Mappe dello spazio /tempo - "E. Fermi"

S
P
E
C
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A
L
Mappe
dello
spazio
/tempo
NON C’È DIFFERENZA
TRA IL TEMPO E UNA QUALSIASI
DELLE TRE DIMENSIONI DELLO SPAZIO,
TRANNE CHE LA NOSTRA COSCIENZA
SI SPOSTA LUNGO DI ESSO.
H.G. Wells
A cura di Danilo Santoni
I
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Il tempo è sempre stato uno degli aspetti principali della cultura
umana, poter prevedere eventi
futuri o poter modificare eventi
passati sono state due delle
massime aspirazioni dell'uomo.
Conseguenza "naturale" di queste due aspirazioni è il sogno del
viaggio nel tempo, un sogno che
sotto l'aspetto prettamente scientifico non può essere
negato ma che, praticamente, tende a restare solo e
semplicemente un'aspirazione e una vana speranza.
Sotto l'aspetto culturale sono molte le opere che si
sono interessate al soggetto e lo hanno fatto sotto
angolature diverse, anche se, sfruttata la novità iniziale del viaggio in se', gli autori hanno preferito analizzare e sviscerare i problemi che l'eventuale viaggio potrebbe comportare, i cosiddetti paradossi temporali.
Il viaggio temporale anche se è stato analizzato durante tutto l'arco della produzione artistica umana, è un
concetto prettamente moderno.
Uno dei primi classici esempi del genere è forse A
Christmas Carol di Charles Dickens (1843) dove il protagonista guidato dal fantasma del Natale A Venire
scopre la misera condizione del proprio futuro e può
crearsi delle nuove possibilità modificando degli elementi del suo presente.
In queste opere iniziali il viaggio avviene essenzialmente
attraverso l'induzione del sonno e sono soprattutto
narrazioni cha hanno poco a che fare con il viaggio
temporale così come lo concepiamo attualmente; gli
eventi servono soprattutto come pretesto all'autore per
analizzare la società contemporanea commentandone le linee di tendenza.
Cronopiste
Danilo Santoni
Mack Reynold, Looking
Backward, from the Year 2000
(1973)
Larry Niven, A World Out of Time
(1976)
Wilson Tucker, The Year of the
Quiet Sun (1970)
Sempre da H. G. Wells viene la
possibilità di realizzare un diverso tipo di viaggio nel
tempo: il viaggiatore rallenta o ritarda il proprio invecchiamento rispetto al resto dell'umanità, "The New
Accelerator" (1901).
Arthur C. Clarke, "All the Time in the World" (1952)
Eric Frank Russell, "The Waitabits" (1955)
John D. McDonald, The Girl, The Gold Watch, &
Everything (1962)
Brian Aldiss, Cryptozoic (1967)
Philip K. Dick, Counter-Clock World (1967)
Philip K. Dick, Ubik (1969).
Gli autori sono stati attratti anche dalla possibilità del
viaggio nel passato, con particolare riferimento all'impossibilità di far ritorno al proprio tempo o alle conseguenze derivanti dalla conoscenza scientifica del viaggiatore rispetto all'arretratezza del mondo visitato.
Anonimo, "Missing One's Coach" (1838)
dgar Allan Poe, "A Tale of the Ragged Mountains"
(1843)
Mark Twain, A Connecticut Yankee in King Arthur's
Court (1889)
Wallace Cook, Marooned in 1492 (1905)
Jack London, Before Adam (1906)
H. Rider Haggard, The Ancient Allan (1920)
H. Rider Haggard, Allan & The Ice Gods (1927)
Olaf Stapledon, Last & First Man (1930)
L. Sprague de Camp, Lest Darkness Fall (1941)
John Taine, The Time Stream (1946)
Robin Carson, Pawn of Time (1957)
L.S. Mercier, L'an deux mille quatre cent quarante
(1771)
Washington Irving, "Rip Van Winkle" (1819)
William Henry Hudson, A Crystal Age (1887)
Edward Bellamy, Looking Backward (1888)
Edwin Lester Arnold, Wonderful Adventures of Phra
the Phoenician (1890)
Alvarado Fuller, A.D. 2000 (1890)
H.G. Wells rappresenta uno spartiacque preciso nello
George Allan England, Darkness and Dawn (1914) sviluppo del viaggio temporale in letteratura: la sua inVictor Rousseau, The Apostle of the Cylinder (1917) venzione di u mezzo di trasporto in The Time Machine
(1895) fornì al viaggiatore la possibilità di controllare in
Un sottogenere del viaggio temporale è rappresentato avanti e indietro il proprio viaggio. Va detto, comunque,
dalla sospensione criogenica; l'opera di partenza è sta- che Wells non fu il primo a pensare ad una macchina
ta Dix mille ans dans un bloc de glace (1889) di Louis del tempo in quanto alcuni anni prima Edward Page
Boussenard anche se il concetto era stato presentato Mitchell in "Clock That Went Backward" (1881) immaper primo da W. Clark Russell con The Frozen Pirate ginò un mezzo di trasporto nel viaggio temporale (un
(1887). La prima macchina per la sospensione anima- orologio rotto che se caricato all'indietro trasportava i
ta fu ideata da H.G. Wells in When the Sleeper Awakes protagonisti indietro nel tempo). La novità dell'opera di
(1898). Il concetto fu poi usato da Philip Francis Nowlan Wells ebbe una grossa influenza sugli scrittori pulp di
per inviare Anthony "Buck" Rogers nel XXV secolo fantascienza.
("Armageddon 2419", Amazing, 1928).
Raymond Cummings, The Man Who Mastered Time
Edmund Hamilton, The Star of Life (1959)
(1924)
Rex Gordon, First Through Time (1962)
Raymond Cummings, The Shadow Girl (1929)
Roger Zelazny, "The Graveyard Heart" (1964)
Raymond Cummings, The Exile of Time (1931)
Frederick Pohl, Age of Pussyfoot (1968)
Murray Leinster, "The Fourth Dimensional
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Demonstrator" (1935)
Le storie sul viaggio temporale si fecero sempre più
popolari anche se gli scrittori non erano interessati tanto
a specificare gli aspetti tecnici quanto ad inserire in
protagonisti in mondi strani ed insoliti o in era del passato.
futuro) causando una frattura nel flusso di eventi storici. Il paradosso temporale più famoso è forso quello
"dell'avo": un viaggiatore che uccide il proprio nonno
causando così la propria non-nascita [analizzato per
primo da Nathan Schachner in "Ancestral Voices"
(1933)]
L. Sprague de Camp, "Language for Time Travellers"
(1938)
Willy Ley, "Geography for Time Travellers" (1939)
Anthony Boucher, "Barrier" (1942)
I. Masson, "A Two-Timer" (1966)
Connie Willis, "Doomsday Book" (1992)
Ralph Milne Farley, "The Man Who Met Himself"
(1935)
David Daniel, "The Branches of Time" (1935)
Robert Heinlein, "By His Bootstraps" (1941)
William Tenn, "Me, Myself and I" (1947)
William Tenn, "The Brooklyn Project" (1948)
Arthur C. Clarke, "Time's Arrow" (1950)
Ray Bradbury, "A Sound of Thunder" (1952)
Robert Sheckley, "A Thief in Time" (1954)
Poul Anderson, "Delenda Est" (1955)
E.C. Tubb, "Thirty-Seven Times" (1957)
Maurice Vaisberg, "The Sun Stood Still" (1958)
Robert Heinlein, "All You Zombies" (1959)
Harry Harrison, The Technicolor Time Machine
(1967)
Robert Silverberg, Up the Line (1968)
Ross Rocklynne, "Time Wants a Skeleton" (1968)
David Gerrold, The Man Who Folded Himself (1973)
Robert Sheckley, "Slaves of Time" (1974).
C.L. Moore, sotto lo pseudonimo di Lawrence
O'Donnell, fu il primo a proporre con "Vintage Season"
(1946) la possibilità di usare il viaggio temporale da
parte dell'industria turistica come offerta di un viaggio
verso eventi particolari della storia umana
L'idea che piccoli cambiamenti nel passato possano
dar vita a veri e propri stravolgimenti del futuro ha portato alcuni autori ad immaginare la realizzazione di
squadre di 'polizia temporale' addetta proprio al mantenimento del filone originale del continuum storico.
John W. Campbell, "Twilight" (1932)
John W. Campbell, "Night" (1935)
P. Schuyler Miller, "The Sands of Time" (1937)
Henry Kuttner, "The Time Trap" (1938)
Pohl - Kornbluth, "Trouble in Time" (1939)Poul
Anderson, "The Man Who Came Early"
(1956)Theodore L. Thomas, "The Doctor" (1967)
Il diffondersi del concetto del viaggio temporale ha generato anche una riflessione sulle problematiche connesse alla realizzazione del viaggio temporale
T. L. Sherred, "E for Effort" (1947)
Isaac Asimov, "The Dead Past" (1956)
Arthur Porges, "The Rescuer" (1962)
Harry Harrison, "Famous First Words" (1965)
Michael Moorcock, Behold the Man (1965)
John Brunner, The Productions of Time (1967)
Gary Kilworth, "Let's Go to Golgotha" (1975)
Gore Vidal, Live From Golgotha (1992)
Jack Williamson, The Legion of Time (1938)
H. Beam Piper, "Paratime Police" ["Police
Operation" (1948), "Last Enemy" (1950), "Temple
Trouble" (1951), "Time Crime" (1952), Lord
Kelvan of Otherwhen (1965)]
Charles Harness, The Paradox Men (1949)
Poul Anderson, The Guardians of Time (1960)
oul Anderson, The Corridors of Time (1965)
Larry Maddock, "Agent of T.E.R.R.A"
Keith Laumer, Dinosaur Beach (1971)
L'uso del viaggio verso il passato spesso è giustificato
anche per presentare persone famose nella cultura
umana
Un altro aspetto delle conseguenze dei traffici col tempo è rappresentato proprio dai problemi che seguono
Manly Wade Wellman, Twice in Time (1957)
alle modifiche: terremoti temporali, guerre...
Wilson Tucker, The Lincoln Hunters (1957)
Robert Silverberg, "Assassin" (1957)
John Varley, Millennium (1982)
Kit Reed, "Mister Da V" (1962)
Simon Hawke, Time Wars (1984 -1991)
Ian Watson, "The Very Slow Time Machine" (1978)
Robert Adams, Castaways in Time (1984)
Robert Silverberg, "Enter a Soldier" (1989)
Comunque, nonostante la grossa produzione di opere
La possibilità di mettersi in contatto con persone od sul viaggio temporale e sulle sue conseguenze, sono
eventi cardine della storia umana ha dato vita ad un molto scarse le occasioni di incontrare opere che anasottogenere delle storie sul viaggio temporale che len- lizzino in modo approfondito la dinamica stessa del
tamente sono diventate dominanti nel panorama della viaggio e i problemi tecnici che esso presenta.
produzione più moderna: si tratta di quel sottogenere
che analizza l'esistenza dei paradossi temporali che
Larry Niven, "The Theory and Practice of Time
nascono dalla possibilità di cambiare, accidentalmenTravel"
te o intenzionalmente, un evento del passato (o del
Connie Willis, "Doomsday Book" (1992)
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mappe dello spazio/tempo
Il tempo quantistico non
attende il cosmo
asimmetriche per le equazioni,
ma solo se sia il Big Bang che il
Big Crunch siano altamente diIl concetto intrigante che il temsordinati, con l’Universo più orpo potrebbe muoversi all’indietro
dinato al centro della propria vita.
John Gribbin
al collassare dell’Universo è enL’osservazione della radiazione
trato in crisi. Raymond Laflamme,
di fondo delle microonde
del Los Alamos National
cosmiche mostra che l’UniverLaboratory nel New Mexico, ha
so è emerso dal Big Bang in uno
eseguito un nuovo calcolo che suggerisce che l’Uni- stato particolarmente piano ed uniforme. Ciò scarta le
verso non può prendere il via in modo uniforme, attra- soluzioni sulla simmetria temporale. L’implicazione è
versare un ciclo di espansione e collassare finendo in che anche se la presente espansione dell’Universo si
uno stato uniforme. Potrebbe iniziare come disordina- inverta, il tempo non torni indietro e le tazze rotte non
to, espandersi e poi tornare a collassare nel disordine. inizieranno a riassemblarsi.
Ma, poiché i dati di COBE mostrano che il nostro Universo è nato in uno stato piano ed uniforme, questa
E' possibile il viaggio nel tempo?
possibilità simmetrica non può essere applicata all’Universo reale.
