Rischio Vulcanico nel CAMPO PANDA

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 ENI – Divisione EXPLORATION & PRODUCTION Progetto Offshore IBLEO Rischio Vulcanico nel CAMPO PANDA (Stretto di Sicilia) Aprile 2013 Eni – Divisione Exploration and Production
Progetto Offshore Ibleo
RISCHIO VULCANICO nel CAMPO PANDA
(Stretto di Sicilia)
INDICE
1- Premessa
2- Possibilità che si verifichi un evento vulcanico
2.1-Previsione di un fenomeno eruttivo
2.2-Contesto geologico del campo Panda
2.3-Il vulcanismo nello Stretto di Sicilia
3- Tipo ed intensità degli eventi vulcanici attesi
4- Sismicità indotta dal vulcanismo
5- Conclusioni
6- Opere citate
ELENCO delle FIGURE
Fig. 1-Ubicazione dil Campi Panda e Cassiopea nello Stretto di Sicilia
Fig. 2-Contesto geologico-strutturale
Fig.3-Schema delle relazioni stratigrafiche
Fig. 4-Schema morfologico dello Stretto di Sicilia. Sono mostrate le principali depressioni tettoniche e i
banchi, alcuni dei quali sono centri eruttivi noti.
Fig. 5-Ricostruzione grafica di Marzolla 1835 dell’Isola Giulia-Ferdinandea a confronto con lo schizzo
eseguito sott’acqua da Colantoni 1975 di quanto ne rimane (Banco Graham).
Fig. 6-Rappresentazione 3D dell’area vulcanica del Graham, Terribile e Nerita (da Gabbianelli et al.2008).
Fig. 7-Schizzo dell’Isola Giulia-Ferdinandea eseguito il 25 Agosto 1831 da Marzolla.
Fig. 8. Schema di un’eruzione esplosiva dovuta al contatto magma/acqua di mare. Con getti di materiale
intermittenti (8a) o continui (8b). (da Kokelaar 1983).
1) Premessa
Scopo della presente relazione è quello di fornire dati sul possibile rischio vulcanico e di prevedere
eventuali effetti di un’eruzione e della connessa sismicità nell’area del campo a gas PANDA e della
condotta di collegamento al vicino Campo CASSIOPEA, i cui sfruttamenti sono previsti
nell’ambito del più generale Progetto Ibleo (Fig.1).
Fig.1. Ubicazione dei Campi Panda e Cassiopea nello Stretto di Sicilia).
La previsione di rischio dell’attività vulcanica non può che considerare dove, di che tipo, ed
eventualmente quando, avverrà un’eruzione. Fenomeni vulcanici si possono verificare solo in zone
con condizioni geologico-strutturali particolari in gran parte prevedibili, ma con tempi di attività
non definibili. La netta differenza tra la scala temporale geologica, in base alla quale avvengono le
eruzioni, e la considerazione umana del tempo è tanto grande che è molto difficile fare previsioni
attendibili sul rischio vulcanico, prevedere cioè che in una determinata zona si possa manifestare
nel tempo un evento che possa provocare danni. Si può tuttavia cercare di valutare la pericolosità di
una zona, parametro che secondo uno schema ormai classico, si può ricondurre a:
• Probabilità che un evento si verifichi
• Tipo ed intensità dell’evento
• Successione dei fenomeni attesi
• Estensione dell’area minacciata
Questi elementi saranno discussi nella presente relazione.
