IL DISCORSO GIUSTO S’ARRENDE (ARISTOFANE, NUVOLE 1102-4) ANGELO CASANOVA Università di Firenze Mi sono già occupato ripetutamente altrove delle Nuvole aristofanee, cercando di chiarire alcuni dei molti problemi che il testo a noi pervenuto pone all’interprete, sia illustrando in generale la questione della revisione della commedia1 e la sua datazione2, sia illustrando in particolare la mia interpretazione dell’agone tra Discorso Giusto e Discorso Ingiusto3, un brano che non compariva nell’edizione delle Nuvole rappresentate nel 423 a.C., ma fu scritto da Aristofane in vista di una seconda edizione che non fu poi portata a termine. In onore dell’amico José García López, finissimo interprete e traduttore di testi antichi, esperto commentatore di testi teatrali, arguto intenditore di comico, mi sia consentito soffermarmi semplicemente sull’interpretazione di Nub. 1102 ss., gli ultimi versi pronunciati dal Discorso Giusto, a chiususa dell’agone. Ecco anzitutto il testo secondo la recente edizione di Giulio Guidorizzi4: h(tth/meq, wÕ kinou/menoi. pro\j tw½n qew½n de/casqe/ mou qoi¹ma/tion, w¨j e)cautomolw½ pro\j u(ma=j. La stessa edizione ci dà la bella traduzione di Dario Del Corno: 1 “La revisione delle Nuvole di Aristofane”, Prometheus 26, 2000, pp. 19-34. Cf. “Parodia filosofica e polemica letteraria nelle Nuvole di Aristofane: qualche riflessione”, in: Letteratura e riflessione sulla letteratura nella cultura classica, Atti del Convegno Pisa 7-9 giugno 1999, a cura di G. Arrighetti, Pisa 2000, pp. 367-376; “Incendio finale nel teatro classico: Nuvole e Troiane”, in: Poikilma. Studi in onore di Michele R. Cataudella, La Spezia 2001, I, pp. 279-289. 2 Vid. “Iperbolo e i comici”, Prometheus 21, 1995, pp. 102-110. 3 Vid. in particolare “La difesa dell’educazione tradizionale nell’agone delle Nuvole di Aristofane”, Atti del Simposio Internacional Escuela y Literatura en la Grecia antigua, Salamanca, 17-19 Noviembre 2004, a cura di J. A. Fernández Delgado, in corso di stampa. 4 Aristofane, Le Nuvole, a cura di G. Guidorizzi, Introd. e trad. di D. Del Corno, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano 1996. KOINÒS LÓGOS. Homenaje al profesor José García López E. Calderón, A. Morales, M. Valverde (eds.), Murcia, 2006, pp. 165-169 166 ANGELO CASANOVA “Ho perduto, voi fottuti! Prendete il mio mantello, in nome degli dèi: sono un disertore, passo dalla vostra parte”. La traduzione stessa evidenzia che c’è una piccola difficoltà nella punteggiatura nel testo (come in altre edizioni del passato): siccome il verbo iniziale è alla prima persona plurale, wÅ kinou/menoi “voi fottuti” non può appartenere alla stessa proposizione. Altrimenti il testo rischia di significare “io e voi siamo stati sconfitti”, mentre i kinou/menoi (cioè l’intero stuolo formato dal Discorso Ingiusto e da tutti quelli del Pensatoio, più –stando al testo– la maggior parte degli spettatori) hanno clamorosamente vinto, non perso. Il vocativo appartiene dunque alla proposizione successiva, che ha come verbo de/casqe, e la punteggiatura giusta è quella di Dover5, di Sommerstein6, di Mastromarco7 (e di molti altri editori): h(tth/meq. wÕ kinou/menoi, pro\j tw½n qew½n de/casqe/ mou qoi¹ma/tion, w¨j e)cautomolw½ pro\j u(ma=j. Una traduzione vivace può essere quella recente di Alessandro Grilli8: “Abbiamo perso. Razza di culaperti, tenete, eccovi il mio mantello: passo dalla vostra parte”. A questo punto, naturalmente, resta da chiarire con precisione a chi sono rivolte queste parole: cosa che ha sempre costituito un piccolo ma non trascurabile problema. Dover, nel suo ampio e celebre commento, precisa che “Right now treats Wrong and the audience together as one side in the battle which he has lost” (p. 228): un giudizio sicuramente condivisibile. Il linguaggio è di stampo militare e presenta la resa dello sconfitto, e addirittura il suo passaggio al nemico. Tuttavia, nella nota successiva, Dover fa una distinzione sicuramente fuorviante: “Obviously, however, those addressed in de/casqe, before Right starts running, cannot be the same as the people to whom he is deserting” (e ne conclude che de/casqe sarà diretto a Strepsiade e Fidippide, cui getta il mantello prima di slanciarsi tra il pubblico). Io non ho dubbi che tale interpretazione sia sbagliata. Nel testo non c’è alcun elemento che faccia pensare ad una distinzione fra due diversi tipi di “voi”: e il pro\j u(ma=j del v. 1104 non comprende certo Strepsiade e suo figlio. Né vedo elementi per affermare che “Right starts running”. 