L’ECO DI BERGAMO GIOVEDÌ 23 SETTEMBRE 2010 55 SPETTACOLI Benni: «La poesia ci offre segni di speranza» Folla al Teatro Sociale alla lettura scenica dello scrittore da «La terra desolata» di Eliot per il festival «Liber A Nos» «Bisognerebbe leggere di tutto, da Italo Calvino a Elsa Morante e Carducci: essere onnivori come i bambini» ■ Stefano Benni legge La terra desolata di Thomas Stearns Eliot. Era un’occasione, sotto molti aspetti: per riprendere uno dei poemi-chiave del ’900, per conoscere l’approccio scenico di Benni e del musicista Umberto Petrin, per capire il punto di vista del 63enne scrittore bolognese. Il Lupo, come lo chiamano i suoi tanti lettori, non ha tradito le attese. E neppure il pubblico, che martedì sera ha gremito il Teatro Sociale per il debutto dello spettacolo, ospite del festival «Liber A Nos» del Teatro Tascabile (alla «prima» era abbinata La lingua salvata, la raccolta di libri in lingua straniera per le biblioteche di Bergamo), in collaborazione con il Sistema Bibliotecario Urbano. Abbiamo intervistato Benni. Uno scrittore, noto per i suoi libri umoristici, che si confronta con Eliot, sia pure da attore: non suona strano? «Solo se ci perdiamo dietro alle etichette. In realtà lo desideravo da tempo. Finalmente ci siamo riusciti, Petrin, io e tutti gli altri coinvolti in questa avventura: abbiamo preparato un audiolibro e siamo riusciti a completare questa versione per la scena. Sono contento, mi pare che sia uscita bene. Ero molto teso prima, lo sa? Questo spettacolo è più faticoso che scrivere un libro». Risalivate alle radici della poesia contemporanea, attraverso l’apocalisse immaginata da Eliot: non mette un po’ di vertigini? «Impone di affrontarlo con serietà e rischia di farti sentire sempre inadeguato, questo sì. Ma è un passaggio necessario. Eliot è dotato della misteriosa chiaroveggenza dei grandi poeti. Lui è di quelli che sentono tutto in anticipo, e ci avvertono: in questo poema dei primi anni ’20 c’è già il segno delle catastrofi che sarebbero seguite, c’è il nostro mondo. Eliot sentì che un altro mondo, il suo, stava per finire. Eppure il suo poema contiene degli squarci inaspettati di speranza». Eliot era un uomo di fede. «Vero, e il suo modo non cessa di turbare me, che non sono credente. Ma quando scrive La terra desolata, Eliot non ha ancora compiuto la sua conversione. Eppure già si avverte una possibilità, un terreno spirituale diverso, in questi repentini cambiamenti, tra momenti di dolore e istanti di speranza. Ecco, la speranza: vorrei che il pubblico cogliesse soprattutto questa nota». Perché? «La speranza si nutre di esempi positivi, non è un sentimento astratto. Ma questi esempi latitano, nella nostra mediocre attualità. L’arte, la scienza, il sociale: sono vivi, danno segni di speranza. Ma la nostra dimensione pubblica e mediatica sono invasi da una politica e da una certa economia che soffocano ogni spazio e tolgono ossigeno». È questa, la terra desolata di oggi? «Sì, l’economia e la politica sono ridotte alla desolazione. Ci ha fatto caso? Tutti si riempiono la bocca di “nuovo”, “novità”, “cambiamento”. Tutte formule vuote. Resta un paesaggio desolato, che frustra le speranze di milioni di uomini e donne». È uno degli autori più letti e amati dai giovani, ed è anche un appassionato difensore di certi classici come Eliot: che letture bisognerebbe incoraggiare di più? «Bisognerebbe essere onnivori come i bambini, in realtà. Leggere Italo Calvino ed Elsa Morante, ma anche Dante e Carducci. A scuola l’odiavo, Carducci: lo rilessi più avanti negli anni e ora lo amo. Come Manzoni: me lo fecero odiare, lo rilessi poi e adesso lo odio ancora! Non esiste contrapposizione tra classici e contemporanei, si tratta di stimolare la lettura, e coltivare l’immaginazione. La scuola non dovrebbe averne paura, come ai miei tempi». Quando ha