A light at the end of a dark tunnel

OSSERVATORIO SUL DIRITTO DELLA BIOETICA N. 1/2015
2. «A LIGHT AT THE END OF A DARK TUNNEL»: IL PARLAMENTO DEL REGNO UNITO
APPROVA LA DONAZIONE DI DNA MITOCONDRIALE
Il 24 febbraio 2015 la House of Lords ha adottato un disegno di legge intitolato «The
Human Fertilisation and Embryology (Mitochondrial Donation) Regulations 2015», concernente una
nuova tecnica di fecondazione in vitro, che implica la donazione di DNA mitocondriale.
Pochi giorni prima, il 3 febbraio 2015, il disegno di legge era stato approvato anche dalla
House of Commons del Regno Unito (382 voti favorevoli, 128 contrari). In precedenza, la
tecnica oggetto del disegno di legge era passata al vaglio della Human Fertilisation and
Embryology Authority, l’organo di sovraintendenza britannica in materia di fertilità e di
embriologia umana, che aveva espresso parere favorevole in ordine alla sicurezza e
all’efficacia della tecnica medesima, nonché del Nuffield Council on Bioethics, la cui valutazione
etica si era tradotta nel report intitolato «Novel Tecnhiques for the prevention of mitochondrial DNA
disorder: an ethical review» (I rapporti citati sono reperibili in http://www.hfea.gov.uk;
http://nuffieldbioethics.org).
Secondo le evidenze scientifiche disponibili, i mitocondri sono corpuscoli
intracellulari che forniscono alle cellule umane l’energia necessaria per svolgere le funzioni
cui esse sono deputate. Poiché il DNA mitocondriale si trasmette unicamente per via
matrilineare, è evidente che, se la madre possiede mitocondri malati, questi ultimi saranno
ereditati dal nascituro, con la possibilità che insorgano gravi patologie a carico del nascituro
medesimo. La nuova tecnica di fecondazione in vitro, messa a punto da un’equipe di
scienziati britannici a Newcastle, consentirebbe al nascituro di non ereditare la mutazione
del DNA mitocondriale materno, facendo del Regno Unito il primo Paese al mondo ad
autorizzare la tecnica de qua con un atto legislativo definito «audace» dallo stesso Ministro
della Salute britannico, in occasione del suo intervento alla House of Commons («This is a bold
step for Parliament to take, but it is a considered and informed step»).
In particolare, la tecnica in questione appare innovativa perché presenta una variante
aggiuntiva al tradizionale ciclo di fecondazione in vitro: essa può esplicarsi, infatti, attraverso
due modalità, il maternal spindle transfer (MST) ed il pro-nuclear transfer (PNT), che consentono
di manipolare in vitro, rispettivamente, gli ovociti e gli embrioni, al fine di sostituire il DNA
mitocondriale «difettoso» della madre cosiddetta intenzionale con quello sano di una
donatrice. Nel maternal spindle transfer, il fuso meiotico (spindle) dell’ovocita della madre
intenzionale, contenente il DNA nucleare – e, quindi, il materiale genetico della madre
stessa – viene trasferito all’interno dell’ovocita donato, i cui mitocondri sono sani ed il cui
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DNA nucleare è stato precedentemente rimosso. Nel pro-nuclear transfer, invece, si interviene
sull’embrione creato in vitro con i gameti dei genitori intenzionali e, segnatamente, sui due
pronuclei dello zigote, contenenti il materiale genetico dei genitori, che vengono prelevati e
trasferiti in un’altra cellula embrionale (creata in vitro con l’ovocita della donna donatrice ed
il gamete maschile del padre intenzionale o, eventualmente, del donatore), i cui mitocondri
non presentano anomalie ed il cui DNA nucleare è stato precedentemente rimosso.
Pertanto, con entrambe le modalità summenzionate, il DNA nucleare della coppia
intenzionale viene conservato al fine di poter essere «accolto» all’interno di una struttura
biologica (rispettivamente, l’ovocita e l’embrione) estranea alla coppia stessa, il cui DNA
mitocondriale non presenta mutazioni dannose. Ne consegue che il nascituro avrà il DNA
di due donne e di un uomo: si stima circa il 99,8% del DNA dei genitori intenzionali e circa
lo 0,2% del DNA – mitocondriale – della donatrice.
La donazione di DNA mitocondriale, accolta con favore dal Parlamento britannico e
definita dall’Under Secretary of State for Public Health come «a light at the end of a dark tunnel» per
le famiglie, non ha mancato di sollevare polemiche perché ha riproposto la querelle bioetica
e biogiuridica che, ormai da decenni, caratterizza il dibattito intorno alla materia della
riproduzione umana.