In uno degli sviluppi più sfrenati degli ultimi decenni
I fisici sono rimasti a lungo interdetti per il fatto che della scienza più seria i ricercatori dalla California a
due "frecce del tempo" distinte puntino entrambe nella Mosca si sono messi ad investigare il viaggio nel temstessa direzione. Nel mondo di tutti i giorni le cose si po. Fino ad ora non si sono messi a costruire macchilogorano: le tazze cadono dal tavolo e si rompono, ma nari del tipo di TARDIS nei loro laboratori, ma hanno
le tazze rotte non si riassemblano mai spontaneamente. realizzato che secondo le equazioni della teoria geneNell’Universo in espansione nel suo insieme il futuro è rale della relatività di Albert Einstein (la migliore teoria
la direzione del tempo in cui le galassie vengono allon- su tempo e spazio che abbiamo), non c’è niente nelle
tanate.
leggi della fisica a vietare il viaggio nel tempo. PotrebAlcuni anni fa, Thomas Gold suggerì che queste due be essere estremamente difficile metterlo in pratica,
frecce potrebbero essere collegate. Il che vuol dire che ma non è impossibile.
se e quando l’espansione dell’Universo dovesse invertirsi, allora si invertirebbe anche la freccia quotidiana Suona come fantascienza, ma la cosa è presa in modo
del tempo, con le tazze rotte che si riassemblerebbero. così serio dai relativisti che alcuni di loro hanno propoPiù recentemente queste idee sono state estese nella sto che ci deve essere una legge di natura per prevenifisica quantistica. Qui la freccia del tempo è collegata re il viaggio temporale e di conseguenza prevenire i
al cosiddetto "collasso della funzione d'onda", che av- paradossi che ne conseguono, anche se nessuno ha
viene, per esempio, quando l’onda di un elettrone si una benché minima idea su come possa operare una
sposta attraverso il tubo catodico e collassa in una tale legge. Il paradosso classico, naturalmente, accaparticella punto sullo schermo TV. Alcuni ricercatori de quando una persona viaggia indietro nel tempo e fa
hanno cercato di rendere la descrizione quantistica qualche cosa per prevenire la propria nascita (uccidedella realtà simmetrica nel tempo includendo sia lo re la propria nonna da bambina, nell’esempio più sanstato originale del sistema (il tubo catodico prima che guinario, o semplicemente accertandosi che i propri
venga attraversato dall’elettrone) e lo stato finale (il tubo genitori non si mettano mai assieme, come in Ritorno
catodico dopo che è stato attraversato dall’elettrone) al futuro). Questo va contro ogni logica, dicono gli scetin una descrizione matematica.
tici e perciò deve esserci una legge che gli si opponga.
Murray Gell-Mann e James Hartle di recente hanno Più o meno si tratta dello stesso argomento che era
esteso questa idea all’Universo intero. Hanno afferma- usato per provare che il viaggio spaziale è impossibile.
to che se, come molti cosmologi sono propensi a credere, l’Universo sia nato in un Big Bang, si espanda E allora, che cosa ci dicono le equazioni di Einstein
per un tempo finito e poi torni a collassare in un Big se spinte al limite? Come ci si può aspettare la possiCrunch, la teoria quantistica neutrale per quanto riguar- bilità del viaggio temporale coinvolge quelli che sono
da il tempo possa descrivere il tempo che torna indie- gli oggetti più estremi, i buchi neri. E poiché la teoria
tro nella metà in contrazione della sua vita.
di Einstein è una teoria dello spazio e del tempo, non
Sfortunatamente, Laflamme ha mostrato ora che ciò dovrebbe esserci sorpresa alcuna se i buchi neri offronon funzionerebbe. Ha provato che se ci fossero solo no, in principio, un modo per viaggiare attraverso lo
delle piccole inomogeneità presenti nel Big Bang, que- spazio, ma anche attraverso il tempo. Un buco nero
ste dovrebbero allora diventare più ampie durante il comune, comunque, non funzionerebbe. Se un tale
periodo di vita dell’Universo sia nella fase d’espansio- buco nero si fosse formato da un grumo di materiale
ne che in quella di contrazione. "Un Universo a bassa non rotante, se ne starebbe semplicemente nello spaentropia al Big Bang non può tornare alla bassa entropia zio ad inghiottire tutto ciò che gli arriva a tiro. Al cuore
al Big Crunch" (Classical and Quantum Gravity, vol 10 di un tale buco nero c’è un punto conosciuto come
p L79). Egli ha trovato soluzioni temporalmente singolarità, un punto dove spazio e tempo cessano di
Il Viaggio nel Tempo
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esistere e la materia è compressa fino ad una densità
infinita. Trenta anni fa Roger Penrose (attualmente alla
Oxford University) ha provato che qualsiasi cosa cadesse in un buco nero di questo tipo sarebbe transitata nella singolarità dalla sua spinta gravitazionale e
tolta di.
sto tipo e passare attraverso l’anello per emergere in
un altro luogo ed in un altro tempo. Questa "soluzione
Kerr" è stato il primo esempio matematico di macchina del tempo, ma allora nessuno la prese sul serio. A
quel tempo non ci fu quasi nessuno che prendesse
seriamente l’idea dei buchi neri e l’interesse nella soluzione Kerr si sviluppò solo negli anni ‘70, dopo che
Ma negli anni ‘60 il matematico neozelandese Roy Kerr gli astronomi scoprirono quelli che sembravano essescoprì che le cose sono differenti se il buco nero è re dei veri buchi neri, sia nella nostra Via Lattea che
rotante. Si forma pur sempre una singolarità, ma sotto nel cuore di altre galassie.
forma di anello, come la menta col buco. In principio
sarebbe possibile immergersi in un buco nero di que- Ciò portò ad una proliferazione di pubblicazioni popolari che dichiaravano, per il disappunto dei relativisti, che il viaggio nel temDoctor Who
po poteva essere possibile. Negli
‘The Doctor’. Doctor Who?
anni’80, comunque, Kip Thorne, del
Doctor Who è stata senza dubbio una delle serie televisive di fantascienza più
CalTech (uno dei principali esperti al
longeve del mondo, trasmessa dalla BBC dal 1963 al 1989. Vi si raccontano le
mondo sulla teoria generale della reavventure di un Time Lord (che nell'arco della programmazione è stato impersonato
latività) ed i suoi colleghi si misero a
da otto differenti attori) in lotta contro nemici umani ed alieni attraverso il tempo e
provare una volta per tutte che tali
lo spazio.
Doctor Who è un Time Lord alieno che proviene dal pianeta Gallifrey (sarà conosciocchezze non erano ammesse resciuto soltanto come ‘The Doctor’. Doctor Who?), una delle sue peculiari carattealmente dalle equazioni di Einstein.
ristiche fisiche è quella potersi 'rigenerare' dopo essere stato colpito a morte e di
Studiarono la situazione da tutte le
poter tornare a vivere in un nuovo corpo con una nuova personalità (uno stratagemparti ma furono costretti alla concluma strutturale che ha giustificato l'uso di otto diversi autori per il personaggio).
sione non tanto gradita che non c’era
Il dottore è fuggito dal proprio pianeta rubando una macchina del tempo (il TARDIS)
che aveva la capacità di assumere la sembianza di un oggetto conguente agli oggetti
realmente nulla nelle equazioni che
del periodo temporale in cui arrivava, ma un guasto la resa permanentemente con la
vietasse il viaggio nel tempo ammesforma di un gabbiotto blu della polizia londinese.
so che si abbia la tecnologia per maAll'inizio la serie era in bianco e nero. L'idea base era quella di un programma
nipolare i buchi neri (e questa è una
educativo, ma questa idea decadde quasi subito con l'apparizione dei Dalek, i malgrossa clausola restrittiva). Accanto
vagi mostri metallici, che furono la spinta per l'immediato successo della serie.
Allorché William Hartnell, il primo dottore, decise di abbandonare la serie fu introalla soluzione Kerr sono permessi aldotto il concetto della rigenerazione (l'evento poteva avvenire 12 volte... gli scenegtri tipi di macchine del tempo da bugiatori si erano premuniti bene!).
chi neri, incluse combinazioni descritDopo il 1989, con la sospensione della serie televisiva furono pubblicate alcune
te con efficace vivacità come
"New Adventures" dalla Virgin books e poi dalla BBC books. Le richieste di un
"wormhole", in cui un buco nero in un
nuovo spettacolo, comunque, continuarono e nel 1996 venne realizzato un film per
la televisione dall'americana Fox television network. Era un episodio pilota per una
determinato luogo e tempo è connespossibile nuova serie, ma l'accoglienza fu piuttosto fredda, soprattutto in America,
so ad un buco nero in un altro luogo e
e il progetto fallì. Nel frattempo la Big Finish iniziò a produrre delle Audio Adentures
un altro tempo (o allo stesso luogo in
che presentavano attori che avevano interpretato precedentemente il ruolo del
un tempo differente) attraverso una
Dottore.
"gola". Thorne ha descritto alcune di
Come per ogni opera cult, le voci di una possibile ripresa continuano a rincorrersi...
queste possibilità in un libro recente,
Black Holes and Time Warps
TARDIS
(Picador), che è stracolmo di informaI signori del tempo usano un tipo di macchina spaziale che viene definita TARDIS
zioni ma tutt’altro che di facile lettu(acronimo di Time And Relative
ra. Ora, Michio Kaku, un professore
Dimension(s) In Space). Naturalmente il
di fisica di New York, si è presentato
Tardis del Doctor Who è un modello così
con una variazione sul tema più acvecchio da non funzionare sempre in modo
cessibile col suo libro Hyperspace
preciso. La struttura del Tardis è trascendentale dimensionalmente, il che vuol dire
(Oxford UP), che (a differenza del liche l'interno è molto più grande del suo
bro di Thorne) include almeno una diesterno. In altre parole, l'interno, che comscussione sul contributo di ricercatoprende una sala di controllo e tutta una
ri come Robert Heinlein nello studio
serie di altre stanze, esiste in una dimendel viaggio temporale. Il Big Bang, la
sione propria, mentre l'esterno è abbastanza piccolo e ha dei circuiti camaleonte che
teoria stringa, i buchi neri e i babytrasformano il suo aspetto per adattarlo
universi, tutti trovano qui menzione,
alla situazione temporale in cui emerge la
ma è il capitolo sul come costruire
macchina del tempo. Durante un viaggio
una macchina del tempo che fornisce
nell'Inghilterra del 1963 i circuiti camalela lettura più affascinante.
onte del Tardis del Doictor Who si sono
rotti e non è stato più possibile sistemarli
è la macchina del tempo si è fissata nella
forma di una cabina blu della polizia.
"La maggior parte degli scienziati, che
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WHO1
William Hartnell
non hanno studiato seriamente le equazioni di
Einstein," afferma Kaku, "liquidano il viaggio temporale come stupidaggini". E poi continua con
lo spiegare perché quei pochi scienziati che
hanno studiato seriamente le equazioni di
Einstein siano meno categorici. La pagina che
preferiamo è quella riempita da un diagramma
che mostra lo strano alberi genealogico di un
individuo che cerca di essere sia il padre di se
stesso/a che la madre di se stesso/a, basato
sul racconto di Heinlein "All you zombies". E la
descrizione di Kaku di una macchina del tempo
è qualcosa che avrebbe fatto felici i fan del Dr
Who e di H.G.:
WHO2
Patrick Troughton
…consiste di due camere con ognuna che
contiene due piatti di metallo paralleli. Gli intensi campi elettrici creati tra ogni coppia di piatti (molto più grandi di
qualsiasi cosa possibile con l’odierna tecnologia) lacera la trama
dello spaziotempo creando un buco nello spazio che collega le
due camere.
WHO3
Jon Pertwee
Avvantaggiandosi della teoria speciale della relatività di Einstein,
che afferma che il tempo scorre lento per un oggetto in movimento, una delle due camere viene poi spedita in un lungo e veloce
viaggio e poi riportata indietro: il tempo trascorrerebbe in modo
diverso ai due capi del wormhole, [e] e chiunque cadrebbe in uno
dei capi del wormhole verrebbe spinto istantaneamente nel passato o nel futuro [allorché emergerebbe dall’altro capo].
WHO4
Tom Baker
WHO5
Colin Baker
WHO6
Peter Davison
WHO7
Sylvester McCoy
WHO8
Paul McGann
6
E tutto questo, è bene sottolineare, è stato pubblicato da scienziati seri su riviste rispettabili del calibro di Physical Review Letters
(non ci credete? Controllate il volume 61, pagina 1446). Comunque, come si sarà notato, la tecnologia richiesta è sorprendente,
in quanto richiede di prendere ciò che ammonta ad un buco nero
per un viaggio attraverso lo spazio ad una frazione che si avvicina
alla velocità della luce. Non abbiamo mai detto che sarebbe stata
una cosa facile! E allora come si aggirano i paradossi? Gli scienziati hanno una risposta anche a questo. E’ ovvio se ci si pensa
sopra, tutto ciò che si deve fare è di aggiungere un contributo
giudizioso dalla teoria quantistica al viaggio temporale permesso
dalla teoria della relatività. Fintanto che si è un esperto in entrambe le teorie si può trovare un modo per evitare i paradossi.
