Il Mediterraneo, un mare assediato

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Il progressivo spostamento della popolazione
verso il mare è certamente un fenomeno
planetario, ma raramente assume le dimensioni
raggiunte nel bacino del Mediterraneo Romano.
Su entrambe le rive, nord e sud, il numero degli
abitanti è aumentato considerevolmente; i 16
Paesi che vi si affacciano sono passati da un
totale di 213 milioni di abitanti negli anni a cavallo
del 1950 a più di 360 alla fine degli anni Ottanta.
Grosso modo, si può stimare nel 70% l’aumento
intervenuto nel giro di un quarantennio, una
crescita che resta tuttavia inferiore a quella media
mondiale. Attualmente vivono nella fascia
costiera almeno 80 milioni di persone. Sulla riva
sud, la crescita demografica esplosiva dei due
Paesi più popolosi, l’ Egitto e l’ Algeria, ha portato
il primo a raddoppiare la sua popolazione e il
secondo quasi a triplicarla, per lo più in aree
ristrette, data la larga presenza di pre-deserti e
deserti in entrambi i Paesi.
Agli effetti della pressione umana sugli
ambienti marini e litoranei, ancora più
importante è valutare i quantitativi di popolazione
che insistono nei bacini idrografici che si
affacciano sul Mediterraneo e scaricano il loro
deflusso in un mare interno cui la limitatezza degli
scambi con i mari adiacenti e l’oceano non
consente un ricambio rapido delle acque.
Non solo la popolazione, ma l’impatto delle
industrie e di un’agricoltura che fa ampio uso di
additivi chimici raggiunge un livello qual è difficile
riscontrare in altre parti del mondo. Infine,
l’Europa mediterranea, non va dimenticato,
rappresenta un terzo di tutti i flussi turistici
nazionali e internazionali, ponendosi come la
principale concentrazione turistica mondiale.
Non ci sono definizioni universalmente accettate
del termine “popolazione costiera”: molto dipende
dalla scala dalla quale si osserva il fenomeno. Se
si considerano interi continenti, si può parlare di
una fascia di 50 o anche di 80 km in cui il clima è
senz’altro marittimo e l‘economia e l’insediamento
umano sono generalmente legati allo spazio
economico marino. Alla scala regionale e locale si
parla di comuni costieri quando il loro territorio
tocca il mare, oppure se i centri abitati sono situati
a non più di 5 km dalla linea di costa e non
superano in altitudine i 50 m slm. Per tanto,
siccome nel tempo non si sono seguiti criteri
uniformi di classificazione, non è agevole valutare
la variazione numerica della popolazione costiera.
I risultati possono essere molti diversi, ma quasi
sempre, anche a diverse scale, i valori sono in
aumento.
Aldilà delle convenzioni a proposito della
marittimità, se intendiamo valutare l’impatto della
popolazione sulle acque marine in termini di
inquinamento causato dalle acque reflue,
certamente è preferibile attenersi al criterio dei
bacini idrografici che scaricano nel Mediterraneo.
Per un verso quindi anche Milano, pur lontana dal
mare circa 260 km, è una città costiera perché la
numerosità e la densità della sua popolazione
esercitano un impatto sensibile sulle acque dell’
Adriatico a causa della mancanza di depuratori
fognari. Se invece prendiamo in considerazione
un altro tipo di impatto, la presenza umana diretta
e quindi la sostituzione di spazi antropizzati agli
spazi naturali e l’effetto delle opere umane e della
stessa frequentazione umana dei litorali, sarà
meglio concentrare l’attenzione sugli spazi
fisicamente contigui al mare, principalmente la
fascia litoranea e quella sub-litoranea.
L’addensamento della popolazione sulle coste
del Mediterraneo si è accentuato a partire dal
periodo tra le due guerre mondiali, soprattutto
come conseguenza di due fenomeni: i l turismo di
mare con le attività connesse e la crescente
preferenza per la residenza in alcuni tratti costieri.
Il clima mite attraeva fin dal secolo XVIII sulla
costa francese meridionale i nobili delle fredde
città del nord che venivano a svernarvi. Dalla fine
dell’Ottocento non poche località mediterranee
sono diventate residenza preferita da persone in
genere adulte o anziane delle classi abbienti delle
città nord e centro-europee, soprattutto
dell’Inghilterra e della Germania. La Liguria e la
Versilia hanno conosciuto forme di villeggiatura
quasi altrettanto antiche, alimentate da un’élite
danarosa o che almeno ruotava intorno al denaro
e al prestigio di famiglie importanti.
