L`Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza per la Festa

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L'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza
per la Festa della liberazione 2012
UN PROLOGO AL PROSSIMO SETTANTESIMO DELLA RESISTENZA...
1942: le battaglie che cambiarono il corso della guerra
El Alamein - La linea del fuoco
Regia, soggetto e sceneggiatura: Enzo Monteleone; f.: Daniele Nannuzzi; mus.: Pivio & Aldo De
Scalzi; sc.: Ettore Guerrieri; mont.: Cecilia Zanuso; inter.: Paolo Briguglia (Serra), Pierfrancesco
Favino (Rizzo), Luciano Scarpa (Spagna), Emilio Solfrizzi (Fiore) Thomas Trabacchi (De Vita),
Piero Maggiò (Tarozzi) Italia, 2002, dur. 117'
Nell'estate del 1942 il giovane Serra, volontario universitario palermitano, è inviato al fronte in Africa
settentrionale, assegnato alla Divisione “Pavia”, schierata a El Alamein, e destinato al plotone comandato
dal sobrio e disilluso tenente Fiore. Serra è certo invece, arrivando, che la campagna del Nordafrica sarà
conclusa vittoriosamente, ma la realtà del fronte si rivela anche per lui ben diversa da quella attesa,
caratterizzata dal caldo, dal rancio intermittente, dall'acqua inquinata, dalla dissenteria, dall'armamento
inadeguato, da un contesto di squallide trincee e di cecchini come se fosse ancora la Prima guerra mondiale.
In più si fa sentire l'artiglieria inglese, che martella le posizioni italiane. Serra conquista l'amicizia di alcuni
militari del suo reparto e in particolare del sergente Rizzo, un contadino veneto in guerra da due anni, che
gli insegna i modi per sopravvivere alla guerra nel deserto. Dopo l'attacco inglese del 23 ottobre arriva lo
sfondamento del fronte italo tedesco e la ritirata (a piedi) delle scarse forze superstiti delle divisioni italiane
(contrabbandata da alcuni alti ufficiali nel film come manovra di"sganciamento"). Serra, Rizzo e Fiore
rimangono a un certo punto soli. Il tentativo di riguadagnare le retrovie italiane attraverso il deserto riesce
alla fine solo a Serra, a bordo di una motocicletta fortunosamente ritrovata con sufficiente carburante.
L’ultima sequenza è (spielberghianamente...) ambientata nel sacrario di El Alamein.
LA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN: NOTA STORICA
El Alamein è una località del deserto egiziano a un'ottantina di chilometri dalla città di
Alessandria, collocata dove il deserto si restringe fra il mare e la profonda depressione di El
Qattara, impraticabile per i mezzi meccanici. Vi si attestarono all'inizio del luglio 1942 le truppe
inglesi inseguite da Rommel, che puntava, nella sua più possente offensiva scatenata in Nord
Africa, a Suez e ai pozzi di petrolio del Medio Oriente. Disposte su un fronte di 65 chilometri le
truppe inglesi riuscirono a bloccare e a respingere i numerosi attacchi del nemico fra il 3 e il 27
luglio 1942 (è la prima battaglia di El Alamein). Una nuova offensiva italo tedesca viene contenuta
dagli inglesi fra agosto e settembre. Inglesi e italo tedeschi (duecentomila circa i primi, un po' più
di centomila i secondi) continuano a fronteggiarsi fino alla sera del 23 ottobre, con un mare di
campi minati a dividerli. Per gli italo tedeschi si pone drammaticamente la questione delle linee di
rifornimento, che si allungano a quel punto a 1.600 chilometri nel deserto; inoltre le navi dell'Asse
che attraversano il Mediterraneo sono messe a dura prova dall'aviazione e dalla marina inglesi,
che operano a partire da Gibilterra e da Malta; un terzo dei trasporti destinati agli italo tedeschi è
colato a picco, mentre gli inglesi ricevono intanto sostanziali rinforzi e materiale bellico americano.