2)-Possibilità che si verifichi un evento vulcanico
2.1-Previsione di un fenomeno eruttivo
La previsione di un’eruzione può essere fatta su base statistica che consideri la pericolosità storica
di una zona che può essere già stata soggetta o meno a fenomeni vulcanici. Un vulcano può infatti
essere attivo, quiescente o estinto. In un’area ritenuta vulcanica, un’imminente eruzione può essere
prevista da una serie di fenomeni premonitori. Prima di tutto la risalita del magma normalmente
crea stress ed esplosioni sotterranee e genera un’attività sismica con terremoti però di lieve o media
entità e ripercussioni locali. La loro magnitudine può raggiungere al massimo 5.0 con una frequenza
di diverse centinaia di scosse al giorno. Segue una variazione topografica con innalzamenti e
abbassamenti del suolo e variazioni di pendenza. A questi fenomeni si accompagna una nuova
emissione o una variazione di flussi di gas e del loro rapporto reciproco, specialmente di HCl, HF,
H2S, SO2, CO e CO2. Il tutto in un contesto di anomalie termiche, magnetiche e gravimetriche. Ciò
nonostante la previsione delle eruzioni vulcaniche non può ancora essere considerata una scienza di
precisione, lasciando molte incertezze di valutazione, soprattutto sui tempi. Il bacino di Gela non è
comunque mai stato interessato da attività vulcanica e nell’area Panda in particolare non si
verificano fenomeni premonitori come quelli appena descritti per la sua distanza dai centri eruttivi
noti. La presenza di un giacimento esclude d’altra parte di per sé ogni attività vulcanica presente e
passata, in quanto la genesi, l’accumulo e la conservazione di idrocarburi nel sottosuolo sono
fenomeni che non possono conciliarsi con la risalita di magma.
2.2- Contesto geologico del campo Panda
Il campo Panda è situato a circa 20 km dalla costa, a circa 32 km da Licata, nell’avanfossa plioquaternaria di Gela.
L’avanfossa che caratterizza la Sicilia sud-orientale, è compresa tra la falda neogenica di Gela verso
l’interno, a NO e a N, e l’avampaese del Canale di Sicilia (o meglio Stretto di Sicilia secondo
l’Istituto Idrografico della Marina) e il plateau Ibleo verso l’esterno (Fig.2).
Fig.2. Contesto geologico strutturale in cui è compreso il bacino di Gela che ospita il campo di Panda. (da
Eni E & P 2003).
In particolare,il campo Panda è ubicato in una suddivisione dell’avanfossa, nota come Bacino di
Gela, una struttura lunga più di 300 km ad andamento NW-SE. Qui è stato scoperto gas contenuto
nelle sabbie torbiditiche delle Formazioni Ribera e di Irene. Dettagliati studi sedimentologici e
stratigrafici (eni E&P 2003) hanno infatti mostrato che nel bacino di avanfossa, la potente
successione pleistocenica inferiore è costituita da depositi prevalentemente pelitici, seguiti da
torbiditi sabbiose e argilloso-sabbiose della Formazione “Sabbie di Irene”. Nel Pleistocene medio la
successione torna ad essere pelitica, racchiudendo le sabbie di lobo torbiditico nelle aree prossimali
e le alternanze argillose e argilloso-sabbiose di deposito di piana bacinale confinata, che
costituiscono il reservoir del Campo di Panda. In quest’area il bacino di Gela raggiunge il suo
massimo spessore (Fig.3). Il suo substrato è costituito dalle serie stratigrafiche messiniane e premessiniane appartenenti alle Formazioni Gessoso-solfifera e dei Trubi. Il grande spessore delle
coperture sedimentarie ed il loro assetto attestano che la zona è priva di ogni evidenza o indizio di
vulcanesimo.
Fig.3. Schema delle relazioni stratigrafiche. (da Eni E & P 2003).