5 6 7 8 223. Aristophanes, Clouds, ed. with Introduction and Commentary by K. J. Dover, Oxford 1968. Aristophanes, Clouds, English and Greek, by A. H. Sommerstein, Warminster 1982. Commedie di Aristofane, a cura di G. Mastromarco, vol. I, Torino 1983. Aristofane, Le Nuvole, Introd. trad. e note di A. Grilli, testo greco a fronte, Milano 2001, p. IL DISCORSO GIUSTO S’ARRENDE (ARISTOFANE, NUVOLE 1102-4) 167 Enzo Degani, in una nota del 1990 riedita recentemente9, argomenta con decisione che il “voi” kinou/menoi si debba riferire al pubblico e, riprendendo in parte un’osservazione di G. Hermann10, intende che il Discorso Giusto sceglie il partito degli spettatori ed esce di scena andando tra il pubblico. Una tale interpretazione era stata sostenuta non solo da Hermann, ma anche da Rogers e da altri11. Ora, io credo che l’uscita di scena di un attore attraverso il pubblico debba considerarsi un’eventualità improbabile e macchinosa nel teatro greco, proprio per le sue strutture. La cavea circolare, rialzata, del teatro greco è certo una difficoltà reale per una tale uscita, senza contare il fatto che l’assenza di ‘buio in sala’ non consente affatto all’attore di ‘sparire’ inosservato12. Per di più, ricordiamo che l’attore ha sempre dei precisi doveri di rientro per impersonare altri personaggi sulla scena. E, soprattutto, ritengo che il testo di Aristofane non contenga nessuna ‘indicazione registica’ per una tale uscita e s’intenda meglio senza introdurre questa forzatura. L’origine delle incertezze esegetiche si può far risalire, a mio avviso, agli scholia vetera alla commedia. In essi infatti si rileva che il personaggio si libera del mantello i(/na eu)xerw=j au)tomolh/s$ (b) o i(/na e)c e(toi/mou kai\ eu)xerw=j xwrh/s$ pro\j au)tou/j, kai\ mh\ e)mpodi/zoito t%= dro/m% (a), che è un commento assolutamente sciocco, a mio avviso autoschediastico, ed induce in errore. Come ricorda Degani, già il Brunck13 contestava tali scholia e rilevava che nel testo il personaggio lancia il mantello agli uomini del Pensatoio, perché il sacrificio del mantello è condizione per accedere all’interno (cf. v. 498). Al contrario, Hermann e Degani (come già Rogers, e altri) vi hanno trovato sostegno per argomentare la loro interpretazione del brano come fuga precipitosa per trovar rifugio tra gli spettatori. Ora, nel suo commento Dover ricordava che un uomo si toglie il mantello per fuggire meglio ai suoi inseguitori o per battersi; e ne traeva la curiosa conclusione: “hence a hoplite’s slave would discard it when deserting in the field”. Ma –a parte che così si torna all’idea della fuga e della corsa, di cui a mio avviso nel testo non c’è traccia– l’osservazione di Dover è incompleta e non esaurisce le possibilità. Ci sono almeno altre due eventualità che Dover non ha considerato, entrambe più pertinenti al nostro caso: in città, il mantello si consegna entrando in casa altrui per un soggiorno più o meno lungo (si dà al padrone di casa o ai suoi servi), mentre in guerra un uomo può consegnare il mantello al nemico come segno di resa, come può consegnare le armi, le insegne, la bandiera, i suoi beni. Il nostro caso riunisce curiosamente entrambe 9 E. Degani, “Appunti per una traduzione delle Nuvole aristofanee”, Eikasmòs 1, 1990, pp. 119-145 = Filologia e storia. Scritti di Enzo Degani, Hildesheim-Zürich-New York, 2004, I, pp. 387413. 10 Lipsia 1830². 11 B. B. Rogers, The Clouds of Aristophanes, London 1930². Per un panorama delle vecchie interpretazioni del passo si veda L. M. Stone, “A Note on Clouds 1104-5”, CPh 75, 1980, pp. 321-322 e n. 3. 12 Osservazioni analoghe ha fatto G. Guidorizzi ad loc. 13 R. Fr. Ph. Brunck, London 1823. Cf. J. van Leeuwen, Aristophanis Nubes, Leyden 1898 (=1968). 