia, colui il quale voleva scrutare, conoscere i profondi recessi dell’abisso e rendere così visibile alla propria curiosità ciò che è vietato ad ogni seria ricerca ermeneutica sull’origine. L’incontro con l’inconscio è dunque per Resnik un meravigliarsi, dove lo stupore rappresenta il momento di passaggio alla visibilità dell’inconscio, il rapportarsi ad una realtà affascinante quanto pericolosa, dove l’inconscio stesso si trasforma in conscio nel guardarsi dentro attraverso gli occhi dell’Altro. M.Ma. AUTORI E IDEE Politica e genealogia in Foucault Lo studio di John Simons, FOUCAULT & THE POLITICAL (Foucault e il politico, Routledge, Londra 1995), analizza l’opera di Foucault dal punto di vista della teoria politica e delinea le conseguenze che le sue posizioni hanno avuto nel dibattito teorico. Simons parte dalla definizione dell’ethos critico di Foucault e passando per la concezione foucaultiana della trasgressione teoretica e pratica dei limiti giunge ad un confronto conclusivo di Foucault con alcune correnti e pensatori contemporanei. Tra le altre recenti opere critiche dedicate a Foucault segnaliamo inoltre la raccolta dal titolo: A PARTIRE DA FOUCAULT. STUDI SU POTERE E SOGGETTIVITÀ (a cura di A. Grillo, Edizioni La Zisa, Palermo 1993), in cui vari autori contribuiscono a delineare la filosofia di Foucault nella sua evoluzione dall’iniziale impostazione archeologica, legata alla psicoanalisi freudiana, alla successiva posizione genealogica, che risente dell’influenza della filosofia di Nietzsche. Sostenendo che solamente al livello della pratica della scrittura come tecnica di auto-formazione è lecito considerare l’opera di Foucault come una unità, in Foucault & the political John Simons mostra come Foucault, pur mutuando il termine di “archeologia” da Kant, consideri l’analisi dei limiti della ragione un approccio inefficace e di conseguenza intenda ridefinire la critica filosofica kantiana come un problema politico. L’ethos critico della modernità, osserva Simons, non si chiede con Kant “cosa sia l’Uomo”, ma analizza i limiti, storici e contingenti, piuttosto che universali e necessari, che rendono le persone quello che sono. In tal senso, una differenza importante per Simons è che il concetto di critica di Foucault sia, rispetto a quello kantiano, non solo intellettuale, ma anche pratico. Al contrario, nella concezione foucaultiana vi è una stretta vicinanza con Nietzsche, il cui approccio storico alla ragione scientifica e morale introduce i temi della discontinuità e della contingenza, sconvolgendo in tal modo la traiettoria umanistica di una graduale emancipazione della verità dal potere. Simons affronta poi la questione dei limiti del discorso, in particolare nelle scienze umane, dei limiti reciproci della scienza e della conoscenza e dei limiti dei soggetti, dove tre domini si rivelano allo sguardo genealogico: verità, potere, etica; l’interazione di questi tre elementi di dominio determina appunto le condizioni di possibilità e i limiti della soggettività. L’analisi del potere si configura secondo Simons in due modi: 1) il potere è ciò che ci assoggetta; 2) in che modo i soggetti sono dominati. I problemi sorgono quando Foucault cerca di definire il potere, la conoscenza e la verità in generale: se ogni verità emerge dalla soggezione e dalla dominazione, allora la resi- Ministanze in un albergo di Osaka (foto di M. De Biasi) 35 AUTORI E IDEE stenza dovrebbe essere diretta contro tutte le verità, senza essere però in grado di affermare la propria. Secondo Simons, queste formulazioni di Foucault sono appropriate nell’ambito della critica dell’umanesimo, ma non lo sono quando vengono applicate a tutta l’esistenza umana. Le genealogie del soggetto moderno rivelano di fatto che i tre elementi di dominio: verità, potere, etica, sono così strettamente interconnessi che anche i progetti di liberazione riescono soltanto a riordinare le forme di assoggettamento. Simons affronta poi un’analisi della trasgressione e dell’estetica foucaultiana. Attraverso un ritorno ai greci, Foucault sostiene un’estetica dell’esistenza e della cura di sé che promuove nuove forme di soggettività, in grado di evitare l’autorinuncia e il sacrificio, impliciti nella cultura cristiano-umanistica. Tuttavia, osserva Simons, mancando un’analisi dell’irretimento dell’arte nelle relazioni di potere, sembra che la concezione estetica di Foucault abbia la capacità di separare l’etica dal potere e dalla verità, mentre si confonde qui la differenziazione concettuale dell’autoformazione etica ed estetica dal potere, dalla verità e dalla morale con una separazione degli elementi della sua genealogia. Per quanto riguarda invece l’analisi della trasgressione teoretica dei limiti, Simons mostra come in Foucault si trovi, da un lato, un’insopportabile difficoltà di superamento dell’umanesimo per via dei suoi limiti, dall’altro, la presenza di luoghi privilegiati di pensiero e di azione trasgressivi, che garantiscono possibilità di resistenza in tutti i regimi. La ricchezza del lavoro di Foucault, osserva Simons, consiste appunto nella tensione tra questi due poli e nella possibilità di un’etica della resistenza, che permane in Foucault nella sua concezione della libertà come apertura pratica e agonistica. Nell’ambito della trasgressione pratica dei limiti, prosegue Simons, le esperienze personali dello stesso Foucault mostrano come ogni azione pratica si confermi come un lavoro trasgressivo sui limiti. Di fatto, poiché un lavoro trasgressivo sui limiti è sia intellettuale che pratico, le arti del sé sono anche arti politiche che reinventano soggetti, spesso collocati all’interno di reti di potere, richiedendo loro resistenza ai modi esistenti di soggettivazione e di governo. In rapporto a Habermas, fa notare infine Simons, Foucault propone risposte completamente diverse al dilemma e ai pericoli della modernità: il primo desidera salvare l’ethos filosofico dell’illuminismo come critica permanente, separandolo dall’umanesimo; il secondo punta al completamento del progetto della modernità, sottomettendo i processi di modernizzazione ad una ragione comunicativa, consensuale e intersoggettiva. Habermas critica Foucault da diversi punti di vista, ma tutti conducono alla conclusione che la critica totale della ragione di Foucault è incoerente, poiché fa riferimento, paradossalmente, alla stessa struttura di razionalità cui si oppone. In realtà i due autori, secondo Simons, divergono completamente nella loro percezione del discorso, della conoscenza e dell’argomentazio- ne. Il pensiero di Foucault resta tuttavia attuale nel formulare una critica interna del nostro presente, che procede senza proporre un sistema alternativo percorribile. M.B. I diversi contributi presenti nella raccolta A partire da Foucault. Studi su potere e soggettività hanno l’obiettivo di rintracciare nella filosofia di Foucault quegli elementi che possono essere sviluppati per la loro intrinseca attualità, dove attualità coincide per Foucault con novità, in quanto apparizione dell’altro, di ciò che non esiste ancora, per cui l’attuale non si identifica con ciò che l’uomo è, ma con ciò che l’uomo diventa. La riflessione sulla soggettività nei suoi legami con il potere e con il sapere costituisce un punto centrale dell’analisi teorica di Foucault. Come mostra Salvo Vaccaro nel suo contributo, Metamorfosi del soggetto, la filosofia di Foucault mira a scardinare l’immagine filosofica unitaria del soggetto, i cui rappresentanti sono Wittengstein, Freud, Proust, rivelando la sua natura pluralistica. In questo la soggettività manifesta il suo carattere di creatività, in quanto all’uomo spetta il compito non di trovare se stesso, ma di costruire se stesso. D’altra parte il soggetto, in quanto subjectum, rivela il suo legame con il potere, con la componente di sottomissione, di “assoggettamento”, che lo situano all’interno di attività di controllo. Stabilendo uno stretto legame tra soggetto e potere, fa notare appunto José Fernandez Vega nel suo intervento, Potere, diritto, verità: il triangolo strategico della ragione moderna, Foucault inaugura una concezione empirica del potere, secondo la quale il potere deve essere valutato all’interno del modello “strategico” della guerra e non all’interno del modello giuridico del sovrano. Il potere non coincide con un’essenza, non è riducibile ad una cosa, ma è il risultato di una relazione di forze e interagisce con il soggetto. Nella visione filosofica di Foucault il potere appare essere una forza più subdola di quanto comunemente si ritenga. Come rileva Judith Revel nel suo scritto, Scoli di Michel Foucault dalla trasgressione letteraria alla pratica politica, il potere può involversi in una “dialettica senza fine” che trasforma la ribellione al potere nell’instaurazione di un altro potere. Per evitare questo rischio bisogna, secondo Foucault, conservare dell’insurrezione la sua caratteristica di “atto” e giungere ad una liberazione definitiva dal potere. D’altra parte, la stessa sessualità si rivela connessa alle manipolazioni subdole del potere, come sottolinea Mario Coglitore nel suo intervento, “Parlo, dunque sono?” Appunti sulla soggettività. Di fatto, secondo Foucault, l’uomo non fa che inscrivere nel suo corpo i desideri sessuali trasmessi dalla società. In tale prospettiva anche la psicoanalisi di Freud tradisce la sua funzione di controllo sociale, normalizzando i desideri e facendo quindi rientrare il patologico nel normale. Nel suo intervento, Psicoanalisi e genealogia, Stefano Berni mostra appunto il significato della svolta di Foucault dalla posizione archeologica di stampo freudiano a quella gene36 alogica che si ispira a Nietzsche. Con l’abbandono dell’ottica psicoanalitica e in favore della prospettiva storica, Foucault perde la credenza in una storia le cui verità sono perdute e quindi non attribuisce più all’uomo il compito di ricostruirla. Come rileva Paolo Napoli nel suo contributo, Difendere la società: Michel Foucault e le passioni della storia, Foucault propone una nuova concezione della storia che rifugge dalla “cronologia rettilinea” e che considera la guerra, la lotta come punto di partenza e punto di arrivo. A differenza dell’approccio dialettico, la posizione storiografica di Foucault, con il suo approccio genealogico, sostiene l’esistenza di molte verità, soggette alla concretezza della lotta e per questo in grado di esprimere il discorso storico e di realizzarlo positivamente. Questa prospettiva si fonda sull’analisi del linguaggio, in quanto per Foucault l’essere umano è detto, è parlato dal linguaggio. Come mostra Francesco Paolo Adorno nel suo intervento, Michel Foucault: finzione e storia, Foucault si oppone alla riduzione unitaria del linguaggio, evidenziando come esso sia formato da molteplici piani. In tale ottica il discorso è “surdeterminato”, in quanto è una combinazione di segni che nel loro accostamento acquisiscono significati nuovi. La parola deve quindi dire il nuovo, il diverso, “l’altro”. La filosofia di Foucault, come rileva Gilles Deleuze nel suo contributo, Che cos’è un dispositivo?, è una filosofia dei “dispositivi concreti” costituiti da linee di forza, da enunciazioni, ma anche attraversati da linee di frattura, di discontinuità che causano cambiamenti nella distribuzione delle forze. La sua è una filosofia pluralista che ripudia gli “universali” in quanto rifiuta la logica dell’eterno a favore della logica della “creatività variabile”. Una filosofia creativa, che non si pone l’obiettivo di ricercare l’unica verità presente, ma ritiene che la verità debba essere costruita: una filosofia genealogica che si ritrova più negli iati, nelle differenze, che interrompono la continuità dell’evoluzione storica, che nel percorso rettilineo, che si ritrova più nella creazione del nuovo che nella scoperta del vecchio. M.Mi. La biblioteca del potere Libertino erudito, bibliofilo appassionato e teorico virulento della ragione di stato, Gabriel Naudé è una di quelle figure che godono di cattiva reputazione nella storia del pensiero politico. Prova a riabilitarne le sorti Robert Damien nello studio: LA BIBLIOTÈQUE ET L’ETAT. NAISSANCE D’UNE RAISON POLITIQUE DANS LA FRANCE DU XVII SIÈCLE (La Biblioteca e lo Stato. Nascita di una ragione politica nella Francia del XVII secolo, PUF, Parigi 1995), dimostrando come nell’opera di Naudé si delinei una nuova concezione di lavoro intellettuale e una moderna figura di filosofia politica. AUTORI E IDEE Il nome di Gabriel Naudé è legato a due opere, Avvertenze per la costituzione di una biblioteca (1627) e le Considerazioni politiche sui colpi di stato (1639), che all’epoca della loro pubblicazione avevano lasciato un’impronta importante nel rispettivo terreno di indagine: la biblioteconomia e la teoria politica. Le due opere sembrano divergere non solo nell’argomento, ma anche nell’ispirazione che le anima, rivolta, la prima, a pubblicizzare un sapere che serva da fondamento alla dottrina politica, la seconda, a teorizzare la segretezza e la violenza dell’agire politico come condizione della sua efficacia. Ad unire questi due versanti del pensiero di Naudé, come rileva Robert Damien nel suo studio, è una medesima concezione di ragione politica, fondata sull’ “ordine bibliografico”. Per sostituire all’autorità spirituale della Chiesa, custode del Libro e garante della legittimità del potere monarchico, l’autorità bibliografica di un sapere storico e laicamente fondato, Naudé disegna un modello di biblioteca che è insieme e necessariamente un modello di cultura. Innanzitutto la biblioteca ideale deve essere “pubblica e universale”: «e non può essere tale se non contiene tutti i principali autori che hanno scritto su ogni argomento e in ogni campo, e in particolare su tutte le arti e le scienze». Ciò significa che vi devono trovare spazio anche quegli autori che si discostano dalle tradizioni. Poiché, secondo Naudé, ogni idea possiede un proprio valore intrinseco e saperi “popolari”, o non consolidati, quali la divinazione e l’alchimia, come pure «le opere dei più sapienti e famosi eretici», hanno un diritto di presenza in base a un principio scientifico, e non ideologico, di scelta. Non biblioteche a carattere specialistico o di mero prestigio, con edizioni rare e ricercate, e neppure archivi selezionati ed espurgati come volevano i Gesuiti, che nel XVII secolo sono i principali teorici di biblioteconomia: il modello di Naudé, ispirato alla tradizione civica dell’Umanesimo rinascimentale, deve fornire al pubblico di studiosi i libri utili all’attività erudita e allo Stato gli strumenti di cultura per valorizzare il suo diritto politico e incrementare il consenso. Dietro ai precetti tecnici e alle indicazioni di biblioteconomia, alcune delle quali storicamente innovative, la biblioteca di Naudé disegna una nuova pratica intellettuale, fondata su una metodologia critica, sull’esatta conoscenza storica degli eventi, sulla ricerca e sulla verifica. La bibliografia si fa così metodo; raccoglie i riferimenti, li confronta, li verifica e permette di raggiungere una conclusione che sia passata al vaglio del confronto razionale dei saperi. Si tratta di un modello laico ed empirico di conoscenza, che rovescia i termini della ragione politica; con questo spirito viene redatta da Naudé nel 1633 una Bibliographia politica che non persegue più lo scopo di una rilegittimazione sacrale del potere sovrano, ma di una conoscenza pertinente e proficua della realtà in vista dell’azione politica. E.N. Nuove prospettive sul linguaggio Nel suo studio, SCIENZA E ANALISI LINGUISTICA. IL DISTACCO TRA EPISTEMOLOGI E SCIENZIATI (Feltrinelli, Milano 1994) Michele Marsonet mostra come i filosofi del linguaggio, nonostante la loro adesione all’empirismo, abbiano ricostruito la stessa metafisica su basi diverse, determinando ripercussioni negative sulla scienza. Per potere evitare questo esito idealistico, che evidenzia la distanza tra la teoria professata e la sua applicazione pratica, Marsonet propone di rivalutare il naturalismo, che implica un ridimensionamento dell’importanza del linguaggio. Una diversa prospettiva sul linguaggio ci è offerta invece da Paolo Virno, che in PAROLE CON LE PAROLE. POTERI E LIMITI DEL LINGUAGGIO (Danzelli Editore, Roma 1995) pone l’accento sui dimostrativi ed evidenzia l’autoriferimento del linguaggio, che si coniuga con l’imponente presenza di una materialità non enunciabile. In Scienza e analisi linguistica Michele Marsonet si propone di mostrare come la filosofia del linguaggio abbia avuto sulla scienza un effetto tanto ampio, quanto negativo. La maggior parte dei filosofi del linguaggio, infatti, pur professando una teoria empirista che inficia la credenza nella metafisica, rivelano, ad un’analisi più approfondita, una tendenza idealistica. La crisi della metafisica, secondo Marsonet, avrebbe dunque condotto i filosofi del linguaggio alla ricostruzione di un nuovo tipo di metafisica che si fonda sulla chiarificazione del linguaggio attraverso la fissazione dei limiti di senso. Infatti, se non viene più ricercata un’essenza, in grado di spiegare tutta la realtà, al linguaggio viene tuttavia attribuito un notevole potere in quanto chiave conoscitiva del reale. In tale ottica la filosofia si trasforma in “analisi linguistica”, assumendo un ruolo assai più importante di quello di analizzare i termini e gli enunciati e acquisendo la funzione di stabilire le condizioni che rendono possibile la stessa conoscenza. Questa situazione, per Marsonet, non è che una nuova riformulazione della metafisica, in cui sono possibili asserzioni relative al modo con cui l’uomo descrive la stessa realtà. In questa prospettiva Marsonet individua l’influenza della filosofia di Kant nelle teorie linguistiche. Come Kant riteneva che la conoscenza si basasse sulle categorie a priori presenti nell’uomo, così i linguisti analitici sostengono che il discorso acquisisce significato solo in relazione ad un “sistema di rappresentazione linguistica”. Per suffragare queste tesi Marsonet prende in considerazione la teoria linguistica di Quine. Se da un lato Quine abbraccia la 37 concezione dell’empirismo, secondo la quale la realtà è costituita da ciò che l’uomo può percepire attraverso i sensi, dall’altro lato sostiene un “realismo logicolinguistico”, in base al quale la realtà è ciò che sperimentiamo nell’ambito del nostro linguaggio. La discrepanza tra queste due direzioni teoriche conduce poi ad un offuscamento dell’empirismo in favore di una teoria linguistica che, riconoscendo al linguaggio la capacità di determinare la forma del manifestarsi della realtà al soggetto, non pare però avere più legami con lo stesso empirismo. Al fine di contrastare la tendenza idealistica della teoria del linguaggio, Marsonet propone di rivalutare la concezione naturalistica, che considera la realtà del mondo indipendente dall’attività del pensiero e dal linguaggio umani. Infatti, osserva Marsonet, anche ipotizzando la scomparsa del genere umano la struttura del reale continuerebbe a sussistere. Così, ripercorrendo le teorie linguistiche, Marsonet mostra come l’unico modo per superare le opposte concezioni del realismo e dell’idealismo sia quello di mettere in luce il legame esistente tra lo schema concettuale e il mondo, poiché tale schema, costituendo una delle forme con cui la realtà esiste, appartiene alla realtà naturale. Perciò Marsonet preferisce parlare di “epistemologia naturalistica”, piuttosto che di scienza realista o antirealista. Abbattere il modello linguistico denotativo è invece la proposta di Paolo Virno, secondo il quale solo prescindendo da questo modello linguistico è possibile evidenziare come le nostre enunciazioni linguistiche si inseriscano in un ambito materiale “non enunciabile”, determinando un autoriferimento del linguaggio. Per raggiungere il suo scopo Virno sottolinea l’importanza del dimostrativo e quindi dell’aspetto ostensivo del linguaggio, che denota un carattere di universalità, non indicando alcun oggetto in particolare. Il dimostrativo, infatti, negando ciò che sembra indicare, si fonda su una relazione negativa con le cose. In questa impostazione la critica nominalistica assume un significato diverso da quello attribuitole tradizionalmente, in quanto non rappresenta più un tentativo di basare la denotazione sulla singolarità ma è una “rivendicazione della singolarità contro la denotazione”. D’altra parte, secondo Virno, il paradosso del mentitore mette in risalto il rapporto che esiste tra autoriferimento e denotazione: il sensibile scompare nel momento stesso in cui è rappresentato, lasciando trasparire la “debolezza ermeneutica” del linguaggio. E’ la parola dunque a costituire quel contesto che chiamiamo mondo, e solo il superamento del modello denotativo del linguaggio consente di far apparire l’aspetto materiale dell’appartenenza umana al mondo. M.Mi. TENDENZE E DIBATTITI Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913 (copia del 1964, l’originale è andato perso) 38 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Concezioni estetiche Attraverso un ripensamento dell’estetica kantiana, nel suo ultimo lavoro, ANIMA MINIMA. SUL BELLO E SUL SUBLIME (a cura di F. Sossi, Nuove Pratiche Editrice, Parma 1995), Jean-François Lyotard ci propone un’interessante riflessione estetica. Di diversa impostazione è invece la concezione espressa da Luciano Nanni ne I COSMI, IL METODO. DIARIO DI ARTE E DI EPISTEMOLOGIA 1979/1989 (Book Editore, Bologna 1994), in cui si richiama il modello della “significazione polisemica”. Una tale impostazione del problema estetico trova riscontro in un differente modo di rapportarsi al reale, caratterizzato da una visione del mondo come energia trasformatrice, che elimina tutte le tradizionali separazioni formali. É ciò che emerge nei contributi di vari autori raccolti, a cura di Mario Perniola, nel volume L’ARIA SI FA TESA. PER UNA FILOSOFIA DEL SENTIRE PRESENTE (Edizioni Costa & Nolan, Genova 1994), che eliminando ogni distinzione formale, propone un’estetica dell’eccesso basata sulla priorità del sentire. Nella sua recente riflessione sul bello e sul sublime, Jean-François Lyotard muove dal presupposto che la sensazione abbia la funzione di attestare la presenza dell’anima. Per Lyotard, infatti, l’anima, se non è toccata dal sensibile non esiste, poiché perde la sua vitalità. All’opera d’arte, nella sua perenne oscillazione tra presenza e assenza, spetta di ricordare all’anima il suo bisogno di “esposizione”, il suo legame necessario con la sensazione e quindi la sua schiavitù nei confronti del sensibile. Questa concezione di Lyotard proviene da una lunga riflessione sulla Critica del Giudizio di Kant, con l’intento di rinvenire un particolare legame tra il sublime kantiano e l’opera d’arte d’avanguardia. Per Lyotard, infatti, le avanguardie artistiche, nella loro rottura della forma e nella costruzione di un’arte astratta e minimale, rivelano il sentimento dello stupore e del terrore tipico del sublime kantiano, che scaturisce dalla minaccia della scomparsa, dalla “non presenza nella presenza”. In tale ripensamento dell’estetica kantiana l’arte figurativa delle avanguardie costituisce per Lyotard la «sfida dell’immaginazione all’intelletto» che, sopraffatto dalle forme eccessive prodotte dall’immaginazione, accecato, ottenebrato dalla libertà dell’immaginazione, arresta il suo “gioco” con quest’ultima per lasciare emergere la “serietà” del sublime. Ma un altro tipo di oscurità si fa ora avanti, quella che avvolge l’immaginazione di fronte alla serietà del sublime. Infatti, osserva Lyotard, l’immaginazione prende coscienza dei suoi limiti, della sua finitudine in rapporto all’infinità del sublime. Questa visione del sublime viene riscontrata da Lyotard nell’arte d’avanguardia, capace di destare quel senso di stupore per il tutto e di orrore per il nulla che appartiene appunto all’essenza stessa del sentimento del sublime. Il riferimento al paradigma della “significazione polisemica”, che scardina i tradizionali schemi narrativi, rifiutando di seguire rigorosamente la successione temporale, è invece ciò che secondo Luciano Nanni permette di cogliere le caratteristiche dell’arte contemporanea, superando una concezione estetica che assegna all’opera d’arte una forma predeterminata e le permette di attingere una verità unica, prestabilita. La possibilità di un’interpretazione pluralistica dell’opera d’arte rende invece quest’ultima aperta in modo indefinito ai vari e diversi significati che le possono venire attribuiti. In questa situazione, fa notare Nanni, l’artista non è più il detentore, il “proprietario” assoluto dell’opera; non ha il potere di porre la parola definitiva, il significato ultimativo alla propria opera. Analogamente non può esistere un criterio di verità assoluta, che prediliga un’interpretazione rispetto alle altre; l’unico criterio di verità accettabile è quello della “coerenza interna” di una interpretazione, per cui tutte le sue parti risultano organizzate secondo una logica interna. Si assiste così, secondo Nanni, ad una “disseminazione infinita dell’opera d’arte” e viene costruito un universo pluralistico di significati tra i quali nessuno può assurgere a parametro assoluto. In questa prospettiva, comprendere l’opera d’arte significa conseguire autocoscienza, in quanto il lettore o lo spettatore scoprono se stessi e costruiscono la propria identità attraverso l’interpretazione dell’opera. 39 Questa concezione estetica trova riscontro in una determinata visione del mondo che implica un diverso modo di rapportarsi alla realtà esterna. Nella raccolta di saggi dal titolo: L’aria si fa tesa. Per una filosofia del sentire presente, emerge un’immagine del mondo che supera quella consueta, basata sulla netta distinzione tra lo spirituale e il corporeo, optando per un mondo animato da una energia fluida, da un magma indifferenziato che avvolge gli individui, annullando le distanze spaziali e temporali attraverso la telematica e la cibernetica, eliminando la distinzione tra interno ed esterno, scardinando i punti di riferimento tradizionali. Mario Perniola, curatore del volume, mostra come per comprendere questa visione del mondo sia necessario passare da un’estetica del piacere ad un’estetica dell’eccitazione, che superi i concetti filosofici di spirito e di vita per entrare in un nuovo mondo, in cui si affermi il sentire esteriore ed elimini i confini tra ciò che è proprio e ciò che è estraneo. Per Marie Christine Lala, questo nuovo modo di rapportarsi alla realtà esterna implica la categoria dell’ “eccesso”, che diventa il simbolo del superamento dei limiti imposti all’essere. Si tratta allora di “osare”, come sottolinea Santa Vennaven, di esporsi al rischio implicito nella scelta, manifestando la capacità di «trasformare il possibile in reale». Per Patrick Bandry, il superamento dei propri limiti si può riscontrare nell’attività dello sportivo che lotta con il proprio corpo, che cerca di vincere gli ostacoli fisici per intensificare al massimo le sue potenzialità, avventurandosi nel mondo dell’infinita sperimentazione di se stesso. Dal suo canto, Antonio Carona mostra come il mondo cibernetico e quello della telematica eliminino la distinzione tra interiore ed esteriore, disintegrando la stessa unità e integrità del corpo umano. Il ciberpunk oltrepassa anche la stessa cibernetica, proponendo l’immagine del “corpo disseminato”. Le realtà virtuali rendono infatti problematica la stessa identità dell’individuo, spingendo il corpo fuori dai suoi limiti fisici. Caduto il paradigma interno-esterno l’esperienza cinestetica non conosce limiti e consente di tradurre ogni senso in un altro a piacere, introducendo l’individuo in un mondo di fluttuanti sensazioni. M.Mi. TENDENZE E DIBATTITI La ragione di Geymonat Frutto di un dibattito tenutosi a Varese nel 1990, il volume dal titolo: LA RAGIONE (Piemme, Milano 1994), raccoglie un dialogo tra Carlo Sini e Ludovico Geymonat, accompagnato da una serie di saggi, scritti da Geymonat in epoche diverse, sui grandi temi della ragione contro il dogma. Chiude il volume un’ampia “Postfazione” di Fabio Minazzi. Ciò che accomuna le posizioni di Carlo Sini e Ludovico Geymonat nel loro dialogo su problemi riguardanti la razionalità, il metodo, il senso e la fede, è il rifiuto di una concezione della ragione intesa come l’assoluto statico e immutabile. Contro un criterio parmenideo ed infallibile, infatti, i due filosofi mostrano l’esigenza di una ragione critica, negata dai fatti, e messa continuamente in discussione dall’esperienza. A questo proposito Sini sottolinea la necessità di parlare non tanto “della” Ragione, ma di “una” ragione che ha perso la propria dimensione di unicità. Figlia dell’Illuminismo e in grado di liberare l’individuo dallo stato di minorità, la ragione, dopo l’età romantica, ha acquisito i caratteri della storicità e, quindi, della criticabilità. Mostrando che le tradizioni ed il contesto giocano un ruolo determinante nella struttura stessa della ragione, Sini mette in evidenza gli sforzi della fenomenologia e dell’ermeneutica nel mettere in discussione proprio queste tradizioni. Anche la critica come rifugio dal dogma, mostra infatti Sini, può essere in linea di principio assolutizzabile e perciò sempre da relativizzare. D’accordo col rifiuto del dogma, Geymonat propone una concezione della ragione innanzitutto come metodo. Ormai lontano dalle posizioni assunte ne Le ragioni della scienza (1986), in cui difendeva, in dialogo con Giulio Giorello, il rifiuto della metafisica, la necessità del rigore e dell’aspetto sperimentale come nucleo forte della metodologia, qui Geymonat mostra come, da Galileo ad Einstein, il metodo abbia perso la sua unicità e sia passato all’esigenza di modelli alternativi. Ma la pluralità dei metodi, secondo Geymonat, implica necessariamente il problema della demarcazione. Non esistendo più “il” metodo, occorre allora un criterio razionale che possa servire a questo scopo. Inoltre, con le diverse innovazioni tecnologiche di questo secolo, emerge anche la necessità di un criterio morale, e quindi di critica filosofica, che fornisca il senso a tutte quelle costruzioni scientifiche, quali la genetica o gli studi nucleari, che rispondono a domande diverse da quelle propriamente “tecniche”. Se nel dialogo con Sini emerge un Geymonat aperto ai problemi etici e portatore di una metodologia razionale e critica, lo stesso non si può dire per i saggi raccolti nella seconda parte del volume. Scritti da Geymonat durante l’intero arco della sua vita e della sua produzione filosofica, questi saggi riflettono la fedeltà alla dialettica e allo storicismo. Nell’attraversare la storia e la filosofia della scienza, infatti, Geymonat riscontra un rapporto tra teoria e prassi, che è risolvibile, e di fatto viene risolto, solo dalla dialettica materialistica; una posizione, questa, che nelle Ragioni della scienza aveva peraltro determinato la profonda distanza tra le posizioni di Geymonat e quelle del “libertino” Giorello. In altre parole, l’apertura razionale, il dialogo e, quindi, la necessità dello scontro e della critica, tanto difesi da Geymonat, sembrano dunque risalire non tanto ad un’effettiva posizione di apertura e libertà, quanto alla ricerca di una struttura dialettica, e quindi aperta solamente alla sintesi, che caratterizzi il metodo e la scienza. Fedele alle posizioni di una vita, Geymonat presenta la ragione come “devastazione” e rottura, intendendo però con questi termini non tanto una posizione di libertà - e le frequenti critiche al razionalismo popperiano lo confermerebbero - quanto la difesa dello storicismo dialettico, finalizzato ad una sintesi conclusiva e portatore di una metodologia che, anche se non in senso dogmaticamente parmenideo, è materialisticamente strutturata. A.S. L’uomo e la cura L’uomo e la cura è il tema che sta al centro del nuovo studio di Oliver Sacks, UN ANTROPOLOGO SU MARTE (trad. it. di I. Blum, Adelphi, Milano 1995). Dai casi clinici di Sacks emerge la necessità di fare del rapporto medico-paziente un rapporto umano, di conoscenza reciproca. Di questo problema si occupa anche Giorgio Cosmacini, storico della medicina, nel suo recente studio, LA QUALITÀ DEL TUO MEDICO. PER UNA FILOSOFIA DELLA MEDICINA (Laterza, Roma-Bari 1995). Per Cosmacini, come del resto per Sacks, la qualità della professione medica non può prescindere da una visione complessiva della persona che si ha in cura. Un pittore divenuto cieco ai colori; una donna autistica riabilitata dal contatto con gli animali; un professionista costretto da un guasto al cervello a dire oscenità di ogni genere: sono questi i casi straordinari descritti in Un antropologo su Marte, ultimo lavoro di Oliver Sacks, che ribadisce tuttavia di considerarsi un medico in servizio permanente effettivo, un curante che mai vorrebbe vedere trasformati dei casi umani in casi letterari. Nel caso del pittore divenuto cieco ai colori, in seguito a un incidente d’auto, Sacks mostra come 40 una grande sensibilità cromatica si possa trasformare in una particolare sensibilità per i chiaroscuri, per le gradazioni del bianco e nero, fino ad assestarsi nella nuova realtà. Il carattere totalmente alieno dell’universo in bianco e nero, inizialmente percepito dal paziente come un orribile incubo, finisce per assumere ai suoi occhi una bellezza e un fascino singolari. Dopo numerosi sforzi, fa notare Sacks, il paziente trova un inconsueto stile di pittura e giunge a rifiutare la riabilitazione che, mettendo in funzione neuroni diversi da quelli danneggiati, gli potrebbe restituire il mondo a colori. La proposta di riabilitazione gli appare addirittura “ripugnante”: il colore gli rovescerebbe addosso un tumulto di sensazioni incoerenti e disintegrerebbe l’ordine visivo del suo mondo, appena restaurato. Egli si è adattato, neurologicamente e psicologicamente, a vivere nel mondo dell’acromatopsia, è giunto a “dimenticare” il colore. Secondo Sacks, il caso del “pittore in grigio” è la dimostrazione palese che si può vivere in una condizione di anormalità, anzi che la cosiddetta anormalità può essere stimolo e ricchezza. «Il più delle volte mi sento come un antropologo su Marte» - confessa a Sacks la paziente autistica, che viene descritta nell’ultima parte del suo studio. Questa paziente, secondo il racconto di Sacks, per superare le proprie difficoltà a capire le emozioni umane, aveva escogitato un sistema comodissimo, ben governabile, in grado di somministrarle un “abbraccio” ogni volta che lei voleva, trasmettendole quel senso di calma e di piacere che aveva sognato fin da quando era bambina. La grande stranezza della “macchina per abbracciare” colpisce e commuove Sacks; dopo averla provata lui stesso, comprende a fondo la sensazione di dolcezza e rilassamento che la macchina comunica alla sua paziente, al punto di riuscire a “insegnarle” quel sentimento di empatia verso gli altri, di immedesimazione negli stati mentali e nelle prospettive delle persone, che l’autismo le impedisce di avere. Un’empatia che tuttavia la paziente dimostra invece di avere con gli animali. Il rapporto che Sacks instaura con la paziente diviene quasi una relazione di amicizia: diviene lui stesso un antropologo, “l’antropologo dell’autismo”, disposto a seguire il suo paziente anche su “Marte”, se necessario. Curare per Sacks significa fondamentalmente rivolgersi a una persona, intuirne le motivazioni profonde, immedesimarsi in essa fino a vedere la realtà con i suoi occhi; lo scopo di Sacks è comprendere le persone e il suo è un vero e proprio viaggio dentro l’anima, è la descrizione della “forma” del mondo come appare al singolo soggetto. A differenza di molti colleghi neurologi e scienziati cognitivi, che ritengono che la conoscenza scientifica della mente TENDENZE E DIBATTITI Rembrandt, Lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632 (part.) potrà venirci solo attraverso la comprensione della biologia del cervello, Sacks non si stanca di insistere che la necessità di «occuparsi dell’individuo nella sua interezza» è essa stessa una necessità della scienza, in quanto «la fisiologia, la neurologia e le neuroscienze stesse hanno bisogno di un concetto adeguato dell’individuo e della mente». Per descrivere la malattia mentale, Sacks descrive “una persona” e non un cervello, anche se, talvolta, occorre curare il cervello, per salvare la persona. Pur accettando una teoria della mente complessiva, Sacks sostiene che i nostri personali stati di coscienza rimangono tuttavia fuori da queste indagini generali: gli stati di coscienza individuali sono legati a esperienze personalissime e irripetibili. L’essere umano nella sua interezza costituisce il punto focale anche della riflessione di Giorgio Cosmacini: «La medicina, da Ippocrate in poi, afferma Cosmacini si esercita fra techne e valori umani. Scienza applicata all’uomo e rapporto fra uomini sono i due elementi “animatori e “categorici” del mestiere del medico. Nella medicina ippocratica essi erano coincidenti: la “tecnologia” coincideva con l’ “antropologia”». Il medico ippocratico, archetipo del medico impegnato tecnicamente quanto umanamente, è per Cosmacini modello per un’antropologia medica intesa come riflessione filosofica sul rapporto interumano tra medico e paziente e tra medico e società. Nell’esercizio dell’ippocratica ars curandi il medico “curante” si rapportava all’uomo “curato” nella sua totalità e interezza, in una coincidenza tra realtà fisiopatologica e realtà esistenziale, tra affezione del corpo e afflizione dell’animo. Questa “antropologia curativa” era totalizzante. Anche lo spiritualismo medioevale, se pure sottovalutava il corpo rispetto allo spirito, non faceva tuttavia distinzione tra una “superiore” cura dell’anima e una “inferiore” cura del corpo. La salus 41 era tanto salvezza dell’una quanto salute dell’altro, un’unica cura, quindi, di tutto l’essere umano. Oggi il mestiere di medico fa i conti più che mai con una crisi interna, intrinseca al rapporto medico-paziente, un rapporto entrato in crisi da quando il medico ha cominciato a veder nel paziente non tanto una “totalità”, quanto piuttosto una somma oggettuale di organi. La medicina fondamentale viene sopraffatta dalla medicina specialistica e dal rischio, in essa implicito, dell’autoriduzione del medico a specialista del corpo scisso. Tale situazione crea lo spazio per un crescente “nichilismo curativo”, caratterizzato da un’assenza di ascolto e di dialogo e da una carenza del “prendersi cura” globale. La “cura”, intesa come originario “prendersi cura” dell’altro, è tema centrale anche del volume dal titolo: In principio era la cura (a cura di P. Donghi e L. Preta, Laterza, Bari-Roma 1995), una raccolta di contributi di studiosi italiani, tra i quali TENDENZE E DIBATTITI Paolo Fabbri, Alberto Oliverio e Stefano Rodotà, appartenenti a discipline diverse, come la biologia, la chimica, la filosofia, ma accomunati dal tentativo di definire l’idea di salute/malattia. Un tentativo che non può prescindere dal concetto di “cura”, che significa innanzitutto “prendersi cura”, ovvero porre in discussione il rapporto con se stessi e con il resto del mondo. A tale necessità Cosmacini risponde con una filosofia della medicina che parte dall’uomo, che recupera valori umanistici e naturalistici, antropologici ed ecologici: «Per aiutare a nascere senza pericoli e a morire serenamente, scrive Cosmacini, per proteggere i sani e aver cura dei malati cronici, degli anziani e dei disabili, saranno sempre più necessari nuovi curanti che porteranno la medicina a potenziare o recuperare, accanto alla ragion d’essere tecnologica, la vocazione antropologica che da sempre le appartiene». E.C. Sul crollo del comunismo Il crollo del regime comunista sovietico ha da tempo aperto un intenso dibattito sul futuro dell’umanità, conseguente alla modificazione degli equilibri europei e mondiali. É ciò che emerge anche nella raccolta di saggi dal titolo: CROLLO DEL COMUNISMO E RIPRESA DELL ’UTOPIA (a cura di A. Colombo, Edizioni Dedalo, Bari 1994), dove vengono affrontati temi come il valore dell’utopia comunista e le nuove forme di governo adeguate a tale rinnovamento. In un medesimo contesto di riflessione s’inserisce lo studio di Arrigo Colombo, La Russia e la democrazia. Il riemergere della democrazia diretta (Edizioni Dedalo, Bari 1994). Nel volume Crollo del comunismo e ripresa dell’utopia alcuni autori s’interrogano sul problema di un nuovo ordinamento dell’Europa dopo la caduta della tradizionale contrapposizione tra blocchi egemonici, proponendo soluzioni per un nuovo assetto non solo europeo, ma anche mondiale. La caduta del regime sovietico pone in crisi in primo luogo la validità della stessa utopia comunista, generando una riflessione sulla possibile continuità o discontinuità con i principi che hanno animato la Rivoluzione d’ottobre e l’instaurazione del regime totalitario. A questo proposito, Francesco Benvenuti (Rivoluzione e comunismo sovietico nella prospettiva storica della fine: 1991-1917) ritiene che esista una compatibilità tra il totalitarismo militare proprio della dittatura staliniana e la componente rivoluzionaria dell’egualitarismo, legata a forme di collettivismo primitivo. Per Roberto Massari (L’inizio autentico: i soviet, i comitati di fabbrica), la Rivoluzione d’ottobre aveva invece significato un’importante apertura verso la possibilità di demolizione delle basi dello sfruttamento capitalistico, possibilità che fu recisa con la formazione del partito bolscevico, che dominava sulla classe lavoratrice. In questa direzione si orienta anche l’intervento di Umberto Cerroni (L’alterazione del progetto rivoluzionario: marxismo, leninismo, stalinismo), secondo il quale Stalin si appropriò in modo riduttivo della tradizione marxista disconoscendo tutta la sua complessa problematica legata all’analisi economica e politica. Il tradimento dei principi della Rivoluzione d’ottobre ad opera del regime sovietico è messo in evidenza anche da Beatrice Battaglia (La “rivoluzione tradita” di George Orwell), che prende spunto dall’opera di Orwell per denunciare come il totalitarismo abbia le sue radici non nel socialismo e nelle teorie egualitarie, ma nella disuguaglianza propria di una società capitalistica. Il tentativo di recuperare lo sfondo ideale della Rivoluzione d’ottobre e quindi il suo significato utopico è al centro dell’intervento di René Schérer (Spostamento dell’utopia dopo il crollo), che definisce la degenerazione realizzatasi con l’avvento del regime sovietico una “utopia pervertita”, una “disutopia”. A ciò fa riscontro Stéphanie Bourson (Il crollo e la vicenda dell’utopia), che mostra come tutte le utopie create dagli uomini siano caratterizzate dalla presenza continua nella storia dell’umanità di un ideale di società giusta, pianificata e “armoniosa”. In questa prospettiva, per Andrea Catone (La parabola di un’idea: 1985-1990) la Perestrojka attuata da Gorbaciov costituisce un proseguimento del progetto che stava alla base della rivoluzione socialista. Le ambiguità inerenti alla stessa attività della Perestrojka, avverte Guermann Diliguensky (Le ambiguità della Perestrojka), sono dovute alle diverse fasi che ha attraversato nella sua delineazione. Riguardo al problema della forma politica più adeguata per i paesi dell’ex Unione Sovietica, Revolt Entov (Piano e mercato: la transizione in atto) e Antonio Moscato (Il fallimento dei tentativi di autoriforma) mettono a confronto l’economia socialista, fondata sulla pianificazione, e quella capitalistica, basata sul mercato. Livio Maitan (La crisi attuale) sottolinea invece la necessità di proporre un modello alternativo ad entrambe queste economie, basato su una proprietà collettiva stabilita attraverso la partecipazione democratica alla gestione dell’economia. In tale ottica si pronuncia Giuseppe Schiavone (Democrazia borghese, democrazia di popolo, utopia), che attraverso l’analisi storica della nascita del concetto di democrazia mostra 42 come la democrazia costituisca un “progetto utopico” di potere legittimo, basato sulla volontà concreta dei cittadini e sempre perseguibile, che ha le sue radici nell’energia “critico-poietica” del soggetto. A tal proposito Bruno Jossa (L’autogestione dell’impresa) e Michel Burnier (L’autogestione; le difficoltà oggi), mettono in risalto la validità del modello democratico, che trae la sua forza da una società autogestita, unico ideale democratico possibile. Alla possibilità di una democrazia fondata sull’autogestione fa riscontro uno studio specifico di Arrigo Colombo, La Russia e la democrazia, in cui si sottolinea come il rischio principale che si può originare dalla caduta del sistema sovietico risieda nell’elezione del modello occidentale, fondato su uno sfrenato capitalismo e su una filosofia individualistica ed egoistica che difende il valore della proprietà come possesso. Inoltre, osserva Colombo, l’idea di un’unificazione europea non può essere disgiunta dal raggiungimento di un’etica di pace, contrapposta a un’etica di guerra, attraverso l’edificazione di una federazione internazionale degli stati. É necessario creare una mentalità cosmopolita che renda cosciente l’umanità di appartenere ad un’unica terra, al di sopra dei singoli interessi degli stati. Ciò è possibile se verrà rivalutato il patrimonio utopico legato all’idea, mai spenta e sempre rinnovantesi, di una democrazia fondata sui principi della solidarietà e della comunione tra gli uomini. M.Mi. Incontro tra culture diverse Con il titolo: L’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI ‘500 (a cura di S. Biolo, Rosenberg & Sellier, Torino 1995), sono raccolti i contributi di Carlos Baciero, Enrico Berti, Salvino Biolo, Claudio Ciancio, Sergio Cotta, Angelo Crescini, Ada Lamacchia, Luciano Malusa, Angelo Marchesi, Luciano Pereña, Gregorio Piaia, Aurelio Rizzacasa, Livio Rossetti. L’intento degli autori è di esaminare le conseguenze del contatto avvenuto tra l’Europa e l’America a seguito della colonizzazione, in particolar modo in relazione al problema del rispetto dei diritti universali dell’uomo. UMANI E IL PENSIERO UMANO DEL La colonizzazione costituisce un evento che nel corso dei secoli ha attraversato l’Europa e l’America, determinando la necessità di una riflessione di carattere storico- filosofico, religioso e giuridico riguardo al problema dell’eventuale applicazione o violazione dei diritti umani. Nel volume L’universalità dei diritti umani e il pensiero cristiano del 500 vari autori si interrogano sulle conseguenze TENDENZE E DIBATTITI del processo di colonizzazione, prendendo in considerazione le teorie dei filosofi, giuristi e teologi del ‘500 riguardo all’espansione dell’Europa cristiana in America. Per Salvino Biolo (Diritti umani e diritto coloniale), ciò che determina il fenomeno della colonizzazione è la tendenza dell’uomo, presente in ogni società, ad espandersi all’esterno e a comunicare con gli altri, pur mantenendo intatta la propria identità. In alcuni pensatori del ‘500 come Molina e De Victoria, Biolo riscontra in particolare il bisogno di tracciare le differenze tra il diritto e il torto dell’espansione europea verso l’America, ritenendo che già in questi filosofi sia possibile individuare i germi di una difesa dei diritti universali dell’uomo. Come sottolinea anche Enrico Berti (Francisco De Victoria nell’interpretazione di Carl Schmitt), per il De Victoria, il fondamento del diritto è rappresentato dalla «natura razionale e politica di qualunque uomo e in qualunque terra viva». Dal suo canto, Angelo Marchesi (Riflessione filosofico-teologica e problemi della conquista spagnola), evidenzia come sia Las Casas che De Victoria critichino le violenze compiute dai conquistatores spagnoli nella loro espansione in America Latina, opponendosi alla concezione di una derivazione divina della monarchia spagnola. Gli Indios dell’America Latina, per De Victoria, hanno il diritto di mantenere inalterati la loro proprietà e i loro sistemi politici, una volta che si rivelino conformi alla “ragione naturale umana” e ad una “ordinata convivenza civile”. Come d’altra parte rileva Ada Lamacchia (Francisco De Victoria: i diritti umani nella ‘Relectio De Indis’), il De Victoria distingue i titoli legittimi da quelli non legittimi nell’occupazione spagnola dei nuovi territori d’America. Riguardo ai titoli non legittimi riconosce l’importanza del rispetto della dignità umana degli Indios; riguardo ai titoli legittimi riprende una possibile teoria dello ius gentium, elaborando una concezione dello ius naturalis societatis et communicationis fondata sulla tendenza degli uomini ad una “spontanea espansione” verso i propri simili. All’opera di Diego Valades dedica invece il suo contributo Livio Rossetti (Riuscire ad intendersi con gli Indios: il nuovo mondo visto da Diego Valades (1579)). Pur accettandola, Valades non considera l’idea di evangelizzazione come il risultato di una semplice sovrapposizione, ma come il frutto di un incontro creativo tra diverse culture e religioni, scevro da ogni assimilazione violenta. In una medesima prospettiva, Gregorio Piaia (Evangelizzazione e libertà religiosa in ‘Utopia’) individua una similitudine tra Tommaso Moro e Las Casas nel considerare l’opera di evangelizzazione come opera com- piuta nel pieno rispetto della libertà degli Indios con lo scopo di stabilire rapporti umani tra genti diverse. Nonostante ciò, entrambi questi autori appaiono a Piaia poco “realistici” e incapaci, quindi, di reagire di fronte alla “cupidigia” e alla “superbia” della conquista. Secondo Angelo Crescini (Il “dinamico” fondamento dei diritti dell’uomo), la difesa potenziale dei diritti umani universali può essere attuata solo attraverso il riferimento ad una struttura originaria che definisca l’essenza dell’uomo. Mediante l’uso di un metodo “dinamico” e fenomenologico, osserva Crescini, si può cogliere nell’uomo il carattere di una latente incompletezza, che esige una continua realizzazione. Questa esigenza si esplica anche nel rapporto dell’uomo con gli altri uomini, anche se l’espansione dell’uomo verso gli altri non deve determinare l’annullamento della sua particolarità, ma anzi favorire una sua armonica integrazione con gli altri. Nella stessa direzione si muove Sergio Cotta (Diritti dell’uomo: la questione del fondamento), che a proposito della “natura ontologica” dell’uomo sostiene che l’applicazione del principio di eguaglianza universale deve comportare la possibilità della formazione di particolari diversità “esistenziali, personali e culturali”. M.Mi. Per una nuova Europa Una serie di recenti studi s’interroga sulle possibilità e i modi di realizzazione della nuova Europa. In EUROPA FENICIA . IDENTITÀ LINGUISTICA, COMUNITÀ, LINGUAGGIO COME PRATICA SOCIALE (Franco Angeli, Milano 1994) Patrizia Calefato mostra la necessità di ristrutturare il linguaggio, inteso come pratica sociale, per eliminare quelle forme di razzismo che si sono verificate con la migrazione di molti popoli in Europa. Alla questione delle radici cristiane dell’Europa è dedicato il volume FILOSOFIA E CULTURA NELL ’ EUROPA DI DOMANI (a cura di B. Mondin, Edizioni Città Nuova, Roma 1993), a cui si affianca, in un medesimo contesto di riflessione, lo studio di Nynfa Bosco, L’ EUROPA E IL SUO ORIENTE . LA SPIRITUALITÀ DEL CRISTIANESIMO ORIENTALE (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993), che rileva la necessità una conoscenza più approfondita del cristianesimo orientale. Analizzando il fenomeno della migrazione, Patrizia Calefato ricerca le possibilità di un’identità europea come “dialogicità interculturale e interlinguistica”, che trovi realizzazione all’interno di una comunità protesa verso un’alterità extracomunitaria. Tale riflessione nasce da 43 un’analisi dell’Europa come nuova “Babele”, caratterizzata da continue migrazioni e quindi da molteplici movimenti di popoli, lingue e saperi, che stanno cambiando la prospettiva di valutazione del mondo. Solo una nuova concezione del linguaggio, che rivaluti il suo carattere sociale, può permettere, secondo Calefato, di superare tutte le alienazioni e le reificazioni dell’altro. Il linguaggio in quanto pratica sociale è divenuto, infatti, veicolo inconsapevole di ideologie e valori e solo modificando la struttura del linguaggio è possibile far corrispondere alla crescente pluralità di culture e di lingue in Europa l’abolizione di ogni forma di razzismo e di oppressione. L’importanza del cristianesimo per la formazione dell’unità europea è al centro della raccolta Filosofia e cultura nell’Europa di domani, a cura di Battista Mondin. Un primo ordine di riflessioni presente nel volume è indirizzato a sottolineare le radici ideali dell’Europa e le componenti filosofiche della nuova Europa. Nei contributi di Vittorio Possenti, Giorgio Penzo, Abelardo Lobato, Piero Viotto, Ubaldo Pellegrino, Mariano Fazio, Francesco Russo, Giordano Frosini, Enrico Berti, Rocco Buttiglione, Battista Mondin, l’era capitalistica viene in vario modo collegata ad un pensiero nichilistica, che affonda le sue radici in filosofi come Nietzsche, Kierkegaard, Heidegger e che si basa sull’esaltazione del soggetto, sull’immanentismo, sull’edonismo, sulla mancanza di valori trascendenti, a causa della scissione tra il piano della fede e quello della ragione. In contrapposizione a questa mentalità individualistica viene rivalutato il significato positivo del cristianesimo per il recupero dei valori della solidarietà, della fraternità, dell’amore, della giustizia, della trascendenza, al di là di ogni irrigidimento assolutistico in forme coattive e autoritarie, che non lascino aperta la possibilità della ricerca. Un secondo ordine di interventi, a cui si possono ricondurre i contributi di Luciano Corradini, Paolo Miccoli, Gilberto Campana, è rivolto invece all’analisi del modo in cui l’educazione, all’interno della scuola, possa formare una concezione cristiana dell’Europa. Viene così evidenziata la necessità di un tipo di pedagogia che si occupi non solo dell’istruzione, ma soprattutto della formazione degli alunni attraverso una nuova educazione che, recuperando l’ispirazione cristiana crei una mentalità sensibile ai problemi dell’integrazione comunitaria. Tuttavia, osserva Nynfa Bosco in L’Europa e il suo oriente, per costruire una nuova concezione dell’Europa, fondata su valori cristiani, è necessario conoscere anche le forme di cristianesimo orientale, in modo da poter individuare gli elementi di convergenza con quello occidentale al di là delle ineliminabili differenze. M.Mi. PROSPETTIVE DI RICERCA Baruch Spinoza 44 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Spinoza in Francia Pierre-François Moreau consacra alla nozione spinoziana di esperienza il suo ultimo lavoro: SPINOZA, L’EXPÉRIENCE ET L’ÉTERNITÉ, (Spinoza, l’esperienza e l’eternità, PUF, Parigi 1994). Uno dei maggiori meriti di questo studio è il rovesciamento definitivo dell’idea semplicista, ma diffusa, di uno Spinoza razionalista, sordo alle realtà dell’esperienza. Nel contesto della ricerca su Spinoza in Francia segnaliamo anche, nella «Revue de Métaphysique et de Morale» (ottobre/dicembre 1994), la pubblicazione degli atti d’una giornata di studio, svoltasi il 12 marzo 1994 alla Sorbona e dedicata a una riflessione sulla quarta parte dell’ ‘Ethica’ spinoziana. L’interpretazione di Spinoza offerta da Gilles Deleuze e Louis Althusser è invece oggetto specifico dello studio di Vesa Oittinen, SPINOZISTISCHE DIALEKTIK. DIE SPINOZA-LEKTÜRE DES FRANZÖSISCHEN STRUKTURALISMUS UND POSTSTRUKTURALISMUS (Dialettica spinozistica. La lettura di Spinoza nello strutturalismo e nel post-strutturalismo francese, Lang, Francoforte s/M.