6. Descrizione meccanico ed analisi del problema 6.1 Introduzione In questo capitolo verranno esposti in modo organico i temi al centro della ricerca effettuata. Per poter avere una visione precisa saranno evidenziati i dati di diretto interesse ingegneristico avulsi dai dettagli medici. Inoltre saranno esposte tutte le idee di natura biologica prese in considerazione nel corso del lavoro. Infine, per la direzione scelta, saranno illustrati i dettagli ed i possibili modelli matematici per l’applicazione reale del meccanismo di locomozione proposto. 6.2 Morfologie delle sezioni da attraversare Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico L’apparato digerente è composto da numerosi organi, alcuni dei quali, anche nel capitolo dedicato alla anatomia, sono stati completamente ignorati. Nello specifico, l’esofago, lo stomaco, il duodeno ed il retto, sono ben raggiungibili con gli strumenti tradizionali e quindi non sono stati analizzati nel dettaglio. 6.2.1 Intestino tenue, Digiuno Questo tratto dell’apparato digerente è caratterizzato dalla presenza di una sezione di passaggio pressoché circolare. Il diametro interno medio è compreso tra 25 e 30 mm nell’adulto. Lo spessore della parete è da 3 a 5 mm. La lunghezza media di questo tratto, in vivo, è di 1200 mm. Fig. 6.1 Come mostrato in figura 6.1, la sezione è frequentemente ostruita da pliche mucose, che si elevano trasversalmente all’asse del viscere per una frazione della sezione, raramente per l’intera area di 6.2 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi passaggio. Inoltre l’intera superficie interna è ricoperta dai villi intestinali, la cui altezza varia da 0,32 a 0,57 mm. Deve essere comunque sottolineato che tutte le strutture biologiche presenti all’interno di questo tratto dell’intestino tenue, non hanno la consistenza tale da opporre una vera e proprio resistenza meccanica all’avanzamento. Infatti le uniche difficoltà riscontrate sperimentalmente nell’attraversare questo tratto sono la presenza di numerose curve e la estrema mobilità del tubo se sottoposto ad azioni meccaniche. Quest’ultima caratteristica è dovuta alle condizioni di vincolo che sono molto limitate: solo il mesentere collega il tenue al fondo della cavità addominale. 6.2.2 Intestino tenue, Ileo Questo terzo tratto dell’intestino tenue è caratterizzato dalla minore sezione di passaggio. Infatti il diametro interno è compreso tra 16 e 22 mm nel media degli individui adulti. Lo spessore della parete varia da 3 a 4 mm. La lunghezza media in vivo è di 1600 mm. Fig. 6.2 Come mostrato nella figura 6.2, anche in questo caso la sezione è pressoché circolare, con rare pliche mucose, che si elevano 6.3 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico trasversalmente all’asse del viscere per una frazione della sezione. Sebbene in modo meno pronunciato rispetto al digiuno, la superficie è ricoperta di villi intestinali. 6.2.3 Sfintere ileo-ciecale Questo è sicuramente l’ostacolo più difficile da superare nel percorso intestinale. Si tratta di piccolo orifizio contornato da fibre muscolari circolari con lo specifico compito di chiudere la sezione di passaggio. Nel caso dello sfintere ileo-ciecale, si ha passaggio di materia solo quando la pressione, nel tratto finale dell’ileo, raggiunge il valore critico tale da superare la resistenza opposta dalle fibre muscolari di cui sopra. Quindi il superamento di questa sezione è realizzabile solo se il dispositivo endoscopico percorre l’intestino in senso concorde a quello del cibo digerito. In caso contrario la forza da generare è sicuramente tale da avere un rischio elevato di provocare lacerazioni e gravi lesioni al paziente. Comunque esistono in letteratura medica casi estremi in cui è stato provato questo tipo di approccio, con l’uso di fibroendoscopi tradizionali, per curare patologie nell’immediate vicinanze dello sfintere stesso. 6.2.4 Intestino crasso L’intestino crasso ha una sezione di forma molto particolare: trilobata. Il diametro interno varia notevolmente nel senso longitudinale e passa dai 20-25 mm nella zona del retto ai 60-65 mm all’altezza dello sfintere ileo-ciecale. Lo spessore è compreso tra 6 e 7 mm. La lunghezza media in un individuo adulto è di 1420 mm. La tipica sezione trilobata è dovuta alla presenza di tre tenie (fibre muscolari) longitudinali che percorrono il colon per tutta la lunghezza. Tra le tenie, come mostrato in figura 6.3, l’intestino crasso è sacculato, con la formazione delle haustra. 6.4 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi Fig. 6.3 Queste concavità, separate dalle pliche semilunari, sporgono nel lume a tutto spessore, mantenendo però una distanza maggiore rispetto alle valvole conniventi dell’intestino tenue. 6.3 Secrezioni digestive Durante il percorso dentro l’organismo umano, il cibo viene addizionato ad una grande varietà di sostanze secrete localmente dai vari organi coinvolti. Per chiarezza si riportano nella tabella 6.1 tutte le sostanze con indicazione del ruolo funzionale e dell’organo sorgente. Come si evince dalla tabella stessa si tratta di una grande quantità di sostanze e di funzioni. In questa trattazione l’attenzione sarà focalizzata sul muco intestinale. Tutta la mucosa intestinale, dal duodeno al retto, produce secrezioni che contengono muco, elettroliti ed acqua. Il volume totale di tali secrezioni è di circa 1500 ml al giorno. La natura delle secrezioni ed i meccanismi che le regolano sono differenti da un tratto all’altro dell’intestino. 6.5 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico Succhi digestivi Sorgente Sostanze Muco Ruolo funzionale Lubrifica il bolo, facilita la mescolanza dei cibi. Amilasi Gli enzimi attivano la digestione dell'amido. Bicarbonato di sodio Aumento del pH. Acqua Diluisce e facilita la mescolanza dei cibi. Digerisce le proteine. Succo gastrico Ghiandole gastriche Pepsina Acido cloridrico Denatura le proteina e diminuisce il pH per favorire la funzione della pepsina. Muco Lubrifica e protegge la mucosa gastrica. Acqua Diluisce e facilita la mescolanza dei cibi. Proteasi Enzimi che digeriscono Succo Pancreas proteine e polipeptidi. pancreatico Lipasi Enzimi che digeriscono i lipidi. Colipasi Coenzima che concorre con la lipasi alla digestione dei lipidi. Nucleasi Enzima che digerisce gli acidi nucleici (DNA e RNA). Amilasi Enzima che digerisce l'amido. Acqua Diluisce e facilita il mescolamento delle sostanze. Muco Lubrifica. Bicarbonato di sodio Aumento del pH. Lecitina e sali biliari Emulsione dei lipidi Bile Fegato Bicarbonato di sodio Aumento del pH. Colesterolo Espulsione dell'eccesso di colesterolo nel