Capitolo Terzo
Diritti soggettivi ed interessi legittimi
Sommario: 1. Posizioni soggettive e status. - 2. Il diritto soggettivo. - 3. Gli interessi legittimi. - 4. Altre
situazioni soggettive: interessi semplici e interessi di fatto. - 5. Gli interessi collettivi.
1. Posizioni soggettive e status
Con l’espressione «posizioni giuridiche soggettive» si indicano, nella teoria generale
del diritto, le situazioni di vantaggio o di svantaggio di cui i soggetti risultano titolari nei
rapporti giuridici: diritti, pretese, poteri, aspettative, obblighi, doveri etc.
Dalle posizioni giuridiche soggettive vanno distinti gli «status» laddove per essi si intende la situazione giuridica complessiva di un soggetto nell’ambito della collettività generale o di un corpo sociale minore (es.: status di cittadino, straniero etc.).
Le situazioni giuridiche soggettive, a loro volta, si dicono attive o passive, a seconda che abbiano un contenuto favorevole o sfavorevole per il titolare: le posizioni giuridiche soggettive attive sono quelle il cui contenuto amplia la sfera giuridica del loro titolare; le posizioni giuridiche soggettive passive sono, invece, quelle che restringono la sfera giuridica del loro titolare.
Le posizioni (o situazioni) soggettive attive sono: il diritto soggettivo; il diritto potestativo; c) il potere e
la potestà; l’interesse legittimo; l’interesse semplice.
Le posizioni soggettive passive sono: l’obbligo; il dovere; l’onere; la soggezione.
2. Il diritto soggettivo
Il diritto soggettivo è quella posizione giuridica soggettiva di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un
bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso in modo pieno ed immediato.
La figura del diritto soggettivo è oggetto di particolare attenzione, al fine di distinguerla da quella dell’interesse legittimo in quanto la ripartizione della giurisdizione fra il giudice ordinario e
il giudice amministrativo, nelle controversie coinvolgenti la Pubblica Amministrazione, è stabilita dalla legge (L. 2248/1865), in base alla natura della posizione giuridica soggettiva lesa. Infatti:
—se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della P.A., è tenuto ad adire il giudice ordinario, salvi i casi in cui il diritto soggettivo si è costituito in una materia devoluta dalla legge alla competenza giurisdizionale esclusiva del G.A.;
—se chi agisce, invece, è titolare di un interesse legittimo nei confronti della P.A., può ricorrere soltanto innanzi al giudice amministrativo.
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Libro II: Diritto Amministrativo - Parte I: Principi generali
Tipica del diritto amministrativo è la distinzione tra:
— diritti soggettivi perfetti: sono quelli attribuiti in maniera diretta ed incondizionata al soggetto; il loro esercizio è libero, non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A., la quale non può neppure incidere sfavorevolmente su di essi, comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento;
— diritti soggettivi condizionati: sono quelli il cui esercizio è subordinato ad un provvedimento amministrativo permissivo (o autorizzatorio) ovvero sui quali la P.A. può incidere sfavorevolmente comprimendoli o
estinguendoli con un proprio provvedimento. In relazione a tali due ipotesi avremo dunque, rispettivamente, diritti in attesa di espansione e diritti suscettibili di affievolimento.
3. Gli interessi legittimi
A)Profili generali
Nel nostro ordinamento manca una definizione normativa di interesse legittimo, nonostante la rilevanza che un simile concetto riveste. Tale espressione si deve alla dottrina, la
quale si è subito preoccupata di individuarne la portata, al fine di riconoscere agli interessi
legittimi piena autonomia rispetto ai diritti soggettivi.
In particolare, l’interesse legittimo è il potere riconosciuto al privato di influire sull’esercizio del potere amministrativo al fine di tutelare il bene sostanziale.
L’interesse legittimo è interesse differenziato e qualificato: differenziato, perché «proprio» del soggetto che
ne è titolare, come un elemento del suo patrimonio. Non è tale l’interesse condiviso con altri soggetti e/o con la
generalità degli individui di tutta la collettività; qualificato, perché la norma giuridica lo riconosce come meritevole di tutela e ne impone la considerazione all’amministrazione procedente.
B)Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi
Dottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
La differenza tra le due posizioni, secondo GUICCIARDI, va riferita alla natura della norma. L’Autore,
infatti, divide le norme in due categorie:
a) norme giuridiche di relazione: regolano i rapporti tra la P.A. ed i cittadini, attribuendo diritti ed obblighi
reciproci; esse tracciano la linea di demarcazione tra la sfera della P.A. e quella del cittadino e la loro violazione da parte della P.A. comporta la lesione di un diritto soggettivo del cittadino;
b) norme di azione: regolano l’esercizio dei poteri della P.A., imponendole un determinato comportamento.
Se la P.A. viene meno a tale comportamento essa lede un interesse (legittimo o semplice) del cittadino.
Un altro criterio di distinzione si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell’attività esercitata: nei
confronti di un atto vincolato il privato può vantare un diritto soggettivo perfetto; nei confronti di un atto discrezionale può vantare solo un interesse legittimo.
Un terzo criterio, largamente utilizzato in giurisprudenza, si fonda sulla distinzione tra carenza assoluta e
cattivo esercizio del potere. In particolare:
— nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale, sussistendo una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare l’atto, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo, rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare l’atto, osservi i limiti, le forme ed il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa);
— nell’ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale della P.A. di
interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di fatto che consentano l’esercizio di tale potere, l’atto amministrativo è considerato inidoneo ad incidere legittimamente sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste nella sua integrità e può essere fatto valere davanti al giudice ordinario.
Capitolo III: Diritti soggettivi ed interessi legittimi
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Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del
G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere. In tal modo si è posto il collegamento seguente: carenza di potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo.
Tipologie di interessi
Nell’ambito della categoria degli interessi legittimi è possibile distinguere tra interessi legittimi pretensivi ed interessi legittimi oppositivi, in base al tipo di interesse materiale protetto (NIGRO).
Gli interessi legittimi pretensivi si sostanziano in una pretesa del privato a che l’amministrazione adotti
un determinato provvedimento o ponga in essere un dato comportamento; gli interessi oppositivi, invece, legittimano il privato ad opporsi all’adozione di atti e comportamenti da parte della pubblica amministrazione, che sarebbero pregiudizievoli per la propria sfera giuridica.
Una diversa dottrina (GIANNINI), seguita dalla giurisprudenza, ha ulteriormente distinto gli interessi legittimi in interessi procedimentali e interessi sostanziali.
La nozione di interesse sostanziale considera il momento in cui l’interesse del privato, ad ottenere o a conservare un bene della vita, viene a confronto con il potere della P.A. di soddisfare l’interesse o di sacrificarlo.
L’interesse procedimentale, invece, è l’interesse del privato che emerge nel corso di un procedimento
amministrativo. Tali interessi possono essere fatti valere in giudizio al fine di eliminare quegli atti e quei
comportamenti preclusivi della prosecuzione del procedimento. Interesse procedimentale e sostanziale
rappresentano due aspetti dell’interesse legittimo, in quanto il primo è strumentale alla tutela degli interessi sostanziali, rappresentandone la proiezione in giudizio.
