il lessico della classicità nella letteratura europea - Apeiron

IL LESSICO DELLA CLASSICITÀ
NELLA LETTERATURA EUROPEA
MODERNA
Libera Università IULM di Milano
Università di Torino
Università di Genova
COMITATO SCIENTIFICO
Coordinatore Mario NEGRI
Antonio ALONI Ermanno BARISONE
Ferruccio BERTINI Pier Luigi CROVETTO
Pierpaolo FORNARO
Patrizia NEROZZI Giovanni PUGLISI
COMITATO DI REDAZIONE
Michela CISLAGHI Nicola FERRAR! Marco GIOVINI
ISTITUTO DELLA
ENCICLOPEDIA
ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI
©
PROPRIETÀ
ARTISTICA
E LETTERARIA
RISERVATA
Copyright 2009 by
Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.a., Roma
Prima edizione, settembre 2009
Fotocomposizione e stampa:
Marchesi Grafiche Editoriali - Via Flaminia, 995-997 - 00189 Roma
La commedia
a cura di
ANTONIO ALONI, FERRUCCIO BERTINI, MARTINA TREU
TOMO
II
La commedia
505
671
509
561
585
517
499
. pago 705
1 - Luciano CANFORA, Un 'eredità controversa
»
»
2 - Mario NEGRI e Martina TREU, Commedia: per una storia della
»
»
parola e del genere
3 - Antonio
,Ai
.
ALONI e Martina TREU, Commedia e comico nella Grecia
antica
.
4 - Antonio
ALONI e Martina TREU, La commedia Antica o Archiia
5 - Martina TREU, La commedia di Mezzo e la commedia Nuova ..
6 - Ferruccio
BERTINI, La commedia
latina di età classica e la sua
jòrtuna
7 - Marco
.
GIOVINI, La commedia latina medievale e umanistica
8 - Margherita
.
LECCO, Commedia nel Medioevo romanzo
.
9 - Pier Luigi CROVETTO e Nicola FERRARI, La Tragicomedia de
Calisto y Melibea: metamorfosi dei modelli classici nel teatro spagnolo dal XVI al XVII secolo
.
»
713
»
731
»
739
»
749
»
775
»
801
»
811
lO - Silvio FERRARI,Marino Darsa (Marin Driié), commediograjò ragu-
seo (1508-1567)
Il - Carmelo
commedie
.
ALBERTI, La commedia in Italia: Commedia dell'Arte e
di corte - Ariosto,
Bibbiena,
Machiavelli,
Ruzante,
Giordano Bruno, Goldoni, Gozzi
.
12 - Nicola FERRARI, Persistenza dei modelli comici antichi nel teatro
francese dal XVI al XX secolo
.
13 - Arturo CATTANEO,I classici nella commedia inglese dal Cinquecento
al Settecento
.
14 - Roberto DE POL, La fòrtuna dei generi classici 'tragedia' e 'commedia' nel teatro tedesco del Seicento
15 - Luca PANIERI, Le jòrtune della commedia in Scandinavia
Riforma a Ludvig Holberg
.
dalla
.
1191
Indice
16 - Nicola FERRARI, Persistenza dei modelli classici della commedia
sulla scena tedesca tra XVIII e XIX secolo
.
pago
861
907
877
847
889
901
823
17 - Pier Luigi CROVETTO e Nicola FERRARI, Persistenza di modelli
»»
».
classici nel teatro spagnolo del XVIII secolo
»
»
18 - Patrizia NERozzI BELLMAN,La varietà dei modelli: aspetti delleredità classica nel teatro inglese del Settecento
.
19 - Giuliana BENDELLI,Echi ellenistici nella commedia inglese di fine
Ottocento
.
20 - Rosanna GIAQUINTA, Commedia e comico nella letteratura russa
21 - Jovita DIKMONIENE, La fortuna del teatro classico in Lituania ..
22 - Imre KORIzs, L'influenza del teatro antico sulla letteratura drammatica ungherese
.
23 - Aleksandar GATALICA,Influsso innegabile, ma da lontano. La presenza dellantico
secoli XX e XXI
nel teatro serbo moderno e in quello più recente dei
.
24 - Alena WILDOVA TOSI, Aristofane e l'avanguardia ceca
25 - Martina TREU, La commedia antica sulla scena moderna
26 - Mario NEGRI e Martina
TREU, Attualizzazione
»
.
» »
1097
1041
1019
1115
961
1045
1057
929
927
945
993
1075
.
»» »
»
del gioco lin-
guistico
.
27 - Nicola FERRARI,Persistenza dei modelli comici antichi nel teatro
musicale europeo
.
28 - Paolo PUPPA, La drammaturgia
contraddizioni
italiana nel Novecento: aporie e
.
29 - Roberto DE POL, I generi classici 'tragedia' e commedia' in Friedrich
Diirrenmatt
.
30 - Sara SONCINI, Riscritture dei classici nella drammaturgia
contemporanea
inglese
.
31 - Nicola FERRARI,Proiezioni tragiche e schermi comici. Persistenza
dei modelli teatrali classici nel cinema
.
32 - S:;ianfranco DE BOSIO, Il teatro del dialogo
.
33 - Lorenzo ARRUGA, Peripezie, agnizioni, travestimenti: la commedia classica nell'opera è una memoria lontana e trasfigurata
34 - Martina TREU, Classici contemporanei
.
.
INDICE DEGLIAUTORIE DELLEOPERE
(a cura di M. Cislaghi,
con la collaborazione
di M. Curnis,
Salvo, N. Ferrari, O. Ponzani, M. Treu, S. Zangrandi)
1192
D. Di
})
1137
5
La commedia di Mezzo e la commedia Nuova
5.1. L'evoluzione della commedia e il nuovo contesto di rifèrimento.
L'era della commedia Antica o Archdia solitamente si considera conclusa con il 388 a.c., anno di rappresentazione del Pluto, ultima commedia di Aristofane: o in alternativa con il 400 a.c., considerando quindi le ultime due commedie di Aristofane come opere ibride, testimonianza di una fase intermedia assimilabile alla cosiddetta 'commedia di
Mezzo' (Mése). Quest'ultima, compresa tra la commedia Antica e la
commedia 'Nuova' (Néa), si può a sua volta delimitare alI'altro estremo cronologico scegliendo una data convenzionale, che a seconda dei
casi può essere il 323 (la morte di Alessandro il Macedone), o il 322/1
a.c., anno in cui l'ateniese Menandro, esponente della commedia Nuova, ottiene la sua prima vittoria con una commedia perduta intitolata
Ira (Orgé).
Gran parte della produzione del periodo purtroppo è stata inghiottita dalI'oblio - se si eccettuano alcune commedie di Menandro e frammenti di vari autori - e i testi che rimangono sono spesso talmente brevi o mutili da non permetterci di ricostruirne il contesto, di essere integrati con altri o di ipotizzare un seguito o un antefatto. Da quel che sappiamo inoltre la commedia di Mezzo e la Nuova, a differenza dell'Archdia, come vedremo non hanno più la paràbasi e non prevedono spazi
istituzionali dove il poeta ci fornisca informazioni utili e commenti personali su di sé, sui propri rivali o persone reali del suo tempo, dato che
le nuove forme di comico bandiscono sempre più le contaminazioni e
interferenze tra realtà e finzione.
Non è facile nemmeno ricostruire la biografia dei commediografi, in
mancanza di documenti ufficiali e dati certi, visto che quelli riportati da
autori tardi sono spesso palesemente falsi o quanto meno sospetti: soprattutto figure esemplari come Menandro alimentano una vasta serie
di aneddoti leggendari - come si è detto sopra - e un intero filone di
letteratura agiografica. A parte Menandro, che resta un Casoa sé, per tutti gli autori di cui resta poco o nulla per tradizione diretta è ancora una
561
volta necessaria un'estrema prudenza nel valutare le notizie, specie considerando che le scelte dei testimoni giunti fino a noi sono guidate da
interessi spesso eruditi o grammaticali, ma non sempre chiari e coerenti, che influiscono non poco sulla selezione e sulla tradizione dei testi in
nostro possesso.
Per fortuna tra le fonti importanti su questo periodo, soprattutto
per la commedia Nuova, vi sono diversi autori di epoca successiva, fra
cui i commediografi latini di cui si dirà nel prossimo contributo. Alla
commedia di Mezzo forse risalgono i modelli di alcune opere di Plauto, in particolare il Persiano, e forse anche l'Anfitrione e i Menecmi, anche se i rapporti tra autori sono maggiormente attestati per la commedia Nuova: i testi e i frammenti conservati del teatro romano - soprattutto Plauto e Terenzio, con i relativi commenti - sono per noi una risorsa molto preziosa sulle commedie perdute, specialmente quando la
fonte è nota e 1'autore si rifà dichiaratamente e direttamente a originali greci. Possiamo d'altra parte anticipare che in ogni caso, anche quando la derivazione è esplicita, i drammi latini non sono mai semplici traduzioni degli originali greci, ma rielaborazioni personali e autonome,
spesso ricche di variazioni e modifiche, opera di autori che vivono in
contesti affatto differenti rispetto ad Atene e si rivolgono a un diverso
pubblico. In un caso fortunato è possibile confrontare direttamente il
modello e il rifacimento, rispettivamente il Dìs exapat6n di Menandro
e le Bacchidi di Plauto, e si può notil-re come il secondo autore sviluppi creativamente la trama e apporti notevoli contributi nel trattamento dei personaggi.
