CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO Il calcio e la televisione di Marco

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CALCIO - LA STORIA DEL CALCIO
Enciclopedia dello Sport
di Adalberto Bortolotti, Gianni Leali, Mario Valitutti, Angelo Pesciaroli, Fino Fini, Marco Brunelli, Salvatore Lo Presti,
Leonardo Vecchiet, Luca Gatteschi, Maria Grazia Rubenni, Franco Ordine, Ruggiero Palombo, Gigi Garanzini
Il calcio e la televisione di Marco Brunelli
L'affermazione della televisione ha avuto sullo sviluppo del calcio moderno un impatto stupefacente,
arrivando a rivoluzionare le basi economiche dell'attività dei club. Fino ai ricchissimi contratti televisivi degli
anni Novanta, infatti, l'industria del calcio era ben diversa da oggi, tanto in Italia quanto all'estero.
Addirittura, in alcuni periodi, è sembrato che il calcio non fosse in grado di reggere la sfida competitiva con
altre attività del tempo libero, che attiravano pubblico e consumi in misura maggiore. Negli anni 1993-2002,
i ricavi dalla cessione dei diritti televisivi del Campionato, nel frattempo estesisi anche ai diritti Internet,
UMTS e altri nuovi media, sono passati da 190 miliardi di lire a 1880 in Inghilterra, da 108 a 995 in Italia, da
75 a 460 in Spagna, da 180 a 750 in Germania e da 63 a 770 in Francia, e sono diventati di gran lunga la
prima voce di entrata dei club. In complesso, nel periodo 1991-2001, le cinque principali Leghe calcistiche
europee hanno visto aumentare il valore dei loro diritti televisivi, Internet e UMTS in media del 993%. Il
'valore' televisivo della UEFA Champions League è aumentato in misura enorme, facendo passare le entrate
complessive dei club partecipanti da 38 milioni di franchi svizzeri (1993) a 730 (2001). Ancora più
impressionante è l'impennata dei diritti televisivi della Coppa del Mondo: la FIFA ha ceduto quelli relativi
alle edizioni 2002 e 2006 per 2,8 miliardi di franchi svizzeri, contro i 95 milioni del 1990, i 110 del 1994 e i
135 del 1998.
Alla base di questi aumenti vi sono la crescita della concorrenza tra emittenti televisive, la comparsa di
nuovi mercati e di nuove tecnologie (televisione a pagamento, televisione digitale, banda larga,
integrazione tra televisione, Internet e telefoni cellulari), ma soprattutto l'affermazione dello sport, e del
calcio in particolare, come un contenuto irrinunciabile per qualsiasi programmazione televisiva. Tutti i dati
confermano la natura di killer content del calcio: 28 dei 30 programmi più seguiti di tutti i tempi della TV
italiana sono state partite della nazionale o finali di Champions League con squadre italiane; 19 delle 20
trasmissioni sportive complessivamente più viste in Europa nel 2000 sono stati incontri di calcio.
La convergenza fra TV, Internet e nuovi media intensificherà ulteriormente il fenomeno: l'UEFA ha
recentemente stimato in un miliardo di franchi svizzeri le entrate aggiuntive che i club europei potrebbero
ricavare nei prossimi dieci anni dalla vendita dei diritti Internet. La disponibilità delle immagini delle partite
di calcio viene ritenuta un elemento decisivo per il decollo dei servizi UMTS, come dimostrano i ricchi
contratti sottoscritti da Hutchison 3G con una decina di società italiane e con la Premier League inglese, e
da Orange con i club francesi. Lo stesso contratto di sponsorizzazione siglato dal Manchester United con
Vodafone, il più caro della storia, risponde a questa logica.
Paradossalmente, però, l'aumento delle entrate TV, avendo portato con sé quello degli stipendi dei
calciatori, ha finito per penalizzare la redditività dei club. I calciatori inglesi sono addirittura arrivati a
codificare questo principio, minacciando di non giocare se i loro guadagni non fossero stati legati ai nuovi
contratti televisivi della Lega. La TV ha comunque mutato le prospettive delle grandi organizzazioni
calcistiche mondiali. Da quando è lievitato il valore dei diritti televisivi, FIFA e UEFA hanno smesso di essere
semplici istituzioni che amministrano le competizioni internazionali, per trasformarsi in agenzie di
commercializzazione delle stesse, sul modello delle Leghe professionistiche americane o della Premier
League inglese. Inoltre, è stato proprio il mezzo televisivo a ideare nuove manifestazioni. È infatti naturale,
dal momento che il calcio costituisce un fenomeno così importante per le emittenti, che queste pensino a
costruirsi avvenimenti su misura: dal Mundialito clubs proposto dalle reti Fininvest nel 1981 alla Superlega
Europea progettata da altri grandi gruppi televisivi e agenzie mediatiche.
