“E` DI SCENA L`INFINITO”

annuncio pubblicitario
“E’ DI SCENA L’INFINITO”
con F. Fabbri (moderatore, musicologo),
G. Gavazzi (prof. associato di astrofisica, Universita’ di Milano-Bicocca),
G. Giorello (prof. ordinario di Filosofia della Scienza, Università di Milano),
P.G. Odifreddi (prof. ordinario di Logica, Università di Torino)
e L. Ronconi (regista di “Infinities” di J. D. Barrow).
Lettura dell’Infinito di Leopardi
Intervento iniziale di F. Fabbri
La musica ha uno statuto abbastanza incerto, appartiene , infatti, sia alla cultura scientifica sia alla cultura
umanistica. La musica condivide con le altre discipline scientifiche il fatto di essere trascurata dalle persone
che frequentano la letteratura, il teatro, la poesia …..Inoltre nell’ultimo secolo è stata disprezzata proprio in
quanto tecnica. Se c’è un limite nel conflitto tra le due culture è il fatto che tecnico viene inteso come
meccanico e perciò svalutato. Benedetto Croce metteva nelle sua gerarchia delle arti la musica all’ultimo
posto proprio perché è determinante l’aspetto tecnico.
Lettura (su suggerimento di Odifreddi) di una riflessione letteraria sull’infinito che contrasta con la lettura di
Leopardi.
“La gara mondiale di matematica di Cesare Zavattini.”
Intervento di Giulio Giorello
L’esperienza dell’infinito è l’esperienza più straordinaria che una persona possa compiere…..Siamo tutte
persone limitate, coscienti della nostra finitezza, per cui riusciamo a parlare dell’infinito soltanto in modo
simbolico, mettendolo in scena [Erman Wein (matematico) “Il mondo aperto”, 1931.] L’unico modo per
evadere dalla nostra finitezza (quella denunciata dall’esistenzialismo religioso di Kiergegaard e
dall’esistenzialismo ateo di Heidegger) era appunto questo aprirsi della mente all’infinità. In questo senso
l’infinito è una esperienza simbolica.
Quale esperienza non è tanto simbolica come quella del teatro? L’esperienza di mettere in scena l’infinito,
infatti, non è un modo di divulgare concetti matematici e fisici ma serve a farci capire come una
simbolizzazione matematica possa divenire un’azione teatrale. John Barrow ha scritto questo copione in
maniera teatrale.
Intervento di Giuseppe Gavazzi
Oltre alla descrizione dell’universo con i principi di conservazione delle forze (descrizione astratta). c’è la
descrizione data dalla cosmologia osservativa. Dal punto di vista della cosmologia osservativa l’infinità non
c’è più. Immaginiamo l’universo come un grande cubo di ferro compatto all’interno del quale c’è una bolla
vuota che si espande nel tempo. Noi osservatori chiamiamo universo la bolla in quanto è l’unica parte che ci
è dato di osservare dell’universo. L’universo in questo senso è perfettamente finito ed è esteso circa quindici
miliardi di anni luce cioè il tempo trascorso dal “big bang”. Poi se il cubo in cui è contenuta la bolla abbia o
meno una dimensione infinita io non lo so e non possono dirlo i cosmologi.
Intervento di Piergiorgio Odifreddi
L’infinito vero non ce l’hanno i fisici, non ce l’hanno i poeti ma ce l’hanno i matematici. Non solo i
matematici ma anche i teologi. Vediamo una breve storia dell’infinito.
Agli inizi del pensiero occidentale in Grecia (Platone, Aristotele) si sosteneva che l’idea di Dio derivasse
dall’assenza dell’infinito. Questo concetto è ripreso da Tommaso d’Aquino che nelle “Cinque Vie” dimostra
l’esistenza di Dio negando la realtà dell’infinito…..Ad esempio la causa prima…..la causa deve avere una
causa, se andiamo avanti all’infinito non si spiegherebbe il primo rapporto di causa-effetto. Se si andasse
avanti all’infinito nelle cause oggi noi non diremmo nulla ….Oggi affermeremmo l’esistenza di una serie di
cause. Invece per i Greci e per gli Scolastici questa infinita catena doveva fermarsi. Il motivi per cui Dio,
causa prima, esisteva era la mancanza dell’infinito.