Altre fonti dirette e indirette forniscono informazioni soprattutto sul
numero dei drammi rappresentati in origine o conservati fino a una certa epoca, più nomi di autori e argomenti delle commedie. In termini
quantitativi la produzione originaria dell'intero periodo doveva essere
vastissima: per la sola commedia di Mezzo la testimonianza di Ateneo
già citata sopra indica un numero complessivo di ottocento titoli, mentre una stima per difetto dell'anonimo Sulla Commedia parla di sessantasette autori e seicentosette opere. Come per la commedia Antica, anche per la Mése ci è tramandato un canone di eccellenza con tre nomi,
a cui possiamo associare il numero di commedie attestate dalle fonti:
Antifane, nato alla fine del V secolo e attivo fino alla seconda metà del
IV; secondo il lessico Suda scrisse duecentottanta o perfino trecentosessantacinque commedie (noi conosciamo centotrentaquattro titoli). Gli
altri due autori della triade sono il più giovane Alessi di Turi - duecentocinquantaquattro
commedie secondo Suda (a noi sono noti centotrenta titoli) - e Anassandride (nativo di Camiro a Rodi, o secondo altri di Colofone), attivo fino a poco dopo il 350 a.c. e autore a quanto
sappiamo di sessantacinque drammi.
562
Per la commedia Nuova, allo stesso modo, è tradizionalmente previsto un canone di autori, ciascuno dei quali scrive circa un centinaio di
commedie: l'ateniese Menandro (342 ca.-290 a.C), di cui si parlerà più
diffusamentein seguito, porta in scena più di cento drammi (conosciamo novantasette titoli) e riporta in tutto otto vittorie a partire dal 322/1.
Più vecchi di vent'anni sono gli altri due autori, non ateniesi di nascita,
ma attivi perlo più ad Atene: Filemone di Siracusa - o di Soli in Cilicia
secondo Strabone - (360/50-264/3 a.C), diviene cittadino ateniese nel
307, è premiato per la prima volta alle Dionisie nel 327 e almeno tre
volte alle Lenee: viene spesso preferito al rivale Menandro nei concorsi,
e anche nella tradizione successiva diverse sue opere servono. verisimilmente da modello a Plauto (il Mercator, il Trinummus e forse anche la
Mostellaria); Diogene di Sinope sul Mar Nero (360/350 - inizio III secolo a.C), anche lui attivo ad Atene dal 340 circa, è autore di novantasette commedie, ma ottiene solo tre vittorie. Il più giovane tra gli autori a noi noti è Apollodoro di Caristo (in Eubea), che forse riceve la cittadinanza ateniese, compone quarantasette opere e risulta vincitore otto volte (sicuramente vince alle Dionisie verso il 280).
Simili dati, come il numero di commedie, la provenienza degli autori e il loro rapporto con Atene, acquistano maggior valore se interpretati alla luce del loro contesto, storico e culturale, che è sicuramente
molto cambiato rispetto al precedente. In primo luogo si va ampliando
notevolmente il quadro geografico di riferimento, e il pubblico potenziale cui si rivolgono autori e attori teatrali: non più la sola città di Atene, l'Attica o la Grecia, ma l'intero Mediterraneo. Il modello architeF
tonico del teatro greco si impone sempre più lontano da Atene, e ogni
città che si rispetti costruisce almeno un edificio adatto a rappresentazioni, come dimostrano le centinaia di siti a oggi attestati nei Paesi che
si affacciano sul Mediterraneo (perlo meno superiore a cinquecento, come dimostrano vari studi recenti, dal censimento Memoria delfuturo. I
teatri antichi greci e romani - un progetto di Maurizio Scaparro per l'Esposizione Universale di Siviglia del 1992 - al catalogo multimediale
realizzato per il progetto Mediteatri.pa, per cui si veda il volume Archeologia, turismo e spettacolo. Strumenti per la valorizzazione dei teatri
antichi sul mercato del turismo culturale, a cura di Livia Malcangio, Martina Treu e Michele Trimarchi, Quaderni Formez, n. 56, Roma, 2007).
In questo nuovo contesto, oltre all' edificio in sé, è il teatro nell' accezione più ampia - tecniche e maschere, testi e costumi, coreografie e
musiche - che si può considerare segno distintivo di una cultura, o perfino patrimonio dell'umanità, come diremmo oggi, da Oriente a Occidente: lo testimoniano i testi stessi, sempre meno legati alla realtà locale di una città o di una regione - e più adatti a un pubblico cosmopolita e internazionale - ma anche i resti archeologici di vario genere, dalle
563
maschere votive d'ispirazione teatrale - come quelle ritrovate da Bernabò Brea e conservate a Lipari - ai vasi dipinti diffusi ovunque - specialmente in Italia meridionale - che nella scelta e trattamento dei soggetti e nelle soluzioni iconografìche adottate rivelano in vario modo l'influsso della tragedia, della commedia o della farsa fliacica.
Il periodo storico tra il IV secolo e il III secolo è anche contraddistinto da una forte instabilità politica, da una notevole mobilità sociale e vivacità culturale e da grandi movimenti filosofici e religiosi. Si tratta di un contesto in continua espansione, sempre più policentrico, plurilingue e multietnico: nuovi centri di cultura sorgono in molte parti
del Mediterraneo, e anche se il greco continua a essere diffuso, altre lingue si intersecano e si mescolano nell'uso comune. Nei mutati equilibri di alleanze e assetti di potere, che assumono una spiccata dimensione internazionale, si affaccia una nuova realtà, la Macedonia, che
progressivamente si afferma non solo in campo militare, ma anche culturale. Non a caso, già sul finire del V secolo, diverse figure di primo
piano della cultura teatrale lasciano Atene accogliendo l'invito del re
Archelao, mecenate di poeti e intellettuali, e si trasferiscono alla sua
corte di Pella.
Un simile esilio volontario in Macedonia accomuna per esempio Euripide, a fine carriera, e Agatone, il tragediografo ateniese sopra ricordato (di cui abbiamo notizia nelle Tèsmojòriazùse e Rane di Aristofane,
nella Poetica aristotelica, nel Protagora e nel Simposio platonici). In seguito col IV secolo inizia il periodo d'oro della monarchia macedone,
sotto la guida del re Filippo e del figlio Alessandro, che varcherà i confini del mondo conosciuto ed estenderà il suo dominio su un vastissimo
territorio. Alla morte di Alessandro Magno, che segna convenzionalmente l'inizio dell'età ellenistica (322 a.c.), l'eredità del grande conquistatore verrà spartita tra i suoi generali (diàdochi) dando vita a diversi
regni indipendenti in Grecia, in Asia Minore e in Egitto.
In questo nuovo equilibrio internazionale si gioca anche il destino
delle città greche, dapprima in lotta tra loro per l'egemonia, poi per l'indipendenza e l'autonomia, infine sottoposte a forme di controllo dall'esterno, protettorati o domini veri e propri. Anche Atene è progressivamente relegata a città di provincia, fuori dai giochi di potere: eppure
ancora per qualche tempo conserva i benefici legati al suo antico status,
e il suo prestigio culturale viene bene o male riconosciuto all'estero, anche grazie alla sua produzione teatrale. Il patrimonio di opere tragiche e
comiche attestato è rivelatore, perché da un lato è spropositato rispetto
alle dimensioni della città in sé - sia per numero di cittadini e spettatori, sia per peso politico nel nuovo contesto di riferimento - dall' altro è
commisurato a un pubblico nuovo e più ampio, a livello internazionale,
nonché al ruolo simbolico che evidentemente la città greca ancora con564
serva come centro di produzione di una merce pregiata d'esportazione,
le opere teatrali destinate al mercato 'globale' del Mediterraneo.
La tradizione teatrale è parte integrante del glorioso passato della
città - motivo di vanto e orgoglio, ma anche fonte di guadagno - come componente del suo «capitale culturale» secondo la definizione di
Pierre Bourdieu. In una prospettiva storica globale, tutto questo si traduce in una vera e propria consacrazione per Atene, che rivendica il merito di aver inventato il teatro, mette il copyright sulla sua invenzione e
adotta un 'marchio di fabbrica' che distingue i suoi prodotti di larga
diffusione: un' operazione di marketing che oggi si potrebbe chiamare
'Made in Athens'.
Proprio in quest' epoca, non a caso, il teatro viel1e finalmente valorizzato e protetto da una legislatura apposita, come patrimonio della
città: nella seconda metà del IV secolo, verso il 330 a.c., il magistrato ateniese Licurgo stabilisce di depositare e conservare negli archivi
cittadini il testo ufficiale delle tragedie, a cominciare dai drammi di
Eschilo, Sofocle ed Euripide, ormai assurti a glorie cittadine cui si dedicano ritratti, statue e busti. Su questi testi ufficiali si baseranno le riprese dei drammi in epoca successiva. Una conferma indiretta di tutto questo, e del nuovo status dei classici 'da esportazione' è una notizia riportata da Galeno, nel commento alle Epidemie, secondo cui in
età ellenistica il re d'Egitto Tolomeo Evergete chiederà in prestito ad
Atene i testi teatrali originali, conservati nell' archivio cittadino, per
fame una copIa da conservare nella biblioteca di Alessandria; il destinatario dei testi, dopo averli ricevuti dietro pagamento di cauzione, li tratterrà rimandando in Grecia le copie. Così, tempo dopo, gli
originali finiranno bruciati nel rogo della biblioteca egiziana, ma prima serviranno da base per l'edizione critica di Aristofane di Bisanzio
(257-180 a.c.).