La TV ha poi ridefinito le gerarchie e, in qualche misura, la geografia del calcio: il bacino di utenza televisivo
è diventato la vera misura del valore di mercato di un club, persino al di là dei suoi risultati sportivi.
Inevitabilmente, la ripartizione sempre più squilibrata delle maggiori risorse televisive ha accresciuto il
divario tra grandi e piccole società.
Sul modo stesso di giocare a calcio il mezzo televisivo ha esercitato una notevole influenza: per sfruttare o
accontentare la TV si sono cambiati i formati (la Champions League), i calendari (gli anticipi e i posticipi), gli
orari (le partite giocate a mezzogiorno durante il Mondiale americano), le regole delle competizioni (i tre
punti a vittoria, il golden gol). D'altra parte, la presenza di tante telecamere ha certamente assicurato
incontri più regolari e in alcuni paesi, come la Germania e l'Inghilterra, la prova televisiva ha addirittura
consentito, in alcuni casi, di ripetere gare viziate da errori tecnici.
La TV ha modificato anche le abitudini degli spettatori. Le partite trasmesse in televisione sono ormai in
maggioranza a pagamento: nella stagione 2000-01 il Campionato è stato trasmesso in chiaro solo in Spagna,
Portogallo, Austria e Svizzera, e anche gli incontri della Champions League sono per la maggior parte
criptati. Lo spettatore si è abituato, dunque, a tecnologie di ripresa sofisticate, pluralità di punti di
osservazione, grafica virtuale, statistiche, replay, moviola, interviste pre- e post-partita, regia personalizzata
(TV interattiva), e non è più disposto a rinunciarvi. Il calcio televisivo è diventato un succedaneo di quello
allo stadio, al punto che è prevedibile che non sono pochi i tifosi che hanno smesso di seguire le loro
squadre in trasferta, come accadeva frequentemente un tempo, potendo vedere meglio la partita in
televisione. Secondo alcuni, anzi, il calcio diventerà quasi gratuito allo stadio perché lo si farà pagare
soprattutto in televisione.
La dimensione del fenomeno è tale che per regolamentare il rapporto fra calcio e televisione sono state
necessarie nuove leggi. In molti paesi, è stato tutelato il diritto del pubblico a vedere in TV brevi estratti
degli incontri indipendentemente da chi ha acquistato in esclusiva i diritti (diritto di cronaca). Per
contrastare la formazione di posizioni anticompetitive sul mercato, sono state disciplinate sia la titolarità
dei diritti sia le modalità di negoziazione degli stessi (collettiva o individuale). Una direttiva dell'Unione
Europea ha imposto ai paesi membri di definire gli eventi di rilevanza generale, la cui visione deve essere
accessibile a tutti: partite della nazionale; fasi finali delle maggiori competizioni mondiali; eventi simbolo a
livello nazionale come, per es., la finale della Coppa di Inghilterra.
Infine, la TV ha cambiato l'organizzazione e la struttura dei club: la figura dell'addetto stampa ha lasciato il
posto a quella del responsabile dell'area comunicazione. Nuove figure professionali, specializzate nella
vendita dei diritti, sono entrate negli organigrammi. Grandi gruppi televisivi o agenzie specializzate nella
commercializzazione dei diritti sono diventati azionisti di riferimento di club in Italia, Inghilterra, Scozia,
Francia, Germania, Svezia, Grecia, Svizzera, Brasile.
Inevitabilmente, però, anche il calcio ha trasformato la televisione. Dal primo incontro trasmesso in TV
(Everton-Arsenal dalla BBC), nel 1936, vi sono stati molti cambiamenti. In particolare in Italia sono legate al
calcio alcune tappe fondamentali della storia della televisione: il palinsesto del primo giorno di trasmissioni
(3 gennaio 1954), che aveva il suo pezzo forte nella Domenica Sportiva; la diffusione al Sud (30.000
apparecchi venduti in pochi giorni prima di un Napoli-Fiorentina del 1955); l'avvento del colore (in
occasione dei Mondiali del 1978); il boom delle emittenti locali; la rottura del monopolio RAI all'inizio degli
anni Ottanta; la comparsa della pay-tv e della pay-per-view; la sperimentazione di nuovi linguaggi,
tecnologie e modalità di ripresa.