Funziona in questo modo. Secondo un’interpretazione della fisica quantistica (ci sono molte interpretazioni e nessuno sa qual è
quella "giusta", se mai ne esista una), ogni volta che un oggetto
quantistico, come un elettrone, è di fronte ad una scelta, il mondo
si divide per permettergli di accettare ognuna delle possibilità offerte. Nell’esempio più semplice l’elettrone si potrebbe trovare di
fronte ad una parete con due buchi, di modo che potrebbe attraversare un buco o un altro. L’Universo si divide in modo che in una
delle versioni della realtà (un gruppo di dimensioni relative) attraversa il buco sulla sinistra, mentre nell’altra va attraverso il buco
sulla destra. Spinta al limite questa interpretazione afferma che
l’Universo è scisso in copie tendenti all’infinito di se stesso, tutte
variazioni su un tema di base, in cui tutti i risultati possibili di tutti
i possibili "esperimenti" devono accadere in qualche luogo del
"multiverso". C’è quindi, per esempio, un Universo in cui i laburisti
sono al governo da 15 anni e si trovano sotto la minaccia di un
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
risorgente partito Tory guidato dal giovane e vibrante to dalla possibilità di venir scoperto dal vecchio a cui
John Major.
ha rubato la macchina del tempo… fino a che un giorno non comprende che ora è quel vecchio e fa in modo
E come risolve tutto ciò i paradossi? Così. Si suppon- che il suo giovane io "trovi" e "rubi" la macchina del
ga qualcuno che torna indietro nel tempo per uccidere tempo. Una tale visione narcisistica del viaggio tempola propria nonna da bambina. In questo quadro del rale è portata alle sue estreme conseguenze logiche
multiverso si è recato ad un punto di biforcazione della da David Gerrold in The Man Who Folded Himself
storia. Dopo aver ucciso la nonna torna in avanti nel (Random House, 1973).
tempo, ma in un diverso ramo del multiverso. In Questo ramo della realtà non è mai nato, ma non c’è nes- Sono pochi gli sceneggiatori di Dr Who ad aver avuto
sun paradosso in quanto nell’universo della porta ac- l’immaginazione di usare realmente la sua macchina
canto la nonna è viva e vegeta cosicché l’assassino è del tempo in questo modo. Dopotutto sarebbe stata
potuto nascere ed è potuto andare indietro nel tempo una visione piuttosto noiosa se ogni volta che il Dottoper commettere il suo misfatto!
re si sarebbe trovato di fronte ad un disastro sarebbe
entrato nel TARDIS e sarebbe andato indietro nel temAncora una volta sembra fantascienza e ancora una po ad avvertire il suo io precedente di stare alla larga
volta gli scrittori di fantascienza sono arrivati per primi. dal problema incombente. Ma le implicazioni furono
Ma questa idea degli universi paralleli e delle storie esplorate approfonditamente per un pubblico più vasto
alternate come soluzione ai paradossi del viaggio del nella trilogia di Back to the Future (Ritorno al futuro),
tempo si sta prendendo in modo serio da alcuni (an- riportando alla ribalta il punto che il viaggio temporale
che se non molti) ricercatori, incluso David Deutsch, va completamente contro il buonsenso. Ovviamente il
ad Oxford. La loro ricerca riguarda sia il tempo che le viaggio temporale deve essere impossibile. Soltanto
dimensioni relative nello spazio. Non è che se ne po- che il buonsenso è una guida affidabile per la scienza
trebbe ricavare un simpatico acronimo: TARDIS (time quanto il ben noto "fatto" che Einstein se ne è uscito
and relative dimensions in space)?
con l’idea del tempo come la quarta dimensione lo è
per la storia. Rimanendo fedeli alle teorie di Einstein, è
Viaggio nel tempo per principianti
cosa scarsamente di buonsenso il fatto che gli oggetti
siano più pesanti e più corti con l’aumentare della veEsattamente cento anni fa, nel 1895, il classico The locità di spostamento o che gli orologi girino più lentaTime Machine (La macchina del tempo) di H. G. Wells mente. Eppure tutte queste predizioni della teoria delfu pubblicato per la prima volta in volume. Come con- la relatività hanno trovato vita molte volte negli esperiviene al soggetto della materia, era il decimo pre-anni- menti, fino ad un numero impressionante di decimali.
versario della prima pubblicazione, avvenuta nel 1905, E se si guarda con attenzione alla teoria generale deldella teoria speciale della relatività di Albert Einstein. la relatività, la miglior teoria su tempo e spazio che
Fu Einstein, come sa ogni studente, a descrivere per abbiamo, viene fuori che non c’è niente che vieti il viagprimo il tempo come "la quarta dimensione"… ed ogni gio nel tempo. La teoria ammette che il viaggio tempostudente si sbaglia. Fu in verità Wells che scrisse, in rale possa essere cosa molto difficile, a dire il vero,
The Time Machine, che "non c’è differenza tra il Tem- ma non che sia impossibile.
po e una qualsiasi delle tre dimensioni dello Spazio,
tranne che la nostra coscienza si sposta lungo di esso". Forse inevitabilmente fu attraverso la fantascienza che
scienziati seri si convinsero alla fine che il viaggio temDai tempi di Wells e di Einstein, c’è stata una porale poteva essere messo in funzione... da una civilfascinazione letteraria continua col viaggio temporale tà sufficientemente avanzata. Successe così. Carl
e soprattutto coi paradossi che sembrano fronteggiare Sagan, un noto astronomo, aveva scritto un romanzo
qualsiasi autentico viaggiatore temporale (qualcosa che in cui usava l’artificio di un viaggio attraverso un buco
Wells ha trascurato di investigare). L’esempio classi- nero per permettere ai suoi personaggi di viaggiare da
co è il cosiddetto "paradosso della nonna", laddove un un punto vicino alla Terra ad un punto vicino alla stella
viaggiatore temporale causa inavvertitamente la morte Vega. Benché fosse cosciente del fatto che stava piedella propria nonna da bambina, cosicché la madre gando le regole accettate della fisica, era, dopotutto,
del viaggiatore, e di conseguenza lo stesso viaggiato- un romanzo. Comunque, da buon scienziato, Sagan
re, non sarebbe mai nata. Nel qual caso non sarebbe desiderava che la scienza nella sua storia fosse la più
potuto andare indietro nel tempo per uccidere la non- accurata possibile e così chiese a Kip Thorne, un esperna… e via dicendo.
to riconosciuto nella teoria gravitazionale, di controllarla e di consigliargli come poterla stiracchiare. Dopo
Un esempio meno sanguinolento fu fornito in modo aver osservato con attenzione le equazioni non di senspassoso dallo scrittore di fantascienza Robert Heinlein so comune, Thorne si rese conto che un tale wormhole
nel racconto By his bootstraps (che si trova in moltis- attraverso lo spazio tempo poteva realmente esistere
sime antologie di Heinlein). Il protagonista nel raccon- come entità stabile all’interno dello schema della teoto incappa in uno strumento per i viaggi temporali por- ria di Einstein.
tato da un visitatore dal lontano futuro. Lo ruba e si
ritira in una zona del tempo abbandonata, preoccupa- Sagan accettò con gratitudine le modifiche di Thorne
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mappe dello spazio/tempo
al suo romanzesco "star gate" e il wormhole puntualmente apparve nel romanzo, Contact, pubblicato nel
1985. Ma era ancora presentato semplicemente come
una scorciatoia attraverso lo spazio. Né Sagan né
Thorne sul principio si resero conto che ciò che avevano descritto avrebbe funzionato anche come scorciatoia attraverso il tempo. Sembra che Thorne non si sia
mai curato delle possibilità al viaggio temporale aperte
dai wormhole fino a che nel dicembre del 1986 non
andò col suo studente Mike Morris ad un congresso a
Chicago dove uno degli altri partecipanti indicò casualmente a Morris che un wormhole potrebbe anche essere usato per viaggiare indietro nel tempo. Thorne racconta la storia di ciò che accadde in seguito nel suo
libro Black Holes and Time Warps (Picador). Il punto
chiave è che spazio e tempo sono trattati su una base
essenzialmente uguale dalle equazioni di Einstein,
proprio come aveva anticipato Wells. Così un wormhole
che crea una scorciatoia attraverso lo spaziotempo può
collegare sia due tempi differenti che due posti differenti. Senza dubbio un qualsiasi wormhole che si crei
naturalmente, molto probabilmente collegherà due tempi
diversi. Col diffondersi della parola altri fisici, che erano interessanti nelle implicazioni esotiche dello spingere le equazioni di Einstein agli estremi, furono incoraggiati ad esporre pubblicamente le proprie idee una
volta che fu visto che Thorne avallava le investigazioni
sul viaggio temporale e i lavori portarono alla crescita
di un piccolo artigianato di investigazioni sul viaggio
temporale alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni
‘90. La linea principale di tutto questo lavoro è che
mentre è duro vedere come una qualsiasi civiltà possa
costruire dal niente una macchina del tempo sul
wormhole, è molto più semplice immaginare che un
wormhole che si fosse creato in modo naturale potrebbe venir adattato per soddisfare i bisogni del viaggio
temporale da una civiltà sufficientemente avanzata.
"Sufficientemente avanzata", cioè che sia capace di
viaggiare attraverso lo spazio con mezzi convenzionali, localizzare buchi neri e manipolarli con la stessa
facilità con cui manipoliamo la struttura della Terra in
progetti come il Tunnel sotto la Manica.
the Jubilee), che sono viste come giacenti in qualche
modo "vicini" alla nostra versione di realtà.
Posto ciò, c’è un ostacolo. Sembra che non si possa
usare una macchina del tempo per tornare ad un tempo precedente a quello in cui è stata costruita la macchina del tempo. Si può andare dovunque nel futuro e
tornare laddove si è partiti, ma non oltre. Il che spiega
in modo abbastanza pulito il perché nessun viaggiatore temporale dal nostro futuro non ci abbia ancora fatto
visita: perché la macchina del tempo non è stata ancora inventata!
Si tratta dell’ultima svolta in una storia che è iniziata
alla fine degli anni ‘80, allorché Kip Thorne e altri suoi
colleghi al California Institute of Technology suggerirono che sebbene ci possano esserci difficoltà pratiche
considerevoli nel costruire una macchina temporale,
non c’è niente tra le leggi della fisica, così come sono
oggi comprese, a vietarlo. Altri ricercatori hanno cercato di trovare delle falle nelle tesi del gruppo del
CalTech e hanno puntato in particolare verso i problemi che si presentano nel soddisfare una richiesta conosciuta come la "condizione debole di energia", che
afferma che qualsiasi osservatore reale dovrebbe sempre misurare distribuzioni di energia che sono positive.
Ciò esclude alcuni tipi di macchine del tempo teoriche
che comportano il viaggiare attraverso buchi neri mantenuti aperti da materiali ad energia negativa.
Secondo un’interpretazione della teoria quantistica (e
si deve dire che ci sono altre interpretazioni), ognuno
di questi mondi paralleli è reale quanto il nostro e che
c’è una storia alternata per ogni possibile risultato di
ogni decisione che sia mai stata presa. Le storie alternate si diramano da punti di decisione, biforcandosi
infinitamente come i rami e i ramoscelli di un albero
infinito. Per quanto possa suonare bizzarra, questa idea
viene presa seriamente da una manciata di scienziati
(compreso David Deutsch, della University of Oxford).
E di sicuro sistema tutti i paradossi del viaggio temporale.
Nel nostro quadro, se vai indietro nel tempo e impedisci la tua nascita la cosa non ha alcuna importanza, in
quanto da questa decisione crei una nuova diramazione della realtà in cui non sei mai nato. Quando ritorni
avanti nel tempo, ti muovi lungo il nuovo ramo e scopri
che non sei mai esistito, in quella realtà, ma poiché
sei comunque nato e hai costruito la macchina del
tempo nella realtà della porta accanto, non c’è alcun
paradosso.
Difficile da credere? Di sicuro. Contrario al buonsenso?
Naturale. Ma la linea principale è che tutto di questo
comportamento bizzarro è permesso dalle leggi della
fisica e, in alcuni casi, è richiesto da quelle leggi. Mi
chiedo cosa ne avrebbe potuto fare Wells.
Il viaggio temporale torna ad essere all'ordine
del giorno
Le affermazioni che il viaggio temporale sia in teoria
impossibile sono state dimostrate false da un ricercatore israeliano. Amos Ori, del Technion-Israel Institute
of Technology ad Haifa, ha scoperto una falla nelle
argomentazioni presentate di recente da Stephen
Hawking, della Cambridge University, che cercavano
di scartare qualsiasi possibilità di viaggio temporale.
E tutto questo come si comporta rispetto a paradossi
e buonsenso? Ci sarebbe un’uscita a tutte le difficoltà,
ma potrebbe non essere di vostro gradimento. Investe
l’altra grande teoria della fisica del XX secolo, la meccanica quantistica e un’altra idea cara alla fantascienza, i mondi paralleli. Sono le "storie alternate", in cui,
per esempio, il Sud ha vinto la Guerra Civile Americana (come nel romanzo classico di Ward Moore Bring Ci sono anche problemi con macchine del tempo che
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mappe dello spazio/tempo
impiegano la cosiddetta singolarità, punto dove lo spazio e il tempo sono schiacciati fino alla non esistenza
e le leggi della fisica crollano. Ma Ori ha scoperto delle
descrizioni matematiche, all’interno dello schema della teoria generale della relatività, di spaziotempi che si
piegano su se stessi nel tempo ma in cui non appare
nessuna singolarità così presto da poter interferire col
viaggio nel tempo e la condizione debole d’energia è
soddisfatta (Physical Review Letters, vol 71 p 2517).