corpo tramite le feci. Prodotti della Prodotti dalle cellule disintossicazione epatiche e escreti con le feci. Pigmenti biliari Prodotti dell'emolisi del sangue, escreti con le feci. Muco Lubrifica. Acqua Diluisce e facilita il mescolamento delle sostanze. Saliva Ghiandole salivari 6.6 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi Succo intestinale Mucosa dell'intestino Muco Lubrifica. Bicarbonato di sodio Aumento del pH. Acqua Diluisce e facilita il mescolamento delle sostanze, in questa zona in piccola quantità. Tab. 6.1 6.3.1 Caratteristiche reologiche del muco Il muco costituisce uno strato continuo dallo stomaco al colon con spessore variabile, da 20 micron nel tenue fino a 800 micron nel crasso , la cui funzione è quella di proteggere tali organi da attacchi meccanici e chimici. E' formato da due strati: uno intimamente legato alla mucosa del gastro-intestino ed uno più esterno e facilmente rimuovibile. Possiede diverse funzioni, in particolare: ü lubrificazione e protezione della mucosa dall'ambiente ostile del lume gastro-intestinale (per questo contiene ioni HCO3-, che tamponano gli ioni H+). ü protezione meccanica della parete ü barriera alla diffusione di sostanze idrofiliche ü protezione dalle proteasi ü protezione da virus, batteri e parassiti (i suoi residui oligosaccaridici sono in grado di legarli) E' prodotto dalle ghiandole di Brunner, nel tratto del duodeno e dalle cripte di Lieberkühn nella restante parte dell’intestino tenue. Una volta liberato sulla superficie epiteliale, il muco si idrata, si espande e forma un materiale simile a un gel. A differenza dei gel composti solo da carboidrati si presenta più fragile dal punto di vista meccanico e mostra un comportamento non-newtoniano. E' sensibile agli sforzi di taglio e alla concentrazione delle sostanze contenute nel lume gastro- 6.7 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico intestinale. Il mantenimento di un adeguata idratazione è essenziale per le funzioni del muco. Il muco è costituito da una miscela complessa di proteine, glicoproteine, lipidi, proteoglicani, acidi nucleici, cellule epiteliali staccate dall'epitelio per esfoliazione, legati insieme da legami noncovalenti, in particolare di tipo idrofobico. Tuttavia le proprietà protettive del muco sono correlate principalmente alla struttura polimerica della sua porzione glicoproteica, rappresentata dalle mucine. Le mucine formano circa il 90% del muco totale. Le mucine sono glicoproteine costituite da un cuore formato da proteine altamente glicosilate (resistente alla proteolisi) e da una regione parzialmente o non glicosilata (sensibile alla proteolisi). La composizione aminoacidica della parte proteica delle mucine contiene: 15% serina 15% treonina 13% prolina 20% aminoacidi acidi 19% aminoacidi idrofobici 11% aminoacidi basici 8% glicina La struttura polimerica che le mucine presentano è legata alla formazione di ponti disolfuro, che legano i singoli monomeri insieme (circa 150 ponti S-S per ciascuna molecola di mucina); sono presenti inoltre molti gruppi -SH liberi. La composizione oligosaccaridica è costituita da catene laterali di 10-20 residui di O-glicani legati con legami O-glicosidici, in particolare: N acetilgalattosammina, fucosio, N acetilglicosammina, galattosio e acido sialico. E’ presente anche una porzione minore di N-glicani. La viscosità intrinseca delle mucine, in forma polimerica, è di circa 240 g/ml, decresce sensibilmente in seguito a digestione del muco. La massa molecolare è di circa 11 x 106 in quello umano, mentre scende a 5,5 x 106 per il muco di maiale. Il muco può essere 6.8 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi prelevato dall'animale e la porzione di mucine può essere isolata e purificata mediante protocolli standard. Il muco si presenta come un gel visco-elastico composto da un'alta percentuale di acqua, glicoproteine, ioni (ione potassio, sodio, cloruro, bicarbonato) ed enzimi (peptidasi, nucleasi ed enterocinasi), ma la sua composizione specifica può variare in funzione del sesso, dell'età, della digestione e di patologie. In particolare la composizione del muco varia in funzione della parte del tratto gastro-intestinale che si vuole analizzare: infatti, nel duodeno il muco è più ricco di ioni bicarbonato per neutralizzare l'acidità proveniente dallo stomaco, mentre il loro contenuto nel resto dell'intestino è sempre minore. 6.3.2 La mucina La mucina è costituita da due tipi di glicoproteine ad alto peso molecolare secrete dalle cellule epiteliali della mucosa gastrointestinale: un tipo ricco di residui di serina, treonina e prolina, e altamente O-glicosilate, l'altro tipo ricco di residui di cisteina e con meno legami O-glicosilati. Queste glicoproteine, per la presenza di gruppi -SH (cisteina), formano ponti disolfuro S-S, che sono quindi responsabili delle proprietà reologiche del muco. La composizione chimica delle glicoproteine è di circa il 77% di carboidrati, il 21% di proteine, di cui il 52% di serina, treonina e prolina. Queste glicoproteine hanno una elevata carica negativa dovuta dalla presenza del 3,1% di esteri solfati e del 18,3% di acido sialico. 6.4 Possibili meccanismi di locomozione biologica Come già mostrato nei capitoli precedenti, i possibili meccanismi di locomozione sono moltissimi. Già la letteratura ed i numerosi brevetti presentano tantissime soluzioni. In coerenza, con la scelta di fondo del 6.9 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico progetto BIOLOCH, si sono investigati vari modelli di adesione e/o locomozione di derivazione biologica. In questa direzione, le strade percorribili sono ancora una volta innumerevoli. Nei paragrafi seguenti saranno descritte tutte le vie prese in considerazione e saranno quindi esposte le motivazioni che hanno portato a metterle da parte. 6.4.1 Modello basato sul lombrico Il meccanismo di locomozione dei lombrichi è parso subito interessante, soprattutto perché questi piccoli invertebrati sono in grado avanzare in ambienti ostici e di scavare tunnel nella terra. La spinta propulsiva è generata dalla contrazione di fibre muscolari circolari intorno ad una camera chiusa piena di fluido incomprimibile (vedi paragrafo ...). In questo modo l’elemento di allunga e si genera uno spostamento in direzione assiale. Per contro due ostacoli sono risultati allo stato insuperabili. Primo e fondamentale, la necessità di realizzare un ancoraggio estremamente stabile per poter effettivamente avanzare e non solo allungarsi e restringersi. Infatti come illustrato nei capitoli precedenti, molti gruppi di ricerca hanno usato meccanismi simili avendo sempre il problema ancora irrisolto dell’adesione. Il secondo è la difficoltà di realizzare e controllare un robot lombrico di dimensioni così ridotte. 