Il futuro del calcio in televisione è legato alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie e, in particolare, al
grado di complementarità, piuttosto che di sostituibilità, che queste presenteranno rispetto al mezzo
televisivo tradizionale. Non c'è alcun dubbio che il calcio continuerà a rappresentare, per tutti gli operatori
della comunicazione, un contenuto insostituibile, e dunque preziosissimo, per l'affermazione di qualsiasi
nuovo media. L'acquisto, nel giugno 2001, da parte di Hutchison 3G UK dei diritti per la telefonia mobile di
terza generazione del Campionato inglese di Premier League, valutati circa 60 milioni di euro per tre
stagioni (l'accordo più caro negoziato fino a oggi in Europa), è stato motivato dall'azienda con la possibilità
di differenziare nettamente i contenuti del proprio servizio di telefonia cellulare da quelli dei principali
concorrenti, offrendo in esclusiva risultati, notizie, resoconti di partite, immagini statiche e in movimento e
materiale di archivio di uno dei tornei più importanti del mondo, praticamente in tempo reale.
La novità più rilevante, rispetto alla televisione attuale, consisterà nella personalizzazione sempre più
marcata dei contenuti, per rispondere alle esigenze di un'audience molto più frammentata di un tempo, e
nella ricerca continua dell'interazione con il pubblico. Forme di comunicazione che oggi appaiono residuali
o di nicchia acquisteranno una rilevanza precisa, anche in termini di redditività, proprio perché
consentiranno di raggiungere gruppi di utenti che, per quanto poco numerosi, si caratterizzano tuttavia per
un'omogeneità di gusti, una fedeltà di ascolto e una predisposizione all'interazione del tutto sconosciute al
pubblico televisivo attuale. Molti nuovi media consentono, inoltre, una gestione diretta della
comunicazione, a costi moderati e con ritorni potenzialmente molto interessanti dal punto di vista sia
economico sia della possibilità di interagire senza intermediari con la propria base di utenti/tifosi. Si spiega
così, per esempio, il moltiplicarsi dei canali televisivi tematici offerti direttamente dai club calcistici in
partnership con primari gruppi media, su piattaforme digitali (Olympique Marsiglia, Lione, Roma, Milan,
Inter, Barcellona, Real Madrid, Chelsea, Manchester United), via cavo (Middlesbrough, partito per primo
nel febbraio 1998) o attraverso Internet (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Leeds United). Alle prospettive
dell'autoproduzione televisiva guardano con interesse anche alcune Leghe professionistiche europee:
Inghilterra, Germania, Scozia, Belgio, Danimarca. Il palinsesto standard dei canali autoprodotti è costituito
dalle telecronache integrali delle partite (attualmente in differita per tutelare l'esclusiva delle emittenti che
hanno acquistato i primi diritti del Campionato), da brevi estratti riassuntivi (highlights), notiziari, interviste,
immagini di archivio, cronache degli allenamenti, partite delle squadre giovanili, che consentono
agevolmente di coprire 6-12 ore di programmazione giornaliera. In prospettiva, con la definitiva
affermazione delle modalità di trasmissione a banda larga, l'utilizzo di Internet da parte di Leghe e club
calcistici come canale di diffusione delle immagini diventerà preponderante. Secondo un'inchiesta
realizzata nel 1999 daGlobeCast, il 68% degli operatori della televisione e dei dirigenti delle grandi
organizzazioni sportive ritiene che, entro il 2009, Internet diventerà la principale piattaforma di
distribuzione dei contenuti sportivi, prendendo progressivamente il posto della televisione a pagamento. I
grandi vantaggi di Internet sono rappresentati dalla sua utenza mondiale, dal carattere non mediato e
fortemente interattivo della comunicazione e dai costi di avviamento, sviluppo e gestione notevolmente
inferiori a quelli di una piattaforma televisiva, che lo rendono un canale di comunicazione facilmente
accessibile a club, Federazioni e Leghe sportive.
Calcio e Sponsor di Marco Brunelli
Se il calcio è, in Europa e nel mondo, lo sport più diffuso, più praticato, più seguito in televisione e più letto
sui giornali, appare naturale che a esso si rivolgano con sempre maggiore insistenza le aziende che hanno
bisogno di promuovere la propria immagine o i propri prodotti. Tutte le ricerche di mercato più recenti
sono, tuttavia, d'accordo nell'affermare che la straordinaria forza del calcio come veicolo di comunicazione
non dipende solo dall'ampiezza della sua audience, ma soprattutto dalla qualità del pubblico che esso
riesce ad attirare. Gli appassionati di calcio sono fedeli come nessun altro consumatore, assidui, attenti,
partecipi fino in fondo di ciò che vedono e sentono, passionali, inclini a lasciarsi coinvolgere emotivamente.