"Attualmente," afferma, "non si può escludere completamente la possibilità di costruire una macchina del
tempo da materiali con densità di energia positiva."
solve il classico rompicapo quantistico, quello dell’elettrone di fronte a due buchi in uno schermo, "decidendo" quale buco attraversare. Gli esperimenti mostrano
che, anche se un elettrone individuale può solo andare
attraverso un buco, il suo comportamento è influenzato dal se o no il secondo buco sia chiuso o aperto.
L’onda di offerta passa attraverso tutti e due i buchi,
ma l’eco ritorna solo attraverso un buco, quello attraverso cui passa l’elettrone. Così il processo di stretta
di mano prende in esame la presenza di entrambi i
buchi, anche se l’elettrone attraversa soltanto uno di
essi.
Il tempo è un'illusione?
Molti fisici trovano queste idee ripugnanti, perché vanno contro il "buonsenso". Incoraggerebbero, per esempio, speculazioni sul tipo di quelle di Henry Stapp (si
veda Science, XX August) sul fatto che la nostra mente potrebbe influenzare cose che sono già accadute.
La potenza dell’approccio di Price sta nel fatto che
offre un sistema per comprendere come il mondo possa includere un rapporto di causa ed effetto sia in avanti
che all’indietro ad un livello fondamentale pur mostrando di avere una direzione unica da una prospettiva
umana.
Solo per il fatto che noi percepiamo che il tempo fluisce in una direzione vuol forse dire che "ci sia realmente" una differenza tra passato e futuro? La vecchia
questione filosofica è stata riesaminata da Huw Price,
della University of Sydney, nel contesto della meccanica quantistica arrivando alla conclusione che l’idea
che il passato non sia influenzato dal futuro sia un’illusione antropocentrica, una "proiezione della nostra
asimmetria temporale". Permettendo ai segnali dal futuro di svolgere un ruolo nel determinare i risultati degli
esperimenti quantistici si possono risolvere tutti gli La sua argomentazione è complessa, ma in parole
enigmi e i paradossi del mondo quantistico.
povere si riduce al fatto che la ragione per cui le cose
che facciamo nel presente non sembrano aver alterato
Questo approccio ha una storia lunga (anche se non il passato sta nel fatto che il passato ha già preso in
del tutto rispettabile), ma le implicazioni non sono sta- considerazione ciò che noi stiamo facendo! Se noi
te mai affermate in modo più chiaro di quanto non ven- decidessimo di fare qualcosa di diverso, il passato già
ga fatto da Price in un articolo sulla rivista Mind. E’ lo saprebbe… di modo che "dire che se noi supponiauna delle curiosità delle equazioni di Maxwell, per esem- mo che il presente sia diverso, mentre il passato rimapio, che permettano due gruppi di soluzioni per gli ef- ne lo stesso, seguirebbe che il passato è differente…
fetti di una carica elettrica in movimento, uno che de- non è vero, naturalmente, ma solo a livello logico. Non
scrive un’onda elettromagnetica che si sposta dalla è richiesta alcuna asimmetria fisica per spiegarlo".
particella nel futuro alla velocità della luce (un’onda ritardata) e l’altro che descrive onde dal futuro che con- Per i più portati alla matematica, Price offre una divergono sulla particella alla velocità della luce (onde scussione della famosa inequality di John Bell in cui
avanzate). Le soluzioni dell’onda avanzata sono state due sistemi quantistici completamente separati semampiamente ignorate da quando Maxwell sviluppò le brano essere connessi da quella che Albert Einstein
sue equazioni nel XIX secolo, ma alcuni ricercatori, chiamò una "azione spettrale a distanza ". L’azione a
compresi Richard Feynman e Fred Hoyle, hanno con- distanza è reale, in questo quadro, ed essenzialmente
siderato le implicazioni nel prendere tali onde come è il processo di stretta di mano di Cramer. Ma non c’è
fisicamente reali.
alcuna limitazione al libero arbitrio, secondo Price.
Siamo liberi di prendere qualsiasi decisione ci piaccia
Più recentemente, l’idea è stata investigata in un con- e di fare qualsiasi azione scegliamo. Il passato già sa
testo quantistico dal ricercatore americano John quali saranno queste decisioni, ma ciò non influenza
Cramer. Egli ha previsto una entità quantistica come la nostra libertà nel prenderle e "non dovremmo aspetun elettrone che stia per essere coinvolto in una tarci di 'vedere' all’azione influenze all’indietro," il che
interazione (da un punto di vista quotidiano) e che invii dopotutto potrebbe essere una cattiva notizia per Stapp.
un’onda di "offerta" nel futuro. La particella con cui l’elet- "E’ il momento," dice Price, "che questo approccio
trone sta per interagire raccoglie l’onda di offerta e in- rifiutato [alla meccanica quantistica] riceva quell’attenvia una risposta che echeggia all’indietro nel tempo zione che così tanto merita."
all’elettrone. Le onde avanzate e ritardate si combinano per creare una "stretta di mano" tra le due particelle
Macchine del tempo
che, in un senso atemporale, determina il risultato
dell’interazione nell’istante in cui l’elettrone inizia a fare recensione a Paul J. Nahin, Macchine del tempo,
l’offerta.
American Institute of Physics p408
Come discusso da Price, questo tipo di approccio ri- Il viaggio temporale è diventato, se non proprio rispet-
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mappe dello spazio/tempo
tabile, almeno alla moda in alcuni quartieri del mondo
della fisica nell’arco degli ultimi decenni. Molte delle
colpe vanno addossate all’astronomo Carl Sagan, che
nell’estate del 1985 stava scrivendo un romanzo di fantascienza e che chiese al relativista Kip Thorne, del
CalTech, di presentarsi con qualche invenzione scientifica che apparisse plausibile per "spiegare" lo stratagemma letterario di un wormhole attraverso lo spazio
che permettesse ai suoi personaggi di viaggiare attraverso le stelle. Spinti a guardare alle equazioni della
teoria generale della relatività sotto una nuova luce,
Thorne ed i suoi colleghi, dapprima trovarono che non
c’era nulla in queste equazioni che vietasse l’esistenza di tali wormhole e poi realizzò che qualsiasi tunnel
attraverso lo spazio è anche, potenzialmente, un tunnel attraverso il tempo. Le leggi della fisica non vietano
il viaggio temporale.
36 pagine di note, nove appendici tecniche (ma non
apertamente matematiche) e una bibliografia senza
esclusione di colpi. Lo stile di Nahin è molto più sobrio
del materiale che tratta, ma ciò che perde in scintille
lo guadagna in comprensibilità.
L’approccio, in linea con le basi dell’autore, parte dalla
narrativa e va verso il fatto. Delle vecchie passioni, come
H. G. Wells e Frank Tipler, fanno la loro attendibile
apparizione, così come la fanno opere di narrativa sul
viaggio temporale meno note provenienti dal XIX secolo (che predano con tono rassicurante le teorie di Albert
Einstein) e scienziati e filosofi più oscuri. E, naturalmente, i familiari paradossi sul viaggio temporale hanno una completa diffusione.
Ci sono, comunque, due debolezze principali nel trattamento da parte di Nahin della scienza. La minore è
Questa realizzazione ebbe due conseguenze. Allorché rappresentata dalla sua discussione dei buchi neri, che
apparve il romanzo di
Back to the future
Sagan, Contact, nel 1986,
conteneva un passaggio
Back to the Future (Ritorno al futuro) - regia
che suonava come una
Robert Zemeckis
pura
sciocchezza
Marty McFly è un normale adolescente americafantascientifica ma che era
no del 1985 ed ha come amico un inventore che
(anche se furono pochi i
si chiama Doc Brown. L'inventore è un tipo mollettori a realizzarlo sul moto eccentrico e rispecchia (in simpatico e positimento) una descrizione di
vo) la classica immagine dello scienziato pazzo
scienza seria e fattuale di
dei racconti di fantascienza . Doc riesce a creare
una macchina del tempo (una cosa che avviene
un wormhole dello
abbastanza letteralmente in quanto usa proprio
spaziotempo. E come
un'auto, una DeLorean). Marty si ritrova trasporThorne ed i suoi colleghi
tato nel 1955, proprio nel giorno in cui i suoi geiniziarono a pubblicare renitori si incontrarono, naturalmente tale avvenilazioni scientifiche sulle
mento metterà in forse il loro incontro e soprattutto impedirà il loro matrimonio, creando un
macchine del tempo e sui
paradosso temporale: nel futuro Marty non poviaggi temporali, il diffontrebbe nascere. Con l'aiuto del Doc del 1955,
dersi delle vibrazioni stimoMarty dovrà rimettere a posto le cose annullando così il paradosso e i suoi effetti. Ma
lò un piccolo artigianato di
col tempo è difficile trattare, il presente 'finale' di Marty non sarà certo come il suo
studi simili.
presente 'iniziale'!
Curiosamente questo
aneddoto non appare nel
racconto, per altri motivi
dettagliato in modo rimarchevole, di Paul Nahin su
fatti e finzione del viaggio
temporale. Nahin è professore di ingegneria elettrica
alla University of New
Hampshire, ed è l’autore di
molte storie di fantascienza tutte pubblicate, alcune
delle quali trattano degli
enigmi e dei paradossi del
viaggio temporale. Ci racconta come ha scoperto e
"divorato" storie di fantascienza all’età di dieci anni
e questo libro è chiaramente un atto d’amore. L’approccio è da letterato, con
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Back to the Future part II (Ritorno al futuro parte II) - regia Robert Zemeckis
Questa seconda parte della trilogia ha inizio proprio al termine della prima parte:
Doc è di ritorno dal futuro e spinge Marty e la fidanzata Jennifer a seguirlo sulla
propria DeLorean nell'anno 2015 per rimettere a posto il futuro della famiglia McFly.
Ma il cattivo di tutta la serie, Biff Tannen, quello del 2015, ruba momentaneamente e
all'insaputa dei due la macchina del tempo per portare al suo io giovane, nel 1955,
un almanacco con i risultati sportivi degli ultimi cinquant'anni e fargli così guadagnare somme immense alle scommesse. Ritornati al proprio tempo, Marty e Doc
troveranno una sorpresa da incubo e dovranno tornare di nuovo al 1955 per cercare
di rimettere a posto tutta la situazione, distruggendo l'almanacco sportivo. Il film
termina con una posizione momentanea di stallo: Marty è imprigionato nel 1955
perché Doc è stato lanciato indietro nel 1885 e la sua macchina si danneggiata in
questo ultimo viaggio.
Back to the Future part III (Ritorno al futuro parte III) - regia Robert Zemeckis
Questa terza parte in pratica è un tutt'uno con la seconda: Marty McFly deve cercare
di recupare il Doc piombato nel 1885 e per farlo deve ricorrere di nuovo all'aiuto del
Doc del 1955. E' forse inutile dire che c' un gioco complicatissimo di sovrapposizioni
temporali. Giunto infine nel 1885, però, le cose per Marty non si presenteranno
semplici come potevano prevedere. Prima di tutto ci saranno problemi di reperimento
del combustibile necessario a far funzionare la macchina del tempo e poi una
maestrina, innamorata di Doc, si troverà al centro dei paradossi più pericolosi.
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
è debole e a volte un po’ confusa. In modo molto più
decisivo, comunque, manca di apprezzare come l’interpretazione dei "molti mondi" della meccanica
quantistica permetta ad un viaggiatore del tempo di
andare indietro nel tempo e di alterare il passato senza produrre problemi del tipo del noto paradosso del
nonno. Nella versione convenzionale del paradosso,
un viaggiatore va all’indietro e uccide il proprio nonno
da bambino, cosicché il viaggiatore non potrebbe mai
essere nato, nel qual caso il nonno non verrebbe mai
ucciso… e così via. Ma nella versione dei molti mondi
(promossa oggigiorno da David Deutsch, della University
of Oxford), l’atto di uccidere il nonno crea una nuova
realtà cosicché quando il viaggiatore torna poi avanti
nel tempo non si ritrova più nel proprio mondo, ma nell’universo della "porta accanto". Ciò spiega, per esempio, alcune delle tracce più sottili nella trilogia di pellicole di Back to the Future, che Nahin commenta pur
mancandone completamente il valore. Ma anche se il
libro ha dei difetti, è comunque il benvenuto. Non si fa
leggere dall’inizio alla fine come un romanzo, ma è
ideale per immergervisi e per saltarvi qua e là, come
un viaggiatore temporale che si immerge nella storia.
E’ un libro eccellente come opera di consultazione per
chiunque sia interessato al versante fantascientifico
del viaggio temporale ed è un libro che sarà acclamato
dai fan… voglio dire che sarà acclamato quando sarà
disponibile in economica e con un prezzo ragionevole.