Va preliminarmente sottolineato che il disegno di legge in esame si pone prima facie in
contrasto con quanto disposto dallo Human Fertilisation and Embryology Act del 1990,
emendato nel 2008, che vieta l’impianto in utero di ovociti e di embrioni il cui DNA sia
stato precedentemente alterato. Tuttavia, come sottolinea la nota della House of Commons,
«Mitochondrial donation», SN/SC/6833, del 29 gennaio 2015 (consultabile sul sito ufficiale del
Parlamento britannico, http://www.parliament.uk), la legge consente di derogare al
suddetto divieto ogni qual volta sia necessario prevenire la trasmissione per via matrilineare
di gravi malattie di origine mitocondriale (cfr. Human Fertilisation and Embryology Act, 2008,
section 3ZA, subsection 5, secondo cui «… even though the egg or embryo has had applied to it in
prescribed circumstances a prescribed process designed to prevent the transmission of serious mitochondrial
disease»).
Va altresì ricordata la contrarietà alla tecnica in questione manifestata da alcuni
Membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che, il 3 ottobre 2013, hanno
sottoscritto la Dichiarazione «Creation of Embryos with Genetic Material from More than Two
Progenitor Persons» (written declaration no. 557, doc. 13325) in cui si ricorda l’art. 24 della
Dichiarazione universale dell’UNESCO sul genoma umano e i diritti umani, nonché l’art.
13 della Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la biomedicina. Con
riferimento alla Dichiarazione, l’art. 24 annovera gli interventi sulle cellule germinali tra le
pratiche contrarie alla dignità umana; con riferimento alla Convenzione – che, tuttavia, non
è vincolante per il Regno Unito – l’art. 13 dispone che «un intervento che ha come
obiettivo di modificare il genoma umano non può essere intrapreso che per delle ragioni
preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente se non ha come scopo di introdurre
una modifica nel genoma dei discendenti».
Un’ulteriore obiezione avanzata contro la MST e la PNT concerne il paventato
sviluppo di nuove possibilità dell’ingegneria genetica nel senso di creare bambini «su
misura» (i cosiddetti designer babies), il cui patrimonio genetico sarebbe modificato al fine di
potenziarne l’intelligenza o al fine di perfezionarne l’aspetto fisico, sulla base delle
preferenze espresse dai genitori intenzionali. La questione merita di essere affrontata in una
duplice prospettiva. In primo luogo, va ricordato che, secondo le evidenze scientifiche, le
caratteristiche somatiche come l’altezza, il peso o il colore degli occhi non risiedono nei
mitocondri e che la tesi volta a ricondurre i designer babies alla sostituzione del DNA
mitocondriale (che, si ricorda, ha funzione esclusivamente terapeutica) appare priva di
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fondamento scientifico. In secondo luogo, e parallelamente, la tecnica in esame, pur
implicando una modifica della linea germinale, non comporterebbe una modificazione
genetica: in questo senso si è espresso anche il Nuffield Council on Bioethics (cfr. il report citato
supra), secondo cui la modifica del DNA mitocondriale potrebbe essere trasmessa alle
generazioni successive, senza tuttavia comportare una modificazione genetica.
In realtà, il dibattito scientifico sulle modificazioni genetiche e sulla modificazione
della linea germinale non ha ancora prodotto conclusioni univoche, favorendo, anzi,
l’affermazione di tesi contrastanti. Allo stato attuale, infatti, non sono disponibili evidenze
scientifiche che consentano di definire con certezza il significato e la portata
dell’espressione «modificazione genetica» e che permettano, in particolare, di comprendere
se la sostituzione del DNA mitocondriale sia ascrivibile esclusivamente ad una
modificazione della linea germinale o anche ad una modificazione genetica. Inoltre, non
sono disponibili evidenze scientifiche che permettano di affermare se un’interferenza nella
linea germinale possa determinare rischi per la salute del nascituro. In proposito, occorre
ricordare che la tecnica in esame è stata sperimentata principalmente su primati e che la
sperimentazione su embrioni umani non è stata portata fino allo stadio del trasferimento in
utero degli embrioni medesimi: pertanto, sia la MST che la PNT devono essere considerate
come tecniche sperimentali. Più volte interrogato sul punto, il Governo britannico, allo
scopo di distinguere le funzioni svolte rispettivamente dal DNA nucleare e dal DNA
mitocondriale, si è limitato ad elaborare una «working definition», secondo la quale una
modificazione genetica implica un intervento sulla linea germinale del DNA nucleare (e
quindi sui cromosomi), ma che né la MST né la PNT producono questo risultato. Sulla
base di questa «working definition», il Governo britannico ha escluso che la sostituzione del
DNA mitocondriale costituisca una modificazione genetica.