6.4.2 Modello basato sul serpente Anche i serpenti sono in grado di avanzare in ambienti particolari come distese di sabbie e rocce. In questo caso, l’avanzamento è realizzato tramite ondeggiamenti della spina dorsale. L’onda più vicina alla coda e la relativa sabbia accumulata intorno al questa vengono usate come punto d’appoggio per spingere in avanti il resto del corpo. Localmente la rotazione tra le vertebre è realizzata con la contrazione dei muscoli che le collegano una all’altra. 6.10 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi L’idea è molto affascinate ed anche questa è stata usata da molti ricercatori per realizzare prototipi di vario tipo. Però la necessità di realizzare un grande numero di elementi per poter replicare questo tipo di locomozione rende allo stato attuale difficile immaginare di poter arrivare al livello di miniaturizzazione richiesta per l’applicazione in esame. Inoltre il sistema di controllo di un robot di questo tipo presenta una complessità notevole. 6.4.3 Modello basato sull’avena sativa Nel paragrafo 2.3.2 è stato descritto in modo dettagliato l’ingegnoso comportamento del seme di questa pianta per poter raggiungere una vasta superficie. Lo spunto è sicuramente promettente ma non pare essere applicabile al problema in discussione. Innanzi tutto perché le fibre dell’avena sativa sono dei materiali a memoria di forma che sono sensibili all’umidità, quindi all’interno del tubo digerente non è possibile sfruttare questa caratteristica. Inoltre il moto è dovuto alla amplificazione della rotazione tramite una lunga leva, da cui è difficile pensare ad una miniaturizzazione sufficientemente spinta per realizzare una prototipo delle dimensioni volute. 6.4.4 Modello basato sulla tenia Il comportamento di questo parassita intestinale è di estremo interesse dato che si tratta un microrganismo che vive nell’intestino. La struttura è caratterizzata da una testa uncinata che si attacca alla parete intestinale, da un lungo corpo che si distende liberamente all’interno del tubo digerente ed da una estremità libera. Il meccanismo di attacco alla parete intestinale è molto efficiente. Come mostrato in figura 6.4, l’estremità di attacco è caratterizzata dalla presenza una appendice (indicata in figura con la lettera G) che aggredisce la valle che si forma tra due villi intestinali. Quest’ultima è 6.11 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico inoltre dotata di uncini come già evidenziato nel capitolo 2. Inoltre, nella zona indicata in figura con la lettera A, la tenia ha quattro apparati muscolari diametrali che fungono da ventose. Nella realtà, la tenia non ha un vero e proprio sistema di locomozione, dato che si muove in modo indipendente solo nella fase di attacco alla parete intestinale; ma si tratta di piccole contrazioni muscolari che consentono a questo parassita di insinuarsi stabilmente tra i villi intestinali. Da questo segue un notevole interesse nel cercare Fig. 6.4 di replicare proprio il meccanismo di adesione. In questa direzione molto promettente lavorano già da alcuni anni i colleghi del gruppo del Sant’Anna. Da questo e dalla volontà di rivolgere la ricerca verso i sistemi di locomozione deriva la scelta di non seguire questa strada. 6.4.5 Modello basato sul geco Anche questo piccolo rettile insettivoro è da molti anni al centro di numerosi lavori di ricerca. La capacità di camminare sui muri in qualsiasi direzione è la principale caratteristica che è stata studiata in modo approfondito. Il geco riesce nelle sue evoluzioni grazie ad una superficie estremamente sofisticata presente sui polpastrelli: un enorme numero di microscopici filamenti ricopre questi ultimi (vedi figura 6.5) e dalle interazioni di Van der Waals che nascono con la 6.12 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi parete si genera la forza che consente al geco di vincere la forza di gravità. I gechi riescono a muoversi utilizzando quattro zampette, tramite le quali aderiscono alla superficie, attaccando e staccando i loro piedi con una velocità dell'ordine dei millisecondi. I piedi dei gechi sono caratterizzati dalla presenza di setole e di spatule, le cui dimensioni sono molto piccole (non sono visibili ad occhio nudo). Ci sono circa 500.000 setole per ciascun piede e da 100 a 1.000 spatule nell'estremità di ciascuna setola. Il diametro della spatula è delle dimensioni di circa 200500 nanometri. Questi rettili hanno la capacità di Fig. 6.5 muoversi ad una velocità di circa un metro al secondo. Il movimento dei gechi è caratterizzato dalla presenza di deboli interazioni elettrodinamiche esercitate dalle spatole e dalle setule sulle superfici, che moltiplicate per un elevato numero, creano forze adesive molto potenti. Le forze di interazione che giocano un ruolo molto importante nel movimento dei gechi sono le forze di Van der Waals, deboli forze che se vengono però esercitate da un'ampia superficie determinano una risultante significativa. I piedi e le punte di geco sono articolati per ottimizzare l'adesione e il distacco da una superficie. Per staccarsi da una superficie, le punte sono articolate in maniera tale che possono staccarsi via dalla superficie come il nastro. La separazione di una setula specifica avviene quando il vettore della forza è vicino a 30 gradi dalla superficie. Alcuni gruppi di ricerca come Kellar Autumn e Robert J. Full, stanno cercando di realizzare sistemi robotici capaci di simulare il movimento dei gechi, attualmente queste piccole macchine sono capaci di 6.13 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico muoversi su superfici verticali utilizzando una gomma adesiva per attaccarsi. Dei possibili meccanismi di adesione dovuti ad interazioni chimiche tra l’endoscopio e la parete intestinale si tratterà dettagliatamente nel ultimo paragrafo di questo capitolo dedicato alla mucoadesione. 6.4.6 Modello basato sulla lumaca La lumaca è un gasteropode, che si presenta con un corpo molto morbido e caratterizzato dalla presenza di una tesa e di un piede appiattito. Il corpo viene protetto da una copertura rigida che le conferisce sicurezza dagli attacchi esterni. Le lumache si muovono strisciando sulle varie superfici grazie alla presenza di piedi, sui quali sono presenti delle ghiandole che secernono muco (di consistenza liquida). Il movimento delle lumache è di tipo ondulatorio, riescono a muoversi esercitando una certa pressione sul suolo dove si appoggiano e a creare così un moto ondeggiato in avanti. La lumaca e il lumacone hanno caratteristiche fisiche molto simili, ad eccezione della presenza, nella lumaca, del guscio di rivestimento; il movimento però è molto simile, si spingono in avanti, facendo forza sulla superficie di appoggio creando dei movimenti ondulatori, ma, mentre il movimento della lumaca è a tratti, quello del lumacone è continuo. Fig. 6.6 La secrezione del muco , presente nella lumaca in una sacca interna, consente di muoversi su superfici particolari ,per esempio, superfici rugose), materiali taglienti e superfici verticali. 