168 ANGELO CASANOVA le situazioni: siamo infatti davanti al Pensatoio e tutti ricordano che Socrate ha già imposto a Strepsiade di consegnare il mantello al suo ingresso nella scuola: chiaramente egli ha trasformato un uso di buona educazione in una norma rigida, perché è un ladro di mantelli (cf. v. 179, 497-8, 856, 1498). In questo momento però, il Discorso Giusto usa un linguaggio militaresco: sta dichiarando la sua resa e la sua intenzione di passare al nemico. Con questo s’arriva dunque a riprendere l’argomentazione proposta brevemente da Laura M. Stone nel 1980,14 che secondo me non è stata apprezzata adeguatamente. Nel testo greco, ripeto, non c’è nessun segno di corsa o di fuga: siamo –metaforicamente– sul campo di battaglia: dopo la sconfitta, il personaggio s’arrende, consegna le sue armi, le sue insegne o le sue bandiere, è a discrezione del nemico: e chiede di poter disertare, entrando tra le fila opposte. È esattamente quello che il Discorso Giusto sta facendo. Con buona pace dello scoliaste w(j e)cautomolw= pro\j u(ma=j non è finale, ma causale: “prendete il mantello che mi arrendo” (il verbo è dunque indicativo, non congiuntivo). Anzi, se osserviamo proprio il termine metaforico usato, ne possiamo ricavare una puntuale indicazione di linguaggio militare. Il verbo au)tomole/w indica precisamente l’azione di chi diserta, ma, accompagnata da pro\j e l’accusativo, non indica l’azione del disertore che abbandona i compagni scappando via di corsa (e buttando via anche le armi, per correre più in fretta, come confessava Archiloco), ma l’azione di chi diserta chiedendo di essere accettato tra le fila del nemico. E nemico del Discorso Giusto può essere solo il Discorso Ingiusto e gli altri appartenenti alla rovinosa scuola del Pensatoio. La consegna del mantello è esattamente il simbolo della resa e della rinuncia alle proprie insegne e ai propri averi. Per di più, il significato militare dell’espressione nel contesto di questa commedia finisce per riallacciarsi ai significati occasionali e specifici: il Discorso Giusto s’arrende ai socratici “ladri di mantelli”, che lo pretendono sempre per iniziazione al gruppo e lo hanno ripetutamente richiesto a Strepsiade. Qui è giusto ripetere la citata osservazione della Stone, che è assolutamente perfetta: la consegna del mantello non vuole affatto facilitare la corsa, ma è la resa ai socratici che lo vogliono, anzi lo esigono. Per tutta la commedia la consegna del mantello è motivo di comicità ripetuta: Strepsiade lo ha già sacrificato, per entrare nel Pensatoio (e già al v. 856 suo figlio lo ha deriso per questo: dia\ tau=ta dh\ kaiì qoi¹ma/tion a)pw¯lesaj;). Il Discorso Giusto compie ritualmente il gesto che tutti i nuovi adepti devono compiere per entrare nel Pensatoio (cf. v. 498). E, nel contempo, suggerisce tale gesto anche al prossimo adepto. Mi si conceda un’ultima osservazione. Secondo me, l’agone delle Nuvole non è il confronto in cui “due potenti astrazioni a cui viene dato il nome di “discorso giusto” e “discorso ingiusto” vantano rispettivamente i meriti dell’antica educazione virtuosa e della nuova educazione libertina, con la vittoria scontata dell’immoralità”15, come spesso s’interpreta, ma uno straordinario pezzo di metateatro in cui due esponenti del Pensatoio recitano i due ruoli opposti, facendosi beffe della vecchia educazione e 14 Nelle pagine citate alla n. 11. G. Paduano, Aristofane. Gli Acarnesi, Le Nuvole, Le Vespe, Gli Uccelli, Introd. trad. e note, Milano 1979, p. xiii. 15 IL DISCORSO GIUSTO S’ARRENDE (ARISTOFANE, NUVOLE 1102-4) 169 rappresentandola come risibile e facilmente battuta. È una recita a soggetto che si ripete ogni giorno nel Pensatoio, o almeno ogni volta che càpita loro un potenziale cliente16. Una volta chiarito questo senso, mi sembra addirittura ovvio che –come la perorazione del Discorso Giusto non è stata una vera difesa o esaltazione dell’educazione tradizionale, ma una recita caricaturale, una scimmiottatura di essa– la conclusione dell’agone non può essere una fuga del personaggio dal Pensatoio, a cercar rifugio tra il pubblico. Nell’insieme dell’azione teatrale i due personaggi, che Socrate ha fatto uscire dal Pensatoio per convincere Strepsiade, ovviamente vi rientrano, indicandogli la via della resa e della consegna. E, teatralmente, è un’uscita assolutamente semplice e naturale. 16 Ho illustrato specificamente tale interpretazione dell’agone delle Nuvole nelle mie pagine citate alla n. 3.