Vanno, poi, menzionati gli interessi discrezionalmente protetti, ossia quegli interessi protetti non a livello di ordinamento generale, bensì al livello di ordinamento particolare dell’amministrazione. Questi
interessi non sono tutelabili davanti al giudice, ma esclusivamente davanti all’amministrazione (ad esempio tramite i ricorsi amministrativi). Tra essi è possibile inserire quelli relativi al merito dell’azione amministrativa, cioè al merito della scelta operata dall’amministrazione.
C)La risarcibilità degli interessi legittimi
Controversa è stata anche la tematica della risarcibilità o meno degli interessi legittimi, ormai riconosciuta nel nostro ordinamento a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 500 del 1999. In una prima fase,
difatti, l’orientamento prevalente nell’ordinamento non reputava possibile accordare una tutela di tipo risarcitorio anche all’interesse legittimo; tuttavia, tale orientamento è stato completamente ribaltato.
La Cassazione, a Sezioni Unite, con la storica sentenza 22-7-1999, n. 500, infatti, ha riconsiderato la tradizionale interpretazione dell’art. 2043 c.c., che identificava il danno ingiusto nella lesione di un diritto soggettivo e ha ammesso che la tutela risarcitoria deve essere assicurata in relazione alla ingiustizia del danno
che può verificarsi sia nei confronti di un diritto soggettivo, sia di un interesse legittimo.
Nella sentenza n. 500/1999 viene data anche una interessante definizione dell’interesse legittimo: esso non
rileva come situazione meramente processuale, quale mero titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, ma ha anche natura sostanziale. Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo l’ordinamento intende proteggere l’interesse ad un bene della vita: ciò che caratterizza l’interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo è soltanto il modo o la misura con cui l’interesse sostanziale ottiene protezione. Con la riforma del processo amministrativo, operata con il D.Lgs. 2-7-2010, n. 104, recante il Codice del processo amministrativo, a sua volta integrato e corretto con D.Lgs. 195/2011 e D.Lgs.
160/2012 il legislatore è nuovamente intervenuto sul tema del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, dettando, in merito, una disciplina organica della relativa azione. In particolare, mentre all’art. 7 del
Codice, ove è individuato il contenuto delle tre diverse tipologie in cui la giurisdizione del G.A. può articolarsi, è riconosciuta la cognizione del giudice amministrativo in relazione alle questioni risarcitorie, al successivo
art. 30 il legislatore ha dettato un’articolata disciplina dell’azione di condanna esperibile innanzi al G.A. incentrata prevalentemente sulla disciplina del risarcimento del danno, che della prima costituisce la più importante
manifestazione.
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Libro II: Diritto Amministrativo - Parte I: Principi generali
La tutela, si noti, è accordata non solo in sede giudiziale, ossia in vista di un annullamento di atti illegittimi
o di risarcimento della posizione lesa. È infatti riconosciuta, a differenza di quanto avviene per il diritto soggettivo, anche in un momento antecedente, ossia in fase di svolgimento del procedimento stesso, al fine di orientare ed indirizzare l’azione amministrativa anche nel senso della giusta considerazione dell’interesse privato
coinvolto (da valorizzare, da sacrificare etc.); in mancanza, il provvedimento finale è esposto al rischio di impugnazione. Nel senso descritto, è evidente come l’interesse legittimo sia intimamente connesso alla tematica
della partecipazione (e dell’accesso) al procedimento amministrativo.
4. Altre situazioni soggettive: interessi semplici e interessi
di fatto
A)Interessi semplici
Sono quegli interessi vantati dal cittadino nei confronti della P.A. a che questa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, si attenga a criteri di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo).
B)Interessi di fatto
Sono gli interessi, non qualificati né differenziati, ad un qualsivoglia bene della vita. La
P.A. garantisce alla comunità non soggettivizzata il godimento di certi beni in virtù di un
dovere cui non è correlata alcuna posizione giuridica di vantaggio tutelabile: si pensi, ad
esempio, all’obbligo di tenere in buono stato le strade, all’obbligo di illuminarle etc.
Gli interessi di fatto sono del tutto irrilevanti per il diritto.
5. Gli interessi collettivi
Sono quegli interessi (es. interesse alla salute, alla tutela dell’ambiente) che fanno capo
ad una ben determinata collettività di individui quali associazioni culturali, partiti, comitati di cittadini etc.
Si distingue tra interesse collettivo e interesse diffuso:
a) interessi diffusi (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui di una formazione
sociale non organizzata e non individuabile autonomamente;
b) interessi collettivi (o di categoria) sono, invece, quelli che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es. ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile.
A)Caratteristiche
L’interesse collettivo è:
—differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organizzazione di tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell’interesse collettivo legittima al ricorso solo l’organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte;
Capitolo III: Diritti soggettivi ed interessi legittimi
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—qualificato: nel senso che è previsto e considerato, sia pure indirettamente, dal diritto
oggettivo.
B)Tutela degli interessi collettivi
Discusso è il problema della tutelabilità davanti al giudice degli interessi collettivi.
Dottrina e giurisprudenza, pur se con periodici tentennamenti, sono pervenute al riconoscimento della tutelabilità giurisdizionale degli interessi diffusi, purché siano imputabili a gruppi sociali determinati. A quest’ultima categoria soltanto diamo il nome di «interessi collettivi», da definire, pertanto, come quegli interessi che
«hanno come portatore un ente rappresentativo di un gruppo non occasionale, (es.: ordini professionali, associazioni private, riconosciute o meno), autonomamente individuabile».
Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi, ha elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un criterio in forza del quale la legittimazione processuale va ricollegata alla partecipazione procedimentale: quando, per legge, l’organizzazione è ammessa a
partecipare alla fase della formazione del provvedimento amministrativo, si deve ritenere configurabile in capo
alla medesima un interesse differenziato e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si riveli lesivo di un suo interesse.
Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell’intervento della L. 241/1990, la quale, all’art. 9, ha sancito la legittimazione procedimentale dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi, ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa
va ascritta a tutte quelle organizzazioni che siano abilitate a partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato nell’atto da impugnare.
C)Le azioni collettive di risarcimento (class action)
La L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), attraverso l’inserimento dell’art. 140bis nel D.Lgs. 205/2006, come
successivamente sostituito dall’art. 49 L. 99/2009, ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione di classe (cd.
class action). Questa è un’azione collettiva condotta da uno o più soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a loro nome, ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il medesimo illecito.
L’attuale disciplina, in vigore dal 1° gennaio 2010 (ex D.L. 78/2009, conv. in 102/2009), dispone che attraverso la class action sono tutelabili:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa
in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali
scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento
del danno e alle restituzioni.
In materia occorre, infine, ricordare quanto previsto dal D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 in base al quale
utenti e consumatori sono legittimati ad agire in giudizio, in caso di inefficienze (ad es., violazione di termini,
mancata emanazione di atti etc.), nei confronti della P.A. e dei concessionari di pubblici servizi.