In una prospettiva generale, d'altra parte, il decreto di Licurgo si può
considerare una tappa essenziale di un processo già avviato da tempo,
che ha varie ripercussioni ad ampio raggio di ordine pratico e ideologico: innanzi tutto risponde alI'esigenza immediata di mettere al riparo i
testi da falsificazioni e manipolazioni che in teatro sono alI'ordine del
giorno, come ancora oggi accade; ma al tempo stesso il provvedimento
di conservazione sancisce, riconosce e incoraggia, di fatto, la consuetudine che si va sempre più affermando - prima ad Atene e poi altrovedi riproporre vecchi drammi di successo che vengono sempre più frequentemente riallestiti e ammessi in concorso, accanto a opere nuove e
inedite. Così alcuni testi - a partire da quelli della triade tragica ormai
consacrata di Eschilo, Sofocle ed Euripide - divengono ufficialmente
'classici' e protetti dalle istituzioni, e anche per questo si diffondono sempre più in tutto il Mediterraneo.
565
Vale la pena però di sottolineare anche l'altro lato della medaglia: le
norme a tutela dei testi fissano per il futuro modelli di riferimento del
passato, e così confermano e avvalorano - se non perfino accelerano una selezione già in atto. In altre parole si favorisce sì la conservazione
dei drammi assurti a 'classici', ma in questo modo si determina anche la
sopravvivenza di alcuni testi, a scapito di altri, a seconda che vengano
inclusi o meno nei nuovi 'canoni'. Le ripercussioni si avvertono senza
dubbio anche sul fronte della produzione teatrale dell' epoca, cui viene
conteso e strappato spazio - alla prima rappresentazione in concorso, e
poi in tournée - proprio da quei drammi antichi considerati' di serie A'
e di sicuro successo, secondo i flussi del mercato e i gusti del pubblico.
Da un lato dunque buona parte dei testi nuovi cercano comprensibilmente di rifarsi ai classici, per imitarne la formula di successo, ma dall'altro lato rispetto a quelli sono meno tutelati e garantiti - non consacrati dal marchio del 'classico' - e dunque condannati a una vita effimera e un rapido oblio.
Nel quadro storico così delineato possiamo situare ora la produzione teatrale di questo periodo, concentrandoci sulle opere rimaste e quindi ancora una volta su Atené, la cui produzione è non solo meglio attestata, ma detiene un primato simbolico ed effed:ivo anche nella nuova
prospettiva internazionale sopra descritta. A livello quantitativo, come
si è visto, le opere teatrali tragiche e comiche continuano a essere scritte e rappresentate a ritmo cospicuo, ben superiore alle esigenze della sola Atene, in proporzione al nuovo mercato internazionale. Tuttavia va
rilevato che a livello sociale e politico il teatro ateniese non sembra rivestire più l'importanza che aveva nel V secolo, nell' epoca di Eschilo o
nel periodo d'oro della commedia Antica, ma diventa progressivamente una forma di svago e intrattenimento e perde molte delle sue funzioni, a partire da quelle istituzionali e civili.
Nella fase aurea della democrazia, quando la cittadinanza ateniese si
estende anche a fasce deboli della popolazione, le rappresentazioni sono di fatto una parte integrante della vita comune, un diritto-dovere cui
tutti sono tenuti a partecipare: al tempo stesso avvenimento 'politico',
cerimonia pubblica, rito comunitario e fattore di aggregazione, oltre che
strumento di alleanze e creazione di consenso, specchio di giochi di potere, segno di ascesa o declino di gruppi o famiglie, arma di attacco o di
difesa da parte di schieramenti e fazioni.
Col tempo però la democrazia ateniese subisce sempre maggiori aggressioni, dall'interno e dall'esterno, attraversa gravi crisi e finisce col cedere il campo a vari governi a partecipazione ristretta, quando non a tirannidi e protettorati. L'accesso alla cittadinanza viene limitato da una serie di decreti
che di -1-fatto escludono
buona
parte
degli
abitanti
dal
godi~ . ,_ •••
1
l"
'1.1
•1 /
'1
• l'
1
1
•
mento del dlrIttl CIVIlI.V lene aDollto 11 tlJeoruwn, 11 SUSSIGlO
statale cne In
'r
566
T"
età classica garantiva l'accesso a teatro anche alle classi più povere. Questi
fattori incidono notevolmente sulla composizione del pubblico teatrale,
che si identifica sempre più con un ceto medio di commercianti, artigiani, piccoli proprietari terrieri. Questa classe sociale, paragonabile alla moderna 'borghesia', rappresenta il destinatario principale delle commedie di
questo periodo, che ne rispecchiano difatti speranze, aspirazioni e paure.
Sempre riguardo al nuovo quadro storico, inoltre, man mano che
Atene viene ridotta a città di provincia, negli equilibri internazionali,
cambiano evidentemente anche i rapporti simbolici tra la città e il resto
del mondo, come testimoniano le commedie rimaste: le storie di Aristofane, anche le più fantastiche, in fondo sono sempre riconducibili più
o meno direttamente ad Atene, principale contesto di riferimento del
suo pubblico, e comunque si cerchi di sfuggire alla fine ci si ritrova sempre lì. Semmai l'unico polo simbolico 'positivo' rispetto alla città è 'fuori', la campagna attica attorno ad Atene: meta idealizzata e agognataora perduta e devastata dalla guerra, sogno di pace, abbondanza e autarchia - che nelle commedie vediamo quasi sempre da lontano, con gli
occhi del contadino attico che si trova rinchiuso nella città assediata e
vorrebbe disperatamente tornare a casa. La commedia N uova, invece,
ricorre ad ambientazioni molto varie in diversi luoghi del Mediterraneo,
che compongono il contesto di riferimento del pubblico; e così anche
la campagna viene dipinta in modo notevolmente diverso a seconda degli autori, o dei personaggi, per esempio nel Misantropo di Menandro o
nei frammenti di Filemone (n. 74, 100, 105): ora con i tratti dell'isolamento e della misantropia, della fatica fisica e del duro lavoro, ora con
quelli idealizzati della tranquillità e della pace, contrapposte alla vita frenetica e alienante della palis.
5.2. Tragediae commedia a conftonto. L'intera produzione della commedia di Mezzo e gran parre della commedia Nuova devono essere purtroppo ricostruite per congetture, poiché solo di Menandro conserviamo testi consistenti. Si può tuttavia ipotizzare con una certa sicurezza
un' evoluzione in atto, verso nuovi modelli di commedia, sulla base di
frammenti, titoli e notizie indirette, e su fonti letterarie come il trattato tardo-antico di Platonio intitolato I diversi tipi di commedia, che individua alcuni nodi focali nel passaggio dalla commedia Antica a quella di Mezzo, a cominciare dal mutato trattamento del coro. Sotto questo aspetto, in particolare, gli ultimi drammi conservati di Aristofane e
i primi di Menandro rappresentano in qualche modo il punto di partenza e di arrivo per la commedia di Mezzo, rispettivamente all'uno e
all'altro capo di quel percorso che cerchiamo ora di delineare.
Le ultime due commedie di Aristofane di IV secolo, come si è anticipato sopra, si possono far rientrare in uha fase intermedia tra com567
media Antica e commedia di Mezzo per le caratteristiche ricordate, a
partire dalla rapida decadenza del coro e dalla perdita delle sue funzioni principali: mentre la paràbasi scompare del tutto, e come ultimo
canto strutturato e importante sopravvive la sola pàrodos, il coro si limita progressivamente a interventi sempre più ridotti e infine a semplici intermezzi cantati, non più scritti, ma segnalati nel testo dalla sigla choroù, vale a dire «(canto) del coro». Lo stesso accade per tutti i
canti corali nei testi conservati di Menandro, che sotto questo aspetto
rappresentano bene l'esito dell' evoluzione compiuta: il coro non interviene più nell' azione e non ha rapporti coi personaggi, ma si limita
a intervallare le scene del dramma con canti segnalati con la solita sigla. Questo favorisce di fatto la divisione delle opere teatrali in atti, che
resterà tale anche in epoca moderna, quando il coro sarà del tutto scomparso dalla scena.
Il citato trattato di Platonio individua come elementi centrali dell' evoluzione - oltre alla perdita d'importanza del coro - anche la progressiva rinuncia agli attacchi personali tipici dell'Archdia e la trasformazione delle originarie caricature personalizzate - perlopiù ricalcate sui tratti fisici o morali della vittima - in maschere che non raffigurano più persone reali, individui singoli· o categorie, come accadeva in Aristofane,
bensì 'tipi' umani: di volta in volta denotati da elementi generici, come
l'età o il sesso o la classe sociale, e distinti tra loro per caratteristiche fisiche o morali, vizi o virtù. Nel valutare questa ipotesi va perlomeno ricordato come queste tendenze siano peraltro riscontrabili già nelle commedie di Aristofane, dove i feroci attacchi ad personam dei primi tempi
lasciano progressivamente il posto a forme di biasimo per amonomasia,
che non si fermano al singolo individuo, ma prendono di mira in realtà un'intera categoria o classe sociale di riferimento: i ricchi disonesti, i
profittatori, i ciarlatani e così via. E così le ultime commedie aristofanee
appaiono contraddistinte da una critica sociale più blanda e moralistica, concentrata su vizi diffusi e generalizzati, o estesi a molti tipi e gruppi di individui diversi.