6.14 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi 6.4.7 Modello basato sulla drosofila La drosofila è una larva che si muove sul substrato per contrazioni peristaltiche. Nel comportamento normale,questa larva avanza per una sequenza coordinata di contrazioni peristaltiche che percorrono il corpo dalla parte posteriore verso la parte anteriore. Nel caso di arretramento il comportamento è inverso. I ricercatori dell’Università di Cambridge hanno condotto degli esperimenti tesi a realizzare larve di drosofila senza alcuna risposta sensoriale. In questo caso il moto peristaltico è comunque indotto dai circuiti oscillatori che sono presenti nel sistema nervoso centrale, ma non essendovi alcuna catena in retroazione sensoriale, questo risulta pressoché casuale. Nonostante questo, i ricercatori hanno riscontrato sperimentalmente una sorta di avanzamento anche se meno pronunciato di quello registrato sulle larve naturali. In figura 6.7 sono mostrate tre fasi successive di contrazione nelle larve modificate. Fig. 6.7 6.15 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico 6.5 Modelli meccanici di derivazione biologica In questo paragrafo saranno approfonditi, negli aspetti tipici della meccanica, alcuni sistemi biologici di locomozione ed adesione ritenuti interessanti per questa ricerca. Di sicuro interesse è la locomozione dei serpenti. In particolare, si tratta di approfondire sia il modo in cui questi avanzano, interagendo con l’ambiente, sia i meccanismi interni che sfruttano per poter avanzare. Contrariamente a quanto si possa pensare i serpenti avanzano con andature diverse. In questa trattazione saranno citate solo le due seguenti: strisciamento (serpentine crawling), sidewinding. La prima è sicuramente la più diffusa e la più usata dalla D µAd m g maggior parte dei serpenti e D dm λ consiste in un moto simultaneo di tutte le parti del corpo, con un continuo contatto strisciante con il terreno. In sostanza si tratta di onde di curvatura che viaggiano indietro lungo il corpo del serpente e lo spingono in avanti. Come mostrato in figura 6.8, si è semplificato il corpo del serpente con uno zigzag. In questo modo si può comunque studiare il moto senza dover introdurre inutili complicazioni geometriche. Si considera il moto di un singolo elementino. Perché si φ Fig. 6.8 6.16 D µΤd m g Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi possa avere un moto nella direzione voluta è necessario che la risultante delle forze applicate al singolo elemento abbia una componente positiva nella direzione di avanzamento del serpente. Avendo definito un coefficiente d’attrito µA nella direzione di avanzamento dell’intero animale ed uno trasversale alla direzione stessa µT, è relativamente semplice individuare la condizione minima per cui è possibile l’avanzamento (trattandosi di attrito dinamico, entrambi i coefficiente qui riportati sono dinamici). Infatti considerando i singoli tratti semplificati del corpo inclinati di un angolo φ per avere avanzamento è necessario che la componente, lungo il corpo del serpente, dell’attrito trasversale sia maggiore della componente dell’attrito assiale nella direzione stessa. Ciò è mostrato della seguente relazione: µ T ⋅ sin(φ ) ⋅ dm ⋅ g > µ A ⋅ cos(φ ) ⋅ dm ⋅ g (6.1) da cui segue che tan(φ ) > µA µT (6.2) Nella realtà i serpenti si muovono in ambienti non omogenei e mentre avanzano vengono a contatto con molti corpi diversi. Per questi motivi il serpente durante il moto deve adattare localmente la postura alla coefficiente d’attrito di ciascun punto di contatto. In particolare i serpenti non usano questa andatura su superfici con basso coefficiente d’attrito e nei passaggi stretti. A differenza di quanto si possa pensare a prima vista, anche questo tipo di andatura ha una efficienza energetica pari a quella di altri animali dotati di zampe di pari taglia. L’energia persa per attrito non dipende dalla velocità, viceversa la componente inerziale è quadratica nella velocità e diventa dominante quando la velocità di avanzamento cresce. Le due relazioni seguenti mostrano proprio questo: 6.17 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico ∆E ATTRITO µ ⋅m⋅ g = A cos(φ ) e ∆EINERZIA m ⋅ v 2 ⋅ tan 2 (φ ) = λ (6.3) Per quanto riguarda l’applicazione di questo tipo di avanzamento per il caso in esame, non sembra possibile sfruttare questo meccanismo biologico per due motivi: primo l’efficienza e la fattibilità di questa andatura sono dovute alla capacità dei serpenti di leggere le caratteristiche del terreno e di correggere in retroazione continua le variazioni della conformazione e della resistenza del terreno stesso; secondo neppure i serpenti usano questa modalità di locomozione in ambienti a basso coefficiente d’attrito. L’altra andatura, tipica di molti serpenti, che si vuole analizzare è il sidewinding. Questa ultima è tipica dei serpenti che avanzano sulle dune di sabbia. Questa andatura è data dall’uso di onde di curvatura laterale continue ed alternate. Il contatto tra serpente e terreno è limitato a solo due zone. Inoltre il serpente, in queste zone, esercita una forza verticale diretta verso il basso per generare una reazione d’attrito sufficiente per l’avanzamento. Questo perché sulla sabbia il coefficiente d’attrito è estremamente basso. Il contatto limitato a due zone ha due probabili motivazioni: primo in questo modo non ci sono contatti con attrito dinamico che generano perdita di lavoro; secondo in questa maniera il serpente lascia a contatto con il suolo solo una piccola porzione del corpo per volta e questo consente di non surriscaldare il corpo anche procedendo su terreni roventi come quelli desertici. Per quanto riguarda l’andatura dei gechi, i meccanismi sono completamente diversi. In questo caso l’aspetto rilevante è il modo di aderire che questi piccoli rettili usano per camminare anche contro la forza di gravità. Per capire come ciò sia possibile è necessario studiare la micro-meccanica delle zampe del geco. Infatti i polpastrelli di questo animale sono ricoperti da circa 500.000 setule (piccole appendici filiformi lunghe da 30 a 130 micron e con un diametro pari ad un 6.18 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi decimo di quello di un capello umano) la cui estremità libera Spatule Setula contiene centinaia di appendici terminali lunghe da 0,2 a 0,5 0,2-0,5 µm micron chiamate spatule. Questo vuol dire che ciascuna 30-130 µ zampa di geco è ricoperta da m circa un miliardo di spatule. Lo schema di una singola setula è riportata un figura 6.10. Fig. 6.10 Ciascuna zampa, dopo aver aderito, è in grado di sviluppare una forza adesiva pari a circa 40 N. Per spiegare questa rilevante forza, sono stati proposte nel tempo molte ipotesi. Autumn ed altri sono riusciti a spiegare l’adesione del geco in modo completo. Questo gruppo di ricercatori suppone che l’adesione sia legata allo sviluppo di forze di Van der Waals. A questo si arriva dopo aver escluso altri possibili meccanismi tra cui: capacità del geco di generare localmente zone di depressione sotto la zampa, esclusa poiché l’adesione avviene anche in presenza di vuoto; uso delle forze d’attrito, escluso poiché i coefficienti d’attrito misurati tra varie superfici e le estremità del geco non sono tali da spiegare le forze adesive reali; meccanismi di microadesione legati alle interazioni tra la geometria della superficie di contatto e la zampa, esclusi perché il geco è in grado di avanzare anche su superfici estremamente lisce; l’attrazione elettrostatica è stata esclusa perché sono stati condotti esperimenti con aria ionizzata da raggi X in cui i gechi sono stati comunque in grado di aderire; l’adesione dovuta alla presenza di colle biologiche è stata esclusa perché non sono presenti nelle zampe dei gechi ghiandole in grado di generare questo tipo di sostanze. Secondo Stork ed altri resta da investigare il ruolo dell’acqua assorbita. Le forze di Van der Waals sono tipiche dell’interazioni in cui sono presenti dipoli. I dipoli sono porzioni di materia in cui sono presenti due cariche elettriche puntiformi, uguali e di segno contrario, a piccola distanza tra loro (dell’ordine di grandezza di 10-8 cm). Queste forze sono dovute a due fattori: ogni carica elettrica genera un campo nel quale di orientano gli eventuali dipoli presenti; ogni carica elettrica 6.19 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico induce cariche elettriche di segno opposto sia in molecole dipolari che in molecole non dipolari (dipoli indotti). Le forze di Van der Waals comportano che la parte positiva di un dipolo si orienta verso la parte negativa degli altri dipoli e viceversa, e contemporaneamente si ha un’esaltazione reciproca della carica, dovuta alla induzione elettrostatica. I legami così formati sono dell’ordine di qualche decina di KJ/mole. L’entità di queste forze diminuisce rapidamente con la distanza; perciò tali forze sono significative solo se distanze sono molto piccole (dell’ordine delle dimensioni atomiche). In caso del geco, le forze di adesione ottenute sono date dalla somma un’enorme quantità di queste piccolissime forze. In letteratura è presente un semplice modello per stimare la forza generata da una singola spatula. Si assume che la punta della spatula sia un segmento di sfera di raggio R pari a 2 micron, e che questa disti δ=0,3 nanometri (distanza prossima alle dimensioni atomiche per cui si sviluppano le forze di Van der Walls) da un’ampia superficie piana. Con queste ipotesi la forza generata è pari a A·R/6· δ2 dove A è la costante di Hamaker, che dipende dal materiale di cui è realizzato il piano e che può essere posta pari a 10-19 J. Con queste ipotesi è possibile stimare la forza sviluppata da ciascuna spatula pari a 0,4 µN. Poiché le spatule contenute in una zampa sono circa un miliardo la massima forza generabile se tutte le spatule fossero alla distanza ottimale (tale da generare la forza massima) dal piano d’appoggio è pari a 400 N. Ciò ovviamente non è possibile, dato che si tratterebbe di posizionare con la precisione del decimo di nanometro un miliardo di spatule in alcuni millisecondi su una superficie di geometria ogni volta diversa. Questo probabilmente spiega la forza realmente misurata. Di grande interesse è anche il distacco dalla superficie. In questo caso è molto importante porre attenzione all’angolo che si forma tra la setula ed il piano d’appoggio. Infatti è stato rilevato sperimentalmente che la forza di distacco mostra un minimo nell’intorno dei 30 gradi. Nella realtà, probabilmente, il geco usa due effetti che riuscire a vincere la forza attrattiva: il primo, già esposto, di sfruttare la presenza di un angolo critico al raggiungimento del quale si ha un netto calo della forza di attrazione; il secondo di muovere la zampa 6.20 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi opportunamente in modo da staccare le setule a gruppi in tempi successivi. Infine si riporta il dettaglio della locomozione dei lombrichi. Quest’ultimi sono invertebrati, cioè non hanno uno scheletro, ma sono comunque capaci di avanzare nel sottosuolo. Fibre muscolari circolari Setto ••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• ••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• Liquido celomerico Fibre muscolari longitudinali Fig. 6.11 Il corpo dei lombrichi è più o meno cilindrico ed il diametro è molto più piccolo della lunghezza. Il corpo, fatta eccezione per le parti iniziale e terminale, è costituito da una successione di elemento sostanzialmente identici, detti celomeri o celle celomeriche. Le zone terminali dei lombrichi sono differenti dal resto del corpo perché ivi sono collocati organi particolari come bocca e organi escretori, ma dal punto di vista della locomozione queste differenze non sono rilevanti. In figura 6.11 è riporta una sezione trasversale schematica di tre celle celomeriche di un lombrico. E’ possibile notare che intorno ai celomeri i lombrichi hanno dei fasci muscolari circolari e longitudinali. Ciascuna cella celomerica non è altro che un cilindro chiuso pieno di un liquido acquoso. Il moto dei lombrichi è legato alla incomprimibilità dei liquidi. Infatti contraendo le fibre muscolari circolari che avvolgono le celle celomeriche i lombrichi ottengono aumento della lunghezza della singola cella che è regolato dalla seguente relazione: 6.21 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico V = π ⋅ r 2 ⋅ l = π ⋅ ( r − dr ) 2 ⋅ (l + dl ) = π ⋅ ( r 2 ⋅ l + l ⋅ dr 2 + dl ⋅ dr 2 + dl ⋅ r 2 − 2 ⋅ r ⋅ l ⋅ dr − 2 ⋅ dr ⋅ dl ⋅ r ) da cui eliminando i termini di ordine superiore segue che π ⋅ r 2 ⋅ l = π ⋅ r 2 ⋅ l + π ⋅ dl ⋅ r 2 − 2 ⋅ π ⋅ r ⋅ l ⋅ dr da cui semplificando si ottiene la seguente relazione: dr r = dl 2 ⋅ l Questo significa che accorciando le fibre muscolari circolari di una data quantità di ottiene un allungamento doppio nella direzione del avanzamento. Proprio questi allungamenti, che percorrono l’intero corpo in modo ritmico, sono usati dai lombrichi per avanzare. In particolare, il corpo dei lombrichi è ricoperto di ciglia orientabili, che consentono al lombrico di bloccare, contro il terreno, la posizione delle sezioni a diametro maggiore (sezioni in cui le fibre muscolari circolari sono rilassate) usandole come punto di appoggio per l’avanzamento. 