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IFOM-ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE
Svend Petersen-Mahrt
Un laboratorio
“controcorrente”
Studiando un gruppo di enzimi coinvolti
nella revisione e correzione degli errori
che si verificano nella duplicazione
delle cellule, i ricercatori hanno
scoperto nuovi meccanismi
e nuove interazioni
che possono portare
Svend Petersen-Mahrt,
allo sviluppo dei tumori
coordinatore del gruppo
che si occupa
di genetica del sistema
immunitario
a cura di
CRISTINA FERRARIO
utazioni del
DNA che si rivelano positive e ormoni
normalmente
presenti nell’organismo che
possono contribuire alla trasformazione tumorale delle
cellule: da un dialogo con
Svend Petersen-Mahrt, coordinatore del gruppo “Editing
del DNA nel sistema immunitario e in epigenetica”
presso l’IFOM di Milano,
emerge l’idea che molte delle
regole e dei dogmi della biologia dovrebbero essere
messi in discussione. Ogni
giorno nelle nostre cellule
assistiamo all’evoluzione su
scala ridotta.
Questa evoluzione è senza
dubbio positiva per l’organismo e può aver luogo anche
grazie alle tanto temute mutazioni che siamo abituati a
M
vedere solo come negative.
La proteina AID, al centro
delle ricerche del gruppo di
Svend Petersen-Mahrt, ha un
ruolo chiave in questi processi di mutazione: è lei infatti che permette ai linfociti
B di mutare e di produrre
così migliaia di anticorpi diversi che ci permettono di difenderci. Allora perché aver
paura delle mutazioni? E
perché la cellula possiede
tanti strumenti per riparare i
danni al DNA, causati dalle
mutazioni e mantenere così
“
la stabilità del genoma? “È
una questione di equilibrio e
di ‘decisioni molecolari’ che
la cellula deve prendere continuamente” dice il ricercatore ricordando che ogni giorno ciascuna delle nostre cellule deve far fronte a circa
25.000 mutazioni. Se tutte
venissero mantenute, non
potremmo certo sopravvivere, ma per contro alcune potrebbero anche rivelarsi positive. “È per questo che i sistemi di riparazione del DNA
non sono statici, bensì incre-
dibilmente dinamici e si
adattano alle diverse situazioni” continua PetersenMahrt, che con il suo gruppo
studia il ruolo di AID nell’indurre mutazioni al DNA attraverso l’intervento della
proteina nei meccanismi
della riparazione del danno a
livello epigenetico. “In altre
parole, il risultato finale – la
mutazione – non è frutto di
cambiamenti della struttura
del DNA, ma dei segnali
posti ‘sopra’ il DNA stesso e
fondamentali per esprimere
”
UN LUNGO VIAGGIO FINO IN ITALIA
Il viaggio che porta Svend PetersenMahrt all’IFOM è fatto di tante tappe e
tanti Paesi: Germania, Stati Uniti, Svezia e
Regno Unito. Ultima tappa (per ora) è
Milano: “Ammetto che quando cercavo un
nuovo posto per le mie ricerche l’Italia non
era nella lista dei Paesi che avevo in
mente” dice il ricercatore. Ma l’incontro
quasi casuale con IFOM ha cambiato le
cose: “IFOM è un luogo perfetto,
soprattutto dal punto di vista
dell’interazione con gli altri. Qui ci sono
tante persone con le quali voglio e posso
parlare delle mie idee e alle quali mi
posso rivolgere per ottenere le
informazioni che mi mancano per
completare il mio puzzle” dice Svend,
convinto che la condivisione e la
collaborazione siano le chiavi per il
successo di una ricerca.
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IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientifica
d’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici è sostenuto da FIRC, Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, attraverso lasciti testamentari.
in modo
corretto i
diversi
geni” spiega il ricercatore. Le
mutazioni che ne derivano
possono essere positive a livello del sistema immunitario, ma se si verificano in
altre cellule potrebbero dare
il via ai meccanismi che portano al cancro.
In alto l’ingresso
della sede di IFOM
ESTROGENI: AMICI O
NEMICI?
Una volta superato il concetto che le mutazioni siano
sempre dannose, resta da
modificare un altro dogma
della biologia: “Il cancro
compare solo se una sostanza è capace di mutare il
DNA”. Il gruppo di PetersenMahrt si sta concentrando
infatti su sostanze presenti
fisiologicamente nel corpo
umano e che in genere non
causano mutazioni: gli estrogeni. “Quando ho scoperto –
era il 17 gennaio del 2002 –
che AID ha un ruolo nel mutare il genoma, ho realizzato
che una funzione fisiologica
di questa proteina, la deaminazione, può diventare pericolosa per la cellula e indurre mutazioni” dice il ricercatore che è poi riuscito a dimostrare come gli estrogeni
siano in grado di attivare
AID e un gruppo di proteine
a essa legate dal punto di
vista evolutivo, chiamate
APOBEC. Una scoperta
molto importante per l’oncologia perché dimostra che
tutto ciò che è in grado di attivare AID o APOBEC può
causare mutazioni al DNA.
“Gli estrogeni hanno questa
capacità: possono mutare il
DNA anche se in modo indiretto, attraverso l’attivazione
di altre molecole” ribadisce
Petersen-Mahrt. Dal punto di
vista pratico è fondamentale
sottolineare che si parla di
concentrazioni fisiologiche
dell’ormone, non certo di
dosi enormi a volte usate
negli esperimenti che si svolgono sui banconi del laboratorio e che poco hanno a che
fare con il paziente. “L’insorgenza e la progressione di tumori che rispondono agli ormoni (seno, prostata, ovaio),
ma anche di molti altri tipi
di cancro, potrebbero essere quindi evitate o rallentate controllando
in
modo attento
queste sostanze” dice l’esperto. E per le donne che assumono terapia ormonale sostitutiva diventa importante
somministrare anche farmaci per bloccare la deaminasi
e ridurre così il rischio di sviluppare tumori secondari.
Tanti gli spunti promettenti
per la lotta contro il cancro.
Riparare un danno al
DNA è una questione vitale. Come un operaio esperto, la cellula sa come intervenire nelle diverse situazioni, dando il via a questo
o quel meccanismo di riparazione. “Grazie a tecniche
di biochimica siamo letteralmente in grado di ‘contare’ quante molecole riparano i danni in
un modo o
nell’altro”
dice Petersen-Mahrt,
ricordando
che il suo
gruppo è oggi l’unico al
mondo capace di arrivare a
questo risultato. E in base a
questo conteggio è possibile capire come la cellula riparerà il danno e di conseguenza capire come un tumore si è sviluppato e come
può essere curato in modo
più efficace.
Gli estrogeni
agiscono
in modo
ambiguo
GIUGNO 2015 | FONDAMENTALE | 21