La commedia di Mezzo, a giudicare dai titoli e dai frammenti rimasti, sembra proseguire su questa strada ed eleggere a vittime predilette le
categorie in vista della vita sociale e culturale, più ancora che della politica: anche se non mancano attacchi contro regnanti e potenti (per
esempio Filippo di Macedonia, padre di Alessandro), o contro tiranni e
despoti assoluti come Dionisio di Siracusa (a quanto pare sbeffeggiato
nell' omonima commedia di Eubulo e nella commedia Homoioi di Efippo), tra i titoli e i frammenti di Antifane e di Alessi si trova...'10molti riferimenti alla poesia e al teatro, ai dialoghi platonici (Fedro), oltre che a
mestieri meno nobili come il cuoco o il parassita. In sintesi le armi dei
comici, per quanto meno acuminate rispetto al passato, sembrano col568
pire artisti e musicisti, poeti e intellettuali, medici, filosofi e retori, o vittime illustri come i seguaci di Platone e Protagora, o l'oratore Demostene. Simili bersagli, che diventano via via personaggi tipici, si ritrovano anche nella commedia Nuova: di Filemone ci restano attacchi contro medici (fr. 78) e filosofi, e il titolo di una commedia perduta, i Filosofi, dove comparivano Zenone e Cratete.
Per noi tuttavia rimane arduo ipotizzare come potessero essere caratterizzati questi personaggi, se attraverso maschere personalizzate o generiche, con costumi appositi o ancora dal punto di vista fisico o linguistico. Ma in linea generale va ricordato che il costume comico va progressivamente mutando, in direzione di un maggior realismo, come del
resto tutti gli elementi della commedia: le imbottiture e il fallo posticcio - tipici dell'Archdia -lasciano il posto a tunica e mantello, più consoni all' abbigliamento quotidiano dell' epoca. Su questa stessa linea si
pongono le informazioni sulle maschere teatrali dell' epoca, ricostruibili oggi sulla base di varie fonti: artistiche e archeologiche (soprattutto
pitture di vasi, mosaici, statuette e maschere fittili) o letterarie (in particolare la rassegna di maschere di Giulio Polluce, del II secolo d.C., basata su un modello ellenistico). Del resto già sul finire del V secolo, e
più ancora tra il 380 e il 350 a.c., le maschere della commedia Antica
- eventualmente personalizzate a misura della vittima, ma comunque
dai tratti esasperati e inverosimili - tendono ad assumere caratterizzazioni più rigide e prefissate, realistiche e generiche al tempo stesso. Tant'è che vengono presto classificate in un numero limitato di tipi umani
corrispondenti, definiti essenzialmente per età, sesso e classe sociale: per
esempio il vecchio e il giovane, il cuoco e il parassita, l'innamorato e la
sua ragazza (solitamente una cortigiana, etèra o prostituta), illenòne (ossia tenutario del bordello), la vecchia mezzana e il servo, che diventa
sempre più protagonista delle commedie greche e poi latine.
Se dunque la tesi sopra riportata di Platonio sembra confermare la
sua validità, almeno finora, vale la pena di verificare anche un' altra componente citata nel trattato, la parodia mitologica: si tratta a dire il vero
di un elemento già presente nella commedia Antica, a quanto pare ricorrente in diverse opere di inizio IV secolo, tra cui le ultime due attestate di Aristofane, rappresentate postume e perdute (i titoli Cocalo ed
Eolosiconefanno infatti esplicito riferimento a personaggi del mito). Anche altri autori di quel periodo sembrano trarre ispirazione dalla parodia del mit9, diretta o attraverso la mediazione tragica, in vario modo:
a volte prendono spunto da episodi tipici e ricorrenti, come la nascita
di un dio (cui sono dedicate inolte commedie di Filisco, e la Nascita di
Atena di Ermippo), o da personaggi celebri che danno il nome a commedie perdute di Filemone (Mirmidoni e Palamede) e Difilo (Danaidi,
Eracle, Lemnie, Peliadi, Teseo).
569
Anche nei casi citati, però, non abbiamo elementi sufficienti a determinare che ruolo svolgessero i personaggi del titolo, se e come fossero coinvolti nella parodia, e neppure se si trattasse dei veri eroi del mito o piuttosto di soprannomi dati a persone comuni o caratteri fittizi:
per esempio seIT?-brache venisse chiamato 'Eracle' per antonomasia il vorace protagonista di una commedia di Difilo (che per inciso spicca tra
gli autori della commedia Nuova per un'altra presenza ricorrente derivata dalla commedia Antica e ripresa anche in seguito: i piaceri della tavola, le gioie del cibo e del vino, le fantasmagorie gastronomiche che accomunano, come una linea di continuità, i finali delle commedie aristofanee e diverse maschere comiche della commedia di Mezzo e Nuova, come il cuoco o il parassita).
Dalla seconda metà del IV secolo, tuttavia, i titoli paratragici appaiono diminuire nel giro di qualche decennio, segno che l'interesse per
il mito tende a scemare e cedere il posto a vicende ispirate alla realtà quotidiana e temi più vicini al pubblico. Sotto questo aspetto può risultare
utile come termine di confronto valutare l'evoluzione di altri generi, in
questo stesso periodo: in particolare riguardo al rapporto col mito, elemento costitutivo della tragedia classica che fornisce alla commedia preziosi spunti di parodia, a livello di forma e contenuto. Si è più volte rilevato come tragedia e commedia da sempre condividano spazi, occasioni e pubblico, e dunque le frequenti intersezioni e contaminazioni di
per sé non stupiscono; ma simili fenomeni si accentuano in modo tanto vistoso e accentuato, col passare del tempo, che perfino le caratteristiche distintive dei due generi sembrano confondersi e influenzarsi reciprocamente.
La progressiva presa di distanza dai miti classici si fa sentire non a caso anche in autori tragici del periodo, che attingono a sempre nuove risorse e percorrono strade inusuali, inclusa quella delle trame narrative
d'invenzione. In questo senso è preziosa la testimonianza di Aristotele
che nella Poetica (9. 1451 b21) tra i sintomi delle nuove tendenze e sperimentazioni, inaugurate nel IV secolo, cita in particolare un' opera del
già menzionato Agatone - intitolata Antheus o Anthos ('fiore') - che
avrebbe una trama non ricavata dal mito, bensì inventata dall'autore. Su
questa linea si dovrebbero porre anche altre opere, che a giudicare dalle
fonti presentano un' estrema ricchezza di temi e una varietà contenutistica sconosciuta in passato, che talvolta sconfina nell' esuberanza.
Una tendenza simile è peraltro confermata anche in altri campi, per
esempio dalle notizie sulle parti musicali delle opere teatrali: soprattutto i giovani autori, musicisti e compositori si distinguono per lo sperimentalismo musicale, l'arditezza delle soluzioni metriche e i virtuosismi
. ~Dl1
canorI
H\...Ue
~~r+-; r!D~l; ~H~_;. ~n~~_; nl~:~:
U UL51.1 a.LLVl.l, '{ UL.:>l1U.llll111 -
1-'a.l
~L~
..J:~._~~
L.I1e U! VellldllU
1 ~----LUI Lt::!llpU
veri e propri 'divi' strapagati, e richiamano folle oceaniche alle loro esi570
bizioni in tournée nel Mediterraneo - comprensibilmente si specializzano sempre più nell' esecuzione di pezzi di bravura, come parti liriche difficili, 'scene madri', monologhi o pezzi musicali a solo tratti dalle tragedie, spesso raccolti in antologie destinate a sopravvivere nel tempo.
Questa tendenza a valorizzare gli attori solisti e i pezzi di bravura va
di pari passo con il progressivo indebolimento del coro, che pesa sempre
meno nell' economia drammatica di tragedia e commedia. Nelle tragedie
di Agatone, a detta dello stesso Aristotele, i canti corali sono ormai semplici intermezzi slegati dall'azione, come accade anche nella commedia.
La tragedia, la musica e la pratica scenica di IV secolo, pur con le limitate informazioni che abbiamo, contribuiscono dunque in vario modo a illuminare diversi aspetti della commedia di Mezzo ed elevarla dal rango
di semplice fase intermedia, tra la commedia Antica e la Nuova, restituendole il ruolo che le spetta in un quadro complesso e multiforme.
Per questa strada possiamo anche ipotizzare che la contaminazione
tra comico e tragico si spinga ai massimi livelli e dia luogo a nuove forme di sperimentazione, dalla comparsa di eroi tragici in versione comica, al riutilizzo nelle commedie di moduli e stilemi narrativi di generi 'alti', dal rovesciamento delle trame tragiche alla libera mescolanza
di fatti ed episodi mitici, anche di contesti diversi, con personaggi storici o semileggendari di epoca e provenienza disparata. Una simile tendenza alla commistione sembra confermata anche dalle attestazioni
contemporanee del termine komoidotragoidìa, e da forme di tipo ibrido come l'ilarotragedia presente fino agli inizi del secolo III a.c. in
particolare nei drammi dai titoli euripidei del siracusano Rintone (già
ricordato da Pier Paolo Fornaro nel contributo del I tomo dedicato alla tragedia greca).