-BerlinoNew York-Parigi-Vienna 1994), che attraverso la critica delle interpretazioni anti-dialettiche del pensiero spinoziano intende mettere in luce, in rapporto a Hegel, il ruolo della dialettica nel pensiero di Spinoza. In Francia, il pensiero di Spinoza è oggetto di una riflessione privilegiata, condotta senza interruzioni da più di cinquant’anni presso L’Ecole Normale Supérieure de Fontenay-St Cloud (Parigi), sotto la direzione di studiosi quali Martial Gueroult, Alexandre Matheron, Pierre-François Moreau. L’interesse per Spinoza è attualmente al centro dell’attività del Centre d’Etudes en Rhétorique, Philosophie et Histoire des Idées de l’Humanisme aux Lumières (CERPHI), creato nel 1993 e diretto da Pierre-François Moreau, che accoglie insegnanti e ricercatori dell’ENS, del CNRS, dell’università e del liceo. Il programma di ricerca verte sulla disamina della storia intellettuale dell’ âge classique in senso lato (XVI/XVIII), nel suo stretto legame con i grandi sistemi filosofici. Il Groupe de Recherche Spinoziste del CERPHI constituisce oggi un’ équipe a parte, con il compito principale di elaborare un’edizione scientifica delle opere di Spinoza e di pubblicare ogni anno un bollettino bibliografico internazionale sulla ricerca spinozista. Sul piano della riflessione, la prospettiva di ricerca del Groupe de Recherche Spinoziste si manifesta chiaramente nella volontà di affrontare la filosofia di Spinoza alla luce d’una conoscenza precisa dei contesti di riferimento. Questa prospettiva caratterizza decisamente l’analisi che Pierre-François Moreau dedica alla nozione spinoziana di esperienza nel suo saggio: Spinoza, l’expérience et l’éternité. Esaminando minuziosamente nell’opera di Spinoza tutte le occorrenze della nozione di esperienza, Moreau ne sottolinea la multiforme fecondità e affronta, in modo molto convincente, la misteriosa affermazione contenuta nell’Ethica (V, 23, sc): «sentimos experimurque nos aeternos esse (sentiamo e sperimentiamo che siamo eterni)». Inoltre, Moreau propone una dettagliata lettura genetica del pensiero di Spinoza, il quale, dal Tractatus de intellectus emendatione al Tractatus politicus, passando per l’Ethica, avrebbe accordato una maggiore positività all’essere singolare finito e, di conseguenza, all’esperienza. Il punto di partenza di Moreau è un’analisi dei primi undici paragrafi del Tractatus de intellectus emendatione, in cui il termine esperienza risuona fin dalla prima frase e indica uno sguardo retrospettivo sull’esistenza degli uomini, la cui autenticità dipende dal fatto di considerare seriamente, perfino tragicamente, i luoghi comuni di cui l’esperienza è cosparsa e i cambiamenti di senso assunti in essa dalle nozioni di certezza e di autentico bene. L’experientia che compare nel Tractatus de intellectus emendatione, osserva Moreau, è del tutto di natura “spinoziana”: i beni deperibili, infatti, non sono mai interpretati come falsi beni e la vita comune è descritta attraverso un’ “antropologia senza soggetto”, priva di moralismo; inoltre, la decisione d’istituire una nuova vita riposa su un processo puramente positivo e immanente. Tuttavia, fa notare Moreau, l’esperienza non è qui che momento occasionale del sistema, incapace di condurre ad esso da sola, restando con45 trassegnata da un’irriducibile opacità: l’individualità, infatti, è qui pensata ancora come un’entità debole, spettatrice più che attrice dei suoi eventi interiori e come dominata dai propri oggetti d’amore. Rivalutando, più tardi, la problematica dell’individualità, l’accezione spinoziana di esperienza si arricchisce, senza cambiare di contenuto, investendo i domini che le sono propri e in cui, per l’appunto, l’individualità si costituisce e si dispiega. Tre funzioni, fa notare Moreau, le sono attribuite da Spinoza nella lettera X a Simon de Vries: confermare, costituire, indicare; tre i campi che le spettano: il linguaggio, le passioni, la storia. In questa prospettiva, Spinoza sviluppa una riflessione sulla positività della lingua come ricettacolo privilegiato del passato, in grado d’organizzare e di rendere disponibile, nella forma dell’uso (usus), l’esperienza umana accumulatasi. A questa ricca riflessione sullo spessore della lingua corrisponde, parallelamente, una messa a punto dell’arte di questionare: definire, secondo l’uso, il significato del testo letto; ricostruire la mentalità dell’autore attraverso tutti i possibili indizi; determinare il genere letterario in cui si esprime. Ma è nel campo delle passioni che secondo Moreau si manifesta in modo perspicuo il doppio regime del pensiero e dell’esperienza. Sul piano della “psicologia” e della politica l’esperienza ha in primo luogo funzione di conferma del sistema; diviene costitutiva quando si tratta di cogliere l’individuo in ciò che in esso vi è di più irriducibile, l’ingenium. Nel confronto con Hobbes e Machiavelli, la riflessione di Moreau sul pensiero politico di Spinoza permette di cogliervi alcuni temi propri delle concezioni contemporanee, quali la permanenza irriducibile nell’uomo d’un nocciolo passionale antipolitico, l’idea d’ingenium in un popolo come prodotto di una storia primitiva e infine la necessità da parte degli Stati, individui molto complessi, ma poco differenziati, di ritornare periodicamente al loro principio per mezzo di procedimenti simbolici. Queste considerazioni psicologiche e politiche sull’esperienza, fa notare Moreau, si prolungano nel campo della storia, in cui l’esperienza gioca, ancora una volta, il suo duplice ruolo. Come fortuna essa è la categoria dell’esteriorità e dell’imprevedibilità, PROSPETTIVE DI RICERCA cioè della forma contingente assunta dalla necessità universale, ma anche l’occasione, per gli Stati e per gli individui, d’essere virtuosi. Come raccoglimento e saturazione dell’esperienza umana, la storia costituisce l’oggetto della riflessione che permette di pensare le leggi fondamentali degli Stati. Infine Moreau affronta la questione dell’esperienza dell’eternità. Non si tratta per Spinoza della conoscenza posseduta dal saggio, ma del sentimento universalmente condiviso da chi ha assaporato “la certezza dell’intelletto”. Lungi dall’essere un’apertura mistica al di là della finitezza umana, quest’ultima costituirebbe invece la condizione della suddetta apertura; essa permetterebbe alla necessità, per una sorta di sensazione differenziale, d’essere non solamente un oggetto della conoscenza adeguata, ma anche del sentimento. Di conseguenza, l’esperienza si vede investita di una terza funzione, non più confirmativa o costitutiva, ma incitativa, indicando, senza mai fondarla, la possibilità della conoscenza adeguata dell’eternità. La riflessione di Moreau procede, per così dire, in modo spinoziano, scorgendo nella finitezza umana non l’infelice esperienza dei limiti, ma il campo delle condizioni concrete di esistenza, azione e pensiero. Inoltre, il metodo impiegato da Moreau ristabilisce la dimensione culturale dell’opera filosofica, diversamente dalla tradizione critica francese, più attenta alla logica interna La discussione su Spinoza in area francese trova ulteriore riscontro e sviluppo tematico nei contributi apparsi sulla Revue de Métaphysique et de Morale (ottobre/dicembre 1994), dedicati a una riflessione sulla quarta parte dell’Ethica spinoziana. A partire da quest’opera, ma riferendosi anche al Tractatus theologico-politicus e Tractatus politicus, Lelia Pezillo (Roma) dimostra che per Spinoza le società sono possibili a una duplice condizione, affettiva e razionale. Per quanto spontaneo, il desiderio di vivere in comunità resterebbe una semplice aspirazione se non fosse sostenuto da principi razionali che, sottoforma di Morale o Religione, sono in grado di realizzare quell’alleanza su cui si fonda, tra sottomissione e consensus, la possibilità sociale. Per quanto riguarda un’altro problema presente nella quarta parte dell’Ethica, concernente la coesistenza fra il razionale e l’immaginario, Pierre Macherey (Lille) rileva nel ritratto dell’uomo libero tracciato da Spinoza nelle proposizioni 67-73 la figura transitoria d’una razionalità emergente, ossia un ponte fra le rappresentazioni dell’immaginazione e le idee dell’intelletto. Commentando le proposizioni 70 e 71, Macherey delinea una “etica del quotidiano”, di cui sottolinea la forza e la grandezza, senza tuttavia tralasciare di metterne in evidenza, con ironia, il permanervi di visioni non libere della libertà. A un tale ritratto dell’uomo libero Pierre Temkine (Dijon) attribuisce invece una maggiore consistenza ontologica. In effetti, nella quarta parte dell’Ethica Spinoza elabora un modello, annunciato nella prefazione, che funzio- nerebbe secondo i puri principi dell’immanenza meccanicista, senza sentirsi in debito rispetto alla triplice illusione del finalismo, della trascendenza e del libero-arbitrio: se l’uomo si rapporta ai suoi simili in modo immaginario, osserva Temkine, non c’è che scorgere in quest’idea o modello un’espressione adeguata dell’essenza dell’uomo. Proseguendo nel suo intento di chiarimento globale delle proposizioni dell’Ethica, Alexandre Matheron (Fontenay/St Cloud) dimostra come nelle proposizioni 29-31 siano stabiliti i fondamenti di una “etica della similitudine”. Sottolineando l’importanza cruciale del termine quatenus, Matheron spiega che cosa spinga Spinoza a porre l’equivalenza tra similitudine e utilità. Infine, JeanMarie Beyssade (Parigi), traduttore dell’Ethica, rileva come nel Capitolo 7 dell’ “Appendice” con il termine vix Spinoza lasci aperto uno spazio alla possibilità, per quanto minima, che un saggio sussista in una città priva d’ordine, dato che «l’etica fonda la politica e non l’inverso». P.T. Scopo dello studio di Vesa Oittinen è «mostrare che nello strutturalismo e nel poststrutturalismo francese domina un segreto consenso circa la valutazione di Spinoza». Un aspetto comune ad autori come Althusser e Deleuze, altrimenti assai diversi tra loro, è il carattere anti-soggettivistico e anti-dialettico delle rispettive posizioni, che nel primo trova espressione in una filosofia senza soggetto (dissolto nelle - o ridotto alle - strutture dell’economia e dei rapporti di produzione) e senza contraddizione, e nel secondo mette capo a una filosofia della “differenza”, in cui la pluralità dei desideri, delle pulsioni e delle forze cresce “rizomaticamente” su se stessa e oltre se stessa e appare irriducibile sia al soggetto della tradizione cartesiana, sia alla dialettica di identità e alterità di hegeliana memoria. Queste caratteristiche si riflettono, secondo Oittinen, nelle interpretazioni di Spinoza proposte da Althusser, da Deleuze e dai rispettivi seguaci, che vedono in Spinoza un pensatore se non anti-dialettico almeno non-dialettico, situato nella storia della filosofia al polo opposto rispetto a Hegel e avvicinabile a Nietzsche. In quest’ultima prospettiva - rappresentata esemplarmente, oltre che da Deleuze, da Antonio Negri - Spinoza appare come il filosofo antimoderno che, ai concetti di “individuo”, “mediazione”, “trascendenza”, fondamentali nelle grandi filosofie della modernità (da Cartesio a Hegel fino a Heidegger), oppone i concetti alternativi di una soggettività “collettiva”, dell’amore e del corpo come “potenza”. Nonostante le divergenze delle rispettive prospettive filosofiche, scrive Oittinen, Deleuze e Althusser trovano un terreno comune in una “riattualizzazione di Nietzsche”, che ha come suo centro teorico «la critica della dialettica, del concetto classico di soggetto e della teoria della verità come corrispondenza, e che sfocia conseguentemente in un concetto volontaristico della prassi (accentuato negli althusseriani nel sen46 so di un orientamento di estrema sinistra, e in Deleuze in senso anarchicheggiante)». Sulla base dei tratti comuni ai due orientamenti, Oittinen mette però in luce anche le differenze delle rispettive posizioni. Mentre Deleuze rifiuta in assoluto la possibilità di sviluppare una dialettica a partire da Spinoza, l’althusseriano Pierre Macherey individua in Spinoza la possibilità di sviluppare una versione materialistica della dialettica. Nel primo dei tre saggi che compongono il volume, Oittinen analizza i tentativi di stilizzare Spinoza facendone un precursore della teoria althusseriana dell’ideologia e procede a una disamina del concetto spinoziano di verità e della corrispondente dottrina delle idee, con l’intento di mostrare come entrambi abbiano poco in comune col punto di vista di Althusser. Il secondo saggio mette in rapporto l’interpretazione di Spinoza sviluppata da Deleuze con la generale critica deleuziana della dialettica. A Deleuze, Spinoza appare come una tappa sulla linea di pensiero che conduce a quella “logica della differenza” che rappresenta ai suoi occhi un’alternativa alla dialettica (e in cui svolge un ruolo fondamentale la dottrina nietzscheana dell’eterno ritorno). La critica della dialettica sviluppata da Deleuze ha in particolare come obiettivo i concetti di “opposizione” e di “alterità”. La nozione di “differenza” non esprime un’opposizione di tipo dialettico (che presuppone l’esistenza di un rapporto tra le singole alterità all’interno di una totalità): le entità che differiscono una dall’altra non hanno un rapporto reciproco ma sono singolarità irrelate che semplicemente affermano se stesse. Il risultato dell’interpretazione di Spinoza che si svolge a partire da questi presupposti è per Ottinen di ignorare la componente dialettica del suo pensiero. La questione della dialettica in Spinoza diventa centrale nel terzo saggio dello studio di Oittinen, in cui viene criticata l’interpretazione di Althusser, che vede in Spinoza un filosofo dell’ “assenza di soggettività”. In opposizione a essa la filosofia di Spinoza appare come un’alternativa alle filosofie moderne della soggettività, non nel senso di un rifiuto dell’istanza della soggettività, ma in quanto essa proporrebbe modalità alternative della costituzione del soggetto. Contro la dialettica teleologica di Hegel (dietro la quale si cela un soggetto che pone degli scopi), Oittinen vede in Spinoza e nella sua dottrina dell’immanenza la presenza embrionale di una concezione materialistica della dialettica, alternativa a quella di Hegel. Punto di partenza della filosofia non è in Spinoza il soggetto ma il mondo, la sostanza o la natura come “causa sui”, come riferentesi solo a se stessa: «Così la verità è misura di se stessa, e la virtù premio a se stessa. Proprio in questa autoreferenzialità, caratteristica della “logica divina”, consiste la dialettica di Spinoza. La logica della soggettività, che costituisce il fondamento della dialettica hegeliana, è, dal punto di vista dello spinozismo, solo un caso particolare e un riflesso della logica divina generale». M.M. PROSPETTIVE DI RICERCA Joseph Joubert Scritti privati, annoverati in un’area di confine tra filosofia e letteratura, vengono ora ripubblicati i CARNETS (Taccuini, vol. I e II, Gallimard, Parigi 1994) che Joseph Joubert, amico di Diderot e Chateaubriand, scrisse nell’arco di cinquant’anni, dal 1786 fino alla morte. Quella attuale è una ristampa dell’edizione del 1938, arricchita da una premessa di Jean-Paul Corsetti e dalla duplice prefazione di André Bellesort e di André Beaunier. A questa edizione fa riscontro in Italia lo studio recente di Valerio Magrelli, LA CASA DEL PENSIERO: INTRODUZIONE ALL ’OPERA DI JOSEPH JOUBERT (Pacini, Pisa 1995), a cui si deve anche, già da alcuni anni, una BIBLIOGRAFIA DI JOSEPH JOUBERT («Micromégas», gennaio/agosto 1988). Apparsi per la prima volta nel 1838 in forma ridotta di raccolta di Pensées, a cura di Chateaubriand, solo cento’anni dopo questi Carnets furono pubblicati in edizione completa, a cura di André Beaunier, nell’originario ordine cronologico. L’unicità di questi scritti consiste nel fatto che Joseph Joubert (17541824) non ha prodotto nella sua vita che questo monumentale lavoro preparatorio a un’opera, che di fatto non sarebbe mai stata scritta: bisogna «essere capaci di non scrivere» - commentava Joubert - e «scartare con cura la moltitudine dei termini». La sua riflessione puntigliosa intorno alla scrittura diventa ossessione di rintracciarne il momento fontale, le condizioni di possibilità, definizione e scavo dello spazio in cui scrivere. L’atteggiamento di Joubert mostra, così, singolari consonanze con i percorsi della modernità intorno ai temi della scrittura e del linguaggio, suscitando in questo l’interesse di Maurice Blanchot, anche se la sua produzione fu per lo più confusa dai contemporanei con quella dei fabbricatori di massime. Forse a causa del suo gusto per la demistificazione fu considerato un moralista, erede di La Rochefoucauld, La Bruyère, Vauvenargues e Chamfort: le sue incursioni nello spazio che genera la scrittura furono lette come conseguenza di una pura passione per la frammentarietà e la brevità. A Maurice Blanchot si deve lo smascheramento di questo equivoco e il riconoscimento della modernità della lunga riflessione, discontinua e dolorosa, che Joubert traduceva in pensieri intimi dal tono metafisico, religioso ed estetico. Joubert ama la pagina bianca e scopre il vuoto, di cui i contemporanei hanno orrore, come spazio proprio all’emergenza del testo, in cui i bianchi, i tagli e il silenzio significano quanto le parole. D’altronde, in Joubert, la riflessione sulla scrittura si avvale spesso di metafore spaziali: scrivere è «abitare uno spazio», è «far vedere»; così come parlare è «scrivere nell’aria quel che si dice»; ma è anche «scavare lo spazio» secondo le leggi della prospettiva e dell’armonia visiva, che è al contempo uditiva e gustativa. Infine, poiché «ogni pensiero è luce», sta al lettore immaginare il mondo della parola, dandogli forma e figura. Come rileva Valerio Magrelli, Joubert non creò mai quell’opera poetica di cui con tanta precisione definì, nell’arco di decenni, i contorni ambiziosi. La sua visione estetica rimase prigioniera di uno schema platonico che, ponendo il primato dell’idea nella ricerca della sua migliore forma sensibile, condannava l’opera d’arte a una frammentazione infinita in piccole isole di senso, di suono e d’armonia, a una sorta di bellezza spezzata e, in definitiva, impossibile. La sua estetica si condanna pertanto a essere una estetica della frase, se non addirittura della parola che «sussista da sola e porti in sé il suo spazio» e la sua luce. Quello che per Joubert sembra contare maggiormente sono gli incontri attraverso il tempo con i grandi scrittori e filosofi dell’antichità, in primo luogo Platone: «Più Platone di Platone in persona, [...] mi separo dal mondo e divento puro spirito». Nei confronti delle posizioni teoriche dei contemporanei è invece abbastanza critico, giudicando, per esempio, semplicistica l’identificazione fatta da Rousseau tra coscienza e regola morale, in quanto la coscienza è ciò che vi è di più diverso e mobile nell’uomo e tra gli uomini. Così, al dogmatismo dei Lumi Joubert preferisce l’oscurità, il mistero non rivelato. Il suo ideale è una scrittura speculativa in cui i pensieri si sussueguano con la stessa armonia degli astri nella volta celeste. La sua incapacità di aderire pienamente a un sistema filosofico, la sua sfiducia nella possibilità di raggiungere la certezza, lo conduce verso gli incerti territori dell’introspezione borghese e della cattiva coscienza che incomincia a minarla. D.F. Diari di guerra di Sartre Con il titolo: CARNETS DE LA DRÔLE DE GUERRE. SEPTEMBRE 1939 - MARS 1940 (Diari della strana guerra. Settembre 1939 Marzo 1940, Gallimard, Parigi 1995) vengono pubblicati i diari tenuti da Jean-Paul Sartre durante l’ultima guerra mondiale, una guerra la cui stranezza consiste nell’attesa snervante e umiliante di un nemico che non si manifesta (Sartre era infatti impiegato nelle retrovie ai servizi metereologici). Oltre all’interesse biografico - descrizione dell’atmosfera bellica, ma anche del mondo intellettuale parigino, a cui Sartre rimane legato attraverso le lettere scritte agli amici e a Simone de Beauvoir, cui è dedicato il primo quaderno - questi diari presentano un interesse letterario e filosofico. Nel 1983 era stata pubblicata una prima tranche di questi Carnets, comprendente i quaderni III, V, XI, XII e XIV, sfuggiti alla 47 distruzione; nel 1991 fu fortunosamente ritrovato il primo quaderno del ciclo (che originariamente ne comprendeva quindici), contenente annotazioni riferite alla permanenza di Sartre a Marmoutier, nel Basso Reno. Il ritrovamento ha dato l’impulso a questa nuova edizione. Al momento della partenza per il servizio militare, Sartre sta lavorando a L’Età della ragione, primo volume della trilogia I cammini della libertà, ma la chiamata alle armi non interrompe la sua attività di scrittore. La guerra gli appare, anzi, come un’esperienza che ogni scrittore dovrebbe conoscere, e il riferimento è allo Stendhal della campagna di Russia. L’attitudine stoica è l’unica che secondo Sartre conviene a un filosofo inghiottito nella “palude vischiosa” del conflitto bellico: questi quaderni costituiscono infatti un esercizio di lucidità e auto-analisi, con la loro descrizione spietata dei moti della coscienza e delle trappole dell’inautenticità, che anticipano le parti centrali de L’Essere e il Nulla. Nel suo “cammino alla ricerca di una saggezza esistenziale” - così può essere interpretata la tonalità morale di questi scritti - Sartre trova vano il rifiuto di vivere la guerra; anche se la ritiene un’assurdità, la riconosce come modalità particolarmente illuminante dell’essere nel mondo: «Abiezione dell’uomo, liberazione della coscienza trascendentale, rottura con la ‘vita’, presenza della morte, anonimato dell’individuo e del luogo». In questa situazione, Sartre porta avanti con profitto il suo dialogo a distanza con Martin Heidegger (in particolare sul tema della morte), il cui frutto maturo, L’Essere e il Nulla del 1943, uscirà in parte proprio dai quaderni. Specificamente al primo appartiene un’analisi della distruzione come finalità principale della guerra e dei suoi strumenti, nonché una luminosa teoria del “capro espiatorio”, ispirata a una vicenda personale. Sono considerazioni fatte alla luce dell’idea di autenticità, presa a prestito da Heidegger, che la definiva in relazioneall’essere-per-la-morte del Dasein. Sartre dà alla nozione di autenticità una coloritura morale e politica, fondandola su una necessità della libertà: quella di assumere la propria situazione, il proprio essere-per-la-guerra, appunto. Ciò che i quaderni rendono visibile è proprio la svolta, o sarebbe meglio dire la “muta” sartriana, per cui da esteta anarchizzante e antiumanista ne esce “impegnato” nella riflessione sul proprio tempo: la guerra rappresenta l’incontro di Sartre con la storia. Accanto a questi diari bellici vale la pena di segnalare una serie di testi, di recente pubblicazione, che hanno per oggetto la figura di Sartre e i suoi rapporti conflittuali con l’ambiente intellettuale francese: Pour Sartre (Per Sartre, Lattès, Parigi 1995), di Jean-Jacques Brochier; Sartre, un art déloyal. Théâtralité et engagement (Sartre, un’arte sleale. Teatralità e impegno, Editions Jean-Michel Place, Tolosa 1995), di John Ireland; Silences de Sartre (Silenzi di Sartre, Presses Universitaires du Mirail, Parigi 1995), di Jean-François Louette. D.F. PROSPETTIVE DI RICERCA Ludwig Wittgenstein Wittgenstein: vita e opere Un ambizioso progetto di una nuova edizione completa delle opere di Ludwig Wittgenstein, la «Wiener Ausgabe», prende avvio con la pubblicazione dei primi due volumi in programmazione, dedicati alle PHILOSOPHISCHE BEMERKUNGEN (Osservazioni filosofiche, Springer, Wien - New York 1994). Da segnalare anche, tra i nuovi spunti di ricerca sull’opera di Wittgenstein, un volume documentario: LUDWIG HÄNSEL LUDWIG WITTGENSTEIN. EINE FREUNDSCHAFT. BRIEFE, AUFSÄTZE, KOMMENTARE (L. Hänsel - L. Wittgenstein. Un’amicizia. Lettere, saggi, commenti, a cura, tra altri, di I. Somavilla, Haymon, Innsbruck 1994). L’autorevole edizione completa delle opere di Ludwig Wittgenstein, la «Werkausgabe», pubblicata a partire dal 1960, potrebbe essere presto affiancata da una nuova edizione, la «Wiener Ausgabe». Per il momento è prevista l’edizione integrale degli appunti di Wittgenstein risalenti agli anni 19291933, di cui ogni anno dovrebbero uscire da due a cinque tomi, per un totale di undici volumi. Per proseguire la pubblicazione delle altre opere, il curatore di questa nuova edizione, Michael Nedo, dovrà invece attendere l’ulteriore placet dei curatori degli scritti postumi, la parte più cospicua dell’eredità filosofica di Wittgenstein. Il progetto editoriale della «Wiener Ausga- be» risale agli anni Settanta, quando divenne evidente che l’edizione degli scritti di Wittgenstein, curata dagli amministratori degli scritti postumi (fra i quali Elizabeth Anscombe, Rush Rhees e George Henrik von Wright) non era sufficientemente affidabile: la microfilmatura degli inediti aveva infatti mostrato quanto essa fosse libera e parziale. Perché il nuovo progetto editoriale potesse dare esiti concreti dovevano però trascorrere ancora molti anni; i lavori vennero infatti bloccati da una serie di circostanze sfortunate, come la scissione del primo gruppo di studio istituito presso l’Archivio Wittgenstein a Tubinga, o le numerose pubblicazioni non autorizzate, con le conseguenti querele editoriali. Oggi, però, sembra finalmente che la nuova edizione possa rapidamente venire alla luce. I primi due volumi pubblicati riproducono quattro manoscritti di appunti, che Wittgenstein stese tra il febbraio del 1929 e l’agosto del 1930 e da cui estrasse in seguito due dattiloscritti, poi riordinati in fogli singoli e rielaborati con note a penna. Una parte considerevole dei primi quattro manoscritti venne pubblicata già nel 1964 da Rush Rhees con il titolo: Philosophische Bemerkungen (Osservazioni filosofiche). Attualmente, la «Wiener Ausgabe» propone lo stesso materiale, ma in versione integrale, compresi i due dattiloscritti. Il tutto dovrebbe poi essere corredato da volumi di concordanze testuali, per aiutare il lettore a orientarsi fra le diverse stratificazioni e stesure. 48 All’inizio del 1929, dopo un’assenza di quasi sedici anni, Wittgenstein tornò a Cambridge. Da quando, più di dieci anni prima, aveva terminato il Tractatus in un campo di prigionieri di guerra, egli non si era più occupato di filosofia, se si eccettuano le sporadiche discussioni con alcuni membri del “Circolo di Vienna” negli anni 1927-28. Dopo la guerra aveva lavorato come insegnante di scuola elementare in alcune province della bassa Austria e, dall’autunno del 1926, aveva preso parte alla progettazione della nuova casa viennese della sorella Margareth Stonborough. Tanto più sorprendente appare dunque la rapidità e l’intensità con cui, a partire dal suo arrivo a Cambridge, Wittgenstein si lascia assorbire da un impegno teorico di grande portata: il profondo, radicale ripensamento dei risultati della sua prima opera. In particolare, Wittgenstein fu costretto a rivedere la sua concezione delle proposizioni elementari quale “specchio” dei “fatti atomici” del mondo (soprattutto a causa delle difficoltà sollevate dalle proposizioni intorno ai colori), la teoria della raffigurazione e il concetto di proposizione dotata di senso. Il maggior pregio dei manoscritti di appunti che vengono ora pubblicati è proprio quello di evidenziare come alcuni motivi, risalenti alla sua prima speculazione, si intreccino a un nuovo modo di considerazione degli stessi. Nel terzo volume si legge, ad esempio, una frase che anticipa una convinzione cardine del cosiddetto “tardo” Wittgenstein delle Philosophische Untersuchungen (Ricerche filosofiche), relativa alla natura del linguaggio: «Il linguaggio è uno strumento che permette molti usi; le parole sono come impugnature che rendono possibili le operazioni più diverse». A proposito della distinzione tra un “primo” e un “secondo” Wittgenstein, è opportuno richiamare lo studio di Matthias Kroß: ‘Klarheit als Selbstzweck’. Wittgenstein über Philosophie, Religion, Ethik und Gewißheit (‘Chiarezza come fine in sé’. Wittgenstein su filosofia, religione, etica e certezza, Akademie, Berlino 1993), sicuramente uno degli studi più interessanti, dedicati in questi ultimi anni al pensatore austriaco. Secondo Kroß, è un errore, da un punto di vista eminentemente filosofico, contrapporre il Tractatus alla successiva teoria dei “giochi linguistici”, dal momento che si tratta di sviluppi conseguenti di un medesimo tema, la riflessione sul linguaggio e sui limiti del linguaggio. Sul problema del limite, osserva Kroß, Wittgenstein poteva condividere la distinzione rigorosa di Kant tra ciò che possiamo “conoscere” e ciò che dobbiamo soltanto “credere”, e con ciò delimitare anzitutto il campo del sapere scientifico come quello di un sapere universalmente valido e da qui gettare poi uno sguardo sulla totalità. A seguito del suo rapporto con Bertrand Russel, Wittgenstein si era infatti scontrato con la cosiddetta “questione dei fondamenti”, che all’inizio del Novecento aveva travolto la matematica, la logica simbolica e in gene- PROSPETTIVE DI RICERCA rale tutti i sistemi formali, rifiutandosi di assumere qualsiasi punto di vista esterno. A suo avviso, la coesione delle proposizioni poteva essere raggiunta soltanto “dall’interno”, restando cioè “nei limiti” del linguaggio e del sistema di partenza. A questo proposito Kroß richiama tre passaggi del Tractatus: «La filosofia limita il campo disputabile della scienza naturale.» (4.113 ); «Essa deve delimitare il pensabile e con ciò l’impensabile. Essa deve delimitare l’impensabile dal di dentro attraverso il pensabile.» (4.114); «Essa significherà l’indicibile rappresentando chiaro il dicibile.» (4.115). Wittengstein è dunque è convinto (diversamente da Kant) che lo scontro coi limiti del dicibile non si possa esibire in un discorso, in una “teoria”, ma resti inespresso, in quanto appunto inesprimibile-inesprimibile (diversamente da Russel) senza autocontraddizione o regresso all’infinito. Certo, il dilemma del linguaggio è che lo scontro col limite si comunica pur sempre mediante proposizioni; il punto è però che queste ultime non confluiscono in un metalinguaggio e neppure in un paralinguaggio. Wittgenstein viene paragonato da Kroß, che riprende in questo una felice immagine di Paul Engelmann, a un cartografo che vuole rappresentare la linea costiera di un’isola, pur sapendo che la questione riguarda tutto l’oceano. In tal senso, il “secondo” Wittgenstein dei giochi linguistici sarebbe colui che vuole disegnare non tanto il profilo di un’isola, ma l’intero arcipelago. Tenendo fermo alla decisione di Wittgenstein di mantenersi al di qua del limite, Kroß può individuare, tra le varie fasi della speculazione wittgensteiniana, una continuità di temi e problemi fondamentali. Nel suo studio Kroß si concentra anche su quei temi che Wittgenstein affida al silenzio, come l’etica e la religione, utilizzando a questo scopo i cosiddetti Geheime Tagebücher (Diari segreti), pubblicati da Wilhelm Baum contro la volontà degli amministratori degli scritti postumi. Per quel che riguarda la religione, fa notare Kroß, per Wittgenstein nulla nel mondo ci rimanda a Dio; semmai è il mondo come totalità a costituire un richiamo verso il trascendente. L’uomo, però, non può oltrepassare il limite del mondo; il che significa: egli non può dire nulla sulla causa, l’origine, lo scopo del mondo; tuttavia questo silenzio non è “fine a se stesso”. “Chiarezza come fine in sé”, così suona il titolo del saggio di Kroß, deve essere appunto inteso nel senso che Wittgenstein, nel far luce su «ciò che si può dire» e giungendo al limite del linguaggio, si proietta con questo già “oltre”. La migliore testimonianza di tale tensione ci viene offerta dalla vita del filosofo, la vita non-scritta, che “mostra” nei fatti quanto egli avesse compreso di ciò che giace al di là del limite. Da questo punto di vista è molto eloquente il profondo legame che Wittgenstein intrecciò con Ludwig Hänsel, e di cui il volume dal titolo: Ludwig Hänsel - Ludwig Wittgenstein. Eine Freundschaft, ci offre ampia documentazione. Hänsel conobbe Wittgenstein nel 1919, durante la prigionia di guerra presso Cassino, e fu uno dei primi a leggere la Logisch-philosophische Abhandlung. Malgrado ciò, la loro amicizia non nacque da uno scambio puramente intellettuale. Erano infatti le qualità personali, la bontà, l’equilibrio e soprattutto la fede di Hänsel ad attrarre Wittgenstein. I loro colloqui riguardavano, più che la logica, i grandi temi dell’esistenza, Dio, la morale e la morte, e spesso sfociavano in domande senza risposta. Così nel loro scambio epistolare, durato più di trent’anni, troviamo soprattutto riferimenti alla vita quotidiana; una dimensione che i curatori illustrano, insieme alle lettere, attraverso fotografie, brevi commenti, oltre a qualche tentativo di speculazione filosofica di Hänsel. A.M. raccolta delle lettere scritte da Weber nel biennio 1909-1910, curata da M. Rainer Lepsius e Wolfagang J. Mommsen, con la collaborazione di Birgit Rudhardt e Manfred Schön. A ciò si aggiunge lo studio di Friedrich Jäger, BÜRGERLICHE MODERNISIERUNGSKRISE UND HISTORISCHE SINNBILDUNG. KULTURGESCHICHTE BEI DROYSEN, BURCKHARDT UND MAX (Crisi della modernizzazione borghese e formazione storica del senso. Storia della cultura in Droysen, Burcckhardt e Max Weber, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottinga 1994), che riprende la necessità di considerare Weber in linea di continuità con la tradizione storicistica tedesca. Al Weber autore di studi storici fondamentali si rivolge invece la raccolta DIE OKZIDENTALE STADT NACH MAX WEBER . ZUM WEBER PROBLEM DER ZUGEHÖRIGKEIT IN ANTIKE UND (La città occidentale. Sul problema dell’appartenenza nell’antichità e nel medioevo, Oldenbourg Verlag, Monaco di Baviera 1994), a cura di Christian Meier. Un tema cruciale del pensiero weberiano è poi quello affrontato da Andreas Anter nello studio: MAX WEBERS THEORIE DES MODERNEN STAATES. HERKUNFT, STRUKTUR UND BEDEUTUNG (La teoria dello Stato moderno in Max Weber. Origine, struttura e significato, Duncker & Humblot, Berlino 1995). MITTELALTER Nuovi studi su Max Weber La ricerca sull’opera di Max Weber può oggi avvalersi di nuovi strumenti storico-critici. L’edizione completa dell’opera di Max Weber, il cui prospetto programmatico risale al 1981, propone con il titolo: BRIEFE 1909-1910 (Lettere 1909-1910, «Max-Weber-Gesamtausgabe» sezione II/6, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1994), la Max Weber 49 PROSPETTIVE DI RICERCA Una parte importante della corrispondenza presente in questo volume dei Briefe è quella che Max Weber intrecciò con il suo editore, Paul Siebeck di Tubinga, una corrispondenza peraltro già menzionata da Johannes Winckelmann in Max Webers Hinterlassenes Hauptwerk (Il lascito dell’opera principale di Max Weber, 1986), che ci permette di cogliere i tormenti e le preoccupazioni che accompagnarono la produzione scientifica di Weber tra il 1909 e il 1910. Ma le lettere di questi anni consentono soprattutto di chiarire quale sia stato il ruolo di Weber nella fondazione della Società tedesca di sociologia (Deutsche Gesellschaft für Soziologie). Anche in questo volume si confermano quelli che vogliono essere i caratteri complessivi con cui i curatori, M. Rainer Lepsius, Wolfagang J. Mommsen e Wolfgang Schluchter, hanno inteso dar vita all’edizione completa delle opere di Weber. Il progetto che vi sta alla base, e che giustifica l’intera impresa editoriale, è quello di offrire una sequenza delle opere di Weber secondo una precisa e accurata ricostruzione di quello che è stato il loro effettivo ordine di ideazione e messa in opera. Non si tratta, ovviamente, di mettere da parte il criterio cronologico, che impone di ordinare i testi in base alla loro data di edizione; piuttosto, l’intento è di affiancare questo criterio con la necessità di individuare la pertinenza contestuale di un testo con un altro, indipendentemente dal momento della sua pubblicazione. Ne risulta un interessante collegamento tra cronologia e pertinenza induttiva come criterio di ordinamento delle opere. Altro intento fondamentale di questa raccolta di lettere è quello di offrire l’esatto contesto storico e intellettuale entro cui si situano i lavori di Weber nello stesso momento in cui vengono concepiti e portati a termine, sebbene un’opera come quella di Weber difficilmente sembra lasciarsi coerentemente definire ed esaurire in un quadro storicocontestuale. D’altronde già in uno studio precedente, Max Weber und die deutsche Politik (Max Weber e la politica tedesca, 1959; trad. it. Bologna 1994), Wolfgang J. Mommsen aveva già fortemente contestualizzato il pensiero di Weber in connessione alle vicende storiche e politiche del suo tempo. Qui si tratterebbe però di coglierne gli apporti, gli stimoli e i debiti intellettuali da lui contratti, o le specifiche occasioni di polemica scientifica che hanno mosso il suo pensiero e con cui esso interagisce. Nel senso di una storicizzazione dell’opera di Weber e nello stesso tempo di una ripresa di interesse per il ruolo da questi svolto all’interno dello storicismo tedesco si muove lo studio di Friedrich Jäger, che intende mostrare come tra Droysen, Burckhardt e Weber sia possibile rinvenire sorprendenti analogie. Per quanto riguarda Weber, in particolare, Jaeger intende confutare la tesi secondo cui questi, lasciandosi definitivamente alle spalle ogni pretesa di fondazione di tipo metafisico, sarebbe con ciò pervenu- to ad una soluzione di quei problemi da cui lo storicismo non sapeva uscire. In realtà, fa notare Jäger, l’intuizione con cui Weber postula la necessità di una scienza storica wertfrei, basata cioè sull’avalutatività, non sembra a sua volta del tutto scevra di valore; anzi, essa stessa postulerebbe addirittura una sua propria metafisica, una sorta di “ontologia del caos”. Jäger si auspica perciò che si compia, dopo Weber, l’ultimo passo di quel completo disincantamento che egli stesso non ha voluto o saputo compiere. Se la donazione di senso storico costituisce un esigenza sorta con il moderno processo di secolarizzazione, allora, osserva Jäger, è necessario che questo venga spinto fino alle sue estreme conseguenze, fino al punto in cui non resti che una ragione storica emancipata dalla nostalgia del fondamento. Al Weber autore di studi storici fondamentali si rivolge invece una raccolta di saggi, a cura di Christian Meier, Die okzidentale Stadt nach Max Weber, che riporta i contributi presentati in una delle sezioni del congresso degli storici, tenutosi a Bochum nel 1990, il cui tema complessivo riguardava l’ “identità”, vale a dire le forme sociali e strutturali di appartenenza, di cui la città antica e quella medievale offrono una delle configurazioni storiche più rilevanti. In riferimento a Weber, che su questo punto, come è noto, ha offerto contributi originali di notevole portata, gli interventi raccolti nel volume si propongono di dimostrare quanto produttive siano state le sue tesi e le sue categorie, presentando un bilancio della letteratura critica e dello stato della ricerca che si può far risalire alla sua opera. Il volume contiene in tutto sei contributi, tre riguardanti la città antica e tre la città medievale. Il saggio di Otto Gerhard Oexle mostra quanto innovative siano state le formulazioni di Weber già rispetto alla scienza storica del suo tempo. Che lo strumentario scientifico approntato da Weber sia a tutt’oggi valido è convinzione anche di Klaus Schreiner, che si mostra particolarmente interessato al versante culturale tedesco nella ricostruzione della città storica medievale. Wilfried Nippel propone addirittura di mettere nuovamente a frutto le stesse basi metodiche e teoriche di Weber, per vedere la loro attuale portata. Anche Jochen Martin ritiene che sia ancora possibile porre sotto nuova luce le distinzioni fondamentali apportate da Weber nello studio sulla città antica; mentre Hinnerk Bruhns propone di mettere in rapporto Weber con la moderna ricerca storica antropologica, fino ad oggi indipendente dal suo influsso. Infine Ernst Voltmer s’interroga sulla validità dell’impianto tipologico della “città occidentale” elaborato da Weber. In Max Webers Theorie des modernen Staates, Andreas Anter ordina tutti i riferimenti testuali, relativi alla concezione della stato moderno, presenti nell’opera weberiana, ponendoli in rapporto con il dibattito teorico dell’epoca. Punti focali dell’analisi di Anter sono, oltre al concetto weberiano di stato, 50 imperniato sull’idea di monopolio della violenza, la relazione che intercorre in Weber tra i tre tipi di legittimazione del potere e le sue considerazioni inerenti il carattere e le funzioni delle istituzioni. L’analisi si allarga poi al rapporto tra teoria dello stato e concezione dei giudizi di valore, all’idea dello stato-macchina e quindi ad una ricostruzione dei processi di formazione dello stato moderno. In Weber, secondo Anter, da un lato il concetto del politico è inscindibilmente connesso a quello di stato, dall’altro è possibile parlare in senso proprio di stato solo nella sua configurazione moderna. Lo stato moderno, concepito da Weber, sostiene ancora Anter, trova nell’idea di nazione il suo ultimo presupposto di valore, per quanto questa forzatura nazionalistica venga controbilanciata in senso liberale da un convinto e radicato individualismo. Da qui l’attenzione di Anter per le ambivalenze che attraversano il pensiero weberiano dello stato, oscillante tra la priorità della funzionalità e dell’efficienza e il criterio “irrazionale” dell’individuo come misura ultima, posta a salvaguardia dell’universo sociale. A conclusione è opportuno segnalare, per coloro che prima di affidarsi al versante interpretativo vogliano raccogliere le fila della personalità scientifica e umana di Weber, lo studio di Dirk Käsler, Max Weber. Eine Einführung in Leben, Werk und Wirkung (Max Weber. Una introduzione alla vita, all’opera e alla ricezione, Campus Verlag, Francoforte s/M. 1995). G.B. L’immediatezza intuitiva Nel volume dal titolo: LETTERA SULL’UOMO E ALTRI SCRITTI (a cura di M. Mazzocut-Mis e L. Rustichelli, Hestia edizioni, Cernusco L. 1994), che raccoglie vari scritti di Frans Hemsterhuis, si può individuare una tematica dominante nella concezione dell’immediatezza come componente principale della conoscenza intuitiva, che si rivela nelle varie dimensioni della vita umana, dai sentimenti alla sfera estetica, dalla giustizia alla religione. Nonostante la diversità degli argomenti trattati, questa raccolta di scritti di Frans Hemsterhuis, Lettera sull’uomo e i suoi rapporti, Lettera sulla scultura, Alessi o l’età dell’oro e Alessi o il militare, è caratterizzata da una sostanziale omogeneità nell’affrontare la questione dell’immediatezza, che è propria della conoscenza intuitiva del genio e determina il sentimento e l’azione morale. Ciò si evidenzia in particolar modo nella Lettera sull’uomo e i suoi rapporti, dove Hemsterhuis mostra l’esistenza di una forza primitiva, la “velleità dell’uomo” o “spontaneità”, che rappresenta il centro di gravità dell’individuo e costituisce la causa primigenia di ogni movimento, di quel movimen- PROSPETTIVE DI RICERCA to che agita tutto l’universo attraverso la relazione della coppia azione-reazione. In questo Hemsterhuis mette in evidenza come nell’uomo esista un organo morale, che gli rivela la dimensione morale dell’universo, così come l’organo del tatto mostra la dimensione tangibile dell’universo e quello della vista manifesta la sua dimensione visibile. Ciò che differenzia l’organo morale dagli altri organi sensibili è il fatto che per l’organo morale l’io stesso si trasforma in “oggetto di contemplazione”, mentre per gli altri organi le cose conosciute sono “oggetti di contemplazione”. L’organo morale, che è strettamente collegato con l’anima, è costituito, nei vari individui, da diversi gradi di perfezione in relazione alle leggi naturali e all’ordine che promana dalla coesione delle cose. La saggezza più elevata è raggiunta dall’uomo che è capace di adeguare tutti i suoi comportamenti agli impulsi del suo organo morale, senza curarsi delle istituzioni umane o dell’opinione altrui. Mediante l’organo morale l’uomo riesce anche a stabilire un rapporto con la divinità . Come emerge nello scritto Alessi o l’età dell’oro, l’organo morale che si manifesta nell’immediatezza del sentimento è governato dall’attrazione, forza che costituisce il principio di coesione e di omogeneità di tutto l’universo naturale. Per Hemsterhuis, l’uomo primitivo si trovava, come l’animale, in una situazione pacifica di appagamento, poichè i suoi istinti limitati trovavano soddisfazione negli elementi naturali. Successivamente la sua insaziabilità naturale, mostrandogli la limitatezza di quegli oggetti, gravati irrimediabilmente dal marchio della finitezza, lo condusse a desiderare e a ricercare assurdamente l’infinità del “principio indeterminato” nella quantità innumerevole degli oggetti finiti. Così Hemsterhuis auspica l’avvento di una terza età, un’età dell’oro, nella quale l’uomo, scorgendo l’incommensurabilità tra i suoi desideri e le possibilità di appagamento offerte dalla terra, trova il “giusto equilibrio” tra i suoi desideri e gli oggetti. Anche per quanto riguarda la giustizia, come si può ricavare dallo scritto Alessi o il militare, le leggi giuridiche devono essere ricavate da quella essenza gravitazionale di attrazione che domina tutto l’universo, unificandone le molteplici componenti. La stessa giustizia divina, d’altro canto, è fondata, per Hemsterhuis, sull’unione necessaria delle cose, conseguente a una tale attrazione naturale. Infine, nello scritto Lettera sulla scultura (Cfr. «Informazione Filosofica» n. 22/23, p. 42), in cui Hemsterhuis affronta la tematica estetica, è ancora una volta dominante la presenza di una componente unificante. Il sentimento della bellezza sorge infatti da una situazione eccezionale, nella quale vengono suscitate innumerevoli idee in un arco di tempo limitatissimo. Nell’Introduzione al volume, Maddalena Mazzocut-Mis sottolinea ulteriormente quel carattere unitario che collega l’estetica di Hemsterhuis alla sua gnoseologia e alla sua cosmologia. Così il principio estetico del maximum di idee nel minimum di tempo si trasforma in teoria della conoscenza intuitiva e in principio cosmologico che spiega l’attrazione dei corpi e delle anime, avendo come radice unitaria proprio l’immediatezza intuitiva. Anche il sentimento religioso scaturisce da una “disposizione interna naturale e immediata”. Come l’idea del bello, anche la fede coincide per Hemsterhuis con l’intuizione immediata, che non può essere spiegata attraverso prove razionali. Tuttavia, osserva Mazzocut-Mis, la tematica religiosa è caratterizzata nella filosofia di Hemsterhuis da evidenti ambivalenze: da un lato si ispira al deismo, chiamando in causa un essere trascendente, che viene intuito mediante la fede unita al sentimento, dall’altro manifesta anche l’esigenza di oltrepassare questo dualismo per realizzare la fusione dell’anima con l’Essere Supremo. M.Mi. La disputa sul panteismo secondo Vaysse Il rinnovamento dell’interpretazione di Fichte e di Schelling ha permesso di superare una concezione dell’idealismo tedesco come sviluppo uniforme da Kant a Hegel. Sarebbe comunque un eccesso inverso rinunciare a uno sguardo d’insieme in grado di evidenziare lo straordinario concerto di problemi e di soluzioni proprio di una tale epoca filosofica. Quest’unità di pensiero è stata recentemente messa in luce e analizzata da Jean-Marie Vaysse nel suo studio: TOTALITÉ ET SUBJECTIVITÉ. SPINOZA DANS L’IDÉALISME ALLEMAND (Totalità e soggettività. Spinoza nell’idealismo tedesco, Vrin, Parigi 1994), che prende in esame la problematica del ‘Pantheismusstreit’ (disputa sul panteismo) come luogo d’origine della riflessione idealistica. Nel 1785 le polemiche sul panteismo di Lessing si estesero in Germania a macchia d’olio, dando origine a una vera e propria disputa filosofica, nota come Pantheismusstreit. Tale querelle è stata spesso interpretata come l’inizio della ripresa della filosofia di Spinoza nel pensiero occidentale. Questa lettura, tuttavia, trascura l’autentica importanza storica e filosofica della disputa. In effetti, il Pantheismusstreit metteva in gioco due questioni fondamentali cruciali: l’alternativa kantiana al razionalismo dogmatico e la rielaborazione critica, perfino radicale, dell’Illuminismo. Consapevole dell’importanza di tale problematica, Jean-Marie Vaysse intraprende una rilettura delle principali controversie dell’idealismo tedesco alla luce di questa querelle, che contrassegnò un momento innovativo nel pensiero tedesco. Come già ave51 vano indicato Alexis Philonenko (1983), Jascques Rivelaygue (1990), Robert Legros (1980), Hermann Timm (1974) e Frederick C. Beiser (1987), uno dei primi compiti assunti dall’idealismo tedesco fu di rispondere alla sfida al razionalismo lanciata da Jacobi tra il 1785 e il 1787: «I problemi sollevati in particolare da Jacobi - scrive Vaysse - superano di gran lunga il quadro delle cricche d’intellettuali e dischiudono un nuovo orizzonte di pensiero, annunciando non solo i problemi che saranno propri delle grandi partenogenesi speculative in corso d’elaborazione, ma anche quelli propri delle ulteriori grandi imprese di distruzione della metafisica e della problematizzazione del suo fondamento in Marx, Kiergegaard, Nietzsche e Heidegger. A questo riguardo, l’invenzione di Jacobi del concetto di nichilismo per caratterizzare la metafisica moderna è decisiva». La ragione infatti, osserva Vaysse, è per Jacobi nichilista in quanto si vede costretta a far scomparire l’oggetto (volendo esplicitare il “meccanismo della sua nascita”) e al contempo il soggetto della conoscenza (riducendo ogni azione a un semplice effetto di una catena determinante). Per Jacobi, l’autentico filosofo, fa notare Vaysse, deve invece «svelare l’esistenza», e puntare «a ciò che non si lascia esplicitare: il Semplice, l’Indissolubile». Di conseguenza, occorre compiere un “salto mortale” fuori dalla ragione verso ciò che la fonda autenticamente, cioè la fede (Glaube). Dopo aver brevemente ricordato le circostanze della querelle e in particolare la controversia fra Mendelssohn, Jacobi e Kant, Vaysse dimostra, riprendendo le analisi di Cassirer, come Jacobi anticipi i dibattiti post-kantiani, invitando da un lato a un superamento dell’Aufklärung, dall’altro ponendo il problema della cosa-in-sé di Kant. Dal carattere aporetico (o supposto tale) della cosa-in-sé prenderebbero infatti origine i sistemi post-kantiani: è questo, in fondo, il nodo cruciale dello spinozismo all’alba dell’idealismo speculativo. Il problema, osserva Vaysse, era infatti come portare a compimento il kantismo senza cadere nei due rischi che esso stesso aveva così scrupolosamente identificato, cioè lo scetticismo e il dogmatismo; come superare Kant grazie a Spinoza ed evitare Spinoza grazie a Kant. Alla luce di questi problemi Vaysse analizza i grandi autori dell’idealismo tedesco, mettendo in evidenza il nucleo problematico e l’articolazione storico-filosofica dei complessi dibattiti che caratterizzano questo periodo di pensiero. Così facendo Vaysse chiama in causa anche le più recenti interpretazioni di Fichte, Schelling e Hegel; con quest’ultimo, secondo Vaysse, terminerebbe il Pantheismusstreit, poiché ragione e vita appaiono riconciliate e al contempo Kant e Spinoza compiuti e superati, anche se si tratta di una ricaduta nel dogmatismo e, più che un “compimento”, sembrerebbe essere, a ben guardare, un armistizio provvisorio. P-H.T. (trad. F.M.Z.) PROSPETTIVE DI RICERCA Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, disegno di C. Ch. Vogel, 1851 52 PROSPETTIVE DI RICERCA Ritorno di Schelling Con l’espressione: «Le retour de Schelling», Xavier Tilliette salutava nel 1976, sulla rivista «Archivio di Filosofia», la rinascita degli studi schellinghiani. Di un “ritorno di Schelling” si può forse parlare anche oggi alla luce del prossimo congresso internazionale dedicato a questo autore, che si terrà a Milano nell’ottobre del 1995, a cui fa riscontro l’edizione di una nuova traduzione del dialogo di Schelling, BRUNO (a cura di Enrico Guglielminetti, Esi, Milano 1994) e due nuovi studi critici: SENSO E IMMAGINE. SIMBOLO E MITO NEL PRIMO SCHELLING (Guerini e Associati, Milano 1994), di Tonino Griffero, e KÉNOSIS DEL LOGOS. RAGIONE E RIVELAZIONE NELL’ULTIMO SCHELLING (Città Nuova editrice, Roma 1994), di Francesco Tomatis. I due volumi sono stati presentati il 13 gennaio 1995 a Torino, alla presenza di Gianni Vattimo, Francesco Moiso e Claudio Ciancio. Di uno studio su Schelling è autore anche Martin Heidegger, di cui è apparso appunto in edizione italiana lo scritto dal titolo: SCHELLING (trad. it. di C. Tatasciore, Guida, Napoli 1994), dove l’ontologia della libertà schellinghiana viene considerata una sorta di anticipazione dei principi espressi da Heidegger in ‘Essere e tempo’ e conseguentemente posta come fondamento dell’analitica dell’essere. Il percorso di ricerca delineato da Tonino Griffero in Senso e immagine attraversa a ritroso un arco di tempo della riflessione di Schelling che dalla filosofia dell’identità va a recuperare i testi del giovanissimo Schelling, studente a Tubinga: Antiquissimi de prima malorum origine philosophematis Genes. III explicandi tentamen criticum et philosophicus, del 1792, e Über Mythen, historische Sagen und Philosopheme der ältesten Welt, del 1793, per poi tornare a concludere l’analisi, seguendo la tematica del simbolo, con il Sistema dell’Idealismo trascendentale (1800) e la Filosofia dell’arte (1802-1803). Griffero suddivide la filosofia giovanile di Schelling in tre fasi: una fase iniziale, tra il 1792 e il 1793, che