SCHUMPETER E LO SVIPLUPPO ECONOMICO (CAP. III) Joseph Schumpeter (1883-1950) Teoria dello Sviluppo Economico (1912), Cicli Economici (1939), Capitalismo, Socialismo e Democrazia (1942), Storia dell’Analisi Economica (1954). Enfasi sullo sviluppo ma anche ammirazione per Walras il cui modello rappresenta un’economia stazionaria. Rottura della stazionarietà attraverso: • innovazioni di prodotto • innovazioni di processo (produttivo o commerciale) • apertura di nuovi mercati • individuazione di nuove fonti di materie prime • creazione o rottura di posizioni di monopolio E’ l’imprenditore, che Schumpeter contrappone al direttore d’azienda, che introduce innovazioni e ottiene così un profitto. Il profitto, a differenza della rendita da monopolio, tende a diffondersi attraverso il processo concorrenziale. Due fasi dello sviluppo capitalistico: Capitalismo concorrenziale e capitalismo trustificato. Nella prima delle due fasi l’imprenditore è generalmente il proprietario; nella seconda, la funzione imprenditoriale è separata dalla proprietà e non è quindi ovvio chi percepisca il profitto che, in nessun caso, comunque, può essere concepito come la ricompensa per il rischio. Importanza del credito per la realizzazione di innovazioni e quindi per lo sviluppo. Nello stato stazionario non vi può essere risparmio d’impresa che nasce dal profitto che a sua volta presuppone l’innovazione. Vi è quindi una successione logica del tipo: CreditoInnovazione-Profitto. La concorrenza distrugge poi il profitto e il credito, finanziando le innovazioni, crea le condizioni per la sua rinascita. E’ solo nella fase del capitalismo trustificato che l’impresa può trattenere risorse e la funzione del sistema creditizio ritorna ad essere quella ordinaria. Critica schumpeteriana alla nozione statica di concorrenza: la concorrenza come un processo di ‘distruzione creativa’ delle imprese meno innovative che consente a quelle più innovative di creare una posizione di monopolio temporaneo. Pratiche monopolistiche e innovazione: ricerca e sperimentazione da un lato, assicurazione contro il rischio di cambiamenti troppo rapidi dall’altro. Lo sviluppo si manifesta attraverso cicli a causa dell’affollamento delle innovazioni in alcuni periodi cui segue, anche per il necessario rimborso dei prestiti, un periodo recessivo. Cicli di diversi periodi: Kondratiev, Juglar, Kitchin. LA CRITICA DI SRAFFA E LE NUOVE TEORIE DEL MERCATO (CAP.IV) Piero Sraffa (1898-1983) The Laws of Return under Competitive Conditions (1926) The Works and Correspondence of David Ricardo (1951-73) Production of Commodities by Means of Commodities (1960) Tra il 1926 e il 1933 si afferma l’idea dell’inadeguatezza delle forme di mercato estreme, concorrenza perfetta e monopolio, quale strumento interpretativo della realtà, anche accettando le ipotesi statiche (preferenze e tecnologie date) che Schumpeter aveva invece rifiutato. Sraffa (1926) mette in discussione la ragionevolezza dell’ipotesi che in concorrenza ogni impresa si trova ‘prima o poi’ ad operare con costi medi crescenti (rendimenti decrescenti). Infatti, secondo Sraffa, il problema dell’impresa non è l’aumento dei costi ma la difficoltà di vendita dovuta alla limitatezza della domanda. Se alla curva di domanda orizzontale si sostituisce una curva di domanda decrescente, si configura una forma di mercato di concorrenza monopolistica. Nonostante l’utilizzo da parte di Sraffa dell’approccio marshalliano, l’abbandono dell’ipotesi di concorrenza perfetta rende pressoché impossibile l’individuazione di un equilibrio economico generale. L’idea di Sraffa viene ripresa nel 1933 da Joan Robinson (L’Economia della Concorrenza Imperfetta) in Inghilterra e da Edward Chamberlin (La Teoria della Concorrenza Monopolistica) in America. Le due ‘etichette’ identificano la stessa realtà, quella di un mercato ‘imperfetto’ (diversa ubicazione delle imprese, costi di trasporto ecc.) in cui il prodotto venduto non è omogeneo (o almeno non è ritenuto tale dagli acquirenti). Concorrenza ‘di qualità’ oltre che ‘di prezzo’ con un