Le grandi opere di bonifica e il potenziamento di
scali commerciali e militari hanno poi contribuito a
popolare anche le pianure retrostanti e quindi
influito sull’aumento dei traffici e sulla densità di
popolazione della costa vera e propria. Ma
soprattutto il debellamento della malaria
consentì una rivalutazione di spazi costieri che
erano stati abbandonati addirittura per secoli.
Infine il turismo di mare diventa un fenomeno di
massa provocando un affollamento estiva mai
prima registrato.
La sete d’acqua, un millenario problema
Tra i diversi problemi che l’aumento della
popolazione residente e di quella stagionale pone
all’ambiente mediterraneo (e che vanno dalla
riduzione degli spazi naturali con
depauperamento della flora e della fauna e dal
pregiudizio arrecato ai litorali sabbiosi agli effetti
nefasti del sovraffollamento), uno emerge su tutti
gli altri: è l’aumento della domanda d’acqua che
aggrava un problema millenario, riguardante la
penuria di una risorsa di base che ha vincolato
per molto tempo il popolamento.
Il reperimento dell’acqua, la sua conservazione e
distribuzione hanno condizionato lo sviluppo della
città mediterranea, i suoi rapporti con l’entroterra,
la sua ricchezza. Le risorse sono state,
dall’antichità classica alle soglie del secolo XX ,
soprattutto quelle dei fiumi che si versano nel
Mediterraneo. Fiumi di rado importanti per la
navigazione a causa dell’aleatorietà delle portate
estive, ma ciò nonostante capaci di esercitare un
grande potere di attrazione a motivo delle terre
fertili presenti nelle pianure di foce e dell’acqua
disponibili per l’approvvigionamento urbano e per
l’irrigazione dei campi.
Si è assistito, da alcuni decenni, al rapido degrado
delle risorse idriche di molte città costiere. Da una
parte si è verificato il peggioramento qualitativo
delle acque che giungono a immettersi in mare
dopo aver raccolto i reflui di zone urbane e
industriali, dall’altra viene meno la stessa
risorsa, in conseguenza dell’aumento degli
sbarramenti lungo gli alvei, realizzati per
captare le acque e magari divergerle verso altri
bacini, per usi urbani, agricoli e industriali. Acque
meno abbondanti e qualitativamente scadenti
raggiungono quindi le zone litoranee, dove gli
acquiferi più o meno profondi, vengono riforniti di
acqua dolce in minor misura e pertanto sono
soggetti all’effetto salinizzante delle infiltrazioni
d’acqua di mare.
Un po’ dappertutto, l’eccessivo emungimento ha
abbassato la piezometria naturale, cosìcchè
minacciano di diseccarsi antiche opere idrauliche,
per esempio le cimbras dell’Almeria ( gallerie
drenanti di probabile origine araba che attingono
acquiferi poco profondi). VEDI SCHEDA
La crescente domanda di acqua da parte degli
insediamenti umani e dell’industria incide già
pesantemente sull’agricoltura irrigua che, secondo
una stima recente della FAO, riguarda, i 24 Paesi
che si estendono dal settore centrale del
Mediterraneo fino al Medio Oriente, circa 29
milioni di ha.
Se nei settori occidentale e settentrionale
l’irrigazione può essere considerata
incrementativa dei rendimenti , nelle regioni poste
ad est e a sud essa è indispensabile. In molti di
questi Paesi, le aree irrigue hanno avuto, rispetto
alla situazione del 1970, una crescita modesta e
in qualche caso sono rimaste addirittura invariate,
mentre la popolazione ha registrato una dinamica
assai vivace.
Alcuni Paesi della Riva Sud, infatti, fanno
segnalare tassi di incremento demografico ancora
elevati, per esempio il Marocco, l’Algeria, l’Egitto.
L’acqua è oggetto di contesa. Le principali aree
irrigue si sono sviluppate storicamente intorno alle
città mediterranee, proprio là dove la
competizione per la risorsa è oggi più marcata.