rivela una conoscenza storico-critica della sapienza mitologica; una seconda fase, caratterizzata dal progetto della mitologia della ragione, ed infine una terza, del periodo dell’identità, che presenta una teoria simbolico-estetica del mito. Scoperta la potenzialità filosofica del mito come modalità conoscitiva altra accanto alla ragione, il tentativo di Schelling in questo arco di anni, osserva Griffero, è quello di costruire una mitologia della ragione o mitologia filosofica, che in una fase più matura del filosofo si dimostrerà anche una filosofia della mitologia. Sulla scia dell’idea goethiana di scrive- re il romanzo dell’universo va ricondotto il tentativo schellinghiano di scrivere un Lehrgedicht, una dottrina in forma poetica o poema filosofico-scientifico, che avesse i contenuti della fisica speculativa, espressi però nella lingua della poesia. Era questo un primo passo verso la Neue Mythologie (nuova mitologia) che doveva mostrare la parentela tra lingua poetica e lingua scientifica. Tra il 1799 e il 1802, fa notare Griffero, Schelling credeva infatti di poter dare corpo all’unione di filosofia e poesia in una operazione poetica vera e propria, tentativo che sarà successivamente abbandonato dal filosofo con l’abbandono del punto di vista estetico come ottica di interpretazione della stessa filosofia della natura. La concezione di Schelling si fonda sulla chiarificata capacità rappresentativa del simbolo che, precisa Griffero, non è un generico Symbol, ma un Sinnbild, cioè unione di senso e immagine, che permette l’autoesplicazione dell’assoluto nella sua originaria condizione edenica, ovvero l’unità di ideale e reale che si dà solo nell’intuizione estetica. La lingua simbolica, Bildersprache, rivela la condizione di un’originaria non scissione tra intuizione e riflessione: tentativo di coniugare uno stato di natura originario ad un’idea della ragione. Lo stesso enigma del mondo può essere sciolto da un’ermeneutica del simbolico, poiché il mondo stesso, la natura, rappresentata come un grande organismo, ha i caratteri del simbolo. In questo senso Griffero propone un’interpretazione della filosofia della natura attraverso il simbolo, che dopo essere stato lingua filosofico-scientifica che permette di dire l’assoluto, modalità artistica di dare forma all’idea, è anche organismo, microcosmo simbolico che rispecchia la processualità dell’universo. Il linguaggio diviene così luogo del simbolico; in questo, Schelling riprende l’idea arcaica di un linguaggio universale, un linguaggio dei linguaggi, che mantiene un’unità naturale tra cosa e idea e si presenta come Natursprache, lingua di un pensiero vivente. A questo proposito Griffero suggerisce una fondamentale dipendenza di Schelling dalla letteratura emblematica, moda culturale tardosettecentesca (il culto per i geroglifici, l’egittomania, l’araldica), soprattutto nella già citata scelta lessicale di Sinnbild per Symbol, in cui il riferimento all’emblema indica la possibilità di non scindere il senso dall’immagine e di produrre una significazione immediata attraverso la presenzialità sensibile dell’immagine (Bild). L’autorappresentatività del simbolo-emblema è al contempo autointerpretazione; in tal modo, osserva Griffero, viene evitata la cattiva infinità dell’esegesi allegorica. Il campo d’applicazione privilegiata del 53 simbolo come linguaggio universale, come organismo e come emblema risulta essere per Schelling quello della mitologia e dell’arte. La costruzione di una nuova mitologia è appunto il compito che Schelling si propone: la Germania non sarà una nuova Grecia, e non utilizzerà i vecchi miti per esprimere i nuovi contenuti della filosofia della natura, ma dovrà recuperare la sua “veste simbolica”, che significa recupero della familiarità con la natura. Il cosmo simbolico su cui lo Schelling basava la speranza della presenza dell’assoluto viene meno verso il 1809, con gli scritti sulla libertà. Tuttavia, sottolinea Griffero, con Schelling non si tratta di proporre un ritorno al mito che comporti l’esclusione del logos, della razionalità filosofica, piuttosto, conclude Griffero, «cercarne un emendamento, limitarne il soggettivismo, rendersi conto della condizionatezza storica del modello stesso di scienza, affermatosi non da ultimo proprio nella presunte scissione di mythos e logos.» Di uno Schelling più maturo e che ha mutato il suo interesse dominante si occupa lo studio di Francesco Tomatis, Kénosis del Logos, un’analisi del rapporto tra ragione e rivelazione, che nei termini usuali si configura come il discusso rapporto tra filosofia negativa e filosofia positiva nell’ultimo Schelling. Inserendosi nell’acceso dibattito critico, che vede schierati e contrapposti Fuhrmans, che legge la filosofia negativa come premessa a quella positiva, che è la vera filosofia, e Schulz, che considera la filosofia positiva come un accadere a partire da quella negativa, Tomatis si accosta piuttosto alle posizioni interpretative di Pareyson e Tilliette, che considerano globalmente le due filosofie. Il percorso proposto da Tomatis parte dalle lezioni di Schelling a Monaco di Baviera negli anni 18271836, considerato come periodo preparatorio alla filosofia positiva, per arrivare agli ultimi anni del soggiorno di Schelling a Monaco, al periodo berlinese e all’elaborazione della Filosofia razionale, tra il 1837 e il 1854, vera ultima fase del pensiero schellinghiano che, secondo Tomatis, «andrebbe interpretata come “teologia razionale positiva”, che si apre alla storicità della rivelazione cristiana, cioé al dono e all’amore in cui consiste la libertà di Dio». Ma cosa dobbiamo intendere con filosofia negativa e filosofia positiva? “L’intimo, insolubile dissidio” del sapere umano, spiega Tomatis, è dato dalla ricerca del Principio, del Soggetto che diviene il protagonista stesso del sapere e a cui deve giungere il sapere umano attraverso il mutare e il succedersi di tutti i sistemi di sapere. Ma in quanto Soggetto assoluto, esso risulta inafferrabile, “è” ma “non può essere ciò che PROSPETTIVE DI RICERCA è”. La teologia negativa finisce per definirlo come quell’ente particolare che è il ni-ente: a questo concetto negativo di quel Soggetto assoluto, che va ricercando, arriva l’ascesi della ragione, senza poterlo esprimere in modo propositivo. Qui si colloca la distinzione tra estasi negativa ed estasi positiva: la prima pone l’uomo di fronte alla realtà della sua separazione dal Soggetto assoluto e lo getta nella crisi; ad essa succede l’estasi positiva, l’atto di volere che porta alla rinuncia di ogni sapere per fare spazio al Soggetto. Tomatis indica nel periodo dal 1837 al 1854, il momento in cui in Schelling l’akme dell’estasi e la crisi inducono alla realtà positiva, a Dio come libera rivelazione, dando adito al passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva: dopo una prima crisi (“estasi di Erlangen”) l’Io rinuncia a sé e riconosce la necessità di assimilarsi all’assoluto; una seconda crisi (“estasi di Berlino”) fa conoscere alla ragione lo stupore, il doversi aprire a Dio. Il problema della filosofia positiva, fa notare Tomatis, è infatti il dar forma al pre-concetto che è Dio stesso, a quel prius della ragione e di Dio, che solo a posteriori comprendiamo come Dio. Questo Dio come actus purissimus deve perciò avere la possibilità di essere; la creazione è uno dei modi attraverso cui Dio può mostrarsi altro da sé, e di porsi con questo fuori di sé, cioè fuori dal prius. La creazione, lotta estrema contro il nulla, a partire dal nulla, conferma il primato di Dio signore dell’essere, che in tal modo viene dato dal Padre al Figlio e quindi allo Spirito, secondo l’ortodossia della Trinità; in questo, sottolinea Tomatis, l’uomo viene solo alla fine della creazione ed è contemporaneamente il fine della creazione, in quanto vero altro da Dio, individualità libera come Dio che ha esistenza solo ed esclusivamente grazie a Dio. Come rileva Tomatis, secondo Schelling l’errore umano è stato di non accontentarsi di essere “come Dio” (wie Gott), ma di aver preteso di essere “in quanto Dio” (als Gott). La caduta dell’uomo segna l’inizio dell’età del Figlio: il Padre si ritira in attesa del ritorno del Figlio e dell’uomo stesso redento dal peccato; Il Figlio si allontana dal Padre, per accompagnare l’avventura dell’uomo e ricondurlo sulla via del ritorno. Solo il Figlio di Dio, infatti, abbassandosi al livello dell’uomo, fino alla morte, potrà salvarlo dalla caduta e ricondurlo a Dio, a scoprire Dio come al di là dell’Io, come origine. Nell’attesa del ritorno dell’uomo dopo l’opera di redenzione del Figlio, osserva inoltre Tomatis, Dio Padre manifesta una docta ignorantia: sa già tutto del futuro degli uomini; eppure, nel momento del ritorno, sa che l’uomo, pur tornato ad immediato contatto con la creazione, può manifestare la libertà di rifiutarsi al redi- tus. In questo, secondo Schelling, l’uomo ha una possibilità di de-creazione solo nella misura in cui ritarda il riconoscimento del Figlio come Figlio di Dio. É questa per l’uomo la prova, storicamente mai conclusa, dell’esistenza di Dio. L’uomo nel periodo in cui attende il ricongiungimento a Dio, vive nell’ignorantia Dei. L’attesa è attesa della rivelazione di Dio nel mondo, e dopo la morte e la resurrezione di Cristo l’opera del Figlio continua in una interiore lotta contro Satana e in una ekklesia visibile, dove sarà l’uomo stesso a continuare l’opera di Dio. F.V. Ricavato da un corso tenuto nel 1936, lo Schelling di Martin Heidegger costituisce il tentativo, peraltro riuscito, di ricondurre la filosofia schellinghiana, e in particolare le ricerche sull’essenza della libertà, all’ontologia dell’essere. Secondo Heidegger, la libertà analizzata da Schelling non riguarda esclusivamente l’uomo, quanto l’essere nella sua autenticità e si pone per questo come strumento per accedere all’ontologia. Come in Essere e tempo l’Esserci costituirà l’elemento mediatore tra l’essere e l’ente, così la libertà in Schelling si pone come il fondamento comune tra Dio e uomo e, di conseguenza, come il principio della differenza ontologica. Heidegger analizza minuziosamente, dal punto di vista etimologico e concettuale, il pensiero di Schelling, arrivando a porre il panteismo come il presupposto dell’ontologia della libertà. Infatti, contro l’equazione di panteismo e necessità, Heidegger dimostra che il pensiero panteista ha come fondamento la libertà ontologica. Qui, la libertà dell’uomo presuppone necessariamente quella di Dio e pone le basi per una metafisica dell’abisso, in cui l’identità di pensiero ed essere si manifesta con tutti i suoi limiti. In Schelling, Heidegger ritrova infatti, da una parte, la consapevolezza del limite dell’idealismo e dell’apoteosi della ragione e, dall’altra, la ricerca di un’ontologia che, se nei saggi sulla libertà si coglie nell’ethos e nella volontà, in Essere e tempo si compie come aletheia dell’Essere che non è più verità come trasparenza, ma come nascondimento e svelamento. Il mondo privato dal Dio assoluto e autotrasparente, diventa in tal modo la patria del finito che, in Schelling come in Heidegger, rimane l’unico elemento di abbandono dell’individuo. Limite di Schelling, nota Heidegger, è il non aver compiuto l’ulteriore passo, il non aver compreso che se l’essere è libero, e perciò finito, si pone in stretta relazione con il nulla. D’altra parte, riconosce Heidegger, il contesto idealistico e l’autorità di Hegel hanno impedito a Schelling di comprendere totalmente l’erramento dell’Essere. A.S. 54 Il sigillo di Bruno La pubblicazione della prima traduzione italiana dell’opera di Giordano Bruno, IL SIGILLO DEI SIGILLI. I DIAGRAMMI ERMETICI, (a cura di U. Nicola, tr. it. di E. Colombi, Mimesis, Milano 1995) offre la possibilità di riflettere su una modalità del pensiero filosofico, quella analogica-figurativa, che si affianca a quella logica-sequenziale. Intanto, di Bruno viene pubblicata in Francia, nella traduzione di Yves Hersant, LE SOUPER DES CENDRES (La cena delle ceneri, Les Belles Lettres, Parigi 1995), a cui fa riscontro una biografia non romanzata ad opera di Bertrand Levergeois, GIORDANO BRUNO (Fayard, Parigi 1995). Il valore di questa edizione italiana de Il sigillo dei sigilli è costituito anzitutto dall’opera di recupero, nella sua integrità e completezza, dei Diagrammi ermetici, repertorio grafico-simbolico di complemento all’esposizione teorica. In quest’opera Bruno redige una sorta di mappa della mente e della sua funzionalità modulare, con l’intento di «confrontare tutte le disposizioni dell’animo e perfezionare le attitudini», come recita il sottotitolo, affinché le facoltà della mente risultino potenziate proprio dalla rappresentazione iconica delle sue funzionalità. Il “Sigillo dei sigilli” viene esemplificato da Bruno tramite un’immagine tradizionale degli epigoni di Raimondo Lullo, utilizzata per mostrare il concetto di “mente di Dio”, in cui la totale e contemporanea connessione del tutto con il tutto viene rappresentata secondo quella combinatoria mentale che è alla base, oltre che dell’ars memorandi, anche dell’ars inveniendi: le connessioni confluiscono tra loro in un centro, in un avvicinamento all’Unità, all’Ordine, che è a sua volta un procedere all’Infinito che sfugge alla totale comprensibilità. Emergono qui quelle che per Bruno rappresentano le tre funzioni della mente e il loro modo di procedere: il senso, con la sua rettilineità; la ragione, con la sua circolarità; l’immaginazione, con la sua obliquità. In quest’ultima risiede il centro operativo della mente, che in questo si avvale della capacità dell’immaginazione di produrre strumenti per la memorizzazione e l’invenzione, quali le figurazioni naturalistico-simboliche (“statuificazione”) e le costruzioni semi-geometriche (“sigillazione”). In tale prospettiva, il significato dei sigilli è sia mnemonico, sia inventivo; in altri termini, attraverso la creazione di connessioni grafiche, utili alla memoria, emergono connessioni di elementi concettuali dapprima inosservate. L’ars combinatoria si unisce, in tal modo, con l’ars memoriae in quel particolare tipo di osservazione che è la rappresentazione analogica. La “scienza dei sigilli” si presenta, dunque, come una meta- PROSPETTIVE DI RICERCA conoscenza di carattere generale, fondata sulla raffigurazione delle tracce mnestiche e dei processi cognitivi. La tradizione critica ha in passato considerato i disegni di Bruno o mere decorazioni, o “evocazioni grafiche di démoni”, accreditando l’idea di Bruno come “mago ermetico”, secondo la definizione, ad esempio, di Francis Amelia Yates. Altre volte questi sigilli sono stati considerati una forma di linguaggio cifrato, strumento segreto di comunicazione di una setta fondata dallo stesso Bruno, i “Giordanisti”. Ubaldo Nicola, curatore dell’edizione italiana de Il sigillo dei sigilli, è invece dell’opinione che si tenda, con queste critiche, a imputare alla magia ciò che semplicemente appare oggi poco comprensibile, come le capacità potenziali della mente risvegliate dalla mnemotecnica, di cui Bruno era uno studioso, oltre che un prodigioso praticante. La spiegazione mnemotecnica, secondo Nicola, sarebbe invece la chiave per comprendere Il sigillo dei sigilli non come un manuale di psicologia descrittiva, ma come parte programmatica di un progetto di potenziamento “artificiale”, cioè non immediatamente dato in natura, della conoscenza, attraverso la riabilitazione di forme di pensiero trasversali, quali i segni grafici, le figure, i simboli. Possiamo leggere il sigillo bruniano anche come la figura rappresentativa di “un ordine delle cose negli accidenti”, che si avvicina a ciò che Jaspers denominava “cifra”, ovvero il modo con cui la trascendenza e l’inogettivabilità dell’Essere si rende immanente nella visibilità e visualizzabilità del simbolo. Il mondo è ciò che costituisce questo linguaggio cifrato, questa scrittura ermetica. D’altra parte, anche il lessico di Bruno può dirsi cifrato, visivo, dato l’uso continuo di metafore e figuralità, mutuate dalla teologia della luce. L’opera di Bruno è divenuta in questi ultimi anni in Francia oggetto di particolare interesse. Yves Hersant è il curatore della recente traduzione francese della Cena delle ceneri, il primo dei dialoghi metafisici in cui Bruno, attento interprete dello Spirito della sua epoca, dialoga in volgare con Copernico e Tolomeo sulla “divinità innumerabile degli astri”, sull’infinità dell’universo e quindi sull’infinità dei soli. Dopo l’epoca del trionfo della misura e dell’armonia, si arriva sul finire del ‘500 e agli inizi del ‘600, passando attraverso gli studi magici e alchemici, alla scoperta dell’innumerabile, dell’infinito e quindi dell’indecidibile. L’influsso su Bruno di questa particolare situazione culturale spingeva Joyce, nel 1903, a ravvisare nello stile di pensiero bruniano “l’ebbrezza di Dio”, quell’ubriacarsi della ragione che supera il proprio limite e che porta Bruno ad essere “il padre della filosofia moderna”. A questa traduzione si affianca la biografia non romanzata di Bruno ad opera di Bertrand Levergeois, uno dei massimi studiosi in Francia dell’opera brunniana, al quale si devono anche le traduzioni in francese de L’infinito, l’universo e i mondi, L’espulsione della bestia trionfante, La Cabala del cavallo Pegaso. La biografia di Levergeois è un’attenta ricostruzione della vita e dell’opera di Bruno, al di là delle leggende che corrono attorno alla sua vita. Biografia precisa e scrupolosa, ricca di particolari, che mostra Bruno come uomo del suo tempo, quel Rinascimento tragico che volge alla sua fine, in quel debordare della misura nell’infinità del cosmo che fece di Bruno un eretico. G.Di L. Pragmatismo: promesse e delusioni Lo studio di John P. Diggins, THE PROMISE OF PRAGMATISM: MODERNISM AND THE CRISIS OF KNOWLEDGE AND AUTHORITY (La promessa del pragmatismo: modernità e crisi di conoscenza e autorità, University of Chicago Press, Chicago 1994) è incentrato sui problemi sollevati dalle riflessioni sulla modernità dello storico Henry Adams. L’attualità della ricerca di Diggins sul pragmatismo sta nella sostanziale ripresa delle teorie di Richard Rorty, di cui viene delineata un’analisi critica a partire dalle disillusioni provocate dal pragmatismo originario. L’attenzione di John P. Diggins si concentra sugli autori fondamentali del pragmatismo, John Dewey, William James, Charles Sanders Peirce; principale riferimento delle sue analisi resta però lo storico Henry Adams e la sua concezione del mondo moderno. Adams e Dewey appaiono qui come i portatori di due visioni della modernità completamente divergenti e opposte: il primo sostiene che la vita moderna è definita dalle sue perdite, quali l’agnosticismo o la scoperta di Darwin che gli uomini sono solo una parte del regno animale. Con la morte dell’universo e del pensiero magico tutto ciò con cui abbiamo a che fare, osserva Diggins, sono la scienza della natura e il calcolo razionale, che tuttavia non ci possono dire niente a proposito di ciò che dobbiamo volere o perseguire. Dewey è invece presentato da Diggins come il portavoce di una posizione che afferma che la condizione moderna sia più un guadagno che una perdita, nella convinzione che i problemi della modernità fossero più apparenti che reali. Il XIX secolo, secondo Diggins, ha tentato di dare una risposta al problema della presenza nel mondo di una divina provvidenza. L’insoddisfazione di Adams nei confronti delle risposte che la modernità 55 ha saputo dare a questo problema è determinata dal fatto che né la scienza, nè la storia, sono in grado di rilevare alcun ordine che sottenda al divenire degli eventi. Il totale disincanto venne per Adams dall’incontro con la nuova fisica: il processo di entropia significò per lui la conferma che ogni cosa stava precipitando in uno stato di disordine e disunione, del tutto in balia del caso e inesplicabile; la ricerca di una teoria della storia che potesse rendere intelligibile e docile il mondo era finita nel nulla. Da un tale punto di vista, tanto meno potevano rassicurare Adams le soluzioni di Dewey, secondo il quale, come mostra Diggins, in una società più soddisfacente di quella della fine del XIX secolo in America i tormenti metafisici si sarebbero estinti. In Dewey assistiamo ad una deviazione dell’inquietudine metafisica e religiosa in riforma politica e sociale, che tuttavia fallì disastrosamente: Pearl Harbour è stata la più brutale delle possibili dimostrazioni di fallimento politico che il pragmatismo e l’isolazionismo di Dewey potesse dare. Di fatto, osserva Diggins, il pragmatismo è stato sempre impotente come guida dell’azione politica. L’attenzione di Diggins per il pragmatismo è dovuta in particolare alla ripresa di questa corrente nel neopragmatismo di Richard Rorty che, esattamente come Dewey, predica l’autosufficienza del mondo quotidiano. Rorty, sottolinea Diggins, insiste sul fatto che le politiche liberaldemocratiche non necessitino di alcun fondamento filosofico al di fuori della nostra accettazione della narrazione edificante della storia americana: la storia di una nazione dedita alla libertà e all’uguaglianza e in grado di offrire opportunità e appagamento individuale. Una tale narrazione edificante, sostiene Diggins, non è credibile in se stessa, né sufficientemente condivisa, per poter provvedere a tutto il sostentamento politico che essa necessita. Che vi sia grande polemica sui principi primi, sostiene Diggins, è dato dalla casuale rinuncia da parte di Rorty di dare un fondamento filosofico ai principi primi, proprio perché non è possibile concordare su una tale narrazione edificante. Alla prospettiva indicata da Rorty Diggins preferisce l’ironia dei Padri Fondatori: la loro disillusa comprensione della fragilità della natura umana e l’inevitabilità della contaminazione di alti ideali con bassi interessi era radicata nella vita politica. La loro retorica era accompagnata dalla comprensione degli interessi che era necessario soddisfare se si voleva dare un senso a quella stessa retorica; così costruirono una narrazione edificante del nuovo mondo politico che stava nascendo, pur non perdendo di vista la sua verità. Se furono pragmatisti, non lo furono in senso filosofico, ma in funzione di uno spiccato interesse per l’abilità dell’artefice istituzionale. M.B. NOTIZIARIO È da pochi giorni disponibile nelle librerie italiane la BIBLIOGRAFIA DEGLI SCRITTI DI NORBERTO BOBBIO 1934-1993 , (Laterza, Roma-Bari 1995), curato da Carlo Violi. Il volume, cinquecento pagine per documentare l’attività del filosofo torinese, saggi, recensioni, pubblicazioni (2040 titoli), è preceduto da una Autobiografia intellettuale, che riporta il testo della relazione introduttiva al Convegno: “La figura y el pensamiento de Norberto Bobbio”, svoltosi presso l’Università Menéndez Pelàyo di Santander tra il 20 e il 24 luglio 1992. Apre l’elenco bibliografico la citazione dello scritto: Aspetti odierni della filosofia giuridica in Germania, apparso nel 1934 sulla «Rivista Internazionale di filosofia del diritto». Di Norberto Bobbio, la Princeton University Press ha recentemente pubblicato Ideological Profile of Twentieth-Century Italy, nella traduzione di Lydia Cochrane. Il volume è in uscita negli Stati Uniti nel mese di ottobre 1995 e nel mese di dicembre 1995 negli altri paesi. L.S. Dopo essersi dedicati alla stesura della monumentale Storia della civiltà in 45 volumi, che dai primordi della civiltà giunge fino all’età napoleonica, ne LE LEZIONI DELLA STORIA (Araba fenice, Cuneo 1995) Willi e Ariel Durant affrontano il significato della storia in relazione a tematiche come la biologia, il carattere, la morale, l’economia, il socialismo, il progresso. L’obiettivo è quello di proporre una concezione sintetica della storia, in grado di oltrepassare ogni separazione di carattere specialistico, ricostruendo l’ambiente storico-politico all’interno del quale eventi e fasi storiche sono avvenuti e decaduti. La storia, per i Durant, non potendo essere identificata con la scienza e dunque conosciuta nella sua completezza, si deve basare necessariamente su “conoscenze parziali” e su “probabilità provvisorie”. Nell’analizzare le “ragioni” della storia, i Durant esplorano diversi ambiti ad essa collegati. Così, se da un lato la geografia è la “matrice” della storia, dall’altro la storia stessa è un “frammento” della biologia. Importante risulta anche il ruolo della razza nella formazione delle civiltà, poiché ogni cultura crea un tipo di uomo con le sue abitudini e le sue tradizioni. D’altra parte, è la natura umana che costituisce il fondamento stesso della storia, quale totalità dei principali sentimenti dell’umanità. Altri ambiti importanti, posti in relazione con la storia, sono la morale e la religione. La morale influenza la storia nella misura in cui risulta costituita da regole, attraverso le quali una società richiede agli individui che la compongono di attenersi ad un comportamento adeguato. D’altra parte, i Durant auspicano una conciliazione tra filosofia e religione, ritenendo fondamentale il legame della morale con la religione, dato che nella storia non NOTIZIARIO è possibile rinvenire esempi significativi di società che abbiano difeso i principi essenziali della vita morale senza l’appoggio della religione. Unica eccezione sembra essere, per i Durant, il comunismo, che tuttavia può essere considerato come una specie di “temporanea sostituzione” della religione. Fondamentale nella storia risulta essere anche la funzione svolta dall’economia produttiva: dal momento che la concentrazione della ricchezza è la conseguenza inevitabile della concentrazione delle abilità, è necessario, per i Durant, realizzare una sintesi tra capitalismo e socialismo in modo da limitare la mancanza di eguaglianza nel capitalismo, la privazione della libertà nel socialismo. Un altro problema che attraversa tutta la storia, osservano i Durant, è quello relativo alla forma di governo più idonea per uno Stato. Questa sembra essere la democrazia, nonostante i suoi evidenti difetti. La guerra, tuttavia, viene considerata una “costante” della storia dell’umanità, poiché inerisce allo stesso principio di selezione naturale proprio della specie umana. M.Mi. ch for Similarity in the Linguist’s Cognition, di Raffaele Simone. Bisognerà attendere l’estate per il secondo volume della collana, Knowledge Trough Signs. Ancient Semiotic Theories and Practices, che conterrà contributi di G. Minetti, U. Eco, A. Long, D. Sedley, D. Glidden, G. Verbeke, E. Asmis, D. Maggi, M. Vegetti, W. Leszl, G. Pucci, F. Lo Piparo, M. Bettini, M. Bettetini. La collana, che prevede altri tre volumi, Hjemslev aujourd’hui, The Future of the Book, Phonosymbolism and Poetic Language, è curata da Umberto Eco e Patrizia Violi. L.S. Con la sua monografia dedicata a ANTIOCO ZUCCA. UN FILOSOFO SCONOSCIUTO (Editrice 2D Me- diterranea, Sassari 1992) Antonio Pinna ripercorre le linee essenziali del pensiero filosofico di Zucca, partendo dall’analisi delle sue prime opere, tra le quali L’uomo e l’infinito, fino a giungere alla sua ultima opera filosofica, I rapporti tra l’individuo e l’universo. La riflessione teorica di Zucca, come rileva Pinna, nasce dall’intento di avvicinare l’uomo all’infinito, nonostante la limitatezza e contingenza umana, nella convinzione che la coscienza dell’infinito possa consentire all’uomo di superare la sua condizione transeunte e finita, proiettandolo verso un «essere infinito, necessario, perfetto». Questo essere infinito, secondo Zucca, è l’universo visibile formato da molteplici mondi caratterizzati da una successione eterna di nascita e di morte; in tale prospettiva l’uomo concretizza l’esistenza oggettiva dell’infinito. Zucca, osserva Pinna, pur provenendo dal positivismo di Ardigò e dal materialismo, non condivide la fiducia positivistica nella scienza e nella sua capacità di fornire una soluzione soddisfacente agli enigmi dell’universo. Inoltre si oppone alla tesi positivistica dell’esistenza dell’inconoscibile, credendo nella possibilità di cogliere l’Assoluto, che tuttavia non deve essere identificato con la trascendenza. A questo proposito, rileva Pinna, il progetto di Zucca appare caratterizzato da un evidente risvolto etico, laddove si sostiene che l’uomo deve basarsi unicamente sulle sue forze, L’International Center for Semiotic and Cognitive Studies dell’Università di San Marino propone una nuova collana, SEMIOTIC AND COGNITIVE STUDIES, in cui verranno pubblicati i testi delle conferenze tenutesi presso il Centro dal 1988 a oggi. Il primo volume oggi disponibile, Similarity in language, thought and perception, a cura di Cristina Cacciari, raccoglie i contributi alla conferenza su “Similarity in Language, Thought and Perception”, tenutasi nel 1991 presso il Centro. Questi i titoli dei saggi raccolti nel volume: The Old Town No Longer Looks the Same: Computation of Visual Similarity after Brain Damage, di Glyn W. Humphreys, M. J. Riddoch; Simmetry and Similarity: The Phenomenology of Decorative Patterns, di Michael Kubovy; Metaphoric Comparisons, di Sam Glucksberg, Deanna Manfredi; The Predicates of Similarity, di Douglas L. Medin, Robert Goldstone; Similarity is like analogy: Structural Alignment in Comparison, di Dedre Gentner, Arthur Markman; The Sear- 56 senza appoggiarsi a divinità o ad essenze metafisiche: la coscienza individuale deve trasformarsi nella coscienza stessa del cosmo, determinando la formazione di un “uomo cosmico”, per il quale la morte non esiste. Nell’acquisizione della coscienza di sé, l’universo infinito implica il passaggio dalla materia inorganica a quella organica, dal vivente inconscio a quello cosciente. Nella sua ultima opera, I rapporti tra l’individuo e l’universo, Zucca accentua il carattere pampsichico della realtà cosmica, in cui l’uomo acquisisce sempre di più la funzione di realizzare la sua componente infinita attraverso il pensiero del cosmo. Questa visione pampsichistica dell’universo sarà ciò che determina la critica di Zucca alla concezione cristiana e cattolica di Dio, basata su un Dio tiranno e sulla mancanza di libertà. Nella sua ricostruzione, Pinna evidenzia anche un legame tra la filosofia di Zucca e la concezione pessimistica di Leopardi della “natura matrigna”. A differenza di quest’ultimo, Zucca crede tuttavia nel progresso, dove sofferenze e lotte costituiscono contrasti inevitabili che favoriscono la consapevolezza sempre più ampia dell’infinito. Tra i critici che si sono occupati di Zucca, Pinna sottolinea la posizione di Tarozzi, che stabilisce un legame tra il positivismo di Zucca e la filosofia di Ardigò, dal quale proverrebbero quegli elementi vitali, necessari per una concezione pampsichistica dell’universo. La critica di Tauro tende invece a vedere in Zucca un idealista, sebbene sia presente nel suo pensiero una concezione naturalistica della vita. M.Mi. In occasione del centenario della morte (1894) di HERMANN VON HELMHOLTZ, sono stati pubblicati una raccolta di saggi, a cura di Lorenz Krüger, Universalgenie Helmoltz: Rückblick nach 100 Jahren (Il genio universale di Helmholtz: retrospettiva dopo 100 anni, Akademie Verlag, Berlino 1994), che presenta una serie di analisi storiche e filosofiche sulla posizione epistemologica di Helmholtz, e lo studio di Helmut Rechenberg, Hermann von Helmoltz. Bilder seines Lebens und Wirkens (Hermann von Helmholtz. Immagini della sua vita e della sua attività, VCH, Weinheim 1994), che propone una biografia intellettuale dello studioso. Il volume curato da Krüger pone l’accento sulla vastità degli interessi culturali di Helmoltz, che non fu solo un grande matematico, fisico, fisiologo, medico e psicologo (Freud fu notoriamente suo allievo), ma coltivò anche interessi teoretico-filosofici e influenzò, con i suoi studi nel campo dell’acustica, lo stesso Schönberg. Gli autori dei vari contributi del volume hanno infatti cercato di mostrare come le scoperte di Helmholtz fossero il prodotto dell’intricata concatenazione di costruzioni concettuali, ambiente NOTIZIARIO culturale locale e strutture private ed universitarie dell’organizzazione scientifica. Particolarmente eterogenee si rivelano le analisi relative ai fondamenti filosofici del programma meccanicistico di Helmholtz, da lui stesso sintetizzato nell’affermazione che «lo scopo finale della scienza è di risolversi nella meccanica»; conoscere la natura significa dunque scoprire la legge matematica che è causa di tutti i fenomeni fisici. Tra i vari contributi al volume, Gregor Schiemann rileva che la considerazione puramente materialistica del mondo naturale, condivisa da Helmoltz a partire dal 1860, permette di negare qualsiasi rapporto effettivo tra la sua visione della natura e le filosofie di Leibniz e Kant, ancora legate a presupposti metafisici ormai superati. Di diverso parere sono invece Krüger e Röseberg, che sottolineano il debito di Helmholtz nei confronti delle filosofie naturali del XVIII secolo, mentre Heidelberger identifica nell’idealismo soggettivo di Fichte la fonte teoretica dei fondamenti epistemologici della ricerca helmholtziana. Helmoltz parlava infatti di “attività propria dello spirito”, che si mantiene estraneo al determinismo del mondo dei corpi ed è superiore ad esso in forza della propria capacità produttiva (a lui si deve la scoperta della dipendenza dei fasci nervosi dai gangli cerebrali). La monografia di Helmut Rechenberg si ispira in modo abbastanza fedele alla biografia in tre volumi di Leo Koenigsberger, datata 1902/ 1903, integrandola con fonti aggiuntive. Risultato è una trattazione cronologica dei successi scientifici di Helmholtz, documentati da lettere, articoli e libri, nonché da episodi e aneddoti biografici di importanza rilevante per la definizione del personaggio, anche se fattori “interni” ed “esterni” della sua vicenda esistenziale rimangono estranei gli uni agli altri, come se la sua vita non fosse altro che un corollario del lavoro scientifico. L.R. Per la collana Biblioteca di Cultura Moderna è stato pubblicato il volume LA RELIGIONE. ANNUARIO FILOSOFICO EUROPEO (Laterza, Roma- Bari 1995), a cura di Jacques Derrida e Gianni Vattimo. Oltre a una breve introduzione dei curatori sull’origine e gli intenti dell’opera, il volume contiene contributi di G. Vattimo, E. Trias, A. Gargani, V. Vitiello, M. Ferraris, J. Derrida e H. G. Gadamer. L’opera esce contemporaneamente anche in Francia, per i tipi di Le Edition du Seuil. L.Sa. Con la pubblicazione del primo volume dal titolo: Theodor Lessing. Bildung ist Schönheit. Autobiographische Zeugnisse und Schriften zur Bildungsreform (Theodor Lessing. L’educazione è bellezza. Testimonianze autobiografiche e scritti sul- la riforma dell’educazione, Donat Verlag, Brema 1995) ha avuto inizio l’edizione delle opere scelte di THEODOR LESSING, curata da Jörg Wollenberg con la collaborazione di Ruth Schwalke e Helmut Donat. In questo primo volume occupano un posto di rilievo gli scritti pedagogici, elaborati da Lessing sulla base delle esperienze didattiche da lui vissute al ginnasio di Haubinda e alla Volkshochschule di Hannover. In entrambi i casi, Lessing cercò di integrare l’insegnamento tradizionale con una prassi educativa che prevedeva esperienze di rapporto diretto con i mondi della natura, del lavoro e della società, al fine di conferire anche agli individui meno privilegiati la capacità e la possibilità di esprimere la propria condizione. Inoltre, Lessing fu uno dei primi acuti critici della catastrofe ecologica che lo sviluppo industriale avrebbe prodotto e riconobbe l’importanza di un’educazione del popolo imperniata non solo sul rapporto con la patria e la tradizione, ma supportata anche dal riferimento ai “demoni” della natura, che costituiva per lui un’efficace metafora della realtà umana. La pedagogia di Lessing, permeata da pathos socialista e influenzata dalle riflessioni schopenhaueriane sul dolore come evidenza universale, può venire fondatamente considerata una “pedagogia dell’autonomia”, volta ad emancipare gli spiriti dalla loro originaria situazione di subordinazione ed inconsapevolezza. L’anticonformismo delle riflessioni di Lessing sembra però sfuggire a Jörg Wollenberg, curatore di questo primo volume delle opere, che si fa implicitamente scudo di una concezione tradizionale dell’educazione, intesa come “assistenza”, e sulla scorta di questo presupposto procede a una selezione delle opere decisamente riduttiva, a cui si contrappone un apparato critico eccessivamente ampio e dettagliato. L.R. Da quando Wilhelm Dilthey, nel secolo scorso, formulò il suo programma per un “Archivio della letteratura”, la pubblicazione degli epistolari dei filosofi appartiene ai generi letterari della storia dello spirito. Non va dimenticato, però, che da allora il rapporto tra i filosofi e il loro pubblico è molto cambiato. Se, ad esempio, il dialogo filosofico fra Leibniz e Voltaire conteneva senza dubbio un APPUNTI In riferimento all’incongruenza rilevata da Franco Melandri in “Appunti” del numero 24 di «Informazione Filosofica» (p. 51), l’autore dell’articolo in questione, Manfredi Mannato, fa notare che l’equivoco è sorto soprattutto a causa di alcuni tagli redazionali, impropriamente apportati alla stesura originale dell’articolo, che ne hanno provocato lo “snaturamento”. Se l’articolo «fosse stato riportato nella sua integralità - ribadisce Mannato si sarebbe capito che la mia interpretazione era esatta, in quanto per Herzen la realtà - natura, uomini, cose - è “UNA” e soltanto “UNA”. L’accostamento al mondo della natura (segue citazione da A. Herzen, Dall’altra sponda, Milano 1993, p.76) voleva essere, ancora una volta, un modo o un momento significativo per rigettare qualsivoglia filosofia della storia o prospettiva finalistica del mondo». La Redazione prende atto dell’intervento che ha causato l’equivoco, scusandosi con l’autore. Nel numero 24 di «Informazione Filosofica», all’interno dell’Intervista a Remo Bodei (p.7), a causa di una svista nella correzione redazionale del testo, è stato involontariamente stravolto il senso di una frase: «Mi viene in mente Rosa Luxemburg, che negli anni Cinquanta diceva che non vi sono rivoluzioni tentate e fallite.» La frase deve essere rettificata come segue: «Mi viene in mente Rosa Luxemburg, che diceva: “meglio cinquanta rivoluzioni tentate e fallite che nessuna”». Ci scusiamo con l’autore della suddetta intervista, ringraziando Tiziano Tussi per la segnalazione dell’errore. 57 implicito riferimento a una “comunità” letteraria e filosofica, a distanza di un secolo un pensatore come Nietzsche poteva considerare la pubblicazione delle proprie lettere «una grave scorrettezza». Per un filosofo contemporaneo, «avviluppato nella rete del linguaggio», il proprio epistolario costituisce addirittura un «libro a parte» (Kafka), il cui stile e il cui spirito riflettono la crisi del linguaggio tipica del nostro tempo. Il desiderio di custodire la propria vita privata e nello stesso tempo coltivare una dimensione pubblica caratterizza anche la corrispondenza di Edmund Husserl che, se da un lato si definisce un «solus ipse completamente isolato», da un altro si lamenta di dover sbrigare una «ricchissima corrispondenza»; questi considerava infatti le lettere come «visite», che meritavano una grande attenzione, ma che nello stesso tempo lo distoglievano dal «compito della sua vita», cioè il «completo sovvertimento della filosofia intera». Ciò nonostante, che le lettere di Husserl rivestano una grande importanza per l’adeguata comprensione del suo pensiero, risulta chiaramente nella Prefazione alla «Husserliana» e trova ulteriore riscontro nella recente pubblicazione dell’edizione completa, in 10 volumi, a cura di Elisabeth e Karl Schuhmann, della sua corrispondenza: EDMUND HUSSERLS BRIEFWECHSEL (Edmund Husserl: corrispondenza, «Husserliana», vol. III, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht-Boston-London 1994). Per quanto alcune parti e frammenti (ad esempio lo scambio epistolare con Roman Ingarden), siano già stati pubblicati, oggi è finalmente possibile gettare uno sguardo d’insieme sulla vastissima corrispondenza di Husserl, a partire dal rispettoso scambio di idee con Brentano, suo maestro, attraverso i rapporti con i colleghi all’interno e al di fuori del movimento fenomenologico, fino all’intensa e sofferta ricerca di discepoli e successori, quali Fink, Heidegger e Landgrebe. Tutto ciò, se da una parte documenta l’estrema versatilità dell’opera del filosofo, dall’altra getta una luce sull’uomo Husserl, il quale, pronto ad accogliere incondizionatamente domande che lo chiamavano in causa «da tutto il mondo», non esitava nello stesso tempo a rettificare gelidamente le opinioni di un presunto plagiatore (Theodor Lessing), o a esternare il suo disinganno rispetto al “fenomeno” Heidegger, divenuto «il più grande nemico del noto movimento fenomenologico husserliano». Dalle «lettere familiari» indirizzate a Gustav Albrecht apprendiamo anche la ragione “filosofica” dello «splendido isolamento» in cui Husserl si ritirò durante la guerra: «è stato necessario, dopo la “bancarotta” di una coscienza radicale e universale - affermava- [...]. Colui che, in questa disposizione d’animo, si è isolato e ha veramente il coraggio di tale radicalità, questi “deve” giungere al mio stesso esito; soltanto “poi” sarà nuovamente possibile filosofare nella comunità». A.M. CONVEGNI E SEMINARI Jeronimus Bosch, Il giardino delle delizie (particolare) 58 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI La natura in filosofia Coordinato da Fulvio Papi, si è svolto da ottobre a dicembre 1995, presso la Casa della Cultura di Milano, un ciclo di conferenze dal titolo: “FILOSOFIA E NATURA”, al quale hanno partecipato, oltre al coordinatore, Mario Ceruti, Francesco Moiso, Felice Mondella, Salvatore Natoli, Giuseppe Semerari, Carlo Sini e Luca Vanzago. Come in passato, il ciclo ha seguito un percorso storico, esaminando l’articolarsi del tema all’interno della riflessione di alcuni pensatori, che risultano connessi in un dialogo storicamente e filosoficamente determinato; un dialogo, in altri termini, che non accade (talvolta contro le apparenze) né in una dimensione sovrastorica, né in quanto immediatamente rivolto alle “cose del mondo”, bensì come mediato dagli elementi concettuali e dai percorsi offerti dalla tradizione. In apertura del ciclo, Fulvio Papi ha sottolineato la rilevanza del tema della natura tanto dal punto di vista della riflessione epistemologica relativa alle scienze naturali, quanto da quello dell’istituzione della problematicità del rapporto fra natura e cultura, natura e civiltà. Mauro Ceruti (“Storia della natura e natura della storia”) ha rilevato come la questione della storia della natura costituisca una specificazione rilevante all’interno della considerazione filosofica della natura. Dopo lo sgretolamento del cosiddetto “mondo chiuso”, e con la scoperta e l’esplorazione dello “spazio profondo”, l’ampliamento quantitativo dello spazio, ha rilevato Ceruti, ha mutato la sua considerazione qualitativa. Analogamente è accaduto in campo storico, anche se la scoperta dello spazio profondo e del tempo profondo hanno generato scenari confliggenti, essi hanno dato luogo da un lato alla questione relativa alla natura della storia, dall’altro a quella relativa alla storia della natura. Per quel che concerne il secondo aspetto, ha osservato Ceruti, il presupposto dell’omogeneità e continuità dell’universo nello spazio e nel tempo, emerso nella fisica moderna tra il Seicento e l’Ottocento, permette di estra- polare e di applicare leggi in ambiti differenti da un periodo storico all’altro. In tal senso, con l’evoluzionismo darwiniano si verifica un rivolgimento ontologico; non però con Darwin, la cui teoria dell’evoluzione mostra il tentativo di dissolvere la contingenza dei processi storici, e con ciò l’essenza stessa della storicità, in leggi atemporali. Al contrario, ha ribadito Ceruti, occorre pensare la contingenza non come una correzione del determinismo, non come una linea mediana fra casualità e necessità, bensì “per sé”, come ciò grazie a cui l’evento storico risulta non predicibile rispetto alle leggi storiche. In questo, ha aggiunto Ceruti rispondendo a una sollecitazione di Papi, il concetto di catastrofe si identifica con quello di contingenza: esso indica un avvenimento repentino, uno sconvolgimento non prevedibile a partire dalle condizioni e dalle leggi della situazione data. Francesco Moiso (“La filosofia della natura di Schelling”) ha ricordato come nel Settecento la conquista dell’oggettività passi attraverso la possibilità di esprimere caratteristiche qualitative per mezzo di strumenti quantitativi. Ciò comportava la necessità di isolare i fenomeni in laboratorio, liberandoli dai vincoli naturali. La reazione ottocentesca a questa situazione, ha continuato Moiso, consiste anzitutto nella rivendicazione della necessità, ai fini della comprensione del singolo fenomeno, di uno sguardo sulla totalità che permettesse di individuare non il “mondo vero” dietro ai fenomeni, bensì il rapporto fra la totalità della natura e quella della ragione. A questo proposito, ha rilevato Moiso, la principale intuizione di Schelling riguarda la necessità di considerare non i prodotti della natura, cioè gli enti, bensì la natura in quanto produttività, fondamento di tutte le sue realizzazioni. Così, la filosofia schellinghiana della natura non parte dalla datità degli oggetti, bensì dalle forze che li giustificano; il suo trascendentalismo, intrinsecamente concreto, intende opporsi a quello astratto, proprio di Kant. Con l’identificazione di natura e spirito, ha proseguito Moiso, la filosofia della natura di Schelling intende configurarsi come filosofia della totalità in quanto non sottoposta alla scissione tra soggettività e oggettività, materia e spirito. La sua originalità consiste nel 59 fatto di introdurre, nel quadro di una prospettiva dinamica della totalità, una considerazione morfologica, che conferma l’effettiva differenzialità del reale senza annegarla nell’indistinzione. Da questo punto di vista, ha osservato Moiso, il celebre attacco di Hegel al carattere olistico della prospettiva schellinghiana, sul piano della filosofia della natura, deve essere ridimensionato in funzione dell’atomismo e del morfologismo della concezione di Schelling. Salvatore Natoli (“La natura nella filosofia di Schopenhauer”) ha esordito richiamando la necessità di comprendere nel senso di una “dissoluzione del moderno” la filosofia della natura di Schopenhauer, mettendola in rapporto all’intera sua filosofia e in particolare al suo confronto con la cultura orientale, intesa come compimento delle categorie della filosofia occidentale. In Schopenhauer la modernità, in quanto secolarizzazione, assume, secondo Natoli, due aspetti: compimento della tradizione teologica cristiana ed errore radicale. L’idea schopenhaueriana della natura è del tutto formalistico-meccanicista: la sua filosofia si configura come una filosofia dell’onnipotenza della ragione, dove la soggettività dell’io si presenta, dal punto di vista della conoscenza, come legislatrice assoluta, che lascia sussistere fuori di sé soltanto il noumeno, non coglibile conoscitivamente. Per questo, ha osservato Natoli, si può sostenere che in Schopenhauer la natura si colloca sia nella rappresentazione, sia, in quanto noumeno, nel principio, cioè nella volontà. La nozione schopenhaueriana di natura si sviluppa tra immanenza (la natura, in quanto oggetto di rappresentazione, è nel soggetto) e dualismo trascendentale (la natura, in quanto organizzazione, presenta in sé caratteri teleologici). A partire dalla determinatezza degli enti, ha fatto notare Natoli, si sviluppa la dimensione teleologica della natura; ciò introduce nell’assoluta casualità del reale, nella sua assoluta aleatorietà, il carattere della rigida necessità. Come ha sottolineato Natoli, traspare qui in Schopenhauer l’ascendenza spinoziana, per cui in ogni cosa è presente il principio organizzatore, la volontà; manca, tuttavia, il monismo uniplanare carat- CONVEGNI E SEMINARI teristico di Spinoza: dal mondo, secondo Schopenhauer, è possibile e necessario uscire, e il motivo, nonché il motore di tale sortita, è rappresentato dal dolore. Arte e ascesi permettono di redimersi non solo dalla natura in quanto rappresentazione, ma anche in quanto principio, volontà. Felice Mondella (“La filosofia della natura nel positivismo”) ha fatto notare che i concetti fondamentali che guidano il positivismo provengono dalla riflessione non sulla scienza ad esso contemporanea, ma su quella dell’epoca precedente. Per comprendere l’evoluzionismo di Spencer, ad esempio, appaiono rilevanti il morfologismo di Goethe, nonché il suo monismo panteistico, o la teoria dell’evoluzione lamarckiana. La concezione evoluzionistica di Spencer presuppone infatti l’esistenza di una realtà unitaria e inizialmente omogenea, all’interno della quale avviene in seguito la differenziazione, l’eterogeneità e, infine, il perfezionamento. Nel campo delle ricerche biologiche, ha poi rilevato Mondella, la teoria della non ereditarietà dei caratteri acquisiti si affermò soltanto verso la metà dell’Ottocento; Spencer condusse una battaglia di retroguardia a favore di tale teoria, sostenendo una forma radicale di comportamentismo ante litteram. Anche la Morfologia generale di Theodor Haeckel, ha inoltre rilevato Mondella, rappresenta, per quanto confusamente, un ilozoismo panteista, che risale fino a Goethe e a Spinoza e prevede l’unificazione di forze fisiche e psichiche. Queste ascendenze romantiche del movimento positivista suscitarono le critiche di Emile du Bois-Raymond, che sottolineava l’imprecisione del concetto di forza, la vaghezza di quello di vita e il carattere non scientifico del teleologismo. Quattro sono i temi sui quali si è articolata la relazione di Giuseppe Semerari (“Heidegger: tecnica e natura”): l’espressione heideggeriana di “deserto della terra devastata”; il rapporto tra physis e techne, ovvero tra terra e mondo; il quesito dell’aforisma «dove maggiore è il pericolo, più grande è ciò che salva»; la categoria heideggeriana di Seinlassen (lasciar essere) nella sua traduzione, terminologica e concettuale, americana di «let things be», che lega la riflessione heideggeriana a tematiche ecologiste e ambientaliste. In quest’ultimo indirizzo di pensiero, dove il concetto heideggeriano di essere viene letto a partire da quello di “essere nel mondo”, l’affermazione relativa al “deserto della terra devastata” riguarda il destino del mondo in quanto luogo di dominio dell’uomo calcolante; la tecnica si rivela, in tal senso, come la struttura ontologica nella quale si dispiega l’imperialismo del soggetto. Secondo Heidegger tuttavia, ha fatto notare Semerari, inquietante è il fatto che l’uomo non riesca a padroneggiare tale dispiegarsi. La “terra devastata” non è più, di fatto, il luogo dell’abitare dell’uomo, bensì quello dell’articolarsi del Ge-Stell, del dispositivo di cui l’uomo stesso rappresenta un’articolazione. Alla nozione heideggeriana di physis, ha aggiunto Semerari, non corrisponde semplicemente ciò che intendiamo con “natura”, ma tutto ciò che “si genera”, si dischiude in modo spontaneo, senza sollecitazioni estranee. La physis heideggeriana si nutre di un’ambivalenza, in qualche modo rapportabile alla distinzione spinoziana tra natura naturans e natura naturata. Physis e techne appaiono dunque imparentate, in Heidegger, nel comune carattere di produzione, che consiste in un “portare alla luce”. La differenza decisiva risiede nel fatto che la tecnica, in quanto manipolazione, può andare al di là dei limiti del manifestarsi della natura. L’elemento specifico della tecnica moderna, ha fatto notare Semerari, consiste nell’intervento dell’uomo sulla natura, concepita come puro e semplice oggetto utilizzabile per le esigenze dell’uomo. Per uscire dal mondo della tecnica”, dal Ge-Stell, la via indicata da Heidegger mette in discussione l’uomo concepito come fattore di occultamento dell’essere e della physis. Carlo Sini (“Galileo, Husserl e l’immagine della natura”) ha esordito tematizzando la crisi delle scienze della natura in rapporto a quella delle scienze dello spirito. Queste ultime, secondo Husserl, entrano in crisi, in primo luogo, perché tentano di imitare un metodo che non è loro proprio; in secondo luogo perché entra in crisi il loro stesso modello, le scienze naturali. Nella valutazione husserliana, ha osservato Sini, la “rivoluzione galileiana” opera una svolta che si prepara fin dalla grecità, quando viene approntata la definizione delle idealità geometriche, sull’origine delle quali il geometra non si interroga. Il luogo di tale origine, secondo Sini, è costituito dal linguaggio: in esso, dapprima l’intersoggettivizzazione esige la spoliazione dalla soggettività individuale; in seguito, l’eternizzazione dei significati nella scrittura compie il destino dell’ideale conoscitivo della filosofia occidentale. Il rischio ìnsito in ciò, ha fatto notare Sini, consiste nell’impossibilità, da parte della scrittura, di riprodurre le operazioni di senso che hanno dato luogo ai significati. La “scrittura” geometrica idealizza i corpi estesi; da questo punto di vista Galileo, secondo Husserl, è consapevole di essere l’erede della filosofia antica e del suo progetto di scienza universale dell’ente in quanto tale. Tuttavia, per perseguire il progetto avviato dalla filosofia antica, occorre lasciar cadere la prospettiva della geometria ad essa contemporanea e parlare il linguaggio dell’esattezza: occorre, cioè, utilizzare la scrittura della matematica, la scrittura delle idealità numeriche. Galileo tuttavia, come tutta la scienza moderna, non si rende conto del luogo di origine di questa idealizzazione, ovvero della genesi della contrapposizione fra “mondo vero”, oggettivo, e mondo sensibile, soggettivo: per Galileo, il 60 mondo vero è scritto in caratteri matematici, laddove è la scrittura matematica a istituire il mondo vero. Si colloca qui, secondo Husserl, la crisi della scienza europea, incapace di mostrare, al di là della propria utilità, la legittimità delle proprie pretese di validità universale. A differenza della prospettiva heideggeriana, l’analisi di Husserl permette, secondo Sini, una riflessione sulla scienza a partire dalla scienza medesima; il suo limite, tuttavia, è quello di ridurre la molteplicità e la specificità delle singole pratiche del mondo sensibile nella dimensione omnicomprensiva del linguaggio e dell’Umwelt. Secondo Sini, occorre invece individuare l’elemento che determina il “salto nell’astrazione”, da Husserl individuato ma non analizzato, e non ritenere, come fa Husserl, “più vero” il mondo sensibile rispetto a quello costruito