Ancora sui rapporti tra tragedia e commedia vale la pena di ricordare infine che l'ultima produzione di Euripide costituisce un'importante pietra di paragone in una doppia direzione: sia come termine di confronto per la commedia di Mezzo e Nuova - come già per Aristofanesia come punto di partenza per le nuove strade percorse dalla tragedia,
che si arricchisce progressivamente di elementi nuovi, avventurosi e romanzeschi, o perfino comici, come si può ricavare dalle testimonianze
sui tragici di IV secolo. Molti tratti costitutivi della commedia a intreccio, in particolare, sono riconoscibili già in note tragedie di V secolo come l'Edipo Re o l'Elettra di Sofocle e soprattutto le tragedie tarde di Euripide: tre elementi in particolare - chiamati 'riconoscimento', 'rovesciamento' e 'intrigo' (in greco anagnorisis, peripéteia, mechdnema) - sono individuati come cardini dell' azione tragica proprio da Aristotele che analizza sì testi di età classica, ma scrive un secolo dopo - e sono impiegati in modo sempre più massiccio anche nella commedia, almeno a
partire dal IV secolo.
571
Sulla base di questi e altri elementi è possibile riconoscere uno schema ricorrente nelle tragedie in questione - mutuato poi dalla commedia a intreccio - nel quale la vera identità di qualcuno, per varie circostanze, è ignorata da uno o più personaggi; questo dislivello d'informazione è alla base di un intrigo più o meno complesso, motore principale dell'azione, cui si uniscono o si contrappongono eventualmente
altre macchinazioni, fino a provocare spesso equivoci a catena. Questo
modello, fra i testi conservati, accomuna in particolare diverse tragedie
tarde di Euripide, che per di più prevedono una ambientazione esotica, solitamente legata a un avventuroso viaggio per mare e all' approdo
dei protagonisti in paesi lontani (per esempio l'Egitto nell'Elena 0)1
mitico 'Paese dei Tauri' nell'Ifigenia omonima): anche questi elementi
- il viaggio e 1'ambientazione esotica - sono naturalmente destinati a
larga fortuna, non solo in tragedie e commedie, ma anche in altre forme di letteratura antica fra cui il cosiddetto 'romanzo greco' - quale
Dafni e Cloe di Longo Sofista - che confluirà a sua volta nella tradizione moderna del cosiddetto 'romanzo di appendice', nei racconti di
viaggio, amore e avventura.
La trama-tipo, anche se variamente declinata nei vari generi, prevede dunque una serie di peripezie favorite dall'ignoranza dei personaggi,
che spesso si danno da fare inutilmente per contrastare il destino, o sortiscono effetti opposti a quelli sperati, fino a un'inattesa quanto imprevedibile risoluzione. Nel caso della commedia il riconoscimento reciproco tra i personaggi o la scoperta della loro reale identità, fino a quel
momento sconosciuta talvolta anche a loro stessi, porta non solo a chiarire gli equivoci, ma per di più ad altri esiti, incluso un radicale rovesciamento della situazione iniziale: trovatelli si rivelano di nobile origine, i nemici si scoprono parenti, gli inganni hanno successo - se sono
opera dei 'buoni', ossia dei protagonisti - oppure vengono sventati, quando sono architettati dai cattivi. Il lieto fine è assicurato per tutti - talvolta perfino nella tragedia - tranne casomai per un personaggio negativo che funge da antagonista o vilain: può essere di volta in volta un
corteggiato re insistente e importuno - come nell'Elena e nell'Ifigenia sopracitate - un personaggio violento o malvagio o il capro espiatorio di
turno, del resto non raro anche nella commedia di Aristofane.
Un caso a parte, ma molto interessante, è infine la tragedia Reso (già
citata da Pierpaolo Fornaro nel contributo del I tomo), che mette in
scena un celebre episodio mitico narrato nel X canto dell'lliade: l'incursione notturna di Ulisse e Diomede in campo troiano, di cui fanno
le spese la spia Dolone e il re tracio Reso, depredato dei suoi cavalli e
ucciso nel sonno. La tragedia è tradizionalmente inclusa nel corpus euripideo, e probabilmente da attribuire a un autore di IV secolo, a giudicare non solo da elementi linguistici e stilistici tipici dell' epoca, ma
i
572
anche dal trattamento del mito che dà vita a una trama singolare e arricchita da tratti avventurosi, romanzeschi e patetici, in conformità al
gusto del tempo.
5.3. Menandro e la commedia a intreccio. Tra gli autori della commedia Nuova l'unico che permetta- e dunque richieda - un'analisi più
approfondita è ovviamente Menandro: il meglio rappresentato, come
si è detto, ma non necessariamente il più rappresentativo del suo genere, per una serie di motivi. Innanzitutto tra tanti comll(ediografì ateniesi di adozione, ma tutti stranieri di nasc~ta e diversi per provenienza, Menandro è l'unico nato ad Atene, di buona famiglia e bene inserito nella società del tempo: è 'coscritto' del filosofo Epicuro - nati nello stesso anno, fanno insieme il servizio militare come efebi - e buon
amico di un altro filosofo di scuola aristotelica, Demetrio Falereo, che
regge il governo della città per un decennio (317-307). Forse Menandro condivide con Demetrio anche lo stesso maestro, Teofrasto: filosofo aristotelico e autore di un trattato rimasto celebre - intitolato Caratteri - che individua e descrive dettagliatamente diversi tipi umani,
alcuni dei quali comuni alle commedie menandree; anche in mancanza di testimonianze certe, e senza ipotizzare rapporti diretti, l'opera di
Teofrasto e quella del commediografo perlomeno testimoniano un interesse condiviso - tipico dell' epoca - per quell' attento studio dei comportamenti e quella minuziosa composizione di ritratti che ha reso noto Menandro tra i posteri.
Quest'ultima caratteristica, l'indiscussa fama postuma, è un altro elemento distintivo di Menandro che vale la pena di confrontare con la sorte che sembra colpirlo finché è in vita: se la sua prima vittoria attestata
alle Lenee è con l'Ira (322/1 a.c.), e forse l'esordio è da anticipare al
325, a fronte di almeno trent'anni di attività e un centinaio di commedie Menandro può vantare solo otto vittorie. Un numero tanto esiguo,
in una così lunga carriera, si addice più a un autore marginale, non di
successo, che a un maestro indiscusso del genere. Per di più si sa che altri rivali, come Filemone, hanno regolarmente la meglio su Menandro
nei concorsi e sono spesso oggetto di ripresa e rivisitazione da parte di
autori latini come Plauto. Il commediografo ateniese si prende semmai
una rivincita postuma, visto che risulta vincitore, per esempio, nei confronti letterari e nelle gare di finzione istituite dai posteri, come il duello con Aristofane immaginato da Plutarco.
Paradossalmente si potrebbe affermare che il commediografo appaia
poco popolare tra i contemporanei, ma primo in ordine di gradimento
tra i posteri, proprio per quei tratti peculiari che lo contrappongono ad
Aristofane, come l'umorismo garbato e raffinato, rispetto alla comicità
più scurrile dell'Archtiia, o la descrizione complessa e sottile di innamo573
rati dai tratti delicati e romantici, quasi effeminati, priva di quella virilità aggressiva e violenta degli eroi comici aristofanei. Altri tratti inediti
rispetto all'illustre predecessore sono una costante ed evidente tensione
verso il realismo e la verisimiglianza, che accomuna ambientazioni, personaggi e trame, e di fatto pone Menandro agli antipodi rispetto al codice simbolico e non realistico di Aristofane.
Rispetto ai tratti estremi e paradossali tipici di quest'ultimo - con i
suoi protagonisti egocentrici e maniacali, le sue trame allegoriche e surreali, la logica assurda e ricca di contraddizioni - i caratteri e le vicende
stesse dei protagonisti menandrei (dai giovani innamorati ai padri di famiglia) sembrano molto più vicini alla realtà quotidiana: la loro vita tranquilla di volta in volta viene improvvisamente turbata da un destino avverso, oppure la loro ricerca di una felicità perduta o mai conquistatao più semplicemente del quieto vivere - viene ostacolata da una serie di
equivoci e colpi di scena. Questi ultimi, come del resto le loro incomprensioni, frustrazioni e delusioni, derivano più dall'ignoranza o da difetti veniali, debolezze e colpe meschine - come la gelosia, l'avidità e la
paura - che non da pulsioni ossessive o smanie di grandezza paragonabili a quelle degli eroi aristofanei.
Per averne ulteriore conferma basta confrontare altri tratti fondamentali di Aristofane - come l'assenza di ogni confine tra realtà e finzione, o la fluida anarchia del tempo e dello spazio scenico, che vengono continuamente plasmati e rimodellati dal primo attore a suo piacimento - con l'attenzione alla verisimiglianza e coerenza che permea la
commedia menandrea. Basti citare a testimonianza già solo l'ambientazione - i luoghi deputati ai vari intrecci di fatto si assomigliano tutti,
perché sono più astratti che concreti - e di conseguenza anche la ripartizione dello spazio scenico ed extrascenico (entrambi definiti e regolati da codici prefissati, tanto che perfino l'entrata e l'uscita di scena dei
personaggi dall'una o dall'altra porta rispondono a una logica ferrea), o
la stessa scansione lineare e logica della vicenda: a partire dagli antefatti si può anche sviluppare in diverse storie parallele, ma sempre nel pieno rispetto della continuità spazio-temporale e della coerenza interna,
che si tratti di un intreccio amoroso o di una storia di famiglia.