Parte Settima
I servizi pubblici locali e
le forme di gestione
Capitolo Unico
Le forme di gestione dei servizi
pubblici locali
Sommario: 1. Nozione di pubblico servizio locale. - 2. La qualità dei servizi pubblici locali: carta dei servizi
e tutela degli utenti. - 3. La gestione dei servizi di interesse economico generale nell’ordinamento europeo. - 4.
Gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. - 5. La gestione dei servizi pubblici locali privi
di rilevanza economica. - 6. La gestione in economia. - 7. Aziende speciali e istituzioni. - 8. Le società per
azioni con partecipazione pubblica minoritaria. - 9. Le società di trasformazione urbana.
1. Nozione di pubblico servizio locale
Con l’espressione «servizi pubblici locali» si intende generalmente il complesso delle prestazioni di interesse collettivo rimesse alla gestione degli enti locali e suscettibili
di essere erogate tanto dagli enti pubblici stessi, quanto da operatori privati (cd. concessionari).
L’art. 112 del D.Lgs. 267/2000 — con il quale si apre il Titolo V dello stesso, interamente dedicato ai servizi ed agli interventi pubblici locali — afferma che gli enti locali,
nell’ambito delle proprie competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione di fini sociali, nonché a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
La nozione di «servizio pubblico» è una delle più complesse che la teoria del diritto pubblico e amministrativo abbia cercato di dare.
Il legislatore non ha mai fornito una nozione espressa di servizio pubblico e, conseguentemente, la dottrina
non ha avuto a disposizione precisi e univoci termini di riferimento su cui fondare le proprie ricostruzioni teoriche (TRETOLA).
Secondo un primo filone di pensiero è giusto il riferimento a criteri di carattere soggettivo, pertanto deve intendersi come servizio pubblico qualunque attività svolta, direttamente o indirettamente, dalla P.A.
Per altri (NIGRO-POTOTSCHNIG), invece, è più opportuno ancorare la qualificazione pubblica di un servizio ad un dato oggettivo, considerando tali quelle attività esercitate sotto il potere direttivo di un organo pubblico, indipendentemente dal fatto che a svolgerle in concreto sia un soggetto pubblico o privato.
Infine, non manca chi (GIANNINI) pone l’attenzione sul fatto che nell’esercizio di un servizio pubblico si
riscontra l’esercizio di un potere di «autonormazione» diverso da quello dell’ordinamento statale.
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
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I servizi a domanda individuale
Nell’ambito dei servizi pubblici formano una categoria a sé quelli a domanda individuale che, pur essendo volti a soddisfare esigenze di rilevanza generale, vengono erogati solo su richiesta dei singoli utenti e, dunque, non risultano come destinati all’intera popolazione.
Tali servizi, individuati dal D.M. 31-12-1983, sono:
1)alberghi, esclusi i dormitori pubblici; case di riposo e di ricovero;
2)alberghi diurni e bagni pubblici;
3)asili nido;
4)convitti, campeggi, case per vacanze, ostelli;
5)colonie e soggiorni stagionali, stabilimenti termali;
6)corsi extra scolastici di insegnamento di arti e sport e altre discipline, fatta eccezione per quelli espressamente previsti dalla legge;
7)giardini zoologici e botanici;
8)impianti sportivi: piscine, campi da tennis, di pattinaggio, impianti di risalita e simili;
9)mattatoi pubblici;
10)mense, comprese quelle ad uso scolastico;
11)mercati e fiere attrezzati;
12)parcheggi custoditi e parchimetri;
13)pesa pubblica;
14)servizi turistici diversi: stabilimenti balneari, approdi turistici e simili;
15)spurgo di pozzi neri;
16)teatri, musei, pinacoteche, gallerie, mostre e spettacoli;
17)trasporti di carni macellate;
18)trasporti funebri, pompe funebri e illuminazioni votive;
19)uso di locali adibiti stabilmente ed esclusivamente a riunioni non istituzionali: auditorium, palazzi dei
congressi e simili.
2. La qualità dei servizi pubblici locali: carta dei servizi e tutela degli utenti
L’art. 112 del T.U.E.L., al comma 3, stabilisce che ai servizi pubblici locali si applica il
capo III del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, avente ad oggetto la qualità dei servizi pubblici e le carte dei servizi, costituito dal solo art. 11 (modif. da ultimo dal D.Lgs. 90/2014,
conv. con modif. in L. 114/2014). Secondo tale articolo, i servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità volte a promuovere il miglioramento della qualità e assicurare la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi.
In linea con la necessità di tutela del cittadino-utente nell’erogazione dei servizi pubblici
è intervenuta la L. 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008), tale provvedimento, all’art.
2, comma 461, ha stabilito che gli enti locali, in sede di stipula dei contratti di servizio, al
fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l’universalità e l’economicità delle relative prestazioni sono tenuti, tra l’altro,
a prevedere l’obbligo per il soggetto gestore di emanare una «carta della qualità dei servizi» ovvero un documento che fissa le regole fondamentali in ordine alle prestazioni dei servizi erogati, definendo i diritti dei cittadini utenti e gli obblighi dei gestori stessi da redigere
e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le
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Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali
associazioni imprenditoriali interessate, che contenga in particolare gli standard di qualità e
quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle
per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell’utenza.
Ancora, la L. 18 giugno 2009, n. 69, recante Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, all’art. 30 ha previsto che le carte dei servizi adottate dai soggetti (pubblici o privati) che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità devono contenere la previsione della possibilità, per gli utenti che
lamentano la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere la
risoluzione non giurisdizionale della controversia (che deve avvenire entro trenta giorni
dalla richiesta). Esse devono prevedere, altresì, l’eventuale ricorso a meccanismi di sostituzione dell’amministrazione o del soggetto inadempiente.
Sul contenuto delle carte di servizio è, altresì, intervenuto il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1,
conv. con modif. in L. 24 marzo 2012, n. 27 (cd. decreto liberalizzazioni). Tale provvedimento, tra le disposizioni a tutela del consumatore prevede, all’art. 8, che le carte di servizio, nel
definire gli obblighi cui sono tenuti i gestori dei servizi pubblici, anche locali, o di un’infrastruttura necessaria per l’esercizio di attività di impresa o per l’esercizio di un diritto della persona
costituzionalmente garantito, indicano in modo specifico i diritti, anche di natura risarcitoria,
che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell’infrastruttura.
Da ultimo si segnala che la dimensione di «tutela del cittadino» è rafforzata dal D.Lgs.
33/2013, cd. T.U. sulla trasparenza, laddove l’art. 10 stabilisce che la trasparenza rileva anche come dimensione principale ai fini della determinazione degli standard di qualità
dei servizi pubblici da adottare nelle carte dei servizi ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs.
286/1999 come modificato dal D.Lgs. 150/2009.
Sulle pubbliche amministrazioni, incombe, altresì l’obbligo di pubblicare la carta dei
servizi o il documento contenente gli standard di qualità dei servizi pubblici, nonché
dei costi contabilizzati in dettaglio e dei tempi medi di erogazione dei servizi stessi con riferimento all’esercizio finanziario precedente (art. 32 del D.Lgs. 33/2013).
