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Pietro Mascagni:"Amica"
La genesi
Dopo la prima delle Maschere, per Mascagni si aprì un periodo particolarmente denso di
impegni ma anche pieno di soddisfazioni per i successi ottenuti nelle varie tournées. Nella
primavera del 1901, infatti, la sua direzione del Requiem di Verdi a pochi mesi dalla morte del
compositore e la ripresa della Cavalleria rusticana su esplicita richiesta di Mahler, suo
ammiratore e amico fraterno, ottennero un grande successo, come del resto i concerti che
Mascagni tenne l’anno successivo in diverse capitali europee. La sua patria, tuttavia, riservò
qualche dispiacere al compositore che nel mese di giugno del 1902, in occasione
dell’inaugurazione, nella Basilica di Santa Croce, del monumento funebre a Rossini, diresse
per l’ultima volta l’orchestra del Conservatorio di Pesaro, dalla cui carica di direttore sarebbe
stato destituito il 13 agosto dalle autorità comunali.
Certamente dispiaciuto, ma in un certo qual modo più libero, Mascagni accettò una
tournée in America che gli riservò sia soddisfazioni che momenti difficili. Al suo rientro in Italia
gli si offrirono nuove occasioni di lavoro tra cui la direzione della Scuola Nazionale di Musica
che colmò, in un certo qual modo, il vuoto lasciato dal Conservatorio di Pesaro e la
composizione di nuovi lavori. In questo periodo, infatti, Mascagni maturò l’idea di scrivere
Amica su un libretto francese di Paul Bérel, pseudonimo dell’editore Paul de Choudens; alla
stesura del libretto collaborarono anche Paul Collin e Guido Menasci, grande conoscitore del
francese, al quale compositore si raccomandò per rifarne interi passi. Dopo un lavoro
estenuante, costituito anche di rifacimenti del testo, l’opera vide le scene il 16 marzo 1905
nella Salle Garnier du Théâtre du Casino sotto la direzione dello stesso compositore con
Geraldine Farrar (Amica) in sostituzione dell’annunciata Emma Calvé, con Paola Rainaldi
(Madeleine/Magdelone), con Charles Rousselière (Georges), con Amedeo Bassi (Lionel), con
Maurice-Arnold Renaud (Renaud), con Henri-Alexander Lequien (Camoine). Poco meno di
due mesi dopo, il 15 maggio, nella versione italiana approntata da Targioni-Tozzetti
l’opera fu data al Costanzi di Roma con Karola/Francisca Solari (Amica), Italia Bonetti
(Maddalena), Piero Schiavazzi (Giorgio), Riccardo Stracciari (Rinaldo) e Leo Eral (Camoine),
ottenendo un successo minore rispetto a quello di Montecarlo.
L’opera - Atto primo
L’opera, ambientata nelle Alpi piemontesi, inizia con un quadro idillico disegnato dal suono
delle campane e di una cennamella che intona un tema pastorale. A creare quest’atmosfera
contribuisce il coro che descrive il risveglio della natura in un contesto rurale grazie a una
scrittura solenne che sembra scandire la ritualità della vita di campagna; entra in scena
Camoine, padrone della fattoria, che dice ai suoi contadini di non lavorare in quel giorno di festa
per le imminenti nozze, da lui programmate, tra sua nipote Amica e il suo figliastro Giorgio il
quale, chiamato in causa dal coro, manifesta tutta la sua gioia. Nella sua romanza, Io passar,
tutti i dì, egli racconta la storia del suo amore per Amica in una scrittura inizialmente piana che
si accende d’intenso lirismo quando narra dell’intenzione di Camoine di dargli in sposa la
fanciulla. Subito dopo inizia una vera e propria festa di campagna con orecchiabili danze sulle
cui note interviene il coro; quest’atmosfera idillica è, però, spezzata da Camoine il quale rivela
a Maddalena, una sua serva che intende sposare, il piano per liberarsi di Amica. L’uomo ha
deciso, infatti, di dare in sposa Amica a Giorgio a qualsiasi costo e senza farsi scrupolo del fatto
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che la sua scelta sia condivisa o no dalla ragazza. Nel frattempo Camoine rivela a Maddalena
l’identità di Giorgio, un trovatello che aveva accolto come un figlio insieme con fratello il quale,
però, essendo di carattere ribelle, era stato allontanato dall’uomo circa un anno prima. La
ripresa del tema delle danze introduce nuovamente l’atmosfera festosa a cui Amica non
partecipa, come rilevato da Giorgio, il quale, vedendo la ragazza amata, non perde occasione
per dichiararle il suo amore nella romanza Quest’è il bel dì del nostro amor dalla struttura
tripartita A-B-A1 che rivela, grazie a una linea melodica priva di grandi aperture e stridente con
la voce tenorile tradizionalmente usata per rappresentare l’uomo innamorato e ricambiato,
timidezza di questo personaggio che vorrebbe per sé il carattere estroverso del fratello Rinaldo.