Può darsi dunque che proprio per questi tratti, così diversi rispetto
ad Aristofane, Menandro sia meno popolare tra i contemporanei che tra
i posteri, perché si discosta dal filone più consolidato e di successo, come farebbero pensare le scarse vittorie e le testimonianze di altri autori.
In ogni caso, IJ.ell'esaminare brevemente la sua opera, teniamo per buona l'ipotesi che sia solo in parte rappresentativa dell'intero genere, se non
un' eccezione o un caso estremo. Fra i testi di Menandro, dati per persi
fino a metà Ottocento, nel corso dell'ultimo secolo soprattutto riemergono dai papiri dell'Egitto parti consistenti di alcuni drammi. Fra que574
sti, poiché solo due sono databili e gli altri di cronologia incerta (e le traduzioni italiane dei titoli variano di edizione in edizione) ne elenchiamo i principali seguendo l'ordine alfabetico dei titoli greci, come sono
riportati in edizioni recenti: Lo Scudo (Aspis), Il Misantropo ovvero lo
Scontroso (Djskolos, 316 a.C.), L'arbitrato (Epitrépontes), L'odiato (Misoumenos), Lajànciulla tosata (Perikeiroméne 313/12 a.c.), il Sicionio
(Sikyonios). Testi di minore ampiezza permettono di ricostruire qualche
scena - al massimo corrispondente a un atto o due - di commedie quaIl contadino (Georgos),Il Doppio inganno o doppio ingannatore (Dìs exapaton), L'eroe (Héros), L'invasata (Theophorouméne).
Sin da una prima lettura le commedie appaiono seguire più o meno un modello comune, quasi fossero differenti combinazioni o variazioni sul tema: in tutti i casi l'intreccio si presenta come una sequenza lineare di eventi e azioni modulari compiute da personaggi fissi, che corrispondono ad altrettanti tipi antropologici, funzioni o classi sociali, portano nomi ricorrenti da una commedia all' altra e un numero limitato di maschere. Si possono distinguere tra queste una serie di figure minori e di contorno - come la vecchia serva, il cuoco o
il parassita - e un gruppo ristretto di personaggi che sono normalmente protagonisti dell'azione principale: il giovane innamorato e la
ragazza amata; il padre dell'uno o dell'altra, che può di volta in volta
ostacolare o favorire il loro amore; il servo o 1'amico del giovane, spesso suoi aiutanti o confidenti. Date queste caratteristiche modulari,
dunque, una rassegna delle trame commedia per commedia risulterebbe alquanto ripetitiva, con inevitabile effetto di accumulo; in più
la scarsità di date attestate non permette di ricostruire un' evoluzione
in linea cronologica, come si è fatto per Aristofane. Ci pare invece più
utile delineare il modello comune, sotteso ai testi, per mettere in luce sia i tratti ricorrenti sia le eventuali variazioni o differenze rispetto
allo schema-tipo.
Si è ricordato sopra come alcuni elementi della tragedia, dalI'esposizione di un neonato alle peripezie che portano al suo riconoscimento, siano alla base degli intrighi tragici già a partire dal V secolo, a cominciare
dalI'Edipo Re di Sofocle che è oggetto di analisi nella Poetica aristotelica;
a queste componenti, come si è visto, nel corso degli anni se ne sommano altre, romanzesche e avventurose, comuni sia a tragedie di Euripide
(Ifigenia nel Paesedei lauri, Elena, Ione) sia alle commedie a intreccio. Alla base di queste storie, comiche e tragiche, c'è spesso una forza sovrumana che assume un ruolo sempre più preponderante nella concezione
ftlosofica e religiosa del tempo: la Fortuna o Sorte (Tjche), che sovrintende e governa le vicende umane e nel caso specifico della commedia è spesso indicata più o meno esplicitamente come motore invisibile dell' azione. Da questa fonte scaturiscono molte possibili trame, diverse e compli-
li
<--
575
cate eppure sostanzialmente simili: frutto di equivoci, peripezie ed eventi solo in apparenza casuali, che in realtà compongono un disegno preordinato o conducono a un fine ultimo, sconosciuto agli uomini.
Il pensiero corre inevitabilmente al ruolo della divinità nella tragedia classica, per esempio il Dioniso che compare nelle Baccanti e nelle
Rane - il dio del teatro e della perdita di sé, nella sua doppia veste tragica e comica - o il deus ex machina che conclude molte tragedie, spesso con le 'soluzioni impossibili' care a Euripide. Ora però è la Sorte, o
se si vuole il caso, a governare il mondo a suo piacimento, non necessariamente per punire o premiare, ma anche solo per capriccio. Non per
questo, tuttavia, i protagonisti della commedia Nuova sono paragonabili a semplici burattini: non rinunciano a lottare e impegnarsi, per raggiungere i loro scopi o trovare la felicità, anche se non hanno la minima
idea se le loro decisioni porteranno a qualcosa o saranno del tutto ininfluenti; spesso le loro azioni si limitano per certi versi ad anticipare e favorire una soluzione o una svolta del tutto imprevista, apparentemente
mossa da una forza esterna, fortuita o casuale; alcuni di loro per ignoranza, incostanza o incoscienza rischiano di aggravare o compromettere la loro situazione, fino a perdere ogni speranza; ma il più delle volte
nella commedia, e qualche volta anche nella tragedia, gli equivoci si risolvono insperatamente in un lieto fine.
Per di più non solo è ben visibile negli intrecci l'importanza del caso, della fortuna o di agenti paragonabili, ma talvolta la concatenazione
di coincidenze fortuite è esplicitamente presentata a priori come frutto
di un disegno superiore o divino. In particolare questo messaggio viene
spesso affidato al prologo della commedia, recitato da una divinità o entità soprannaturale che si attribuisce un ruolo nella vicenda, come del
resto accade già in opere euripidee (per esempio l'Alcesti). Ne abbiamo
ben tre esempi tra le commedie conservate: lo Scudo, il Misantropo e La
jànciulla tosata, dove appaiono rispettivament~ la dea Fortuna/ Tjche, il
dio Pan e la personificazione dell'Ignoranza (Agnoia).
Un rapido confronto fra i tre casi citati è sufficiente a mostrare chiaramente alcuni dati costanti e altri variabili: nella prima commedia la
divinità interviene a fine prologo, dopo una breve scena in cui il servo
Davo, di ritorno dalla guerra, annuncia la morte del padrone Cleostrato allo zio del giovane, Smicrine. La Fortuna onnisciente non solo commenta il dialogo precedente, presenta i personaggi e anticipa lo svolgimento della vicenda, ma fornisce agli spettatori un'informazione-chiave per lo svolgimento del dramma, che tutti gli altri ignorano: Cleostrato
in realtà è vivo (anche se Davo lo crede morto, perché ne ha ritrovato lo
scudo sul campo di battaglia) e tornerà in scena a fine commedia, giusto in tempo per restaurare l'ordine delle cose, concedere sua sorella in
sposa al suo innamorato, come promesso, e sventare i piani dell' avido
576
Smicrine (che in base alla legge attica rivendica il diritto di sposare la
giovane nipote, per impadronirsi dell' eredità).
Anche nel Misantropo o Scontroso, commedia giovanile di Menandro
(316 a.c.), l'avvio della storia spetta a una divinità, questa volta agreste,
in piena sintonia con l'ambientazione della vicenda nella campagna attica, e con la caratterizzazione del protagonista: Cnemone è un vecchio
scorbutico e scontroso, che rifugge la compagnia di altri uomini; per il
suo brutto carattere è stato lasciato dalla moglie e conduce una vita solitaria e appartata con la giovane figlia e una vecchia serva. Tutto questo
viene raccontato dal dio, che oltre a svolgere la classica funzione prologante - esporre l'antefatto e presentare i personaggi - rivendica anche
un ruolo fondamentale nella trama. Avendo preso a cuore la sorte della
figlia di Cnemone, sua devota, ha fatto innamorare di lei un giovane di
città e di buona famiglia, Sostrato, malgrado le differenze di ambiente
e classe sociale: costui, per amore della ragazza, nel seguito della commedia dovrà affrontare le resistenze delle due famiglie e conquistare la
stima del fratellastro e del padre di lei, a costo di fatica e sacrifici, prima
di riuscire finalmente a sposarla.
Nella terza commedia, infine, Lafànciulla tosata (313/12 a.c.) il prologo è affidato alla personificazione stessa di una forza drammatica ricorrente nella commedia Nuova, l'Ignoranza: qui come al solito la dea
svela agli spettatori l' antefatto, anticip~ lo svolgimento della trama, rivendica il ruolo di motore dell' azione. E stata lei difatti a provocare l'accesso d'ira del soldato Polemone che ha rasato i capelli alla sua concubina, Glicera, per punirla di non aver respinto le avances amorose del
giovane vicino Moschione: in realtà Glicera non ha reagito perché sa di
essere sorella di Moschione, da cui è stata separata alla nascita. Il ragazzo crede di essere figlio dei ricchi che l'hanno adottato e Glicera non
vuole privarlo di questa condizione privilegiata, con la rivelazione della
verità; per questo è pronta a rompere con Polemone, che a sua volta è
in preda al rimorso per il suo gesto ingiurioso. Nel seguito della commedia gli equivoci via via si appianano, ma a prezzo di sacrifici e sofferenze: alla fine Glicera farà la pace con il soldato e insieme col fratello
ritroverà il vero padre, ponendo così fine alla sua doppia condizione illegittima di orfana e concubina.