capito che sarebbe diventato uno scrittore? «Beh, io veramente sognavo di fare il calciatore. E anche di avere un harem e di essere un direttore d’orchestra, se parliamo di sogni. Ma come calciatore mi infortunai, e allora iniziai a fare il giornalista per motivi alimentari: mandavo pezzi e guadagnavo qualcosina. Mi accorsi di scrivere meglio di altri, e allora ci provai. Per molto tempo credetti di essere un umorista e nulla più, ed ero già contento. Di essere uno scrittore l’ho capito solo dopo Comici spaventati guerrieri (edito nell’86, ndr)». E il teatro? «No, quello non lo sognavo. L’ho fatto, in gioventù, anche perché mi ero invaghito di un’attrice. Ho scritto per il teatro, mi piace. Ora mi dedico a reading come questi. Ne ho quasi più voglia che scrivere». Pier Giorgio Nosari IIIII SUL PALCO Testo denso e difficile ma incanta il pubblico Ci vuole coraggio anche solo a prenderla in mano, «La terra desolata» di Eliot, ad ascoltarne i densi versi e scorgerne l’arduo simbolismo profetico. Figuriamoci a farne una lettura pubblica. Ma Stefano Benni e il jazzista Umberto Petrin ci provano lo stesso: il risultato è un reading stratificato, ora percorso dalla musica ora in dialogo con la partitura, sonoro e asciutto, difficile e affascinante. Il pubblico – 550 persone, il massimo della capienza, hanno gremito martedì il Teatro Sociale, con altre 300 rimaste fuori – ne è affascinato. Benni e Petrin avrebbero potuto imboccare la via più semplice, e giustapporre (e alternare) musica e lettura, senza rischi ma anche senza poesia. Per fortuna non hanno preso in considerazione l’idea. L’andamento scenico è felicemente mosso. Benni ora legge in presa diretta, in penombra a un leggìo sulla destra del palcoscenico, ora si siede e lascia andare la musica o addirittura la sua stessa voce fuori campo. In qualche momento, l’ormai classica traduzione di Roberto Sanesi viene sostituita dal suono diretto dei versi inglesi. Ci sono veri e propri recitativi, e persino (là dove Eliot stesso parlava di gospel) un accenno di rap. Tutto questo, del resto, nasce per un audiolibro edito da Full Color Sound, in uscita per Natale. La scelta di farne uno spettacolo viene anche dalla sollecitazione di «Liber A Nos», il festival promosso da Teatro Tascabile e Sistema Bibliotecario Urbano, che ha ottenuto questa «prima». La dimensione sonora e musicale - a cui contribuiscono le percussioni del bravo Carlo Garofalo e la chitarra di Niclas Benni - è molto curata. E restituisce la complessa grana della voce poetica di Eliot. NOBEL NEL ’48 P. G. N. Stefano Benni al Teatro Sociale (foto Yuri Colleoni) Si definiva classicista in letteratura, monarchico in politica e anglocattolico (la corrente anglicana dell’«high church», più vicina al cattolicesimo romano) in religione. Ma Thomas Stearns Eliot (nella foto) era anche un uomo perfettamente (benché criticamente) calato nel suo tempo. Nato statunitense (a Saint Louis nel 1888), scelse l’Inghilterra (vi si trasferì nel 1914, divenendone cittadino nel ’27) e la tradizione occidentale, pur avvertendo con estrema lucidità l’esaurimento di un ciclo storico: per questo «La terra desolata» (pubblicata nel ’22) è molto di più della denuncia-profezia della crisi e apocalisse della modernità. Eliot – di cui ricordiamo almeno «Prufrock e altre osservazioni», «Mercoledì delle ceneri» e «Assassinio nella Cattedrale» – forgiò un linguaggio poetico nuovo per i tempi nuovi. Ebbe il Premio Nobel nel ’48, morì nel 1965. La compagnia bergamasca al primo Festival di spettacoli per l’infanzia. Le iniziative per la stagione Dalle scuole al Cairo un Pandemonium di teatro «Il cubo magico», scritto e diretto da Tiziano Manzini «Aida» a Seriate domani con la bacchetta di Brena ■ Dopo il successo di pubblico, quest’estate in Piazza Vecchia, la celeberrima Aida di Verdi sarà messa in scena