dall’astrazione. Infine, l’intervento di Fulvio Papi e Luca Vanzago (“Whitehead: la natura come processo”) ha mostrato la stretta connessione tra la riflessione di Alfred Whitehead e la scienza. Papi ha sottolineato che la filosofia di Whitehead consiste in un’ontologia del pensiero scientifico, che avvicina la sua concezione della natura a quella di Schelling per il fatto che entrambe non rappresentano una semplice derivazione del punto di vista filosofico dai risultati ai quali è pervenuta l’osservazione scientifica, ma intendono invece inquadrare questi ultimi in un programma filosofico che li precede. Whitehead assegna alla filosofia, nei confronti della ricerca scientifica, un ruolo normativo; egli intende emendare, come ha precisato Vanzago, il quadro concettuale della scienza, facendo parlare la natura, iuxta principia sua, contro il materialismo newtoniano, che pretende di ricondurre la realtà organica della natura alle pure astrazioni e ipostasi della geometria. Il quadro di riferimento concettuale che l’epistemologia moderna propone per i dati scientifici rappresenta, per Whitehead, un tradimento del carattere organico della realtà dell’esperienza. Per questo, ha osservato Vanzago, Whitehead entra in collisione con la teoria della relatività einsteiniana sulla questione dello spazio-tempo, una nozione che costituisce, per Whitehead, un’astrazione. Il concetto whitheadeano di esperienza, intrinsecamente relazionale, oltrepassa il quadro di riferimento dell’empirismo tradizionale e sfocia in una metafisica della natura. Il “fatto”, oggetto dell’esperienza, costituisce una totalità che soltanto in seguito si articola nei suoi “fattori”; ciascun fattore rinvia a una relazionalità. La totalità relazionale ha la caratteristica del flusso; lo sguardo “istantaneo”, fissante, è invece frutto della prospettiva scientifica. Ogni fatto è un processo; nessun individuo è effettivamente sussistente dal punto di vista sostanziale. Il mondo è costituito dalla totalità di questi eventi, e appare, come ha rilevato Vanzago, una nozione assimilabile a quella husserliana di orizzonte. F. C. CONVEGNI E SEMINARI Filosofia e vita civile a Napoli Dal 16 al 20 gennaio 1995, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Saverio Ricci ha tenuto un seminario su “FILOSOFIA E VITA CIVILE A NAPOLI NELLA SECONDA META’ DEL SETTECENTO”, con l’intento di mettere in luce il rapporto tra le concezioni filosofiche di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri e la filosofia moderna, tra la vita culturale ed intellettuale napoletana e le vicende storico-politiche ed istituzionali del Regno. Agli inizi del Settecento, ha esordito Saverio Ricci, si rinsalda la filosofia moderna a Napoli con gli apporti, da un lato, di cartesiani, lockiani, newtoniani quali Celestino Galiani, Nicola Cirillo e Bartolomeo Intieri, dall’altro con l’insegnamento di Giovambattista Vico e soprattutto di Paolo Mattia Doria. Questi ultimi condividevano il radicale rifiuto del meccanicismo astratto, il tentativo di profonda rielaborazione delle tradizioni vitalistiche del Rinascimento italiano, la ripresa di temi platonici e soprattutto l’attenzione nel porre la filosofia al centro dei problemi della storia e della società, affermando la funzione civile della filosofia stessa. Nel contesto di crescita della cultura e della filosofia napoletane nella seconda metà del Settecento emerge la figura di Antonio Genovesi (1713-1769), neoplatonico influenzato dal pensiero di Doria, amico di Galiani, che già nel 1746 manifestava un cauto newtonismo, estraneo, però, a ogni eccesso teologico e misticheggiante, e incline piuttosto a una particolare concretezza nella ricerca filosofica. Ciò gli attirerà le ire dei gesuiti, e comprometterà i suoi rapporti con il sovrano Carlo III di Borbone. Fenomeno peculiare dell’Europa settecentesca è il diffondersi della massoneria; ciò avviene anche a Napoli, già durante il viceregno austriaco (1707-1734) e troverà diffusione, successivamente, per l’opera di Raimondo di Sangro di Sansevero, che sarà perseguitato dai gesuiti; nel 1751 una bolla di Benedetto XIV ed un editto di Carlo III condannano la massoneria. Si inserisce in questo clima di scontro politico-ideologico il rogo in piazza del 1753 de L’idea di una perfetta repubblica di Paolo Mattia Doria, una delle fonti più autorevoli di Genovesi, di Filangieri e di Francesco Mario Pagano, che ne erediteranno la concezione del primato della politica e della ricerca della virtù nell’agire politico. Nella Lezione di commercio, ossia di economia civile (1765-67) Antonio Genovesi propose una nuova politica economica per lo stato napoletano, rielaborando elementi mercantilistici alla luce delle nuove dottrine fisiocratiche e liberiste. Il periodo intorno al 1750-70 è l’età d’oro della cultura e della politica nel Regno di Napoli, e coincide sostanzialmente con il ministero di Bernardo Tanucci e l’attività culturale e scientifica di Antonio Genovesi. E’ il periodo del “riformismo borbonico”, caratterizzato da una forte polemica anticuriale che porterà alla cacciata dei gesuiti (1767). Sebbene Genovesi non assuma mai una carica pubblica, vi è però una comunanza di intenti tra le riforme di Tanucci e la lezione di Genovesi; Tanucci mira ad indebolire l’aristocrazia feudale, promuove la liberalizzazione del commercio dei grani, abolisce la giurisdizione feudale, favorisce la piccola proprietà terriera, ostacola la nobiltà sia cittadina sia delle campagne, razionalizza l’amministrazione della giustizia. Ugualmente straordinario appare l’apporto dell’opera di Gaetano Filangieri (17521788) al clima culturale dell’Europa della seconda metà del Settecento. Proveniente da una famiglia nobile ma decaduta, riceve un’educazione neoplatonica, unita ad un’inclinazione anti-curiale e ad un’attenzione per i problemi della politica e del diritto. Tra il 1778 e il 1780 scrive la Scienza della legislazione (I e II volume), in cui propone la lotta al potere feudale ed ecclesiastico, alla concentrazione della ricchezza, indicando una politica di distribuzione della proprietà, di razionalizzazione del sistema dei tributi, di riforma dell’esercito, di promozione delle libertà di commercio. Nel 1783 escono il III e IV volume della Scienza in cui Filangieri propone l’abolizione della giurisdizione baronale ed una radicale riforma dell’aristocrazia come aristocrazia dei “doveri” e dei “saperi”. Il Re non è il “proprietario” dello Stato, ma ne è l’ “amministratore fiduciario” e ha bisogno del consenso a posteriori del popolo. Sotto i ripetuti attacchi dei conservatori e della Chiesa, nel 1784 l’opera viene messa all’Indice. Ma nel 1785 escono il V, il VI e il VII volume, che contengono l’analisi delle leggi dedicate all’educazione, ai costumi e all’istruzione pubblica. Dopo la morte di Filangieri (1788), esce l’VIII volume, contenente la prima parte del Libro V, dedicata alla religione. Filangieri è espressione del tentativo di costruire un “uomo nuovo”, manifestando una tendenza all’elaborazione utopica, improntata da elementi platonici. C.P. Dio oggi Il 18 febbraio 1995, nella sede dell’Istituto di Scienze Religiose “Italo Mancini” di Urbino, si è tenuto un convegno sul tema: “DOV’È DIO OGGI?”, che ha visto la partecipazione di Piergiorgio Grassi, Paolo Debenedetti, Giorgio Ripanti e Settimio Cipriani. Richiamandosi a Jonas, Paolo Debenedetti ha considerato il mutamento che l’esperienza di Auschwitz ha determinato nella coscienza ebraica: attraverso un percorso teorico che va da Dostoevskji a Lévinas emerge il passaggio dal Dio solo ascoltato dell’Esodo, che non si esperisce se non 61 attraverso l’udito, al Dio del genocidio, che costringe gli ebrei a parlare, a interrogarsi sulla sua presenza. Sulla debolezza del segnale divino, annientato dal dolore e dallo scandalo dell’Olocausto, ha focalizzato la sua attenzione anche Settimio Cipriani. Rileggendo l’endiadi Dio-amore nella modernità secondo la prospettiva giovannea e agostiniana, Cipriani ha ricompreso l’esperienza di Auschwitz nella chènosi, nell’eterna vicenda di Dio che si dà agli uomini attraverso il sacrificio del Cristo. Un amore questo che può essere anche scandalo, anche dolore, e che non si situa al di fuori del divino, anzi esorta all’amore verso l’uomo. Giorgio Ripanti ha sottolineato come siano mutate le categorie dell’interpretazione teologica dopo il genocidio, indicando come l’esigenza di decifrare la dimensione divina debba porsi in tal senso come compito primario della rivista «Hermeneutica». La rivista intende infatti approfondire la tematica nel moderno, con particolare attenzione al pensiero hegeliano, ma interrogandosi soprattutto sulle categorie del post-moderno. Oggi ci si chiede se l’amore possa essere ancora il luogo privilegiato della manifestazione del divino o sia necessario ripensare Dio attraverso il mistero, la modalità cioè che più sembra attagliarsi ai nostri tempi. M.P.R. Storia e filosofia in Hegel Dal 9 al 13 gennaio 1995 presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Giovanni Bonacina ha tenuto un seminario su: “STORIA UNIVERSALE E STORIA DELLA FILOSOFIA IN HEGEL”, ponendo a confronto le considerazioni hegeliane su ciò che da un lato differenzia e dall’altro accomuna la storia dell’universo e la storia della filosofia. Nelle Lezioni sulla filosofia della storia, ha esordito Giovanni Bonacina, Hegel osserva che nella storia della filosofia il processo avviene per accumulo di tradizioni, mentre nella storia universale l’antico e il moderno non sono continui, ma mescolati. Inoltre, gli individui storici realizzano le capacità tipiche dell’epoca in cui vivono e quindi riflettono lo Spirito del mondo, mentre i filosofi obbediscono al progetto della razionalità. Ma la differenza principale, ha continuato Bonacina, è che mentre la storia universale è scandita in tre o quattro regni, la storia della filosofia viene scandita in tre fasi (antica, medievale e moderna), che non corrispondono alle fasi della storia universale. Dopo aver elencato la serie delle differenze tra le due storie Bonacina ha affrontato il termine comune, la ragione, che muove entrambe le storie. Ciò significa che la filosofia appartiene al processo universale della storia, CONVEGNI E SEMINARI in quanto interagisce con esso, ma non lo subisce, giungendo quando il tempo che essa comprende è compiuto o è al tramonto. Hegel, ha osservato Bonacina, generalizza un modello che gli è offerto da Socrate, quale promotore della crisi dell’eticità antica. La prima crisi della storia della filosofia riguarda il tramonto delle città ioniche, da cui nasce la filosofia ionica; la seconda crisi è la decadenza della poleis, da cui nascono la filosofia socratica e platonica; la terza crisi è quella della repubblica romana, da cui nascono le filosofie stoica ed epicurea; la quarta crisi riguarda la fine dell’impero romano, da cui il neoplatonismo; la quinta è la crisi del mondo moderno, da cui nasce la filosofia moderna fino all’idealismo tedesco, figlio della rivoluzione francese. Il mondo greco è per Hegel il mondo di un’eticità libera, in cui il cittadino gode della sua appartenenza alla città; la crisi di questo mondo è fatta risalire alla guerra del Peloponneso e al dissidio tra Atene e Sparta. Il processo di crisi dei valori interni alla città, ha rilevato Bonacina, si traduce in un ripiegamento della coscienza su se stessa, che indaga sul bene e sul male, sul lecito e l’illecito. Di questo momento si fa interprete Socrate, che per Hegel è il continuatore dell’attività già intrapresa dai sofisti. Hegel parla di Socrate come dell’inventore della morale non affidata ai valori tradizionali, ma al giudizio soggettivo di chi agisce, cioè la morale interiore: la coscienza socratica è la prefigurazione del soggettivismo del cristianesimo. Sul piano politico la rivoluzione socratica è rappresentata dall’identificazione degli interessi della comunità con gli interessi dei singoli cittadini; sul piano religioso da uomini che non credono più negli dèi tradizionali. Platone è per Hegel colui che si impegna a dimostrare l’ingiustizia della condanna socratica. Il progetto politico platonico, ha sottolineato Bonacina, è infatti per Hegel un tentativo di restaurazione della Grecia antica. Aristotele è invece il filosofo che getta una luce sul passato, ma in lui la speranza di impedire il cambiamento è svanita. In queste tre figure di filosofi si sperimenta, secondo Bonacina, lo sfasamento della filosofia rispetto alla storia universale. Il mondo romano è ciò che pone per Hegel le premesse per il mondo moderno. L’impero romano esercita la sua funzione positiva sulla base di una capacità di distruzione di tutto quello che lo precede, che stimola nell’uomo una necessità di ripiegamento su se stesso, per cui Hegel parla di infelicità universale del mondo romano. Le filosofie ellenistiche, considerate da Hegel come omogenee, rappresentano invece la felicità dell’individuo mediante il ritiro dalle passioni e dal mondo. L’avvento del cristianesimo, ha sottolineato Bonacina, segna una rottura nel corso della storia della filosofia. Al neo-platonismo Hegel riconosce il merito di aver disposto gli strumenti teorici, di cui il cristianesimo si servirà per esercitare il suo dominio culturale nel Medioevo. Il retaggio che la filosofia antica lascia al mondo moderno riguarda la natura di Dio, il senso del male, la libertà dell’uomo. L’età moderna è, per Hegel, la sola epoca in possesso di una filosofia originale. Il Medioevo è invece messo tra parentesi, in accordo con la tradizione illuministica. In realtà, ha osservato Bonacina, Hegel ritiene che la grande innovazione del mondo moderno sia rappresentata dalla Riforma, che segna l’apparire della coscienza individuale. Il corrispettivo filosofico della Riforma luterana è, secondo Hegel, la filosofia cartesiana; con Cartesio si afferma il primato del pensiero che muove se stesso e che fonda il sapere. La soluzione cartesiana, ha fatto notare Bonacina, è rappresentata dalla diversa visione della soggettività rispetto agli antichi. L’opera di Cartesio viene portata avanti dall’idealismo; il principio cartesiano, infatti, è ancora pervaso dal dualismo tra Io e Mondo, tipico della filosofia della riflessione, a cui appartengono perfino Kant e Fichte, ma non Schelling. La filosofia della riflessione ha tuttavia per Hegel il valore di critica radicale delle istituzioni e della tradizione culturale e filosofica: per Hegel infatti l’Illuminismo nasce da una volontà di rottura nei confronti della tradizione, nei confronti della religione e nei confronti dello Stato. La rivoluzione francese nasce appunto per Hegel dallo spirito di indipendenza del mondo moderno, quindi dalla Riforma e dalla stessa filosofia illuministica. L’Illuminismo, nonostante segni la crisi del mondo moderno, segna nello stesso tempo il compimento del mondo moderno, compimento che naturalmente avviene in epoca hegeliana. Alle origini dell’etica Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è svolto a Napoli, dal 18 al 21 aprile 1995, un ciclo di seminari tenuti da Giovanni Stelli sul tema: “IL FONDAMENTO PERDUTO : ALLE ORIGINI DELL’ ETICA MODERNA”, con l’intento di analizzare la demolizione nell’etica di un fondamento unitario e la conseguente dissoluzione dell’etica filosofica. Punto di partenza del seminario di Giovanni Stelli è stata la distruzione della “teleologia classica” ad opera della rivoluzione scientifica, che con la scissione esserevalore, sottrae all’etica ogni base normativa: l’essere diviene un puro mondo di fatti e la soggettività, isolata e spaesata, risulta interdetta da ogni finalità superiore. Secondo Stelli, Hume è colui che procede in modo inequivoco alla costruzione di un’etica coerentemente “a-valutativa” e “a62 teleologica”; una simile impostazione approderà, sia pure tardivamente, all’ “impossibilità dell’etica” in autori quali Russel e Wittgenstein. Il paradigma “riduzionista”, che assimila l’agire umano alla dinamica dei corpi, è già attivo nell’antropologia humiana; ne consegue la neutralizzazione di ogni pratica prescrittiva in riferimento alle movenze tipiche dell’uomo. Di fatto, la “scommessa” epistemologica humiana, ha osservato Stelli, è quella di giustificare, a partire da un’etica rigorosamente “descrittiva”, il problema delle distinzioni morali; l’incommensurabilità di vero e bene costringe tuttavia lo “scienziato” ad ancorare ogni asserzione a un fondamento meramente “genetico”. Per Hume, ha sottolineato Stelli, anche nel “fatto” umano più atroce (parricidio, incesto) non ci può essere per definizione traccia di un presunto “male oggettivo”, anche se ne abbiamo sdegno. La soluzione a questo apparente paradosso è custodita, per Hume, nel “nostro cuore”: vizio e virtù altro non sono che l’ipostatizzazione dell’individuale disapprovazione e approvazione di un evento. Il possibile esito “relativistico” di tale proposizione, ha rilevato Stelli, viene scongiurato da Hume mediante la definizione di “natura umana”. Vizio e virtù rappresentano sì “percezioni mentali”, ma in quanto espressione di una comune natura; le valutazioni morali dei singoli, pertanto, non possono che coincidere, poiché coincidente è negli uomini il “corso normale” delle passioni. L’etica, dunque, continua a sussistere in quanto sopravvive, ha sottolineato Stelli, un’ “ontologia naturalistica” in grado di individuare, in base al criterio di “normalità”, le varie anomalie “di natura”. La stessa “ragione” è rimessa in gioco, per Hume, come razionalità strumentale finalizzata allo scopo; non solo: quale fonte per la formulazione di “norme ipotetiche”, la ragione elabora le “virtù artificiali”, tra cui la stessa “giustizia”. L’operazione humiana, eticamente “tranquillizzante”, ha mostrato Stelli, viene sottoposta a critica demolitrice da parte di Sade, che respinge la traduzione del “fondamento fattico” in “senso morale” come teoreticamente inconsistente: virtù e vizio non sono degli assoluti metatemporali, ma delle “contingenze storico-spaziali”. Per Sade, ha proseguito Stelli, l’etica non ha più ragion d’essere, perché l’unico criterio valoriale ammissibile è il “fatto”; di conseguenza, ogni “fatto” può essere scelto come valore, senza eccezioni. Davanti alle conseguenze devastanti della scissione verobene, Sade, ha concluso Stelli, non indietreggia, con la conseguenza di una “deantropomorfizzazione”, oltrechè della natura, dell’uomo stesso, e la risoluzione dell’antinomia fatto-valore a vantaggio del primo dei due termini. Una simile radicalità teoretica conduce, secondo Stelli, al sacrificio dell’idea stessa di uomo, ridotto ormai ad un granello di vile materia destinato all’annientamento. S.B. CONVEGNI E SEMINARI La traduzione dei testi a Port-Royal Il 3 febbraio 1995 si è svolto a Napoli, a cura del Dipartimento di Filologia Francese dell’Università di Napoli “Federico II” e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, un seminario internazionale di studi sul tema: “TEORIE E PRATICHE DELLA TRADUZIONE NELL’ AMBITO DEL MOVIMENTO PORT-ROYALISTE”. Al convegno hanno partecipato: Jean Robert Armogathe, Roger Zuber, Luigi De Nardis e Raffaele Simone, Philippe Sellier, Emmanuel Bury, Flavia Mariotti e Giovanna Malquori Fondi. Il seminario si è aperto con la relazione di Jean Robert Armogathe (“Arnauld traducteur”) che ha messo in risalto lo sviluppo del pensiero di Antoine Arnauld dalle sue prime traduzioni di Sant’Agostino, criticate da Charles Joseph III (detto Tricassinus) e dal père Vatier, fino ai suoi contributi alla traduzione delle Sacre Scritture, in cui Arnauld riscopre il buon uso dell’oscurità del testo sacro con un ricorso più preciso alla letteralità. Il problema della fedeltà al testo originale è argomento di continue polemiche e dibattiti sulle traduzioni dei solitaires di Port Royal. Su questo argomento è tornato anche Roger Zuber (“De l’application de quelques règles: Arnauld d’Andilly correcteur de Guez de Balzac et de Perrot d’Ablancaurt”), che ha messo in luce la qualità di scrittore di Robert Arnauld d’Antilly e ha sottolineato l’importanza delle sue Remarques sur la traduction française (Note sulla traduzione francese), che confermano l’interesse di d’Antilly per i problemi di eleganza e di stile e la sua preoccupazione per la fedeltà delle traduzioni al testo originario. Nella sesta Remarque, tuttavia, d’Antilly afferma il famoso “principio di compensazione”, molto discusso nel circolo portroyaliste, secondo cui il traduttore, di fronte ad espressioni del testo latino che nella trasposizione in francese sono destinate a perdere la loro originale bellezza, è autorizzato a compensare l’eliminazione di tali espressioni con qualche bellezza equivalente, che si può trovare nella lingua francese. Luigi De Nardis (“Un trattato inedito sulle metafore e i tropi di A. Le Maistre”) ha posto in luce un altro aspetto della riflessione di Port-Royal, quello più propriamente retorico-linguistico. Il breve trattato di Antoine Le Maistre sulle locuzioni figurate e le figure retoriche, inedito fino ad oggi e risalente al 1655 circa, costituisce una testimonianza importante della riflessione sulla retorica francese a Port-Royal, anche se bisognerà aspettare l’Art de parler (L’arte di parlare, 1675) di Bernard Lamy per avere un primo trattato sulla retorica da ricollegare alle riflessioni dei giansenisti e impregnato di spirito port-royaliste. Ma il trattato di Lamy appartiene già ad una fase più tarda della riflessione dei solitaires sulla retorica. Un elemento innovativo e importante del trattato di Le Maistre riguarda l’applicazione del principio della “gradazione”, secondo il quale la chiarezza occupa una posizione di primo piano, mentre l’ornamento deve essere l’ultima preoccupazione di chiunque voglia fare un buon uso della lingua. Quello che conta è, per Le Maistre, il senso ultimo del messaggio, che deve raggiungere il proprio destinatario nella maniera più completa, mentre un eccesso di artificio non fa che ostacolare l’espressione della verità. Partendo dalla considerazione che la Grammaire générale et raisonnéè (Grammatica generale e ragionata), nonostante il titolo, sia in realtà concentrata soprattutto sulla lingua francese, Raffaele Simone (“Unicità del linguaggio e varietà delle lingue in Port-Royal”) ha messo in luce il paradosso di proporre una grammatica che fosse generale e al tempo stesso basata su una sola lingua. Uno dei principi fondamentali di una tale concezione era che alla base di tutte le lingue vi sia un fondamento comune, uguale per tutti, che oggi chiameremmo “linguaggio”. Il problema di spiegare l’unicità del “linguaggio” e la contemporanea esistenza di varie lingue diverse tra loro, conduce a quello che viene definito il paradosso della varietà: le lingue non avrebbero alcun motivo reale per essere diverse; però lo sono. A questo paradosso ne è collegato un altro: il “paradosso del grammatico generale”, ossia come accedere al linguaggio attraverso una lingua sola. Tra le varie risposte al paradosso della varietà, riscontrabili nella storia della linguistica, Simone si è soffermato su quella della grammatica universale di Chomsky, il quale sostiene che nella mente umana sono innati alcuni principi potenziali di funzionamento delle lingue e sono, quindi, uguali per tutte le lingue. Ciò che differenzia le lingue è, invece, il modo in cui tali principi vengono attuati - ed è questo un elemento di arbitrarietà. Philippe Sellier (“Traduire la Bible”) ha voluto sottolineare il valore di grande testo letterario di quell’opera di traduzione della Bibbia, nell’ambito di Port-Royal, che si colloca all’incirca tra il 1656 e il 1700 e che ha dato vita alla cosiddetta Bibbia di Sacy, dal nome del suo principale artefice, che ha avuto un successo notevole fino alle soglie del 1900. Secondo Sellier la controversia sulle traduzioni bibliche, molto serrata nel XVII secolo, può essere analizzata attraverso tre tipi di considerazioni. Per quanto riguarda quali testi tradurre, Port-Royal rivendicava la propria indipendenza nei confronti della Chiesa, sfidando così le condanne ecclesiastiche. Le considerazioni possibili sull’ordine in cui sono stati tradotti i testi sacri lasciano intravedere, in esso, una sorta di specchio della cultura del tempo. Infine, 63 per quel che riguarda come tradurre i testi, è possibile fare tutta una serie di considerazioni sullo stile scelto, il lessico adottato e il livello di chiarezza, che portano al vecchio problema della fedeltà, affrontato dai traduttori di Port-Royal con la consapevolezza che, pur essendo indispensabile rimanere fedeli al testo di origine, è altresì necessario fare ogni sforzo per rendere la bellezza del testo originale in un’altra lingua, insieme alla luce particolare che da esso emana. Su problemi di natura estetica si è soffermato anche Emmanuel Bury (“Les traductions de Saint Jean Chrysostome à Port-Royal: problèmes théoriques et esthétiques”). Dopo aver ricordato l’importanza di San Crisostomo, père di Costantinopoli, spesso paragonato a Sant’Agostino, nell’ambito di Port-Royal, Bury ha analizzato l’elevata qualità dello stile oratorio di San Crisostomo e la chiarezza della dottrina, che ne hanno fatto un vero e proprio modello di eloquenza per gli stessi traduttori di Port-Royal. Al problema delle regole della traduzione è tornata anche Flavia Mariotti (“Gaspard de Tende e le Règles de la traduction”), secondo la quale de Tende, partendo dalle traduzioni del tempo, si pone come scopo la creazione di un ordine, di una costruzione coerente e razionale che renda possibile la confluenza di vero, bene e bello in un ideale rappresentato dalla buona traduzione, che rinvii ad un unico modello di trasposizione da una lingua all’altra; anche se in realtà, ha osservato Mariotti, de Tende non riesce a staccarsi definitivamente dalla sfera dei suggerimenti pratici. Nelle Règles de la traduction (Regole della traduzione) è presente una certa tendenza ed eliminare ogni equivoco, ogni elemento di disturbo alla piena comprensione del testo, a creare una coerenza concettuale e una pertinenza semantica perfette. La traduzione, per de Tende, deve essere “bella e intelligibile”; i poli entro cui si muove la traduzione perfetta sono “fedeltà” e “abbellimento”. La vera fedeltà, da questo punto di vista, non deve essere intesa come fedeltà alla lettera, che è contingente e peritura, ma al senso invariante che la precede e che è l’unico comunicabile. Le Règles di fatto riflettono il tipo di traduzione che domina in quegli anni a Port-Royal, dove le preoccupazioni estetiche sembrano avere ancora un ruolo determinante nel lavoro dei traduttori. Infine Giovanna Malquori Fondi (“Le Père Bouhours juge de Limitation de Jésus-Christ traduite par L.I. Le Maistre de Sacy”) ha fornito un’idea precisa delle argomentazioni e dei modi utilizzati nelle polemiche del tempo sulla traduzione, caratterizzando gli interessi di quanti fossero attenti non solo ai problemi della lingua e dello stile, ma anche al modo in cui la lingua veniva utilizzata per fini non soltanto legati alla semplice comunicazione. B.C. CONVEGNI E SEMINARI Luigi Pareyson 64 CONVEGNI E SEMINARI Pareyson, filosofo della libertà Organizzata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, nei giorni 6 e 7 marzo 1995, presso il Castello Lo Faro di S. Margherita Ligure (Rapallo), si è tenuta una celebrazione dell’opera e della filosofia di Luigi Pareyson. Il convegno ha visto la partecipazione di alcuni allievi e amici del filosofo torinese: Sergio Givone, Reinhard F.M. Lauth, Gianni Vattimo, Pietro Prini, Giuseppe Riconda, Xavier Tilliette, Alessandro Di Chiara, Luciano Malusa. L’essere è libertà, l’uomo è rapporto con l’essere, la libertà è illimitata. La libertà non è preceduta che dal nulla. Non c’è ontologia senza meontologia. «Il male è il non essere + la scelta». Sono queste alcune delle tematiche centrali della prima parte, “In cammino verso la libertà”, dell’opera postuma di Luigi Pareyson, Ontologia della libertà. La vis filosofica di Pareyson, trova in queste pagine di profonda ermeneutica religiosa ampia soddisfazione. Per Luigi Pareyson l’uomo è rapporto con l’essere e l’essere trova il proprio fondamento nella libertà (fondamento senza fondamento). «La libertà è illimitata o non è»; vale a dire che la peculiarità della libertà è quella di non essere preceduta che dal nulla. Nell’ambito dell’esperienza religiosa Pareyson propone un’ermeneutica del mito; solo questa può scrutare il significato di credere o non credere in Dio. Dio «è autore dei propri atti, ma anche della propria libertà»; viceversa «l’uomo è autore dei propri atti, ma non autore della propria libertà». La perentorietà dell’affermazione di Pareyson, «Dio prima di Dio», testimonia la bontà e la potenza dell’atto divino, il quale indica che «l’irruzione di Dio nella realtà è una vittoria sul nulla». Pareyson intuisce che non ci può essere nessuna ontologia senza meontologia. Dio crea l’uomo libero, ma innanzi a questa libertà si espone al «pericolo», al «rischio». Infatti, dopo aver creato l’uomo, Dio si è trovato di fronte al fallimento della sua creazione. Qui si compie il mistero dell’esistenza; qui, Dio chiede collaborazione all’uomo, il quale si trova innanzi alla scelta fra “obbedienza” e la “ribellione”, che lo porta a «sostituire a Dio la propria libertà». La scelta è momento fondamentale e ineluttabile nell’intera filosofia dell’interpretazione pareysoniana. Essa è possibilità di scegliere l’essere o il non essere, il bene o il male. «Il male è il non essere + la scelta», vale a dire che «il male è il non essere scelto». Ecco perché affermare che Dio ha optato per il bene significa dire che questa scelta è stata operata in opposizione. La possibilità del male è quindi, seppur come opzione, in Dio stesso. Pareyson ci richiama così al suo compa- gno di vita, Karl Barth, il quale chiama la “traccia” di negatività in Dio l’ “ombra di Dio”, la sua “mano sinistra”. Ma il vero e unico ridestatore del male è l’uomo. In lui, figlio della caduta, trova compimento la malvagità, così ben raccontata dall’altro fondamentale interlocutore di Pareyson, Dostoevskij. Nei personaggi del romanziere russo, il filosofo torinese trova notevoli spunti ermeneutici, dal male alla sofferenza, dall’ateismo al cristianesimo. Nell’ultima parte di “In cammino verso la libertà” (Libertà e dialettica), l’autore affronta l’ineffabile momento dell’apocatastasi, che è trionfo della libertà, annientamento del male, conferma del bene. L’apocatastasi è «conciliazione tra totalità e libertà»; si cela nel silenzio; è “contraddittoria”. Inoltre essa rappresenta una forma di panteismo divino, in quanto Dio, nella trasfigurazione dell’apocatastasi, assume su di sè oltre all’umanità anche la natura. La sofferenza, vera apertura al mistero dell’essere e unica verità e possibilità di espiazione e riscatto, è il gradino più alto verso l’apocatastasi. Nella sofferenza si trova «il capovolgimento, l’inversione di marcia, l’avvio alla positività». Un concetto che ritorna, come un monito, nella lezione di congedo di Pareyson all’Università di Torino: solo la sofferenza «contiene il senso della libertà e rivela il segreto di quella vicenda universale che coinvolge Dio, l’uomo e il mondo in una tragica storia di male e dolore, peccato ed espiazione, perdizione e salvezza». Aprendo il convegno, Sergio Givone (“Estetica, ermeneutica e pensiero tragico”) ha affrontato gli elementi di novità dell’ultimo capitolo della postuma Ontologia della Libertà. In particolare, dell’ultimo capitolo (quello dedicato all’escatologia) Givone ha analizzato due affermazioni di Pareyson: la prima sul radicale antiplatonismo del cristianesimo; la seconda sul fatto che al centro della realtà vi sia contraddizione. Da ciò Givone ha preso spunto per rileggere il percorso di Pareyson dall’estetica all’ermeneutica fino al pensiero tragico, esponendo anche, tra l’altro, le differenze e il diverso atteggiamento in rapporto a Hegel nell’ermeneutica gadameriana e nella filosofia della interpretazione di Pareyson. Gadamer, sviluppa un’ermeneutica dello spirito oggettivo (tradizione come casa dell’essere); mentre per Pareyson la tradizione è «il campo di battaglia in cui l’esistenza si trova in conflitto con il senso stesso dell’essere». Dopo aver ricordato la profonda e sincera amicizia che lo lega a Pareyson e dopo aver richiamato alla memoria gli incontri abituali al Caffè di Rapallo - «Pareyson era fiero della sua Rapallo (...); mi mostrò dove avevano abitato Husserl e Sibelius (...); il volto tradiva che egli era passato attraverso forti dolori. Lo sguardo vivace rivelava una certa angoscia di vivere. Ma appena si apriva un poco s’irradiava una 65 grande bontà, si riluceva religiosità» -, Reinhard F. M. Lauth (“Ricordo delle mie conversazioni con Pareyson”), ha ribadito le sue riserve (a differenza di Pareyson) sia su Schelling che su Heidegger («a causa del suo atteggiamento doppiamente vergognoso nei confronti del nazionalsocialismo»), mentre concorda con Pareyson nel ritenere «insostenibile un sistema chiuso come quello di Hegel». Lauth ha affermato il valore di una filosofia sistematica della libertà (Descartes), la quale «può comprendere l’intero dei principi della realtà in un sistema»; per Lauth la storia non può essere compresa solo sulla base dei miti. Richiamando l’impatto pagano ed ebraico nella visione religiosa di Pareyson, Lauth ha chiuso il suo intervento affermando che Pareyson non comprende l’amore nella sua intera portata: il sacrificio di Cristo è sacrificio d’amore; il tormento della morte e la gloria della resurrezione sono inseparabili. Gianni Vattimo (“Pareyson e l’ermeneutica contemporanea”), ha sottolineato la prematurità della scomparsa di Pareyson, evidenziando come l’attualità di Pareyson sia riscontrabile dai numerosi problemi ancora aperti della sua filosofia (il rapporto tra pensiero estetico e pensiero tragico, tra visione ermeneutica e esistenzialismo cristiano). Vattimo ha riflettuto sulla questione della drammaticità dell’atto interpretativo pareysoniano e dell’apparente mancanza di drammaticità negli altri pensatori ermeneutici (Gadamer). Infine Vattimo ha ritenuto importante richiamare l’ermeneutica al fondamentale compito di riscoprire l’ontologia dell’inesauribile e il rapporto con la tradizione religiosa. In un breve intervento, Francesco Tomatis ha ripercorso le tappe della filosofia di Pareyson, traendo spunto dall’autointerpretazione di Pareyson stesso e dalla sua Ontologia della libertà. Dopo aver ricordato gli incoraggiamenti di Pareyson «a parlare di esistenzialismo», poi richiama l’attenzione alla «essenziale componente esistenzialista» di Pareyson, Pietro Prini (“Il discorso «temerario» di Pareyson sull’abisso della libertà in Dio”) ha messo in luce le profonde divergenze tra Gadamer e il filosofo torinese, affermando che per Pareyson l’interpretazione falsa (a differenza di Gadamer) è il frutto di una distruzione. Prini si è soffermato anche a dimostrare come Plotino sia il vero “sottofondo” della filosofia pareysoniana. Infine, secondo Prini, Pareyson non ha enucleato le difficoltà del problema della libertà «come inizio e scelta». Giuseppe Riconda (“Ateismo e nichilismo nel pensiero di Pareyson”) ha esaminato in quattro punti della sua relazione la profondità del pensiero di Pareyson in rapporto al problema dell’ateismo e del nichilismo. Nella prima parte del suo intervento (Cristianesimo come problema filosofico fondamentale) Riconda ha auspicato insieme a Pareyson un «ritrova- CONVEGNI E SEMINARI mento e recupero del cristianesimo». Successivamente (Problema dell’ateismo in Kierkegaard e Feuerbach) ha mostrato come sia Kierkegaard, sia Feuerbach ci «pongono innanzi ad una alternativa inevitabile». Riconda ha poi affrontato (Problema del nichilismo in Dostoevskij) la figura di Ivan Karamazov, in cui l’apologia divina della fede passa innanzi al «crogiolo del dubbio». Nell’ultima parte del suo intervento (Il tema pascaliano della scommessa) Riconda ha mostrato come per Pareyson sia «nella figura pascaliana della scommessa, e non in quella nietzscheana della morte di Dio, la cifra per la comprensione della situazione dell’uomo contemporaneo». Ad esso la meditazione di Pareyson è «essenzialmente rivolta nel senso di condividerne i dubbi e l’angoscia nello sforzo però di convertirli in domanda che esige e sollecita un continuo approfondimento della scelta filosofico-religiosa». Con due brevi relazioni sono intervenute anche Marianna Genzabella e Teresa Longo. La prima ha interpretato il valore estremo della morte e della apocatastasi nel pensiero di Pareyson, mentre la seconda ha sottolineato la continuità tra esistenzialismo ed ermeneutica nell’iter filosofico di Pareyson. Xavier Tilliette (“Il male e l’espiazione”) ha esposto uno dei temi fondamentali dell’Ontologia della libertà: il problema del male. Secondo Tilliette «Dio ha vinto ed espulso per sempre il male con il mero fatto della propria manifestazione». Il male, ha osservato Tilliette, trova la propria forza distruttrice nell’uomo: «il male non è in quanto male in Dio. Diventa male in quanto scatenato dall’uomo». Tilliette ha analizzato anche la sofferenza, «lo scandalo peggiore», e l’espiazione come guarigione. Alessandro Di Chiara (“Pareyson e il valore tragico-soteriologico della sofferenza”) ha osservato la notevole influenza di Berdjaev nell’intera forma mentis di Pareyson (in particolare nel tema della libertà, della sofferenza, dell’escatologia), sottolineando come, nell’ambito di un’ermeneutica religiosa, il momento della croce rappresenti l’unione teandrica nell’attesa escatologica, unica apertura verso l’apocatastasi. A proposito di queste ultime considerazioni, vale la pena richiamare un passo significativo dell’Ontologia della libertà: «Si può considerare cristiano chi senza enfasi e con impassibile fortezza è capace di “sopportare” le durissime idee seguenti: l’idea che il cuore della realtà è fatto di male e di dolore; l’idea che Dio non cessa d’esser Dio se soffre e si abbassa, perché il male può esser completamente vinto solo con la cenosi di Dio, che deve dunque esser messa in conto della sua onnipotenza; l’idea che l’uomo non ha alcun diritto alla felicità né alcun permesso di lamentarsi, perché del fallimento del mondo non ha da incolpare che se stesso; l’idea che non si soffre mai abbastanza, a causa dell’economia sbilanciata dell’universo, e che perciò anche gli innocenti sono chiamati a prestare il loro contributo di sofferenza, del che non Dio ma l’uomo stesso è responsabile; l’idea che segno e misura dell’essere cristiano è la continua disponibilità a soffrire per gli altri, anzi a volerlo fare, anzi a trovarvi soddisfazione, cioè sollievo alla propria colpevolezza e infelicità; l’idea che proprio la sofferenza, e non un qualsiasi divertissement, è il rimedio contro la noia, il taedium vitae, la scontentezza, l’inquietudine, e anzi proprio il dolore può diventare sede della gioia». A.Di C. Opere di Luigi Pareyson (in volume): L’esistenzialismo di Karl Barth (Sansoni, Firenze 1939); La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers (Loffredo, Napoli 1940; nuova ed., Karl Jaspers, Marietti, Casale Monferrato 1983); Studi sull’esistenzialismo (Sansoni, Firenze 1943, 1950, rist.1971); Vita, arte, filosofia (Edizioni dell’Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, Torino 1947); Fichte (Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950; nuova ed. aumentata, Mursia, Milano 1976); Esistenza e persona (Taylor, Torino 1950, 1960, 1966; nuova ed. Il Melangolo, Genova 1985); L’estetica dell’idealismo tedesco (Edizioni di “Filosofia”, Torino 1950); Il verosimile nella Poetica di Aristotele (Tipografia “La Salute”, Torino 1950); Libertà e peccato nell’esistenzialismo (Pro Civitate Christiana, Assisi 1952); Unità della filosofia (Edizioni di «Filosofia», Torino 1952; trad. ingl., The Unity of Philosophy, in «Cross Currents», IV, I, 1953); Estetica: teoria della formatività (Edizioni di «Filosofia», Torino 1954; 2ª ed. Zanichelli, Bologna 1960; 3ª ed. Sansoni, Firenze 1974; trad. romena, Estetica. Teoria formativitâtii, Univers, Bucarest 1977); L’Estetica giovanile di Goethe (Viretto, Torino 1957); L’Estetica preclassica di Goethe (Viretto, Torino 1958); L’estetica di Paul Valery (Viretto, Torino 1959); Il concetto di abitudine , (Viretto, Torino 1959); L’estetica di Goethe e il viaggio in Italia (Viretto, Torino 1960); L’estetica di Novalis (Viretto, Torino 1961); L’estetica e i suoi problemi (Marzorati, Milano 1961); L’estetica di Schiller (Viretto, Torino 1962); La prima estetica classica di Goethe (Gheroni, Torino 1963); L’estetica di Schelling (Giappichelli, Torino 1964); L’etica di Kierkegaard nella prima fase del suo pensiero (Giappichelli, Torino 1965); Teoria dell’arte. Saggi di estetica (Marzorati, Milano 1965); I problemi dell’estetica (Marzorati, Milano 1966. Traduzione portoghese: Os Problemas da Estética, Martins Fontes, Sâo Paulo, 1984 ); Conversazioni di estetica (Mursia, Milano 1966. Traduzione spagnola: Conversaciones de estética, Visor, Madrid 1988); 66 L’etica di Pascal (Giappichelli, Torino 1966); Filosofia e ideologia (Edizioni di “Filosofia”, Torino 1967); Il pensiero etico di Dostoevskij (Giappichelli, Torino 1967); L’estetica di Kant (Mursia, Milano 1968; nuova ed. aum. 1984); L’iniziativa morale (Giappichelli, Torino 1969); Etica ed estetica in Schiller (Giappichelli, Torino 1969; nuova ed., Mursia, Milano 1983); Verità e interpretazione (Mursia, Milano 1971, 1972, 1981); Essere e libertà (Giappichelli, Torino 1970); L’etica di Kierkegaard nella “Postilla” (Giappichelli, Torino 1971); L’esperienza artistica: saggi di storia dell’estetica (Marzorati, Milano 1974); Schelling. Presentazione e antologia (Marietti, Torino 1975); Schellingiana rariora (Bottega d’Erasmo, Torino 1977); Filosofia della libertà (Il Melangolo, Genova 1989); Prospettive di filosofia contemporanea (Mursia, Milano 1993); Dostoevskij (Einaudi, Torino 1993); Ontologia della libertà (Einaudi, Torino 1994). Dipendenza e intenzionalità nella fenomenologia Nell’ambito del ciclo di seminari su “Phénoménologie, Cognition et Morphodynamique”, organizzato dal CREA e dall’ENS di Parigi sotto la direzione di Jean Petitot, Kevin Mulligan ha tenuto il 6 marzo 1995, nella Sala Cavaillès dell’Ecole Normale Supérieure di Parigi, una conferenza dal titolo: “DÉPENDANCE, PRÉDICATION ET PERCEPTION: PROBLÈMES PHÉNOMÉNOLOGIQUES”. Al centro della propria relazione Kevin Mulligan ha posto due tesi: la centralità della nozione di dipendenza nella fenomenologia e l’assenza in quest’ultima di un’effettiva teoria dell’intenzionalità. Anzitutto Mulligan ha mostrato come l’elaborazione delle Ricerche logiche di Husserl abbia risentito fortemente di quattro differenti matrici teoriche: la fenomenologia realista di Geiger, Scheler e Reinhardt; la psicologia descrittiva di Brentano; la tradizione della filosofia austriaca, che da Bolzano giunge, attraverso Zimmermann, a Brentano e Mach e si esaurisce poi in Popper, Hayek e Feyerabend; i primordi della filosofia analitica. In quest’ottica, ha osservato Mulligan, due questioni appaiono decisive per una piena comprensione dei successivi sviluppi della fenomenologia: la definizione della struttura predicativa delle proposizioni e l’analisi dell’apprensione percettiva nella VI Ricerca; il rapporto tra le due questioni prefigura la tematica della verificazione e della falsificazione, aprendo la via alla questione dell’astrazione. In generale, la trattazione della tematica CONVEGNI E SEMINARI husserliana della predicazione è viziata, secondo Mulligan, dalla diffusa incomprensione dell’assiomatica delle relazioni tra dipendenza e indipendenza, descritta nella III Ricerca, per mezzo della quale Husserl definisce un particolare tipo di relazioni interne, i cui termini possono essere tanto momenti, quanto cose. Se nelle Ricerche logiche Husserl definisce le specie come tipi ideali, di cui i momenti sono le esemplificazioni particolari, la nozione di dipendenza che lega le specie ai momenti viene qui a descrivere un rapporto di tipo fondativo. Applicando questi strumenti concettuali alla sintassi dei predicati (IV Ricerca), ha sottolineato Mulligan, Husserl individua nella nozione di dipendenza una categoria semantico-sintattica primitiva, che concorre a definire la forma logica della proposizione, individuata appunto dalla relazione di dipendenza tra i termini. Accanto a questa nozione primitiva Mulligan ne ha richiamata un’altra, che consiste nella relazione di subordinazione in cui si articola la struttura di una proposizione complessa. Oltre a queste categorie primitive, dette “normali”, altre, dette “anormali”, regolano in Husserl la strutturazione semantico-sintattica delle proposizioni. Fra queste figura la modificazione nominalizzante, che avviene nel caso della menzione di un nome in una frase, e la corrispondente “normalità” della struttura delle proposizioni complesse, di contro alle proposizioni componenti che compaiono all’interno delle prime in forma nominalizzata. Tutto ciò costituisce per Mulligan il retaggio più vivo della linguistica husserliana, che del resto ha il merito di aver marcato l’inizio di una tradizione linguistica del pensiero contemporaneo, tramite l’assunzione dell’eterogeneità tra il senso di una proposizione e gli stati di fatto che essa esprime. Mulligan ha poi proseguito descrivendo le molteplici involuzioni subite dal pensiero husserliano già immediatamente dopo le Ricerche logiche. Sottolineando come nella teoria semantica e sintattica di Husserl sia da ravvisarsi la più chiara risposta allo psicologismo, Mulligan ha fatto notare come già nella Filosofia come scienza rigorosa Husserl avesse denunciato il naturalismo delle Ricerche, dando in tal modo al proprio pensiero una direzione completamente diversa. L’errore naturalista a cui Husserl intendeva riparare derivava infatti dall’aver definito gli eventi mentali come sole possibili istanziazioni per le strutture ideal-sintattiche. Questo creava una contraddizione, dato che tali atti mentali venivano situati nel tempo oggettivo mentre, non essendo reidentificabili, non potevano trovarvisi. La maggior parte dei critici, ha osservato Mulligan, sembra viceversa ignorare che per Husserl una cosa che esiste nell’ordine temporale deve poter essere reidentificabile. Così, gli eventi mentali che istanziano le strutture sintatti- che sarebbero tali, semmai, in senso biologico, ma non certo in quanto strutture ideali che, come tali, non si trovano collocate nel tempo ordinario, ma soltanto in quello immanente. Il ripensamento su questo punto segna, secondo Mulligan, una svolta nel pensiero husserliano: del resto, proprio la questione della reidentificabilità era divenuto un punto centrale della filosofia dello spirito dell’ultimo Wittgenstein. Le riduzioni fenomenologiche introdotte da Husserl successivamente alle Ricerche conducono manifestamente, secondo Mulligan, ad un sofismo genetista, non essendo esse in alcun modo coinvolte nel processo di determinazione della verità o falsità di una determinata analisi. La loro introduzione su questo terreno realizza così pienamente quella deriva genetista e psicologista, la cui eliminazione aveva costituito il maggiore successo delle Ricerche. Tutto ciò si riflette infine, secondo Mulligan, nella questione dell’intenzionalità percettiva. Contro la grande maggioranza della critica, Mulligan ha negato che si possa trovare in alcun punto dell’opera di Husserl una compiuta teoria dell’intenzionalità, ed è dunque del tutto fantasioso parlare, per la fenomenologia, di una “teoria dell’intenzionalità”. In particolare, ha sottolineato Mulligan, non è affatto tale la teoria dei noemi, che presenta due limiti capitali. Anzitutto, essa si limita a dirci che in un’apprensione percettiva è possibile isolare un’entità, detta noema, caratterizzata da un insieme di predicati; una teoria dell’intenzionalità dev’essere invece fondata su un’analisi dei rapporti tra uno stato percettivo e l’oggetto della percezione. In secondo luogo, Husserl era finalmente giunto a sgombrare il campo dalla nozione brentaniana di oggetto intenzionale. Nelle Idee, invece, la correlazione noetico-noematica, pur senza essere chiarita a fondo, ripropone un modello relazionale strutturalmente identico a quello di Brentano: non si dà alcuna noesi senza noema, e quest’ultimo è altrettanto oscuro dei misteriosi oggetti immanenti brentaniani. L.S. Valori e cultura universitaria Su invito dell’Istituto Teologico di Chieti, il 25 febbraio 1995, presso l’Aula Magna del Seminario Pontificio Regionale di Chieti, Adriano Bausola ha tenuto una conferenza sul tema: “VALORI E CULTURA UNIVERSITARIA”. L’incontro è stato aperto dall’introduzione del Rettore, Don Marco Trivisonne, e dalla documentata presentazione di R. Corona, che hanno costituito parte integrante della positiva riuscita dell’iniziativa. 