Il pubblico del calcio è, per definizione, il più trasversale che esista: ne fanno parte uomini e donne, giovani
e anziani, persone di tutte le professioni, fasce di reddito e categorie sociali, abitanti di ogni regione del
paese. Tuttavia, come sanno da sempre gli appassionati, i tifosi non sono tutti uguali. Il supporter del
Manchester United è quanto mai diverso da quello del Manchester City. La torcida del Palmeiras non ha
nulla a che vedere con quelle delle altre squadre di San Paolo: Corinthians, San Paolo, Portuguesa. I fans
dell'Arsenal non possono che essere originari di quel quartiere a nord di Londra. I tifosi dell'Athletic di
Bilbao non possono essere confusi con quelli di nessuna altra squadra spagnola. Il calcio è, per questo, uno
dei canali di collegamento con il territorio più efficaci che le aziende hanno a loro disposizione.
Negli ultimi anni le tecniche di segmentazione del mercato applicate al calcio hanno fatto passi da gigante,
consentendo alle aziende di differenziare enormemente il loro approccio a questo canale di marketing,
utilizzandolo in maniera personalizzata, flessibile e mirata. Non solo: gli sponsor si sono resi conto che, pur
nella trasversalità di fondo che caratterizza la loro composizione, gli appassionati di calcio si concentrano
nelle categorie sociodemografiche più ricercate dalle aziende, a cominciare da quelle a più elevato potere
di acquisto. Ciò ha indubbiamente accresciuto l'efficacia del calcio come strumento di comunicazione
commerciale. Secondo uno studio condotto nel 2001 da Oliver & Ohlbaum Associates, il 43% del mercato
europeo delle sponsorizzazioni sportive, pari a 5,5 miliardi di euro nel 2000, è stato destinato al calcio. Tale
dato è confermato da una ricerca realizzata in Italia nel 1999 da Forces, secondo la quale il 53% delle
aziende che scelgono di utilizzare lo sport come veicolo promozionale optano per il calcio.
Il termine 'sponsorizzazione' viene comunemente usato in senso assai ampio. In realtà, la partnership tra
una o più aziende e un club, un'organizzazione calcistica, un testimonial o un evento può assumere forme
molto diverse tra loro. Una prima distinzione fondamentale riguarda sponsorizzazione e pubblicità.
Secondo la definizione contenuta nel Codice delle sponsorizzazioni della Camera di commercio
internazionale (1992) la sponsorizzazione è "ogni forma di comunicazione per mezzo della quale uno
sponsor fornisce contrattualmente un finanziamento o un supporto di altro genere, al fine di associare
positivamente la sua immagine, la sua identità, i suoi marchi, i suoi prodotti o servizi a un evento,
un'attività, un'organizzazione o una persona da lui sponsorizzata". Se si considera una definizione piuttosto
comune di pubblicità ("la promozione diretta di un'azienda attraverso l'acquisto di spazio su un mezzo di
stampa o di tempo televisivo o radiofonico, avente quello specifico scopo"), non è difficile notare le
differenze. La pubblicità consiste nel veicolare un messaggio costruito ad hoc, con una collocazione molto
precisa in termini di tempo e di spazio di esposizione (quell'orario televisivo, quella pagina di giornale);
inoltre, la natura del messaggio pubblicitario permette di soffermarsi sulle qualità intrinseche del prodotto
o servizio reclamizzato, arricchendo la comunicazione di contenuti informativi specifici, ma il messaggio
resta chiaramente distinto dal contenitore che lo ospita, al punto che si può leggere il giornale o guardare la
trasmissione televisiva ignorando la pubblicità. Al contrario, la sponsorizzazione crea un'associazione molto
forte tra azienda e sponsorizzato, che finiscono per identificarsi nella mente
dell'appassionato/consumatore.
L'atteggiamento favorevole del tifoso si confonde così con la predisposizione all'acquisto del cliente. Perché
ciò accada, l'abbinamento deve essere credibile, ovvero sponsor e sponsorizzato devono esprimere gli
stessi valori. L'entrata massiccia della Opel nel calcio europeo a metà degli anni 1980 traeva origine, per
esempio, dalla decisione della casa tedesca di lanciare una gamma di auto più moderne e giovanili di quelle
prodotte sino a quel momento, puntando sul calcio e sulla sua immagine giovane, dinamica, moderna,
eccitante per rinnovare la propria identità, mentre i principali concorrenti di gamma alta sceglievano il golf,
la vela o il tennis.