Nel frattempo Camoine invita i presenti a recarsi all’osteria per continuare i festeggiamenti a
sue spese e, una volta rimasto solo con Amica, apprende da quest’ultima la sua volontà di non
sposare Giorgio perché innamorata di Rinaldo. L’accorato appello della giovane, i cui accenti di
commosso lirismo ricordano quelli di Santuzza, con la quale sembra condividere anche le
caratteristiche vocali, non commuove l’uomo che resta irremovibile nella sua decisione,
minacciando la nipote di cacciarla via. Mentre la donna, rimasta sola, medita sulla sua
condizione, sopraggiunge Rinaldo il quale produce un violento cambio di atmosfera; l’uomo,
prima vorrebbe conoscere il nome del promesso sposo che Amica decide di non rivelare per
evitare che possa scorrere il sangue tra i due fratelli e, dopo, convince la donna a fuggire con
lui. I due, dopo aver dato vita ad uno struggente duetto di intenso lirismo, fuggono, coperti
anche da un uragano appena scoppiato. Della fuga si accorge Maddalena che informa Giorgio il
quale corre loro dietro per uccidere l’ignoto seduttore.
Atto secondo
Il secondo atto, giudicato giustamente dalla critica di carattere sinfonico, si apre con un
intermezzo che si concentra sui tre personaggi. Percorso interamente da un drammatico
tremolo degli strumenti gravi, quest’intermezzo è una pagina di carattere narrativo in cui
Mascagni fa cantare, ancora una volta, l’orchestra con una scrittura di intenso lirismo che
inizialmente si concentra su un tema che accompagnerà all’inizio di questo secondo atto le
parole di vendetta di Giorgio (Es. 1).
In realtà tutto l’intermezzo è una magistrale sintesi sinfonica del secondo atto del quale
anticipa i temi musicali e introduce l’atmosfera.L’atto inizia con Giorgio che, avendo
seguito una via più breve, attende i fuggitivi ed è pronto vendicarsi anche perché ignora che
l’uomo, con cui era fuggita Amica, sia il fratello Rinaldo. All’arrivo dei due amanti, Giorgio
scopre la triste verità e manifesta la sua pena in una pagina piena di angoscianti sincopati
(Sei proprio tu), abbandonandosi, dopo, ad una tenera rievocazione dello stretto legame
fraterno (Orfani e senza pan) che li unisce sin dall’infanzia; le sue parole assumono toni
altamente drammatici quando, parlando del suo sogno d’amore infranto, cade svenuto. Rinaldo
è sconvolto e ritiene responsabile di tutto ciò Amica, che, nonostante protesti la sua innocenza
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e affermi di non aver mai incoraggiato l’amore di Giorgio, viene respinta dall’uomo in un
drammatico duetto. Alle appassionate parole della donna, Rinaldo risponde che il loro amore è
ormai impossibile, in quanto ogni momento e ogni bacio sarebbero avvelenati dal torto fatto a
Giorgio. Nel frattempo questi rinviene e Rinaldo fugge verso la montagna lasciando sola Amica
che, dopo essersi dibattuta a lungo in una pagina estremamente drammatica e dalla scrittura
armonica di ascendenza wagneriana per la presenza di cromatismi, decide di seguire l’uomo
amato cadendo, però, in un burrone davanti agli occhi sbigottiti dei due fratelli
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