67 Aprendo il suo intervento, Adriano Bausola ha preso le mosse da una constatazione di fatto: la sostanziale e predominante autodisciplina e/o autolimitazione di scienziati e addetti alla ricerca scientifica ed il sostanziale rifiuto di qualsivoglia limite imposto dall’esterno. A ciò corrisponde, secondo Bausola, un’autolimitazione reale dei contenuti della ricerca della verità stessa, la cui positività, sebbene comunemente riconosciuta, viene normalmente identificata con la provvisorietà tipica della sua modalità empirica. Ciò motiverebbe, nei più, il rifiuto, più o meno esplicito, della metafisica in quanto non interessante per l’uomo e di ogni verità assoluta in quanto causa principale di intolleranza. La dilagante “cultura dell’indifferenza” nell’ambiente universitario nascerebbe proprio dall’incontro tra il rifiuto di ogni verità assoluta e la corrispettiva limitazione empiristica del suo contenuto, per cui indifferenza teorica ai valori e indifferenza pratica alle persone vengono a complicarsi in un comune atteggiamento scettico e disimpegnato verso i problemi degli altri. Tra un nichilismo “gnoseologico” ed uno di tipo “pratico” (dal “nulla è vero” al “tutto è permesso”) Bausola ha segnalato la presenza di un “nichilismo equilibrato” (indifferentismo), più sottile e surrettizio, tipico di chi non vuole essere nichilista e si limita ad orizzonti parziali (i valori) di senso. Confutando, poi, il detto di Hans Kung: «Tutto è assurdo, solo i singoli passi sono ragionevoli», Bausola ha concluso che «non si può non dare una risposta sull’orizzonte totale, se si vuole tematizzare il contesto particolare», pena lo scadere nell’assurdo. Non si può essere solo chi vive sforzandosi di superare continuamente il (suo ed altrui) nichilismo. Passando al secondo punto della sua relazione, Bausola ha sottolineato come, a fronte di questo “impossibile nichilismo” e della contraddittorietà intrinseca all’indifferenza come atteggiamento, stia il compito dell’uomo di cultura; compito che non consiste in un vacuo e neutrale rispetto della libertà dell’altro, formalmente considerata, ma in una ragionevole tematizzazione dei contenuti stessi delle sue scelte libere. Analogamente, ha continuato Bausola, a fronte del diffuso e incondizionato liberalismo, della “vergogna prometeica” dello homo faber dinanzi ai mezzi tecnici concepiti dalla sua stessa autoprogettazione, «si tratta di far capire che ci sono ancora valori che non dipendono dalla libera intrapresa del soggetto». Bausola ha concluso la sua prolusione indicando nell’Università un luogo paradigmatico in cui queste “evidenze etiche universali” vengano riconosciute non in astratto, ma all’interno del momento concreto ed operativo della ricerca come sede privilegiata dell’originaria e propriamente umana domanda sul senso totale (vocazione). G.F. CONVEGNI E SEMINARI Metafisica tra ontologia e antropologia Presso la sala incontri dell’ISU dell’Università degli Studi di Milano, il 16 febbraio 1995 si è svolto un dibattito dal titolo: “LA ‘QUAESTIO METAPHYSICA’ TRA ONTOLOGIA E ANTROPOLOGIA”, al quale hanno partecipato, oltre all’autore, Fulvio Papi, Mario Ruggenini, Carlo Sini. L’incontro ha avuto luogo in occasione della presentazione del volume di Flavio Cassinari, DEFINIZIONE E RAPPRESENTAZIONE. ANTROPOLOGIA E METAFISICA NELL’INTERPRETAZIONE HEIDEGGERIANA DI KANT (Prefazione di C. Sini, Guerini e Associati, Milano 1994). Introducendo il dibattito, Fulvio Papi ha fatto notare come molte delle correnti che compongono il panorama della riflessione filosofica novecentesca tentino di rispondere alla questione di una definizione del- l’essenza umana. E’ questo il caso di Heidegger, che ricerca in Kant elementi che anticipino il proprio tentativo di superamento della prospettiva antropocentrica, tipica della metafisica occidentale nel suo caratterizzarsi come pensiero rappresentativo. In questo quadro di riferimento storico e concettuale, Papi ha ricostruito l’ambito problematico in cui si colloca l’interpretazione di Flavio Cassinari: muovendosi, con Heidegger, sulla scena del finito, inteso come l’essenza stessa del filosofico, Cassinari mostra negli scritti heideggeriani dedicati a Kant l’insuperabilità del piano rappresentativo. In Heidegger la trasformazione dell’”io penso” in un soggetto finito avviene attraverso la strategia fenomenologica del far apparire, del rivelarsi di un’essenza, il Da-sein. La struttura compositiva del testo heideggeriano costituisce il tessuto argomentativo di questa strategia e la sua analisi, a parere di Papi, rappresenta la strada che Cassinari percorre per dimo- Immanuel Kant in un dipinto di Gottlieb Doeppler, 1791 68 strare come nell’ “apparire” e nel “manifestarsi” riaffiori ancora quel rapporto tra rappresentazione e idealizzazione, sul quale si fonda l’antropocentrismo del soggetto moderno. La questione antropologica, ha osservato Papi, viene recuperata da Heidegger nel tentativo di far emergere il tema della finitudine. Tuttavia, ha obiettato Papi, il finito è dato ed è costituito dalla nostra appartenenza a pratiche plurali, tutte inderogabilmente segnate dalla finitudine stessa; in tal senso il problema concettualmente rilevante appare non tanto quello del “dire la finitudine”, quanto piuttosto quello del “dire nella finitudine”. Papi si è dichiarato d’accordo con la tesi secondo la quale in Kant und das Problem der Metaphysik (Kant e il problema della metafisica, 1929) Heidegger mostra l’insuperabilità del pensiero e del linguaggio rappresentativi. Se Heidegger mirava a rintracciare in Kant il prefigurarsi della questione dell’essere, la finitezza del Dasein quale “tratto ontologico decisivo”, avrebbe dovuto cercarla, secondo Papi, non nell’ “Analitica trascendentale”, ossia sul piano della rappresentazione intuitivo-immaginativa del soggetto finito, bensì nella “Dialettica”, e dunque, all’opposto, sul versante relativo all’infinità della ratio e al principio ontologico della libertà. La mancanza in Heidegger dello “sfondo” di infinità presente nella prospettiva kantiana, non solo pratica, ma anche teoretica, è stata rilevata da Ernst Cassirer, come appunto indica anche Cassinari nella sua ricostruzione. Tuttavia, ha sostenuto Carlo Sini nel suo intervento, la meditazione heideggeriana su Kant resta pur sempre un’interpretazione che, molto più della lettura di Cassirer e dei neokantiani, continua a far problema. Il fallimento della lettura di Heidegger del testo kantiano, osserva Sini nella sua “Prefazione” allo studio di Cassinari, evidenzia alcune questioni decisive. Innanzitutto l’impossibilità di definire l’uomo, per cui, secondo Sini, «ogni domanda comunque formulata sull’ “essenza” dell’uomo, così come sull’ermeneutica e sul suo “circolo”, risulta por capo a un pensare infondato»; di qui il tentativo delle correnti ermeneutiche postheideggeriane, o presunte tali, di trovare un fondamento al proprio sapere, assumendo coloriture storiciste o sociologiche. L’esito a cui giunge Heidegger nel suo confronto con Kant chiarisce, in definitiva, l’irresolubilità «dell’obiettivo di un pensare non rappresentativo, nonché di un “ascolto” e un “abbandono” non volontaristici». Per Sini occorre innanzitutto chiedersi perché a Heidegger interessi tanto Kant; o meglio, perché mai continui ad interessarlo, anche dopo che la lettura di Dilthey ha mostrato come il soggetto kantiano resti un soggetto astratto. Di contro all’interpretazione tradizionale, che nella Critica kantiana sottolinea il problema gnoseologico, Heidegger interroga Kant intorno alla questione della metafisica e dell’antropologia. CONVEGNI E SEMINARI Martin Heidegger Ciò determina uno spostamento d’attenzione dalla logica all’estetica, dalle categorie all’immaginazione, quale facoltà intuitiva più potente. D’altra parte, ha fatto notare Sini, le categorie sono per Kant solo denominazioni delle funzioni logiche del soggetto; l’elemento qualificante dell’ambito trascendentale è prima di tutto l’iopenso (Ich denke), che «deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni». In altri termini, le categorie kantiane vanno considerate di secondaria importanza rispetto al nodo centrale dell’ “io penso”, di cui esse rappresentano, al contempo, l’articolazione e l’irrigidimento. Per Heidegger, ha sottolineato Sini, occorre spiegare il significato del fatto che l’ “io penso” accompagni le rappresentazioni - cosa che Hegel, a buon diritto, definirà vacua, intellettualistica; occorre, in altri termini, interrogarsi sull’origine ontologica di questo “accompagnare”: in questo senso l’obiezione decisiva, che Heidegger muove ai neokantiani, riguarda la necessità di far emergere un soggetto che si dà, che ex-iste. Merito principale della prospettiva heideggeriana, ha ribadito Sini, consiste nell’aver messo in questione il soggetto kantiano nel tentativo di tracciare per esso una genesi, spogliandolo del suo carattere di certezza e di centralità. In questo Heidegger ha mostrato che non solo è legittimo, ma anche doveroso chiedersi quale sia il luogo in cui si colloca il soggetto kantiano, del quale si è spesso evidenziato il carattere formale. Occorre, in altri termini, mettere in questione ciò che istituisce il soggetto incarnato di Kant, l’ “occhio pubblico”, quello sguardo sintetico che rende universalmente valide le conoscenze alle quali giunge ogni uomo dotato di ragione. Secondo Mario Ruggenini, il merito dello studio di Cassinari consiste nell’aver mostrato l’aspetto aporetico della riflessione heideggeriana su Kant, tutta incentrata intorno alla quaestio metaphysica tra ontologia e antropologia; dopo di essa, il tentativo di porre la domanda sull’uomo attraverso un’ontologia appare problematico. In Essere e tempo, ha osservato Ruggenini, Heidegger chiama in causa tutta la tradizione ontologica, che da Parmenide in poi ha misconosciuto l’essere, trattandolo come un ente. Ciò ha creato necessariamente una tensione tra il progetto di distruzione dell’ontologia tradizionale e la necessità di affrontare il problema dell’uomo ancora in termini ontologici. Anche se, ha aggiunto Ruggenini, all’opera heideggeriana non può non essere riconosciuto il merito di aver comunque tentato un’elaborazione dell’esistenzialità dell’uomo: ogni rappresentazione metafisica delle cose non può fare a meno del concetto di “essere”, ma soltanto l’uomo “è” in senso proprio. In questo, secondo Ruggenini, non si cela però un riaffermarsi dell’antropocentrismo, poiché, al di là di ogni aporia in cui può essere ricaduto il suo pensiero, nel porre la domanda sull’uomo Heidegger pone un pro69 blema autentico: il problema dell’uomo nella sua finitezza. Benché egli tenda a mistificare la questione dell’essere, resta il fatto che Heidegger è il primo a interrogarsi sul significato del presupposto ontologico di tutti i nostri discorsi. La riflessione heideggeriana, ha osservato Ruggenini, ci indica che l’essere dell’uomo è un “esistere” che è ben lontano dal potersi ridurre a puro e semplice “essere qualcosa più del nulla”, che attribuiamo agli enti. Il proprium del solo essere che esiste, l’uomo, consiste nella sua radicale finitezza, nel fatto che egli debba morire, che percorra una parabola e abbia dei “mezzi” limitati. A partire dal riconoscimento di questa situazione, che per noi oggi può avvenire solo a partire da Heidegger, si rivela illusorio il programma, ancora vivo in Kant, di chiamare in giudizio la natura extraumana, per attuarne una conoscenza totale e asservirla ai propri fini. In questo concepire il soggetto come il datore di senso di una realtà che, “in sé”, costituisce un fatto bruto risiede, ben prima di Nietzsche, la radice del nichilismo. Se è vero, come ricorda Cassinari, che nello scritto su Kant Heidegger non viene a capo dell’essenza della rappresentatività; e se pure è legittimo sostenere che il limite della lettura heideggeriana consista nell’arrestarsi alla “Dialettica”, occorre tuttavia non dimenticare, ha aggiunto Ruggenini, che il fallimento e gli errori di Heidegger nella sua lettura di Kant sono caratterizzati dallo CONVEGNI E SEMINARI sforzo di farsi interprete di Kant. Valorizzando il tema della finitezza come ciò che costitutivamente apre l’uomo al mondo, Heidegger per primo ha tentato di pensare il problema dell’essere dell’uomo al di là del paradigma fondativo della metafisica moderna, la certezza di sé del cogito cartesiano. Intervenendo nel dibattito, Flavio Cassinari ha ribadito come soprattutto nelle lezioni di Heidegger, più che nelle sue opere, la questione antropologica si riveli tema centrale del dialogo tra Heidegger e Kant. Le lezioni forniscono la chiave di lettura del tentativo heideggeriano di oltrepassamento della prospettiva antropocentrica della metafisica tradizionale. La tesi, centrale in Essere e tempo, della finitezza della conoscenza umana funge da presupposto nel progetto di “ontologia fondamentale”, che innerva la riflessione di Heidegger nel corso degli anni Venti e fonda la sua lettura di Kant, nell’intento di pervenire a una dimensione “originaria” della funzione rappresentativa. Il progetto heideggeriano di un’ “ontologia fondamentale” mostra perciò, secondo Cassinari, la sua contiguità con quello rivolto, negli anni Trenta, all’ “oltrepassamento della metafisica”. Due momenti, in particolare, della lettura heideggeriana di Kant lasciano emergere le difficoltà che Heidegger incontra nel progetto di oltrepassamento della metafisica: la scelta dei testi kantiani, in cui ad esempio non figurano parti relative alla trattazione dell’ideale trascendentale, o alcune sezioni della filosofia pratica, che pure risulterebbero congruenti con l’obiettivo perseguito; la sovrapposizione alla determinazione kantiana dell’ “oggetto in sé” della propria nozione di essere, dove la distinzione kantiana tra “fenomeno” e “oggetto in sé” viene letta come una versione della propria concezione di “differenza ontologica”. In quanto fondata sulla funzione rappresentativa, ha osservato Cassinari, la nozione di conoscenza ontologica delineata da Kant appare infatti inadeguata al ruolo che intenderebbe attribuirle Heidegger. Se Heidegger, nella sua lettura di Kant, non riesce a tener fermo alle proprie convinzioni sulla natura della funzione rappresentativa, fallendo così il proposito di oltrepassamento della prospettiva antropocentrica, ciò dipende, secondo Cassinari, dall’idea stessa di oltrepassamento e dalla sua caratterizzazione ancora antropologica. Inseguendo il progetto di un’ “ontologia fondamentale”, Heidegger va alla ricerca di una de-finizione dell’uomo e, insistendo sulla sua finitezza, lo determina come DaSein - laddove in ben altra direzione, e con esiti più fruttuosi, si muove invece proprio Kant. Ma il tentativo heideggeriano, secondo Cassinari, è destinato a risolversi in uno scacco: nel coniugarsi di finitezza e rappresentazione si ripropone, infatti, come ineliminabile la pratica definitoria nei confronti dell’essere e dell’essenza umani. L.F. Problemi di filosofia della scienza Con il titolo “CURRENT ISSUES IN THE PHILOSOPHY OF SCIENCE ” si è svolto a Firenze, nei giorni 11 e 12 marzo 1995, il II Convegno annuale organizzato dalla sede fiorentina dell’Università di Standford e dal Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza, con il patrocinio della Provincia di Firenze. Più che problemi generali della filosofia della scienza tradizionale, oggetto di discussione del Convegno sono stati i problemi filosofici delle scienze particolari, suddivisi in tre aree tematiche: fondamenti della probabilità, logica e fondamenti della matematica e fondamenti della fisica. P. Suppes, studioso tra i più importanti nell’area dei fondamenti della probabilità, si è occupato del problema di una possibile “misura” della libertà di scelta mediante la nozione di entropia, e delle possibili applicazioni al caso della libertà nella scelta di prodotti (mercato economico) e al caso della libertà nella scelta di un candidato alle elezioni (mercato politico). M. C. Galavotti ha ricondotto la posizione di Suppes alla forma di “empirismo probabilistico”, di cui egli è esponente. L’empirismo probabilistico attribuisce un ruolo centrale alla probabilità nella teoria della conoscenza e nella filosofia della scienza, e una costante attenzione all’analisi dei dati e alla sperimentazione anche nel campo delle scienze sociali. L’intervento di R. Festa ha affrontato il problema dell’analogia nell’ambito dell’approccio bayesiano alla metodologia scientifica, che fa uso di una teoria delle probabilità induttive. Alla base della prospettiva di Festa vi è la generale assunzione della concezione popperiana e dell’attuale verisimilitude theory (teoria della verosomiglianza), secondo cui l’obbiettivo cognitivo della scienza è il raggiungimento di un alto grado di verosomiglianza. D. Costantini si è occupato di due celebri articoli di Boltzmann, comparsi nel 1868 e nel 1872, nei quali vengono poste le basi della moderna meccanica statistica. In questi articoli Boltzmann, fondandosi sull’approccio statistico al moto atomico introdotto da Maxwell, ottenne risultati fondamentali sui processi di trasposrto e sul problema della tendenza all’equilibrio nella teoria cinetica dei gas. Della possibilità di un approccio “pragmatico” ai fondamenti della teoria della meccanica statistica si è occupato invece Y. Guttman. L’intervento di G. C. Ghirardi ha affrontato le implicazioni di tipo “realistico” (nei fondamenti della meccanica quantistica e nel problema della relazione tra micro e 70 macro-eventi del mondo fisico) contenute nel modello di riduzione dinamica recentemente sviluppato da Ghirardi stesso insieme a Rimini, Weber, Grassi e Pearle. Questo modello affronta l’annoso problema della misurazione quantistica, introducendo una modificazione non lineare dell’equazione di Schrödinger, mediante la quale si “impedisce” al processo di riduzione della funzione d’onda di estendersi al livello macrofisico. Anche l’intervento di J. Butterfield ha posto al centro dell’attenzione il problema della misurazione, analizzato nella sua connessione con il problema ben più antico della relazione tra mente e materia, dal momento che ogni teoria che asserisca di fornire una descrizione completa del mondo fisico deve dar conto della nostra esperienza mentale di osservatori. Nel loro intervento M. L. Dalla Chiara, R. Giuntini e G. Cattaneo hanno invece proposto una particolare formalizzazione di alcune fondamentali nozioni della teoria dei modelli empirici applicata alla fisica. In questa formalizzazione si tiene conto dei rapporti tra la generalizzazione operazionale della meccanica quantistica e un approccio di tipo costruttivistico ai fondamenti della fisica, rivolto in particolare al problema della computabilità in fisica. L’intervento di D. Mundici è stato dedicato alla storia del teorema di completezza delle logiche polivalenti di Lukasiewicz (logiche a infiniti valori). Mundici ha ripercorso l’evoluzione del problema, dalla dimostrazione di Chang in teoria dei modelli applicata ai gruppi totalmente ordinati, alla dimostrazione sintattica di Rose e Rosser, alla dimostrazione di Cignoli, che utilizza la rappresentazione degli L-gruppi abeliani liberi, e infine alla recente dimostrazione di Panti, che utilizza profondi risultati di geometria algebrica. L’intervento di I. Pitowsky è stato infine rivolto alla relazione tra il teorema di incompletezza di Goedel e la tesi di Church sull’equivalenza tra computabilità effettiva e ricorsività per le funzioni in teoria dei numeri. Riferendosi a un discusso articolo di Dummett del 1986, Pitowsky ha sostenuto che se si assume come criterio per il carattere assiomatico di una teoria l’esistenza di una procedura effettiva, in grado di determinare se una formula data è o non è un assioma della teoria, allora la tesi di Church è un presupposto essenziale del teorema di incompletezza di Goedel. Se la tesi di Church dovesse rivelarsi infondata, la portata del teorema di Goedel risulterebbe, secondo Pitowsky, notevolmente ridotta. F.L. CONVEGNI E SEMINARI Ambrogio Lorenzetti, Veduta della città sul mare, (part.) Elias e Foucault: civilizzazione e cultura Il Centro Culturale della Fondazione S. Carlo di Modena ha organizzato da gennaio ad aprile 1995 un ciclo di lezioni dal titolo: “MODELLI PER LA TEORIA E LA STORIA DELLE CULTURE . NORBERT ELIAS. MICHEL FOUCAULT”. Le tre lezioni dedicate ad Elias hanno visto la partecipazione di Simonetta Tabboni, Carlo Ossola ed Antonio Roversi; mentre le tre dedicate a Foucault sono state tenute da Mario Vegetti, Pasquale Pasquino e Axel Honneth. Le tre lezioni su Norbert Elias, raccolte sotto il titolo di “Epoche del processo di civilizzazione. Economia pulsionale, figurazione sociale e storia in Norbert Elias”, hanno inteso analizzare la genesi, a livello psicologico, della società assolutistico-curiale, attraverso la formazione di uno stabile apparato di autocostrizione individuale, che porta il singolo a reprimere la manifestazione incontrollata dei sentimenti. Questa evoluzione, che può essere esemplificata nel passaggio dalla figura del cavaliere a quella del cortigiano, costituisce per Elias la chiave per comprendere il processo di individualizzazione che accompagna lo sviluppo della civiltà occidentale. Simonetta Tabboni (“Teoria dei processi storici e sociologia di figurazione in Norbert Elias”) ha affrontato i fondamenti del metodo sociologico di Elias, secondo il quale la Modernità sorge con la monopolizzazione della violenza da parte dell’autorità; un processo di civilizzazione, questo, che può essere facilmente riscontrato nella società di corte, dove il guerriero viene educato nella rinuncia all’istintuale propensione per lo scontro fisico. Scontro e conflitto sono concetti fondamentali nel pensiero di Elias. Particolarmente importanti risultano in questo contesto i termini di figurazione e interdipendenza, con cui Elias prende posizione nei confronti della 71 cultura marxista, elaborando un’analisi della società che non ricerca contrapposizioni inconciliabili (individuo-società, natura-cultura), ma una sintesi delle dicotomie. A partire dall’Alto Medioevo, l’individuo è legato agli altri da rapporti sempre più stretti, dove il potere si configura sempre più come una relazione, quanto mai instabile, tra gli individui. La violenza fisica diventa sempre meno utile e ad essa si sostituiscono la perspicacia, la capacità di analisi. Analizzando il sorgere della società moderna, Elias viene così elaborando non solo un ideale di individuo, ma anche di studioso. Come per il cortigiano la dote fondamentale non è la forza fisica o il coraggio, ma la capacità di saper comprendere le mosse degli avversari e del re, così anche per il sociologo è più importante comprendere appieno le figurazioni sociali, nelle quali si mescolano quantità variabili di bene e di male, che cedere a banali semplificazioni. Questo può anche spiega- CONVEGNI E SEMINARI re l’iniziale silenzio di Elias nei confronti del nazismo, che pure lo costrinse ad emigrare, come anche la sua diffidenza per i filosofi accusati di voler conoscere l’uomo a prescindere dalla società. Carlo Ossola (“Norbert Elias: cerimonie tra rito e secolarizzazione”), ha affrontato più da vicino quella che viene definita la “teoria delle maniere”. Secondo Ossola, in rapporto al problema dei riti esistono due tipi di sociologia, una morfologica, che si limita a descrivere, e una tipologica, che analizza i tipi, come ad esempio il funzionario di corte. A questo secondo modello appartengono le analisi di Elias, che si era avvalso in questo del suo lavoro come psicoterapeuta e degli studi di Freud, in particolare Totem e tabù (1912-13). Nell’orda originale, secondo Elias, si sarebbe creata una tensione dialettica tra gli individui, che avrebbe portato ad introdurre elementi di disciplinamento dell’io. Questa evoluzione, che attraverso diverse tappe si è protratta lungo tutta la storia umana e prosegue tutt’oggi, non è causata da uno sviluppo biologico, ma da uno sviluppo sociale e psichico. Fondamentali in questa evoluzione sono, secondo Ossola, i termini di “coinvolgimento” e “distacco”. La civilizzazione tende da una parte a distanziare gli uomini gli uni dagli altri, creando una società degli individui, dall’altra favorisce anche l’indeterminatezza, l’uguaglianza: gli individui non provano più piacere, ma repulsione per la sofferenza dell’altro, nel quale si identificano. Legando il processo di individualizzazione con quello di autocostrizione, Elias vede in questo una speranza per un futuro pacificato. Secondo Ossola, invece, la secolarizzazione, la fine della società di corte portano ad un indebolimento dell’efficacia dei protocolli e al declino delle buone maniere. Antonio Roversi (“Processi di de-civilizzazione. Linee di ricerca nell’opera di Elias”) ha voluto sottolineare nel suo intervento come anche Elias si sia posto il problema della decivilizzazione. Nella prima parte della sua lezione Roversi ha presentato e discusso alcuni concetti della concezione di Elias, in particolare la sua sociologia delle configurazioni e i concetti di interdipendenza e squilibrio di potere. Nella seconda parte sono stati discussi gli aspetti più rilevanti della teoria della civilizzazione, in particolare attraverso l’analisi del trapasso dalla società cortese cavalleresca a quella assolutistico curiale. Infine nella terza parte è stato analizzato più da vicino il tema della decivilizzazione, che sembra aver preoccupato molto Elias negli anni Settanta e Ottanta. Contrariamente a quanto poteva trapelare dai suoi lavori precedenti, Elias rileva come nel mondo contemporaneo il processo di civilizzazione abbia una vita più difficile e come costante sia il pericolo del riaccendersi dell’insofferenza tanto all’interno quanto al di fuori dei confini di ogni singolo stato. Le tre lezioni dedicate a Michel Foucault, raccolte sotto il titolo: “Dall’epistème alle tecniche del sé. Michel Foucault su ragione e potere”, hanno cercato invece di ricostruirne il pensiero a partire dai due concetti di ragione e potere, che sembrano caratterizzare l’opera foucaultiana nelle sue diverse fasi, dai primi lavori degli anni Sessanta, incentrati sull’epistème, a quelli sulle tecniche del sé, alle lezioni al Collège de France e ai volumi sulla storia della sessualità. Mario Vegetti (“L’arte di vivere. Foucault e gli antichi”), ha analizzato l’approccio di Foucault al mondo antico attraverso una lettura degli ultimi due volumi della storia della sessualità (L’uso dei piaceri e La cura di sé). In primo luogo Vegetti ha riassunto le categorie fondanti dell’interpretazione foucaultiana della cultura: forme del potere, processi di assoggettamento/soggettivazione, dispositivi di interdetto e controllo sui discorsi e sui saperi. In base a queste categorie il mondo antico appare paradossalmente come culla della civiltà occidentale, da un lato, dall’altro come un mondo molto lontano da quello cristiano e moderno. Secondo Vegetti, il problema che Foucault si pone, analizzando il mondo antico, è sostanzialmente quello di individuare i dispositivi di potere in società nelle quali gli apparati di controllo sono leggeri o inesistenti; al contrario vi è una grande libertà di condotta, di accessi al discorso, di formazioni epistemiche prive di ordinamento. Con il termine di “signoria”, cui può essere affiancato quello greco di enkrateia, Foucault vuole indicare la padronanza di sé che rende possibile anche quella sugli altri: tutto è possibile a chi sa controllare le sue passioni. Grande importanza assumono in Foucault anche le tecnologie del sé, che si concretizzano in generi letterari molto diffusi soprattutto nel mondo romano, come le lettere ad un amico (ad esempio quelle di Seneca), il diario o l’esame di coscienza (si vedano gli scritti di Marco Aurelio). Questi testi, ha osservato Vegetti, non possono essere considerati opere antropologiche, in quanto non descrivono fedelmente l’uomo antico, che in realtà era piuttosto iracondo e immoderato, ma sono piuttosto opere di storia delle idee, e anche di etica; il modello stoico, che emerge dallo studio del mondo antico, sembra infatti generalizzabile, e viene proposto dall’ultimo Foucault come un modo di eludere, anche nel mondo moderno, la coazione del potere. Dedicata alla teoria della politica foucaultiana è stata invece la lezione di Pasquale Pasquino (“La teoria politica della guerra e della pace. Michel Foucault e la storia del pensiero politico moderno”), che ha fatto riferimento a Difendere la società, testo tratto dalla registrazione di un corso tenuto da Foucault nel 1976 su alcuni aspetti della teoria politica moderna. In particolare, Pasquino ha messo l’accento sull’originale interpretazione foucaultia72 na di Hobbes, le cui teorie vengono lette non in funzione della legittimazione del potere, ma della formazione della soggettività. Analizzando il discorso sulla sovranità nel Leviatano, Foucault dimostra di non credere all’immagine di un Hobbes teorico della guerra come principio delle relazioni interpersonali, da cui deriverebbe l’ordine dello stato. Per Hobbes ogni stato nasce da un contratto: il potere del conquistatore sul conquistato nasce da un riconoscimento da parte degli sconfitti del vincitore come loro rappresentante. Dal punto di vista della storia del pensiero politico, la riflessione di Foucault sul Leviatano, ha osservato Pasquino, mostra come la concezione hobbesiana segni il passaggio dalla teoria politica antica (dai greci a Machiavelli) a quella moderna. La prima analizzava la società secondo uno schema binario: l’ordine e il potere servono ad allontanare la minaccia di una guerra civile all’interno della società, perennemente divisa in due fazioni opposte; la seconda, al contrario, sarebbe iniziata solo con Hobbes, che secondo Foucault avrebbe per primo giustificato la sovranità con il diritto degli individui. La serie di lezioni su Foucault si è conclusa con la lezione pubblica di Axel Honneth (“L’analisi della storia in Michel Foucault. Disciplinamento del corpo e potere decentralizzato”), introdotta da Alessandro Ferrara. Honneth ha distinto tre fasi della teoria foucaultiana della società: una prima fase, che si conclude con L’ordine del discorso (1970), ha la forma di un’etnologia applicata ai modelli d’ordine linguistici e cognitivi dell’Europa moderna; una seconda analizza la giustizia criminale in Francia per mettere in rilievo i sistemi cognitivi e istituzionali della riproduzione del potere; una terza, infine, incentrata sulla storia della sessualità e sull’estetica dell’esistenza, pone l’accento sulla dimensione della soggettività umana come sfera indipendente. In particolare Honneth ha messo l’accento sui rapporti tra Foucault e lo strutturalismo: questi, infatti, farebbe implicitamente uso della capacità di comprensione sviluppata dall’etnologia strutturalista, piegandola però agli scopi di una analisi della società moderna. L’opera in cui Foucault aderisce più strettamente a una teoria strutturalista della storia e della società, ha mostrato Honneth, sembra essere Sorvegliare e punire (1975), dove la nascita della prigione viene letta non come un passo in avanti verso l’umanizzazione delle pene, ma come un raffinamento delle tecniche per «plasmare un soggetto ubbidiente» da parte di un potere decentralizzato e reso anonimo. Qui appaiono anche i limiti della impostazione foucaultiana, che analizza la società quasi esclusivamente dal punto di vista delle strategie produttive di potere, ignorando il dominio dell’azione comunicativa in quanto azione non-strategica. F.F. CALENDARIO In occasione del bicentenario dello scritto kantiano Sulla pace perpetua, si è tenuta a Kaliningrad, dal 19 al 22 settembre 1995, la Settima Conferenza Kantiana, organizzata dalla Russian Kant Society e la Kaliningrad State University. Informazioni: Prof. Dr. Vladimir Bryushinkin, Department of Philosophy, Kaliningrad State University, Universitetskaya 2, 236040 Kalingrad, Russia; tel. (0112) 431 229, fax (0112) 465813. CALENDARIO La Società filosofica della Svizzera italiana ha tenuto a Montagnola, il 22 e il 23 settembre 1995, un convegno di studio su Max Horkheimer a cento anni dalla nascita. Sono intervenuti: A. Ponsetto: “Max Horkheimer e il recupero dell’idea originaria di filosofia”; L. Cortel.la: “La teoria critica di Max Horkheimer e i percorsi della dialettica dopo Hegel”; G. Mascioni: “Max Horkheimer e il Ticino”; M. Calloni: “Patologie e diagnosi del moderno: dalla teoria critica alla filosofia sociale”; G. Schmid Noerr: “Die Emigration der Frankfurter Schule und die Krise der kritischen Theorie”; V. Pedroni: “Eclisse della ragione e ragione comunicativa”; A. Bandolfi: “Il giudizio di Max Horkheimer sulla Riforma protestante. Un contributo ad una teoria critica della modernità”; N. Emery: “Max Horkheimer e la funzione dello scetticismo”. Hanno collaborato alla realizzazione del convegno la Fondazione Max Horkheimer di Lugano, l’Istituto di etica sociale dell’Università di Zurigo e la Commissione Culturale della Collina d’Oro. Informazioni: Società filosofica della Svizzera italiana, casella postale 669, CH-6612 Ascona. a cura di Luisa Santonocito • • Come nasce, si sviluppa e infine cade la res publica? Venerdì 6 ottobre 1995, presso il Centro Culturale Polivalente di Cattolica, si è tenuto un convegno di filosofia della politica su Ascesa e declino delle repubbliche, organizzato dalla Biblioteca Comunale di Cattolica in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Venerdì 6 ottobre, V. D’Ambrosio: “Dal bene comune alla crisi della politica”; E. Berti: “Declino (reale) e ascesa (ideale) della polis greca”; M. Bovero: “La ricetta di Polibio e la profezia di Tocqueville”; sabato 7 ottobre, A. Schiesaro: “La ‘seconda repubblica’ romana”; M. Viroli: “Machiavelli e le repubbliche corrotte”; U. Cerroni: “Le repubbliche perdute”; D. Losurdo: “L’avvento della democrazia: un’analisi comparata”; M. Tarchi: “La crisi delle democrazie europee del Novecento e il tramonto dell’idea di ‘bene comune’”; A. Bolaffi: “Weimar: e poi? Elogio di una repubblica ‘senza qualità’”. Informazioni: Centro Culturale Polivalente, piazza della Repubblica 31, 47033 Cattolica (Forlì), tel. 0541 967802, fax 967803. • Fondamenti di informatica per le scienze umane è il titolo di un corso di introduzione all’elaborazione dell’informazione simbolica, rivolto a docenti, ricercatori e studenti di discipline umanistiche, tenutosi dal 9 al 13 ottobre 1995 presso l’ex monastero Santa Chiara, nella Repubblica di San Marino. Organizzato dall’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, dal Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi. Informazioni: Universitàdi San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516, fax 882519. Filosofia e Medicina nella tradizione dell’Occidente è il tema del ciclo di conferenze a cura di F. Papi, organizzato dalla Casa della Cultura di Milano nei mesi di ottobre e novembre 1995. Questo il programma degli incontri: 4 ottobre, S. Moravia: “Mente e Corpo”; 11 ottobre, M. Vegetti: “Saperi terapeutici. Il difficile rapporto tra medicina e filosofia nell’antichità”; 18 ottobre, C. Crisciani: “Guarire e curare. Immagini di terapia nel Medioevo”; 25 ottobre, G. Cosmacini: “Medicina e neuroscienze da Cartesio ai Lumi”; 8 novembre, G. Zanier: “Medicina e influenze celesti: anatomia di un mito”; 15 novembre, F. Moiso: “Medicina e Romanticismo”; 22 novembre, F. Mondella: “Medicina dell’Ottocento: scienza e sanità”; 29 novembre, L. Magnani: “Medici automatici e intel.ligenza artificiale”. Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02 795567. • Con il titolo: Il pensiero antico nella filosofia di Schelling, dall’11 al 14 ottobre 1995, si è tenuto al Palazzo delle Stel.line di Milano un convegno organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con il GoetheInstitut, l’Internationale Schelling-Gesellschaft e il Comune di Milano. Questi gli interventi: M. Baum: “Platone e la filosofia critica”; I. Strohschneider: “Modelli e contromodelli nella ricezione dell’antico dell’epoca di Goethe”; J. Jantzen: “L’interpretazione di Platone nel giovane Schelling”; J. Matsuyama: “Il pensiero platonico nella Filosofia della Natura”; F. Moiso: “L’antichità nella Filosofia dell’Arte”; C. Bickmann: “La ricerca di una forma di identità alla luce della dialettica platonica in Schelling”; S. Otto: “Il Symbolum della vera Filosofia. La filosofia nolana di Schelling nella mediazione di Jacobi”; D. Barbaric: “L’interpretazione schellinghiana di Platone secondo la filosofia razionale pura”; L. Procesi: “Il Prologo del Vangelo di Giovanni nella Filosofia della Rivelazione di Schelling”; G. Frigo: “Il ruolo della mitologia nella filosofia positiva”; M. Boenke: “Nelle reti della ragione. La filosofia razionale pura di Schelling”; G. Riconda: “Platone e l’impostazione della filosofia positiva”; W. Ehrhardt: “La fine dell’antichità nella Filosofia della Rivelazione di Schelling”. Hanno aperto e chiuso i lavori le conferenze pubbliche di X. Tilliette, “Schelling e il pensiero antico: da Pitagora a Plotino”, e di R. Bubner, “Platone nel pensiero schellinghiano”. Informazioni: Goethe-Institut di Milano, via San Paolo 10, 20121 Milano, Tel.. 02 76005571 • Scienze cognitive e filosofia: che pertinenza ha la fenomenologia? Questo l’argomento del colloquio internazionale su Actualité cognitive de la phénomènologie: les défis de la naturalisation, tenutosi dal 19 al 21 ottobre 1995 a Bordeaux, presso la Sala Conferenze del Museo d’Arte Contemporanea, a cura dei Gruppi di Ricerca “Phénoménologie et cognition” e “Pierre Duhem”. Interventi di R. Barbaras, R. Casati, J. F. Courtine, D. Follesdal, T. Van Gelder, R. Mcintyre, W. Miskiewicz, K. Mulligan, E. pacherie, B. Pachoud, L. Petit M. Petit, J. Petitot, B. Smith, D. W. Smith, J. M. Roy, J. M. Salanskis, F. Varela, Y. M. Visetti. Informazioni: Phénoménologie et Cognition, 150, rue du Chateau Paris 75014 Francia; tel. (161) 331 45389539, fax (161) 331 44323122, e-mail: @heraclite. ens. fr. • Il Centre Culturel Francais di Milano, in collaborazione con il dipartimento di Filosofia dell’Università Statale e la casa editrice Feltrinelli, ha organizzato, lunedì 16 ottobre 1995, a Milano, e mercoledì 18 ottobre 1995, a Bologna, due giornate di studio su Michel Foucault: lunedì 16, Pensare • 73 la storia, Michel Foucault: dall’archivio all’ontologia del presente, con interventi di M. Perrot: “Michel Foucault e l’Histoire des Femmes”; G. Levi: “Foucault e la storia: analogia e comparazione”; R. Castel.: “Présent et généalogie du présent: une approche non-évolutionniste du changement”; P. Redondi: “Il linguaggio dello sguardo”; C. Sini: “Verità e storia”; a conclusione si è tenuta una tavola rotonda su: “Foucault e gli storici: un incontro mancato?”, con A. Dal Lago, S. Natoli, A. Pandolfi, V. Marchetti, E. François. Mercoledì 18, Filosofia e politica: Foucault fra teoria del potere e pratica della resistenza, con interventi di F. Ewald: “Foucault er l’atualité”; V. Marchetti: “La naissance de la biopolitique”; E. François: “Sécurité, territoire, population: une nouvelle caractérisation du politique”; A. Dal Lago: “Foucault dimenticato”; ha chiuso la giornata una tavola rotonda su: “Foucault italiano?”, con M. Bertani, A. Pandolfi, G. Scalia. Informazioni: Judith Revel, Centre Culturel Francais, via Bigli 2, Milano, tel. 06/6833736; Nicolas Guilhot, 02/ 76013966. • Sabato 21 e domenica 22 ottobre 1995, presso l’Aloisianum di Gallarate si è tenuto il VI incontro di studio del Seminario permanente di Teoria critica su: Comunità, differenza, convivenza. Al seminario, realizzato in collaborazione con la rivista «Fenomenologia e società», hanno partecipato, tra gli altri: K.-O. Apel, M. Calloni, M. Kettner, R. Esposito, V. Marzocchi, F. Longato, A. Ferrara, E. Pulcini, D. Ungaro. Informazioni: Marina Calloni, via Crema 12, Milano, tel./fax 02/ 58321753. • Con il titolo: I filosofi e la genesi della coscienza culturale della “nuova Italia” (1799-1900), si è tenuto a Santa Margherita Ligure, dal 23 al 25 ottobre 1995, un seminario di studio promosso dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dall’Università degli Studi di Genova. Tre le direttive di ricerca: “Tradizione e progresso: le grandi sintesi metafisiche ed il loro influsso”; “Italia ed Europa: come la rivendicazione di una tradizione nazionale si accorda con l’idea dell’Europa”; “Natura e società: lo spirito positivo nei progetti e nella realizzazione della ‘nuova Italia’, sono intervenuti F. Tessitore, G. A. M. Tripodi, G. Cotroneo, F. Rizzo, G. Oltrini, G. Piaia, G. Bergamaschi, F. Ottonello, E. Botto, L. Mauro, C. Vasoli, S. Mastellone, I. Semino, N. De Cumis, G. Cacciatore, M. Ferrari, W. Büttemeyer, S. Poggi, A. Savorelli, G. Landucci. Informazioni: Prof. Luciano Malusa, Dipartimento di Filosofia, via Balbi 4, 16126 Genova, tel. 010/ 2099857, fax 2099864. • CALENDARIO A Lecce, dal 23 al 25 ottobre 1995, si è tenuto il sesto convegno internazionale sull’utopia dal titolo: La democrazia diretta, cioè il progetto politico dell’utopia , organizzato dal Centro interdipartimentale di ricerca sull’utopia dell’Università di Lecce. Strettamente collegato al tema del convegno del 1992 (“Il crollo del comunismo sovietico e la ripresa del progetto utopico”). Al convegno hanno partecipato: B. Vetere; G. Schiavone; P. Scoppola; A. Colombo; A. Graziani. Informazioni: Giuseppe Schiavone, via Benevento 11, Zona 167 A, 73100 Lecce, tel. 0832/391064, 406626. • Nella ricorrenza del ventennale della morte di Michele Federico Sciacca e della pubblicazione dell’opera “Il secolo XX”, il XIII Incontro del Giornale di metafisica, che si svolge a Palermo nei giorni lunedì 6 e martedì 7 novembre 1995, ha come tema: Assolutezza e storicità. Interventi di S. Nicosia, N. Incardona, A. Masullo, E. Riondato, M. Olivetti, D. Conci, Vittorio Sainati, A. Moscato, V. Mathieu, N. Grimaldi, X. Tilliette, R. Alvira, E. Moutsopoulos, F. Inciarte. Informazioni: Istituto di Filosofia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Palermo, viale delle Scienze, tel.. 091/6560228. • sperimentazione”; B. Morcavallo: “Cartesio e Hume sugli animali”; M. Isnardi Parente: “Sviluppi storici della controversia con spunto da testi classici”; T. Pitch: “I diritti animali”; G. Santese: “Plutarco sugli animali”. Intervengono inoltre: L. Canavacci: “Immaginazione e specismo”; P. Carrano: “Letteratura e animali”; P. Donatel.li: “Sulla definizione di essere umano e di animale”; L. L. Vallauri: “Domande sulla distinzione tra anima vegetativa, sensitiva, intel.lettiva nella Psycologia metaphysica di P. Siwek S.J.”. Informazioni: Laura Canavacci, Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, tel. 06 49917289 - fax 49917306. sabato 9 dicembre: “Grégoire et la théologie du verbe”; “Le concile de 381 et le problème du Saint-Esprit”. Informazioni: Centre d’etudes du Saulchoir, 43 bis rue de la glacière, 75013, Parigi, tel. (1) 44 08 71 97, fax (1) 43 31 07 56. • Hegelismo francese è il tema del convegno che si tiene sabato 18 e domenica 19 novembre 1995 presso l’Istituto filosofico Aloisianum di Gallarate, organizzato dal Seminario Permanente di Filosofia Contemporanea e dal Centre Culturel Français di Milano. Questo il programma: sabato 18 novembre, J. Revel: “L’Hegelismo francese: storia di una reazione”; A. Zanini: “Il Marx (Hegel) di Hyppolite”; F. Cassinari: “Tra fenomenologia e dialettica: Hyppolite, Heidegger et la Fenomenologia dello spirito”; L. Franco: “Kojève e Husserl”; M. Piccinini: “Kojève e Strauss”; M. Guareschi: “Kojève: una fenomenologia del diritto fra tempo e concetto”; L. Lanzillo: “Considerazioni sulla fine della storia”. Domenica 19 novembre: V. Descombes: “Retour sur l’hégèlianisme français”. Informazioni: Centre Culturel Français, via Bigli 2, 20121 Milano, tel. 02/76013966, fax 02/76013669. • Bioetica, informazione, metodologia sono alcuni degli argomenti trattati nel ciclo seminariale Chirone Incontri, organizzato dalla Sezione di Comunicazione Scientifica dell’Accademia Nazionale di Medicina. Informazioni: Informazioni: Stefania Ledda, Accademia Nazionale di Medicina, Forum per la Formazione Biomedica, piazza della Vittoria 15/1, 16121 Genova, tel. 010/5458611, fax 010/541761. • • Thought and Ontology è il titolo Dall’8 novembre 1995 al 21 febbraio 1996, presso la Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor (Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele), Evandro Agazzi terrà un corso di filosofia della scienza su Natura e Forme della Conoscenza Scientifica. Tra gli argomenti che verranno affrontati: “La concezione fenomenista della scienza fisica”; “La nozione di oggettività scientifica come intersoggettività”; “La portata conoscitiva e il significato realista della scienza”; “La scienza medica: in che senso la medicina è una scienza”; “La cosiddetta ‘nuova filosofia della scienza’: limitazioni dovute all’esclusivismo linguistico in cui essa permane”. Informazioni: Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, Segreteria Generale per la Didattica, Palazzo Dibit, via Olgettina 58, 20123 Milano, tel. 02/26433022, fax 02/26433012. • della conferenza internazionale che si svolge a Genova (Torre di Francia, via De Marini 6) dall’8 all’11 novembre 1995, a cura del Centro Studi per la Filosofia Contemporanea del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I lavori si aprono mercoledì 8 novembre con il saluto di C. Wrubl e la presentazione di E. Agazzi: “Thought and Ontology”, seguita dall’intervento di M. Santambrogio: “Truthmaking”. Proseguono, giovedì 9 novembre, con gli interventi di P. Leonardi: “On Content”; M. Sainsbury: “Fregean Indexicals”; E. Picardi: “Is Language a Natural Object?”; D. Marconi: “Semantic Normativity”. Venerdì 10, M. Marsonet: “Conceptual Schemes”; J. Hornsby: “Thinkables”; S. Sturgeon: “Reason and Reality”; M. Martin: “The Reality of Appearances”. Si concludono sabato 11 novembre con una tavola rotonda a cui partecipano, tra gli altri, E. Agazzi, M. Martin, C. Penco, M. Santambrogio, A. Savile. Informazioni: C.N.R. Centro Studi sulla Filosofia Contemporanea, via Lomellini 8/8, I-16124 Genova, tel. 010/293511, fax 010/2471184. Il Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena organizza, da ottobre 1995 a marzo 1996, un ciclo di lezioni su Natura e identità. Investimenti etici ed espressivi sul mondo naturale. Questo il calendario dei prossimi incontri: venerdì 17 novembre, E. Greblo: “Le condizioni del valore. Natura e questione etica nella modernità”; venerdì 24 novembre, K. Eder: “Quale identità attraverso la natura? Oltre il progetto dell’ecologismo”; mercoledì 13 dicembre, F. Farinelli: “L’immagine del mondo”; venerdì 19 gennaio 1996, U. Fabietti: “La costruzione dell’etnia”; venerdì 9 febbraio, l. Sciolla: “Cura e mistica di sé”; venerdì 8 marzo, R. Bodei: “Natura e identità”. Inoltre, per il ciclo di lezioni Le vie dei santi, organizzate dal centro di Studi Religiosi della Fondazione, segnaliamo: giovedì 7 dicembre 1995, R. Di Donato: “Venerare l’uomo. Dal culto degli eroi al culto dei martiri”; lunedì 29 gennaio 1996, A. Vauchez: “L’evento miracoloso”; giovedì 15 febbraio, E. Genre: “Le virtù della vita quotidiana”. Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena, tel.. 059 222315, fax 222585. • • Il dibattito sui diritti degli animali non umani è al centro del convegno Etica e animali: un confronto tra diversi approcci, organizzato il 7 novembre 1995, a Villa Mirafiori di Roma, dal Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Queste le relazioni: G. Alpa: “I diritti animali”; L. Battaglia: “Diritti animali e progresso sociale”; P. Cavalieri: “Estendere il contratto sociale”; M. T. Marcialis: “Diritti animali nel Sei-Settecento”; A. Oliverio: “Approcci alla Sabato 4 novembre 1995 e sabato 9 dicembre 1995, presso la biblioteca del Centro di Studi del Saulchoir (Parigi), Jean Bernardi tiene due seminari su: Saint Grégoire le Théologien: Filosofia & Informatica è il titolo del primo incontro italiano sulle applicazioni informatiche e multimediali nelle discipline filosofiche, che si tiene all’Università di Roma «La Sapienza» giovedì 23 e venerdì 24 novembre 1995. Questo il calendario: giovedì 23 novembre, per la sessione “Strumenti telematici”, intervengono F. Proietti: un intel.lectuel contemplatif dans l’action. Questo il programma delle relazioni: sabato 4 novembre: “Une époque chamière”; “Une existence paradoxale”; “Un homme de parole et de plume”; “L’oeuvre positive”; 74 “La rete Internet e gli strumenti NIR (networked information retrieval)”; L. Floridi: “Il pensiero attaccato a un filo: strumenti e risorse Internet per la filosofia”; A. Camana: “Un Gopher napoletano: il progetto per l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”; per la sessione su “La didattica elettronica”, intervengono L. Rossetti: “Fare filosofia al computer: ipertesti e altri possibili standards. Presentazione del software didattico per l’Eutifrone di Platone”; P. Carelli: “Socrate ovvero una provocazione a pensare: un manuale interattivo di storia della filosofia”; R. Parascandolo: “La diffusione della filosofia con altri media”; R. Bodei, G. Fornero, F. Valentini: “Presentazione del software didattico «Viaggio tra i filosofi», realizzato da Paravia, Rai Videosapere, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”. Venerdì 24 novembre, per la sessione “I testi elettronici”, intervengono D. Buzzetti: “L’insegnamento della logica a Bologna nel secolo XIV: critica e analisi dei testi. Presentazione della banca dati dei manoscritti di logica in uso a Bologna nel Trecento”; M. Fattori: “Aspetti quantitativi del lessico filosofico del ‘600 e del ‘700"; R. Busa: “Fare filosofia sul computer, fare filosofia con il computer”; E. Picchi: “Relazione sul Philosopher’s Index”; per la sessione su “Banche dati e gestione delle informazioni”, intervengono D. Barbieri: “Encyclomedia. Relazione sulla guida multimediale alla storia della civiltà europea: Il Seicento”; W. Di Palma: “Museo della matematica di Roma: sperimentazione e idee per un ipermedia”; R. Ruschi: “Attualità filosofica: una ricerca impossibile? L’edizione elettronica di «Informazione Filosofica»”. Informazioni: Carla Guetti, segreteria S.F.I., via Lucrino 18, 00199 Roma, tel. e fax 06/8604360. • Monoteismo e conflitto è il titolo del convegno internazionale di studi che si tiene a Napoli, dal 13 al 15 dicembre 1995, presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa. Tra gli altri, interventi di R. Garaudy, R. Barkai, F. Cardini, E. Ferri, G. Filoramo, V. Vitiello, S. Quinzio, G. Levi. Il convegno presenta una mostra di pittura e un’esposizione di circa 1200 volumi, di cui 150 testi antichi e rari. Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, via Suor Orsola 10, Napoli, tel.. 081/412908, fax 081/421363. • La Casa Zoiosa di Milano organizza un ciclo di incontri su Filosofia e Scienza. Tra gli interventi: lunedì 6 novembre 1995, L. Sichirollo: “La morale e la politica”; 9 novembre, A. Burgio: “Verità, teoria e fatti”. Vi partecipano, inoltre, F. Moiso, E. Bellone, S. Natoli, G. Galli, F. Della Peruta, L. Genapini, F. Denozza, G. Celli. Informazioni: La Casa Zoiosa, Corso di Porta Nuova 34, 20121 Milano, tel.. 02/6551813, fax 6551448. • CALENDARIO Friedrich Engels nel centenario della morte Presso l’Università di Wuppertal, dal 9 al 12 ottobre 1995, si è tenuto un Simposio internazionale su Engels, articolato nelle seguenti tematiche: “Epistemologie, Dialektik, historischer Materialismus, Natur”; “Okonomie, Plitik und Theorie der Geschichte”; “Der Revolutionär Friedrich Engels: 1848, Erste Internationale und danach, Zweite Internationale”. Contributi, tra gli altri, di: G. Achcar, T. Bergmann, J. Bischoff, H. Feldner, M. Kebler, S. E. Liedman, G. Mayer, R. Poulin, R. Wahsner, M. Sliwa. Informazioni: Theodor Bergmann, Im Asemwald 26, 6, 215 70 599 Stuttgart. • Promosso dal Centro nazionale per la ricerca scientifica e dall’Università di Parigi-X Nanterre, in collaborazione con il Laboratorio per le ricerche filosofiche sulla logica e sul comportamento, l’Instituto di ricerche marxiste, la Fondazione Jean Jaurès, si è svolto a Parigi, dal 17 al 20 ottobre 1995, un colloquio internazionale su:Friedrich Engels savant et révololutionnaire, con interventi di E. Concheiro, C. Kanelopoulos, T. Bergmann, C. Mainfroy, J. Texier, E. Traverso, J. Robelin , J. Massardo, G. Labica, , A. Tosel , G. Caire, H. Mahler. Informazioni: Mireille Delbraccio, Ura 1394 C. H. S. D. , 7 rue Guy Môquet B. P. 8 94801 Villejuif Cedex, tel. (1) 49 58 36 59 - fax (1) 49 58 36 65. A Madrid, presso la Fondazione di Ricerche Marxiste, il 25, 26 e 27 ottobre 1995 si è tenuto un convegno dal titolo: Engels y el marxismo, con interventi di J. Trias, P. Ribas, S. Castillo, A. Santucci, G. Liguori, R. Finelli, F. Buey, D. Losurdo, G. Labica. Informazioni: Fondazione di Ricerche Marxiste, Madrid, tel. 420 13 88, fax 420 20 04. • • Organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’I.S.U., la Fondazione Feltrinelli e il Goethe-Institut di Milano, si tiene a Milano, dal 16 al 18 novembre 1995, un convegno internazionale di studi dal titolo: Friedrich Engels (1820-1895) nel primo centenario. Ipotesi per un bilancio critico. Per la sessione “Filosofia, Scien- ze , Natura”, giovedì 16 novembre introduce al convegno M. Cingoli e S. Timpanaro, intervengono S. Tagliagambe, V. Schürmann, E. Fiorani, F. Mondella, P. Bellinazzi, A. Zanardo, L. Angelini, F. Moiso, G. Micheli, A. Guerrazzo, F. Minazzi, M. Quaranta, F. Vidoni, V. Morfino. Per la sessione “Storia, Economia, Politica”, venerdì 17 novembre intervengono M. Vanzulli, F. Tomasoni, J. M. Vincent, A. Burgio, G. Libretti, F. Della Peruta, E. Ronchetti, L. Frasconi, G. Prestipino, F. Fergnani, G. Baratta, D. Losurdo, G. M. Bravo, D. Bidussa, P. Favilli, D. Berger, A. Catone, P. Foraboschi, M. Zanantoni, R. Hecker, M. Turchetto; sabato 18 intervengono R. Zani, M. Gervasoni, C. Lucchini, R. Veneziano. Informazioni: prof. Mario Cingoli, Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono 7, tel. 02/5463592. • Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Palazzo Serra di Cassano via Monte di Dio 14, Napoli 6-10 novembre 1995 Franco Ferrarotti Memoria e identità Il ricordo come momento fondamentale nella costituzione del soggetto Memoria e contesto. Le dimensioni sociali della memoria - Tempo passato e tempo vissuto - Memoria collettiva e coscienza storica. Il concetto di nazione - Problemi e prospettive della società multi-etnica e multiculturale. 16 novembre 1995 - 15 febbraio 1996 Incontri di aggiornamento per la scuola a cura di Antonio Gargano Il pensiero italiano del Rinascimento Leonardo da Vinci - Niccolò Machiavelli - Francesco Guicciardini - Bernardino Telesio - Giordano Bruno - Tommaso Campanella. conocimiento - El statuto giuridico de los ignorantes: de los rùsticos a las mujeres - Derecho y costumbre: la ignorancia del Leviatan 28-29 novembre 1995 André Jacob La question du temps humain In collaborazione con il Dipartimento di filosofia dell’Università di Napoli “Federico II”. 20-23 novembre 1995 John Freccero La poetica del tempo 13-17 novembre 1995 Giuseppe Cacciatore Filosofia “civile” e filosofia pratica nell’Italia moderna Introduzione generale: la tradizione “civile” della filosofia italiana - Vico e la filosofia pratica - Dal vichismo al positivismo: la filosofia, la politica, la storia - Croce: etica, vita, politica Il profilo etico-politico dello storicismo critico italiano. nella Divina Commedia Grammatica e teologia nella tradizione agostiniana - Il tempo della scrittura morta: Inferno X - Visibile parlare: Purgatorio X - Tempo e liturgia: Paradiso X. Miguel de Unamuno e il sentimento tragico della vita Unamuno e la filosofia come meditatio mortis - Il sentimento tragico della vita - Il chisciottismo di Unamuno Unamuno e i protestanti liberali Unamuno e l’esistenzialismo. 11-15 dicembre 1995 Aldo Trione Il caos e la forma Poetica e trasposizione simbolica Simbolo, immagine, destino - Poesia e coscienza estetica - La nascita della forma - Forma e temporalità. 4-6 dicembre 1995 Giovanni De Crescenzo 27 novembre - 1 dicembre 1995 Hans-Georg Gadamer La bioetica e l’odierno dibattito epistemologico 12-15 dicembre 1995 Giuseppe Mazzotta Che cos’è la bioetica - La bioetica e la nuova concezione della scienza e della prassi interdisciplinare - Le questioni fondamentali della bioetica e l’odierna riflessione morale. Il gioco del mondo nel Rinascimento L’atomismo antico e moderno Democrito - Aristotel.e - Galilei - La fisica quantistica. 13-17 novembre 1995 Armando Savignano menti di filosofia del diritto - Hegel, Lezioni di filosofia della storia - Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844 - Marx-Engels, Manifesto del Partito Comunista. 5 dicembre 1995 - 23 aprile 1996 Incontri di aggiornamento per la scuola a cura di Antonio Gargano 27 novembre - 1 dicembre 1995 Antonio Serrano Gonzàles La filosofia classica tedesca Kant, Critica della ragion pura - Kant, Critica della ragion pratica - Kant, Critica del Giudizio - Fichte, Dottrina della scienza e Missione dell’uomo - Hegel, Fenomenologia dello spirito - Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche - Hegel, Linea- La ignorancia del derecho El Derecho en los textos: scientia iuris y scientia ignorantiae - Las gentes si textos: salvajes, indios y otros animales - Perceptiones de la ignorantia iuris: la ley como objeto de 75 Poliziano e la crisi del neoplatonismo - potere e gioco: Machiavelli, Erasmo, Ariosto - Mondi possibili: Campanella, Galileo e Bellarmino - L’artificio barocco: Bernini, Alberti e Bruno. 18-21 dicembre 1995 Domenico Jervolino La genesi della comunità in Patocka Patocha nel movimento fenomenologico - Il tema del mondo naturale e la prima filosofia del linguaggio Spazio, interpellazione, comunità Comunità e storia: “platonismo negativo” ed etica della resistenza. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Un Socrate...redivivo, in versione elettronica DIALOGA CON SOCRATE SULLA BASE DELL ’EU- (Armando Editore, Roma 1995) si potrebbe definire senza enfasi - se ci riferiamo al pubblico italiano ed al settore filosofico - un “evento editoriale”. Il prodotto (una ricreazione molto libera di un analogo programma chiamato “Dialog 1”, elaborato da un’équipe nord-americana dell’area di Seattle; cfr., «Informazione filosofica», n. 15), collaudato a lungo, è opera di Livio Rossetti, docente di filosofia antica all’Università di Perugia, che ha saputo mobilitare intorno al suo progetto-pilota un’ampia gamma di energie intellettuali: dall’Università in cui insegna al Centro di calcolo elettronico della stessa Università all’IRRSAE dell’Umbria. TIFRONE PLATONICO Dialoga con Socrate sulla base dell’Eutifrone platonico è un giuoco che libera energie intellettuali, una simulazione in cui l’interlocutore si mette nei panni di Eutifrone, un libro in cui il lettore è costretto a scrivere la sua parte, a prendere posizione varie decine di volte: una sorta di iniziazione alla ricerca filosofica che ha come scopo gli studenti (soprattutto della scuola media superiore), ma che potrebbe benissimo avere come utente anche un pubblico adulto. Qui Socrate (il Socrate dell’Eutifrone) non distribuisce la classica “filastrocca di opinioni” di hegeliana memoria, ma pone un “problema” e sollecita l’interlocutore - catapultato nella temperie culturale del 399 a. C. ad Atene - a risolverlo, aiutandolo ad effettuare “operazioni” di analisi e di sintesi, a connettere proposizioni, a ricavare proposizioni da altre, a cogliere nessi necessari, facendo addirittura ricorso ai rudimenti della logica formale. L’autore di quest’opera, Livio Rossetti, specialista di Socrate, dimostra una grande fedeltà all’Eutifrone di Platone: stesso tema, stessi passaggi, stesso ruolo di Socrate, stessa atmosfera. Cambia solo il ruolo di Eutifrone: l’utente, posto nei panni di Eutifrone, può scegliere di seguirlo o no, lasciarsi trasportare dalla logica di Socrate, o anche provocare lo stesso Socrate. L’unità narrativa, ovviamente, è smontata; i passaggi logici sono liberati dal contesto letterario e vengono messi in evidenza, focalizzati, in alcuni casi perfino “formalizzati”, facendo uso delle classiche variabili P e Q. Viene esplicitata la contraddizione in cui si cade quando si traggono certe conclusioni da premesse date. L’interlocutore, cioè, è messo nelle condizioni di costruire lui stesso lo sviluppo del discorso, di vagliare con attenzione ogni passaggio, di diventare co-protagonista del dialogo. Ci troviamo, in altre parole, davanti ad un Platone che da una parte è fedele al Platone storico e dall’altra se ne discosta per comprenderlo meglio, per penetrare più in profondità nel suo pensiero. All’utente è consentita la possibilità di confrontare direttamente i due testi, accedendo direttamente (mediante una icona a forma di pagina scritta) alla traduzione, dello stesso Rossetti, dell’Eutifrone e quindi di cogliere lo specifico dell’originale rispetto alla simulazione. L’iniziazione alla ricerca filosofica viene in tal modo effettuata non in astratto, non al di fuori del tempo, ma con un’immersione profonda in quella metodologia della ricercatipo che è incarnata storicamente dai dialoghi” di Platone. La novità radicale è che Platone, grazie all’informatica, viene...