2.3- Il vulcanismo nello Stretto di Sicilia
Per Stretto di Sicilia (Strait of Sicily) si intende il braccio di mare relativamente poco profondo che
separa i due bacini, occidentale ed orientale, del Mediterraneo. Esso comprende quindi il Canale di
Sicilia in senso stretto (tra Mazzara del Vallo e Capo Bon) e il Mar delle Pelagie. La sua profondità
media è di soli 350 m. Comprende tuttavia tre principali depressioni tettoniche che prendono il
nome delle adiacenti isole di Pantelleria, Linosa e Malta, profonde rispettivamente 1350, 1580 e
1720 m (Colantoni, 1975). Queste strutture sono un chiaro esempio di apertura continentale (rift
valley) ai cui lati sono presenti estesi plateaus. Il plateau nord-orientale comprende il grande Banco
Avventura, il Graham e il Senza Nome, oltre al Plateau Ibleo con il bacino di Gela, nel quale si è
riversata la coltre di Gela (Argnani et al. 1986, 2001). Assieme al Tirreno meridionale, lo Stretto di Sicilia rappresenta un’area classica per il vulcanismo
sottomarino che la caratterizza. Diverse eruzioni successive, iniziate con le prime dislocazioni
tardo-mioceniche, nel Pleistocene hanno costruito le isole vulcaniche di Pantelleria e Linosa, mentre
altre strutture sono rimaste sommerse o sono state smantellate ed erose. Rilievi di sismica a
rifrazione hanno infine indicato la presenza di possibili apparati sepolti sotto spessori variabili di
sedimenti Plio-Quaternari. Ciò che rende però particolarmente interessante lo Stretto di Sicilia è la
sua recente attività, manifestatesi con le eruzioni storiche del 1891 e del 1831. (Fig.4).
Fig.4. Schema morfologico dello Stretto di Sicilia. Sono mostrate le principali depressioni tettoniche ed i
banchi, alcuni dei quali sono centri eruttivi noti.(da Gabbianelli et al. 2008):
L’eruzione del 1891 è stata segnalata a circa 4-5 miglia a NW dell’Isola di Pantelleria dal
petrografo inglese H. S. Washington (1905) che la indicò come vulcano Foerstner. La sua
ubicazione e le sue caratteristiche rimasero però piuttosto vaghe, fino a che nuove ricerche
batimetriche e sismiche (Gabbianelli et al. 2008) non hanno messo in evidenza una serie di distinte
morfologie con tipica forma sub-conica che si elevano dai fondali per 100-200 metri ad una
distanza dalla costa compatibile con l’evento del Foerstner.
Nel 1831 destò molto clamore la comparsa di un’isola denominata Giulia-Ferdinandea sorta per una
eruzione vulcanica avvenuta a circa 48 km a SW di Sciacca (Gemellaro 1831, Marzolla 1831).
L’isola, che generò anche un contenzioso diplomatico per il suo possesso, raggiunse il suo massimo
sviluppo di circa un miglio di circonferenza ed una altezza massima di oltre 60 metri, prima di
essere completamente smantellata dal mare nel giro di pochi mesi. Al suo posto ora resta un pianoro
di sabbia e scorie laviche, profondo circa 20-25 m, culminante in una guglia basaltica (forse residuo
del condotto vulcanico) che raggiunge la profondità minima di 8 m circa. Questo basso fondale è
noto con il nome di Banco Graham. Qui sarebbero avvenute dubbie precedenti eruzioni anche nel
264-241 a.C., nel 10 a.C , nel 200 d.C e nel 1632 d.C. (Fig.5).
Fig.5. Ricostruzione grafica di Marzolla 1831 dell’Isola Giulia-Ferdinandea a confronto con lo schizzo
eseguito sott’acqua da Colantoni 1975 di quanto ne rimane (Banco Graham).
Nell’area circostante il Graham, nel raggio di 3-5 km, è anche possibile rilevare l’esistenza di alcuni
apparati vulcanici minori la cui attività non è nota. Da segnalare comunque che l’interesse non è
assolutamente sopito, tanto è vero che l’autorevole giornale inglese The Times nel Febbraio 2000
asserì che un isola “britannica” stava riemergendo nello Stretto di Sicilia, notizia che fece scalpore e
destò un certo allarmismo (forse a causa di una non documentata attività fumarolica residua).