3. La gestione dei servizi di interesse economico generale
nell’ordinamento europeo
La normativa italiana in materia di servizi pubblici locali, in virtù dell’appartenenza
all’Unione europea, si trova a dover fare i conti con quanto previsto in proposito dall’ordinamento europeo.
In particolare, nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) si rinviene
l’esistenza di un generale principio di «libera concorrenza» e la previsione dell’applicazione delle regole sottese a tale principio in materia di servizi di interesse economico generale, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento della specifica
missione loro affidata (art. 106).
Frutto dell’elaborazione giurisprudenziale (v. sentenza Teckal, 18 novembre 1999, causa C-107/98) è, poi, l’ipotesi di affidamento cd. in house, come unica forma di affidamento diretto compatibile con il menzionato principio della libera concorrenza.
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
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Se ne ricava che, alla stregua dell’ordinamento europeo, vige la regola della liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici che comporta l’affidamento del servizio, da parte dell’ente pubblico, previa gara ad evidenza pubblica, a soggetti terzi.
La deroga al libero mercato, attraverso la gestione diretta del servizio pubblico locale, è
ammessa se lo Stato membro dimostra che l’applicazione delle norme sulla concorrenza
rappresenti un ostacolo alla speciale missione del servizio pubblico; deve, cioè, realizzarsi
un’ipotesi di assoluta incompatibilità tra l’applicazione delle norme sulla concorrenza e l’attività che l’impresa è chiamata a svolgere.
In tal caso, secondo le sentenze della Corte di Giustizia europea succedutesi nel tempo,
è consentito ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico in via diretta (senza gara)
ad una società a capitale interamente pubblico, in presenza delle seguenti condizioni:
—che l’ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi;
—che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la detiene.
L’affidamento potrà avvenire, infine, a società a capitale misto pubblico e privato, con
individuazione del socio privato mediante gara a doppio oggetto (scelta del socio privato e contestuale affidamento del servizio).
4. Gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica
A)Premessa
È fondamentale, in primo luogo, rammentare che ai sensi dell’art. 117 Cost., la gestione dei servizi pubblici rientra nella competenza esclusiva delle Regioni.
Ciò detto, al fine di giustificare la disciplina dettata in materia di servizi pubblici locali
di rilevanza economica dal legislatore statale (di cui al Titolo V del D.Lgs. 267/2000) si è
affermato, all’art. 113 T.U., che trattasi di disposizioni concernenti la «tutela della concorrenza» — materia rimessa alla competenza esclusiva dello Stato in base allo stesso art.
117 Cost. lett. e) — inderogabili ed integrative rispetto alle discipline di settore.
Il concetto di rilevanza economica
Tutto il sistema dei servizi pubblici locali previsto dal D.Lgs. 267/2000 è incentrato sul criterio distintivo di rilevanza economica, espressione mutuata dalla normativa comunitaria.
È bene ricordare, in proposito, che l’imporsi di questo concetto è soltanto l’ultimo passo di un lungo percorso legislativo. La versione originaria degli artt. 113 e seguenti del T.U., infatti, faceva riferimento al
principio dell’imprenditorialità sostituito, ad opera dell’art. 35 della L. 448/2001, con quello dell’industrialità sulla scorta della considerazione che oramai tutti i servizi pubblici sono svolti in forma imprenditoriale.
Il legislatore non si è mai preoccupato di definire con esattezza il significato da attribuire ai suddetti criteri. Invero, il citato art. 35, al comma 16, demandava ad un successivo decreto di attuazione il compito
di individuare i servizi a rilevanza industriale.
Con l’intervento del D.L. 269/2003 conv. con modif. in L. 326/2003, quindi, si è registrato un nuovo cambiamento che ha visto la sostituzione del criterio della rilevanza industriale con quello della rilevanza eco-
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Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali
nomica. Anche in questo caso la legge non ha specificato quale significato si debba correttamente assegnare a tale espressione e per di più ha abrogato il citato comma 16, art. 35, della L. 448/2001 con la conseguenza di far ricadere sulla giurisprudenza il non facile compito di distinguere nel concreto i servizi rientranti nell’una o nell’altra categoria, circoscrivendo così il criterio stesso di «economicità».
Seguendo le impostazioni suggerite dalla dottrina notiamo che oltre a chi, genericamente, riconduce l’attività economica all’attività produttiva, dunque alla produzione o scambio di beni o servizi, alcuni esponenti (ALESIO) tengono a precisare che un’attività produttiva può dirsi economica se comporta un guadagno, quindi se viene svolta con modalità che consentono, nel medio-lungo periodo, la completa copertura dei costi con i ricavi, in caso contrario si tratterebbe di un’attività non produttiva, dunque non economica, ma di consumo.
In linea con tale interpretazione dottrinaria si è posta la sent. 1729 del 2-8-2005 emessa dal TAR Sardegna nella quale si afferma che indici della sussistenza del carattere economico di un’attività sono la competitività dello stesso sul mercato, anche se solo in potenziale, e la sua redditività.
B)Evoluzione normativa fino al referendum di giugno 2011
La disciplina della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con particolare riferimento alle modalità di individuazione dei soggetti cui conferire la titolarità
del servizio, inizialmente contenuta nell’art. 113 del T.U.E.L., è stata oggetto di ripetute riforme nel corso degli ultimi anni.
Invero, alla stregua del citato art. 113 T.U., la titolarità dei servizi di rilevanza economica nel rispetto della disciplina di settore, ma anche della normativa dell’UE, poteva essere conferita (comma 5):
— a società di capitali individuate attraverso gare ad evidenza pubblica;
— a società miste i cui soci privati siano scelti sulla base di procedure ad evidenza pubblica;
— a società con capitale interamente pubblico, purché svolgano la parte più importante della loro attività
proprio con l’ente pubblico titolare del capitale e quest’ultimo eserciti su di esse un controllo analogo alla
gestione diretta (in house).
Tuttavia le menzionate disposizioni dell’art. 113 T.U. sono state superate dal D.L. 25-62008, n. 112, conv. con modif. in L. 6-8-2008, n. 133 (cd. manovra finanziaria d’estate),
che all’art. 23bis (a sua volta modificato dall’art. 15 del D.L. 135/2009, conv. con modif.
in L. 166/2009) aveva recato una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica sancendo l’abrogazione dell’art. 113 T.U. nelle parti con essa incompatibili. Il
successivo regolamento di attuazione (D.P.R. 168/2010) aveva, quindi, individuato espressamente le disposizioni del D.Lgs. 267/2000 abrogate, trattasi dell’art. 113, commi 5, 5bis,
6, 7, 8, 9 escluso il primo periodo, 14, 15bis, 15ter e 15quater.
L’art. 23bis, in questione, nell’ottica di procedere alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, aveva stabilito che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dovesse avvenire, in via ordinaria, a favore di:
— imprenditori o di società in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive ad
evidenza pubblica;
— società a partecipazione mista pubblica o privata, con selezione del socio mediante procedure competitive ad evidenza pubblica e a condizione che al socio fosse attribuita una partecipazione non inferiore al
40%.