Con la sponsorizzazione, inoltre, le aziende parlano simultaneamente a tutte le categorie di interlocutori
istituzionali, mentre la pubblicità si rivolge a un target definito (gli spettatori televisivi, i lettori del giornale).
Attraverso un mix molto ampio di soluzioni (esposizione del marchio, utilizzo degli atleti per iniziative sul
territorio, uso a fini commerciali o di relazioni pubbliche del sito Internet dello sponsorizzato, aree riservate
allo stadio per i propri ospiti o dipendenti), una sponsorizzazione può essere di grande aiuto per migliorare
le relazioni dell'azienda con i clienti, i dipendenti, la forza vendita, i media.
Perché dieci grandi aziende accettano di pagare 65 milioni di dollari a testa per diventare per quattro
anni Top Partner del Comitato olimpico internazionale, sapendo che il loro nome e il loro logo non verranno
visti a bordo campo in nessuna delle gare delle Olimpiadi? La risposta sta nella possibilità di stampare i
cinque cerchi olimpici su ogni prodotto e comunicazione dell'azienda, usufruire di spazi pubblicitari dedicati
sulla stampa e la televisione olimpica, partecipare con un ruolo di rilievo a promozioni ed eventi speciali,
invitare ospiti di riguardo alle gare olimpiche, ma anche utilizzare la partecipazione agli eventi olimpici per
motivare e incentivare il personale dell'azienda: in altre parole, associare in esclusiva il proprio nome al
simbolo più prestigioso e famoso che ci sia, tutte le volte che un cliente, in qualsiasi parte del mondo, entra
in contatto con l'azienda.
Tutto ciò non significa che la pubblicità applicata al calcio sia una forma meno diffusa ed efficace di
comunicazione: il costo di uno spot televisivo durante un grande evento calcistico o di una pagina di
pubblicità su un quotidiano sportivo del lunedì sono tra i più elevati delle rispettive categorie. Forme di
pubblicità tradizionali come quella sui biglietti di ingresso agli stadi, i cartelloni a bordo campo o i
programmi e le riviste ufficiali dei club fanno ormai parte di qualsiasi pacchetto di comunicazione proposto
agli sponsor. Infine, l'industria specializzata guarda con grande interesse alle nuove opportunità offerte
dalla pubblicità su Internet oppure da quella cosiddetta 'virtuale' in televisione.
Una classificazione standard delle sponsorizzazioni, sulla quale sono modellati gran parte dei pacchetti
offerti dalle organizzazioni sportive alle aziende, distingue tra sponsor principale, sponsor tecnico (nel caso
delle squadre e degli atleti), altre categorie di sponsor di livello inferiore (sponsor istituzionali, partner
ufficiali ecc.), fornitori ufficiali e licenziatari.
Per sponsor principale si intende lo sponsor che, in cambio del corrispettivo più elevato, ottiene, in via
esclusiva, i maggiori benefici in termini di visibilità, riconoscibilità, sviluppo di iniziative di comunicazione in
partnership con il soggetto sponsorizzato: per esempio, il diritto di apporre il proprio nome sulle divise da
gioco.
In Europa, la prima Federazione ad autorizzare la comparsa dei marchi pubblicitari sulle maglie da calcio fu
quella francese, nel 1968. Di lì a poco seguirono il Belgio e la Germania, mentre l'Inghilterra, l'Italia, la
Spagna e l'Olanda si uniformarono solo all'inizio del decennio successivo. In Italia la decisione fu presa nel
1981, sotto la presidenza della Lega nazionale professionisti di Renzo Righetti, in un momento di particolari
difficoltà finanziarie per i club. Da allora, in venti stagioni sportive, 313 diversi marchi si sono alternati sulle
divise dei club di serie A e B.
L'introduzione ufficiale degli sponsor sulle maglie era stata preceduta dalla comparsa delle inserzioni sui
programmi delle partite (segnalata in Inghilterra già nel 1890), dalla sponsorizzazione dei nuovi stadi (White
Hart Lane, stadio del Tottenham, nel 1914), dalla pubblicità sui biglietti e sui cartelloni dentro e fuori lo
stadio (presenti in Francia nel primo dopoguerra) e dall'utilizzo dei calciatori come testimonial pubblicitari
(Meazza e Monzeglio negli anni Trenta in Italia; Compton, Finney e Wright alla fine degli anni Quaranta in
Inghilterra). A dire il vero, nel calcio italiano, gli sponsor sulle maglie erano già arrivati nel 1953, con
l'abbinamento tra il Vicenza e la ditta Lanerossi. Ma si trattò di una parentesi breve, frutto del vuoto
normativo dell'epoca, mentre già da tempo le sponsorizzazioni erano presenti in altre discipline sportive
(Reyer Società Scherma e Ginnastica Venezia, dal 1914; Olimpia Borletti Milano, dal 1936) e proprio in
quegli anni si affacciavano nel ciclismo.