L'intreccio di questa commedia - come molti altri della commedia
Nuova, latina e di epoca successiva - riprende evidentemente in chiave
comica il motivo già tragico del neonato separato dalla famiglia - di volta in volta perduto o rapito, abbandonato o 'esposto', secondo una pratica comune a quel tempo, soprattutto per le ragazze-madri. Spesso il
bambino è frutto di una violenza e la sua stessa nascita dà luogo a una
serie di equivoci, litigi e separazioni, con immancabile seguito di chiarimenti e riconciliazioni: questo schema si ritrova, anche se con varian577
ti diverse, in ben due commedie superstiti, L arbitrato e La donna di Samo. Il bambino esposto e ritrovato nella prima commedia è frutto dello stupro di una ragazza da parte di un giovane ubriaco, a una festa notrurna; in seguito i due si sposano, senza però riconoscersi reciprocamente, e quando lei dà alla luce il neonato l'abbandona, temendo l'ira
del marito. Quest'ultimo lo viene a sapere e pensando a un tradimento
si vede costretto a ripudiare la moglie, seppure a malincuore. Per ripicca prende a convivere con un' etèra, Abrotono, ma poi si pente di averlo fatto e non sa come tornare indietro. Il seguito della commedia non
solo coinvolge le famiglie dei due giovani, con inevitabili sconquassi,
sfuriate e riconciliazione finale, ma assegna anche un ruolo di primo piano all' etèra, che si distingue per la sua umanità e generosità.
Sempre un' etèra dà il titolo a un' altra commedia dalla trama simile, La donna di Samo, che ha ancora per antefatto uno stupro a una festa notturna. Anche qui il padre del bambino è guarda caso il promesso sposo della ragazza, che però non sa come confessare al padre la sua
colpa e causerà per questo una serie di equivoci a catena. Per salvare la
situazione si lascia volentieri coinvolgere nella vicenda, a suo rischio e
pericolo, anche la concubina di buon cuore del titolo, proveniente da
Samo: la sua figura, per quanto straniera e di bassa estrazione, risulta
moralmente ben superiore agli altri, sia pure cittadini ateniesi di miglior condizione (i quali, del resto, in Menandro risultano spesso mediocri e meschini, più preoccupati del proprio interesse o benessere che
di quello altrui).
Nelle commedie incentrate su nascite illegittime c'è poi un altro motivo drammatico ricorrente, anch' esso di ascendenza tragica, che riflette il costume evidentemente diffuso di abbandonare, insieme con il neonato, anche un corredo di oggetti preziosi e di valore: sigilli, anelli o
stemmi - segni di riconoscimento - serviranno per il ricongiungimento del bambino, una volta cresciuto, con i suoi veri genitori. Questo elemento - già presente in diverse tragedie di Euripide, anche perdute (fra
cui l'Alope) - viene ripreso anche da Menandro e in particolare assume
un ruolo centrale nella commedia L arbitrato. La scena-chiave si svolge
tra il personaggio che ha trovato il neonato e quello intenzionato ad allevarlo: i due stanno litigando, proprio per il possesso degli oggetti i,
questione, e per risolvere la faccenda si rivolgono a un arbitro - di qui
il nome della commedia - ma questi riconoscerà gli oggetti, scoprirà di
essere il nonno del neonato e farà svoltare la commedia verso il lieto fine. In altre commedie, invece, la vicenda ha inizio quando il bambino
esposto è ormai cresciuto, ma ignora la sua vera identità, e quella di eventuali fratelli o sorelle: la verità verrà naturalmente a galla solo dopo una
lunga serie di peripezie, e spesso grazie agli oggetti di riconoscimento
conservati sin dall' esposizione o rinvenuti in seguito.
578
5.4. Passato efùturo della commedia. Fin qui si è parlato essenzialmente dell'intreccio, che costituisce l'ossatura comune e fondamentale
dei testi di Menandro, dei suoi contemporanei e successori, come di gran
parte della commedia moderna: ma questo 'nudo scheletro' di eventi e
azioni è per così dire rivestito e abbellito da una varietà di colori e forme che nel loro insieme rendono ogni commedia unica. In quest' ambito si esprime al massimo l'arte di Menandro, e difatti proprio per queste sottili sfumature e infinite variazioni viene consacrato dalla gloria postuma e imitato per secoli: il commediografo ha una vera passione per i
'caratteri' - senz'altro tipica della sua epoca, come si è visto, ma anche
frutto di un talento naturale e di una speciale abilità maturata nel tempo - e si dedica con attenzione estrema all'analisi approfondita della personalità e del comportamento umano, per poi tratteggiare per piccoli
tocchi un ritratto a tutto tondo, che noi oggi chiameremmo 'profilo psicologico', e che distingue i suoi personaggi più celebri.
La 'formula segreta' del suo successo sta probabilmente, come sempre, in un equilibrio sottile tra tradizione e innovazione, universale e
particolare, tipico e personalizzato. Per tradizione, infatti, la commedia
si costruisce per contrapposizioni binarie, tra protagonista e antagonista - ciascuno aiutato da alleati o servi - o comunque tra chi detiene un
bene (una donna, del denaro) e chi lo desidera. Tra questi personaggi alcuni hanno 'nomi parlanti' cioè risemantizzati in funzione di ciò che
rappresentano simbolicamente, o del loro ruolo nell' allegoria, e almeno
in un filone della commedia Antica spesso nascono dall'imitazione di
persone reali, o categorie di persone, trasfigurate o bersagliate rispettivamente col nome proprio o comune. Nella commedia Nuova invece i
personaggi sono verisimili per carattere e funzione, ma non nascondo:persone reali: e difatti non hanno tanto nomi parlanti quanto piutricorrenti, di commedia in commedia, e associati con una certa rea determinati 'tipi', in modo tale da far presupporre una relacol carattere o funzione del personaggio. Molti nomi sembrano
per personaggi simili, o con tratti analoghi, da una comall'altra.
'base' del personaggio è solitamente data dal 'tipo' antropologidalla funzione sociale o dalla posizione nell' economia drammatica
storia: l'innamorato respinto o geloso, il padre scorbutico o avaro,
prostituta o il lenone. Molti caratteri sono in parte rispondenti alle
di scuola aristotelica: si ricordano le analogie nei tipi descritti
nei termini usati (il termine-chiave è tropos, ossia 'carattere',
riscontrabili tra le commedie di Menandro e il trattato di scuointitolato Caratteri, di Teofrasto. E così pure i personagche ruotano attorno alla coppia (o alle coppie) di protagonisti, ritipi comici e antropologici, maschere antiche e prefissate con
579
nomi che si ripetono da una commedia all'altra. Ma su questa base Menandro costruisce accuratamente la sua caratterizzazione, arricchita da
tratti minori, tic linguistici, piccoli tocchi che differenziano il personaggio dai suoi omologhi di altre commedie.
Anche le figure per così dire minori - nate da semplici macchiette o
maschere ereditate dalla commedia di Mezzo, o Antica - non passano
indenni dal trattamento di Menandro; il segreto della sua arte, ammesso che si possa identificare, sembra consistere infatti nel saper riprendere e modificare liberamente i tratti tipici e le componenti tradizionali
del genere comico, con variazioni e apporti personali sempre diversi: ora
mostrando accezioni e aspetti diversi dell'amore o della paternità, ora
redistribuendo in modo inedito virtù e difetti per reinventare e rivitalizzare figure ormai logore e spente, ora per ribaltare l'immagine tradizionale della cortigiana astuta e avida creando una nuova figura di etèra, testimoniata dalle nobili e generose creature di commedie quali L'arbitrato e La donna di Samo.
Le peculiarità del singolo risaltano ancor più nel tessuto complessivo nella commedia - per quanto è possibile verificare - sia nel sottile
gioco di contrasti e chiaro scuri che Menandro ottiene accostando abilmente le figure (il vecchio dispotico e quello accomodante, la giovane
ingenua e l'etera dal buon cuore), ma anche nell'alternanza di stati d'animo contrastanti e delle diverse fasi vissute da un personaggio o da una
coppia - prima la rottura, poi la riconciliazione tra amanti - o ancora
nella tormentata dinamica di affetti, autorità e potere che si instaura per
esempio tra un padre e un figlio: il primo è per tradizione il padrone
della casa e dei beni, e sovrano della famiglia, il secondo può essere innamorato, ribelle o semplicemente amante dei piaceri, ma comunque
vede nel pater fa milias il principale ostacolo alla realizzazione dei suoi
sogni d'amore o di ricchezza. In quest'ultimo rapporto, in particolare,
sono evidenti le tracce di una situazione familiare basilare nella società
antica e poi moderna (nella sua versione romana sarà un caposaldo della commedia latina): non a caso le relazioni tra genitori e figli hanno caratteristiche simili nelle trame comiche successive. Ma anche sotto questo aspetto basta un rapido confronto con quanto detto sopra, sulla commedia Antica, per verificare quanta sia la distanza intercorsa in poco più
di un secolo.