In deroga alle suddette modalità di affidamento ordinario, il comma 3 dello stesso art. 23bis in esame prevedeva, in riferimento a situazioni eccezionali che non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato, che
l’affidamento potesse avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che avessero i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cd. «in house».
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
375
Su tale nuovo assetto normativo, tuttavia, è intervenuto il referendum abrogativo del
12 e 13 giugno 2011, a seguito del quale il popolo si è espresso in favore dell’abrogazione dell’art. 23bis del D.L. 112/2008 e quindi delle norme relative alla privatizzazione dei
servizi pubblici di rilevanza economica ivi contenute.
C)La normativa successiva all’esito del referendum e l’intervento della Corte costituzionale (sent. 199/2012)
Per colmare il vuoto normativo venutosi a creare a seguito dell’abrogazione referendaria dell’art. 23bis del D.L. 112/2008, il governo è intervenuto nuovamente sulla materia con
l’art. 4 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con modif. in L. 14 settembre 2011, n. 148,
modificato dapprima dall’art. 9 della L. 183/2011, successivamente dall’art. 25 del D.L.
1/2012, conv. con modif. in L. 27/2012 ed ancora dall’art. 53 del D.L. 83/2012.
In particolare, l’art. 4 (nel testo come risulta dalle citate modifiche e prima della conversione del D.L. n.
83 avvenuta con L. 134/2012) ha assegnato agli enti locali (nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà
di stabilimento e di libera prestazione dei servizi) il compito di verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, liberalizzando tutte le attività economiche
(compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio) e limitando negli altri casi
l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità (comma 1).
Nell’ipotesi di attribuzione di diritti di esclusiva il menzionato art. 4 ha previsto il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, tramite procedure competitive ad evidenza pubblica:
— in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite, nel rispetto dei principi del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (comma 8);
— a società a capitale interamente pubblico, sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge (comma 9);
— a società miste pubblico private, con gara «a doppio oggetto», in cui il socio privato abbia una quota non
inferiore al 40% (comma 12).
Qualora il valore del servizio non superi i 200.000 euro annui, in deroga alle modalità di cui sopra, è ammesso l’affidamento in via diretta a società che possiedono i requisiti per la gestione «in house», con divieto
di frazionamento del medesimo servizio e del relativo affidamento (comma 13).
Ciò detto, la disciplina contenuta nell’art. 4 appena illustrata è stata dichiarata incostituzionale con la sent. Corte cost. n. 199 del 20 luglio 2012.
La Suprema Corte, all’esito del giudizio, ha rilevato che, nonostante fosse intitolata «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione europea», la disposizione censurata ha dettato una nuova disciplina dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche
letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art.
23bis del D.L. 112/2008 e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo
art. 23bis contenuto nel D.P.R. 168/2010.
Pertanto la disposizione impugnata viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare, divieto desumibile dall’art. 75 della Costituzione.
376
Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali
Si precisa che la dichiarazione di illegittimità costituzionale investe l’articolo 4 del D.L. 138/2011 (convertito con modif. in L. 148/2011) sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni.
Tuttavia, si fa presente che le ultime modifiche all’art. 4 del D.L. 138/2011 (conv. con modif. in L. 148/2011),
sono state apportate, come detto, dal D.L. 83/2012 (art. 53, comma 1, lett. b) la cui conversione in 134/2012 è
successiva alla pubblicazione della menzionata sentenza della Corte costituzionale (n. 199 del 20 luglio 2012).
Pertanto, si è resa necessaria l’esplicita abrogazione del menzionato art. 53, comma 1, lett. b, del D.L. 83/2012
(conv. con modif. in L. 134/2012), avvenuta ad opera del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con modif. nella
L. 17 dicembre 2012, n. 221 cd. decreto sviluppo bis (art. 34, comma 24).
D)Il panorama normativo successivo alla pronuncia di incostituzionalità dell’art. 4,
D.L. 138/2011
Dopo l’intervento della Corte costituzionale (sent. 199/2012) che, come detto, ha dichiarato l’illegittimità della normativa specificamente dettata dall’art. 4 del D.L. 138/2011, il legislatore italiano è intervenuto in materia con il D.L. 18-10-2012, n. 179, conv. con modif.
in L. 17-12-2012, n. 221 limitandosi ad assicurare il rispetto della disciplina europea (in
proposito v. § 3), la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento attraverso la previsione dell’obbligo da
parte dell’ente affidante di indicare le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti
dall’ordinamento europeo circa la forma di affidamento prescelta, attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet di una apposita relazione (art. 34, comma 20).
Per gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto n. 179/2012 non conformi ai requisiti
previsti dalla normativa europea è previsto l’obbligo di adeguamento entro il 31 dicembre 2013 pubblicando,
entro tale data, la suddetta relazione; mentre per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli
enti competenti provvedono contestualmente ad inserirla nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano
il rapporto, pena la cessazione dell’affidamento alla data del 31 dicembre 2013 (art. 34, comma 21).
Dalla suddetta disciplina sono espressamente esclusi i servizi di distribuzione del gas
naturale e di distribuzione dell’energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie
comunali, disciplinati da apposite norme di settore.
E)La dimensione territoriale dell’organizzazione del servizio: art. 3bis, D.L. 138/2011
Merita una trattazione a parte il disposto di cui all’art. 3bis del D.L. 138/2011 (conv.
con modif. in L. 148/2011), inserito dal D.L. 1/2012 conv. con modif. in L. 27/2012 e, quindi, novellato dal D.L. 179/2012, conv. con modif. in L. 221/2012. Tale articolo, in particolare, nella prospettiva di migliorare l’efficienza del servizio, ha previsto un’organizzazione
dello stesso basata su «ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei».
Più specificamente, la norma stabilisce, dal punto di vista soggettivo, che sono le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano a dover procedere ad una simile organizzazione entro il 30 giugno 2012, nonché all’istituzione o designazione degli enti di governo degli stessi, mentre oggetto della detta organizzazione dimensionale sono esclusivamente i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, ossia quei servizi che per le loro
caratteristiche necessitano di una gestione estesa ad un ampio territorio.
L’inutile decorso del termine indicato comporta, ai sensi dell’art. 8 L. 131/2003, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei Ministri, a tutela dell’unità giuridica ed economica, ai fini dell’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali
da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio.
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
377
Quanto alla dimensione territoriale dell’ambito o bacino, questa non deve essere inferiore almeno a quella del territorio provinciale, ferma restando la possibilità, riconosciuta alle Regioni, di individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa, motivando
la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio.
Il comma 1bis dell’art. 3bis in esame (inserito ad opera del D.L. 179/2012, conv. con
modif. in L. 221/2012), infine, demanda agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed omogenei l’organizzazione, la forma di gestione, la determinazione delle tariffe all’utenza, per la parte di competenza, l’affidamento della gestione ed il controllo
della stessa.