Connessioni dell'hypersoazio
buchi neri, buchi bianchi, wormhole
A quel tempo, verso la metà degli anni ‘80, i relativisti
erano da tempo coscienti che le equazioni della teoria
generale prevedevano la possibilità di tali connessioni
dell’hyperspazio. Infatti, lo stesso Einstein, lavorando
a Princeton con Nathan Rosen negli anni ‘30, aveva
scoperto che le equazioni della relatività (la soluzione
di Karl Schwarzschild alle equazioni di Einstein) rappresentava proprio un buco nero come un ponte tra
due regioni dello spaziotempo piatto: un "ponte
Einstein-Rosen". Un buco nero ha sempre due "parti
terminali", una proprietà ignorata da tutti ad eccezione
di qualche matematico fino alla metà degli anni ‘80.
Prima che Sagan rimettesse in moto la sfera era sembrato che tali connessioni hyperspaziali non avessero
alcun significato fisico e che non potessero mai, neppure in via di principio, essere usate come scorciatoie
per viaggiare da una parte all’altra dell’Universo. Morris
e Yurtsever scoprirono che questa convinzione fortemente radicata era sbagliata. Partendo dal lato matematico del problema, costruirono una geometria dello
spaziotempo che si adattasse alle richieste di Sagan
di un wormhole che potesse essere attraversato fisicamente dagli esseri umani. Poi investigarono la fisica
per vedere se c’era qualche modo, così come conoscevano le leggi della fisica, che potesse cospirare
per produrre la geometria richiesta. Con loro grande
sorpresa, e per la gioia di Sagan, scoprirono che c’era.
Ad essere sinceri, le richieste fisiche sembrano piuttosto forzate e non plausibili, ma non è questo il punto. Ciò che ha importanza è che sembra che non ci sia
nulla nelle leggi della fisica che vieti il viaggio attraverso i wormhole. Gli scrittori di fantascienza avevano ragione: le connessioni hyperspaziali forniscono, almeno in teoria, un mezzo per viaggiare verso regioni dell’Universo che sono distanti senza spendere migliaia
di anni bighellonando attraverso lo spazio ordinario ad
una velocità minore di quella della luce. Le conclusioni
raggiunte dal gruppo del CalTech apparvero correttamente come una finestra scientificamente accurata nel
romanzo di Sagan allorché fu pubblicato nel1986, anche se pochi lettori possono aver apprezzato il fatto
che gran parte della "stregoneria" era saldamente basata sulle ultime scoperte fatte da dei matematici
relativisti. Da allora, la scoperta di equazioni che descrivono wormhole fisicamente permissibili e
attraversabili ha portato all’esplosione di un artigianato
di matematici che investigano questi strani fenomeni:
tutto inizia con il ponte Einstein-Rosen.
Allorchè l’astronomo Carl Sagan decise di scrivere un
romanzo di fantascienza ebbe bisogno di un congegno narrativo che potesse permettere ai suoi personaggi di attraversare delle grandi distanze nell’Universo. Naturalmente sapeva che era impossibile viaggiare più veloce della luce e sapeva anche che esisteva
una convenzione comune nella fantascienza che permetteva agli scrittori di usare l’espediente di una scorciatoia attraverso l’hyperspazio come mezzo per aggirare questo problema. Ma poiché era una scienziato,
Sagan desiderava per il suo romanzo qualcosa che
potesse sembrare più sostanziale di questo espediente. Esisteva forse un modo per rivestire la stregoneria
dell’hyperspazio fantascientifico con i panni rispettabili di una scienza apparente? Sagan non lo sapeva. Non
era un esperto di buchi neri e di relatività generale… la
sua specializzazione di base veniva dagli studi planetari. Ma conosceva proprio la persona a cui rivolgersi
per un consiglio sul come fare a far sì che l’idea ovviaL’Einstein connection
mente impossibile delle connessioni hyperspaziali attraverso lo spaziotempo avesse un aspetto un po’ più Rappresenta una delle più allettanti curiosità della stoscientificamente plausibile nel suo libro Contact.
ria della scienza il fatto che i wormhole dello
spaziotempo venissero in realtà investigati da mateL’uomo a cui Sagan si rivolse per consiglio, nell’estate matici relativisti nei minimi particolari molto prima che
del 1985, era Kip Thorne, al CalTech. Thorne fu suffi- qualcuno prendesse in seria considerazione il concetcientemente stuzzicato da dare a due dei suoi assi- to dei buchi neri. Già nel 1916, meno di un anno dopo
stenti, Michael Morris e Ulvi Yurtsever, il compito di che Einstein aveva formulato le sue equazioni della
elaborare alcuni dettagli sul comportamento fisico di teoria generale, l’austriaco Ludwig Flamm aveva capiquello che i relativisti conoscono come un "wormhole". to che la soluzione di Schwarzschild alle equazioni di
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mappe dello spazio/tempo
Einstein descrive proprio un wormhole che connette
due regioni dello spaziotempo piatto: due universi o
due parti dello stesso universo. Le speculazioni sulla
natura dei wormhole continuarono in modo intermittente
per decenni. Ciò che stabilirono molto presto questi
relativisti pionieristici fu che i wormhole di Schwarzschild
non forniscono intenzioni di comunicare da un universo all’altro.
O, almeno, potrebbe se il wormhole rimanesse aperto
abbastanza a lungo e se il passaggio attraverso il
wormhole non richiedesse di viaggiare ad una velocità
superiore a quella della luce. Ma questa non è la fine
della storia delle connessioni hyperspaziali. Un semplice buco nero di Schwarzschild non ha alcuna carica
elettrica totale e non ruota. E’ intrigante il fatto che
aggiungendo carica elettrica o rotazione ad un buco
nero si trasformi la natura della singolarità aprendo così
Il problema sta nel fatto che allo scopo di attraversare la porta verso altri universi e rendendo possibile il viagun ponte Einstein-Rosen da un universo all’altro, un gio con una velocità minore di quella della luce.
viaggiatore dovrebbe spostarsi in una certa parte del
viaggio in modo più veloce della luce. E c’è un altro Aggiungendo carica elettrica ad un buco nero lo si forproblema con questo tipo di wormhole: è instabile. Se nisce di un secondo campo di forza in aggiunta alla
immaginate l’"ammaccatura" nello spaziotempo crea- gravità. Poiché cariche dello stesso segno si respinta da una massa grande come potrebbe essere il Sole, gono, questo campo elettrico agisce in senso opposto
schiacciata in un volume solo leggermente più grande alla gravità, cercando di far esplodere il buco nero e
della sua sfera di Schwarzschild corrispondente, ot- non spingendolo ad essere più stretto in se stesso. La
terreste un "diagramma ad incasso". La sorpresa in rotazione fa all'incirca la stessa cosa. C’è una forza in
merito alla geometria di Schwarzschild è che quando entrambi i casi che si oppone allo sforzo verso l’intercontrai la massa entro il suo raggio di Schwarzschild no della gravità.
non ottieni un pozzo senza fine, al contrario il fondo
del diagramma ad incasso si apre per realizzare la Anche se la gravità continua a cercar di chiudere la
connessione con un’altra regione dello spaziotempo porta aperta sugli altri universi, il campo elettrico, o la
piatto. Ma questa gola aperta e splendida che offre la rotazione, mantiene aperta la porta per farvi passare
prospettiva tentatrice del viaggio attraverso gli universi attraverso dei viaggiatori. Ma c’è ancora un senso in
esiste solo per la frazione piccolissima di un secondo cui questa è una porta a senso unico: non si può torprima che si chiuda del tutto. Il wormhole stesso non nare nell’universo da cui si è iniziato, inevitabilmente
esiste neppure per un tempo sufficiente a che la luce si riemergerebbe in un’altra regione dello spaziotempo,
passi da un universo all’altro. In effetti la gravità sbarra di solito interpretata come un altro universo. Ciò che
le porte tra gli universi. La cosa è particolarmente scoc- va in un estremo (il buco nero) esce dall’altro estremo
ciante perché se si ignora la rapida evoluzione del (a volte soprannominato buco bianco). Rivoltarsi per
wormhole e si guarda solo alla geometria risultante tornare lungo la via da dove si arriva comporterebbe il
all’istante allorché la gola è aperta completamente, fatto di viaggiare più veloci della luce.
sembra che tale wormhole possa connettere anche,
non degli universi separati, ma regioni separate del Fino a che Sagan non fece la sua richiesta innocente
nostro stesso Universo. Lo spazio potrebbe essere a Thorne, questo era il punto più vicino a cui i matemapiatto vicino alle bocche del wormhole, ma piegato in tici erano arrivati nella descrizione di un macroscopico
una curva gentile lontano dal wormhole, cosicché la wormhole plausibilmente attraversabile.
connessione è realmente una scorciatoia da una parte
dell’Universo all’altra. Se si immagina di dispiegare Nuove speculazioni, incoraggiate dalle riflessioni
questa geometria per rendere piatto l’intero Universo speranzose di Sagan e sviluppate dai ricercatori del
tranne che nelle vicinanze delle bocche del wormhole, CalTech e da altri, suggeriscono che potrebbe proprio
si ottiene un qualcosa in cui un wormhole curvato con- essere possibile costruire artificialmente dei wormhole
nette due regioni separate di un Universo completa- attraversabili, proprio come ci hanno detto gli scrittori
mente piatto… e non ci si lasci ingannare dal fatto che di fantascienza da decenni, data una civiltà tecnologinell’immagine la distanza da una bocca all’altra attra- ca sufficientemente avanzata.
verso il wormhole sembri più lunga della distanza da
una bocca all’altra attraverso lo spazio ordinario; nel
L'ingegneria del wormhole
trattamento reale a quattro dimensioni, anche un tale
wormhole curvo può ancora fornire una scorciatoia tra C’è ancora un problema coi wormhole affinché un inA e B.
gegnere dell’hyperspazio possa prenderli in considerazione. I calcoli più semplici suggeriscono che qualsiasi cosa possa accadere nell’universo al di fuori, il
tentativo di passaggio di una nave spaziale attraverso
il buco dovrebbe far serrare lo stargate. Il problema sta
nel fatto che un oggetto in accelerazione, secondo la
teoria generale della relatività, genera quelle
increspature nella trama dello spazio-tempo conosciute
come onde gravitazionali. La stessa radiazione
gravitazionale, viaggiando davanti alla nave spaziale e
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
nel buco nero alla velocità della luce, potrebbe essere
amplificata fino a raggiungere un’energia infinita nell’approssimarsi alla singolarità all’interno del buco nero,
incurvando lo spaziotempo attorno a se e serrando la
porta sulla nave spaziale in arrivo. Anche se esistesse
un wormhole naturale attraversabile, sembrerebbe essere instabile alla più piccola perturbazione, incluso il
disturbo causato da un qualsiasi tentativo di attraversarlo.
Ma il gruppo di Thorne trovò una risposta a questo argomento che si adattasse alla richiesta di Sagan. Dopotutto i wormhole in Contact sono tutt’altro che naturali, sono costruiti. Uno dei suoi personaggi spiega:
C’è un tunnel interno nell’esatta soluzione di Kerr
delle Equazioni di Campo di Einstein, ma è instabile.
La più piccola perturbazione lo chiuderebbe e convertirebbe il tunnel in una singolarità fisica attraverso cui
non può passare nulla. Ho provato ad immaginare una
civiltà superiore che riesca a controllare la struttura
interna di una stella che collassa per mantenere stabile il tunnel interno. E’ molto difficile: La civiltà dovrebbe
monitorare e stabilizzare per sempre il tunnel.
di considerare alcune specie di oggetti conosciuti nell’Universo, come una stella morta o una quasar, e cercare di immaginare cosa potesse accadere ad esse,
iniziarono col costruire la descrizione matematica di
una geometria che descrivesse un wormhole
attraversabile e poi usarono le equazioni della teoria
generale della relatività per immaginare quale tipo di
materia e di energia sarebbe associata ad uno
spaziotempo di questo tipo. Ciò che trovarono ha completamente del buonsenso (con qualche forzatura). La
gravità, una forza d’attrazione che spinge a stare assieme la materia, tende a creare delle singolarità e a
staccare la gola di un wormhole. Le equazioni dicono
che allo scopo di tenere aperto un wormhole la sua
gola deve essere infilata da una qualche forma di materia, o da qualche forma di campo, che generi una
pressione negativa e che abbia associata a se
l’antigravità.