ruolo essenziale della pubblicità. Equilibrio dell’impresa ed equilibrio dell’industria (come in Marshall) ma, data la differenziazione dei prodotti, si parla (Chamberlin) di ‘gruppo’ anziché di industria. Indeterminatezza della nozione di ‘gruppo’. Differenze tra l’equilibrio dell’industria e l’equilibrio del gruppo. Limiti dell’analisi: impossibilità di conoscere la curva di domanda, non misurabilità della qualità, curve di costo identiche per tutte le imprese del gruppo. Analisi empiriche hanno confermato le difficoltà da parte delle imprese a ‘conoscere’ la curva di domanda, soprattutto se si tiene conto dell’interdipendenza delle decisioni in un contesto oligopolistico (Hall e Hitch 1939) Il principio del ‘costo pieno’ e l’abbandono del principio di uguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale vengono ripresi da Andrews (1949) e da Kalecki (1938) che introduce la nozione di ‘grado di monopolio’. Si afferma l’idea di un ‘prezzo di esclusione’ (Sylos Labini 1961), con un distacco crescente dalle trattazioni ‘astratte’ del tipo di quelle proposte da Cournot (1801-1877) già nel 1838 e da Edgeworth (1845-1926), i cui scritti furono raccolti e pubblicati nel 1925. La nozione di ‘mercato contendibile’ di Baumol, Panzar e Willig (1982) I ‘costi di transazione’ e la teoria dell’impresa di R. Coase (1937). LE TEORIE DEL RISTAGNO ECONOMICO (CAP. VII)*** Differenze tra Ricardo e Mill sullo stato stazionario. Incompatibilità, nell’impostazione marxiana, tra l’ideale milliano di stazionarietà e il sistema capitalistico. Caduta tendenziale del saggio di profitto e crisi del capitalismo secondo Marx. A. Hansen: enfasi, di tipo keynesiano, sugli investimenti che dipendono da tre tipi di cause: • aumento della popolazione • introduzione di innovazioni • espansione territoriale del capitalismo. Secondo Hansen proprio quando il capitalismo riesce a generare più risparmio le tre forze sopramenzionate si indeboliscono. Si tratta di una teoria che evidenzia l’incapacità del capitalismo di crescere in piena occupazione e non una vera e propria tendenza allo stato stazionario. E’ sull’indebolimento della critiche. Se è vero che creazione di innovazione, imprese monopolistiche innovazioni. seconda causa che si sono concentrate le non si registra un rallentamento nella secondo i teorici del ristagno, le grandi ostacolano l’effettiva introduzione di Ruolo della politica economica e importanza dei contenuti della spesa pubblica. La crisi del capitalismo secondo Schumpeter: • Burocratizzazione della funzione imprenditoriale • Perdita di importanza dell’accumulazione capitalistica vista la ‘supplenza’ dello Stato. • Inevitabile passaggio al Socialismo che ha in Schumpeter connotazioni meno positive di quelle che si ritrovano in Marx. LA TEORIA DEL SOTTOSVILUPPO (CAP. X)*** La letteratura economica essenzialmente tre questioni: sul sottosviluppo ha • definizione di sottosviluppo • funzionamento delle economie sottosviluppate • superamento del sottosviluppo affrontato Per ciò che riguarda la definizione di sottosviluppo si è evidenziata l’insufficienza del criterio del reddito pro capite per quattro ragioni: • insufficienza dei dati statistici • impossibilità dei dati statistici, quand’anche disponibili, di ‘registrare’ l’economia sommersa • incomparabilità internazionale tra i redditi pro capite per l’assenza di un metro monetario comune • incapacità del criterio del reddito pro capite di cogliere differenze qualitative tra i vari paesi. siano Il reddito pro capite dà comunque una buona approssimazione delle dimensioni del problema. Le economie sottosviluppate si caratterizzano per l’esistenza di un circolo vizioso tra bassa produttività, dovuta a carenza di capitale, e bassa accumulazione di capitale dovuta alla bassa produttività. Inoltre il ‘surplus’ è spesso destinato al consumo di lusso della ‘aristocrazia’ locale. Le economie hanno forma pre-capitalistica e non vi è stimolo all’investimento. Aziende agricole di tipo familiare: la disoccupazione nascosta. Lo squilibrio economico mondiale e