Negli sport di squadra diversi dal calcio allo sponsor principale viene spesso concesso anche il diritto di
abbinare il proprio nome a quello del club, che assume così la denominazione (e sovente anche i colori)
dell'azienda. Il fenomeno è molto meno frequente nel calcio, anche se non mancano esempi storici in tal
senso: oltre al già citato Lanerossi Vicenza, il Simmenthal Monza, l'Ozo Petroli Mantova, lo Zenith Modena,
la Sarom Ravenna, il Talmone Torino tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta in
Italia; l'Inter Cable Tel di Cardiff, in Galles, qualificatasi per la Coppa UEFA nel 1997-98.
Negli ultimi anni, diversi club calcistici europei hanno invece ceduto agli sponsor la titolazione dei loro stadi,
secondo una prassi invalsa da quarant'anni nello sport professionistico statunitense ‒ dove il mercato
dei naming rights vale ormai 3 miliardi di dollari, con oltre 200 esempi ‒ e che si è affermata anche in
Australia (Victoria, Sydney), Nuova Zelanda (Auckland) e Sudafrica (Johannesburg). Attualmente, vi sono
impianti che portano il nome di aziende in Inghilterra (Bolton, Middlesbrough, Stoke City, Southampton),
Germania (Amburgo, Leverkusen), Olanda (Eindhoven, Breda, Rotterdam), Austria (Salisburgo) e Finlandia
(Helsinki).
Analogamente, molte Leghe e Federazioni hanno tratto significative entrate dalla sponsorizzazione della
principale manifestazione calcistica organizzata. Il Campionato assume il nome dello sponsor in Austria,
Belgio, Bulgaria, Finlandia, Inghilterra (dal 1983), Irlanda, Islanda, Italia, Norvegia, Olanda, Repubblica Ceca,
Scozia, Slovacchia e Slovenia. L'investimento più oneroso è certamente quello sostenuto dal 2001-02 da
BarclayCard per dare il proprio nome alla Premier League inglese: 48 milioni di sterline per tre anni.
Lo sponsor tecnico è chi, in cambio di riconoscibilità e visibilità, fornisce a un club, atleta o organizzazione
sportiva i materiali strettamente necessari per lo svolgimento della propria attività: nel caso del calcio,
abbigliamento da gioco e da allenamento, scarpe, palloni. Naturalmente, tra i privilegi garantiti allo sponsor
c'è quello dell'esclusiva merceologica. Da alcuni anni, i contratti di sponsorizzazione tecnica per i top
teams europei hanno superato in durata e importo quelli con gli sponsor ufficiali: pochi mesi dopo avere
concluso il contratto di sponsorizzazione più ricco della storia del calcio con Vodafone (30 milioni di sterline
per quattro anni), il Manchester United ha stretto con Nike un accordo per 13 stagioni, del valore
complessivo di 303 milioni di sterline. Nella stagione 1999-2000 le sponsorizzazioni tecniche e gli accordi di
licenza e fornitura hanno per la prima volta superato il 50% del totale delle entrate da sponsorizzazioni
delle società di serie A (solo due anni prima erano meno del 40%). Alla base di tale sviluppo c'è il ricco giro
d'affari delmerchandising delle divise ufficiali: nel caso del Manchester United, la Nike potrà ora gestire
direttamente un mercato che, nel 2001, ha assicurato al club oltre 35 milioni di euro all'anno, grazie a 50
milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo, una presenza commerciale radicata in Asia, un accordo di
partnership con i New York Yankees e clienti in oltre 40 paesi.
Gli sponsor istituzionali e i partner ufficiali, a differenza dello sponsor principale, non hanno un'esclusiva
assoluta ma solo per settore merceologico e dispongono di una gamma più ristretta di opportunità
associate al club o all'evento sponsorizzato.
I fornitori ufficiali sono coloro che forniscono all'organizzazione sportiva determinati beni o servizi, in
cambio del riconoscimento ufficiale di tale ruolo, che esercitano in maniera esclusiva all'interno del proprio
settore merceologico, e di una gamma di opportunità di comunicazione più limitata rispetto a quelle delle
categorie precedenti di sponsor. I licenziatari sono aziende che hanno acquisito il diritto di realizzare e
commercializzare prodotti, generalmente di largo consumo, utilizzando il marchio, i colori e il nome del
club, dell'evento o dell'organizzazione sportiva, in cambio del pagamento di una royalty.