Ora, potreste pensare, ricordando la fisica fatta a scuola, che ciò esclude completamente la possibilità di
costruire dei wormhole attraversabili. La pressione negativa non è qualcosa che incontriamo nella vita di tutti
i giorni (si immagini di soffiare qualcosa con pressione
negativa in un pallone e vedere il pallone che come
Ma il punto sta nel fatto che il trucco, benché possa risultato si sgonfia). Di sicuro una materia esotica non
essere molto difficile, non è impossibile. Potrebbe ope- può esistere nell’Universo reale? Ma potreste sbagliarrare attraverso un processo conosciuto come feedback vi.
negativo, in cui qualsiasi disturbo nella struttura dello
spaziotempo del wormhole crea un altro disturbo che
Creando l’antigravità.
cancella il primo disturbo. Si tratta dell’opposto dell’effetto familiare di feedback, che porta ad un forte rumo- La chiave all’antigravità fu scoperta da un fisico olanre dagli altoparlanti se viene posto davanti a loro un dese, Hendrik Casimir, già nel 1948. Casimir, che era
microfono collegato ad essi stessi tramite un amplifi- nato a L’Aia nel 1909, lavorò dal 1942 in poi nei laboracatore. In questo caso, il rumore dagli altoparlanti va tori di ricerca del gigante elettrico Philips e fu mentre
nel microfono, viene amplificato, esce dagli altoparlan- lavorava là che formulò quello che venne poi conosciuti più forte di prima, viene amplificato... e così via. Si to come l’effetto Casimir.
immagini invece che il rumore che esce dagli altopar- Il modo più semplice per comprendere l’effetto Casimir
lanti e che entra nel microfono venga analizzato da un sta in due piatti paralleli di metallo piazzati molto vicini
computer che poi produce l’onda di un suono con le e con niente tra di loro.
caratteristiche esattamente opposte da un secondo Il vuoto quantistico non è come quel tipo di "niente"
altoparlante. Le due onde si cancellerebbero produ- che si immaginava che fosse prima dell’era quantistica.
cendo il silenzio totale.
Ribolle di attività, con coppie di particelle-antiparticelle
prodotte costantemente e che si annullano l’una con
Per l’onda di un suono semplice questo espediente è l’altra. Tra le particelle che nascono e muoiono nel vuoto
realizzabile già oggi. Cancellare rumori più complessi, quantistico ci saranno molti protoni, le particelle che
come l’urlo della folla ad una partita di calcio, non è
ancora possibile ma la cosa è vicina. Così potrebbe
non essere completamente inverosimile immaginare
la "civiltà superiore" di Sagan costruire un sistema di
ricevitore/trasmettitore d’onda gravitazionale che se ne
stia nella gola di un wormhole e che possa registrare i
disturbi causati dal passaggio della nave spaziale attraverso il wormhole, rimandando un gruppo di onde
gravitazionali che cancellerebbero esattamente il disturbo, prima che possa distruggere il tunnel.
Ma, in primo luogo, da dove vengono fuori i wormhole?
Il modo in cui Morris, Yurtsever e Thorne affrontarono il
problema posto da Sagan era opposto a quello in cui
tutti prima di loro avevano pensato ai buchi neri. Invece
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
portano la forza elettromagnetica, alcuni dei quali sono
le particelle della luce. Senza dubbio è particolarmente facile per il vuoto produrre fotoni virtuali, in parte perché un fotone è la propria antiparticella e in parte perché i fotoni non hanno "massa d’appoggio" di cui preoccuparsi, cosicché tutta l’energia che deve essere
presa dall’indeterminazione quantistica è quella dell’energia dell’onda associata al particolare fotone. I
fotoni con energie differenti sono associati con onde
elettromagnetiche di lunghezza d’onda differente, con
lunghezze d’onda più brevi corrispondenti ad energie
più grandi; cosicché un altro modo di pensare a questo aspetto elettromagnetico del vuoto quantistico è
che lo spazio vuoto sia pieno di un mare effimero di
onde elettromagnetiche con rappresentate tutte le lunghezze d’onda.
Questa irriducibile attività del vuoto fornisce al vuoto
un’energia, ma questa energia è la stessa dovunque e
così non può essere scoperta o usata. L’energia può
solo essere usata per fare del lavoro, e con ciò mostrare la propria presenza, se c’è una differenza tra un
posto ed un altro.
Tra due piatti conduttori elettricamente, sottolineò
Casimir, le onde elettromagnetiche riuscirebbero solamente a formare certi schemi stabili. Le onde che rimbalzano tutto intorno ai piatti si comporterebbero come
le onde di una corda di chitarra pizzicata. Tale corda
può vibrare solo in certi modi e produrre certe note,
quelle per cui le vibrazioni della corda si adattano alla
lunghezza della corda in modo tale che non ci siano
vibrazioni alle estremità fisse della corda. Le vibrazioni
ammesse sono la nota fondamentale per una particolare lunghezza della corda e le sue armoniche o suoni
armonici. Allo stesso modo, solo alcune lunghezze
d’onda della radiazione possono adattarsi allo spazio
tra i due piatti di un esperimento di Casimir. In particolare, nessun protone corrispondente a una lunghezza
d’onda più grande della separazione tra i due piatti può
adattarsi a quello spazio. Ciò significa che una parte
dell’attività dello spazio viene soppressa nella zona tra
i piatti, mentre continua l’attività solita al di fuori. Il risultato è che in ogni centimetro cubico di spazio ci
sono meno fotoni virtuali che rimbalzano tra i piatti di
quanti non ce ne siano al di fuori e così i piatti subiscono una forza che li spinge ad avvicinarsi. Potrebbe apparire bizzarro, ma è vero. Sono stati condotti molti
esperimenti per misurare la potenza della forza di
Casimir tra due piatti, usando sia piatti piani che curvi
e fatti di vari tipi di materiale. La forza è stata misurata
per uno spazio tra i piatti che va da 1,4 nanometri a 15
nanometri (un nanometro è un miliardesimo di metro)
e coincide esattamente con le previsioni di Casimir.
In un articolo che pubblicarono nel 1987, Morris e Thorne
attrassero l’attenzione su tali possibilità e sottolinearono anche che pure un campo puramente elettrico o
magnetico infilando il wormhole "è proprio sul limite
d’essere insolito, se la sua tensione fosse
infinitesimamente più larga… soddisferebbe i nostri
bisogni nel costruire il wormhole." Nello stesso scritto
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concludevano che "non si dovrebbe assumere in modo
spensierato l’impossibilità del materiale esotico che è
richiesto per la gola di un wormhole attraversabile." I
due ricercatori del CalTech hanno messo in evidenza il
punto importante che molti fisici soffrono di mancanza
di immaginazione allorché si arriva a considerare le
equazioni che descrivono materia ed energia in condizioni molto più estreme di quelle che incontriamo qui
sulla Terra. Lo mettono in evidenza con l’esempio di
un corso per principianti sulla relatività generale, tenuto al CalTech nell’autunno del 1985, dopo la prima fase
di lavoro stimolata dalla richiesta di Sagan, ma prima
che niente di tutto questo fosse di dominio pubblico,
anche tra i relativisti. Agli studente impegnati non fu
insegnato niente di specifico sui wormhole, ma gli fu
insegnato ad esplorare il significato fisico delle metriche dello spaziotempo. Durante l’esame fu posta una
domanda che li portava, passo dopo passo, attraverso
la descrizione matematica della metrica corrispondente
ad un wormhole. "Fu sorprendente," dissero Morris e
Thorne, "vedere quanto fosse ristretta l’immaginazione degli studenti. La maggior parte di essi poteva decifrare le proprietà dettagliate della metrica, ma furono in
pochi a riconoscere realmente che rappresentava un
wormhole attraversabile che connetteva due universi
differenti."
Per coloro con l’immaginazione meno ristretta, ci sono
ancora due problemi: trovare un modo per fare un
wormhole che sia largo abbastanza per farci passare
attraverso della gente (e delle navi spaziali) e di mantenere il materiale esotico non a contatto con i viaggiatori. Qualsiasi prospetto per costruire un tale strumento è ben al di là delle nostre possibilità attuali. Ma,
come Morris e Thorne mettono in rilievo, non è impossibile e "di conseguenza non possiamo attualmente
escludere wormhole attraversabili." A me sembra che
ci sia un’analogia qui che pone l’opera di sognatori del
calibro di Thorne e di Visser in un contesto che è al
tempo stesso utile e intrigante. All’incirca 500 anni fa,
Leonardo da Vinci speculava sulla possibilità delle
macchine volanti. Progettò sia elicotteri che aerei con
ali e i moderni ingegneri aeronautici dicono che gli apparecchi costruiti dai suoi progetti probabilmente avrebbero potuto volare se solo Leonardo avesse avuto i
moderni motori con cui fornirli, anche se non c’era modo
in cui un qualsiasi ingegnere del suo tempo avrebbe
potuto costruire una macchina volante con la potenza
capace di portare un uomo nell’aria. Leonardo non poteva neppure sognarsi le possibilità dei jet e i voli passeggeri di routine a velocità supersoniche. Eppure il
Concorde e i jumbo operano sugli stessi principi fisici
di base delle macchine volanti da lui progettate. In non
più di mezzo millennio tutti i suoi sogni più sfrenati
non solo si sono avverati, ma sono stati sorpassati.
Potrebbe occorrere più di mezzo millennio per i
progettisti a far lasciare il tavolo da disegno ad un
wormhole attraversabile, ma le leggi della fisica dicono
che è possibile… e secondo le speculazioni di Sagan,
qualcosa che gli assomigli potrebbe già essere stato
realizzato da una civiltà più avanzata della nostra.
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Perché è possibile il viaggio temporale
I fisici hanno scoperto la legge di natura che previene i
paradossi del viaggio temporale e perciò permette il viaggio nel tempo. E’ risultato che fosse la stessa legge che
assicura il viaggio della luce in linea diretta e che rafforza
la versione più esplicita della teoria quantistica, sviluppata mezzo secolo fa da Richard Feynman.
I relativisti hanno cercato di venire a patti col viaggio temporale nell’arco dell’ultimo decennio da quando Kip
Thorne e i suoi colleghi al Caltech scoprirono (con loro
grande sorpresa) che non c’era nulla nelle leggi della
fisica (soprattutto nella teoria generale della relatività) che
lo proibisse. Tra i differenti modi in cui le leggi permettono che esista una macchina temporale, quella che è stata studiata matematicamente in modo più estensivo è
quella del "wormhole". Si tratta di una specie di tunnel
attraverso lo spazio e il tempo che connette regioni differenti dell’Universo: differenti spazi e differenti tempi. Le
due "bocche" del wormhole possono essere vicine l’una
all’altra nello spazio, ma separate nel tempo, di modo
che potrebbe essere usato come un tunnel temporale.
Costruire uno strumento del genere sarebbe molto difficile, comporterebbe la manipolazione dei buchi neri, ognuno con masse che sono molte volte superiori a quella del
Sole. Ma è possibile pensare che potrebbero anche esistere naturalmente, sia su una scala del genere che su
una scala microscopica.
fin dagli inizi del diciassettesimo secolo. Descrive le traiettorie delle cose, come il cammino di un raggio di luce
da A a B, o il volo di una palla lanciata attraverso una
finestra da un piano alto. Ed ora sembra anche la traiettoria di una palla da biliardo attraverso un tunnel temporale.
Azione, in questo senso, sta nel misurare sia l’energia
impiegata nell’attraversare il sentiero che il tempo impiegato. Per la luce (che è sempre un caso speciale), tutto si
riduce al tempo soltanto, cosicché il principio di azione
minima diventa il principio di tempo minimo, che indica il
perché la luce viaggi in linea diritta.
Si può vedere come funziona questo principio quando
una luce da una sorgente nell’aria entra in un blocco di
vetro, dove viaggia ad una velocità minore di quella nell’aria. Allo scopo di andare dalla fonte A fuori dal vetro al
punto B interno al vetro nel più breve tempo passibile, la
luce deve viaggiare in linea retta fino al bordo del vetro,
poi deviare di un certo angolo e poi viaggiare in un’altra
linea retta (ad una velocità più bassa) fino al punto B.
Viaggiare per un qualsiasi percorso diverso impiegherebbe più tempo.
L’azione è una proprietà dell’intero percorso e in qualche
modo la luce (o la "natura") sa sempre come scegliere il
sentiero più economico o più semplice per raggiungere i
propri fini. In un modo simile il principio di azione minima
può essere usato per descrivere l’intero percorso curvo
della palla lanciata attraverso una finestra, una volta che
venga specificato il tempo per il percorso. Anche se la
palla può essere lanciata a velocità differenti su traiettorie
differenti (più alte e più lente, o più piatte e più veloci) e va
comunque attraverso la finestra, sono possibili solo traiettorie che soddisfino il Principio dell’azione minima.
Novikov e i suoi colleghi hanno applicato lo stesso principio alle "traiettorie" delle palle di biliardo attorno all’anello
temporale, sia con che senza il caso di "auto collisione"
che porta ai paradossi. In un tour de force matematico
hanno mostrato che in entrambi i casi solo soluzioni auto
compatibili delle equazioni soddisfacevano al principio di
azione minima o, stando alle loro parole, "l’intero insieme di traiettorie classiche che sono auto compatibili globalmente si può ricuperare semplicemente imponendo il
principio di azione minima" (NORDITA Preprint, number
95/49A).