L’agricoltura valorizza l’acqua meno dell’uso
civico e del turismo cosa che indebolisce il potere
contrattuale degli agricoltori. L’espansione delle
città costiere, ma anche il turismo dei litorali, delle
oasi e delle zone periurbane, entrano in
concorrenza con l’irrigazione dei campi, in
maniera pesante nel caso delle oasi e degli agri
urbani irrigui delle città iberiche e nord africane.
VEDI SCHEDA
Come per ogni contesa, gli interessi delle parti
muovono l’azione politica. La politica dell’acqua
tende a mettere la gestione della risorsa nelle
mani delle collettività degli utenti, siano essi le
municipalità, le associazione degli agricoltori, i
consorzi irrigui o le popolazioni delle oasi. Quando
la risorsa era soltanto locale, la gestione
autonoma dell’acqua era più facile e frequente. Le
moderne tecnologie hanno superato il concetto
della risorsa idrica locale, a motivo dell’estensione
degli spazi interessati dalle grandi opere
idrauliche, dallo spostamento della risorsa su
distanze anche notevoli e dal finanziamento
statale delle grandi opere. Produzione ed energia,
approvvigionamento idrico, protezione dalle
alluvioni, sono attualmente oggetto di gestione su
vasti spazi in maniera integrata.
Un uso corretto delle risorse idriche.
La scarsità delle risorse è creata dai consumi pro
capite crescenti e dall’aumento dei consumatori
induce a cercare tutti i possibili modi di
accrescerla, attraverso il reperimento di nuove
riserve, il risparmio e il riuso. Tutte queste vie
possono essere seguite nell’intento di
razionalizzare l’uso dell’acqua e di mantenerlo nei
limiti della rinnovabilità degli acquiferi e della
salvaguardia di un livello qualitativo accettabile.
Pesanti tagli tuttavia sembrano inevitabili.
L’Algeria, ad esempio, ha scelto di sacrificare gli
interessi degli agricoltori a quelli dell’industria nel
conflitto per l’acqua.
Alle Baleari, la carenza d’acqua rischia di limitare
seriamente la ricettività turistica e già pone
l’agricoltura irrigua nella necessità di riutilizzare le
acque reflue.
Come in altre isole mediterranee. La crescita del
turismo non è stata regolata sulla disponibilità
della nostra risorsa idrica. Inoltre, in queste isole,
come in genere avviene nelle regioni turistiche
mature, si registra quasi sempre una ripresa
demografica, per cui una domanda d’acqua
crescente si distribuisce nel corso dell’anno senza
che si abbassi la punta estiva. In aggiunta, la
politica dell’acqua delle autorità locali ha fatto
poco ricorso al risparmio imposto con un alto
prezzo della fornitura idrica delle famiglie.
Acquedotti e sistemi di distribuzioni con forti
perdite, prezzi ridicolmente bassi, un servizio di
esazione trascurato hanno abituato amministratori
e amministrati allo spreco.
Caduti in disuso i sistemi tradizionali di raccolta e
conservazione dell’acqua (terrazzi di raccolta, reti
di pluviali e cisterne), l’uso irriguo delle acque
fognarie –pure presente nelle società tradizionaliè stato anch’esso abbandonato per motivi igienici,
cosicché più elevato è oggi il ricorso alle acque
sotterranee, cui si attinge mediante migliaia di
pozzi più o meno profondi spesso non autorizzati.
In molte aree il rapporto risorse/domanda è
prossimo alla crisi.
La risposta della dissalazione dell’acqua di mare
è, tecnicamente probabile, rappresenta un
gravame economico ingente, per cui si tende a
riservarla a casi estremi.
L’abitudine a un uso corretto dell’acqua fa parte
dell’educazione ambientale e non solo della
politica locale, regionale, statale. Le famiglie
potrebbero per proprio conto attivare accorgimenti
per il risparmio dell’acqua e il suo riuso, se fosse
più diffuso un giusto concetto della limitatezza di
questa risorsa, almeno riguardo all’acqua di
buona qualità. Inoltre, il diffondersi di una
sensibilità generalizzata non potrà che contribuire
a esercitare una giusta pressione sulle
amministrazioni pubbliche e sui legislatori per
l’emanazione di più efficaci normative di
protezione e l’attivazione di politiche che a vari
livelli ne incentivino un uso corretto.
Maria Luisa Gentileschi
Docente Università di Cagliari
Presidente AIIG Sardegna
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