Con Cusano [Nicola Cusano, “De docta ignoranza” (1450 circa ) e “De coniecturis” (1440)] l’infinito entra
nel nostro pensiero. Prima Dio c’era perché non c’era l’infinito, ora Dio c’è perché è l’infinito.
Giordano Bruno introduce successivamente l’idea che ci siano più infiniti. Infatti, facendo un esperimento
mentale, quanto possiamo vedere della terra? Man mano che ci allontaniamo dalla terra, spostandoci
all’infinito, vediamo metà della sfera…. Se poi ci allontaniamo ancora all’infinito, una seconda volta,
vediamo l’altra metà della sfera. Questo è interessante perché, in tal modo, si introduce l’idea dell’esistenza
di due infiniti.
Ma proseguiamo nel tempo la storia dell’infinito. Cantor introduce la molteplicità nell’infinito. Cantor
prende i suoi scritti e va a Roma al Sant’Uffizio per poterne avere l’approvazione prima di pubblicarli.
Secondo Cantor l’esito delle sue ricerche lo induce ad ammettere l’esistenza di tanti infiniti. Dopo anni
Cantor viene riconvocato in Vaticano, dopo che gli scritti sono stati letti dai domenicani, i quali sostengono
di non essersi accorti che quelli che Cantor ritiene infiniti siano poi così infiniti. Cantor si chiede: in che
senso? Egli aveva, infatti, dimostrato che dato l’infinito ce n’è uno più grande. Il Cardinale invece sosteneva
l’esistenza di un infinito più grande di tutti coincidente con Dio e l’intero Universo. Questo Universo non
era, tuttavia, matematicamente concepibile. Il Cardinale impone, quindi, a Cantor di parlare non di infiniti,
ma di transfiniti.
Intervento di Luca Ronconi
La cosa che metto in scena non è solo il testo di Barrow, ma lo sconcerto di chi dal tema dell’infinito è
escluso. La possibilità di effettuare una simbolizzazione, una relazione simbolica,…..è già un avvicinarsi al
teatro. Vediamo come l’abbiamo realizzato.
Lo spettacolo consiste di cinque sequenze. Ognuna di queste sequenze presenta i paradossi che il concetto di
infinito può creare.
Prima sequenza: “Benvenuti all’albergo infinito”di Hilbert.
Seconda sequenza:”Vivere in eterno”….sulle conseguenze che ci sarebbero nell’ipotesi di una vita infinita.
Terza sequenza:”Replica infinita degli universi”
Quarta sequenza:”Cantor e contrasti di quest’ultimo con gli altri matematici”
Quinta sequenza:”Sulla possibilità di viaggiare nel tempo”.
Intervento di P. Odifreddi
L’oratore cerca di dare la definizione di infinito. Questa definizione si trova già nei dialoghi di Galileo. I due
protagonisti parlano e scoprono qualcosa che fa parte dei paradossi sull’infinito. Se si prendono i numeri
interi e si moltiplicano per due si può far corrispondere ciascun numero con il suo doppio. C’è un mettere in
corrispondenza…..I matematici parlano di corrispondenza biunivoca. Si è messo in corrispondenza l’insieme
di tutti i numeri ed una sua parte.
Questa è la caratteristica dell’infinito: una collezione di elementi si dice infinita quando c’è una parte, che
non è uguale al tutto, che però può essere messa in corrispondenza biunivoca con il tutto. L’idea di Galileo
oggi non è più un paradosso. E’ diventata infatti una definizione. L’idea non è nuovissima per l’epoca di
Galileo. Già Scoto (nono secolo, qualche anno prima!!!!!!!) si era accorto che due circonferenze
concentriche (una piccola ed una grande) hanno lo stesso numero di punti. Basta, dopo aver disegnato le due
circonferenze concentriche, tracciarne un raggio. Se si fa ruotare questo raggio di 360° si mettono in
corrispondenza tutti i punti della circonferenza più piccola con quelli della circonferenza più grande. Come è
possibile che una circonferenza grande come l’equinoziale e quella di un pisello abbiano lo stesso numero di
punti? Tale questione se l’era posta anche Galileo. La risposta di Galileo è la seguente: “Questo è vero.
Infatti entrambi i cerchi concentrici (quello più piccolo e quello più grande) hanno lo stesso numero di punti
ma quelli del cerchio piccolo sono più ravvicinati mentre quelli del cerchio grande sono più distanti tra loro.”