1 2 3 4 5 6 Fig. 6.12 6.22 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi Viceversa le celle compresse di diametro minore non toccano le pareti del tunnel e possono avanzare liberamente. In natura esistono molte varianti di questo tipo di meccanismo di avanzamento, tra cui invertebrati che uniscono a questo la presenza di piccole protuberanze (parapodi) per aumentare la capacità di superare ostacoli. Nella figura precedente è mostrata successione di passi di avanzamento. 6.6 Modelli meccanici e matematici per lo studio della locomozione eccitata da vibrazioni L’idea di partenza è quella di realizzare un sistema in grado di avanzare tramite vibrazioni. Per poter sfruttare delle vibrazioni pressoché casuali è necessario realizzare una geometria asimmetrica che sia in grado di dare al moto una direzione precisa. In letteratura non esistono modelli specifici per questo tipo di locomozione. Perciò è stato necessario partire da due ipotesi di base: forzante sinusoidale (in realtà sin ora si è parlato di forzante casuale, ma data la difficoltà che verrebbe introdotta nei calcoli da questa eventualità, si è scelto di utilizzare questa semplificazione) e superficie di contatto asimmetrica. 6.5.1 Equazione del moto generale In parallelo è stata studiata una equazione del moto molto generale in cui il termine viscoso è stato diviso in due componenti, uno lineare con la velocità ed uno quadratico. Infatti la via, presa in m ⋅ &x& + c1 ⋅ x& + c 2 ⋅ x& 2 + k ⋅ x = F0 ⋅ e iωt (6.2) considerazione del paragrafo precedente, con le due ipotesi di corpi rigidi e attrito secco appare troppo semplificativa per cogliere a pieno il fenomeno fisico da simulare. 6.23 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico F(t) c 1·x G k·x Muco c 2·x 2 m ·x Fig. 6.13 Con l’equazione (6.2) si cerca di tener conto della presenza, in parallelo allo smorzamento tradizionale rappresentato dal termine lineare nella velocità, di una componente viscosa dovuta alla mediazione del contatto da parte del muco. Questo comportamento è rappresentato dalla componente quadratica della velocità. Infine il termine elastico è da considerarsi come la condensazione ad un parametro della non rigidezza della superficie di contatto. I termini c1, c2, k ed m sono posti costanti. Per poter avere una soluzione più generale possibile si è cercata l’integrazione diretta dell’equazione (6.2), ma non è stato possibile trovare una soluzione esatta. x(t) [m] tempo [sec] Fig. 6.14 6.24 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi Quindi si è condotta una integrazione numerica, che ha portato ad un andamento come quello riportato in fig. 6.14. Inoltre per realizzare la predetta integrazione si è posto, con un artificio matematico, che al variare al segno della velocità varia l’entità del coefficiente c1. In particolare, se il segno della velocità è concorde con la x il valore è maggiore, nel caso opposto è inferiore. Nel prossimo paragrafo sarà illustrato nel dettaglio il metodo seguito. 6.5.2 Modello meccanico semplificato Prima di provare a risolvere, per qualsiasi via, il problema è necessario impostare nel modo più generale possibile un modello meccanico minimo. F(t) G µ mg m ·x Fig. 6.15 Nella figura precedente sono mostrate le forze in gioco in direzione orizzontale nell’ipotesi di massima semplificazione: attrito secco e corpi rigidi. In questo caso, con una forzante sinusoidale simmetrica, si può avere un avanzamento del baricentro rispetto ad un sistema di riferimento assoluto solo se il coefficiente d’attrito è asimmetrico. Come mostrato in figura l’attrito asimmetrico può essere realizzato con una particolare superficie di contatto la cui geometria sia tale da opporre una resistenza all’avanzamento variabile con la direzione del moto. Per esempio, se si percorre l’asse orizzontale nel verso delle x positive il valore del coefficiente d’attrito è pari a 0,01 se invece lo si 6.25 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico percorre nel verso delle x negative il valore sale a 0,1. Per ottenere questo la funzione µ deve essere tarata tramite le costanti a,b e c. In questo caso, a viene posto pari a 0,055 e b pari a 0,045. Il parametro c influenza solo la pendenza e l’ampiezza della zona di transizione tra i due asintoti orizzontali. Al crescere di c il gradino diventa più pronunciato. Nel caso mostrato in figura 6.16 c è pari a 100.000. µ dx/dt [m/sec] Fig. 6.16 In questo modo, quando la forza eccitatrice è concorde con la direzione d’attrito ridotto si ha un avanzamento del dispositivo, invece quando l’eccitazione è diretta nel verso opposto, poiché la forza d’attrito è notevolmente superiore, si ha un arresto del moto oppure un arretramento inferiore all’avanzamento precedentemente effettuato. E così via nel susseguirsi dei cicli di eccitazione. Con l’unione di queste ipotesi, si è provato a studiare l’equazione del moto in direzione orizzontale. Nell’equazione (6.1), l’asimmetria del coefficiente d’attrito è realizzata con un artificio matematico per poter realizzare una integrazione relativamente semplice. 6.26 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi m ⋅ &x& = F ⋅ cos(ω ⋅ t ) − µ ( x& ) ⋅ mg µ ( x& ) = a − b ⋅ tanh(c ⋅ x& ) (6.1) In figura 6.13 si può vedere l’andamento del coefficiente d’attrito con il variare del segno della velocità di avanzamento del corpo. Si può notare che, intorno all’origine, invece di avere un gradino, si ha un andamento continuo ma molto vicino a quello teorico. Inoltre, essendo a,b e c costanti arbitrarie, è possibile tarare la funzione µ in base ai valori misurati sperimentalmente. Nel dettaglio La funzione (6.1) è stata studiata con l’ausilio di un software di calcolo. I risultati ottenuti sono interessanti e sono riportati in figura 6.17. L’integrazione è stata condotta usando la funzione Rkfixed che restituisce una matrice di soluzioni per l’equazione differenziale in esame partendo dalle condizioni iniziali e compiendo l’integrazione con il metodo di Runge-Kutta. 