La preoccupazione dei fisici sta nel fatto che questa cosa
potrebbe far sorgere dei paradossi, una cosa a cui gli
appassionati di fantascienza sono familiari. Per esempio
un viaggiatore temporale potrebbe andare indietro nel
tempo e causare accidentalmente (o anche in modo deliberato) la morte della propria nonna, cosicché non potrebbe mai nascere né la mamma del viaggiatore né il
viaggiatore stesso. E’ difficile descrivere matematicamente le persone, ma il paradosso equivalente nei calcoli dei
relativisti vede una palla da biliardo che entra in una bocca del wormhole, emerge nel passato dall’altra bocca e
si scontra con l’altra se stessa che sta entrando nella
prima bocca, di modo che viene deviata e non entra nel
tunnel temporale. Ma, naturalmente, ci sono molti possibili viaggi "auto compatibili " attraverso il tunnel in cui le
due versioni della palla da biliardo non si disturbano una La parola "classico" in questa connessione indica che
non hanno ancora provato ad includere le leggi della teocon l’altra.
ria quantistica nei loro calcoli. Ma non c’è ragione di penSe il viaggio temporale è realmente possibile (e dopo un sare che ciò possa alterare le conclusioni. Feynman, che
decennio di studi intensivi tutte le prove affermano che lo era incantato dal principio di azione minima, formulò la
sia) si pensa che dovrebbe esserci una legge di natura fisica quantistica interamente sulle basi di esso, usando
per prevenire il sorgere di tali paradossi e per permettere quella che è conosciuta come la "somma delle storie" o
i viaggi auto compatibili attraverso il tempo. Igor Novikov, formulazione del "sentiero integrale", perché, come un
che si trova presso l’Istituto P. N. Lebedev di Mosca e al raggio di luce apparentemente fiuta il percorso migliore
NORDITA (Nordic Institute for Theoretical Physics) di da A a B, tiene conto di tutte le possibili traiettorie nel
Copenhagen, è stato il primo nel 1989 a sottolineare il selezionare la più efficace.
bisogno di un "Principio di Auto Compatibilità" di questo
tipo (Soviet Physics JETP, vol 68 p 439). Ora, lavorando Così l’auto compatibilità è una conseguenza del Princicon colleghi in Danimarca, Canada, Russia e Svizzera, pio di azione minima e si può pensare che la natura aborrisca un paradosso da viaggio temporale. Il che rimuove
ha scoperto le basi fisiche per tale principio.
l’ultima obiezione dei fisici al principio del viaggio tempoHa a che fare con qualcosa conosciuto come Principio di rale, e passa la mano agli ingegneri per continuare il
azione minima ed è conosciuto, in una forma o in un’altra, lavoro di costruzione di una macchina del tempo.
© 2001 John Gribbin [http://www.biols.susx.ac.uk/home/John_Gribbin/timetrav.htm]
traduzione italiana Danilo Santoni
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
H.G. Wells nacque in Inghilterra nel 1866 da una famiglia di
umili condizioni. Riuscì comunque ad entrate alla Normal
School of Science di Londra
dove studiò biologia sotto il
grande studioso, umanista ed
evoluzionista T.H. Huxley (il
nonno dello scrittore Aldous
Huxley). Dal 1893 iniziò a vendere regolarmente racconti ed articoli.
Tra i primi articoli da lui scritti spicca “The Man of the
Year Million” (1893), la descrizione dell’uomo così come
lo scrittore pensa dovrà diventare grazie alla selezione
naturale: testa ed occhi super sviluppati, mani delicate e corpo ridotto, immerso in fluidi nutrienti nelle profondità della terra a causa del raffreddamento del sole.
Altri articoli del periodo sono “The Advent of the Flying
Man”, “An Excursion to the Sun”, “The Living Things
that May Be” (sulla possibilità della vita basata sul
silicio) e “The Extinction of Man”.
I suoi racconti iniziali descrivono soprattutto l’incontro
tra l’essere umano e strane forme di vita, come in “The
Stolen Bacillus” (1894), “In the Avu Observatory” (1894),
“The Flowering of the Strange Orchid” (1894) ed
“Aepyornis Island” (1894).
The Chronic Argonauts, alcuni saggi scritti per la
pubblicazione sulla rivista amatoriale The Science
Schools Journal nel 1888, divennero nel 1985 la base
per la sua prima opera di narrativa veramente importante, The Time Machine: An Invention, una
trasposizione in romanzo che gli venne consigliata dal
famoso editor W. E. Henley. Il romanzo traccia il percorso del futuro della vita sulla Terra seguendo un approccio evoluzionista: la razza umana si scinde secondo le due caratteristiche dello spirito dell’uomo, gli
Eloi (esseri gentili) e i Molock (esseri bestiali) e poi
lentamente decade con il raffreddamento del sole.
L’interesse di Wells per le idee
politiche e per le riforme socialiste si ritrova nell’opera fantasy
The Wonderful Visit (del
1895), nella quale, attraverso
gli occhi di un angeli, si propone una visione critica sulla società tardo vittoriana.
La presenza della teoria evoluzionistica di Darwin come mezzo per sradicare le ingiustizie
della società contemporanea,
ricorre in queste opere, così
come in The Island of Dr
Moreau (1896) (trasposizione
romanzesca di un suo articolo
precedente, “The Limits of
Plasticity”), storia di uno scienziato che popola un’isola abbandonata con animali
geneticamente modificati in
uomini, o “A Story of the Stone
Age” (1897), un tentativo di
immaginare le circostanze che
hanno permesso all’uomo di
abbandonare lo stato bestiale
iniziale. Altre opere che possono ricollegarsi al tema sono
i racconti “Under the Knife”
(1896), “The Star” (1897), “The
Man who Could Work Miracles”
(1898), A Story of the Days to Come (1899) e il romanzo The Invisible Man: A Grotesque Romance (1897).
Con The War of the Worlds (1898) H.G. Wells introduce degli alieni che diventeranno un cliché usato (e
abusato) dai futuri autori di fantascienza: invasori mostruosi e imbattibili che lottano contro gli umani una
guerra senza quartiere per la sopravvivenza della rispettiva razza.
When the Sleeper Wakes (1899) è un’opera futurista
sulla rivoluzione socialista, anche se Wells non credette mai in un socialismo proletario, convinto come
era che la giustizia sociale potesse venire solo come
imposizione da parte di una intellighenzia benevolente.
Con The First Men in the Moon (1901) continuò lungo la strada dei viaggi fantastici sulla luna descrivendo
la società distopica dei seleniti.
Le opere appartenenti a questo periodo vennero etichettate dai critici con il termine scientific romances,
un termine accetato dallo stesso Wells, anche se in
seguito preferì riferirsi ad essi con la definizione
“fantastic and imaginative romances”. Queste prime
opere, comunque, diventarono col passare del tempo
forme archetipe per il genere letterario fantascientifico
che si sarebbe sviluppato in seguito.
Per quanto riguarda, invece, le sue opere realistiche
del periodo, il tema dominante è legato alle pretese e
alle aspirazioni della classe media che stava formandosi in quel periodo [The Wheels of Chance (1896),
Kipps (1905), The History of Mr Polly (1910), Bealby:
A Holiday (1915) e Love and
Mr Lewisham (1900)]. Non
c’è da stupirsi che la sua produzione tenda essenzialmente verso il romanzo di idee e
non verso il tomanzo di personaggi, ne sono esempio
c l a s s i c o To n o - B u n g a y
(1909), Ann Veronica
(1909),
The
New
Machiavelli (1910) e The
World of William Clissold
(1926).
Lentamente, partendo dai propri saggi, Wells iniziò ad indirizzare il suo interesse ad
una attenta e razionale predizione del futuro divenendo un
fondatore della futurologia con
la serie di saggi raccolti poi
sotto il titolo Anticipations of
the
Reaction
of
Herbert George
Wells
16
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Mechanical and Human Progress
upon Human Life and Thought
(1901). Con la relazione pubblicata
col titolo The Discovery of the Future
(1902) cercò di giustificare il metodo
di lavoro e da quel momento in poi
abbandonò la sua immaginazione
ampia e arguta a favore di una ricerca seria sui probabili sviluppi della
storia futura e sulle riforme necessarie per creare un mondo migliore. I
suoi saggi futuristici attrassero l’attenzione di Sidney e Beatrice Webb
e nel 1903 si unì alla Fabian Society.
Da qui iniziò la sua carriera di crociato sociale che lo portò a fasi alterne
di fortuna: cercò nel 1906 di assumere il comando della Fabian Society
ma fallì e nel 1908 l’abbandonò; durante la prima guerra mondiale fu attivo all’interno del Movimento della Lega
delle Nazioni; tra le due guerre fece discorsi in Russia, in Francia e in Germania; nel 1934 incontrò sia Stalin che
Roosevelt, non riuscendo comunque a portarli sulle sue posizioni riguardo ai progetti di salvezza del mondo; con lo scoppio
della seconda guerra mondiale abbandonò ogni progetto.
Nei suoi romanzi utopici, A Modern Utopia (1905) e Men Like Gods (1923), Wells
descrisse delle società tecnologicamente
sofisticate governate secondo principi socialisti, mentre in altre opere cercò di descrivere la nuova gente che avrebbe portato alla realizzazione di tali mondi: in The
Food of the Gods e How it Came to
Earth (1904) la nuova razza è prodotta da
un super nutriente che amplifica sia il corpo che la
mente; in In the Days of the Comet (1906) il cambiamento della personalità umana è causato dai gas pre-
·
senti nella coda di una cometa... Lo
scrittore, comunque si avvicinò sempre di più alla convinzione che si sarebbe potuto costruire un mondo migliore solo dopo l’abbattimaneto
ell’ordine sociale presente. Fu per
questo motivo che lo scoppio della
prima guerra mondiale lo vide tra gli
entusiasti (come mostrato in Mr
Britling Sees it Through (1916)).
Non tardò, comunque, a provare una
forte disillusione per le sorti dell’umanità fino ad arrivare a definire il periodo post bellico come “Age of
Frustration”
Wells possedeva un’immaginazione
prolifica che rimaneva comunque
saldamente ancorata alle possibilità biologiche e storiche dell’uomo;
ebbe una grossa influenza su quella che diventerà la fantascienza americana.
Il cinema si è spesso rivolto alle opere di
Wells:
· ISLAND OF LOST SOULS (1932)
· THE INVISIBLE MAN (1933)
· THE WAR OF THE WORLDS (1953)
· THE TIME MACHINE (1960)
· THE FIRST MEN IN THE MOON
(1964)
· THE ISLAND OF DR MOREAU (1977)
· FOOD OF THE GODS (1976)
Infine una curiosità: H. G. Wells è stato
usato anche come personaggio in alcune opere di altri autori di fantascienza:
· The Space Machine (1976) di
Christopher PRIEST
· ·
Time After Time (1976) di
Karl Alexander (filmato nel 1979 con lo stesso
titolo)
“The Inheritors of Earth” (1990) di Eric BROWN
The Time Machine
Capitolo I
dove mostra una versione a grandezza naturale della
macchina affermando che con essa intende esplorare
Il romanzo inizia con una conversazione dopo cena il tempo.
nella casa del Viaggiatore nel Tempo. Il
Viaggiatore nel Tempo spiega ai suoi
Capitolo II
Personaggi
ospiti il concetto di tempo inteso come
il viaggiatore nel tempo
Il narratore spiega che nessuno credette a
quarta dimensione; i suoi ospiti ricusagli amici:
ciò che aveva udito in quanto il Viaggiatore
no la sua idea che questa quarta dimenFilby
era uno di quegli uomini che sono troppo
sione possa essere attraversata come
lo psicologo
il giovane
intelligenti da poter essere creduti. Il giovele altre; egli mostra loro una versione
il Provincial Mayor
dì successivo si riunisce un gruppo leggerridotta della macchina del tempo che fa
il medico
mente diverso di invitati, ma il Viaggiatore
scomparire dallo psicologo; gli ospiti crel'Editor
il giornalista
è in ritardo. Quando finalmente arriva si predono di essere stati giocati da un trucWeena
senta coi vestiti sporchi e col viso tagliato,
co ben riuscito; il viaggiatore chiede loro
il narratore
chiede scusa e si assenta per sistemarsi,
se vogliono vedere la vera macchina del
gli Eloi
i Morlock
di ritorno chiede di poter posticipare ogni
tempo e li conduce nel suo laboratorio
17
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
spiegazione a dopo il pasto. Quando inizia il racconto
premette che ciò che sta per dire potrà apparire come
una bugia, ma assicura tutti che si tratta della pura
verità.
Capitolo III
Il Viaggiatore racconta che dopo la precedente riunione ha lavorato alla Macchina del Tempo e che ha terminato il lavoro alle dieci di quel giorno. Ha messo in
moto la macchina con trepidazione. Il viaggio temporale, afferma, sulle prime è proprio spiacevole e molto
sconcertante. I giorni passano nel giro di secondi, i
palazzi sorgono e cadono, la superficie della terra sembra muoversi. Gli si presenta una preoccupazione: che
succederebbe se si arretasse nello spazio occupato
da una sostanza solida? Allorché si arresta si ritrova al
centro di di una tempesta di grandine e scopre un paesaggio molto diverso da quello che ha lasciato. C'è
una figura colossale di marmo bianco che ha una forma simile a quella della sfinge e al di là dei grossi
palazzi. Preoccupato per i pericoli che potrebbe presentare questa umanità del lontano futuro il Viaggiatore si prepara a ripartire quando nota delle figure minuscole e tutt'altro che pericolose e decide di restare.