Infatti sia in matematica che in geometria esiste questa proprietà: le cose di grandezza apparentemente
diversa possono risultare poi della stessa grandezza dal punto di vista dell’infinito.
Intervento di G. Gavazzi.
Mostra con una diapositiva quello che si può vedere dell’ universo con il telescopio di Hubble (Hubble Deep
Field). Dice che con i mezzi ottici si riesce solo a vedere una parte della bolla in continua espansione che
costituisce l’universo per il cosmologo.
Intervento di G. Giorello
Parla dell’immagine di un castello di sabbia distrutto dalle onde e ricorda una battuta di Weiler:”Dopo la
crisi dei fondamenti nelle varie discipline (anche per il concetto di infinito che diviene troppo grosso fino a
produrre contradditorietà) dobbiamo costruire su sabbia, però, costruendo su sabbia pensiamo di costruire
come se fosse roccia. Questa è una sfida che abbiamo sempre davanti quando cerchiamo di costruire
qualcosa integralmente”.
E visto che abbiamo parlato della sceneggiatura di Barrow, ricordiamo chi è Barrow. Barrow è un cosmologo
che negli anni settanta si occupò del principio antropico che volgarmente sostiene che l’Universo è fatto in
modo che ad un certo punto deve venir fuori qualcuno che lo osservi in modo intelligente. La Fisica alla fine
una cosa spiega: perché ci sono i fisici. Da una parte ci sono quelli con i piedi per terra che guardano
l’Universo solo fisicamente e da un’altra parte ci sono quelli che speculano, che congetturano, che si lasciano
cullare dall’idea che la bolla dell’Universo non sia una, ma circondata da infinite bolle. Perché non
mantenere questo congetturare per congetturare? Perché non mantenere questo costruire su sabbia? Perché
non lavorare su sabbia come se fosse roccia? Perché non mantenere il piacere di giocare, di speculare?
Questo gusto di speculare è legato al piacere di rappresentare cioè di mettere in scena. Per esempio Bruno e
Galileo erano due formidabili uomini di teatro. L’infinito ci permette perciò di divertirci nel modo migliore
della parola. Per dirla con Barrow: ”State attenti a giocare con l’infinito, il male è che quando voi avrete a
che fare con l’eternità voi non saprete mai quando finirà”.
Intervento di L. Ronconi
L’infinito entrando a teatro deve accettare le regole del gioco del teatro. Segue una descrizione brevissima
dello spettacolo: ogni sequenza dura circa quindici minuti. L’infinito oltre ad essere il tema dello spettacolo è
la struttura dello spettacolo. Ci sono cinque sequenze in cinque luoghi diversi. Abbiamo trovato alla Bovisa
(Milano) un ambiente che presenta cinque luoghi uno diverso dall’altro. Abbiamo così risolto il problema
dello spazio, ma come risolviamo quello del tempo? Verranno scaglionati nel tempo gli inizi dello spettacolo
per gli spettatori, infatti, per un centinaio di spettatori lo spettacolo inizia alle 20.00, per un altro centinaio
alle 20.15……….Ci sono in tutto circa cinquanta attori tra iquali un gruppo di studenti del Politecnico.
Seguono poi dei brevi interventi che costituiscono le conclusioni di questa conferenza.
P. Odifreddi
La sua proposta è di prendere dei testi che parlino di infinito e farne una antologia. Si può fare così
un’antologia sull’uso delle idee matematiche nel campo della letteratura. La matematica, in tale modo,
interviene nello spettacolo senza che si sappia.
G. Gavazzi
La cosmologia è andata così lontana da capire come era l’Universo quindici miliardi di anni fa.
G. Giorello
Giocare con l’infinito implica una grande dose di divertimento. L’esperienza della matematica è una grande
esperienza di libertà. Non bisogna pensare solo all’utilità della matematica. Voglio finire con questo
aneddoto:vi sono due matematici dell’età della pietra che fanno i loro conti con dei triangoli partendo da
quelli più piccoli per arrivare ai più grandi e li disegnano sulla sabbia….Nella boscaglia invece ci sono due
tigri dal dente a sciabola che escono e mangiano i matematici. Ma cosa è capitato? Le tigri da l dente a
sciabola si sono estinte, i matematici invece grazie a Dio, se esiste ancora, no.
Scarica