Recenti dati mostrerebbero che il Banco Graham-Isola Ferdinandea fa parte di un unico esteso
complesso vulcanico a ferro di cavallo, profondo meno di 200 m e della lunghezza di circa 30 km,
denominato Empedocle (Falzone et al 2009), sul quale si ergono anche i Banchi Nerita e Terribile
(Fig.6). Sulla sommità del Banco Nerita sono state tuttavia campionate calcareniti mioceniche e sul
Banco Terribile calcari eocenici (Colantoni et al.,1981). Se Empedocle è veramente un enorme
antico cratere, la distanza minima da terra (Capo Bianco) di strutture vulcaniche sarebbe di soli 40
km. Più a Sud, altri centri eruttivi sarebbero rappresentati dai grandi Banchi Pinne Marine e Senza
Nome sui quali sono stati evidenziati due recenti edifici minori che avrebbero manifestato
un’attività eruttiva nel 1846, nel 1867 e nel 1942 (?).
Fig.6. Rappresentazione 3D dell’area vulcanica del Graham, Terribile e Nerita (da Gabbianelli et al. 2008).
I prodotti vulcanici campionati sulle isole di Pantelleria e Linosa e nei numerosi vulcani sottomarini
hanno tutti una moderata affinità alcalina, con prevalenza di rocce basiche quali alkali-basalti e
hawaiiti. Il vulcanismo dello Stretto di Sicilia risulta cioè essere simile a quello che si riscontra
nelle aree di apertura continentale (continental rift).
Le anomalie magnetiche positive che accompagnano i prodotti magmatici sembrano essere
localizzate lungo l’asse del graben di Pantelleria e in una fascia con direzione NNE-SSW che
dall’Isola di Linosa arriva al Banco Senza-Nome. Quest’ultimo allineamento corrisponderebbe ad
una grande faglia trascorrente che separa in due tronconi indipendenti il sistema di rift : il graben di
Pantelleria a Ovest e i graben di Malta e Linosa ad Est. La risalita dei magmi sarebbe quindi
condizionata soprattutto da queste strutture, testimoni di un intenso stress di distensione e
assottigliamento crostale (Lodolo et al., 2012).
L’area sud-orientale dello Stretto di Sicilia, non lontano dal bacino di Gela ove è localizzato il
Campo Panda, ospita quindi diversi centri eruttivi la cui attività maggiore dovrebbe essere quasi
sopita con le maggiori fasi tettoniche. Alcune segnalazioni di attività sono da dimostrare, ma non si
possono ignorare le due eruzioni storiche del 1831 e 1891 che possono destare una certa
preoccupazione. I banchi che dovrebbero essere maggiormente indiziati di una certa pericolosità per
la loro maggiore vicinanza al reservoir sono tuttavia distanti da Panda: Graham 45 mn , Nerita 37
mn , Terribile 38 mn, Senza Nome 30 mn (oltre 55km). 3)- Tipo ed intensità degli eventi vulcanici attesi
Ai fini di prevedere che cosa potrebbe accadere nello Stretto di Sicilia se dovesse verificarsi
un’eruzione sottomarina, è utile esaminare gli eventi che hanno caratterizzato l’eruzione storica
meglio descritta, che ha portato alla formazione dell’Isola Giulia-Ferdinandea -Banco Graham. Gli
Autori contemporanei (Gemellaro, 1831, Marzolla 1831) riportano che l’eruzione fu preceduta da
forti terremoti avvertiti soprattutto a Sciacca ove causarono lievi lesioni agli edifici. In superficie gli
inizi delle fasi eruttive si manifestarono dapprima con il ribollire dell’acqua, l’emissione di vapori e
la risalita di pomici e scorie galleggianti. Seguirono forti getti di vapore e lancio di ceneri e scorie
che andarono velocemente a costruire un edificio, dapprima chiaramente allungato in senso N-S e
quindi all’incirca circolare, con al centro una depressione o cratere principale (Fig.7).