«scongelato» - come definisce l’operazione lo stesso Rossetti: il dialogo platonico non è più un prodotto “congelato” del passato; e neanche meccanismo “congelante” di condizionamento dell’interlocutore, per cui Socrate non può che avere ragione. L’interlocutore entra nel dialogo e svolge il suo ruolo, sfidando, se vuole, lo stesso Socrate. Naturalmente, questi fa di tutto per portare l’interlocutore dalla sua parte limitandosi, però, a condurre l’utente a scoprire coerenze e incoerenze, deduzioni corrette e scorrette, contraddizioni: opportunità, osserva Rossetti, che gli insegnanti devono valorizzare, stimolando negli studenti un più alto grado di riflessione e provocandoli a «risalire da quel che si vede a quel che “non si vede”». Se all’inizio del dialogo vi sono troppi “è vero!” scontati, nel cuore e nella fase 76 finale, al contrario, l’interlocutore può provare l’impressione di essere psicologicamente pressato da distinzioni che appaiono a prima vista troppo sottili, di restare paralizzato, non sapendo come tirare una conseguenza coerente da una serie di premesse, come digitare i termini “giusti” o la proposizione esatta. Si tratta, tuttavia, di momenti che vengono a lungo preparati da una serie graduale di passaggi; inoltre, il dialogo vuole essere un’iniziazione al rigore del ragionare filosofico, non un’evasione tecnologica: la precisione richiesta nel digitare proposizioni “giuste” non risponde solo a esigenze del programma, che non tollera che un numero contenuto di variabili, ma anche all’esigenza che l’utente impari ad “estrarre” la proposizione nuova da quelle date. Il ricorso alla “formalizzazione” potrebbe, infine, disturbare un utente non allenato ad usare simboli in un dialogo discorsivo, anche se abbiamo a che fare con un ricorso molto leggero ed in più accompagnato da esemplificazioni chiare ed efficaci. Quest’opera di Rossetti e di David Lanari, che ha innovato in modo significativo il software statunitense di Dialog1, facendo del programma un vero e proprio gioiello dal punto di vista “grafico”, potrebbe aprire una nuova era nella scuola superiore (il prezzo, tra l’altro, è appetibilissimo: il volumetto Invito a dialogare con Socrate via computer, a cui è abbinato il dischetto, costa 16.000 lire; la Guida per l’insegnante 6.000 lire; il corposo saggio su Eutifrone 20.000 lire). Di prossima pubblicazione, poi, è il saggio, a cura dello stesso Rossetti, dal titolo: Socrate nel computer, che presenterà, tra l’altro, le esperienze in corso. È auspicabile che Dialoga con Socrate vada anche oltre i confini della scuola: non presuppone conoscenze filosofiche, né di informatica; non presuppone neanche la preventiva lettura dell’Eutifrone di Platone. È un fecondo strumento utile per tutti coloro che vogliono cominciare (o ricominciare) a pensare in proprio, a interrogarsi, a scavare in profondità; per tutti coloro che intendono provare a liberarsi dai condizionamenti, soprattutto da quei potentissimi condizionamenti rappresentati dai mass-media. P.C. DIDATTICA Interventi, proposte, ricerche È apparso il primo numero (aprile 1995) del «BOLLETTINO DEL C.R.I.F. - QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE DEL CENTRO DI RICERCA PER L’INSEGNAMENTO FILOSOFICO», la cui finalità principale consiste nel diffondere nelle scuole il programma della “Philosophy for children”, elaborato da Matthew Lipman e dai suoi collaboratori all’Università di Montclair nel New Jersey (cfr., «Informazione filosofica», n. 22/23). Nell’articolo di apertura Francesco Valentino fa il punto sul significato della conversazione nella “filosofia per bambini”. L’uso della conversazione o del dialogo (presi qui come sinonimi, pur senza ignorare i tratti semantici diversi) si inserisce in una strategia didattica di apprendimento della filosofia che ne vuole consentire l’ingresso nella scuola inferiore. Alla base della riflessione di Matthew Lipmann, l’ “ideatore” della “filosofia per bambini”, vi è del resto «una concezione del fare filosofico come attività dialogica, conversazione democratica dell’umanità», che respinge una visione irrigidita della filosofia come «campo di sistemi intellettuali totalizzanti, costruiti l’uno sull’altro». La conversazione filosofica in classe, osserva Valentino, si qualifica per essere conversazione “problematica” (la filosofia, infatti, «è una vasta articolazione della problematicità»), “paritaria” (la conversazione filosofica deve essere «una relazione simmetrica, i cui partecipanti sono pari tra loro e reciprocamente rispettosi»), “autocorrettiva” (non deve isterilirsi in contrasti insanabili fra posizioni preconcette). Nel prosieguo dell’articolo Valentino illustralavalenzaeducativa, nellescuole inferiori, della conversazione filosofica, che favorisce il superamento dei limiti di non pertinenza tematica e di personalizzazione, che contraddistinguono gli interventi dei bambini o dei ragazzi nelle situazioni di dialogo. Nel «Bollettino del C.R.I.F.» sono inoltre riassunti i racconti (sette in tutto) che scandiscono il curriculum della “Philosophy for Children” in rapporto ad una precisa fascia di età e alla classe scolastica corrispondente: Elfie (classi I-II elementare), Kio e Gus (classi III-IV elementare), Pixie (classi IV-V elementare), Harry Stottlemeier’s Discovery (classi I-II-III media; tradotto in italiano col titolo: M. Lipmann, Il prisma dei perché, Armando, Roma 1992), Lisa (biennio della scuola secondaria superiore), Suki (biennio e classi del triennio superiore), Mark (biennio e classi del triennio). Un articolo di Antonio Cosentino fa il punto intorno ad alcuni problemi di metodo nell’applicazione di programmi della filosofia per bambini, mettendo in guardia da una interpretazione eccessivamente rigida e vincolante degli obiettivi proposti. Sono inoltre elencati alcuni suggerimenti di P. C. Guin per aiutare la classe a trasformarsi in una “comunità di ricerca”. Il «Bollettino del C.R.I.F.» contiene inoltre una panoramica sulle attività dei gruppi di ricerca e dei corsi di aggiornamento in Italia, collegati ai progetti della “Philosophy for Children”, accompagnata da una bibliografia. Viene dato anche un elenco delle scuole (per l’esattezza 24) nelle quali una o più classi hanno sperimentato (o sperimentano) il programma della “Philosophy for Children” a partire dall’anno scolastico 1993-94. La quota associativa al C.R.I.F. è di £. 20.000 e comprende l’abbonamento al «Bollettino». Si può versare sul c/c postale n° 13469879 intestato a: CRIF - via S. Francesco, 46 87022 Cetraro (CS). Sul n. 26 di «Sensate esperienze» (aprile 1995) appare un articolo di Maria Cristina Mirabello, FILOSOFIA IN UNA III LICEO SCIENTIFICO PNI, che contiene alcune nuove proposte e soprattutto un’ampia documentazione di materiale didattico per impostare la programmazione annuale di Filosofia nelle classi del triennio liceale. Nello stesso numero di «Sensate esperienze» è pubblicata una recensione di P. Palmeri del volume di Biancardi, Bolognini, Deiana, Marchetti, LA FILOSOFIA INSEGNATA (Pagus Edizioni, Treviso 1994; cfr. «Informazione filosofica», n. 21). A prescindere dal carattere criptico della sigla finale che compare nel titolo dell’articolo (presumibilmente si tratta del Piano Nazionale di Informatica) e da altre soluzioni espressive non del tutto trasparenti ai “non addetti ai lavori”, Maria Cristina Mirabello propone nel suo intervento una serie di formulari e di schemi - in parte già esistenti, in parte approntati per l’occasione - da utilizzare nel primo mese di scuola e funzionali ai seguenti scopi: «dare una possibilità di esplicitazione alle motivazione degli alunni rispetto alla disciplina...; far esercitare gli alunni su un materiale che consente loro di misurare le proprie capacità di concentrazione e che in qualche modo sia vicino ai loro interessi scientifici...; dare agli alunni il senso che solo una sistemazione rigorosa dei loro sforzi... può condurre il processo di apprendimento ad un esito positivo; individuare le potenzialità di correzione degli alunni...; fornire uno schema articolato per punti su cui discutere con tutta la classe e propedeutico al programma del terzo anno». L’esperienza avviata nel primo mese e proseguita attraverso il lavoro di programmazione del primo quadrimestre ha evidenziato l’evoluzione degli alunni da un atteggiamento di iniziale scetticismo ad una acquisizione della filosofia come “utile”, “interessante”, “coinvolgente”, così come è emerso da un questionario di autovalutazione di fine quadrimestre. Per quanto riguarda la recensione del volume di Biancardi, Bolognini, Deiana, Marchetti, La filosofia insegnata, P. Palmeri sottolinea in particolare la ricchezza di proposte praticabili suggerite dagli autori del volume, mettendo in luce come «innumerevoli siano le sollecitazioni che se ne possono trarre: sollecita77 zioni a fare, a innovare, a sperimentare, ma dopo aver pensato, riflettuto, discusso»; tutto questo in una prospettiva per cui «finalità primaria dello studio della filosofia nella scuola secondaria superiore debba essere quella di concorrere alla ricostruzione della tradizione culturale europea». La Sezione Lombarda della Società Filosofica Italiana propone una serie di incontri e conferenze sul tema I LINGUAGGI DELLA FILOSOFIA, che intendono offrire un contributo serio e rigoroso per chi voglia insegnare filosofia attraverso le opere degli autori. Il programma che viene presentato propone altresì una guida a chi intende avviare una sperimentazione secondo i Programmi elaborati dalla “Commissione Brocca”. Agli incontri, che si terranno presso l’Università degli Studi di Milano (via Festa del Perdono, 7), presso l’Aula Crociera Alta del Dipartimento di Filosofia, parteciperanno: E. Berti, A. Ghisalberti, F. Mignini, E. Franzini. L’iniziativa vuole corrispondere anzitutto alla finalità di ancorare l’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie superiori alla lettura diretta delle opere filosofiche, per salvaguardare così la storicità del pensiero nel suo sviluppo, la specificità del linguaggio filosofico, il senso dell’unità dell’opera filosofica, la fondatezza degli incroci interdisciplinari. Essa intende inoltre evidenziare le possibili correlazioni tra aspetti dell’analisi critica delle opere e le funzioni critico-educative della loro trasmissione ai giovani. Ogni conferenza in cui si articola questa iniziativa sarà seguita da una comunicazione: un docente di liceo evidenzierà le valenze critico-formative nella lettura dell’opera proposta. Gli incontri si articoleranno secondo il seguente calendario: 30 novembre 1995, ore 16.30: E. Berti, “Le regole dell’inganno: le Confutazioni sofistiche di Aristotele”, a cui farà seguito una comunicazione di A. Franco Repellini; 25 gennaio 1996, ore 16.30: A. Ghisalberti, “Interiorità, comunicazione e linguaggio in Agostino” (che prenderà in esame il De magistro di Agostino, di cui è apparsa una recente edizione dal titolo: Il Maestro e la Parola, Rusconi, Milano 1995), a cui farà seguito una comunicazione di P. Pirzio; 28 marzo 1996, ore 16.30: F. Mignini, “La geometria del linguaggio in Spinoza” (che prenderà in esame l’Ethica more geometrico demonstrata di Spinoza), a cui farà seguito una comunicazione di R. Lazzari; 2 maggio 1996, ore 16.30: E. Franzini, “Il linguaggio dell’automa in Bergson” (che prenderà in esame Il riso di Bergson), a cui farà seguito una comunicazione di F. Mignini. Il corso è gratuito, ma ai partecipanti viene richiesta l’iscrizione alla Sezione Lombarda della SFI. Il corso ha il riconoscimento ministeriale. (Informazioni: tel. 02/ 39214905.) R.L. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Vol. LXXII, n. 1, gennaio-marzo 1995 Giuffré Editore, Milano Delitto e peccato nel giusnaturalismo di Samuel Pufendorf, di V. Fiorillo: l’articolo intende individuare se Pufendorf, parlando della pena, concettualizzi anche la categoria del delitto come rigorosamente autonoma rispetto a quella di peccato; lo scopo è quello di contribuire alla storia del diritto penale in modo del tutto indipendente da qualsiasi riferimento all’ambito della teologia. L’ordinamento giuridico come sistema di diritti soggettivi. Franz Von Zeiller, di M. La Torre: analisi del codice civile austriaco, entrato in vigore nel 1812 ed opera del Von Zeiller, che mostra una concezione del diritto non giuspositivistica, ma ancora giusnaturalistica. El concepto de obligacion en la ultima iusfilosofia española, di B. Rivaya Garcia. Il diritto tra misconoscimento e disconoscimento, di P. Savarese: un’analisi speculativa del diritto alla luce del rapporto tra singolo e intersoggettività. RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA Anno L, n. 1, 1995 Franco Angeli, Milano Dignità e finitezza dell’uomo: alcune riflessioni sul ‘De immortalitate animae’ di Pietro Pomponazzi, di T. Suarez-Nani: la formula della tradizione ermetica: “magnum miraculum est homo”, rappresenta una costante di tutta la filosofia del Rinascimento. L’articolo vuole in particolare mettere in luce la presenza del concetto dell’uomo microcosmo nel testo di Pomponazzi in relazione alla problematica della dignità dell’uomo e del rapporto tra filosofia e religione. Chimica e mental science in Inghilterra: l’esempio di James Mill, di S. Bucchi: la teoria dell’ associazione delle idee nella filosofia inglese del secolo scorso proposta da Mill fu paragonata fin da allora ad una composizione chimica, per cui le operazioni della mente assomiglierebbero alle composizioni nei corpi fisici degli elementi chimici. Questa analogia tra filosofia e chimica trova conferma nelle scelte dello stesso filosofo, per cui la chimica fu fonte di analogie soprattutto da un punto di vista metodologico. Mario Dal Pra e l’esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano, di E. Rambaldi. Riflessioni sulla distinzione rules/principles nell’opera di Ronald Dworkin, di A. Schiavello. Criteri e metodo per una nuova raccolta delle testimonianze sugli “agrapha platonica”, di M. Isnardi Parente. I conflitti normativi e l’etica del discorso, di E. Diciotti: la questione dei conflitti morali e l’etica del discorso elaborata da Apel e Habermas. Una nuova storia della filosofia medievale, di F. Bottin: analisi del secondo volume (La filosofia medievale) della nuova Storia della filosofia, curata da Pietro Rossi e Carlo A. Viano (Laterza, Bari-Roma 1995). Interpretazione: pluralità e fedeltà, di P. Valenza: un rapporto/sintesi dei contenuti emersi nel seminario sul tema: “Interpretazione. Pluralità e fedeltà” (Roma, 20-22 maggio 1994). Il problema della “diffinitio” nel razionalismo scolastico e le prime critiche dell’umanesimo giuridico, di M. Manzin. Immagini, parole e cose nella formazione dell’uomo. Nota sulla critica di Port Royal a Comenio, di M. Ferrari: la critica di Port Royal alla didattica di Comenio mette in luce la questione di una nuova lingua, chiara e trasparente, in grado di condurre l’uomo verso la luce della verità. Giuseppe Rensi interprete di Spinoza, di A. Montano. 78 L’oggetto della conoscenza scientifica secondo Rodolfo il Bretone, di P. Rossi: l’articolo vuole delineare la dottrina di Rodolfo il Bretone riguardo l’oggetto della conoscenza scientifica analizzata dal filosofo attraverso i commenti all’opera di Aristotele. Questiones super analytica posteriora, di R. Brito. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXVI, n. 2, agosto 1995 Il Mulino, Bologna Devozioni vichiane, di P. Rossi: una riflessione sul ruolo di Vico nella storia della filosofia a partire dal dibattito dell’ultimo decennio. La teoria bolzaniana dello spazio e del tempo, di P. Bucci: l’articolazione interna della teoria dello spazio e del tempo di Bolzano sui tre piani, ontologico, lektologico-semantico, gnoseologico. Il neocriticismo tedesco e la teoria della relatività, di M. Ferrari: la stagione dell’interpretazione neokantiana della teoria della relatività speciale di Einstein si apre con Natorp nel 1910 e Hönigswald nel 1912, contro i quali prese autorevole posizione Schlick, che chiarì le difficoltà in cui cadeva la filosofia kantiana con i suoi presupposti newtoniani alla luce della teoria della relatività. Dopo la prima guerra mondiale vi fu una ripresa degli studi, al centro dei quali vi era l’analisi di Cassirer volta a chiarire quali fossero gli strumenti concettuali usati da Einstein nella sua costruzione teorica, mostrando anche come la teoria della relatività rappresenti, più che una rottura con la fisica classica, la sua più compiuta realizzazione; interessante anche l’avvicinamento di Cassirer alla epistemologia di Duhem, dall’esclusione delle possibilità dell’experimentum crucis alla concezione della fisica come RASSEGNA DELLE RIVISTE concettualizzazione “simbolica” di “fatti” in termini matematici. Einstein, l’argomento di EPR e le variabili nascoste: un problema da riconsiderare?, di F. Laudisa. L’addomesticamento del caso, di L. Cataldi Madonna: recensione di I. Hacking: Il caso domato (Il Saggiatore, Milano 1994). Ronald Dworkin e il dominio della vita, di E. Soetje. VERIFICHE Anno XXIV, n. 1-2, Trento IL PENSIERO Anno XXXIV, n. 1, 1995 Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Sull’inizio e la fine della storia: discussione tra M. Cacciari, B. Forte, V. Vitiello. La negazione del tempo in Nietzsche, di F. Tomatis: dalla teoria dell’essere come caos in-finito nasce la dottrina del tempo come eterno ritorno. Criticità e/o fondazione filosofica? Dalla critica della ragione strumentale (Horkheimer e Adorno) alla giustificazione della razionalità comunicativa (Habermas, Apel e oltre), di V. Marzocchi: il confronto di Habermas con la prima teoria critica francofortese. Hegel e il “liberalismo”: un dibattito aperto di T. Amato: il dibattito, italiano e non, intorno al problema dell’accordo tra il pensiero politico hegeliano e la tradizione liberale, soprattutto alla luce delle lezioni di Filosofia del diritto. Heidegger e il marxismo, di A. Bertin: benché Heidegger non abbia mai realmente affrontato un confronto con Marx ed il marxismo, tuttavia l’elaborazione della sua filosofia politica e della teoria della tecnica risentono dell’influenza marxista. Due tipi di storia universale: i casi di E. A. Freeman e Max Weber, di A. Momigliano. Sul concetto matematico dell’infinito e del continuo nella Fisica di Aristotele, di A. Moretto: la trattazione aristotelica dell’infinito e del continuo ha rilevanza anche relativamente alla filosofia della matematica, in quanto chiarisce il confronto tra i diversi punti di vista sull’infinito e sul continuo. Fondamentale appare la lezione delle discussioni accademiche sulle grandezze geometriche ed in particolare delle elaborazioni di Eudosso di Cnido. Marx, la filosofia della storia e la giustizia, di V. Vitiello: analisi di due recenti studi sulla necessità di rileggere Marx alla luce del presente: Spettri di Marx, di J. Derrida, e Il sogno filosofico della storia, di F. Papi. Sidgwick e la filosofia morale di Kant, di L. Franco. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ La tesi dell’impotenza dello spirito e il problema del dualismo nell’ultimo Scheler, di G. Cusinato: l’analisi del tema scheleriano dell’Ohnmacht. Lo stile di Wittgenstein, di G. P. Terravecchia: attraverso l’analisi del modo di scrivere del filosofo, ad esempio la ripetitività e le molte domande, l’articolo cerca di comprendere il metodo e l’approccio del filosofare di Wittgenstein. Inoltre viene proposta una nuova interpretazione sul significato complessivo del Tractatus nel quale è possibile osservare compiutamente lo stile del filosofo. Vedere con gli occhi dell’anima: la funzione dell’ala nella Palinodia di Socrate, di A. Fussi. Deduzione dialettica e fede nella fondazione kantiana della morale, di G. Tomasi: recensione di S. Landucci: Sull’etica di Kant (Guerini e Associati, Milano 1994). prese di posizione della critica sociologica tedesca su Freud, viene analizzata l’interpretazione di Weber dapprima nel contesto del marxismo occidentale, dalle cui tesi Habermas sembra discostarsi, poi in rapporto all’incontro tra Weber e Habermas. Sulla filosofia della storia di Fichte. Risposta ad un recensore, di G. V. Di Tommaso. Anno XVII, n.2, 1994 Rosemberg & Sellier, Torino La costituzione dello Stato nazionale e il principio di autodeterminazione dei popoli, di F. Avanzini: dalle radici storiche e ideologiche del principio di autodeterminazione dei popoli ad una riflessione sullo stato dell’Europa contemporanea. Carisma e Stato. La teologia politica di Carl Schmitt, di A. Bertin. Cittadinanza universale: dopo la nazione, di L. Bonante: la crescita del concetto di cittadinanza in rapporto a quello di nazione come processo di democratizzazione dell’ultimo scorcio di secolo. Aristotele e la teoria delle crisi politiche, di F. Ingravalle: il pensiero politico ateniese del IV secolo, tematizzato in realtà fin dai tempi dei poeti arcaici, ha come tema la trasformazione degli ordinamenti politici. La posizione di Platone e l’analisi della crisi degli ordinamenti politici di Aristotele. FILOSOFIA Anno XLV, n. 3, settembre-dicembre 1994 Mursia, Milano Il rapporto tra i concetti di possibile ed esistente nel quadro della teoria leibniziana dei mondi possibili, di G. Auletta: l’articolo esamina il rapporto, nel Leibniz maturo, tra i concetti di mondo possibile e mondo esistente, prescindendo dalla loro origine scotistica e allo scopo di distinguere le coppie di concetti contingenza-necessità e esistenza-possibilità. Kierkegaard: la seduzione, l’interiorità, l’ironia, di G. Gallino: la seduzione e la musica, la sofferenza ed il paradosso, l’ironia e l’umorismo. Il sogno, la fanciullezza e l’arte nel pensiero di Giovanni Gentile, di V. Stella: il problema dell’educazione estetica in Gentile. Oltre l’interpretazione: ermeneutica e nichilismo, di F. D’Agostini: recensione di G. Vattimo: Oltre l’interpretazione (Bari, Laterza 1994). Le forme diffratte di Serres. Prolegomeni ad una filosofia della storia, di A. Delcò: la “tragedia” come unica fonte di unità sia politica, sia logica nel pensiero di Serres. IRIDE Henry Corbin e l’ontologia del mundus imaginalis, di M. Falcioni. Che cosa significa teoria critica?, di P. Costa: significato dell’operare e scopo della teoria critica. L’arte, l’opera, l’origine. M. Blanchot, di S. Zampieri: il legame tra il filosofo francese ed il pensiero di Heidegger. Un’ “illuminante incoerenza”: Jurgen Habermas legge Max Weber, di E. Donaggio: dopo aver esaminato le più recenti 79 Anno VIII, n. 14, aprile 1995 Il Mulino, Bologna Vengono pubblicati i materiali relativi ad alcuni interventi al V Convegno Internazionale di Locarno (8-10 ottobre 1992) dal titolo: “Luoghi della memoria e dell’oblio”: RASSEGNA DELLE RIVISTE Il delirio della memoria e la memoria come delirio, di A. Ballerini; La percezione è il “bordo d’attacco” della memoria?, di D. C. Dennett; “Debbo io ricordare?” L’arte e la negazione della memoria, di H. Fisch; Forgiare e dimenticare: i doveri dell’oblio, di D. Löwenthal; Ricordo ed oblio. La Germania dopo la sconfitta nelle due guerre, di E. Nolte; Per una ontologia del ricordare, di F. Papi; Il velo e il fiume. Riflessioni sulle metafore dell’oblio, di F. Rigotti; La scienza e la dimenticanza, di P. Rossi; Sulla nostalgia. La memoria tormentata, di J. Starobinski; Due corsi della vita: la memoria e l’oblio, di R. Wollheim. La questione ecologica e nuove identità collettive, di K. Eder. E’ possibile decidere argomentativamante il linguaggio in cui argomentiamo? La svolta linguistica di K. O. Apel, di V. Marzocchi: vengono qui presentati i passaggi essenziali e gli esiti della riflessione sul linguaggio proposta da Apel, sottolineandone in particolare il rapporto con Kant, Heidegger, Peirce, Wittgenstein e Searle. La causalità, di W. C. Salmon: la questione della causalità posta da Hume e la tesi che la natura della causalità sia di ordine fisico. Derrida e la rivendicazione dello spirito del marxismo, di M. Iofrida: l’ “inattualità” della scelta di Derrida in Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuova Internazionale. Una lettura possibile. A proposito de “I boschi narrativi” di Umberto Eco, di M. Brini Savorelli. lizza, da un punto di vista storico, lo sviluppo delle interpretazioni relative alla concezione tomista dell’essere, che dalla convinzione di una perfetta uguaglianza con la concezione aristotelica della sostanza arriva a individuarne una provenienza neoplatonica. Da un punto di vista speculativo, questo passaggio è giustificato da una diversa individuazione del carattere fondamentale del concetto di essere in S. Tommaso: non più una differenziazione intrinseca dell’essere, ma la sua sostanziale unità ed identità. Leibniz’ principle of contradiction is not what Aristotle called “the most cartain of all principles”, di C. J. Mc Cadden: la diversa trattazione di Leibniz, rispetto ad Aristotele, del principio di contraddizione. Filosofia ed esperienza religiosa nel pensiero di Luigi Pareyson, di A. Ales Bello. L’approccio fenomenologico al vissuto psicotico, di A. Ales Bello: il rapporto tra fenomenologia e prassi psicoterapeutica. Una lettura metafisica del ‘De fide rerum quae non videntur’ di S. Agostino, di C. Pandolfi: l’articolo propone di leggere l’insieme delle considerazioni agostiniane sulla fede alla luce della nozione di tempo passato come «quanto noi non abbiamo più presente». La pulchritudo di Dionigi Areopagita nel commento di Tommaso d’Aquino, di M. Germinario. La vita come totalità, di A. M. Pezzella: l’attenzione per i problemi pedagogici in E. Stein. Ponty concorda con Sartre circa la questione del rapporto tra le concrete individualità storiche, dall’altro, per superare la scissione tra io e gli altri, si richiama proprio al monismo heideggeriano del reale, che implica il superamento della scissione tra io e mondo. L’esistenzialismo francese e la sua autocritica. Merleau-Ponty e Sartre, di P. della Vigna: caratteristica della riflessione politica dell’esistenzialismo francese nel secondo dopoguerra è di coniugare la praxis con l’ontologia; se in Sartre l’istanza principale è quella di una lotta per la liberazione della coscienza infelice dalla propria alienazione, in Merleau-Ponty il senso della dimensione politica si ritrova nell’applicazione dei processi conoscitivi alla prassi politica. Il confronto con il marxismo di Lukács. Linguaggio e verità. Il chiasma: il sentire della carne, di T. Villani: il concetto di chiasma e il rapporto che esso implica tra linguaggio e verità all’interno della tematica del corpo e della carnalità. Ateo per malinteso. La religione secondo M. Merleau-Ponty, di G. L. Brena: sulla concezione della religione in MerleauPonty, anche intesa come descrizione fenomenologica dell’esperienza religiosa, ed il progressivo abbandono di queste problematiche alla luce dell’avvicinamento al marxismo, anch’esso poi abbandonato. La questione dell’ateismo di Merleau-Ponty. Immaginazione e libertà: Jean-Paul Sartre, di U. Fadini e G. Pascucci: la teoria dell’immaginazione in Sartre. Linguaggio comune e descrizione fenomenologica, di L. Ponticelli. Croce e il superuomo. Una variante nell’edizione della ‘Filosofia della pratica’ del 1923, di S. Cingari. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ La maieutica dell’essere coscienti, di L. Ponticelli. Anno XVII, n. 3, 1994 Rosenberg & Sellier, Torino AQUINAS Anno XXXVIII, n. 1, gennaio-aprile 1995 Pont. Univ. Lateranense, Roma Cassirer e il simbolo, di P. Pellecchia: il simbolo è lo strumento che consente a Cassirer di comprendere al tempo stesso sia l’universalità, sia le peculiarità specifiche delle varie forme della vita culturale. Domanda di senso e ragione ermeneutica, di D. Iannotta: una riflessione di tipo filosofico intorno alla problematica della nuova evangelizzazione, del suo linguaggio e del suo metodo. La “dedución metafísica” del ente natural, di S. F. Burillo. Gli studi sull’ontologia tomista: status quaestionis, di G. Ventimiglia: l’articolo ana- Da Malebranche a Maine de Biran, di M. Merleau Ponty: viene qui tradotta, a cura di Alessia Graziano, l’ottava lezione di un corso tenuto dal filosofo francese nell’anno accademico 1947-48. Il corso trattava il tema anima-corpo ed in questa lezione le figure di Malebranche e Maine de Biran, analizzati in una prospettiva fenomenologica, sembrano costituire i fondamenti storici di una “via francese” alla fenomenologia. Tra Heidegger e Sartre: l’ontologia del tempo-mondo in Maurice Merleau-Ponty, di F. Cassinari: analizzando le critiche di Sartre a Heidegger, e di Merleau-Ponty a Sartre, come pure il recupero di Heidegger da parte di Merleau-Ponty, l’articolo colloca l’ontologia di quest’ultimo tra Sartre ed Heidegger. Se infatti da un lato Merleau80 TEORIA Anno XV, n. 1, 1995 ETS, Pisa La sezione “saggi” della rivista è dedicata a “Problemi del pensiero francese contemporaneo”, in cui viene presa in considerazione, oltre a quella di Derrida, anche la posizione di Badiou e Lacoue-Labarthe, importanti esponenti della filosofia francese post-heideggeriana. La questione dell’essere oggi, di A. Badiou: Heidegger ha mostrato come la storia della metafisica occidentale sia caratterizzata da un controllo dell’essere da parte dell’Uno; Badiou si propone allora di sottrarre l’essere dal potere di controllo dell’Uno attraverso il pensiero di un moltepli- RASSEGNA DELLE RIVISTE ce puro, senza la sottomissione all’Uno. Questa ontologia del molteplice richiede anche di sottrarsi al potere della definizione e proporsi come pensiero assiomatico; ma una tale ontologia non può essere che quella matematica. Viene infine brevemente delineato il confine con il pensiero di Deleuze. Il coraggio della poesia, di P. LacoueLabarthe: la riflessione di Heidegger sulla poesia di Hölderlin e la prospettiva teologico-politica. Heidegger tra evento e figura, di G. Scibilia: considerazioni sugli interventi precedenti. Husserl sull’intersoggettività e la fenomenologia, di M. Bianchin: la progressiva genesi del concetto di intersoggettività in Husserl e le interpretazioni che sistematicamente e direttamente si riferiscono ai testi husserliani. Note sull’argomento ontologico nell’età moderna, di S. Di Bella: recensione di: E. Scribano, L’esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant (Laterza, Roma-Bari 1994). Teoremi di Gödel e meccanicismo, di C. Marletti: osservazioni sulla tesi di Lucas, che si serve del teorema di Gödel per confutare il meccanicismo nella filosofia della mente. Ermeneutica come atto di scrittura: colloquio di P. Marrati-Guénoun con J. Derrida intorno ad alcuni concetti come ermeneutica filosofica, “secolarizzazione”, esistenza, decostruzione come gesto di affermazione. nell’educazione umana; concetti che peraltro sono tipici della tradizione del Timeo presente nella Scuola di Chartres. Leibniz, el cristianismo europeo y la ‘Teodicea’, di A. A. Rodrigo: l’elaborazione della teodicea leibniziana sulla base della monadologia ha trasformato questa teoria in una antropodicea. Reflexión y principio de la lógica en Hegel, di J. Ezquerra Gómez: con l’aiuto della concezione kantiana del nulla come ens rationis, l’articolo mostra la struttura riflessiva del principio della logica hegeliana. La lógica de la identidad en G. Frege, di J. Sánchez Sánchez: l’articolo intende mostrare come il concetto di identità in Frege resti limitato più alla tesi dell’identità relativa che all’analisi referenzialista, basata sulla tesi classica dell’identità assoluta. Comparando qué? La “endeblez metodológica” de la ética según W. V. Quine y sus críticos, di F. J. Rodríguez Alcázar. La delimitación de la pragmática con respecto a la sociolingüística, di J. M. De Cózar Escalante: il dominio della linguistica pragmatica rispetto al dominio della sociolinguistica. “Mundo administrado” o “Colonización del mondo de la vida”. La depotenciación de la teoría crítica de la sociedad en Habermas, di V. Gómez Ibáñez. INFORMAZIONE IL VERRI (n. 1-2, gennaio-giugno 1995, Mucchi Editore, Milano) si apre con un breve scritto di Fausto Curi, dedicato a Luciano Anceschi. AESTHETICA (n. 44, Centro Internaziona- le Studi di Estetica, Palermo) è dedicata alla memoria di Rosario Assunto ed alle tematiche fondamentali della sua filosofia: il paesaggio. il rapporto con l’antico, il giardino, Goethe. TEMPO PRESENTE (n. 172, aprile 1995, Roma) presenta articoli di P. E. Fornaciari (Pico della Mirandola tra cristianesimo ed ebraismo), G. Pellegrini (Kafka lettore di Kierkegaard. Analisi di una interpretazione), V. Esposito (Benedetto Croce e la bella Angelina). PROSPETTIVA PERSONA (Anno IV, n. 12, aprile-giugno 1995, Demian edizioni) presenta un intervento di A. Lorenzon: L’opera di Paul Ricoeur e la realtà latinoamericana. ESPIRITU (Vol. XLIV, n. 111, giugno 1995, Barcellona) presenta i seguenti articoli: El problema de la constitución epistémica de la antropología, di M. E. Sacchi; Critica de la noción de ser ideal en las Investigaciones lógicas de Husserl, di V. Valarde Mayol; Francisco Suárez: teólogo y filósofo del humanismo renacentista (II), di S. F. Burillo; Ser hombre significa ser con los demás, di E. Forment. JACQUES E I SUOI QUADERNI (n. 25, FILOSOFICA È ANCHE ON-LINE DAIMON n. 10, gennaio-giugno 1995 Università di Murcia, Murcia Unamuno traductor de Th. Carlyle, di L. Robles: i tempi impiegati e le influenze subite da Unamuno nella traduzione della Storia della rivoluzione francese di Carlyle. El Comentario a la Eneida de Bernardo Silvestre, di F. Tauste Alcocer: l’analisi di questo commentario, attribuito a Bernardo Silvestre, mette in luce alcuni concetti importanti, la dottrina dell’integumentum, l’evoluzione intellettuale e morale del saggio, la spiegazione naturalistica della genesi del cosmo, il ruolo delle arti liberali IN RETE INTERNET ALL’INDIRIZZO: http://www.handson.it/infophil/ e-mail: [email protected] [email protected] 1995, Pisa) propone il tema: “Perorazioni metafisiche, ovvero bilancio di interpretazioni empiriche”, a cura di E. De Angelis. TEMPO PRESENTE (n. 174, giugno 1995, Roma) presenta un articolo di M. Biscuso, Individuo, tolleranza e libertà in Spinoza, e uno di G. Pecora, La democrazia di Hans Kelsen. Individualismo etico e libertà. Segnaliamo anche D. Losurdo: Analisi storica concreta e fantasmi ideologici. Ancora sul “sofisma di Talmon”. LIBRI E RIVISTE D’ITALIA (Anno XLVII, gennaio-aprile 1995, Roma) presenta un intervento di M. L. Cicalese: Il mito del Risorgimento dai neohegeliani di Napoli alla scuola gentiliana. HERMENEUTICA (1995, Mor- celliana, Brescia) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Kerygma e prassi. Filosofia e teologia in Italo Mancini”. 81 NOVITÀ IN LIBRERIA A.A.V.V. Julius Evola Fascicolo quadrimestrale Greco & Greco, luglio 1995 pp.25, £.30.000. In questo fascicolo viene analizzata la figura di Evola da diversi autori. Interessanti sono le analisi relative all’attualità di Evola, ai suoi rapporti con il fascismo e il nazional-socialismo e al giudizio su di lui da parte di Sibilla Aleramo. Abel, Karlhans Die Sinnfrage des Lebens. Philosophisches Denken im Vor- und Umfeld des frühen Christentums Steiner, luglio-agosto 1995 pp. 350, DM 148 Adam, Michel Malebranche et problème moral Bière, agosto 1995 pp. 235, F 135 Sotto la doppia influenza della filosofia di Cartesio e del pensiero di Sant’ Agostino, Malebranche ha elaborato un percorso filosofico originale, i cui caratteri fondamentali possono essere ritrovati nella sua morale. Privilegiando l’esperienza vissuta, Malebranche valorizza la vita affettiva. Agazzi, Evandro Das Gute , das Böse und die Wissenschaft. Die ethische Dimension der wissenschaftlich-technologischen Unternehmung Akademie-Vlg., giugno 1995 pp. 340, DM 48 Agazzi cerca di riportare le discussioni politiche, ormai forzate, al loro livello scientifico e di costruire, su questa base, una nuova etica della responsabilità, consolidata e reale. Airaksinen, Timo The Philosophy of the Marquis de Sade Routledge, giugno 1995 pp. 224, UK £12.99 Questo testo fornisce una lettura teoretica della filosofia del Marchese de Sade. Esamina le pretese di de Sade, secondo il quale, per essere felici e liberi, bisogna fare del male e discute le motivazioni del tipico eroe sadeiano, che conduce una vita piena di piaceri perversi ed estremi. Albert, Karl Philosophie im Schatten von Auschwitz. Edith Stein Theodor Lessing - Walter Benjamin Paul Ludwig Landsberg Röll, giugno 1995 pp. 136, DM 28 Albrecht, E. - Albrecht, K. Sprache und Kultur vol. II: Sprachphilosophie, Sprachstrukturforschung, computerlinguistische Modellierung Die Blaue Eule, giugno 1995 pp. 168, DM 46 NOVITÀ IN LIBRERIA Allen, Barry Truth in Philosophy Harvard UP, giugno 1995 pp. 248, UK £12.75 Questo testo esamina quale significato abbia assunto il concetto di verità nella tradizione filosofica, che cosa ci sia di errato in molti modi di concepire la verità e perché i filosofi rifiutino di affrontare apertamente il problema del valore della verità. L’arco di tempo considerato va dai pre-socratici fino al 1990. pp.192, £.16.000. Si tratta di una raccolta di quattordici lettere, pare scritte tra il 58 e il 64 d.C., tra il filosofo romano e l’apostolo cristiano. Secondo alcuni sarebbe un epistolario apocrifo. Artuso, Paolo Hilary Putman: realismo e comprensione Ets, luglio 1995 pp.180, £.25.000. Artuso ricostruisce il pensiero di Hilary Putman, filosofo dell’indirizzo analitico anglo-americano. Putman si occupa non solo del problema classico della conoscenza, ma anche di problemi dell’etica e dell’estetica. Negli anni 70, impegnato nei movimenti pacifisti, abbandonò in parte lo studio analitico per dedicarsi alla scrittura di saggi di filosofia politica. Amadio, Carla Fichte e la dimensione estetica della politica: a partire da : Sullo spirito e la lettera nella filosofia Guerini e associati, luglio 1995 pp.104, £.25.000. Questo libro mette in risalto gli elementi più significativi dello scritto fichtiano Sullo spirito e la lettera nella filosofia per l’approfondimento del nesso tra la dimensione estetica, intesa quale primo avvertirsi dell’io nella sua libertà e la sfera politica, proposta quale spazio della relazione tra le libertà. Atwell, John E. Schopenhauer on the Character of the World: The Metaphysics of Will Univ California, giugno 1995 pp. 236, $ 42 Questo lavoro analizza in maniera critica e simpatetica l’opera principale di Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, dimostrando che il sistema filosofico che viene promosso costituisce un insieme coerente. Ancona Leonardo, Gambazzi Paolo, Garroni Emilio, Neri Guido, Panza Pierluigi, Penzo Giorgio, Piana Giovanni, Sichirollo Livio e altri Il canto di Seikilos. Scritti per Dino Formaggio nell’ottantesimo compleanno Guerini, agosto 1995 pp. 232, £.35.000. Per celebrare Formaggio, per anni docente di estetica all’Università Statale di Milano, ricercatore e filosofo di spicco, amici e allievi della scuola hanno riunito interventi e ricordi, che hanno come tema il contributo di Formaggio alla cultura italiana. Auyang, Sunny Y. How is Quantum Field Theory Possible? Oxford UP., luglio-agosto 1995 pp. 320, £ 49,50 Si tratta dell’unica analisi filosofica, così estesa da occupare un intero libro, della teoria del campo dei quanti. Il volume è anche il primo in cui la filosofia dello spazio tempo, la meccanica dei quanti ed i sistemi interattivi vengono considerati come facenti parte di un unico schema. Andreatta, Alberto Le americhe di Gaetano Filangieri Esi, giugno 1995 pp.80, £.12.000. L’illuminismo riformatore di Filangeri si misura con un topos della filosofia politica: le americhe, il mito della libertas americana. Bachtin Michail, Kanaev Ivan, Medvedev Pavel, Volosinov V.N. Bachtin e le sue maschere a cura di De Michiel Margherita, Jachia Paolo, Ponzio Augusto Dedalo, luglio 1995 pp.300, £.35.000. Vengono esposti i fondamenti della filosofia, delle scienze dei segni e della teoria e critica della letteratura contenuti nei primi testi inediti del Anonimo Epistolario tra Seneca e S.Paolo a cura di Natali Monica Rusconi, luglio 1995 82 filosofo russo Michail Bachtin. Vengono approfonditi attraverso i testi, pubblicati dai suoi collaboratori, riguardanti i problemi della filosofia morale e dell’estetica, della critica letteraria, della semiotica e delle scienze umane. Baier, Annette C. Moral Prejudices: Essays on Ethics Harvard UP, giugno 1995 pp. 384, UK £14.25 Questo testo ci invita a far sì che le nostre nozioni morali di base non siano governate da regole o codici ma dalla fiducia, cioè da un pregiudizio morale. Nella sua indagine delle implicazioni derivanti dal dar fiducia alla fiducia piuttosto che ad una prescrizione, l’autrice intreccia aneddoti ed autobiografia con letture di Hume e Kant. Barry, Brian Justice as Impartiality Clarendon Pr., giugno 1995 pp. 320, £ 25 Questo volume, che è il seguito del libro Theories of Justice, che ha vinto un premio, offre una riaffermazione contemporanea dell’idea dell’Illuminismo, secondo la quale certi principi fondamentali possono pretendere la fedeltà da parte di ogni essere umano razionale. Battistini, Andrea La sapienza retorica di Giambattista Vico Guerini, luglio 1995 pp. 138 £.26.000. Dopo una ricognizione preliminare delle forme in cui lo statuto della retorica venne, tra Sei e Settecento, declinato a Napoli, vengono prese in esame da Andrea Battistini le risposte personali di Vico, che dell’arte della persuasione si valse per edificare il mito di se stesso nell’autobiografia, sia per interpretare e descrivere il passato più remoto dell’antichità e per esporlo con lo stile di pensiero più confacente. Baum, Hermann Bannkreise des Tötens. Zur Kritik des utilitaristischen Standpunkts zum Schwangerschaftsabbruch Academia-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 170, DM 36 Baumgartner, M. - Jacobs, W.G. (a cura di) Schellings Weg zur Freiheitsschrift. Akten der Fachtagung der Internationalen Schelling -Gesellschaft vom Oktober 1992 Frommann-Holzboog luglio-agosto 1995 pp. 300, DM 78 Si tratta degli atti del convegno della Internationale Schelling-Gesellschaft , tenutosi nell’ottobre del 1992. Bausola, Adriano Libertà e responsabilità Vita e pensiero, luglio 1995 pp.132, £.20.000. Il presente volume discute, nella pri- NOVITÀ IN LIBRERIA ma parte, il problema della libertà dal punto di vista ontologico cercando di dare una risposta positiva al problema. La seconda parte affronta alcune questioni etico-politiche che una risposta affermativa alla domanda sulla libertà del volere porta con sé: il problema della genesi esistenziale dell’atteggiamento deterministico, quello del rapporto tra libertà e valori e altri ancora, inerenti al tema della responsabilità morale. Bausola, Adriano Natura e progetto dell’uomo Vita e pensiero, luglio 1995 pp.300, £.25.000. Il presente volume esamina il problema relativo a quali possibilità e responsabilità l’uomo abbia verso la propria natura sia dal punto di vista teorico, sia e soprattutto da quello storico, con particolare attenzione per l’esistenzialismo sartriano, per lo strutturalismo e per il marxismo. In rapporto al marxismo, la discussione verte anche sul tema del dialogo tra marxisti e cristiani. Bazzanella Emiliano Orizzonte: passività e soggetto in Husserl e Merleau Ponty Guerini Scientifica, luglio 1995 pp.148, £.18.000. L’autore mostra come Husserl abbia trovato il fondamento del soggetto e dell’intenzionalità in uno strato della coscienza pre-categoriale passivo senza riuscire ad aggirare l’ostacolo di una passività originariamente intenzionale. D’altra parte, Merleau-Ponty, dialogando a distanza con Husserl, non si è prefissato il superamento di questa contaminazione, bensì ne ha fatto il centro della propria riflessione ontologica. Bazzanella, Emiliano Contaminazione: l’idea di struttura in Heidegger Franco Angeli, giugno 1995 pp.104, £.20.000. Bazzanella in questo libro mostra come nell’analisi della filosofia di Heidegger rimanga disattesa, vittima di una inspiegabile rimozione, la questione del rapporto dello spazio e del tempo. Così questo studio cerca di colmare questa parziale omissione sottolineando una particolare accezione di struttura in cui l’idea metafisica di «origine» perde rilevanza e si delineano i contorni di un mondo confusivo, regolato dalla sistematica contaminazione dei principi e da una serie di meccanismi assimilabili al «gioco». Beaufret, Jean Dialogo con Heidegger Volume II: Filosofia moderna a cura di Zaccaria Gino, traduzione di Citton Giuliana Egea, agosto 1995 pp.370, £.30.000. Viene esposta la filosofia moderna alla luce delle osservazioni di Heidegger, interpretate e “tradotte” dall’autore. Bechler, Zev Aristotele’s Theory of Actuality State Univ. of New York, luglio-agosto 1995 pp. 384, $ 24 Il libro presenta un attacco ad Aristotele che mostra come la sua tendenza errata verso un’applicazione coerente della sua ontologia attualistica (negando la realtà di tutte le cose potenziali) risulta essere essenzialmente priva di basi nella maggior parte delle sue tesi più importanti. una storiografia angustamente razionalistica. Bidima, Jean Godefroy La philosophie negro-africaine PUF, agosto 1995 pp. 128, F 40 Il discorso filosofico negro-africano ha inizialmente riflettuto sulla sua esistenza, quindi sullo stato della cultura africana, sull’insegnamento, sulle lingue africane, le religioni e, infine, sullo Stato. Tutte queste riflessioni ruotavano intorno al paradigma di una possibile rifondazione della storia africana. Il volume è di ambito e di interesse universitari. Bencivenga, Ermanno Filosofia: istruzioni per l’uso Mondadori, luglio 1995 pp.160, £.8.000. Si tratta di una raccolta di esercizi per vivere filosoficamente. Billig, Michael Ideologia e opinioni Studi di psicologia retorica traduzione di Marraffa Massimo La Terza, agosto 1995 pp.272, £.35.000. Viene analizzata la retorica come costruzione delle opinioni e trasformazione di esse in ideologia e strumento di potere: le tecniche di argomentazione e di propaganda dall’antichità all’odierno pregiudizio, ai discorsi sulla politica e all’interno della famiglia. Benjamin, Walter Il carattere distruttivo. Gli orrori del quotidiano Mimesis, luglio 1995 pp.160, £.22.000. Vengono esposti i lineamenti dei contributi più strettamente filosoficopolitici del pensiero di Benjamin. L’analisi del carattere distruttivo deve essere collocata nell’ambito della necessità di rinnovamento che si manifesta in un ciclo storico quando questo è giunto a un punto di crisi irreversibile. Biolo, Salvino (a cura di) Trascendenza divina: itinerari filosofici interventi di Enrico Berti et al. Rosenberg & Sellier, luglio 1995 pp.316, £.50.000. Si tratta del 48 Convegno del Centro studi filosofici di Gallarate tenutosi nell’aprile del 1993. Gli scritti mostrano come la comprensione delle cose si chiarifichi nella prospettiva della trascendenza. Infatti, la mappa del sapere scientifico, la sua struttura interna, resta uguale a se stessa anche per il teologo : ma ogni vero naturale è inteso nel suo contesto ontologico di struttura creata e portata dalla mano di Dio. Bennett, Jonathan The Act itself Clarendon Pr., giugno 1995 pp. 272, £ 25 Questo libro ci permette di capire meglio i nostri pensieri morali riguardo al comportamento umano. Bennett presenta l’analisi concettuale come un mezzo per ottenere maggior controllo dei nostri pensieri e quindi delle nostre vite. Berkowitz, Peter Nietzsche: The Ethics of an Immoralist Harvard UP, giugno 1995 pp. 336, UK £27.95 Questo testo sostiene che il pensiero di Nietzsche ha le sue radici in opinioni conflittuali sulla metafisica e la natura umana. Scoprendo un’unità nell’opera di Nietzsche, questo libro mostra che Nietzsche è un filosofo morale e politico, in senso socratico, la cui domanda-guida è: “qual’è la vita migliore?”. Biolo, Salvino (a cura di) L’universalità dei diritti umani e il pensiero cristiano del’500 interventi di Carlos Baciero et al. Rosenberg & Sellier, luglio 1995 pp.232, £.37.000. Si tratta dei contributi al 47 Convegno del Centro di studi filosofici di Gallarate tenutosi nel settembre del 1992. Beschin, Giuseppe (a cura di) Antonio Rosmini, filosofo del cuore? Philosophia e theologia cordis nella cultura occidentale Morcelliana, giugno 1995 pp.617, £.70.000. Si tratta degli Atti del convegno tenutosi a Rovereto il 6-7-8 ottobre 1993. Emerge in questi Atti un inedito profilo del pensiero occidentale da Platone a Paolo, dalla Patristica a Bonaventura, da Dante a Pascal, dai mistici a Kierkegaard e Nietzsche, in cui è possibile soprendere l’attualità di una res - il cuore come simbolo di interiorità, conoscenza meta-razionale, locus revelationis - a lungo obliata da Blasche, S. (a cura di) Sorgfalt des Denkens. Festschrift für Brigitte Scheer Königshausen & Neumann giugno 1995 pp. 232, DM 48 Bodei, Remo Le forme del bello Mulino, luglio 1995 pp.140, £.15.000. Questo libro è dedicato alle parole chiave, opposte e complementari, di “bello” e “brutto”. Delinea i principali modelli della “costellazione della bellezza”, così come si è venuta configurando nel corso dei secoli. Dal 83 bello come idea di ordine, di misura e di armonia, al bello imponderabile che si esprime nella valorizzazione del gusto. Bojadziev, Coco Die frühgriechische Philosophie als Phänomen der Kultura Königshausen & Neumann, luglio-agosto 1995 pp. 216, DM 48 Bondeli Martin Das Anfangsproblem bei Karl Leonhard Reinhold. Eine systematische und entwicklungsgeschichtliche Untersuchung zur Philosophie Reinholds Klostermann, luglio-agosto 1995 pp. 446, DM 186 La filosofia elementare di Karl Leonhard Reinhold, che si collega all’architettura del sistema kantiano, mette in moto una dinamica che fa di lui un concorrente della filosofia dell’identità di Schelling e Hegel e, paradossalmente, lo rende anche un ispiratore dello Hegel “fenomenologico”. Bonessio Di Terzet, Ettore Occasioni di mito Marsilio, luglio 1995 pp.128, £.24.000. In questo libro viene compiuta un’analisi di alcuni momenti della letteratura e dell’arte moderna (Carrol, Nietzsche, Proust, Villon, Corbière) al fine di recuperare modalità innovative per una rifondazione dell’estetica. Bönker-Vallon, Angelika Metaphysik und Mathematik bei Giordano Bruno Akademie Vlg., giugno 1995 pp. 230, DM 120 L’autrice fornisce un nuovo contributo ad una più profonda comprensione della discussione sui metodi nel XVI secolo ed indica Giordano Bruno come uno dei precursori della concezione scientifica leibniziana. Bori, Pier Cesare Per un consenso etico tra culture Marietti, giugno 1995 pp.120, £.19.000. I convincimenti che sono alla base della convivenza unana e che sono racchiusi nelle scritture, ricercando quegli elementi di convergenza che accomunano le diverse culture. Börncke, Fr. - Roser, A. (a cura di) Konkordanz zu Ludwig Wittgensteins ‘Tractatus logico-philosophicus’ intr. di Joachim Schulte Olms-Weidmann, giugno 1995 pp. 216, DM 118 Bourdieu, P. - Haacke, H. Freier Austausch. Für die Unabhängigkeit der Phantasie und des Denkens S. Fischer, giugno 1995 pp. 160, DM 36 NOVITÀ IN LIBRERIA Boutot, Alain La pensée allemande moderne PUF, agosto 1995 pp. 128, F 40 Dal 1830 ai giorni nostri, il pensiero tedesco è stato attraversato da diverse correnti: il marxismo, la Scuola di Francoforte, il neo-kantismo, la fenomenologia... Al di là di questa diversità apparente, l’autore evidenzia alcuni temi ricorrenti che testimoniano la specificità e la vitalità del pensiero tedesco. Carnap, Rudolf The Unity of Science Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 101, UK £9.99 Convinto che le affermazioni abbiano un significato solo se sono empiricamente verificabili, Carnap si sforza di trovare un modo in cui le affermazioni derivanti dall’osservazione necessarie alla verifica non restino solo qualcosa di privato, cioè di solo dominio dell’osservatore. Carriou, Marie Bergson et Bachelard PUF, giugno-luglio 1995 pp. 128, F 98 Questo dialogo sui silenzi e le vertigini della ragione collega la malinconia dei sogni poetici e dialettici a dei sogni scientifici. Tra l’aurora dell’epistemologia ed il crepuscolo della metafisica, tra Bachelard e Bergson, l’autore non cerca di schierarsi a favore dell’uno o dell’altro, ma di riunire gli opposti. Il libro interesserà ad un vasto pubblico. Catucci, Stefano La filosofia critica di Husserl Guerini Scientifica, luglio 1995 pp.281, £.30.000. Questo libro vuole tenere aperto lo spazio problematico del pensiero di Husserl senza ridurne le tensioni o correggerne le debolezze. Dei concetti fondamentali della fenomenologia vengono perciò messe in luce le istanze critiche e le strategie discorsive, non solo gli obiettivi programmatici. Cavalier Robert, Lurio Eric Platone traduzione di Lanza Lorenza Feltrinelli, giugno 1995 pp.180, £.12.000. Filosofia di Platone per gli studenti in difficoltà di fronte ai “testi sacri”. Cheneval, Francis Die Rezeption der ‘Monarchia’ Dantes bis zur ‘Editio princeps’ im Jahre 1559. Metamorphosen eines philosophischen Werkes. Mit einer kritischen Edition von Guido Vernanis, ‘Tractatus de potestate summi pontificis’ Fink, luglio-agosto 1995 pp. 490, DM 98 Il De Monarchia di Dante deve essere preso in considerazione maggiormente, rispetto a quanto fatto finora, anche per la spiegazione della genesi della filosofia politica dell’età moderna. Ciancio, Claudio Cartesio o Pascal?: un dialogo sulla modernità Rosenberg & Sellier, luglio 1995 pp.145, £. 