domani, venerdì, al Teatro Gavazzeni di Seriate. Il sipario si aprirà alle ore 21 e prevede la presenza dell’orchestra da camera «Giorgio Strehler» di Milano, del Coro lirico di Parma preparato da Romano Oppici, il tutto sotto la conduzione di Antonio Brena e la regia dello stesso Oppici. La rappresentazione rientra nel cartellone della seconda stagione lirica della Città di Seriate intitolata «E lucevan le stelle», promossa dall’assessorato alla Cultura della Città di Seriate con l’organizzazione dell’associazione Phoenix e la direzione artistica di Antonio Brena. Il Cineteatro Gavazzeni ha già ospitato a marzo la Tosca di Giacomo Puccini e a maggio l’operetta Cin Ci La di Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato e ora andrà in scena il capolavoro verdiano strutturato in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni. Dopo la prima assoluta del 24 dicembre 1871 al Cairo, l’opera ottenne un tale successo che ancora oggi continua a essere una delle opere liriche più famose e apprezza- L’AUTORE te. Alla sua popolarità concorrono da una parte l’invenzione melodica assai rigogliosa che ben si manifesta in pagine come Celeste Aida, dall’altra gli apparati scenici, la marcia trionfale del secondo atto, le danze, i cori e i passi di colore locale disseminati un po’ ovunque. Gli interpreti vocali saranno il soprano Daniela Favi Borgognoni in Aida, il tenore Filippo Modino nei panni di Radames, Amneris sarà il mezzo soprano Mariacarla Baldi, il baritono Giorgio Valerio avrà il ruolo di Amonasro, Ramfis sarà affidato al basso Samuel Tao, il basso Giuseppe Gloria sarà il Faraone, la gran Sacerdotessa sarà il soprano Michela Venturini. Costo d’ingresso allo spettacolo 15 euro, ancora disponibili un’ottantina di biglietti che potranno essere acquistati domani mattina (dalle 9,30 alle 12) al primo piano del Palazzo Comunale di Seriate, oppure direttamente al Cineteatro Gavazzeni prima dell’inizio dell’opera. Per ogni ulteriore informazione rivolgersi al Servizio Cultura e Relazioni esterne del Comune di Seriate al numero 035.304.354. Lorenzo Tassi ■ Aperta da un buffet di benvenuto organizzato da Agripromo che ha offerto prodotti tipici bergamaschi, è stata presentata, martedì sera al Teatro del Borgo di piazza Sant’Anna, la nuova stagione teatrale della compagnia Pandemoniumteatro (www.pandemoniumteatro.org). Alla presentazione, insieme a Mario Ferrari, Tiziano Manzini e Lisa Ferrari, sono intervenuti l’assessore all’Istruzione e Politiche giovanili, Danilo Minuti, e Fiorenzo Grassi, presidente di Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo) Lombardia. La serata si è conclusa con la rappresentazione dello spettacolo Il cubo magico, scritto e diretto da Tiziano Manzini che, insieme allo spettacolo di Lisa Ferrari, La cucina magica, rappresenta la nuova produzione della compagnia bergamasca per il 2010. Forte dei numeri della passata stagione: «196 recite di pro- duzione Pandemonium, 30 compagnie ospitate per un totale di 78 recite, 175 letture teatrali, 700 interventi di formazione, 11 tournée in regioni italiane per un totale di 58.000 spettatori (27.000 sul territorio) e 4.200 ore di lavoro», Mario Ferrari, direttore generale della compagnia, ha aperto il suo intervento presentando quella che si sta per aprire come «una stagione dedicata al futuro». «Perché se è vero che "il futuro è adesso" – ha proseguito Ferrari – non è più possibile dare tutto per scontato. Il nostro lavoro va messo in sicurezza attraverso una politica, che sia amica di queste iniziative e che non dia più solo una pacca sulla spalla di solidarietà, soprattutto lontana da pregiudizi ideologici». «Al di là, infatti, dei numeri citati, che pure ci inorgogliscono – ha proseguito Ferrari – il teatro non è solo una questione di numeri ma di relazioni, il nostro è uno spirito di servizio, so- lo