In materia di servizi pubblici locali è intervenuto, ancora, il D.L. 30 dicembre 2013, n. 150 (cd. milleproroghe), conv. con modif. in L. 27 febbraio 2014, n. 15, a fissare taluni termini.
In particolare, l’art. 13, comma 1 del menzionato decreto stabilisce che, in deroga all’art. 34, comma 21 del
D.L. 179/2012, conv. con modif. in L. 221/2012 di cui si è detto (vedi lett. d) e al fine di garantire la continuità del servizio, laddove l’ente responsabile dell’affidamento ovvero, ove previsto, l’ente di governo dell’ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già avviato le procedure di affidamento pubblicando la relazione di cui al comma 20 del medesimo articolo, il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operanti fino
al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014.
Ancora il comma 2 dell’art. 13 stabilisce che, in caso di mancata istituzione o designazione dell’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale (ex art. 3bis, comma 1 del D.L. 138/2011, conv. con modif. in L. 148/2011),
ovvero di mancata deliberazione dell’affidamento entro il 30 giugno 2014, è previsto l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, con spese a carico dell’ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014.
Il mancato rispetto dei termini di cui sopra comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014 (comma 3).
5. La gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica
A norma dell’art. 113bis del T.U. gli enti locali possono gestire servizi pubblici privi di
rilevanza economica affidandoli direttamente (quindi senza procedere a gare pubbliche):
—ad istituzioni;
—ad aziende speciali, anche consortili;
—a società a capitale interamente pubblico, a condizione che gli enti pubblici titolari del
capitale sociale esercitino su di esse un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o
gli enti pubblici che la controllano.
È consentita, inoltre, anche la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per
le caratteristiche del servizio non sia opportuno ricorrere ad una delle altre forme di gestione.
Per quanto riguarda in particolare i servizi culturali e del tempo libero, gli enti locali possono gestirli anche affidandoli direttamente ad associazioni e fondazioni da loro costituite
o partecipate.
Si noti che l’intero art. 113bis del D.Lgs. 267/2000 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da parte della sentenza della Corte costituzionale 27-7-2004, n. 272 se-
378
Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali
condo la quale la denominazione data ai servizi cui si rivolge tale articolo fa sì che gli
stessi non possano essere sottoposti alla disciplina statale della tutela della concorrenza.
In riferimento ai servizi privi di rilevanza economica, infatti, non esiste un mercato concorrenziale.
In altre parole, con l’articolo del T.U. in commento il legislatore statale ha indebitamente disciplinato una materia che, non riguardando l’esigenza di tutelare la libertà di concorrenza, dovrebbe essere rimessa alle fonti regionali e locali.
D’altra parte, come hanno fatto notare i giudici delle Consulta, anche la Commissione
europea nel «Libro verde sui servizi di interesse generale» del 21-5-2003 — dopo aver precisato che il concetto di economicità ha carattere dinamico ed evolutivo per cui non sarebbe possibile stabilire a priori un’elencazione definitiva dei servizi non economici — afferma che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche.
Anche in tema di servizi non economici, i rapporti fra gli enti locali ed i soggetti gestori sono regolati dai contratti di servizio.
6. La gestione in economia
La gestione in economia dei servizi pubblici locali deve essere preferita allorquando per
le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non appaia opportuno procedere
ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1 dell’art. 113bis del T.U.
In tale ipotesi si può procedere ad una assunzione diretta di spese e di personale da parte dell’ente locale e all’assorbimento del servizio nella sua normale amministrazione.
Non disponendo nulla a riguardo il D.Lgs. 267/2000, si presume che in materia di organizzazione del servizio gestito in economia viga la normativa concernente gli atti, la contabilità ed i controlli previsti per la restante attività comunale.
Con la gestione in economia, il servizio non diviene autonomo, ma costituisce una parte dell’amministrazione locale, che si avvarrà per la sua erogazione del personale dipendente.
7. AZIENDE SPECIALI E ISTITUZIONI
L’art. 114 del T.U.E.L. e successive modifiche regolamenta le aziende speciali e le istituzioni disciplinando il rapporto di strumentalità che intercorre fra esse e l’ente locale per
il quale operano.
Come già accennato in precedenza (v. § 5) l’art. 113bis, introdotto nel testo unico dalla L.
448/2001 (Finanziaria 2002) e successivamente modificato dal D.L. 269/2003, conv. con modif. nella L. 326/2003, elenca le aziende speciali e le istituzioni tra i moduli gestionali cui ricorrere esclusivamente in relazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica.
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
379
A)L’azienda speciale
Il D.Lgs. 267/2000, pur configurando l’azienda speciale come ente strumentale dell’ente locale, le ha conferito carattere imprenditoriale, e quindi una maggiore autonomia, che si
sostanzia essenzialmente:
—nel conferimento della personalità giuridica;
—nel riconoscimento di un’autonomia imprenditoriale, comprensiva di un’autonomia
patrimoniale, che si concretizza nella dotazione di un capitale che le permetta di svolgere efficacemente ed autonomamente il ruolo di soggetto pubblico imprenditore;
—nella disciplina del proprio ordinamento e funzionamento a mezzo di un proprio statuto.
A norma dell’art. 114, comma 5 del T.U. l’azienda speciale è dotata di un proprio statuto, approvato dal Consiglio comunale o provinciale, che costituisce l’atto fondamentale
dell’impresa pubblica locale, disciplinando esso, nell’ambito della legge, l’ordinamento e
il funzionamento dell’azienda stessa.
Gli organi dell’azienda sono:
—il Consiglio di amministrazione;
—il Presidente;
—il Direttore, al quale compete la responsabilità gestionale;
—un organo di revisione preposto al controllo economico e contabile.
L’ente locale esercita, rispetto all’azienda, speciali poteri d’indirizzo, controllo e vigilanza, che si sostanziano:
—nell’approvazione dello statuto da parte dell’organo consiliare (art. 114, comma 1);
—nella determinazione delle modalità di nomina e revoca degli amministratori, effettuata dallo statuto dell’ente locale (art. 114, comma 3).
L’ente locale, inoltre, ai sensi del comma 6 dell’art. 114 in esame, conferisce il capitale di
dotazione, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali.
Accanto ai poteri di verifica esercitati dall’ente locale, lo statuto dell’azienda deve prevedere, ex art. 114, comma 7, forme autonome di verifica della gestione, che si accompagnano all’attività svolta anche dall’organo di revisione.
B)L’istituzione
Come emerge dalla lettura dell’art. 114 del T.U. l’istituzione presenta elementi di similitudine con l’azienda speciale. Tale ente strumentale infatti pur non avendo né personalità
giuridica, né potestà regolamentare, presenta la stessa organizzazione delle aziende speciali, nonché un’autonomia gestionale tendenzialmente simile.
L’art. 114, comma 3, indica chiaramente che ci si trova dinanzi ad un organismo la cui
disciplina viene riservata alla legge ed agli statuti locali.
Rispetto all’azienda speciale rileva la minore autonomia organizzatoria, poiché l’istituzione è disciplinata esclusivamente dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti dell’ente locale cui dipende.