Fig.7. Schizzo dell’Isola Giulia-Ferdinandea eseguito il 25 Agosto 1831 da Marzolla.
Il continuo contatto con l’acqua del mare alimentò le esplosioni di vapore e il lancio di una notevole
quantità di sabbie, lapilli e frammenti di roccia. Questi depositi finirono quindi per chiudere
l’accesso diretto dell’acqua del mare ed iniziò una fase subaerea di eruzioni che però sembra si
siano fermate nel condotto vulcanico. Il mare riuscì quindi facilmente a smantellare l’sola che era
prodotta prevalentemente da materiale poco coerente, formando una superficie di abrasione su cui si
eleva solo il piccolo neck di lava compatta.
L’eruzione appena descritta costituisce un classico esempio di vulcanismo sottomarino di acque
basse. Della problematica di questo tipo di vulcanismo si sono occupati diversi Autori che hanno
evidenziato l’importanza della dinamica indotta dal contatto acqua di mare/magma ad elevata
temperatura, ponendo però l’accento sul fatto che il contatto non avviene in un luogo confinato
(come la maggior parte delle eruzioni freato-magmatiche) ma in mare aperto. Le esplosioni non
possono pertanto raggiungere grande violenza (come d’altra parte osservato anche da Marzolla
1831).
Kokelaar, 1983, prendendo spunto dall’eruzione di Surtsey, un isola nata dal mare nel 1963 su un
basso fondale a Sud dell’Islanda e dettagliatamente studiata, ritiene che la depressione ad imbuto
generata dalle esplosioni, venga continuamente riempita da una miscela di clasti vulcanici e da una
quantità variabile di acqua di mare che regolerebbe la frequenza e l’entità delle esplosioni e quindi
dei getti di materiale piroclastico. In particolare, con scarsa risalita di magma (come nel caso
dell’Isola Ferdinandea) la notevole quantità d’acqua genererebbe in profondità una miscela molto
fluida di detriti che risalirebbe in modo turbolento in superficie con una forte espansione e getti
intermittenti di vapore e di tefra (Fig.8a). Con maggiori quantità di magma, le emissioni sarebbero
invece praticamente continue e una notevole quantità di materiale, costantemente ripreso e
rimaneggiato, verrebbe lanciato e deposto (Fig.8b) con conseguente costruzione di un edificio più
rilevato.
Fig. 8. Schema di un’eruzione esplosiva dovuta al contatto magma/acqua di mare. Con getti di materiale
intermittenti (8a) o continui (8b). da Kokelaar 1983.
Quanto definito da Kokelaar 1983 per Sustry ed illustrato in Fig.8a, coincide perfettamente con
quanto osservato durante le eruzioni sull’Isola Ferdinandea dal geologo catanese Gemellaro nel
1831. Gemellaro riporta infatti che i materiali eruttati erano simili a “fango infuocato” e che, prima
di ogni eruzione, acqua “fangosa e gorgogliante” riempiva regolarmente il cratere che ogni due o tre
minuti veniva violentemente svuotato per essere poi di nuovo inondato. La descrizione ricorda i
meccanismi che regolano l’attività dei geyser ed è questo tipo di eruzione eventuale che con ogni
probabilità ci si deve aspettare per i vulcani sottomarini di acque relativamente basse anche in
contesti geodinamici diversi come sono quelli dell’Islanda e dello Stretto di Sicilia. Forti getti di
vapore dovrebbero lanciare con intermittenza materiale piroclastico in atmosfera che, ricadendo,
andrebbe a formare un modesto edificio attorno alla bocca di emissione. Effusioni laviche sarebbero
modeste e sporadiche, mentre fenomeni pericolosi più lontano dal centro eruttivo sarebbero
rappresentati solo dall’accumulo di ceneri e lapilli. Si tratterebbe quindi di materiale fine facilmente
trasportato dal vento, che nella zona soffia prevalentemente da NW. L’impatto ambientale sarebbe
però ben diverso da quanto causato dalle grandi eruzioni dell’Etna, che solo recentemente (Marzo
2013) hanno formato uno strato di almeno 10 cm di ceneri e piccole pietre fin sulle coste ioniche.