25.000. Quella tra Cartesio e Pascal è un’alternativa costitutiva del pensiero moderno, un motivo ricorrente e decisivo. Tornare ad essa, come rileva Ciancio, è una condizione necessaria per attraversare la crisi della filosofia contemporanea senza smarrire le alternative fodamentali che la caratterizzano: l’esperienza della modernità come frattura, l’autonomia della ragione, la riformulazione dell’ontologia a partire dal principio della libertà. Qui Copp difende una forma di realismo morale naturalistico e relativistico, introducendo nuove prospettive riguardo alla ragione ed alla scelta razionale. Costantino, Salvatore Il linguaggio e la civetta: saggio su Hegel Abelardo, luglio 1995 pp.247, £.35.000. In questo lavoro Costantino ha mostrato quale ruolo assume il linguaggio soprattutto nella costituzione del diritto, dello Stato e della storia nella filosofia hegeliano esaminando i Lineamenti della filosofia del diritto, Le lezioni sulla filosofia della storia e Le lezioni sulla storia della filosofia di cui, tra l’altro, ha colto alcuni tratti di attualità . Infatti, il pensiero politico di Hegel appare profetico in quanto gli permette di elaborare una dottrina che garantisce contemporaneamente l’autorità dello Stato e la libertà individuale mantenendo una posizione moderata-centrista. Cioran, E.M. La caduta del tempo Adelfhi, agosto 1995 pp.120, £.20.000. Si tratta di una sequenza di meditazioni che parlano dell’albero della vita, della civiltà, dello scetticismo della barbarie, della gloria e della malattia. Il percorso è sempre obliquo e esamina temi inesauribili ed elusivi, primo fra tutti nel tempo e “quella caduta nel tempo” che costituisce la storia. Cristofolini, Paolo La scienza nuova di Vico: introduzione alla lettura Nis, luglio 1995 pp.165, £. 22.500. La prima parte di questo testo è dedicata ad un’introduzione storica e traccia alcune linee di orientamento generale sulla “scienza della natura delle nazioni” che Vico inaugura sulla Bibbia ed Omero come fonti della storia delle origini. Seguono poi dei capitoli volti ad illustrare le ideeguida dell’opera vichiana, dal “mondo fatto dagli uomini” e dalla sapienza poetica, alla provvidenza e ai ricorsi della storia umana. Clearly, John J. Aristotle and the Mathematics. Aporetic Method in Cosmology and Metaphysics Brill, luglio-agosto 1995 FOL 260 Collingwood, R.G. An Essay on Philosophical Method Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 240, UK £14.99 Questo saggio di metafisica cerca di riconsiderare la nozione del metodo filosofico, assegnando alla filosofia il compito di “ripensare a fondo l’idea di un oggetto che debba necessariamente soddisfare le richieste della ragione”. Cristofolini, Paolo Vico et l’histoire PUF, giugno-luglio 1995 pp. 128, F 45 Questo contemporaneo di Fontenelle dà un’interpretazione originale del problema dell’origine delle favole antiche, utilizzando contemporaneamente anche la Bibbia come testochiave per ricostruire le catastrofi della preistoria ed i poemi di Omero come una sorta di rivista dalla quale attingere informazioni sull’umanità pagana. Il libro interesserà ad un vasto pubblico. Contini, Annamaria Jean-Marie Guyan. Una filosofia di vita e l’estetica. Clueb, giugno 1995 pp.224, £.25.000. Guyan, scomparso nel 1988 a trentatrè anni, riesce a influenzare Bergson e Nietzsche con le sue riflessioni su arte, morale ed estetica. Cropsey, Joseph Plato’s World. Man’s Place in the Cosmos Univ. of Chicago, luglio-agosto 1995 pp. 238, $ 35 Cropsey in questo lavoro, che è frutto di una vita di studio, esamina il rapporto cruciale tra la concezione di Platone della natura dell’universo e la morale di questo filosofo ed il pensiero politico. Cooper, David A Companion to Aesthetics Blackwell Publishers, giugno 1995 pp. 466, UK £15.99 Questo volume copre l’intero campo degli argomenti estetici. Le 130 voci documentano nuove direzioni di indagine, includendo anche argomenti tradizionali quali la catarsi ed il sublime. Passa in rassegna i concetti più significativi, problemi, movimenti ed autori nella filosofia dell’arte. D’Abbiero, Marcella (a cura di) Individuo e modernità: saggi sulla filosofia hegeliana Guerini, luglio 1995 pp.333, £.50.000. Un Hegel complesso, problematico, Copp, David Morality, Normativity and Society Oxford UP, luglio-agosto 1995 pp. 272, £ 30 84 la cui meditazione attraversa nel suo evolversi contraddizioni e ripensamenti, un Hegel sorprendemente moderno: è l’inedito ritratto delineato dagli autori di questo volume, che si colloca all’interno di un più generale movimento teso a ristabilire, al di là dei pregiudizi e luoghi comuni, l’autentica fisionomia del pensiero hegeliano. D’Ancona Costa, Christina Recherches sur le ‘Liber de Causis’ Vrin, luglio-agosto 1995 pp. 292, F 350 Questa raccolta di studi sul Liber de Causis (l’adattamento rimaneggiato degli assiomi degli Elementi di teologia di Proclo), propone diversi approcci a questo testo cruciale per le filosofie orientali ed occidentali, a partire dalla sua analisi strutturale, per arrivare ad un suo commento dal punto di vista dottrinale, passando per le ricerche sulle sue fonti e la storia della sua ricezione nel Medioevo. L’autore è uno specialista di questo settore. D’Aosta, Anselmo Monologion a cura di Sciuto Italo Rusconi, luglio 1995 pp.264, £.18.000. Si tratta di una riflessione, scritta nel 1076, sul rapporto tra ragione e religione. D’Ippolito, Bianca Maria, Mazzarella, Eugenio, Piromallo, Gambardella Agata (a cura di) Sogno e mondo al confine della ragione Esi, luglio 1995 pp.226, £.33.000. In questo libro viene effettuata un’analisi fenomenologica e uno studio sul sogno, sull’immaginazione poetica, sul corpo e sulla follia attraverso la considerazione degli scritti di Husserl, Heidegger, Binswanger, Bachelard, Stein e Leibnitz. Da Silva, Gérard De l’égalité à l’équité L’Harmattan, giugno-luglio 1995 pp. 271, F 140 Per la città, l’uguaglianza è il principio primario e necessario. Quindi si va dal principio stabilito alla spiegazione cronologica della serie che l’ha mediatizzato. Infine, in questo volume, viene data una definizione della democrazia secondo il principio dell’uguaglianza: che essa sia sia istituzionale che formale e che si opponga sia all’egualitarismo che al liberalismo. Il libro interesserà ad un vasto pubblico. Damasio, Antonio R. Descartes’ Irrtum. Fühlen, Denken und das menschliche Gehirn List, luglio-agosto 1995 pp. 384, DM 44 Un neurologo rivoluziona la nostra concezione della razionalità e dell’emozione. Una delle idee-base del pensiero occidentale è la divisione della ragione e del sentimento. Da- NOVITÀ IN LIBRERIA masio dimostra, tramite i sorprendenti ed innovativi risultati delle sue ricerche, che nessuna azione razionale è possibile senza la presenza dei sentimenti. Il che significherebbe: sento quindi penso. Danneberg, L. (a cura di) Metapher und Innovation. Die Rolle der Metapher im Wandel von Sprache und Wissenschaft Haupt, luglio-agosto 1995 pp. 355, DM 60 Dannemann, R. - Jung, W. (a cura di) Objektive Möglichkeit. Beiträge zu Georg Lukàcs’ ’Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins’. Frank Benseler zum 65. Geburtstag Westdt. Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 325, DM 58 Darwall, Stephen The British Moralists and the Internal Ought: 1640-1740 Cambridge UP, giugno 1995 £ 12.95 Questo studio sulla storia dell’etica esamina gli inizi della filosofia britannica. Evidenzia due tradizioni distinte che si basano sulla filosofia morale del XVII e XVIII secolo: la tradizione empirica e naturalistica e quella che contiene le premesse alla teoria della volontà che si autodetermina. De La Rochefoucauld, Francois L’umana doppiezza Mondadori, luglio 1995 pp.160, £.8.000. In questo libro è contenuta la dissertazione del marchese de La Rochefoucauld, vissuto nel Seicento, sulla vera essenza della natura umana. De Martino, Giulio L’illuminismo meridionale: la tradizione filosofica del Regno di Napoli tra ‘600 e’700: disegno storico e scelta dei testi Liguori, luglio 1995 pp.256, £.25.000. Il testo ricostruisce l’intero tracciato delle vicende del pensiero riformatore nel Regno di Napoli e in quello di Sicilia con un serrato parallelismo tra gli eventi storici e gli sviluppi ideali e filosofici. Mette in risalto la figura e l’opera di Vico, Giannone, Genovesi, Ferdinando Galiani, Filangieri, Pagano e di tanti altri protagonisti di una vigorosa tradizione di pensiero di cui, nel ‘900, a partire dagli studi di Benedetto Croce e Fausto Nicolini, si è riusciti a stabilire il giusto valore. De Monticelli, Roberta L’ascesi filosofica. Studi sul temperamento platonico Feltrinelli, giugno 1995 pp.272, £.35.000. Etica, estetica e psicologia secondo i criteri platonici attuabili anche oggi. De Vitiis, Pietro Il problema religioso in Heidegger Bulzoni, giugno 1995 pp.161, £.22.OOO. De Vitiis rintraccia nell’opera heideggeriana la sua concezione religiosa che, contrapponendosi all’ontoteologia si definisce come “manifestativa” in quanto si apre al mistero dell’essere al di là delle elaborazioni concettuali. mente elusivi. Il testo esplora quanto del suo pensiero possa essere ritrovato nel lavoro di Frege e discute di etica in un modo che riflette l’influenza di Wittgenstein. Dolnikowski, Edith Wilks Thomas Bradwardine’s View of Time. A Study of the Interrelationship of Natural Philosophy and Theology in the Fourteenth Century Brill, giugno 1995 pp. 350, FOL 185 Del Prete, A. - Gajano, A. Bouchilloux, H. - Ledu-Fayette, D. Jacquet, C. - Guéry, F. XVIIe siècle, Mersenne, Descartes, Pascal, Spinoza, Leibniz PUF, agosto 1995 pp. 144, F 125 Si tratta di una raccolta di articoli di questi autori su cinque grandi pensatori del XVII secolo. Döring, E. - Döring, W. (a cura di) Philosophie der Demokratie bei Kant und Popper. Zum Verhältnis von Freiheit und Verantwortung Akademie Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 288, DM 48 Vengono presentati Kant e Popper, due noti filosofi della libertà e della società aperta, due testimoni fondamentali della democrazia liberale, di cui vengono presentati i fondamenti filosofici rispetto alla democrazia, la libertà e la responsabilità. Deleuze, Gilles Critica e clinica. Scrittura e delirio alle frontiere del linguaggio Anabasi, agosto 1995 pp.120, £.20.000. Spaziando dalla letteratura all’arte, dal cinema alla filosofia, il filosofo francese traccia alcuni percorsi alla ricerca di nuove possibilità linguistiche, sulle frontiere dell’espressione e del pensiero. Dowek, Gilles La logique Flammarion, giugno-luglio 1995 pp. 128, F 39 Una prima parte del libro è consacrata al ragionamento, la seconda pone il problema del posto della logica in seno alle nostre conoscenze. Il libro è indirizzato al grande pubblico. Desmond, William Being and the between State Univ. of New York, luglio-agosto 1995 pp. 576, $ 25 Questo libro rappresenta il vertice di una metafisica sistematica scritta da un filosofo di livello mondiale, nel quale si dimostra il bisogno di un rinnovamento della metafisica. Dupre, John The Disorder of Things: Metaphysical Foundations of the Disunity of Science Harvard UP, giugno 1995 pp. 320, UK £14.25 Questo testo attacca sistematicamente l’ideale dell’unità scientifica del XX secolo, dimostrando come i suoi principi di base si scontrino con le conclusioni fondamentali della scienza stessa. Al posto dell’unità scientifica, propone una metafisica molto più consona a ciò che del mondo viene rivelato all’osservatore da parte della scienza Despoix, Philippe Ethique du désenchantement: essais sur la modernité allemande au début du siècle pref. di Jacques Le Rider L’Harmattan, giugno-luglio 1995 pp. 215, F 120 Partendo dai lavori di Max Weber, Gustav Landauer, Leo Popper, György Lukacs e Siegfried Kracauer, l’opera evidenzia la tipologia dei rapporti che intercorrevano tra gli ambiti dell’etica e dell’estetica nei primi dibattiti sulla modernità tedesca. Il libro interesserà ad un vasto pubblico. Dzielska, Maria Hypatia of Alexandria Harvard UP, giugno 1995 pp. 176, UK £23.95 Questo libro indaga e riesamina la leggenda di Ipatia di Alessandria matematico, neoplatonico, donna di rinomata bellezza che fu brutalmente trucidata da una folla di Cristiani nel 415 - per fornire nuove prospettive sulla sua vita e la sua morte. Detzer, K. Wer verantwortet den industriellen Fortschritt? Springer, giugno 1995 pp. 300, DM 78 Ad una presentazione dei rischi della tecnica, facendo riferimento alla problematica del clima, segue un’esposizione relativa ai codici di comportamento, alla tecnica come oggetto di responsalità, ma anche alla scienza come luogo di creazione di valori. Eckart, Meister La via del distacco Mondadori, luglio 1995 pp.160, £.8.000. Questo libro contiene una raccolta di racconti, detti e aneddoti legati alla figura del mistico medievale tedesco vissuto a cavallo tra il Milleduecento e il Milletrecento. Diamond, Corab The Realistic Spirit: Wittgenstein, Philosophy, and the Mind A Bradford Book, giugno 1995 pp. 408, UK £14.95 Questo studio spiega gli scritti tardi di Wittgenstein, che sono notoria- 85 Eggensperger, Th. - Engel, U. (a cura di) Wahrheit, Recherchen zwischen Hochscholastik und Postmoderne Matthias-Grünewald-Vlg. giugno 1995 pp. 268, DM 52 Esfeld, Michael Mechanismus und Subjektivität in der Philosophie von Thomas Hobbes Frommann-Holzboog, giugno 1995 pp. 420, DM 148 Esser, A. (a cura di) Autonomie der Kunst? Zur Aktualität von Kants Ästhetik Akademie-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 130, DM 29,80 Nell’attuale discussione viene sempre indicata la Critica del giudizio di Kant, in quanto fondamento del giudizio estetico. I contributi raccolti in questo volume, mostrano prospettive differenti riguardo all’estetica kantiana. Ferguson, Harvey Destino della felicità Ecig, giugno 1995 pp.320, £.34.000. Viene trattata la felicità nel mondo occidentale, nella psicologia e nell’esperienza mistica. Ferrari, Franco Dio, idee e materia: la struttura del cosmo in Plutarco di Cheronea presentazione di Pierluigi Donini, Mario Vegetti D’Auria, giugno 1995 pp.318, £.60.000. In questo libro Ferrari prende in considerazione il rapporto etica-ontologia e la struttura del sapere filosofico secondo Plutarco. Particolare attenzione viene da lui dedicata all’esame della teoria dei principi tra ontologia e cosmologia, dell’ordinamento matematico come «mediazione cosmica» e del piano eidetico-divino nella prospettiva filosofica plutarchiana. Ferrarini, Marisa Libertinismo Bibliografica, agosto 1995 pp.93, £.9.000. In questo libro viene analizzato il libertinismo con particolare attenzione al suo contesto storico-culturale, alla sua affermazione e al suo sviluppo, ai suoi protagonisti e alla sua eredità. Ferretti, Giovanni (a cura di) Filosofia ed esperienza religiosa: a partire da Luigi Pareyson Giardini, maggio 1995 pp.188, £.36.000. Il libro raccoglie gli Atti del convegno di filosofia ed esperienza religiosa tenutosi dal 7 al 9 ottobre del 1993 all’Università di Macerata. In esso viene delineata la concezione filosofica di Pareyson con particolare attenzione al passaggio dalla iniziale ermeneutica religiosa alla successiva ontologia della libertà, concezione che è maturata attraverso il rapporto con quattro pensatori: Pascal, Schelling, Kierkegaard e Dostoevskij. NOVITÀ IN LIBRERIA Ficthe, Johann Gottlieb Dottrina della scienza. Esposizione del 1807 a cura di Rametta Gaetano Guerini, giugno 1995 pp.207, £.35.000. Le lezioni di filosofia fondamentale tenute da Fichte a Koenisberg nel 1807 costituiscono la più compiuta esposizione di quella dottrina della scienza che il filosofo tedesco era andato elaborando negli anni precedenti, dopo un periodo di silenziosa concentrazione e di intensa riflessione. Una confutazione ante litteram dell’idealismo e dell’empirismo. Finch, H.L. The Vision of Wittgenstein Element Books Ltd, giugno 1995 pp. 160, UK £4.99 Si tratta di uno studio sull’importanza universale, spirituale, culturale ed a lungo termine di Wittgenstein. Prendendo spunto liberamente dagli scritti del filosofo, il libro riesce a dimostrare quali furono le sue posizioni, l’impatto del suo lavoro sul mondo di oggi e la sua probabile importanza per il secolo a venire. Fischer, P. (a cura di) Freiheit oder Gerechtigkeit. Perspektiven Politischer Philosophie Reclam, giugno 1995 pp. 250, DM 22 Fitzgibbons, Athol Adam Smith’s System of Liberty, Wealth, and Virtue. The Moral and Political Foundations of ‘The Wealth of Nations’ Clarendon Pr., luglio-agosto 1995 pp. 224, £ 25 Questo libro esamina l’influenza della filosofia di Adam Smith sulle sue teorie economiche, soffermandosi sulle parti spesso trascurate degli scritti di Smith, allo scopo di mostrare che le teorie politiche ed economiche erano una conseguenza logica del suo pensiero morale. Flashar, H. (a cura di) Die Philosophie der Antike vol. IV: Die Hellenistische Philosphie Schwabe & Co., luglio-agosto 1995 pp. 1272, DM 348 Questo quarto volume in due tomi raccoglie i seguenti contributi: “Epicuro”, “La scuola di Epicuro”, “Lucrezio” di Michael Erler; “La Stoa” di Peter Steinmetz; “Il vecchio pirroismo”, “La nuova accademia”, “Antioco di Ascalona” di Woldemar Görler; “Cicerone” di Günter Gawlick e Woldemar Görler. Flotow, Paschen von Die Doppelrolle des Geldes. Georg Simmels Philosophie des Geldes Suhrkamp, luglio-agosto 1995 pp. 200, DM 18,80 Fontana, Biancamaria Benjamin Constant e il pensiero postrivoluzionario Baldini, agosto 1995 pp.224, £.40.000. Si tratta di uno studio sulla vita e sul pensiero di Constant, storico e filosofo svizzero dell’800. Mostra le analogie della sua dottrina con le moderne strutture degli stati democratici. ni teoriche della disciplina, sia pur entro una cornice non unitaria in cui convivono percorsi e metodi diversi. Dalla querelle sugli antichi e i moderni, passando per le dispute sul bello, sul genio e sul gusto, l’estetica si afferma e conquista un suo spazio. Franchini, Raffaello, 1920-1990 La teoria della storia di Benedetto Croce a cura di Renata Viti Cavaliere Edizioni scientifiche italiane giugno 1995 pp.225, £.34.000. Nei dieci capitoli del volume, che si presentano come una serie di agili e limpide monografie scritte con particolare aderenza ai testi, il nucleo problematico del pensiero di Croce viene criticamente vagliato in una esposizione assai perspicua e nell’ottica di una personale prosecuzione teorica. Temi centrali sono; la storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, l’unità logica di filosofia e storiografia, la contemporaneità della storia e il circolo di pensiero ed azione. Freudenthal, Gad Aristotle’s Theory of Material Substance: Heat and Pneuma, Form and Soul Clarendon Press, giugno 1995 pp. 256, UK £27.50 Si tratta di un saggio originale su una delle dottrine centrali di Aristotele, la sua teoria della sostanza materiale. Alla base di questo studio vi e un’accurata riflessione sugli scritti di Aristotele, attraverso la quale l’autore arriva a sostenere che il calore vitale è una parte centrale, sebbene finora ignorata, del suo pensiero. Fumagalli, Armando Il reale nel linguaggio Indicalità e realismo nella semiotica di Peirce Vita e pensiero, 1995 pp.395, £.64.000. L’intento del volume è duplice: anzitutto ricostruire in modo rigoroso il percorso dell’ampio e articolato complesso teorico peirceano sul quale si innesta la semiotica e senza la quale si rischia di non cogliere appieno la portata e il significato di alcune nozioni: in secondo luogo indagare nel dettaglio le articolazioni interne della semiotica e mettere a fuoco la tematica dell’indicalità, che è stata assai ricca di sviluppi in Morris, Jakobson, Benveniste e molti altri autori, ma che finora era rimasta in secondo piano negli studi peirceani. Frank, Daniel - Herztberg, Arthur Judah Halevi Peter Halban, giugno 1995 pp. 176, UK £7.99 Judah Halevi (1075 ca.-1141), filosofo e poeta spagnolo fu una delle figure ebraiche eminenti, all’interno del mondo medioevale mediterraneo. Franzini Elio, Zecchi Stefano (a cura di) Storia dell’estetica. Vol. 1 Dai presocratici a Hegel Antologia di testi Mulino, luglio 1995 pp.520, £.48.000. Si tratta di un’antologia di testi che copre il periodo che va dalla classicità al primo Ottocento e a Hegel. Ogni parte è preceduta da una breve introduzione che riguarda, nelle sue linee teoriche e storico-filosofiche, sia il periodo che gli autori esaminati. Privilegia i grandi autori che hanno segnato le tappe della riflessione filosofica sull’estetica. Furnari Luvarà, Giusi La logica del preferibile: Chaïm Perelman e la nuova retorica Soveria Mannelli, giugno 1995 pp.244, £.20.000. In questo libro viene sottolineato come le forme dell’argomentazione retorica raccolgano i luoghi dell’ “agire politico” ma più a fondo portino con sè un significato esistenziale che si dà come scelta etica, scelta di un ordine di preferibilità dei valori che impone la tolleranza e il rispetto assoluto dell’alterità. Franzini Elio, Zecchi Stefano (a cura di) Storia dell’esterica. Vol 2. Dai post-hegeliani al decostruzionismo Antologia di testi Mulino, luglio 1995 pp.484, £.48.000. Si tratta di un’antologia di testi che parte dall’estetica post-hegeliana per arrivare al decostruzionismo moderno. Ogni parte è preceduta da una breve introduzione che riguarda, nelle sue linee teoriche e storico-filosofiche, sia il periodo che gli autori esaminati. Privilegia i grandi autori che hanno segnato le tappe della riflessione filosofica sull’estetica. Gabel, Gernot U. Husserl. Ein Verzeichnis der Hochschulschriften aus europäischen und nord-amerikanischen Ländern 1912-1990 Ed. Gemini, giugno 1995 pp. 60, DM 20 Galeazzi, Giancarlo ( a cura di) Crisi morale e bene comune in Italia interventi di Enrico Berti et al. Massimo, giugno 1995 pp.144, £.18.000. Il volume raccoglie le relazioni del Convegno su «Crisi morale e bene comune in Italia», organizzato dall’Istituto italiano «Jacques Maritain» nel 1993 presso il Centro «San Do- Franzini, Elio L’estetica del Settecento Mulino, luglio 1995 pp.180, £.15.000. Il Settecento è un secolo cruciale per la storia dell’estetica moderna. Sono di questo secolo le prime elaborazio- 86 menico» di Bologna. Filosofi, storici, sociologi e politici analizzano l’attuale crisi morale e le responsabilità culturali, religiose e politiche che hanno determinato l’attuale situazione e individuano nel «bene comune» l’ideale storico-concreto per ricostruire ciò che è stato distrutto, prospettando modi e fini per orientare l’azione di ricostruzione. Galileo, Galilei Dialogo sui massimi sistemi a cura di Guerneri Gian Luca Guaraldi, giugno 1995 pp.544, £.18.000. Un confronto cruciale tra il sistema cosmologico aristotelico-tolemaico e il paradigma della Nuova Scienza. Gaskin, Richard The Sea Battle and the Master Argument. Aristotle and Diodorus Cronus on the Metaphysics of Future de Gruyter, giugno 1995 pp. 406, DM 230 Si tratta di un saggio critico su Aristotele ed il logico megariano Diodoro Crono (300 a. C. ca.), relativo al problema della contingenza e della verità futura. Gaudenzi, Giuseppe Evoluzionismo Bibliografica, agosto 1995 pp.93, £.9.000. In questo libro viene esaminato l’evoluzionismo con particolare attenzione al suo contesto storico-culturale, alla sua nascita e al suo sviluppo, ai suoi protagonisti e alla sua eredità. Gaudin, Claude Platone e l’alfabeto a cura di Ronchi Ronco, traduzione di Tassinari Maria Egea, agosto 1995 pp.318, £.40.000. Viene analizzato il pensiero platonico relativo alla concezione dell’alfabeto sotto diversi aspetti: storico, pedagogico e filosofico. Mette, inoltre, in luce sia l’importanza filosofica del principio di giustezza ortografica e ortofonica. Tale riflessione conduce al nucleo centrale della filosofia platonica: la dialettica. Gaukroger, Stephen Descartes An Intellectual Biography Oxford UP, giugno 1995 pp. 608, £ 25 Gaukroger, un’importante autorità per quanto riguarda Cartesio, traccia il suo sviluppo intellettuale, partendo dall’infanzia, mostrando i collegamenti tra la sua vita intellettuale e personale e situando questi a loro volta all’interno del contesto culturale dell’Europa del diciassettesimo secolo. Georgopoulos, N. - Heim, M. Being Human in the Ultimate. Studies in the Thought of John M. Anderson Rodopi, luglio-agosto 1995 pp. 346, FOL 150 Per John M. Anderson la filosofia, NOVITÀ IN LIBRERIA come l’amore per la saggezza, è una preoccupazione per ciò che è definitivo e supremo. I saggi di questo volume colgono perfettamente questo modo di considerare la filosofia e sono quindi risposte a ciò che è supremo. Geras, Norman Solidarity in the Conversation of Humankind: The Ungroundable Liberalism of Richard Rorty Verso, giugno 1995 pp. 240, UK £13.95 Con l’aiuto dell’opera di Richard Rorty - un sostenitore del liberalismo radicale umano - questo studio analizza i paradossi di una filosofia che respinge qualsiasi precisa visione della natura umana. Il libro si occupa di questioni importanti per la filosofia etica. Giannantoni Gabriele (a cura di) La tradizione socratica: seminario di studi Seminario di studi, luglio 1995 pp.158, £.35.000. In questo libro viene esaminata la tradizione socratica da vari autori mostrando il suo influsso nella filosofia; nella tradizione accademica-scettica, nella filosofia esoterica di Platone ed anche nella filosofia heideggeriana. Giddens, Anthony Politics, Sociology and Social Theory: Encounters with Classical and Contemporary Social Thought Polity Press, giugno 1995 pp.280, UK £12.95 Questo volume, costituito da una serie di confronti critici con figure di rilievo del pensiero sociale e politico sia classico che dei giorni nostri, offre non solo una critica delle principali tradizioni dell’analisi sociale e politica, ma anche prospettive riguardanti le idee sviluppate dall’autore. Gily Reda, Clementina L’antropologia filosofica di Remo Cantoni: i miti come arabeschi Fondazione Ugo Spirito, giugno 1995 pp.326, £.35.000. Gily Reda in questo testo esamina l’antropologia, la mitologia, la morale nella prospettiva filosofica di Cantoni attraverso il dialogo con altri pensatori come Hartmann, Dostoevskij, Kierkegaard, Nietzsche, Kafka, Marx e Spirito. Giordano, Bruno De rerum principiis: una riforma della magia a cura di Nicoletta Tirinnanzi prefazione di Michele Ciliberto Procaccini, luglio 1995 pp.170, £.10.OOO. Viene presentata l’opera di Bruno sulla magia caratterizzata tra le altre cose dall’analisi dei principi della luce e delle tenebre che dominano sui segni e sui singoli pianeti. Giorello, Giulio e Sindoni, Elio L’uomo, i limiti e le speranze. Una rotta verso il Terzo Millennio Piemme, giugno 1995 Un ponte gettato tra passato e futuro, una storia che ha come protagonista l’uomo che si affaccia al terzo millennio come un essere “nuovo” ma che, per il suo “amore” e per i suoi “odi” non è poi molto diverso da quello che ha costruito le piramidi o per primo ha varcato le colonne d’Ercole. Girard, Louis L’Argument ontologique chez Saint Anselme et chez Hegel Editions Rodopi, luglio-agosto 1995 pp. 666, FOL 200 Nietzsche e Sartre si sono realmente preoccupati della possibilità di autenticità. In questo studio, analizzando l’etica di questi filosofi, Jacob Golomb esamina attentamente la loro letteratura ed i loro scritti. spettiva in cui non viene accettata nessuna idea permanente del Sé. Viene invece sviluppata l’idea dei processi mentali potenti e mutevoli. Il testo approfondice argomenti relativi all’insegnamento del non-Sé. Goodman, E. Lenn L’Universo di Avicenna Ecig, giugno 1995 pp.288, £.30.000. Si tratta di uno studio sull’opera del filosofo arabo Ibn Sinn, noto in Europa come Avicenna. Hauptli, Bruce W. The Reasonableness of Reason: Explaining Rationality Naturalistically Open Court, giugno 1995 pp. 280, UK £16.95 Questo testo dibatte la domanda:”la fiducia nella ragione richiede un’irragionevole fede nella ragione?” I fideisti (sostenitori della fede) affermano che ci sono credenze, convinzioni ed impegni che sono necessariamente al di là della ragione. Gordon, Haim - Gordon, Rivca Sartre and Evil: Guidelines for a Struggle Greenwood Press, giugno 1995 pp. 256, UK £53.95 Sartre può parlare del male - delle sue origini, degli effetti sull’uomo moderno e del modo di combatterlo - in maniera più completa di qualsiasi filosofo del XX secolo. Gli autori di questo libro esaminano le opere letterarie e filosofiche di Sartre, allo scopo di analizzare che cosa hanno da dire sulla natura del male e sui suoi effetti sulla nostra vita. Girgenti, Giuseppe Giustino Martire: il primo cristiano platonico con in appendice Atti del martirio di San Giustino presentazione di Claudio Moreschini Vita e pensiero, luglio, 1995 pp.174, £.18.000. Girgenti ripercorre le diverse interpretazioni della figura di Giustino, filosofo e martire, avanzando la sua nuova proposta: «l’identificazione Logos/Cristo fa del cristianesimo non una filosofia ma la Sophia cioè la Verità stessa». La presenza del Logos di Dio in tutti gli uomini rende questi ultimi «filosofi», in quanto ricercano la sapienza, mentre Dio nella persona storica del Cristo, è la Sapienza in sè. Griffero, Tonino Senso ed immagine: simbolo e mito nel primo Schelling Guerini Scientifica, luglio 1995 pp.356, £.38.000. Griffero esamina la nuova concezione del simbolo nel primo Schelling mostrando il suo tentativo di comprendere il carattere mitopoietico di ogni processo della realtà. L’autore valuta anche la portata euristica di questa nuova concezione del simbolo nelle tre fasi della giovanile filosofia della mitologia di Schelling. Giuntini, Claudia La chimica della mente: associazione delle idee e scienza della scienza umana da Locke a Spencer Università degli studi, Fondo di studi Parini-Chirio, giugno 1995 pp.377, £.55.000. In questo testo si profila una lettura delle dottrine lockiane che si presta a sostenere prima le istanze teologiche del determinismo di Hartley e Priestley, poi i progetti di riforma dei radicali benthamiani, infine la visione spenceriana dei rapporti tra l’articolazione dei processi psicofisici e le leggi evolutive della natura. Inoltre, il libro riporta alla luce un’interpretazione alternativa della psicologia dell’associazione, che rifiuta l’ottimismo programmatico e le tentazioni metafisiche degli “alchimisti della mente”. Grossklaus, Götz Medien-Zeit, Medien-Raum. Zum Wandel der raumzeitlichen Wahrnehmung in der Moderne Suhrkamp, luglio-agosto 1995 DM 19,80 Hammacher, Kl. - Schottkj, R. Schrader, W.H. (a cura di) Subjektivität Editions Rodopi, luglio-agosto 1995 pp. 263, FOL 75 I curatori pubblicano questo volume per conto della Johann-GottliebFichte-Gesellschaft. Harris, H. Sir (a cura di) Identity Clarendon Pr., giugno 1995 pp. 165, £ 17 Illibro contiene articoli e contributi di sei famosi studiosi. Viene esaminato il tema centrale, filosofico, dell’identità, dai punti di vista di altre discipline accademiche, che vanno dalla politica, alla letteratura, alla biologia. Gloy, Karen Bibliographie zu Hegels ’Enzyklopädie der philosphischen Wissenschaften im Grundrisse’. Primär und Sekundärliteratur 1817-1994 Frommann-Holzboog luglio-agosto 1995 pp. 123, DM 68 Harvey, Peter The Selfless Mind: Personality, Consciousness and Nirvana in early Buddhism Curzon Press, giugno 1995 pp. 260, UK £12.99 Quest’analisi del primo pensiero buddista prende in considerazione la pro- Golomb, Jacob In Search of Authenticity: Existentialism from Kierkegaard to Camus Routledge, giugno 1995 pp. 224, UK £12.99 Grandi filosofi come Kierkegaard, 87 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich Fenomenologia dello spirito (Testi a fronte) Rusconi, luglio 1995 pp.1150, £.33.000. E’ il primo volume del “Sistema della scienza” di Hegel. Viene trattato il sapere nel suo divenire, cioè le varie tappe dell’autodispiegamento dialettico dello Spirito della Storia. Heimsoeth, Heinz The six Great Themes of Western Metaphysics and the End of the Middle Ages Wayne State Univ., giugno 1995 pp. 320, UK £16.95 Questo testo passa in rassegna ed analizza l’evoluzione di circa 2500 anni di riflessioni all’interno della cultura occidentale riguardo sei problemi fondamentali della metafisica: Dio ed il mondo; l’infinito ed il finito; l’anima ed il mondo esterno; l’essere e la vita; l’individuo; l’intelletto e la volontà. Held, George F. Aristotele’s Teleological Theory of Tragedy and Epic Winter, luglio-agosto 1995 pp. 159, DM 48 Hereth, Michael Montesquieu zur Einführung Junius, giugno 1995 pp. 200, DM 24,80 Heydrich, Wolfgang Relevanzlogik und Situationssemantik de Gruyter, giugno 1995 pp. 328, DM 218 Si tratta della presentazione di una nuova teoria dei significati delle lingue naturali, che si esprime anche nel tentativo di gettare un ponte tra le teorie del significato riguardanti la referenza (quelle logiche e della filosofia della lingua) e quelle legate alla rappresentazione (linguistiche e psicologiche). Höffe, O. (a cura di) Aristoteles: Die Nikomachische Ethik Akademie Vlg., giugno 1995 pp. 250, DM 29,80 I tredici contributi raccolti in questo NOVITÀ IN LIBRERIA volume presentano sia le basi dell’indagine aristotelica che lo scenario moderno che caratterizza la ricezione dei fondamenti di Aristotele. pp. 324, UK £45 In questo libro, Lord Henry Home di Kames non dice ai suoi lettori che cosa pensare, ma come pensare. Hoffmann, T.S. - Majetschak, St. (a cura di) Denken der Individualität. Festschrift für Josef Simon zum 65. Geburtstag de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 421, DM 238 Vengono qui raccolti degli studi riguardo al problema dell’identità nella soggettività e nell’essere, nella natura e nell’arte. Home, Henry Sketches of the History of Man Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 1896, UK £240 Lord Henry Home di Kames raccolse il materiale per quest’opera in un periodo di oltre trentanni prima della stesura della stessa e scelse le illustrazioni e gli esempi da numerose fonti. Höfliger, Jean-Claude Jacques Derridas Husserl-Lektüren Königshausen & Neumann giugno 1995 pp. 176, DM 38 Lo scopo principale di questo studio - che costituisce anche la tesi di laurea, tenuta da Höfliger presso l’università di Zurigo nel ’94 - è di stabilire quale fu la prospettiva di lettura che portò, negli anni ’60, al contrasto ed allo scontro tra Jacques Derrida e la fenomenologia di Edmund Husserl. Hogrebe, W. (a cura di) Fichtes Wissenschaftslehre 1794. Philosophische Resonanzen Suhrkamp, luglio-agosto 1995 pp. 240, DM 19,80 Hohmann, W.L. (a cura di) Glück. Möglichkeiten Un-Möglichkeiten. Vorträge aus dem 5. Verlagskolloquium 1994 in Essen Die Blaue Eule, luglio-agosto 1995 pp. 256, DM 58 Homann, Arne Diltheys Bruch mit der Metaphysik. Die Aufhebung der Hegelschen Philosophie im geschichtlichen Bewußtsein Alber, luglio-agosto 1995 pp. 352, DM 94 Home, Henry Essays on Several Subjects Concerning British Antiquities Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 220, UK £30 Di questo testo, scritto durante la rivolta giacobina del 1745, David Hume disse che «i ragionamenti sono solidi, le congetture ingegnose ed il tutto risulta istruttivo». Home, Henry Essays on the Principles of Morality and Natural Religion Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 390, UK £50 Nato come risposta al Trattato sulla natura umana di David Hume (17391740), questo saggio è una discussione filosofica di una serie di problemi fondamentali per l’Illuminismo scozzese. Il testo illustra anche l’interesse intellettuale di Lord Henry Home di Kames per la filosofia, la legge e la cultura. Home, Henry Introduction to the Art of Thinking Thoemmes Press, giugno 1995 della religione, per fornire una risposta alla domanda del perché ci compiacciamo della tragica descrizione dell’umana sofferenza ed ai motivi per cui un giudizio estetico può essere più valido di un altro. Hüntelmann, Rafel Schellings Philosophie der Schöpfung. Zur Geschichte des Schöpfungsbegriffs Röll, giugno 1995 pp. 268, DM 48 Hursthouse, Rosalind Virtues and Reasons: Essays in Honour of Philippa Foot Clarendon Press, giugno 1995 pp. 336, UK £30 Quest’opera è un tributo a Philippa Foot, considerata come uno dei più originali e rispettati filosofi degli anni recenti. Dodici eminenti filosofi, dalle due sponde dell’Atlantico, presentano saggi che illustrano argomenti di filosofia morale, ai quali lei ha contribuito. Honecker, Martin Grundriß der Sozialethik de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 790, DM 78 Il volume fornisce una panoramica complessiva che riguarda temi centrali di sei settori della vita: vita e salute (Medizinische Ethik , l’etica medica); matrimonio, famiglia e sessualità; natura e ambiente; politica e Stato; economia; cultura e diritto. Hooker, C.A. Reason, Regulation, and Realism. Toward a Regulatory Systems Theory of Reason and Evolutionary Epistemology State Univ. of New York Pr., luglio-agosto 1995 pp. 433, $ 25 Utilizzando una sintesi di filosofia e nuove scienze dei sistemi di adattamento complesso, Hooker dimostra come la ragione umana ed il sapere umano siano parte dei sistemi della natura. Irigaray, Luce L’oblio dell’aria a cura di Resta Caterina Boringhieri, luglio 1995 pp. 176, £.20.000. Questo libro è dedicato a Heidegger e ripropone alcune tematiche care all’autrice, come i rischi dell’autodistruzione di un mondo sempre più tecnologico e indifferente alle voci della natura. Jamme, Ch. Weisser-Lohmann, E. (a cura di) Politik und Geschichte. Zu den Intentionen von G.W.F. Hegels Reformbill-Schrift Bouvier, giugno 1995 pp. 320, DM 120 Questa raccolta documenta i contributi da parte degli storici e dei filosofi intervenuti ad un colloquium internazionale, tenutosi presso la Ruhr-Universität di Bochum dal 30 settembre al 2 ottobre del ’92. Horn, Christoph Plotin über Sein, Zahl und Einheit. Eine Studie zu den systematischen Grundlagen der ‘Enneaden’ Teubner, giugno 1995 pp. 350, DM 110 Hubbert, Joachim Untersuchungen zur philosophischen Ästhethik vol. I: Kunst als Lehre vom ‘Begriff’ und von der ’Neuen Unmittelbarkeit’ Brockmeyer, giugno 1995 pp. 128, DM 29,80 Janssen, Paul et. al. Philosophie der UnVerbindlichkeit. Einführungen in ein ausstehendes Denken Könighausen & Neumann giugno 1995 pp. 240, DM 48 Nessuna teoria della filosofia è riuscita ad affermare la sua validità a livello generale. Quindi vale la pena di porre un’altra volta e diversamente la domanda su ciò che la particolarità del filosofare ed il carattere vincolante dell’affermazione filosofica potrebbero costituire. I contributi a questo volume possono essere situati in questa fase di crisi della filosofia. Hubbert, Joachim Untersuchungen z ur philosophischen Ästhethik vol. II: Kunst in der ‘Perspektive’ und ohne ‘Leitbild’ Brockmeyer, giugno 1995 pp. 149, DM 29,80 Hubig, Christoph Technik- und Wissenschaftsethik. Ein Leitfaden Springer, luglio-agosto 1995 pp. 200, DM 58 Si tratta della seconda edizione di questo libro. Jaspers, Karl La filosofia dell’esistenza a cura di Penzo Giorgio traduzione di Kirch Ursula La Terza, agosto 1995 pp.144, £.16.000. Filosofo dell’esistenza e psicologo, l’autore affronta concetti come ragione, verità, realtà, democrazia, politica. Hume, David Four Dissertations Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 258, UK £14.99 In questo volume Hume usa teorie già sviluppate nel suo Trattato sulla natura umana per spiegare l’origine 88 Kamm, F.M. Morality, Mortality: Rights, Duties and Value vol. 2 Oxford UP Inc, giugno 1995 pp. 352, UK £37.50 Con questo secondo volume, l’autrice continua lo sviluppo di una teoria etica non consequenzialista e delle sue applicazioni ai problemi etici pratici. La Kamm esamina la distinzione tra ammazzare e lasciare morire, i concetti dei diritti, delle prerogative e della super-erogazione. Kant Immanuel Critica della ragion pura a cura di Chiodi Pietro Tea, luglio 1995 pp.706, £.28.000. Kant, Immanuel Critica della ragion pura traduzione di Giorgio Colli Adelphi, agosto 1995 pp.910, £.30.000. Viene presentata l’opera fondatrice del pensiero moderno. Kimmerle, H. (a cura di) Poesie und Philosophie in einer tragischen Kultur. Texte eines Hölderlin-Symposium mit einem Bildteil Königshausen & Neumann luglio-agosto 1995 pp. 144, DM 48 Kirkham, Richard L. Theories of Truth: A Critical Introduction A Bradford Book, giugno 1995 pp. 416, UK £14.95 Questo studio passa in rassegna le maggiori teorie filosofiche della verità. Il testo comprende discussioni di teorie quali le teorie delle corrispondenza, della coerenza, pragmatiche, semantiche, esecutive, della ridondanza, della valutazione e della verità come giustificazione. Kiss, Endre Studien zur österreichischen Philosophie Junghans, luglio-agosto 1995 pp. 300, DM 48 Koncsik, Imre Die Gottesfrage aus anthropologischer Perspektive. Versuch einer Philosophie des Selbstseins Tectum-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 116, DM 29,80 Kornwachs, Kl. - Jacoby, K. (a cura di) Information. New Questions to a Multidisciplinary Concept Akademie-Vlg., giugno 1995 pp. 32O, DM 120 Questo volume è basato sugli interventi tenuti alla conferenza di Cottbus (marzo ’94), riguardanti gli aspetti multidisciplinari della teoria dell’informazione. Gli aspetti teoretici, fisici, biologici, filosofici, linguistici e sociologici vengono analizzati, per giungere ad un’estesa comprensione dell’informazione, considerata come NOVITÀ IN LIBRERIA un concetto fondamentale per la nostra epoca. stioni: la fondazione della morale e la libertà della volontà. Krüger, L. - Falkenburg, B. (a cura di) Physik, Philosophie und die Einheit der Wissenschaften Spektrum, luglio-agosto 1995 pp. 300, DM 78 I numerosi contributi di diversi autori, alcuni scritti in lingua inglese, qui raccolti offrono un’immagine ricca di sfaccettature, una rappresentazione controversa dell’origine, delle possibilità e dei limiti di un’unità della conoscenza della natura. Questi sono alcuni temi trattati: l’unità nel pensiero, la fisica del tempo e dello spazio, la cosmologia e la storia della natura, il sapere nella teoria e nella storia. Lauriola, Giovanni (a cura di) Antropologia ed etica politica Centro studi personalisti Giovanni Duns Scoto, luglio 1995 pp.273, £.40.OOO. Il tema così ampio e complesso del III Convegno Internazionale, organizzato dal Centro Studi Personalisti “Duns Scoto” dal titolo Antropologia ed Etica Politica, è stato trattato da diversa angolatura scientifica e filosofica, per assicurare, attraverso la vasta gamma di interventi, una presentazione più ampia e profonda possibile dell’argomento. Kühn, Rolf Sinn - Sein - Sollen. Beiträge zu einer phänomenologischen Existenzanalyse in Auseinandersetzung mir dem Denken Viktor E. Frankls Junghans, luglio-agosto 1995 pp. 222, DM 55 Si tratta della terza edizione di questo libro Kuokkanen, M. (a cura di) Idealization VII: Structuralism, Idealization and Approximation Rodopi, giugno 1995 FOL 170 Il volume tratta dei seguenti argomenti: l’idealizzazione, l’approssimazione e counterfactual (frasi condizionali, in cui la prima proposizione è al congiuntivo paiù che perfetto ed esprime qualcosa contrario ai fatti) nel contesto strutturalista. L’idealizzazione, l’approssimazione e la formazione della teoria. L’idealizzazione, l’approssimazione e la misurazione. Kutschera, Franz von Platons ‘Parmenides’ de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 171, DM 48 Si tratta dell’interpretazione di uno dei più importanti dialoghi di Platone. Il testo presenta citazioni originali in greco. Kymlicka, Will Multicultural Citizenship. A Liberal Theory of Minority Rights Clarendon Pr., luglio-agosto 1995 pp. 280, £ 20 Tramite questo saggio critico, quest’importante filosofo della sua generazione fornisce un’indagine accurata della tematica multiculturale. Landucci, Sergio Sull’etica di Kant Guerini, luglio 1995 pp.413, £.68.000. Le opere maggiori di Kant sull’etica vengono studiate, in questo volume, in una prospettiva nettamente evolutiva. E’ possibile infatti, alla luce delle differenze di fondo di queste opere, individuare una linea di sviluppo del pensiero kantiano, che si manifesta soprattutto relativamente a due que- ta la difesa degli studi umanistici, contro quei nietzschiani come Leo Strauss e Derrida. Liebert, Georges Nietzsche et la musique PUF, giugno-luglio 1995 pp. 288, F 148 Prima di consacrarsi alla filosofia, Nietzsche componeva. Il filosofo ha fatto dimenticare il musicista. Nonostante questo, la musica occupa un posto estremamente importante nell’opera di Nietzsche e, per capire il suo pensiero, è altrettanto importante conoscere Tristano e Parsifal che conoscere le opere di Schopenhauer, Kant e Heidegger. Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. Le Moigne, Jean-Louis Les épistémologies constructives PUF, agosto 1995 pp. 128, F 40 Poiché l’epistemologia è “lo studio della costituzione delle conoscenze valide”, non è forse legittimo interrogarsi sulla natura, sui metodi e sull’organizzazione di queste conoscenze? Nel momento in cui emergono tutte le parti inter-disciplinari e transdisciplinari, questa presentazione dell’epistemologie costruttiviste propone le risposte a queste domande. Lister, Peter Diritto di vivere, diritto di morire. Storia di un’eutanasia Esi, luglio 1995 pp.100, £.15.000. Vengono analizzate le implicazioni morali e religiose intorno all’eutanasia: soluzione feroce e nazista o in sintonia con la solidarietà umana. Lister, Peter 1997: l’eutanasia in Italia: un racconto filosofico e politico Edizioni scientifiche italiane, settembre 1995 pp.100, £.15.000. Questo racconto filosofico e politico aiuta a riflettere immaginando che cosa potrebbe accadere in Italia se l’eutanasia fosse legalizzata nel prossimo futuro, diciamo nel 1997: come suppone Lister, visto che nelle more della stampa anche l’Australia ha legalizzato la «buona morte», mentre i medici italiani hanno approvato un Codice deontologico più garantista. L’ipotesi si esprime in un vero caso poliziesco. Non si può dire come va a finire. Servirà al lettore solo a pensare meglio e di più l’eutanasia e la bioetica. Lenk, Hans Interpretation und Realität. Vorlesungen über Realismus in der Philosophie der Interpretationskonstrukte Suhrkamp, giugno 1995 pp. 268, DM 19,80 Lecaldano, Eugenio Etica Utet libreria, agosto 1995 pp.247, £.28.000. Il libro si propone di offrire un quadro sistematico delle principali concezioni filosofiche che oggi operano sulla natura dei problemi morali, sui modi di discutere e ragionare intorno ad essi e sui princìpi validi per risolverli. Questa ricostruzione viene raccordata con un esame dell’eredità della filosofia morale dal XVII secolo a oggi. Infine l’esposizione propone una valutazione critica delle teorie discusse. Llewelyn, John Emmanuel Levinas: The Genealogy of Ethics Routledge, giugno 1995 pp. 248, UK £12.99 Si tratta di uno studio del’opera di Levinas. Ripercorrendo la sua opera filosofica in ordine più o meno cronologico, il libro mostra come l’ argomentazione di Levinas - cioè che la metafisica è anarchicamente etica derivi dalla tradizione culminante con Hegel e dal pensiero di contemporanei come Husserl e Heidegger. Levergois, Bertrand Giordano Bruno Fayard, giugno-luglio 1995 F 170 Contemporaneo di Montaigne, Giordano Bruno è uno dei grandi filosofi della fine del Rinascimento. Questa biografia fa il punto di una vita spesso mitizzata. B. Levergois ci mostra come questo eretico della ragione fosse in rottura con il suo tempo, ma non necessariamente con il nostro. Il libro è indirizzato al grande pubblico. Logue, James I.J. Projective Probability Clarendon Press, giugno 1995 pp. 192, £ 25 Questo libro presenta una nuova teoria della probabilità e del giudizio della probabilità: il soggettivismo fortemente coerentista. Questa teoria propone una prospettiva quasi realista, in cui le probabilità vengono viste come proiezioni di valutazioni soggettive. Levine, Peter Nietzsche and the Modern Crisis of the Humanities. State Univ. of New York Press luglio-agosto 1995 pp. 256, $ 19 Il libro è una critica alla teoria della cultura di Nietzsche. Levine propone un paradigma alternativo che permet- 89 Losurdo, D. (a cura di) Zukunft des Marzismus. Kolloquium der Internationalen Gesellschaft für Dialektische Philosophie, Societas Hegeliana, Forio d’Ischia, 19.-21. September 1991 Dinter, luglio-agosto 1995 pp. 125, DM 29,80 Lowe, Jonathon Locke on Human Understanding Routledge, giugno 1995 pp. 224, UK £6.99 Questo libro guida attraverso un’analisi dell’opera più importante di Locke, il Saggio sull’intelletto umano che risulta essere un’opera fondamentale per molti settori della filosofia e soprattutto per l’epistemologia, la metafisica, la filosofia della mente e della lingua. Löwith, Karl Von Hegel zu Nietzsche. Der revolutionäre Bruch im Denken des neunzehnten Jahrhunderts Meiner, giugno 1995 pp. 466, DM 78 Lycan, William G. Consciousness A Bradford Book, giugno 1995 pp. 184, UK £13.50 Questo volume offre una rassegna di svariati punti di vista filosofici sulla coscienza, includendo quelli di Kripke, Block e Campbell. L’autore di questo testo dimostra come ogni punto di vista in opposizione ad un altro possa essere collocato in una sua cornice di idee o di principi. Egli definisce questa originale teoria della mente “funzionalismo omuncolare”. Maddoli, Gianfranco (a cura di) L’Athenaion politeaia di Aristotele. 1891-1991 Per un bilancio di cento anni di studi Esi, luglio 1995 pp.316, £.40.000. Si tratta degli atti dell’omonimo convegno del 1991 tenutosi ad Acquasparta, che ha riassunto cento anni di studi aristotelici. Mainzer, Klaus Computer - Neue Flügel des Geistes? Die Evolution computergestützter Technik, Wissenschaft, Kultur und Philosophie de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 882, DM 78 Questo libro analizza le domande teoretico-conoscitive legate alla matematica, alle scienze naturali ed alle scienze culturali quando utilizzano i metodi informatici e propone una filosofia dello spirito che tiene conto anche delle nuove tecnologie. Maker, William Philosophy without Foundations. Rethinking Hegel State Univ. of New York Pr., giugno 1995 pp. 288, $ 20 A partire dalla fine degli anni ’60, la NOVITÀ IN LIBRERIA filosofia contemporanea ha iniziato a riscosprire lo Hegel “radicale”, seppellito sotto le interpretazioni “oziose” del passato. Questo libro porta avanti questo progetto. Mancini Roberto L’ascolto come radice: teoria dialogica della verità Edizioni scientifiche italiane, giugno 1995 pp.364, £.36.000. In questo libro Mancini opponendosi al pensiero occidentale basato sul paradigma ottico ed implicante la tesi dell’esistenza di una verità assoluta, propone una teoria dialogica della verità intesa come vivente ed in continuo divenire, che ha il suo fondamento nella dinamica dell’ascolto come radice primaria dell’esperienza e come rivelazione del divino. Manfreda, Luigi Antonio Aporie del simbolo: saggio su Otto Weininger Liguori, giugno 1995 pp.193, £.24.000. Il saggio di Manfreda analizza le valenze filosofiche dell’opera weiningeriana, al di là degli psicologismi volti all’elemento biografico o dell’enfatizzazione di quell’aspetto che nella storia delle interpretazioni doveva fatalmente divenire il suo segno distintivo: la definizione della donna come nulla, pura espressione dell’elemento materiale che distrae l’uomo dalla vita dell’ascesi come emerge nel suo libro Sesso e carattere. Marchetti, Antonio Riscoprire Vico. Attualità di una metafisica della storia Dante Alighieri, luglio 1995 pp.208, £.30.000. Questo libro è uno studio monografico su Giambattista Vico. coprono tutti i diversi aspetti del pensiero di Hobbes. salità. The Facts of Causation è un importante studio di uno dei filosofi più rilevanti a livello mondiale, riguardante uno degli argomenti filosofici più a lungo dibattuti. Masi, Giuseppe Lo spiritualismo ellenistico: la grande svolta del pensiero occidentale Clueb, agosto 1995 pp.189, £.23.000. La «grande svolta» che viene presa in esame in questo libro è quella che caratterizza il trapasso dall’oggettivismo naturalistico della filosofia greca classica (Platone e Aristotele inclusi) al soggettivismo antropocentrico della «nuova filosofia» che è maturata in Grecia in epoca tardoellenistica a cominciare da Panezio di Rodi e da Posidonio di Apamea, primi araldi di una concezione «spiritualistica» in quanto pone a fondamento esplicativo di ogni realtà lo Spirito, per giungere fino al cristianesimo. Merrill, John C. Legacy of Wisdom: Great Thinkers and Journalism Iowa State Univ., giugno 1995 pp. 200, UK £22.50 Si tratta di un’introduzione a trenta filosofi importanti a livello mondiale ed ai loro sistemi etici, così come vengono applicati al giornalismo. Il libro costituisce una base dalla quale possono poi partire analisi ulteriori. La scelta dei filosofi qui trattati include Confucio, Platone, Machiavelli, Milton, Locke, Voltaire, Kant e Murdoch. Metzinger, Th. (a cura di) Bewußtsein. Beiträge aus der Gegenwartsphilosophie Schöningh, giugno 1995 pp. 440, DM 258 Maso Stefano, Franco Carlo (a cura di) Sofisti: Protagora, Gorgia, Dissoì Lógoi: una reinterpretazione dei testi Zanichelli, luglio 1995 pp.239, £.25.000. Ai sofisti va ascritto il merito di essersi per primi interrogati sull’interrogare medesimo, mantenendo al fondo l’«essere» nella sua ineffabilità ed introducendo in superficie il soggetto che considera il suo considerare qualcosa. Leggendo i testi frammentari di Protagora, Gorgia e i cosiddetti dissoì lógoi si vorrebbe stimolare una riflessione sulla condizione dell’uomo d’oggi, inevitabilmente aperto, a causa della propria intelligenza al «gioco» e al «dramma» della dimensione sofistica. Marciszewski, W. - Murawski, R. Mechanization of Reasoning in a Historical Perspective Editions Rodopi, luglio-agosto 1995 pp. 267, FOL 120 Il volume si occupa di questi fenomeni in senso storico, a partire dal XIX secolo, fino ad arrivare alle moderne indagini sulla formalizzazione, l’algebrizzazione e la meccanizzazione del ragionamento. Max, I. - Stelzner, W. (a cura di) Logik und Mathematik. Frege-Kolloquium 1993 de Gruyter, giugno 1995 pp. 553, DM 270 Si tratta del secondo volume del libro comparso nel ’93, dal titolo Philosophie und Logik. Nei due volumi compaiono quindi contributi in tedesco ed in inglese relativi alla filosofia ed alla logica di Gottlob Frege (18481925), alle linee che caratterizzano, attualmente, la discussione delle logiche di tipo non classico e il concetto di informazione. Marco Aurelio Pensées pour moi-même tr. dal greco Frédérique Vervliet a cura di Ernest Renan Arléa, agosto 1995 pp. 256, F 45 Si tratta di un esame di coscienza quasi giornaliero dell’imperatore romano, molto ispirato dalla dottrina stoicista, che si esprime qui in greco. Mayer, Michael Transzendenz und Geschichte. Ein Versuch im Anschluß an Lévinas und seine Erörterung Heideggers Die Blaue Eule, luglio-agosto 1995 pp. 400, DM 53 Si tratta della tesi di laurea, tenuta da Mayer presso l’Università di Friburgo nel ’94. Martinich, A.P. A Hobbes Dictionary Blackwell, luglio-agosto 1995 pp. 400, £ 15 Questo dizionario fornisce un’esposizione ed una spiegazione completa e coesa, raccolta in circa centocinquanta voci, di concetti-chiave che Mellor, D.H. The Facts of Causation Routledge, luglio-agosto 1995 pp. 256, £ 35 Nonostante ci siano stati molti progressi, si attende ormai da troppo tempo un resoconto completo sulla natura e sulle conseguenze della cau- Millikan, Ruth Garrett White Queen Psychology and other Essays for Alice A Bradford Book, giugno 1995 pp. 400, UK £15.75 Questa raccolta di saggi serve sia come introduzione a Language, Thought, and Other Biological Categories di Ruth Millikan che come estensione ed applicazioni dei temi centrali della Millikan, specialmente per quanto riguarda la filosofia della psicologia. Minois, Georges Piccola storia dell’inferno Mulino, luglio 1995 pp.120, £.16.000. Un piccolo viaggio nell’universo degli inferi ci insegna che l’idea di inferno è antica quanto la coscienza dell’umanità. Luogo infausto dell’aldilà o condizione di angoscia esistenziale già di questa terra, l’inferno è lo specchio della condizione umana e dei suoi fallimenti. Meuter, Norbert Narrative Identität. Das Problem der personalen Identität im Anschluß an Ernst Tugendhat, Niklas Luhmann und P Ricoeur M & P, giugno 1995 pp. 300, DM 39,80 Mittelstaedt, P. (a cura di) Ethik und wissenschaftlicher Fortschritt. Veranstaltung in der Halle des Historischen Rathauses zu Köln am 23. Juni 1994 Bouvier, giugno 1995 pp. 92, DM 24 Meyer, Michel Science et métaphysique chez Kant PUF, giugno-luglio 1995 pp. 256, F 62 La Critica della ragion pura cerca di fondare la metafisica o di consolidare la scienza? Questa domanda trova la sua origine nella differenza, finora rimasta inspiegata o semplicemente negata, tra le due edizioni della Critica . Queste due versioni, radicalizzandosi dopo Kant, sfoceranno una nell’idealismo e l’altra nel positivismo. Mohrs, Thomas Hobbes: Soziobiologie und Erdpolitik Akademie-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 450, DM 84 Sulla base dell’antropologia di Hobbes, che viene presentata in maniera esaustiva, il libro svolge un’indagine relativa a problemi politici attuali: la situazione della comunità di Stati internazionale, lo sviluppo della popolazione mondiale, la minaccia del collasso a livello ecologico. Miccoli, Paolo Corso di estetica Urbaniana university press, luglio 1995 pp.213, £.22.000. Questo corso di estetica insegue le seduzioni ed il fascino della bellezza artistica, sondandone la natura misteriosa sia nel gesto produttivo della forma poetica, sia nella fruizione estasiante dell’opera d’arte. In quanto riflessione razionale sul bello e sull’arte, l’estetica è mediazione teorica tra l’artista e il pubblico: è funzione “obliqua” rispetto alla creazione dell’artista ossia alla poíesis. Moreno, Jonathan D. Bioethics and Moral Consensus Oxford UP Inc, giugno 1995 pp. 192, UK £25. Sebbene sia una disciplina ancora giovane, la bioetica gioca un ruolo influente nei dibattiti riguardanti la difesa della salute nella nostra società. Questo studio affronta il tema complesso dei valori morali da punti di vista filosofici, storici e socio-scientifici. Miller Jr, Fred D. Nature, Justice, and Rights in Aristotle’s ‘Politics’ Clarendon Press, giugno 1995 pp. 384, UK £40 Questo studio del testo di Aristotele si oppone all’idea che il concetto dei diritti sia alieno al pensiero di Aristotele, portando a prova dell’opinione di Miller la descrizione di come la teoria della giustizia di Aristotele sia in realtà una pretesa di diritti indivi- 90 duali, che sono sia politici che basati sulla natura. Moritz, Helmut Science, Mind and the Universe. An Itroduction to Natural Philosophy Wichmann, giugno 1995 pp. 298, DM 98 Morris, Paul - Herztberg, Arthur Rosenzweig Peter Halban, giugno 1995 pp. 176, UK £7.99 Franz Rosenzweig (1886-1929), il teologo ebreo-tedesco, è attualmente considerato uno dei pensatori religiosi moderni più profondi. NOVITÀ IN LIBRERIA Morton, Adam A Guide through the Theory of Knowledge Thoemmes Press, giugno 1995 pp. 128, UK £9.99 Si tratta di una guida alla teoria della conoscenza che fa riferimento alla Ricerca sull’intelleto umano di Hume, alle Meditazioni di Cartesio ed ai Problemi di filosofia di Russell. Descrive gli argomenti-chiave - giustificazione, percezione, certezza e probabibilità, conoscenza della mente - ed i legami che li uniscono. Moscone, Maurizio Filosofia ermeneutica oggi Studium, giugno 1995 pp.163, £.24.000. In questo volume sono ripercorse, nei loro momenti essenziali, le tappe fondamentali che le teorie interpretative hanno compiuto da Spinoza a Ricoeur e viene mostrato come l’ermeneutica sia la disciplina che ha di mira l’interpretazione non solo del significato dei testi, ma anche del senso della realtà. In particolare, vengono prese in considerazione le critiche che Hebermas, Hirch e Albert hanno rivolto a Gadamer e le risposte ad esse da parte di questo. Moser, P. - Trout, J.D. (a cura di) Contemporary Materialism. A Reader Routledge, luglio-agosto 1995 pp. 400, £ 17 Il volume raccoglie articoli-chiave di molti filosofi contemporanei di tutto rilievo. Ogni autore è stato invitato a produrre uno scritto che desse ulteriori informazioni e completasse il precedente, allo scopo di affermare il progresso e lo sviluppo di questo campo, fin dalla comparsa del materialismo classico contemporaneo. Mourral, Isabelle - Millet, Louis Petite encyclopédie philosophique Ed. universitaires giugno-luglio 1995 pp. 395, F 148 In questa enciclopedia, le parole non trovano solo una definizione o un’analisi dei loro diversi significati, ma anche un articolo che riguarda i problemi da essi sollevati. Attraverso i nomi degli autori trattati, si arriva ad un’esposizione dei grandi orientamenti del loro pensiero. Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. Müller, Anselm Windfred et al. Ende der Moral? Kohlhammer, giugno 1995 pp. 200, DM 29 Ende der Moral? descrive fenomeni, nomina fattori e scopre le radici filosofiche della crescente negazione della moralità, mostra però anche che la morale non deve temere i criteri ed i metodi adottati dalla razionalità critica. Muller, Jean-Marie Simone Weil: l’exigence de non-violence Desclée De Brouwer giugno-luglio 1995 pp. 213, F 125 J.-M. Muller, membro fondatore del Mouvement pour une alternative nonviolente (Movimento per un’alternativa non violenta), studia qui l’insieme dei testi di Simone Weil per cogliere quale sia la sua posizione riguardo alla non violenza. Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. W. Fink, luglio-agosto 1995 pp. 416, DM 98 Nietzsche Le parole e le immagini a cura di Pier G.Carizzoni A.Mondadori, luglio 1995 pp.112, £.8.000. I testi di Nietzsche riportati in questo volume sono tratti da: Adelphi Edizioni Opere 1975/1990 e da F.N.Epistolario 2 voll, Adelphi Edizioni, 1976. Le fotografie e i documenti contenuti in questo volume provengono dall’Archivio Goethe-Schiller di Weimar e sono stati forniti in occasione della mostra “Sguardo su Nietzsche”. Münster, Arno Nietzsche et le nazisme Kimé, giugno-luglio 1995 pp. 160, F 125 La storia della ricezione di Nietzsche è segnata da diversi paradossi che attestano tutti che l’opera nietzschiana è stata oggetto di molti malintesi differenti tra di loro. L’autore, specialista di questo campo, si propone di smontare questi malintesi. Nietzsche Werke. Kritische Gesamtausgabe sezioneI, vol. 1: Nachgelassene Aufzeichnungen Anfang Sommer 1852 - Sommer 1858 a cura di J. Figl de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 397, DM 188 Si tratta di un’edizione completa delle opere di Nietzsche, in 40 volumi, e 9 sezioni, fondata da G. Colli e M. Montinarie proseguita poi da W. Müller-Lauter e K. Pestalozzi. Mura Gaspare, Di Ianni Mauro Metodologia: con una guida bibliografica per lo studio della filosofia e della teologia Urbaniana University Press giugno 1995 pp.235, £.20.000. Il testo, occupandosi di metodologia scientifica si propone come un manuale didattico con lo scopo di far comprendere progressivamente allo studente la diversità esistente tra lo studio svolto nei Licei, in genere nelle scuole secondarie e il metodo di studio proprio dell’Università che attraverso i suoi corsi accademici, i seminari, le ricerche richiede fin dall’inizio una partecipazione di studio creativa e infine un contributo personale di ricerca. Nietzsche, Friederich Epistolario 1875-1879 Adelphi, agosto 1995 pp.500, £.100.000. Il terzo volume dell’epistolario che copre un quinquennio fondamentale della vita di Nietzsche, un periodo segnato dalla rottura con Schopenhauer e Wagner e da un profondo contrasto interiore. Murphy, Cornelius F. Beyond Feminism: Towards a Dialogue on Difference Catholic UP USA, giugno 1995 UK £13.50 In questo studio la discussione sulle relazioni tra uomo e donna prende l’avvio da una premessa cruciale: la lotta per l’uguaglianza dei diritti delle donne è giunta ad un punto in cui la collaborazione tra i sessi piuttosto che lo scontro è necessaria per l’evolversi del processo di uguaglianza. Nietzsche, Friederich Autobiografia attraverso l’epistolario a cura di Buttazzi Carla Piemme, agosto 1995 pp.288, £.30.000 Si tratta di una parte delle lettere di Nietzsche raccolte da Carla Buttazzi con un commento di Claudio Pozzoli. Nietzsche, Friedrich Aurore; réflexions sur les préjugés morales tr. dal tedesco di Henri Albert a cura di Angèle Kremer-Marietti LGF, giugno-luglio 1995 pp. 416, F 40 Pubblicata per la prima volta nel 1881, l’Aurora attacca e sferza un colpo decisivo al problema della morale, mettendo in opera il metodo genealogico. Denunciando il sistema costrittivo delle pratiche morali create dall’uomo e che è diventato come una seconda natura, affronta in particolar modo Platone e Schopenhauer. Il pubblico troverà interessante questo volume e gli argomenti trattati. Negro, Matteo Oltre le apparenze: filosofia della percezione di R.M. Chisholm Franco Angeli, giugno 1995 pp.184, £.22.000. Scopo del presente volume è evidenziare, alla luce dei molteplici riferimenti storico-teoretici, la genesi e l’evoluzione della teoria chisholmiana della percezione. L’orientamento di Chisholm a partire dal 1981 è di impronta soggettivistica. Egli considera essenzialmente l’apparire come una proprietà intenzionale, con la conseguenza di considerare a sua volta ogni contenuto percettivo come una proprietà del soggetto. Il self diviene così progressivamente il vero referente, diretto o indiretto delle qualità sensibili. Norris, Christopher Reclaiming the Truth: Contribution to a Critique of Cultural Relativism Lawrence & Wishart, giugno 1995 pp. 244, UK £12.99 Questo volume contiene un avvertimento polemico contro un fin troppo Neumaier, Otto Moralische Verantwortung. Beiträge zur Analyse eines ethischen Begriffs 91 facile rifiuto dei criteri correnti relativi alla verità ed ai valori nel mondo moderno. Il libro rappresenta un’ulteriore mossa della lunga battaglia di Christopher Norris contro la tendenza più estrema del post-modernismo, in particolare contro gli esponenti delle tecniche di “decostruzione”. Padula, Salvatore Rinascita culturale, rinascita sociale: apologia del primato della morale Levante, luglio 1995 pp.168, £.22.000. La finalità sostanziale del progetto filosofico avviato dall’autore con questo lavoro è il ripristino del primato della filosofia sul sapere tecnicoscientifico, della morale sulla politica e sull’economia, degli esseri umani sulle cose. Paolozzi, Ernesto Il liberalismo come metodo: Antoni, Croce, De Ruggiero, Popper Fondazione Luigi Einaudi per gli studi di politica ed economia, giugno, 1995 pp. 159, £. s.p. In questo libro Ernesto Paolozzi esamina la tematica del liberalismo evidenziando il rapporto tra natura e storia nella filosofia crociana, la restaurazione del diritto nella prospettiva di Antoni, il significato del ritorno alla ragione nella teoria di De Ruggiero e infine il falsificazionismo e l’antistoricismo nella filosofia di Popper. Pascal, Blaise I pensieri a cura di Vozza Chiara Guaraldi, giugno 1995 pp.480, £.18.000. Si tratta di una raccolta di riflessioni teologico-filosofiche. Pascal, Blaise Pensée a cura di Michel Le Guern Gallimard, giugno-luglio 1995 pp. 768, F 35 Questi frammenti destinati ad un’apologia della religione cristiana diventeranno l’opera postuma dei Pensieri. Il libro è di interesse per il grande pubblico. Peale, Norman Vincent Il pensiero positivo traduzione di Guarneri Annarita Armenia, agosto 1995 pp.160, £.20.000. Si tratta di una raccolta di riflessioni, massime, brevi frasi del “pensiero positivo”. Perini, Roberto Soggetto e storicità. Il problema della soggettività finita tra Hegel e Kierkegaard Esi, luglio 1995 pp.170, £.25.000. Viene esaminata la costituzione del soggetto umano come ente storico, quindi finito ed insufficiente, attraverso la speculazione complementare di due grandi della filosofia. NOVITÀ IN LIBRERIA Perniola, Mario et al. Oltre il desiderio e il piacere: territori dell’estremo e spaesamento Mimesis, giugno 1995 pp.160, £.22.000. In questo libro Perniola definisce “tecno-pagana” la condizione più propria del presente quotidiano considerato come territorio dell’estremo il cui modo di essere è lo spaesamento. In questa prospettiva il pensiero si configura come una sorta di esercizio di antropologia filosofica, ossia un farsi sguardo disvelante sul qui ed ora, che appare per molti aspetti opacizzato dalla vulgata multimediale. Perone, Ugo Nonostante il soggetto Rosenberg & Sellier, luglio 1995 pp.194, £.29.000. L’ermeneutica fa i conti con il soggetto, perchè ne smaschera tutti gli inganni ma non lo liquida. Attraverso le riflessioni del libro sulle vicende del soggetto nella modernità sorge un nuovo possibile soggetto, non più chiuso ed autosufficiente ma intimamente attraversato da una complessità e da una alterità che lo costituiscono. A tale soggetto è possibile affidare di nuovo il compito della filosofia come ricerca della verità. Petrucci, Armando Le scritture ultime: ideologia della morte e strategie dello scrivere nella tradizione occidentale G. Einaudi, agosto 1995 pp.186, £.60.000. Questo racconto segue un itinerario di millenni, a partire dagli inizi, dalla preistoria, e procede tra geografie e vicende svariatissime avendo come protagonisti epigrafi, iscrizioni, sculture, monumenti, graffiti, segnali ma anche quanto è stato messo in atto via via, per riprendere e sottolineare nel tempo il bisogno di indicare e testimoniare la presenza dei morti. Picardi, Filippo L’evoluzione dell’etica e la dottrina del diritto ne la metafisica dei costumi di E. Kant Abelardo, agosto 1995 pp.117, £.25.000. La metafisica dei costumi, che è il punto privilegiato di questa ricerca, deve aiutarci non solo a rispondere al problema di individuare il ruolo degli stimoli e del sentimento ma anche a cogliere i tratti distintivi della dottrina della virtù e della dottrina del diritto e quindi dei doveri e degli obblighi. Pico della Mirandola, Giovanni (1463-1494) De hominis dignitate = la dignità dell’uomo traduzione di Carlo Carena S.Berlusconi, agosto 1995 pp.221, £.32.000. La concezione pichiana dell’uomo è affidata ad uno scritto, De hominis dignitate che, originariamente concepito come premessa a novecento Conclusiones volte a racchiudere la totalità del sapere filosofico-religioso, assunse ben presto una propria autonoma e peculiare fisionomia. Tale scritto appare qui in un’edizione che a una nuova traduzione seguita dal testo latino e introdotta da due insigni studiosi contemporanei affianca la biografia dell’autore redatta dal nipote Gianfrancesco. Polidori, Fabio Necessità di una illusione: lettura di Nietzsche Guerini scientifica, luglio 1995 pp.142, £.16.000. Polidori in questo libro mette in luce come la critica di Nietzsche alla soggettività come principio unitario, come fondamento unitario a cui ricondurre la molteplicità del reale e quindi la sua attribuzione ad essa di un carattere illusorio e menzognero, non sfoci nella dissoluzione della medesima soggettività ma anzi riconduca alla considerazione del necessario mantenimento di questa illusione. Pies, I. - Leschke, M. (a cura di) John Rawls’ politischer Liberalismus J.C.B. Mohr, giugno 1995 pp. 240, DM 50 La teoria della giustizia di Rawls ha avuto un ruolo determinante nella ripresa del dibattito all’interno della filosofia politica. Nei suoi ultimi lavori, Rawls sviluppa questa sua teoria fino alla concezione di un liberalismo politico. La sua opera viene qui reinterpretata, alla luce di questa concezione. Ponzio, Augusto I segni dell’altro. Eccedenza letteraria e prossimità Esi, luglio 1995 pp.250, £.36.000. Viene compiuta una ricerca sulla comunicazione e sulle sue possibilità di riconoscere l’alterità fuori dai ruoli, dalle convenzioni e dalle immagini stereotipate. Pinchard, Bruno (a cura di) Fine folie ou La catastrophe humaniste: études sur les transcendentaux à la Renaissance Champion, agosto 1995 pp. 272, F 240 Attraverso l’essere, il vero, il bene, ed i loro giochi di opposizione e di congiunzione, scaturisce a mano a mano un’immagine del Rinascimento, che potrebbe anche essere valida come ipotesi della nascita del mondo moderno. Testo specialistico. Potrc, M. (a cura di) Philosophy of Mind and Epistemology Röll, luglio-agosto 1995 pp. 156, DM 39 Powel, J.G.F. (a cura di) Cicero the Philosopher Clarendon Pr., luglio-agosto 1995 pp. 376, £ 40 Powel cura ed introduce dodici saggi; egli presenta quindi una nuova e stimolante selezione di recenti studi di specialisti delle opere filosofiche di Cicerone, studi che fanno di Cicerone uno vero scrittore filosofico. Planty-Bonjour Guy Hegel e il pensiero filosofico in Russia (1830-1917) Guerini, agosto 1995 pp.340, £.50.000. Vengono esposte in questo libro le alterne vicende del pensiero di Hegel dai primi clamorosi successi alle successive polemiche fino all’affermarsi di una corrente neohegeliana. Privitera, Salvatore Narrare la vita alla generazione presente per le generazioni future Armando, luglio 1995 pp.154, £.30.000. Il libro è dedicato in particolar modo alla teorizzazione ed alla esemplificazione del modo narrativo di far bioetica. Inoltre, si occupa di problemi relativi alle categorie più dimenticate, come sono le generazioni future e l’embrione, o di problemi oggi emergenti, come quelli relativi alla donazione degli organi, all’uso dei farmaci ed alla dimensione politica che potrebbero essere meglio affrontati, forse, mediante il linguaggio narrativo. Platone Breviario a cura di Marcellino Claudio Rusconi, luglio 1995 pp.440, £.19.000. Si tratta di una raccolta di aforismi, citazioni e frasi “notevoli” del grande filosofo. Pleines, Jürgen-Eckhardt Teleologie als metaphysisches Problem Königshausen & Neumann luglio-agosto 1995 pp. 568, DM 98 Puech, Henri-Charles Il manicheismo traduzione di Comba Augusto Einaudi, agosto 1995 pp.500, £.68.000. Scritti in epoche differenti e su temi diversi, i saggi qui raccolti sono legati da un tema unificante: il manicheismo. L’autore si sofferma di volta in volta su un aspetto particolare del problema: la concezione della salvezza, del male, del peccato e della confessione; la musica; la liturgia e i rituali manichei; i rapporti con altre grandi eresie. Poellner, Peter Nietzsche and Metaphysics Clarendon Press, giugno 1995 pp. 352, UK £35 Questo testo offre un’interpretazione ed un giudizio critico dell’importante opera di Friederich Nietzsche su questioni tradizionalmente centrali della filosofia riguardanti la possibilità della conoscenza e la natura della realtà. Pöggeler, Otto Ein Ende der Geschichte? Von Hegel zu Fukuyama Westdeutscher Vlg., giugno 1995 pp. 38, DM 14 92 Putman, Hilary Realismo del volto umano Mulino, luglio 1995 pp.520, £.56.000. Questo libro riflette sulla necessità di intraprendere una radicale revisione del programma filosofico e di riportare la filosofia alla sua dimensione umana, colmando il divario tra lo stato attuale della disciplina e quelle aspirazioni umane che essa dovrebbe rappresentare e che in passato ha effettivamente rappresentato. Radman, Z. (a cura di) From a Metaphorical Point of View. A Multidisciplinary Approach to the Cognitive Content of Metaphor de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 460, DM 58 Si tratta di una raccolta di articoli di diverse discipline sulla metafora come figura del pensiero. Raffelt, A. (a cura di) Das Tun, der Glaube, die Vernunft. Studien zur Philosophie Maurice Blondels. ’L’Action’ 1893-1993 Echter, luglio-agosto 1995 pp. 244, DM 39 Rappe, Guido Archaische Leibererfahrung. Der Leib in der frühgriechischen Philosophie und in der außereuropäischen Kulturen Akademie Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 550, DM 120 Ci si interroga qui intorno alla funzione, costitutiva per il sistema, del sentire e delle sensazioni del corpo e poi rispettivamente anche sulle ripercussioni dell’esperienza corporale sulla nascita delle teorie filosofiche ed antropologiche nelle diverse culture. Raulet, Gérard Vaysse, Jean-Marie (a cura di) Communauté et modernité L’Harmattan, agosto 1995 pp. 348, F180 La comunità non è, contrariamente a quanto si ammette generalmente, una nozione pre-moderna o anti-moderna, bensì - come si sforza di dimostrare quest’opera - un operatore logico essenziale per il modo in cui la modernità si pensa e, contemporaneamente, un perno fondamentale intorno al quale ruota il dibattito attuale sulla “condizione post-moderna”. Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. Regebogen, A. - Fellsches, J. (a cura di) Universalistische Moral und Ethik in der Lehre Meiner, giugno 1995 pp. 171, DM 36 Regina, Umberto Servire l’essere con Heidegger Morcelliana, luglio 1995 pp.451, £.45.000. L’autore ricava dal percorso heideggeriano l’«ermeneutica della trasfigurazione». Infatti, a partire dal «senso dell’essere» il divenire, lungi dal NOVITÀ IN LIBRERIA costituire un insostenibile contraddirsi, viene letto come invito a «servire» le cose al di là di ogni prospettiva di comodo; quando l’invito è accolto la storia diviene la «trasfigurazione del mondo». Rehmann-Sutter, Chr. - Müller, Hj. (a cura di) Ethik und Gentherapie. Zum praktischen Diskurs um die molekulare Medizin Attempto-Vlg., luglio-agosto 1995 DM 39 Renault, Laurence Dieu et les créatures selon Saint Thomas d’Aquin PUF, agosto 1995 pp. 128, F 45 La scolastica inizia nel XIII secolo. Questa struttura fondamentalmente discorsiva del pensiero europeo si sviluppa fino al XVII secolo. E’ sempre nel XIII secolo che il pensiero occidentale “riscopre” Aristotele e vi si confronta. Almeno per quanto riguarda questi due aspetti, il pensiero di Tomaso d’Aquino (1225-1274) è esemplare e merita il nostro interesse. Ricci Sindoni, Paola Hannah Arendt: come raccontare il mondo Studium, luglio 1995 pp.236, £.28.000. L’autrice in questo libro più che una rigorosa ricostruzione sistematica del pensiero della Arendt, ha guardato a quelle tematiche, di sicuro spessore filosofico, che hanno orientato lo sguardo di Hannah sulle vicende storico-politiche del suo tormentato tempo così da individuare, tramite il suo speciale modo di raccontare e di amare il mondo, l’originaria specificazione della «natalità» come principio attraverso cui raccogliere lo spazio dell’«azione» e qualificare in tal senso l’ambito privilegiato del fare «politica». Richardson Jr, Robert D. Emerson: The Mind on Fire Univ California Press, giugno 1995 pp. 680, UK £27 Si tratta di uno studio su Ralph Waldo Emerson, una delle più importanti figure della storia del pensiero, della religione e della letteratura americani. Il libro prende in esame una grande quantità di materiale comprendente anche la corrispondenza tra i fratelli Emerson. Ricklin, Thomas Die ‘Physica’ und der ’Liber de causis’ im 12. Jahrhundert. Zwei Studien intr. di Ruedi Imbach Universitäts-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 128, DM 32 Riedl, R. - Delpos M. (a cura di) Die evolutionäre Erkenntnistheorie im Spiegel der Wissenschaften WUV-Univ.-Vlg., giugno 1995 pp. 300 Riesenhuber, Heinz Ethik inWissenschaft und Technik C.F. Müller, luglio-agosto 1995 pp. 24, DM 18 rapporto medico-malato, il significato della bioetica, la formazione e l’insegnamento della bioetica, i legami tra filosofia, teologia e bioetica, tra diritto e bioetica, tra psicologia ed etica medica, tra sociologia, medicina sociale e bioetica, la dimensione della genetica, il problema ontologico e giuridico della vita umana nascente, quello della procreazione assistita, il maltrattamento del bambino, la situazione del malato terminale, la sperimentazione sull’uomo, i trapianti d’organo, i problemi etici e di criminologia ed infine la medicina tradizionale cinese. Riolo, Franco Etica degli affari e codici etici aziendali Edibank, agosto 1995 pp.267, £.42.000. Spaziando dagli Stati Uniti all’Europa per soffermarsi a lungo sull’Italia, Franco Riolo analizza a fondo il codice etico aziendale, che è uno strumento assai diffuso nei paesi di cultura protestante, con il quale l’azienda orienta i propri dipendenti sugli atti da evitare e quelli da compiere al fine di salvaguardare e valorizzare l’integrità e l’immagine aziendale. Per l’autore, l’etica degli affari è in fondo etica delle regole e requisito indispensabile per un capitalismo maturo. Rossi, Paolo Naufragi senza spettatore: l’idea di progresso Il mulino, luglio 1995 pp.149, £. 18.000. Questo libro affronta i mutamenti ai quali sono state sottoposte le nozioni di «crescita» e di «progresso». Lo fa richiamandosi ai testi di filosofi, scienziati, letterati, rimescolando le carte, mettendo in discussione molti luoghi comuni consolidati, prospettando ai disinvolti costruttori di «quadri epocali» una impressionante serie di anomalie. La storia delle idee coincide qui con il piacere di scoprire, mettere in relazione, organizzare un percorso, mettere in causa direttamente o indirettamente le certezze del presente. Rodano, Paola L’irrequieta certezza: saggio su Cartesio Bibliopolis, luglio 1995 pp.321, £.50.000. Dedicato alla filosofia di Cartesio e in particolar modo all’opera maggiore le Meditazioni, questo libro ne riesamina i nodi classici: la struttura della mente come logica e volontà, il dubbio e il «genio maligno»:, il cogito, le verità eterne e Dio. Attraverso un percorso di lettura analitica e rigoroso, il lavoro approda ad un’originale interpretazione del pensiero cartesiano, che si rivela segnato dalla tensione tra due prospettive teoriche difficilmente compatibili e di diversa qualità filosofica. Rossi, Paolo (a cura di) La filosofia vol 4° Utet, giugno 1995 pp.2.100, £.400.000. Viene attuata una ricostruzione del quadro complessivo della filosofia contemporanea. Si articola in 4 volumi : “Le filosofie speciali”, “La filosofia e le scienze”, “Le parti della filosofia”, “Stili e modelli teorici del Novecento”. Offre approfondite analisi su problemi, metodi, tendenze, temi, esprimendo in modo compiuto che cosa, oggi, è di fatto, la filosofia. Rohls, Jan Storia dell’etica Mulino, luglio 1995 pp.508, £.46.000. In questo libro si trova una sintesi della storia dell’etica dall’antichità al nostro secolo. L’etica è qui considerata in un’ampia prospettiva di filosofia pratica che pone al centro dell’analisi il nesso tra bene individuale e bene sociale. Una storia dell’etica giocata sulle coppie fede/libertà, individuo/società e particolarmente attenta alle grandi scansioni storiche. Rullmann, Marit et al. Philosophinnen vol. II: Von der Romantik bis zur Moderne Edition Ebersbach luglio-agosto 1995 DM 58 Un’opera classica che riesce ad insegnare ma è anche in grado di offrire il piacere della lettura di un libro di filosofia sia ai profani che agli esperti del settore. Röhrig, M. - Stenger, G. (a cura di) Philosophie oder Struktur ’Fahrzeug’ der Zukunft? Für Heinrich Rombach Alber, luglio-agosto 1995 pp. 648, DM 148 Rummel, Erika The Humanistic Scholastic Debate in the Renaissance and Reformation Harvard UP, giugno 1995 pp. 264, UK £35.95 Questo testo esamina la ripresa del classico dibattito platonico sui meriti rispettivi della filosofia e della retorica che emersero nella discussione del tardo XV secolo tra umanisti e scolastici a proposito della filologia e della dialettica. Romani, Romano Theoreticà. Libro primo Cadmo, agosto 1995 pp.101, £.15.000. Si tratta di una raccolta di 31 brevi scritti filosofici sul limite. Romano Carlo, Grassani Goffredo (a cura di) Bioetica Utet, agosto 1995 pp.737, £.80.000. In questo libro vengono esaminati ; il 93 Russel, Bertrand Saggi scettici Tea, luglio 1995 pp.260, £.14.000. Viene compiuta in questo testo un’analisi e una critica di molti temi considerati al di sopra di ogni giudizio: psicoanalisi, teoria della relatività, decandenza dell’impulso scientifico, valori della libertà. Russell, Bertrand Mortals and others: American Essays 1931-1935 Routledge, giugno 1995 pp. 192, UK £9.99 Si tratta di una raccolta di saggi e di reportage che coprono un ampio spettro di argomenti. Questo libro mostra il lato serio e quello non serio della personalità e del lavoro di Russell, fornendo anche un’introduzione al pensiero di Russell adatta a lettori di ogni livello. Sallis, John Delimitations. Phenomenology and the End of Metaphysics Indiana UP, giugno 1995 pp. 272, $ 16 Si tratta della seconda edizione riveduta di un libro che rappresenta il contributo maggiore all’attuale dibattito, nella filosofia europea, sui limiti della metafisica. Sandkähler, H.J. (a cura di) Interaktionen zwischen Philosophie und empirischen Wissenschaften. Philosophieund Wissenschaftsgeschichte zwischen Francis Bacon und Ernst Cassirer Lang, giugno 1995 pp. 496, DM 100 Santayana, George The Birth of Reason and other Essays a cura di Daniel Cory Columbia UP, giugno 1995 pp. 204, UK £10.50 Si tratta di una raccolta di saggi recenti del filosofo americano, presidente della Santayana Society. Gli argomenti discussi includono la filosofia del viaggio, la politica della religione, l’amicizia, l’apparenza e la realtà ed i passi falsi della filosofia. Santucci, Antonio Empirismo, pragmatismo, filosofia italiana Clueb, giugno 1995 pp.252, £.32.000. Viene esposta una storia delle tematiche della filosofia italiana legata all’empirismo, da Abbagnano e Geymonat, alla semiotica degli anni 80. Savater, Fernardo Apostati ragionevoli. Vite di ribelli illustri Mulino, luglio 1995 pp. 220, £.20.000. Ordinati cronologicamente sono raccolti quindici ritratti di personaggi legati da una comune caratteristica. Furono tutti apostati, ribelli all’ortodossia religiosa, scientifica o letteraria - in cui si erano formati. Furono NOVITÀ IN LIBRERIA pertanto tutti apostati “ragionevoli” in quanto fecero dell’ apostasia il loro problema teorico fondamentale. Savi, Cristina Husserl e lo scetticismo Guerini scientifica, luglio 1995 pp.319, £.35.000. In questo libro l’autrice mostra come la fenomenologia di Husserl rappresenti l’ultimo tentativo di combattere lo scetticismo nella sua versione “psicologistica”. Saviani, Lucio (a cura di) Segnalibro: voci da un dizionario della contemporaneità Liguori, luglio 1995 pp.259, £.25.000. Si tratta di una raccolta di saggi sul tema della contemporaneità intesa non come apertura ma come testo conchiuso, e ancora altrove assente. Viene quindi indicato come prendere delle voci da un dizionario che non c’è. Sono voci esatte e, contemporaneamente scritte in uno stesso libro. Scalfari, Eugenio Quel miserabile animale che noi siamo Rizzoli, agosto 1995 pp.120, £.26.000. Viene compiuto un confronto in forma dialogica su temi di attualità tra due esponenti, Eugenio Scalfari e Voltaire, che impersonificano e rispecchiano due secoli differenti. Schäfer, L. - Ströker, E. (a cura di) Naturauffassungen in Philosophie, Wissenschaft, Technik vol . III: Aufklärung und späte Neuzeit Alber, luglio-agosto 1995 pp. 290, DM 74 Schmid, Dirk Religion und Christentum in Fichtes Spätphilosophie 1810-1813 de Gruyter, luglio-agosto 1995 pp. 230, DM 168 Nell’enucleazione di un rapporto sistematico tra la teoria della religione filosofico-trascendentale e la teoria del cristianesimo filosofico-storica diventa visibile il loro significato per il programma globale della filosofia trascendentale di Fichte. Schmidt, Hartwig Das entwürfige Selbst. Zur Kritik des Ipsismus Decaton-Vlg., giugno 1995 pp. 148, DM 22,80 Schneider, Friedhelm Kindsein - ein Gleichnis. Philosophisch-theologische Gedanken zum generativen Verhältnis Attempto-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 70, DM 18 Schopenhauer, Arthur Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente traduzione di Giametta Sossio Rizzoli, agosto 1995 pp.400, £.18.000. E’ il trattato filosofico, la tesi di Laurea del giovane Schopenhauer. Vengono distinte due facoltà dello spirito: l’intelletto e la ragione. L’intelletto prevale sulla ragione in quanto demiurgo che crea il mondo per l’uomo, nelle coordinate di spazio e di tempo, permettendo all’uomo di viverci dentro con la guida della causalità, di cui vengono analizzate le quattro radici. Questo volume propone delle traduzioni dei saggi più importanti di Seneca, tra cui alcuni dei saggi morali e dei primi quattro libri di De beneficiis. Essi offrono un quadro del punto di vista sociale e morale di un pensatore stoico, strettamente coinvolto nel governo dell’Impero romano. Seneca Werke (Philosophische Schriften) intr., note e a cura di Manfred Rosenbach Wiss. Buchges., luglio-agosto 1995 pp. 2952, DM 114 Si tratta dell’unica edizione delle opere di Seneca in versione latino-tedesco, che è ora disponibile in cinque volumi, in cofanetto. Schubert, Venanz (a cura di) Experimente mit der Natur. Wissenschaft und Verantwortung. Interdisziplinäres Forum EOS-Verlag, giugno 1995 pp. 370, DM 24,80 Il volume contiene anche un’introduzione al tema della responsabilità della scienza nel campo degli esperimenti con la natura, scritta dal curatore. Seneca, Lucio Anneo Dialoghi a cura di Carena Carlo traduzione di Manca Gavino Einaudi, agosto 1995 pp.500, £.17.500. Contiene sette scritti filosofici: La Provvidenza, Fermezza del saggio, La vita felice, Vita contemplativa, La tranquillità dell’animo e la brevità della vita. Ogni dialogo è preceduto da un’introduzione e da un commento. Testo originale a fronte. Sciuto, Italo La felicità e il male: studi di etica medievale Franco Angeli, luglio 1995 pp.229, £.32.000. L’autore analizzando il significato che i concetti di male e di felicità assumono nell’ambito del pensiero medievale, dedica ampio spazio alla concezione agostiniana del male come privazione del bene. Nella teoria agostiniana si ricava un’immagine dell’uomo dinamica e conflittuale che è centrata sull’enigma della volontà implicando un interessante confronto con la filosofia di Nietzsche. Senner, Walter Johannes von Sterngassen und sein Sentenzenkommentar parte I: Studien Akademie-Vlg., giugno 1995 pp. 472, DM 128 Sedgwick, P. (a cura di) Nietzsche. A Critical Reader Blackwell, luglio-agosto 1995 £ 15 Questo volume riunisce per la prima volta una documentazione di branichiave selezionati, comprendente le tre principali tradizioni o metodologie dell’interpretazione di Nietzsche: la tradizione anglo-americana, quella tedesca e quella francese. Serrini, Franco La filosofia nella storia della cultura europea: [da Platone a Popper alla scoperta della cultura occidentale] Firenze Atheneum, maggio 1995 pp.278, £.35.000. Serrini in questo libro ha affrontato il problema di come sia possibile fare una divulgazione della filosofia, convinto che premessa ad una trattazione strettamente filosofica sia l’introdurre il lettore non specialista nello svolgimento storico che tale disciplina ha avuto nel corso dei secoli. La filosofia appare in tal modo nella stretta connessione con le altre produzioni di pensiero umano e con gli avvenimenti storici che l’hanno condizionata nella proposta e nella soluzione dei suoi problemi. Seelmann, Kurt Anerkennungsverlust und Selbstsubsumtion. Hegelsstraftheorien Alber, luglio-agosto 1995 pp. 160, DM 48 Semerari, Giuseppe (a cura di) Pensiero e narrazioni: modelli di storiografia filosofica Contributi di Alberto Altamura et al. Dedalo, luglio 1995 pp.277, £.32.000. Il libro analizza i modelli materialistico, criticistico e neoscolastico della storiografia filosofica e le principali questioni di metodo sui caratteri del filosofare contemporaneo, fornendo un ampio panorama dei rapporti di discussione tra filosofia, storia della filosofia e didattica. Severino, Emanuele Pensieri sul Cristianesimo Rizzoli, giugno 1995 pp.320, £.30.000. Sono contenute in questo libro delle riflessioni storico-filosofiche sul Cristianesimo. Severino, Emanuele Tautotes. Divenire e destino dell’identità Adelphi, agosto 1995 pp.300, £.70.000. Seneca Seneca: Moral and Political Essays tr., note a cura di John M. Cooper Cambridge UP,giugno 1995 UK £14.95 Sgalambro, Manlio La consolazione Adelphi, luglio 1995 94 pp.166, £.15.OOO. Viene descritta la figura del filosofo edificante che non insegna, che è infallibile, che rappresenta una sospensione teleologica della vita, che si pone il problema della pazienza, per giungere a definire l’essenza della consolazione come consolazione edificante. Simmel, George Sull’amore (Lo spirito del tempo) traduzione di Belluzzo Sara Anabasi, giugno 1995 pp. 144, £.23.000. Sono contenute in questo libro le riflessioni sulla vita amorosa di uno dei più creativi sociologi del Novecento. L’amore è un “a priori”: non può “essere prodotto da una molteplicità di fattori dei quali nessuno, appunto, è amore”.E’ questa intuizione filosofica che Simmel arricchisce con riflessioni, digressioni e analisi volte a cogliere la specificità e l’unicità della relazione amorosa. Sluga, Hans Heidegger’s Crisis: Philosophy and Politics in Nazi Germany Harvard UP, giugno 1995 pp. 304, UK £11.95 Questo testo esamina non solo come i nazisti sfruttarono le idee filosofiche ed usarono i filosofi per farsi accettare pubblicamente, ma anche come i filosofi tedeschi sfruttarono i nazisti. Il libro descrive la crescita, dalla I Guerra mondiale in poi, di un potente movimento di destra nella filosofia tedesca. Smith, Quentin Oaklander, L. Nathan Time, Change and Freedom: An Introduction to Metaphysics Routledge, giugno 1995 pp. 224, UK £11.99 Quest’introduzione alla metafisica è strettamente legata all’idea del tempo. Ci si domanda se ci fu un “inizio del tempo” e se ci sarà la possibilità di un “passato infinito” e di un “futuro eterno”. Il saggio considera che cosa accade quando le cose cambiano e quale effetto questo comporti su di noi e sulla nostra identità. Smith, Tara Moral Rights and Political Freedom Rowman & Littlefield, giugno 1995 pp. 248, UK £19.95 Tara Smith, alla ricerca di poter uscire dall’impressionante aumentare di rivendicazioni di diritto, offre qui un resoconto sistematico della natura e dei fondamenti dei diritti. Il libro mostra che cosa sia la libertà politica e dimostra perché essa dovrebbe essere protetta dai diritti. Sossi, Federica Mentre l’angoscia si fa guardare: lo spazio dell’oggetto in Freud, Heidegger e Kant Guerini scientifica, luglio 1995 pp.269 £.28.000. Negli anni in cui Freud interrogherà di nuovo l’enigma dell’angoscia facendosi accompagnare dal fantasma NOVITÀ IN LIBRERIA di Hans, Heidegger ricerca al di là della paura una situazione emotiva più originaria e autentica che come l’angoscia di Hans ci assale con il volto inquietante dell’indeterminato.Il gioco che anche Kant aveva intravisto nella contemplazione del bello, si interrompe d’improvviso di fronte ad un strano oggetto che suscita in noi un sentimento sublime. Che si tratti dell’angoscia o della serietà del sublime ci troviamo comunque esposti nel grande territorio dell’assenza. Southern, R.W. Scholastic Humanism and the Organization of Christendom vol. I: Foundations Blackwell, luglio-agosto 1995 pp. 288, £ 25 Questo è il primo di tre volumi che considereranno la storia dell’umanesimo scolastico. Questo volume, si occupa degli anni tra il 1100 ed il 1160 quando furono create le linee principali del pensiero scolastico e ne furono stabiliti gli argomenti. Spinoza Benedictus (1632 -1677) Trattato teologico - politico: natura e salvezza a cura di Arnoldo Petterlini Zanichelli, luglio 1995 pp.286, £. 25.000. Questo volume comprende la prefazione e i capitoli 1, 4, 6, 7, 12, 14 e 15 del “Trattato teologico-politico”. La libertà del filosofare e poi del vivere umano in tutta la sua drammatica storicità è stretta tra la rivelazione del vero che salva e l’immaginazione/ intuito che consente alla ragione di interrogarsi sulla salvezza. Splenger, Oswald Quesiti essenziali. Frammenti ed aforismi Guanda, luglio 1995 pp.540, £.50.000. Vengono affrontati tutti i temi della riflessione spengleriana, con l’ambizione di collocarli entro un vero e proprio sistema : metafisica, forma della civiltà, storia, filosofia della storia e politica. Spruit, Leen Species intellegibilis. From Perception to Knowledge vol. II: Renaissance Controversies, later Scholasticism, and the Elimination of the Intelligible Species in Modern Philosophy Brill, luglio-agosto 1995 FOL 135 Stanziale, Pasquale Mappe dell’alienazione: da Hegel al cyberpunk: ad uso delle giovani generazioni Erre emme, agosto 1995 pp.176, £.15.000. In questo libro viene esaminato il significato dell’alienazione riferita alle dimensioni dell’essere, dell’avere e del simulare. Per quella dell’essere vengono presi in considerazione Hegel, Feuerbach e Marx ; per quella dell’essere Weber, Simmel, Husserl, Jaspers, Berdjaev, Marcel, Sartre, Heidegger, Lukács, Bloch, Horkheimer, Adorno, Benjamin, Marcuse, Fromm, Habermas, Kosik e Heller; per quella del simulare Freud, Nietzsche, Marcuse, Lévi Strauss, Althusser, Foucault, Deleuze, Lacan, Guattari, Reich, Laing, Cooper, Debord, Vaneigem, Lyotard, Baudrillard, Jameson, Harvey, Virilio e Berardi. Strinati, Dominic Introduction to Theories of Popular Culture Routledge, giugno 1995 pp. 240, UK £10.99 Si tratta di una guida introduttiva alle principali teorie di cultura popolare. Il libro esamina le principali aree degli studi della cultura popolare contemporanea, come le teorie di Adorno e della Scuola di Francoforte, lo strutturalismo, la semiologia, il marxismo, il femminismo ed il post-modernismo. Steen, Wim J. van der Facts, Values, and Methodology. A New Approach to Ethics Editions Rodopi, luglio-agosto 1995 pp. 168, FOL 50 La scienza non è libera dai valori e l’etica non è libera dai fatti. La scienza e l’etica dovrebbero essere simili, ma non lo sono. L’autore indica come la ricerca sull’etica dovrebbe cambiare, in vista di quanto sopra enunciato. Strosetzki, Chr. (a cura di) Juan Luis Vives. Sein Werk und seine Bedeutung für Spanien und Deutschland. Akten der internationalen Tagung vom 14.-15. Dezember 1992 in Münster Vervuert, giugno 1995 pp. 259, DM 56 Steinkellner, E. - Much, M.T. Texte der erkenntnistheoretischen Schule des Buddhismus intr. di Heinz Bechert Vandenhoeck und Rupprecht luglio-agosto 1995 pp. 137, DM 40 Szondi, Peter Antico e moderno nell’estetica dell’età di Goethe Guerini, agosto 1995 pp.256, £.38.000. Questo libro è dedicato all’evoluzione della filosofia dell’arte e della poetica tra ‘700 e ‘800 in Germania, attraverso le monografie sui massimi esponenti del tardo illuminismo, dello “Sturm und Drang” e del classicismo. Stelli, Giovanni La ricerca del fondamento: il programma filosofico dell’idealismo tedesco nello scritto di Fichte Sul concetto della dottrina della scienza prefazione di Vittorio Hösle Guerini e associati, luglio 1993 pp.265, £.45.000. Nel libro viene evidenziata la straordinaria attualità teoretica dell’impostazione fichtiana messa a confronto con il relativismo gnoseologico ed etico contemporaneo - in particolar modo con il razionalismo critico di derivazione popperiana - e con le sue conseguenze etico-politiche. Alla luce di tale confronto le profonde e rigorose argomentazioni fichtiane si inseriscono a buon diritto nel dibattito filosofico attuale, in una ideale linea di continuità con la pragmatica trascendentale di Karl Otto Apel e il neoidealismo oggettivo di Vittorio Hösle. Tarter, Sandro La riva di un altro mare. Alterità, soggettività, giustizia: a partire da Levinas Ets, giugno 1995 pp.158, £.20.000. Vengono analizzate la filosofia del diritto e la filosofia morale attraverso l’ esame della storia dello studio della giustizia. Taureck, Bernhard H.F. Die Sophisten Junius, giugno 1995 pp. 180, DM 24,80 Thiel, Manfred Versuch einer Ontologie der Persönlichkeit vol. III: Die Gestalt oder die Philosophie der Gegenwärtigkeit Elpis-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 650 (parte I), 850 (parte II), DM 380, 420 risp. Si tratta del terzo volume di quest’opera, diviso in due parti. Stewart, R.M. (a cura di) Philosophical Perspectives on Sex and Love Oxford UP, giugno 1995 pp. 320, $ 15 Questo libro, riflettendo la tendenza, nel corso degli ultimi vent’anni, ad esaminare più attentamente la natura dell’amore e della sessualità all’interno del contesto filosofico, presenta, nella sua chiave di eclettica antologia, numerose prospettive relative ai ruoli ed alle norme sessuali, all’erotismo, alla pornografia, al femminismo, alla prostituzione, alla perversione, all’amicizia ed all’amore filiale. Thielen, Helmut Diskurs und Widerstand. Philosophie der gesellschaftlichen Praxis Horlemann, giugno 1995 pp. 320, DM 42 Thierry, Yves Conscience et humanité selon Husserl: essai sur le sujet politique PUF, giugno-luglio 1995 pp. 208, F 168 Questo studio cerca di dimostrare che la fenomenologia della coscienza, Störmer, Uta Über das Gewissen. Texte zur Begrändung der Neuzeitlichen Subjektivität Beltz Athenäum, giugno 1995 pp. 130, DM 24 95 fondata e sviluppata nelle principali opere di Husserl, permette di pensare una via soggettiva ed inter-soggettiva tale da differenziarsi dal suo mondo e da non cessare però di costituirsi in relazioni concrete con esso. Il libro è scritto da uno specialista di Husserl. Tomatis, Francesco Ontologia del male: l’ermeneutica di Pareyson presentazione di Piero Coda Città nuova, agosto 1995 pp.197, £.22.000. Tomatis ha dedicato il presente lavoro all’ultima fase del pensiero di Pareyson, individuandone la questione principale nel problema ontologico- non soltanto morale- del male. Nel pensiero dell’ultimo Pareyson vi è uno sforzo continuo della filosofia di aprirsi alla comprensione della realtà del male, ricorrendo ai contenuti veritativi dell’esperienza religiosa. Tönnies, Sibylle Der westliche Universalismus und seine Widersacher Westdeutscher Vlg., giugno 1995 pp. 250, DM 46 L’universalismo occidentale (che un tempo veniva chiamato “diritto naturale razionale”) è il fondamento della democrazia. Tuttavia dalla fine dell’Illuminismo - almeno in Germania non ha più una posizione filosofica: fu distrutto dalla scienza politica restaurativa del Romanticismo e da allora viene considerato come non fondato scientificamente. Questo testo si preoccupa di riabilitare l’universalismo occidentale. Toussaint, Stéphane (a cura di) L’Esprit du quattrocento: le ‘De ente et uno’ de Pic de La Mirandole Champion, giugno-luglio 1995 pp. 398, F 230 La Toscana dei Medici, i dibattiti del concilio di Firenze sui riavvicinamenti tra Oriente ed Occidente, il confronto tra Aristotele e Platone, il grande periodo degli umanisti raffinati e l’affiorare di una mentalità nuova, libera dalla tradizione delle scuole - questi gli argomenti trattati nella prima parte. Nella seconda parte di questo libro, compaiono diversi testi di Pico della Mirandola (in edizione bilingue latino-francese): De ente et uno, Responsiones.... Ulrich, Konrad Eine andere Welt. Naturwissenschaftliche Korrektur menschlicher Selbstüberhöhung Die Blaue Eule, giugno 1995 pp. 392, DM 68 Valdinoci, Serge Vers une méthode d’europanalyse L’Harmattan, giugno-luglio 1995 pp. 351, F 180 La europanalyse radicalizza l’esigenza di immanenza che si trova nella fenomenologia husserliana. L’autore getta le fondamenta di un metodo del reale, libero da tutti i passaggi al limite tra l’esteriore e l’interiore, o NOVITÀ IN LIBRERIA vice versa, che si trovano abitualmente nei lavori filosofici. Il libro interesserà al pubblico. Vassallo, Nicla La depsicologizzazione della logica: un confronto tra Boole e Frege Franco Angeli, giugno 1995 pp.310, £.34.000. Il presente volume si propone di analizzare la matrice e il destino dello psicologismo attraverso l’esame critico delle argomentazioni di Boole e Frege. Nelle rispettive differenze e similarità Boole e Frege forniscono due ottiche privilegiate per inquadrare i rapporti tra logica e psicologia così come quelli tra pensiero e linguaggio nella storia e della filosofie e della logica. Visker, Rudi Michel Foucault: Genealogy as Critique Verso, giugno 1995 pp. 288, UK £19.95 Si tratta di una ricostruzione del corpus delle opere di Foucault, dalla sua prima opera sulla follia, alla Storia della sessualità.. Visker offre un ritratto di Foucault come di un autore che non rientra né nella categoria relativista né in quella positivista, ma come l’inventore di una nuova analisi dei meccanismi moderni del controllo e dell’esclusione. Vogel, Max Werner Nietzsches Hinterkopf. Meditationen über Friedrich Nietzsche Die Blaue Eule, luglio-agosto 1995 pp. 160, DM 36 Vollmer, Gerhard Auf der Suche nach der Ordnung. Beiträge zu einem naturalistischen Welt- und Menschbild intr. di H. Albert Hirzel, giugno 1995 pp. 195, DM 34 Voltaire Trattato sulla tolleranza traduzione di Bianchi Lorenzo Feltrinelli, giugno 1995 pp.152, £.10.000. Si tratta di una difesa di Voltaire di un commerciante ugonotto, accusato dell’assassinio del figlio. Warr, John Una scintilla nella cenere. Teologia e ribellione Cortina, giugno 1995 pp.130, £.16.000. Un grande sommovimento ideale, prima ancora che economico e sociale, ha fornito le principali direttive intellettuali della nostra stessa modernità: macchina statale e garanzie per l’individuo, scoperta dell’interiorità e gusto per l’esperimento. Weiland, R. (a cura di) Philosophische Anthropologie der Moderne Beltz Athenäum, giugno 1995 pp. 250, DM 48 Weis, K. (a cura di) Bilder vom Menschen in Wissenschaft, Technik und Religion Westdt. Vlg, giugno 1995 pp. 570, DM 64 Dietro a tutte le nostre azioni, così come a tutti i discorsi della scienza e all’esperienza quotidiana si trovano delle precise idee, delle rappresentazioni dell’essere umano. Gli autori analizzano le diverse concezioni dell’essere umano, prendendo in considerazione oltre venti settori. L’ambito tematico spazia dall’informatica, la scienza e la filosofia della tecnica passando per il fondamentalismo, lo sport e la filosofia della tecnica, per arrivare poi alla ricerca sul cervello ed anche al Buddismo. White, Stephen K. The Cambridge Companion to Habermas Cambridge UP, giugno 1995 UK £12.95 Il volume esamina il contesto storico ed intellettuale da cui emerse l’opera di Habermas ed offre una panoramica delle sue idee principali. Gli argomenti trattati sono: i suoi rapporti con la Scuola di Francoforte della teoria critica e Marx ed i suoi contributi alla filosofia delle scienze sociali. Widmann, Joachim Effizientes Denken. Die logischen Grundstrukturen von Algebra und Geometrie Ars Una, luglio-agosto 1995 pp. 288, DM 88 Weiss, Paul Being and other Realities Open Court, giugno 1995 pp. 390, UK £19.95 In questo testo, l’autore sostiene che “il compito primario ed essenziale della filosofia è fornire un resoconto delle realtà primarie e di evidenziare le loro precondizioni, interrelazioni e conseguenze primarie”. Egli prende in esame persone, realtà trasformate dall’intervento umano, la natura ed il cosmo. Williams, Bernard Making Sense of Humanity: And other Philosophical Papers 1982-1993 Cambridge UP, giugno 1995 pp. 272, UK £12.95 Questo volume di scritti filosofici è diviso in tre parti: “Azione, libertà, responsabilità”; “Filosofia, evoluzione e scienze umane” e, infine, “Etica”. Queste parti contengono saggi strettamente collegati al libro di Williams del 1993, Ethics and the Limits of Philosophy. Wesson, R. et al. (a cura di) Evolution and Human Values Editions Rodopi, luglio-agosto 1995 pp. 251, FOL 75 Evolutionary Ethics (“etica evolutiva”), la prima sezione di questo libro presenta delle ricerche contemporanee relative ad un’area esplorata inizialmente da H. Spencer. Evolved Ethics (“etica evoluta”) discute dell’evoluzione della lingua e della religione e del loro impatto sul pensiero morale ed il sentimento. L’ultima sezione Scientific Ethichs (“etica scientifica”), si interroga sull’evoluzione della natura umana e le implicazioni di tale natura per la teoria etica e la politica sociale. Wisser, Richard Karl Jaspers. Philosophie in der Bewährung. Vorträge und Aufsätze Königshausen & Neumann giugno 1995 pp. 318, DM 58 Wittgenstein, Ludwig Wiener Ausgabe vol. III: Bemerkungen. Philosophische Bemerkungen Springer, giugno 1995 pp. 334, DM 210 Informazioni bibliografiche relative alle pubblicazioni italiane sono tratte dalla banca dati della Le Osservazioni filosofiche e la Grammatica filosofica di Wittgenstein si basano sui volumi I-X dei manoscritti, che vanno dal 1929 al 32. Essi vengono pubblicati adesso nella Wiener Ausgabe, nei volumi dal I a V, per la prima volta in modo filosoficamente corretto e completo. Wolf, Jean-Claude Freiheit. Analyse und Bewertung Passagen-Vlg., luglio-agosto 1995 pp. 120, ÖS 196 Wolin, Richard The Terms of Cultural Criticism: The Frankfurt School, Existentialism, Poststructuralism Columbia UP, giugno 1995 pp. 300, UK £12 Questo testo - inserendosi nel dibattito tra tre scuole di pensiero, la Scuola di Francoforte, l’esistenzialismo ed il post-strutturalismo - riflette sui modi in cui i precetti dell’Illuminismo, piuttosto che essere stati fondamentalmente fraintesi, sono falliti storicamente. Wolters, G. - Lennox, J.G. (a cura di) Concepts, Theories and Rationality in the Biological Sciences. The Second Pittsburgh-Konstanz Colloquium in the Philosophy of Science, University of Pittsburg October 1993 UVK, giugno 1995 pp. 408, DM 118 I contributi raccolti in questo volume, frutto del convegno tenutosi presso l’università di Pittsburg nell’ottobre 1993, rappresentano il livello attuale della ricerca in importanti settori della filosofia della biologia. Wüstehube, A. (a cura di) Pragmatische Rationalitätstheorien Königshausen & Neumann, giugno 1995 pp. 320, DM 120 Secondo l’opinione di famosi autori, la “razionalità” dovrebbe, in primo luogo, essere considerata come una traccia normativa, un programma, e dovrebbe, in secondo luogo, prendere in considerazione molto di più, rispetto a quanto non abbia fatto fino ad ora, le limitazioni prammatiche al nostro pensiero, alle nostre azioni ed al nostro giudicare. Zimmer, Robert Edmund Burke zur Einführung Junius, luglio-agosto 1995 pp. 150, DM 19,80 via B. da Maiano, 3 50014 Fiesole (FI) telefono 055.599941 fax 055.598895 [email protected] 96 Zwierlein, E. (a cura di) Normalität, Differenz, Asymmetrie. Ethische Herausforderungen im Umgang mit Schwachen und Fremden Schulz-Kirchner, giugno 1995 pp. 178, DM 32 (Biblio. it. di M.Mi.; trad. it. di L.T.)