La fauna teatrale di Aristofane - tipi antropologici, personaggi fittizi o ispirati a persone reali, macchiette o figure secondarie - spicca per
varietà, ma anche per semplicità di caratterizzazione, rispetto a quella di
Menandro (che ha a disposizione un numero di maschere fisso, e tutto
sommato esiguo, ma si dedica maggiormente alla costruzione e descrizione dei caratteri). Alcuni personaggi aristofanei ricalcano persone reali con nomi propri e talvolta parlanti - come Lamaco negli Acarnesi 580
eppure anch' essi non sono raffigurati in modo verosimile, ma esasperati in iperboli grottesche. Un discorso a parte va riservato agli eroi comici aristofanei, spesso riconducibili al tipo antropologico del contadino,
anche lui vecchio e con figli adulti - come i vecchi della commedia Nuova - ma dal comportamento ben diverso: molti vestono i panni dell'Ateniese stufo della guerra, ora assillato dai debiti o alle prese con problemi di tutt' altro genere, spesso nostalgico del buon tempo antico, sempre eccessivo e monolitico, megalomane e ossessivo, incurante delle convenzioni sociali e ignaro delle buone maniere.
In piena sintonia col personaggio è evidentemente il proposito del
tutto irrealistico o l'impresa impossibile che dà il via all'azione comica,
e giunge a compimento nell' evolversi della commedia seguendo percorsi del tutto inverosimili, sebbene ogni commedia sembri in apparenza
calata nella realtà, e le vicende coinvolgano cittadini comuni. In particolare quei protagonisti aristofanei che incarnano una 'mania' portata
all' estremo, o un vizio comune che viene comicamente amplificato ed
esasperato, si possono confrontare con alcuni personaggi menandrei come lo scorbutico Cnemone del Misantropo o l'avido Smicrine dello Scudo. Entrambi come portatori di un difetto peculiare si distinguono e si
contrappongono agli altri personaggi della commedia, ma restano scornati e delusi nelle loro attese, e anche se non sembrano redimersi dalla
loro ossessione devono fare 'buon viso a cattivo gioco' nel finale per non
essere esclusi e isolati dagli altri personaggi. Soprattutto il primo - chiamato djskolos in greco, in italiano 'uomo difficile', 'scontroso' o 'misantropo' - può ricordare a prima vista i personaggi aristofanei per certi eccessi e intemperanze del carattere, ma rispetto a loro viene descritto con
una ricchezza di sfumature che sfuggono a ogni tipizzazione e ne fanno
una figura complessa e affascinante, di profonda umanità. Per lo stesso
motivo appaiono in qualche modo tutti simili, ma ciascuno unico, anche molti altri personaggi delle commedie: talvolta presentati come coppie dalla personalità vistosamente opposta - generoso o avaro, scontroso o di buon cuore - talvolta protagonisti di diversi episodi volti a evidenziare un' evoluzione, nel corso dell' azione, a mostrare ravvedimento
pentimento, tormento o fluttuazione da uno stato d'animo all'altro.
In contrasto con l'estrema cura dedicata a tratteggiare i personaggi
spicca la mancanza di caratterizzazione del coro: di norma non viene
presentato al pubblico dagli attori, come accadeva in Aristofane, e non
pare avere una personalità precisa né alcuna relazione con i personaggi
del dramma. Qualche volta un attore si congeda dal pubblico annunciando l'intermezzo corale, di solito il primo, come ultima traccia dell'importanza che la pdrodos deteneva in origine. Nel Misantropo o Scontroso (316 a.c.) un attore prima di uscire annuncia l'arrivo di un gruppo di ubriachi festanti, una sorta di kòmos che evidentemente sta per en581
trare in scena (vv. 230ss.). Così pure l'ingresso del coro viene anticipato al pubblico come l'arrivo di un corteo di giovani ubriachi (L arbitrato, vv. 169ss. La fanciulla tosata, vv. 261ss.) o per una sola volta come
apostrofe diretta di un personaggio ai coreuti (Scudo, vv. 245-49). Ma
in ogni caso il testo della pàrodos non viene mai riportato, bensì è indicato con la sigla khoròu, così come accade nel resto della commedia.
La nostra pur breve sintesi ha permesso di individuare alcuni elementi della commedia di Menandro che avranno larga fortuna nella storia del
teatro comico, a cominciare dagli intrecci e dai personaggi, che si prestano a rielaborazioni e recuperi infiniti proprio per le loro caratteristiche
fisse e modulari, in equilibrio costante tra ripresa di modelli e variazione
sul tema. Un altro motivo del successo di questa formula si deve ricercare probabilmente nella specifica dimensione in cui la commedia di IV secolo ambienta simili vicende private e personali, individuali o familiari,
inaugurando un nuovo corso rispetto alla storia del teatro precedente.
Si è visto infatti come la tragedia classica elegga a suo ambito privilegiato la realtà astorica del mito e le storie senza tempo degli eroi, senza
mescolare realtà e finzione, ma tenendo pur sempre come presupposto la
dimensione collettiva dellap6lis, sia pure trasfigurandola sulla scena o mediandola attraverso il coro. A maggior ragione il contesto di riferimento
è essenziale per la commedia Antica che solitamente tende a rispecchiare, anche in modo allegorico e mediato, la realtà politica del tempo. Nella commedia Nuova invece la dimensione del mito si esplica perlopiù negli interventi divini, limitati al prologo, mentre gli spazi pubblici della
città - come l'assemblea o il tribunale - vengono sostituiti da quelli privati che fanno capo all'òikos: la casa, la famiglia che vi abita e tutt' al più
quelle circostanti, che includono il vicinato e la stretta parentela.
L'opera di Menandro proprio per queste peculiarità - e per il tipo di
pubblico che vi si rispecchia - è spesso definita 'dramma borghese'. Si
tratta in effetti di un microcosmo ristretto e perlopiù coincidente con l'orizzonte limitato di una 'classe media' che cerca di stabilire, mantenere o
ripristinare un suo equilibrio, minacciato da conflitti interni più che da
avvenimenti esterni. I grandi sconvolgimenti del periodo storico sopra
accennato non compaiono nelle trame menandree - o almeno non direttamente come accadeva in Aristofane - ma fanno sentire indirettamente il loro influsso. Tutt'al più un allargamento del contesto è riservato al prologo, dove si espone un antefatto o situazione di partenza che
può anche riguardare un evento internazionale di ampio respiro, come
una guerra, un viaggio in paesi lontani o un naufragio: un soldato partito per la guerra o creduto morto, un parente scomparso all'improvviso,
il rapimento di un bambino possono dare così il via a una serie di eventi. Ma la fase di rottura e conflitto che segue, come si è visto, si limita a
582
La (;urnrneUlU
Ul iVlex,;c,u e tu curnrneUlU
.i.
VUUVU
coinvolgere i protagonisti (per esempio l'allontanamento tra due coniugi o due innamorati), e le rispettive famiglie o gli altri personaggi che si
relazionano con loro, fino al chiarimento e alla riconciliazione finale.
Questo accade anche quando la rottura della coppia è segnata da un atto di violenza - La ftnciulla tosata - o la stessa unione dei due inizia con
uno stupro: si vedano La donna di Samo o L'arbitrato, dove ricorrono anche i temi, variamente declinati, del conflitto coniugale e della paternità.
Casomai il contesto si amplia a comprendere un' altra città o regione, ma solo temporaneamente, quando entra in gioco il motivo del viaggio in un luogo distante ed esotico o del rapimento di uno o più bambini, che ritroveranno i genitori a distanza di numerosi anni e molte miglia. Entrambi i tipi di peripezia si risolvono alla fine nel riconoscimento della paternità del figlio/a: se questi è neonato la commedia si conclude, come si è visto, con la riconciliazione della coppia, se è adulto acquisisce lo status e/o la nascita libera che gli/le consentono di sposare chi
desidera. Spesso la meta raggiunta dai protagonisti alla fine del dramma
coincide con la celebrazione di nozze previste e inizialmente sospese, o
a lungo rimandate, e in questo si conferma il ruolo centrale che il matrimonio occupava all'epoca nelle relazioni sociali: da parte maschile è
spesso visto come strumento di ascesa sociale o di alleanza tra famiglie,
da parte femminile come garanzia di stabilità, sicurezza economica e miglioramento del tenore di vita.
In tutte queste situazioni appare evidente che il talento del commediografo, come si è notato per Aristofane, sta essenzialmente nel calibrare tradizione e innovazione, badando a soddisfare le attese del pubblico e al tempo stesso a sorprenderlo con soluzioni sempre nuove, variazioni e scarti rispetto alle sue opere precedenti e a quelle dei rivali.
Alla luce di simili considerazioni si può quindi situare Menandro nella tradizione precedente e nella produzione contemporanea, ma anche
nello sviluppo successivo della storia del teatro. E in particolare si può
giustificare il basso numero di vittorie e l'ipotesi conseguente che si tratti in qualche modo di un autore eccentrico, se non marginale, osservando come abbia cura di discostarsi dalla norma, di inventare nuove
soluzioni e variazioni sul tema, e perfino di sviare e smentire le aspettative del pubblico, negli intrecci e nel trattamento dei diversi personaggi: specie per il modo in cui scava nelle profondità del carattere e
ne arricchisce la descrizione, spesso con dettagli che non rientrano nel
patrimonio acquisito delle maschere tradizionali. Per questi motivi, probabilmente, Menandro lascia un segno indelebile nella storia del genere comico, consegna ai suoi successori un' eredità ineludibile e condiziona con la sua opera e talvolta con la sua leggenda - sia pure in modo intermittente, per tradizione diretta o indiretta a seconda delle epoche - il futuro del teatro.
583