Da alcuni anni, a quelle appena elencate si è aggiunta la categoria dei media sponsors. Si tratta di emittenti
radio e televisive, giornali e aziende Internet che, in cambio di investimenti in denaro o, più spesso, della
messa a disposizione di tempo e spazio pubblicitario, ottengono gli stessi riconoscimenti di una delle
categorie di sponsor secondari.
Secondo la Lega nazionale professionisti, nel 2000 le società di serie A e B hanno concluso 759 accordi di
partnership non classificabili come sponsorizzazioni principali o tecniche, denominandoli in 26 maniere
diverse, da 'Gold Partner' a 'Sponsor Sala Vip', per un valore complessivo di 89 miliardi di lire.
Tra le forme più innovative di collaborazione tra aziende e organizzazioni sportive rientrano le attività
di hospitality. La possibilità di invitare e intrattenere clienti importanti, ospiti di riguardo, agenti di vendita o
personale dell'azienda in occasione di eventi sportivi di richiamo, avendo a disposizione aree riservate allo
stadio, servizi di parcheggio, ristorazione e altre attività pre-partita dedicate, viene sempre più spesso
utilizzata dalle aziende a fini di pubbliche relazioni. Questa opportunità, che è da molto tempo fonte di
ingenti risorse finanziarie per i club professionistici americani, è ampiamente diffusa tra i club inglesi e
olandesi, mentre stenta ancora a decollare altrove, soprattutto per le carenze infrastrutturali degli stadi.
Nel 2000 in Inghilterra il giro d'affari dell'ospitalità aziendale (non solo legata allo sport) è stato di 1,2
miliardi di euro, quasi sette volte il valore di due anni prima. Il Manchester United ricava il 40% delle sue
entrate da stadio dall'affitto alle aziende dell'11% dei 67.000 posti dell'Old Trafford.
Secondo stime effettuate da SRI (Sponsorship research international), nel 1999 in Europa il 59% delle
sponsorizzazioni calcistiche ha avuto per destinatari dei club, il 32% eventi, il 7% accordi di partnership o
fornitura ufficiale e il 2% singoli atleti. Nel 1999-2000, secondo le stime della Lega nazionale professionisti,
le entrate da sponsorizzazioni, pubblicità e altre attività commerciali (pari a 1350 milioni di euro) hanno
rappresentato in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Olanda e Spagna il 32% del fatturato dei club
calcistici di prima divisione, dietro i diritti televisivi (42%), ma prima dei biglietti (26%). Il dato aggregato
nasconde situazioni molto diverse da paese a paese. La Germania è la nazione nella quale i contratti di
sponsorizzazione raggiungono i valori più elevati: complessivamente, le partnership commerciali
rappresentano il 44% delle entrate dei club. In Inghilterra questo dato non supera il 35%, ma la
diversificazione delle entrate commerciali non ha uguali in Europa, grazie allo sviluppo del merchandising e
all'utilizzo polifunzionale degli stadi. Un club non di primissimo piano come l'Aston Villa ha ricavato, nel
2000, 9,2 milioni di euro da sponsorizzazioni e ospitalità, 8,1 milioni da merchandising e 5 da attività di
ristorazione e conferenze, contro i 16,6 da diritti televisivi, su un fatturato totale di 57,8. Al contrario la
Spagna (anche per la tradizione di alcuni club importanti, come Barcellona e Athletic Bilbao, di non ospitare
alcun marchio commerciale sulla divisa da gioco), l'Italia e la Francia sono i paesi dove lo sviluppo delle
entrate commerciali è stato, fino a oggi, sopravanzato da quello dei diritti televisivi. Tanti segnali indicano
che questa tendenza potrebbe invertirsi nel prossimo futuro: molti mercati televisivi appaiono ormai saturi,
mentre le ultime stagioni sono state caratterizzate da una sensibile crescita del valore complessivo dei
contratti pubblicitari, che sicuramente riequilibrerà il peso attualmente detenuto dai diritti televisivi nei
bilanci di molte società. Secondo un rapporto dell'istituto tedesco Sport+Markt AG, nella stagione 2001-02
le sole entrate da sponsor ufficiali delle 112 società partecipanti ai Campionati di prima divisione di Francia,
Germania, Inghilterra, Italia, Olanda e Spagna hanno superato i 301 milioni di euro, con un incremento del
22% rispetto al 2000-01. A trascinare il mercato sono stati soprattutto i club francesi e inglesi, le cui entrate
da sponsor principali sono cresciute rispettivamente del 98% (grazie al boom della multisponsorizzazione) e
del 67%, mentre la Germania si conferma il mercato più ricco con 4,4 milioni di euro spesi in media per ogni
contratto. In Premier League vi sono oggi tre dei cinque contratti di sponsorizzazione più ricchi d'Europa
(Manchester United-Vodafone, primo in assoluto; Chelsea-Emirates Airline; Liverpool-Carlsberg).