4)–Sismicità indotta dal vulcanesimo
Ogni eruzione vulcanica è accompagnata da sismi di diversa intensità che costituiscono anche
ottimi precursori di attività. Tra le onde generate, solo quelle di grande energia e a bassa frequenza
possono propagarsi nei terreni contermini per grandi distanze e pertanto i terremoti avvertiti con
maggior intensità sono quelli vulcano-tettonici e a breve periodo. La loro attenuazione è legata alle
caratteristiche della sorgente e alle proprietà dei terreni attraversati, ma le aree vulcaniche, a causa
dell’alto flusso di calore, sembrano mostrare un’attenuazione dei movimenti del suolo maggiore di
quella prevedibile. Azzaro et al. 2006, per esempio, hanno rilevato che nella zona dell’Etna
l’intensità e gli effetti dei terremoti calano bruscamente nei primi 20 km dagli epicentri, non
raggiungendo mai l’indice 4 della Scala Macrosismica Europea. Questo valore è anche confermato
dall’INGV che ha calcolato che l’accelerazione di picco (PGA= Peak Ground Acceleration), oltre
un raggio di 20 km non supera mai 0.1 g. Con queste intensità si possono prevedere solo danni di
lieve importanza, se non nulli.
Va comunque ricordato che alcuni Autori, fra i quali Kocharyan 2008, ritengono che onde sismiche
di compressione possano riattivare faglie e fratture sottoposte a tensioni già esistenti. Si potrebbero
così verificare terremoti in strutture già per sé sismo-genetiche quali faglie inverse, pieghe di
compressione, ecc. I lievi danni registrati a Sciacca nel 1831 (caduta di calcinacci) potrebbero
essere stati causati da onde sismiche connesse con l’eruzione del Graham e trasmesse lungo la
stessa faglia ad andamento N-S che l’ha generata.
5)-Conclusioni
Il “rischio vulcanico”, cioè la probabilità che si verifichi un’eruzione che possa provocare danni
nella zona interessata dallo sfruttamento del campo a gas denominato PANDA (Offshore Ibleo) e
nella zona limitrofa è da ritenersi molto basso, se non inesistente Da quanto sopra esposto, si
possono infatti trarre le seguenti conclusioni riassuntive:
• 1)- Il contesto geologico-strutturale dell’area di Panda e la stessa presenza di un giacimento
escludono la possibilità che si possano verificare risalite di magma.
•
2)- Nello Stretto di Sicilia tutti gli indizi di attività vulcanica si trovano ad una
considerevole distanza da Panda. Il banco di origine vulcanica più vicino (Banco senza
Nome) è situato ad oltre 55 km e il Grahm, sede dell’eruzione del 1831, a oltre 80 km,
distanze alle quali non è prevedibile alcun risentimento.
• 3)- Nel caso si dovesse verificare una nuova eruzione vulcanica nello Stretto di Sicilia,
questa dovrebbe avere le caratteristiche esplosive di un geiser., con rischio limitato ad una
modesta diffusione di ceneri e sabbie vulcaniche operata dal vento
• 4)- La sismicità indotta nella zona di Panda da poco probabili fenomeni vulcanici avrebbe
generale scarsa energia e rapida attenuazione e non dovrebbe poter innescare attività di
faglie già sottoposte a tensioni e interferire con la stabilità dei versanti sottomarini.
Prof. Paolo Colantoni
Professore Onorario dell’Università di Urbino
già Professore Ordinario di Geologia
Urbino, Aprile 2013
6)-Opere citate
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