0, 0, 0, x(t) [m] 0, 0, 0, tempo [sec] Fig. 6.17 Il grafico riportato nella figura precedente è ottenuto ponendo le costanti arbitrarie su valori vicini a quelli ipotizzati per il primo prototipo realizzato, di cui si parlerà nei prossimi capitoli. In 6.27 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico particolare la massa è stata posta a 30 grammi ed il coefficiente d’attrito è pari a 0,1 nel verso positivo delle x ed a 0,5 in quello negativo. 6.5.3 Equazione del moto idrodinamica Un altro possibile approccio per semplificare il problema è quello utilizzato nella teoria dei cuscinetti tipo Michell. Prima di arrivare alla trattazione di Michell è necessario considerare le ipotesi da cui questa teoria parte. Innanzi tutto è importante sottolineare che lo studio dei cuscinetti reggispinta è una applicazione particolare dell’equazione di Reynolds. Trattandosi di contatto tra due corpi mediato da un fluido, è opportuno iniziare con il caso più semplice. In fig. 6.18 sono mostrate le forze in gioco nel caso più semplice: due elementi in moto relativo di cui uno inclinato di un angolo δ e con una velocità relativa costante pari a V in direzione x. Fig. 6.18 6.28 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi Le ipotesi fatte sono: fluido incomprimibile, peso del fluido trascurabile, effetti dovuti all’inerzia del fluido trascurabili, moto del fluido laminare, moto del fluido bidimensionale, viscosità del fluido costante lungo il meato, pressione costante in ogni sezione normale alla direzione della velocità del fluido. Scrivendo l’equazione di equilibrio alla traslazione secondo l’asse x dell’elemento di fluido considerato si ha: ∂p ∂τ p ⋅ dy − p + ⋅ dx ⋅ dy − τ ⋅ dx + τ + ⋅ dy ⋅ dx = 0 ∂x ∂y (6.3) da cui, dopo aver tenuto conto che la pressione lungo la direzione y si mantiene costante e dopo aver integrato due volte lungo y e dopo aver posto che l’angolo δ sia piccolo, si ottiene la seguente espressione: dp 6 ⋅ µ ⋅ V = dx h2 2⋅ q ⋅ 1 − V ⋅h (6.4) dove dp/dx è il gradiente di pressione esistente nel fluido, dove V è la velocità relativa tra i due elementi, dove q è la portata in volume per unità di larghezza del meato e dove h è l’altezza della sezione a cui si riferiscono le altre grandezze. L’equazione (6.4) è la forma più semplice dell’equazione di Reynolds per il caso di moto bidimensionale del fluido. Per quanto riguarda la trattazione di Michell per i cuscinetti reggispinta, questa parte dall’equazione di Reynolds (6.4) affiancando l’ipotesi di ripartire il carico pagante in modo omogeneo tra i singoli pattini e procedendo allo studio di solo un singolo pattino sottoposto al carico pagante diviso il numero di pattini. Con semplici passaggi si arriva alle seguenti relazioni: µ ⋅V ⋅ b ⋅ l 2 = ⋅cp P h 22 µ ⋅V ⋅ b ⋅ l ⋅cf FT = h2 x = l ⋅ cm 0 (6.5) 6.29 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico dove P è il carico verticale agente sul singolo pattino, dove FT è la forza tangenziale agente su ogni pattino diretta in senso opposto al moto, dove x0 è la distanza, lungo x, tra l’inizio del pattino e il punto di applicazione della risultante delle forze di pressione restituite al pattino dal fluido. Inoltre m è la viscosità del fluido, b è la larghezza del meato, l è la lunghezza del pattino, h2 è lo spessore minimo del meato, cp, cf e cm sono tre coefficienti adimensionali funzione unicamente della geometria del meato. Tutti i termini sopraelencati sono costanti. Per applicare questi risultati al caso in esame è necessario fare alcune considerazioni. Nello specifico, l’endoscopio deve avanzare in un tubo quindi è evidente che si debba supporre che anche quest’ultimo abbia una simmetria circolare. Nonostante le apparenti differenze geometriche il caso è riconducile alla simmetria piana precedentemente esposta: Lo scambio di forze tra elemento in moto e tubo si concentra in una ristretta zona dove si scarica la risultante della forza peso, poiché nella restante porzione di circonferenza non si ha contatto, dato che l’endoscopio è di diametro inferiore rispetto alla sezione di passaggio e entrambi i corpi sono considerati rigidi. Volendo quindi svolge, in prima approssimazione, un calcolo piano, si deve ipotizzare una larghezza di contatto equivalente per riportarsi al caso bidimensionale puro. V G NC RA ND TC A · m ·x m ·g C TD B RB · D Fig 6.19 6.30 α Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi Per approssimare il caso in esame si è scelto di studiare il caso mostrato in figura 6.19. In particolare, si tratta di due pattini identici accoppiati che avanzano a velocità costante sopra una superficie piana. In figura sono mostrate tutte le forze in gioco, in modo del tutto generale. Infatti le reazioni in A e B sono presenti solo se il corpo è fermo e le forze applicate in C e D che il fluido, nel meato, restituisce al corpo sono diverse da zero solo se la velocità non è nulla. m ⋅ &x& = TC + TD + F (t ) (6.6) m ⋅ &y& = RA + RB + N C + N D − m ⋅ g && I ⋅ ϑ = N C ⋅ xC − TC ⋅ yC − m ⋅ g ⋅ xG + RA ⋅ l + N D ⋅ xD − TD ⋅ y D Sopra sono riportate le equazioni del moto (6.6), in cui xC, xD e yC, yD sono rispettivamente le coordinate lungo x e lungo y dei punti di applicazione delle forze che il fluido esercita sul corpo in moto. Inoltre G è il baricentro dell’elemento mobile e A e B sono i punti di contatto quando il corpo è fermo. Per poter risolvere il sistema (6.6) si pongono le seguenti ipotesi: NC = N D = N TC = TD = T e Anche le seguenti sottolineate: y C = tg (α ) ⋅ xC xC + l = x D yC = y D considerazioni e geometriche y D = tg (α ) ⋅ xC (6.7) devono essere (6.8) Infine si suppone che l’accelerazione in direzione y e l’accelerazione angolare siano pari a zero. Tutto ciò premesso, facendo alcuni semplici passaggi, si ricavano le seguenti relazioni (6.9): 6.31 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico m ⋅ &x& = 2 ⋅ T + F (t ) m⋅ g = N 2 m⋅ g ⋅l ( ) ⋅ ⋅ − ⋅ ⋅ = x m g 2 T tg ( a ) C 2 (6.9) poiché si hanno tre equazioni e quattro incognite non è possibile procedere in questa direzione senza porre ulteriori ipotesi. 