Il 23 ottobre il generale Montgomery (comandante dell'VIII Armata britannica in Africa dalla metà
di agosto) lancia un'offensiva (è la seconda battaglia di El Alamein). Dopo dodici giorni di scontri
frontali Montgomery riesce ad aprirsi un varco a nord nei “giardini del diavolo” (i campi minati
con filo spinato degli italo tedeschi). Rommel ordina la ritirata, anche se un contrordine di Hitler
aggrava la situazione e porta fra l'altro a una distruzione ulteriore delle forze italiane. Gli inglesi
persero nella battaglia più di 13.000 uomini, ma la sconfitta delle forze dell'Asse fu totale; quattro
divisioni tedesche ed otto italiane non erano più unità operative efficienti, gran parte dei carri
armati erano perduti. Non si dimentichi che pochi giorni dopo (8 novembre) gli Alleati sbarcano in
Marocco e Algeria precostituendo un'altra condizione fondamentale per l'annientamento degli
italo tedeschi in Africa, che si produrrà in Tunisia nel maggio dell'anno successivo.
CRITICA
"Al di là di ogni ideologia i veri problemi del film sono di ordine cinematografico. Perché Monteleone, già
sceneggiatore di film come Mediterraneo, Marrakech Express' Alla rivoluzione sulla 2 cavalli, evita la retorica
bellicistica ma non quella generazionale. Sicché questi soldati persi nel deserto del 1942, confrontati al
pericolo, ai disagi, alla dissenteria, alle cannonate che piovono improvvise. a volte polverizzandoli
letteralmente, finiscono malgrado tutto per somigliare un po' troppo ai 'combattenti' o ai reduci di altre
epoche. Domina una chiave soft che per non speculare sull'orrore toglie impatto al racconto e dribbla i veri
problemi di messinscena posti dal soggetto.
E' vero che ogni film storico parla anche, forse soprattutto del presente. Ma qui oltre a scegliere facce, gesti,
voci, molto contemporanei, domina una chiave 'soft' che per non speculare sull'orrore toglie impatto al
racconto e dribbla i veri problemi di messinscena posti dal soggetto. Peccato, le bellissime interviste ai reduci
girate durante la preparazione e confluite in un notevole video presentato a Venezia, 'I ragazzi di El
Alamein', lasciavano sperare in tutt'altro film".
(Fabio Ferzetti su 'Il Messaggero' dell'8 11 -2002) .
"Nel finale di El Alamein - La linea del fuoco Enzo Monteleone ci insegna con quale spirito si deve entrare in un
sacrario di guerra. Dopo un secolo e mezzo di orribili monumenti ai caduti, scopriamo che per onorarli non
servono vittorie alate né muscolari di bronzo: bastano i nomi e magari neppure quelli. È sufficiente la parola
«Ignoto» su una lapide per farci provare una stretta al cuore in un misto di sentimenti che al rispetto
associano la rabbia. E volutamente ignoti, scelti nell'anonima manovalanza della guerra, sono sullo schermo i
soldati della Divisione Pavia, comandati ai bordi della depressione di Quattara fra ottobre e novembre 1942:
una pattuglia sperduta proprio alla Ford. Travolti in una battaglia di oltre dieci giorni che agli italiani costò
25.000 morti e 30.000 prigionieri, questi giovani (impersonati da attori tanto bravi da sembrare veri come lo
stranito volontario Paolo Briguglia, il sergentaccio Pierfrancesco Favino, il tenente Emilio Solfrizzi e altri)
fanno il loro dovere fra alternanze insopportabili di calori diurni e freddi notturni. Cannonate che sollevano
nuvole di sabbia e insidiose fucilate di cecchini, reticolati e campi minati, fame molta e acqua poca. Il film
non parla di politica né di alta strategia e sui signori della guerra si concede appena qualche stilettata ironica.
Arrivano derrate di lucido da scarpe per la parata di Alessandria, che non si farà, e transita il cavallo di
Mussolini suscitando tentazioni gastronomiche. Monteleone ci trasporta all'interno della tragedia con la
semplicità di Rossellini, mostrando una situazione dove la posta in gioco è la sopravvivenza: «Le pattuglie
sono utili se tornano indietro» raccomanda il pragmatico Solfrizzi. Arpeggiando sui notturni e sui rombi
guerreschi, ingegnose soluzioni all'italiana sono attuate dalla produzione per illuderci di star vedendo più di
ciò che il budget ha concesso di mettere nell'inquadratura. La stupenda fotografia, sapientemente decolorata,
è di Daniele Nannuzzi. Qualche «cammeo» di attori noti ravviva il cast: Silvio Orlando, generale suicida,
Roberto Citran, colonnello imbecille, Giuseppe Cederna, medico stoico".
(Tullio Kezich sul “Corriere della Sera” del 9 – 11 - 2002)
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