Quanto al coinvolgimento nel processo riproduttivo di una terza persona (la
donatrice di DNA mitocondriale), che verrebbe ad essere geneticamente legata al nascituro,
la querelle in corso, in specie sul piano mediatico, è orientata a configurare la MST e la PNT
come tecniche di riproduzione umana che consentono di creare un bambino con tre
genitori. Sulla questione è intervenuto anche il Dipartimento della salute britannico, che ha
espressamente respinto la tesi della «triplicità» della figura genitoriale, poiché il contributo
genetico offerto dalla donatrice di DNA mitocondriale risulterebbe irrisorio rispetto alla
percentuale di DNA nucleare dei genitori intenzionali ereditata dal nascituro. Il
Dipartimento della salute preferisce affermare, al riguardo, che la donazione di DNA
mitocondriale si colloca a metà strada tra la donazione di gameti e la donazione di organi e
tessuti umani (cfr. Department of Health, «Mitochondrial Donation. Government response to the
consultation on draft regulations to permit the use of new treatment techniques to prevent the transmission of
a serious mitochondrial disease from mother to child», luglio 2014). Va inoltre ricordato che già la
donazione di gameti, alla base della fecondazione eterologa, e la cosiddetta «maternità
surrogata» hanno da tempo comportato la frattura del tradizionale modello di famiglia bigenitoriale, aprendo la strada alla possibilità che il nascituro sia il frutto della
«collaborazione procreativa» di più persone. Basti ricordare, in proposito, la surrogazione
cosiddetta gestazionale, che può coinvolgere nel processo riproduttivo fino a cinque
persone (i donatori di gameti, i cosiddetti genitori intenzionali e la madre surrogata).
La tecnica in esame non ha mancato di riproporre la questione della intangibilità della
vita umana, dato che sia la MST che la PNT comportano necessariamente la manipolazione
di ovociti e di embrioni umani. La problematica evocata appare particolarmente spinosa,
perché, come noto, il dibattito bioetico connesso alla materia della riproduzione umana
continua a caratterizzarsi, da punto di vista biopolitico e soprattutto in certi Paesi, per la
scissione che vede schierati, da un lato, il movimento pro life, che afferma la necessità di
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tutelare la vita in tutte le sue forme ed i suoi stadi, anche potenziali; e, dall’altro, il
movimento pro choice, che invece riconosce prevalenza alle scelte individuali e soggettive pur
in ambiti eticamente sensibili.
Taluni paventano, infine, il rischio che la nuova tecnica alimenti la
commercializzazione di gameti, tenuto conto del possibile incremento del numero delle
donatrici di ovociti e della rilevanza degli interessi economici e commerciali celati dietro le
tecnologie della riproduzione umana. D’altra parte, è innegabile che forme dissimulate di
«commercio» di cellule e tessuti umani costituiscono oggetto di specifico intervento
normativo da parte dell’Unione europea. Il riferimento è alla direttiva n. 2004/23/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di
qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la
conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, tra cui,
espressamente, «cellule riproduttive (ovuli, sperma)» (cfr. considerando n. 7). Scopo ultimo
della direttiva n. 2004/23/CE è quello di creare un mercato comune di cellule e tessuti
umani, come può ricavarsi dal preambolo dell’atto, in cui si afferma che «è urgentemente
necessario un quadro unificato atto ad assicurare norme elevate di qualità e di sicurezza
relativamente ad approvvigionamento, controllo, lavorazione, stoccaggio e distribuzione di
tessuti e cellule all’interno della Comunità e a facilitarne gli scambi per i pazienti che ogni
anno si sottopongono a questo tipo di terapia» (cfr. il considerando 4). Come noto, uno dei
punti più controversi e dibattuti della direttiva sopra menzionata è rappresentato dalla
previsione di una vera e propria «indennità» in favore dei donatori di cellule e tessuti umani,
come espressamente sancito dall’art. 12 della direttiva medesima, secondo cui, da una parte,
«gli Stati membri si adoperano per garantire donazioni volontarie e gratuite di tessuti e
cellule» e, dall’altra, «i donatori possono ricevere un’indennità, strettamente limitata a far
fronte alle spese e agli inconvenienti risultanti dalla donazione. In tal caso, gli Stati membri
stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l’indennità». È appena il caso di
ricordare che il contesto giuridico in cui si colloca la direttiva n. 2004/23/CE è quello della
donazione e che, pertanto, risulta difficile giustificare la possibilità, per i donatori (che
agiscono secondo i canoni tradizionali della «volontarietà» e «gratuità»), di ricevere
un’indennità, seppur limitata alle spese ed agli inconvenienti attinenti alla donazione.
Alla luce di quanto affermato supra, risulta evidente che, come altre problematiche di
rilevanza bioetica, anche quella in esame solleva interrogativi e questioni che spaziano dal
biodiritto alla biopolitica alla più recente bioeconomia. Sotto quest’ultimo aspetto, basti
ricordare il crescente fenomeno del cosiddetto turismo procreativo (cross border reproductive
care) che, inserendosi nelle dinamiche proprie del mercato globale, comporta ciò che
potrebbe definirsi la «delocalizzazione produttiva» della corporeità umana. In questa
prospettiva, si comprende come l’«audace» passo legislativo compiuto dal Parlamento
britannico possa alimentare il timore della mercificazione del corpo umano e delle sue parti
e che, per dirla con Habermas, esso «turbi gli animi perché esemplifica i pericoli evocati
dalla metafora di una «eugenetica selettiva» sulla razza umana».
ISABELLA APREA
ISSN 2284-3531 Ordine internazionale e diritti umani, (2015), pp. 224-227.