380
Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali
Organi dell’istituzione sono il Consiglio di amministrazione, il Presidente e il Direttore
a cui compete la responsabilità gestionale.
All’ente locale competono poteri di indirizzo e di vigilanza (art. 114, comma 6) mentre
il controllo economico e contabile dell’istituzione è esercitato dall’organo di revisione
dell’ente locale (art. 114, comma 7).
C)Disposizioni comuni
Ferme restando le differenze che caratterizzano i due modelli di gestione si fa presente
che, in virtù delle modifiche apportate all’art. 114 ad opera dell’art. 74 del D.Lgs. 118/2011,
a sua volta aggiunto dall’art. 1 del D.Lgs. 126/2014 (in proposito vedi Libro VI, Cap. II,
Sez. II) al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio degli enti locali, le
aziende speciali e le istituzioni:
—sono tenute a conformare la propria gestione ai principi contabili contenuti nel medesimo D.Lgs. 118/2011 (art. 114, commi 1 e 2);
—hanno l’obbligo dell’equilibrio economico fermo restando per l’istituzione, l’obbligo
del pareggio finanziario, oltre a conformare la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità (art. 114, comma 4).
Tanto a decorrere dall’esercizio finanziario 2015, come previsto dall’art. 80 del suddetto D.Lgs. 118/2011.
Inoltre, il comma 5bis dell’art. 114, dapprima inserito dal D.L. 1/2012, conv. con modif.
in L. 27/2012 e, da ultimo sostituito dall’art. 1, comma 560 della L. 147/2013 (cd. Legge di
stabilità 2014), prevede che entrambi gli organismi si iscrivono e depositano i loro bilanci
al Registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economico-amministrative della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31 maggio di ciascun anno.
D)Trasformazione delle aziende speciali in società di capitali
L’art. 115 del T.U., come modificato dalla L. 448/2001, prevede per gli enti locali la possibilità di trasformazione, per mezzo di atto unilaterale (e cioè con semplice deliberazione che tiene luogo di tutti gli adempimenti civilistici in materia), delle aziende speciali in
società di capitali e di restare azionisti unici delle stesse per un periodo non superiore a due
anni dalla trasformazione, salvo poi procedere, se lo vorranno, ad un successivo collocamento sul mercato.
L’art. 115 T.U., in altre parole permette agli enti locali di trasformare le aziende speciali seguendo una procedura semplificata rispetto a quella prevista dal codice civile. Gli enti
locali, infatti, con un semplice atto unilaterale, esonerati dal compimento dei numerosi adempimenti richiesti dal codice civile, possono eliminare un’azienda speciale e dar vita ad una
società di capitali.
Trattasi, chiaramente, di una trasformazione che, comportando la vera e propria estinzione della società originaria, non coincide perfettamente con quella cui fanno riferimento gli artt. 2498-2500 c.c.
La Corte di Cassazione civile, infatti, ha più volte ribadito che «qualsiasi trasformazione comporta soltanto il mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, non la creazione di un nuovo ente che si
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
381
distingua dal vecchio» (Cass. Civ., sez. I, 13 luglio 1990, n.7258; Cass. Civ., sez. II, 30 luglio 1992; Cass. Civ.,
sez. I, 3 agosto 1998).
La trasformazione che è qui in esame, invece, comporta la costituzione di una società che, pur nascendo
esclusivamente grazie all’estinzione di un’azienda speciale, si distingue nettamente da essa.
Il capitale iniziale della società è determinato dalla delibera di trasformazione in misura non inferiore al fondo di dotazione delle aziende speciali e comunque non inferiore all’importo minimo richiesto per la costituzione delle società medesime. Tale delibera può anche
disporre la scissione dell’azienda speciale e la destinazione ad una società di nuova costituzione di un ramo d’azienda di questa.
La deliberazione di trasformazione deve rispettare tutti gli adempimenti in materia di costituzione delle società previsti dalla normativa vigente, ferma l’applicazione dell’art. 2330,
commi 3 e 4, e dell’art. 2330bis c.c.
Ai fini della definitiva determinazione dei valori patrimoniali conferiti, entro tre mesi dalla costituzione delle società, gli amministratori devono richiedere ad un esperto designato dal Presidente del Tribunale una relazione giurata ai sensi dell’art. 2343, primo comma del codice civile. Entro sei mesi dal ricevimento della relazione gli amministratori e i sindaci determinano i valori definitivi di conferimento dopo aver controllato le valutazioni contenute nella relazione stessa e aver proceduto alla revisione della stima. Fino a quando i valori di
conferimento non sono stati determinati definitivamente le azioni delle società sono inalienabili.
Le predette disposizioni si applicano anche ai consorzi intendendosi sostituita al Consiglio comunale l’assemblea consortile. In tal caso le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei componenti; gli enti locali che
non intendono partecipare alla società hanno diritto alla liquidazione sulla base del valore nominale iscritto a
bilancio della relativa quota di capitale.
8. Le società per azioni con partecipazione pubblica minoritaria
L’art. 116 del T.U., come modificato dalla L. 448/2001, prevede la facoltà, per gli enti
locali, di costituire società per azioni senza il vincolo della proprietà maggioritaria per
l’esercizio di servizi pubblici privi di rilevanza economica (art. 113bis) e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio, nonché per la realizzazione
di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico che non rientrino, ai sensi della vigente legislazione statale e regionale, nelle competenze di altri enti.
Come è possibile notare, il disposto dell’art. 116 T.U. che parla, appunto, di società miste, non appare in linea con quanto afferma l’art. 113bis dello stesso T.U. che, diversamente, in tema di affidamento diretto di servizi non economici a società per azioni richiede, come presupposto necessario, che il capitale delle stesse sia
interamente pubblico.
Una possibile soluzione di tale nodo normativo offertaci dalla dottrina parte dal considerare anche l’affidamento a società miste come diretto, ovvero parte dalla considerazione della gara come finalizzata esclusivamente alla scelta del socio privato. In sostanza si avanza la possibilità di affidamento diretto di servizi privi di rilevanza economica non solo a società in house, ma anche a società miste (nello specifico a capitale pubblico minoritario) il cui socio privato venga scelto sulla base di procedure ad evidenza pubblica (TRETOLA).
La costituzione di tali società può avvenire anche «in deroga ai vincoli derivanti da disposizioni di leggi specifiche» (art. 116, comma 1).
La scelta dei soggetti privati con i quali costituire tali «società miste» è a cura degli stessi enti locali cui compete, altresì, la collocazione sul mercato dei titoli azionari con procedure di evidenza pubblica.
382
Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali
Nel caso di servizi pubblici locali una quota delle azioni può essere destinata all’azionariato diffuso e resta comunque sul mercato.
La costituzione di dette società miste è disciplinata da apposito regolamento adottato ai
sensi dell’art. 4, comma 1, del D.L. 26/1995, convertito con modificazioni nella L. 95/1995,
e successive modificazioni e integrazioni.