6.5.4 Analisi e sintesi dei modelli proposti I primi due modelli sono risultati integrabili per via numerica ed hanno fornito degli andamenti possibili. L’ultimo modello proposto, nonostante le notevoli ipotesi semplificative poste, non è solubile poiché si hanno più incognite che equazioni e quindi non ha consentito neppure un approccio numerico. Questo perché si è provato ad affrontare il problema della lubrificazione nel caso non stazionario con una geometria rappresentativa della realtà da investigare. Per poter risolvere il problema è necessario porre un’ulteriore ipotesi che potrebbe scaturire dai seguenti aspetti: prove sperimentali sul campo da cui ricavare l’andamento del moto reale ed usare la famiglia di curve a cui questo appartiene come soluzione di tentativo dell’equazione differenziale da risolvere; stabilire un legame tra le forze verticali e quelli orizzontali generate dall’interazione idrodinamica; fare delle ipotesi sulla posizione del punto di applicazione della risultante delle forze viscose oppure generare un qualche relazione empirica che consenta di avere quattro equazioni in quattro incognite. In tutti e tre i casi, avendo posto per l’equazione idrodinamica l’ulteriore condizione semplificativa per poter procedere alla soluzione, 6.32 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi la complessità matematica non consente un integrazione diretta di nessuno dei sistemi di equazioni trovati. Essendo quindi comunque necessaria un’integrazione numerica non ci sono particolari differenze nelle difficoltà connesse alla risoluzione dei vari casi. Per quanti riguarda i due modelli semplificati è ragionevole che l’equazione del moto reale sia intermedia tra i risultati ottenibili con i due approcci. Per questo, nella figura seguente sono riportati congiuntamente i due andamenti. Con linea continua è riportato l’andamento dell’equazione del moto con attrito viscoso e idrodinamico e con linea tratteggiata la soluzione del sistema con attrito secco. x(t) [m] tempo [sec] Fig. 6.20 6.6 La muco adesione: possibilità e limiti La bioadesione è un fenomeno interfacciale nel quale due materiali, dei quali almeno uno è biologico, sono tenuti insieme da forze interfacciali. I polimeri non interagiscono direttamente con il tessuto, ma il legame è mediato sempre dalla presenza di muco. Nel fenomeno della bioadesione, i polimeri, sintetici o naturali, ad alto peso molecolare, devono entrare in contatto con lo strato più superficiale del muco, in particolare devono interagire con la mucina. 6.33 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico In realtà le teorie utilizzate per spiegare il fenomeno della bioadesione sono varie, per esempio teorie elettroniche, di adsorbimento, e di diffusione. In generale si può dire che il fenomeno della mucoadesione si divide in due momenti: inizialmente si ha un intimo contatto fra il polimero idrato e la membrana, seguito dalla formazione del legame che si instaura principalmente attraverso interazioni sia fisiche che chimiche. I legami di tipo fisico risultano dalla compenetrazione fra la matrice polimerica e le catene estese del muco, mentre i legami chimici sono prevalentemente interazioni elettrostatiche, idrofobiche ad idrogeno e di Van der Waals. Il fenomeno della mucoadesione può avvenire sia mediante legami di tipo covalente che mediante legami non covalenti. Sono stati proposti numerosi meccanismi per spiegare questo fenomeno. Secondo la teoria elettronica c'è un doppio strato di carica elettrica all'interfaccia tra il tessuto e la sostanza bioadesiva, dovuto al trasferimento di elettroni al livello del contatto superficiale. Questo trasferimento di elettronico si verifica a causa della differenza strutturale tra la sostanza bioadesiva e le glicoproteine del muco, in questo caso la bioadesione è dovuta all'attrazione elettrica attraverso il doppio strato. Invece la teoria dell'assorbimento suggerisce che la bioadesione sia legata a forze secondarie come quelle di Van Der Waals e legami ad idrogeno, ovvero legami deboli. Infine la teoria della bagnabilità, applicata principalmente ai sistemi bioadesivi liquidi, analizza la capacità di un liquido di potersi espandere su superfici biologiche, e per valutare la mucoadesività utilizza il coefficiente di diffusione di un liquido su superfici biologiche. Per avere una buona bioadesione è necessario che le molecole del polimero si intercalino completamente nello strato mucoso. È molto importante anche il valore del pH, così come la conformazione spaziale della molecola del polimero. In generale i polimeri che presentano cariche negative riescono ad aderire meglio, ma è stato osservato che anche i polimeri come i poliacrilamide e i poli(dimetil-aminoetil-metacrilato) riescono a formare dei legami con il muco, purché il pH sia neutro. Una limitazione nel fenomeno della mucoadesione è il tempo di ricambio del muco del tratto gastro-intestinale, che è di circa 4 ore, 6.34 Tesi di Dottorato di Luigi Gerovasi per cui, visto che l'adesione avviene fra il polimero ed il substrato mucoso, l'adesione non può durare per un periodo maggiore a quest’ultimo. In effetti i polimeri ed il muco possono interagire fra loro, sia mediante legami covalenti (per esempio la formazione di ponti S-S), ma questo provoca, almeno per il nostro scopo, un legame troppo duraturo nel tempo (come minimo il tempo di sostituzione del muco: quattro ore). Partendo da questo, si può quindi pensare di utilizzare alcuni polimeri che siano in grado di interagire con il muco intestinale variando sia il pH che la temperatura, oppure applicando un campo elettrico. Oggi polimeri come il Carbopol Polymers, Pemulen Polymeric Emulsifiers e Noveon Polycarbophils , sono utilizzati come polimeri mucoadesivi per il rivestimento di farmaci a rilascio controllato. In questi polimeri sono presenti molti legami incrociati, inoltre non si sciolgono in acqua, ma riescono ad aumentare il loro volume circa 1000 volte quello di partenza. Il meccanismo d'azione di questi tipi di polimeri è influenzato molto dal valore del pH, infatti un pH elevato conferisce a tale polimero la presenza di gruppi carichi negativamente sulla superficie, in maniera tale da permettere la formazione di legami ad idrogeno. Quindi anche questi polimeri potrebbero rappresentare delle potenziali sostanze da utilizzare per l'adesione con il muco intestinale. Il problema fondamentale per fruttare la mucoadesione in campo endoscopico è la ricerca di polimeri con proprietà adesive modulabili. In pratica il problema si divide in due parti, ovvero la ricerca di polimeri con proprietà adesive e la ricerca di polimeri con proprietà modulabili. Questi due campi difficilmente si integrano, poiché da una parte è possibile trovare polimeri mucoadesivi, ma il fenomeno dell'adesione si realizza mediante legami covalenti (S-S), mentre dall'altra è possibile trovare polimeri con caratteristiche di forma e di resistenza modulabili, ma che non manifestano proprietà adesive. 6.35 Capitolo 6 • Descrizione ed analisi del problema meccanico Purtroppo ad oggi non è stato possibile trovare polimeri con le caratteristiche richieste e quindi la strada della mucoadesione è stata accantonata. 6.36