SAN RAFFAELE DI MILANO Una nuova via per la fibrosi cistica, buoni risultati da studio pilota Ricercatori italiani, con una strategia diversa da quelle seguite finora, sono riusciti a facilitare la funzione della proteina alterata nella malattia di Franco Marchetti Una ricerca italiana apre nuove prospettive per la forma più comune di fibrosi cistica: seguendo una strada diversa da quelle fin qui percorse è stato infatti possibile ripristinare la funzione della proteina alterata il cui difettoso funzionamento è responsabile della malattia. Come funziona la fibrosi cistica È una storia che merita di essere raccontata dall’inizio, da quando, nel 2008, Luigi Maiuri, direttore di ricerca dell’Istituto Europeo per la Ricerca in Fibrosi Cistica (IERFC) presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato che nelle cellule delle persone malate di fibrosi cistica non funziona l’autofagia. «È un meccanismo di smaltimento dei rifiuti intracellulari e di riutilizzo del materiale smaltito che è fondamentale per la sopravvivenza delle cellule e che è molto importante in tante patologie, come l’Alzheimer, il Parkinson, i tumori - spiega Maiuri - . Questo meccanismo nella fibrosi cistica è bloccato, e come conseguenza si ha un accumulo di detriti che crea una condizione di stress all’interno della cellula». Si tratta di un difetto che si aggiunge all’errore genetico responsabile della malattia, quello del gene CFTR: a causa di questo errore, nelle persone con fibrosi cistica non funziona una particolare proteina cellulare che ha il compito di provvedere al passaggio del cloro e quindi dell’acqua nelle secrezioni, che di conseguenza risultano particolarmente dense. Nella forma più comune (mutazione F508) la proteina non funziona a causa di un difetto di piegamento (misfolding ). «Nella cellula abbiamo controlli di qualità che stabiliscono se la proteina può andare avanti o no - prosegue il ricercatore - . La proteina con difetto di piegamento non supera il controllo, resta intrappolata in una sorta di “labirinto” e viene degradata». Dalla ricerca un risultato mai visto finora La ricerca si era finora indirizzata a cercare di aiutare la proteina difettosa ad attraversare il “labirinto” grazie a molecole che la accompagnano lungo questo percorso accidentato fino alla membrana. I ricercatori dell’IERFC hanno invece provato una strategia diversa. «È sufficiente ripristinare l’autofagia per riportare la CFTR con mutazione F508 sulla membrana della cellula e migliorarne la stabilità nella sede di funzione afferma Maiuri - . In questo sta principalmente l’innovazione della nostra ricerca: non accompagnare la proteina, ma raddrizzare le vie che la proteina utilizza per il suo viaggio all’interno della cellula». Il risultato è stato ottenuto grazie a un farmaco, la cisteamina (già usata in un’altra malattia genetica e di cui è nota la capacità di ripristinare l’autofagia), somministrata in combinazione con un costituente del tè verde, l’Epigallocatechin gallato, normalmente usato come integratore. Una prima conferma dell’efficacia di questo approccio nell’uomo viene da uno studio condotto in 10 pazienti in cui si è ottenuto un risultato mai raggiunto prima: la normalizzazione, in una parte dei malati, del test del sudore, l’esame diagnostico della fibrosi cistica. E il ripristino della funzione della proteina difettosa è stato dimostrato anche a livello dell’apparato respiratorio, dove si è documentata una diminuzione dell’infiammazione. La strada per le prossime sperimentazioni «È uno studio pilota open-label ( in cui sia lo sperimentatore che il volontario conoscono la composizione del prodotto che si sta somministrando, ndr ) su un numero limitato di pazienti. Perciò, non ha la pretesa di validare una nuova cura, ma dimostra che un percorso diverso da quelli finora in sperimentazione può essere molto interessante da seguire - dice Valeria Raia, docente di Pediatria dell’Università Federico II di Napoli e autore dello studio clinico - . Se i dati venissero confermati potremmo dire d’aver intrapreso una strada importante per il trattamento della fibrosi cistica». Un aspetto da non sottovalutare è inoltre quello di prevedere l’impiego di molecole già disponibili. «Perché non c’è la necessità di ripetere tutti gli studi per la registrazione» spiega Gianni Mastella, Direttore scientifico della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica. Che aggiunge: «Sono ricerche molto interessanti, anche se non sappiamo ancora se si tratti di un’alternativa vincente rispetto alla via oggi più seguita, quella dei “correttori”: piccole molecole che riescono a liberare la proteina sbagliata dal reticolo endoplasmatico che la trattiene. Alcuni correttori sono riusciti a recuperare in parte la proteina nell’uomo e a farla funzionare, soprattutto se vi si aggiunge una sostanza, detta potenziatore ». «Questa esperienza dimostra la peculiarità dell’Istituto Europeo per la Ricerca in Fibrosi Cistica, uno dei pochissimi esempi al mondo di proprietà diretta dei pazienti di una fondazione che fa ricerca solo per loro», dice Giorgio Del Mare, presidente della Fondazione IERFC. Ed è già in corso un secondo studio clinico su un maggior numero di pazienti che dovrebbe essere completato per la fine dell’anno.