Il suddetto art. 4 (abrogato limitatamente ai commi 2, 3 e 5 dal T.U. degli enti locali) al comma 1 dispone
l’adozione ai sensi della L. 400/1988 di un regolamento al fine di favorire l’immediato avvio di operatività delle società miste con la partecipazione non maggioritaria degli enti locali.
Tale regolamento approvato con D.P.R. 16-9-1996, n. 533 stabilisce come presupposti per la costituzione di
S.p.A. miste con capitale pubblico minoritario:
—
—
—
—
l’esercizio di un servizio pubblico e la realizzazione delle opere accessorie connesse;
una partecipazione dell’ente promotore non inferiore al quinto del capitale sociale;
un capitale sociale non inferiore al miliardo di lire;
possibilità di partecipazione per le Regioni, le altre amministrazioni pubbliche e le società a partecipazione
pubblica.
9. Le società di trasformazione urbana
L’art. 120 del D.Lgs. 267/2000 (modificato dalla L. 166/2002) ha introdotto nel nostro
ordinamento, riprendendole dal modello francese, le S.p.A. per la trasformazione urbanistica.
Città metropolitane e Comuni, eventualmente con la partecipazione della Provincia e
della Regione, possono costituire società per azioni «per progettare e realizzare interventi
di trasformazione urbana, in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti». Le società di
trasformazione urbana provvedono alla preventiva acquisizione degli immobili interessati
dall’intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi. Le acquisizioni possono avvenire consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del Comune. Se gli immobili in questione appartengono agli enti locali, possono essere
attribuiti alla società a titolo di concessione.
L’individuazione degli immobili, che avviene con delibera del Consiglio comunale, equivale a dichiarazione di pubblica utilità, anche se non sono interessati da opere pubbliche.
Per gli immobili di proprietà degli enti locali interessati dall’intervento è previsto il conferimento alle società anche a titolo di concessione.
Circa la quota di partecipazione dei privati, scelti obbligatoriamente tramite procedure
di evidenza pubblica, la legge non pone limiti, così che sono da ritenersi lecite anche partecipazioni pubbliche minoritarie.
Ai sensi dell’art. 7 della L. 8-2-2001, n. 21, il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, al fine di promuovere la costituzione da parte dei Comuni delle società di trasformazione urbanistica provvede al finanziamento degli studi di fattibilità, delle indagini conoscitive necessarie all’approfondimento della realizzabilità economica, amministrativa, finanziaria e tecnica delle ipotesi di trasformazione deliberate dal Consiglio comunale
nonché degli oneri occorrenti alla progettazione urbanistica.
Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dato attuazione alla legge succitata con il D.M. 6-6-2001.
Si noti, inoltre, che il D.L. 269/2003, convertito con modifiche in L. 326/2003, promuove, all’art. 30, le società di trasformazione urbanistica che includano nel proprio ambito di intervento immobili di proprietà dello
Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali
383
Stato, anche con la partecipazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite l’Agenzia per il demanio, delle Regioni, delle Province e delle società interamente controllate dallo stesso Ministero.
A tali società possono essere conferiti o attribuiti, a titolo di concessione, singoli beni immobili o compendi immobiliari di proprietà dello Stato individuati dall’Agenzia del demanio d’intesa con i Comuni, le Province e le Regioni interessate. Gli azionisti privati delle stesse vengono scelti dalla suddetta Agenzia mediante procedura ad evidenza pubblica.
Tariffe dei servizi e contratti di sponsorizzazione
Ai sensi dell’art. 117 del D.Lgs. 267/2000, gli enti interessati approvano le tariffe che costituiscono il corrispettivo dei servizi pubblici, in misura tale da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione.
I criteri per il calcolo della tariffa sono i seguenti:
— la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare l’integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico-finanziario;
— l’equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito;
— l’entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del
servizio;
— l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato.
La tariffa è determinata e adeguata ogni anno dai soggetti proprietari, attraverso contratti di programma
di durata poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli organizzativi prescelti.
Qualora i servizi siano gestiti da soggetti diversi dall’ente pubblico per effetto di particolari convenzioni
e concessioni dell’ente o per effetto del modello organizzativo di società mista, la tariffa è riscossa dal
soggetto che gestisce i servizi pubblici.
L’art. 119 del T.U. prevede, per migliorare la qualità dei servizi prestati, in applicazione dell’art. 43 della L. 449/1997, in capo agli enti locali la possibilità di stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi
di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi.
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Libro VIII: Gli atti del Comune: tipologia e criteri per la redazione
Modello n. 6
Comune di ………………
Deliberazione del Consiglio comunale
N. …… del Reg.
Data …………………
Oggetto: Comunicazione nomina componenti Giunta e presentazione linee programmatiche
relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato
L’anno …, il giorno … del mese di … alle ore … alla prima convocazione in sessione …
Nella sala delle adunanze del Comune suddetto, convocato con appositi avvisi, il Consiglio
comunale si è riunito con la presenza dei signori: …………
Assegnati
In Carica
n. …
n. …
Presenti
Assenti
n. …
n. …
Fra gli assenti sono giustificati i signori: …………
Partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza e ne cura la verbalizzazione (art. 97,
comma 4, lett. a), del D.Lgs. 267/2000) il Segretario comunale Dott. …………
Il Presidente dell’Assemblea constatato che gli intervenuti sono in numero legale propone al
Consiglio comunale il seguente atto:
Il Consiglio comunale
Dato atto che:
— la presente seduta è di insediamento del Consiglio comunale eletto nella consultazione del
…;
— la convocazione del Consiglio è stata disposta dal Sindaco eletto nella predetta consultazione;
Visto l’art. 46, comma 2, del D.Lgs. 267/2000, il quale dispone che nella prima seduta successiva alle elezioni, il Sindaco dia comunicazione al Consiglio dei nominativi dei componenti
della Giunta, da lui nominati con proprio provvedimento;
Sentito il Sindaco il quale dà lettura del seguente elenco dei componenti della Giunta, di cui al
provvedimento n. … del …;
Dato atto che per i menzionati componenti della Giunta non sussiste alcuna causa di incompatibilità, in quanto nessuno di loro è coniuge, ascendente, discendente, parente o affine fino al
terzo grado del Sindaco;
Atteso che con provvedimento n. … del … la carica di vicesindaco è stata conferita al neonominato Assessore Sig. …………
Sentito, altresì, il Sindaco eletto, il quale dà lettura degli indirizzi generali di governo, come di
seguito specificati: …
Capitolo V: Rassegna di atti di organi politici e gestionali
663
PRENDE ATTO
1) dell’elenco dei componenti della Giunta, tra cui il vicesindaco, di cui al provvedimento n. …
del …, che si allega al presente atto per formarne parte integrante e sostanziale, così come
comunicato dal Sindaco;
2) della relazione del Sindaco circa gli indirizzi generali di governo, che si allega (*) al presente
atto per formarne parte integrante e sostanziale.
Del che si è redatto il presente verbale come segue:
Il Sindaco (per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti)
Il Consigliere anziano (per i Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti)
(*) N.d.r.: Omissis.
Il Segretario comunale
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