Alcuni dei recenti rinnovi contrattuali riflettono chiaramente l'accentuazione della natura 'globale' degli
investimenti nel calcio: Nike al posto di Umbro (Manchester United); Emirates Airline di Autoglass
(Chelsea); Siemens di Cirio (Lazio). Tuttavia, la strategia di penetrazione su più mercati attraverso
l'abbinamento del proprio nome con club calcistici di diversi paesi sembra ancora limitata a un numero
ristretto di casi: nel 2001, gli unici marchi che comparivano sulle maglie di club di almeno due dei cinque
Campionati più importanti d'Europa erano Opel (3 club), Sega/Dreamcast (3) e Siemens (2). Più spesso le
sponsorizzazioni rispondono a una logica prettamente nazionale. In qualche caso, addirittura, lo sponsor
principale del Campionato è diverso da quello delle Coppe Europee. Molti marchi 'globali' preferiscono non
legare il proprio nome a una sola società per paese, ma decidono di sponsorizzare eventi di risonanza
nazionale o internazionale o, al limite, diventare partner ufficiali di raggruppamenti molto ampi di club.
Aziende come Coca Cola o McDonald's, per esempio, tendono da sempre ad apparire come la bevanda o il
ristorante 'del calcio', nell'accezione più ampia del termine, piuttosto che lo sponsor di una singola squadra.
Sempre di più queste aziende utilizzano anche grandi campioni, scelti per la loro immagine positiva e la
popolarità che si estende oltre il naturale bacino di tifosi della squadra di appartenenza, come propri
testimonial. Se il trend di questi ultimi anni verrà confermato (secondo un autorevole quotidiano inglese, i
diritti di immagine delle quattro stelle della Premier League, Owen, Beckham, Keane e Giggs, valgono
attualmente quasi 40 milioni di euro totali), anche il calcio potrà rapidamente raggiungere le vette già
toccate dal mercato dell'endorsement in sport come il tennis, il golf, l'automobilismo o il basket NBA.
L'approccio multinazionale è più evidente tra gli sponsor tecnici di squadre o atleti: nel 2001, Adidas, Nike e
Puma hanno firmato l'abbigliamento di 36 club di prima divisione in Francia, Germania, Inghilterra, Italia e
Spagna. Ma si tratta di una scelta quasi obbligata in presenza di un ristretto numero di grandi aziende
produttrici che si contendono quote di mercato su scala mondiale. Anche in questo campo, tuttavia, sono
numerosi gli esempi di strategie autarchiche, soprattutto in Spagna, Germania e Inghilterra, dove tre
società (Coventry, Ipswich e Southampton) producono, e vendono, addirittura in proprio le maglie da
gioco.
Allo stesso modo, sembrano connotarsi in maniera 'nazionale' anche i settori di attività economica che si
legano più facilmente al calcio: l'industria alimentare in Italia, le banche locali in Spagna, i fabbricanti di
birra e le aziende di telecomunicazioni in Inghilterra, le aziende di telefonia e giochi elettronici in Francia.
Giova notare, in conclusione, come la crescita del mercato delle sponsorizzazioni calcistiche non sia stata
accompagnata, se non in casi sporadici, da due fenomeni piuttosto frequenti nelle altre discipline di
squadra: da un lato, l'identificazione dei club con i nomi e i colori delle aziende che li sostengono; dall'altro,
l''effetto marmellata' dato dalla presenza, spesso indistinguibile, di una molteplicità di marchi sulle maglie
dei ciclisti o le tute dei piloti di Formula 1.
Pur senza arrivare alla regola degli sport professionistici americani, dove gli sponsor non hanno a
disposizione le divise da gioco, le principali Leghe e Federazioni calcistiche europee regolamentano in
maniera molto severa gli spazi a disposizione delle aziende. Fanno eccezione le maglie dei club francesi e di
alcuni altri paesi, come Austria e Norvegia, dove si è cercato di sopperire alla povertà dei diritti televisivi
moltiplicando le opportunità offerte agli sponsor.
SITOGRAFIA: http://www.treccani.it/enciclopedia/calcio-la-storia-del-calcio_(Enciclopedia-dello-Sport)/
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