con il quale riusciamo a continuare a produrre spettacoli, ricordando che i contributi pubblici – nonostante nel panorama locale la nostra compagnia sia la meno assistita – vengono girati automaticamente sul territorio». In sintonia con queste parole, l’assessore Minuti ha sottolineato «come l’Amministrazione comunale sia in costante dialogo con queste realtà (stoccatina, invece, da parte di Mario Ferrari per la «latitanza» dell’assessore provinciale alla Cultura da cui in un anno non sono mai riusciti a farsi ricevere) e come, in tempi di crisi come questi, il teatro, soprattutto quello legato all’educazione, rappresenti, in una società che si misura solo sui beni materiali, un importantissimo bene immateriale». Delle nuove produzioni abbiamo detto: Il cubo magico di Tiziano Manzini, avrà anche una versione in inglese di prossima programmazione in Irlan- da e Germania, mentre a giugno 2011 parteciperà al primo Festival di teatro per l’infanzia organizzato al Cairo. Continueranno anche la programmazione per le scuole di Bergamo e provincia, con 18 i titoli in cartellone da novembre 2010 ad aprile 2011 per la rassegna «Teatro da vivere insieme... con la classe» (7 le compagnie ospiti), tutti in programma al Teatro del Borgo ad esclusione di Fahrenheit 451, che per il decennale dal debutto verrà rappresentato al Teatro Sociale; e le rassegne domenicali per famiglie: «Giocarteatro» organizzata con Teatro Prova (la quarta edizione partirà domenica 31 ottobre al Teatro San Giorgio) e una fitta programmazione in provincia. Non mancheranno iniziative per la Giornata della memoria, un ricordo di Gianni Rodari e un’iniziativa sul problema della pedofilia con l’attore e regista Luca Barbareschi. Andrea Frambrosi Il principe azzurro si chiama Lupo e si traveste da clochard. È la nuova produzione del Prova Se Cappuccetto rosso diventa una vagabonda Patrizia Geneletti e Max Brembilla in «Cappuccetto rosso e il principe azzurro» (foto Maria Zanchi) ■ Questa non è una fiaba, scriverebbe in didascalia un artista visivo. Ma Cappuccetto rosso e il principe azzurro è teatro, non pittura. E lo spettacolo ha una familiarità del tutto diversa con concetti come essere e non essere: così la nuova produzione di Teatro Prova – scritta da Massimo Nicoli e seguita, al debutto al Teatro San Giorgio, da circa 200 spettatori – può tranquillamente essere e non essere una fiaba, essere e non essere una commedia, essere e non essere una tenera storia d’amore e amicizia. Alla fine è un gioco scenico a due, uno scherzo tra Patrizia Geneletti e Max Brembilla (quest’ultimo anche regista) e i loro personaggi. Lo spettacolo non è una fiaba, perché la notissima storia della bambina dal cappuccio rosso, e del lupo che se la mangiò, è in verità un pretesto. Ciò che interessa davvero è chi la racconta e si mette a rappresentarla: Magdalena, una vagabonda che vive ai margini della città, tra la discarica e lo snodo ferrovia- rio, e Lupo, principe in incognito travestito da clochard. Lei trasfigura lo squallore della sua routine quotidiana giocando e fantasticando. E ricreando incessantemente la realtà. Lui è fuggito dalla gabbia dorata della corte, forse per conoscere meglio i suoi sudditi, forse per noia, forse per curiosità. Si può immaginare il finale. Nicoli ama tingere d’azzurro le sue storie, stempera le durezze delle fiabe tradizionali e immagina un finale da «vivranno felici e contenti»: perché a volte i sogni si avverano e il gioco scivola nella realtà. Questa non-fiaba in senso tradizionale si trasforma così in una fiaba in senso romantico, togliendo qualcosa alla bella ambiguità iniziale. E forse sta qui il suo limite: nello spiegare tutto, come tutto spiega una scenografia che poco lascia all’immaginazione. Ma lo spettacolo sembra invece chiedere una cifra stilistica più indeterminata e più aperta. P. G. N.