l’accentuarsi delle disuguaglianze (Myrdal e Rosenstein Rodan). Fattori agglomerativi sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda.. Tra i primi: • economie esterne e ‘capitale fisso sociale’ la cui assenza non è compensata dai bassi salari. Tra i secondi: • carenza di domanda per i prodotti di impianti di grandi dimensioni quando non sia già diffusa la produzione industriale in altri settori. La teoria dei fattori agglomerativi non spiega come lo squilibrio sia nato ma solo perché tende ad accentuarsi. Importanza limitata degli investimenti coloniali o neocoloniali. Possibili forme del processo di industrializzazione: • a bassa intensità di capitale con migliori effetti immediati sull’occupazione • ad alta intensità di capitale sull’accumulazione di capitale. con migliori effetti Necessità di interventi pubblici visto l’alto rischio implicito in investimenti di grandi dimensioni in assenza di capitale fisso sociale (che si è invece formato gradualmente nei paesi industrializzati). Autori importanti Hirschman e Sen. I PROBLEMI ODIERNI DELL’ECONOMIA MONDIALE (CAP. XI)*** Il capitalismo contemporaneo non è più quello di Smith, Ricardo e Marx: salario al di sopra della sussistenza e politiche redistributive. La ‘Società opulenta’ di J. K. Galbraith: soddisfatti i bisogni essenziali, i nuovi bisogni non sono più ‘autonomi’ rispetto alle esigenze della produzione e viene quindi meno il criterio di efficienza che assegnava una superiorità alle economie di mercato. Inoltre sarà sempre più difficile da parte dell’apparato produttivo ‘creare’ nuovi bisogni. Si aprono quindi spazi per consumi pubblici che sostituiscono quelli privati. La forza espansiva del capitalismo occidentale si è ridotta per effetto delle politiche redistributive e ciò ha forse contribuito ad aggravare le disuguaglianze. Non rinviabilità di interventi pubblici su scala mondiale. LA RISPRESA DELL’ECONOMIA POLITICA CLASSICA (CAP. XII) Teoria classica: importanza della nozione di ‘sovrappiù’, inteso come quella parte del valore prodotto non direttamente imputabile ad alcun fattore produttivo e come fonte dell’accumulazione (se reinvestito anziché essere speso in consumi improduttivi) Limiti della teoria classica: la teoria del valore-lavoro Rifiuto da parte della teoria moderna (neoclassica o marginalista) del concetto di sovrappiù: ogni forma di reddito è il corrispettivo dei servizi di uno specifico fattore produttivo. Produzione di Merci a Mezzo di Merci di Piero Sraffa 1° schema: economia di sussistenza 280q grano + 12t ferro → 400q grano 120q grano + 8t ferro → 20t ferro Il sistema può riprodursi solo se i rapporti di scambio sono: 10q grano=1t ferro 2° schema: economia con sovrappiù e salario di sussistenza 280q grano + 12t ferro → 575q grano 120q grano + 8t ferro → 20t ferro Il sistema può reintegrare i mezzi di produzione e ripartire il profitto tra le due industrie ad un saggio uniforme solo se i rapporti di scambio sono: 15q grano=1t ferro; il saggio uniforme di profitto è il 25%. Più in generale i prezzi e il saggio di profitto si ottengono risolvendo il seguente sistema di equazioni: ( Aa pa ( Ab pa "" ( Ak pa + Ba pb + " + + Bb pb + " + "" " + Bk pb + " + K a pk ) (1+ r ) = Apa K b pk ) (1+ r ) = Bpb "" "" "" K k pk ) (1+ r ) = Kpk Merci base e merci non-base 3° schema: economia con sovrappiù e salario al di sopra della sussistenza I prezzi, il saggio di profitto e il saggio di salario si ottengono risolvendo il seguente sistema di equazioni: ( Aa pa ( Ab pa "" ( Ak pa + Ba pb + " + + Bb pb + " + "" " + Bk pb + " + Si deve però distributive. K a pk ) (1+ r ) + Law = Apa K b pk ) (1+ r ) + Lbw = Bpb "" "" "" K k pk ) (1+ r ) + Lk w = Kpk assumere come data una delle due variabili Sia nel 2° sia nel 3° schema si ha: Aa + Ab + ...+ Ak ≤ A; Ba + Bb + ...+ Bk ≤ B; ...; Ka + K b + ...+ K k ≤ K La dipendenza del saggio di profitto dai prezzi: la merce tipo e il modello grano di Ricardo (cenni). Profitto (o salario) come residuo. Abbandono definitivo della teoria. del valore-lavoro Le quantità prodotte sono ‘date’.