Capitolo IV
Il Viaggiatore richiama una folla di 'creature squisite' e
decide di seguirla. Preoccupato comunque per il proprio ritorno, porta con se la leva di comando della macchina temporale. Ciò che lo sorprende è il fatto che le
persone del futuro non sono per niente più avanti di noi
per quanto riguarda la conoscenza, appaiono invece
infantili e semplici. Viene condotto in un grosso palazzo di un'età così antiche che il pavimento in metallo è
consumato nelle parti più frequentate. Si unisce a loro
a mangiare della frutta e cerca di insegnare loro il proprio linguaggio, ma appaiono del tutto disinteressati
dalla cosa. Inizia allora a girovagare e scopre che ci
sono numerose rovine e nessuna casa di piccole dimensioni. "Comunismo", è la parola che usa per spiegarsi la situazione, concludendo che le persone del
futuro sono diventate di piccole dimensioni, morbide e
uniformi come risultato naturale dell'aver eliminato quella
competizione che a lui invece è familiare. "l'istituto della
famiglia e la differenziazione nelle occupazioni sono
delle semplici necessità militari di un'età di forza fisica", finisce con l'affermare.Osservando il tramonto rimugina sul come l'umanità potrebbe aver raggiunto
questo stato attraverso un processo evolutivo, continuando le tendenze del XIX secolo l'umanità ha eliminato per selezione l'intelligenza umana e il vigore. Questo Capitolo termina con la sua affermazione, "La mia
spiegazione era molto semplice e sufficientemente
plausibile... come succede alla maggior parte delle
teorie errate!"
Wells e l’Inghilterra del XIX secolo
Wells scrive tra il 1894 e il 1895, e la sua immaginazione riflette le preoccupazioni del suo periodo: è
un simpatizzante socialista che diventerà fabiano e
riformatore e osserva attorno a sé lo sfruttamento
della classe operaia, mentre la classe imprenditoriale viveva nel lusso. Lo scopo satirico del romanzo
nasce proprio dal desiderio di mostrare questa divisione della società che viene estrapolata nell’anno
802.000.
Le due razze degli Eloi e dei Morlock sono entrambe degenerate e sub umane: i primi, discendenti
della classe abbiente si sono trasformate in creature androgine infantili preda indifesa dei Morlock;
questi ultimi, discendenti della classe lavoratrice,
costretti a lavori degradanti e nei sotterranei sono
regrediti allo stadio di trogloditi. Il Viaggiatore prova
solo un senso di disperazione e di futilità.
E’ fin troppo evidente che lo scopo di Wells è di
fornire un avvertimento che senza una riforma sociale di grandi proporzioni l’umanità non potrà avere
un futuro
scomparsa, dopo aver affrontato in modo isterico le
'creature squisite' che non riescono a comprendere il
suo dramma, si addormenta. La mattina successiva
arriva alla conclusione che la macchina è stata trascinata nel piedistallo di bronzo al di sotto della sfinge
bianca, ma non riesce a scoprire un mezzo per entrarvi. Pensando che il rimanere fuori del piedistallo in attesa sia una cosa inutile decide di esplorare la zona;
scopre così molti pozzi circolari "di grande profondità"
da cui fuoriesce un rumore ritmico e sordo. Si rende
conto di non capire come funzioni questo mondo, per
esempio come si vestono le persone? non si vede alcuna fabbrica o industria; dove sono i cimiteri?; chi ha
preso la macchina del tempo? Il Viaggiatore fa amicizia con una giovane donna di nome Weena che salva
dall'annegamento. Per lui è come una bambina che lo
segue e gioca in continuazione. Anche se di solito
appare senza paure è chiaro che è preoccupata dall'oscurità. Nel frattempo il Viaggiatore ha notato delle
Capitolo V
creature bianche dalla forma di scimmia che gironzoIl Viaggiatore scopre che la sua macchina del tempo è lano di notte, ma non riesce ad osservarne distinta-
18
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
decide che deve scendere in un pozzo, una cosa che
preoccupa moltissimo Weena. Pur nell'oscurità, scorge delle grandi forme che assomigliano ad enormi
macchine che fuoriescono dal buio. Scorge anche i
resti di un pasto che dimostrano che i Morlock sono
carnivori. Il viaggiatore si scopre circondato dai Morlock
che cercano di impedirgli il ritorno in superficie. Il fuoco dei fiammiferi del viaggiatore li fa retrocedere e anche se stanno per finire riescono a dare al viaggiatore
una via di fuga verso la superficie dove Weena e gli altri
Eloi lo stanno aspettando.
Capitolo VII
The Time Machine di George Pal
Il film sceglie un approccio completamente diverso
per i suoi scopi satirici. Problemi di presa sul pubblico portano dei cambiamenti non secondari: l’aspetto
romantico è accresciuto da una Weena bella e completamente ‘umana’, inoltre è molto più sviluppato
l’aspetto dell’azione della violenza. Il film poi termina
col viaggiatore che si riunisce con Weena che ha
salvato per vivere una nuova vita con gli Eloi dopo che
i Morlock sono stati distrutti dal fuoco dei sotterranei. Occorre dire che rimane comunque abbastanza
fedele allo spirito del romanzo originale.
Ha vinto un Oscar per gli effetti speciali.
Il film è stato realizzato all’inizio degli anni 60, in piena guerra fredda, subito dopo la crisi cubana: la sua
predizione di una guerra nucleare scoppiata nel 1966
potrebbe farci sorridere, ma in quel momento non era
un’opzione da scartare. Al posto di una divisione tra
le classi il film prende in considerazione una divisione tra i sopravvissuti di una guerra nucleare: coloro
che scelgono di nascondersi nei rifugi sotterranei e
coloro che decidono di restare sulla superficie della
terra
Il viaggiatore decide di difendersi, nonostante il fatto
che gli Eloi non vogliano, e pensa che il grosso palazzo verde che ha visto in precedenza potrebbe benissimo fungere da fortezza. Weena lo accompagna. e il
viaggiatore viene a scoprire che allorché la luna scompare i Morlock escono dal buio per rapire gli Eloi che
usano come cibo. La sua teoria che vedeva gli Eloi
come i vecchi capitalisti e i Morlock come gli operai
viene modificata: la relazione tra i due gruppi è soprattutto quella tra la preda e il predatore o o tra la mandria
e il mandriano.
Capitolo VIII
Il palazzo verde si rivela essere un museo. Il viaggiatore trova affascinanti le cose esposte ed inizia la visita
senza accorgersi che man mano che avanza la luce si
fa più scarsa. Accorgendosi che si sta avvicinando la
notte riesce a trovare una barra di metallo da una macchina per potersi difendere, una scatola di fiammiferi e
una fiala di canfora. Tutte cose che pensa possano
difenderlo dai Morlock e perciò decide di abbattere le
porte di bronzo che lo dividono dalla macchina del tempo.
Capitolo IX
mente nessuna. Durante il quarto giorno incontra un'altra di queste creature in un palazzo in rovina ma riesce
a sfuggirgli in un pozzo. Di colpo il Viaggiatore comprende che le sue teorie necessitano di una
riformulazione. L'umanità deve essersi evoluta in due
specie, quella gentile degli abitanti del mondo superiore e quella del popolo dall'aspetto primitivo. Decide gli
gli abitanti della superficie, gli Eloi, devono essere i
discendenti dei capitalisti del suo tempo mentre il popolo sotterraneo, i Morlock, sono i vecchi operai. Questo fatto lo lascia con nuovi problemi: perché i Morlock
hanno preso la sua macchina e perché, essendo i padroni, gli Eloi non possono dargliela indietro?
Capitolo VI
Nei due giorni successivi, preoccupato di dover entrare nei pozzi, il viaggiatore allarga le proprie ricerche
fino ad arrivare a spiare in lontananza una struttura
verde che si dimostra essere la cosa più grande che
ha osservato sul luogo. Prima di visitarla, comunque,
Mentre cade la notte Weena e il Viaggiatore tornano
verso la sfinge. Il Viaggiatore ha raccolto della legna.
Nella foresta avvista le figure di alcune Morlock e decide di accendere il fuoco per impaurirli. Per sua grande
sorpresa Weena si comporta stranamente con il fuoco, ritenendola una cosa per giocare in quanto non lo
ha mai visto prima. Il fuoco si allarga a dei cespugli
vicini e il Viaggiatore, presa in braccio Weena si allontana. I Morlock li inseguono, ma basta la luce dei fiammiferi a scacciarli. Stanco si ferma e accende un fuoco e si addormenta. Al risveglio il fuoco è terminato e i
Morlock stanno attaccando. Il Viaggiatore pur capendo che ha poche speranze si appresta a difendersi
con la barra di ferro. I Morlock iniziano a comportarsi
in modo strano e impaurito e il Viaggiatore si accorge
che la foresta è in fiamme e che è questo che li spaventa a morte. Fuggono e accortosi della sparizione di
Weena si appresta ad inseguirli. Non oppongono resistenza, ma Weena è scomparsa e non si riesce a
ritrovare. Il Viaggiatore decide di tornare a casa.
19
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Capitolo X
Stanco il Viaggiatore torna nel luogo dove ha visto per
la prima volta questo mondo futuristico riflettendo sul
destino dell'umanità. Il Viaggiatore si dirige verso la
sfinge e scopre che le porte sono state aperte e che la
sua macchina è in bella vista. Di sicuro si tratta di una
trappola dei Morlock; il Viaggiatore entra e le porte si
chiudono, ma questo non rappresenta un impedimento per la macchina e dopo una breve lotta riesce a far
funzionare la propria macchina.
Capitolo XI
Nella fretta della fuga il Viaggiatore ha posizionato la
macchina in avanti nel tempo: nota che col passare di
milioni di anni il sole si va affievolendo; alla fine la luna
scompare e il sole, invece di attraversare il cielo appare come una debole luce rossa all'orizzonte. Arresta la
macchina. La terra ha cessato di ruotare Le rocce attorno a lui sono rosse ad accezione del lato rivolto
verso il sole che è verde per via dei licheni che vi crescono. Nota che l'atmosfera si è assottigliata. Viene
attaccato da una creatura a forma di granchio e fugge
spostandosi un mese in avanti. Afferma che è incapace di riferire il senso di desolazione abominevole che
circonda il mondo.Avanzando di periodo in periodo arriva
ai momenti estremo della terra: il mondo è diventato
freddo ed oscuro. La neve cade in continuazione dopo
una breve e spaventosa eclissi del sole vede i resti di
ogni forma di vita: una creatura a forma di palla vicino
al mare. Addolorato il Viaggiatore ritorna nella sua macchina.
Capitolo XII
Il Viaggiatore racconta del proprio ritorno. Ritornato nel
proprio laboratorio nota che la macchina si è spostata
(quel tanto che i Morlock l'hanno spostata per nasconderla). Racconta poi al suo pubblico che la storia può
apparire incredibile ma ha delle prove e mostra dei fiori
che Weena ha messo nelle sue tasche, sono fiori che
nessuno riconosce. Gli ospiti se ne vanno dubbiosi.
Il giorno successivo il narratore torna dal Viaggiatore e
questi gli assicura che il racconto è tutto vero e che
dopo cena gli mostrerà tutte le prove. Una volta partito
il narratore si ricorda di non aver detto alcune cose al
Viaggiatore e torna nel laboratorio, giusto in tempo per
vedere la macchina del tempo sparire. Il narratore racconta poi che tutto ciò è accaduto tre anni prima e che
nel frattempo non si è più saputo nulla del Viaggiatore.
Epilogo
Il narratore si chiede se il Viaggiatore tornerà mai. Riflette sulle implicazioni del suo racconto con i suoi
elementi sul declino e la caduta del genere umano. In
questo senso di sconforto una cosa lo risolleva, i fiori
di Weena, prova che anche quando l'intelligenza e la
forza se ne sono andate nel cuore dell'uomo c'è ancora posto per la gratitudine e per il reciproco affetto.
20
The Time Machine di Simon Wells
Riflessioni di Gianni Ursini.
Gli ultimi anni del secolo scorso hanno visto il crescente successo della fantascienza cinematografica. In particolare il filone dei viaggi nel tempo si è
rivelato materiale ideale per il cinema di science
fiction, e da qualche tempo gli spettatori ne sono
letteralmente bombardati. Ma è possibile viaggiare
realmente nel tempo ? Alcuni astrofisici sostengono
che ciò sarebbe possibile oltrepassando la velocità
della luce, magari precipitando in qualche “ buco nero“
ai limiti dell’ Universo conosciuto.
Tuttavia, essendo tale possibilità talmente remota
da risultare praticamente inesistente, sarà meglio
continuare a parlare di viaggi immaginari.
I viaggi nel tempo, sia letterari che cinematografici,
appartengono essenzialmente a due categorie: nella prima si trovano quelli di tipo para-scientifico in
cui il viaggiatore adopera qualche sorta di
marchingegno che si ispira ad un famoso romanzo
di uno dei maestri della fantascienza moderna, e cioè
“La Macchina del Tempo” opera prima dello scrittore
britannico Herbert George Wells (1895). La seconda
categoria è quella in cui il viaggio viene compiuto
mediante pratiche magiche o metafisiche, ed ha
come diretto ispiratore il romanzo di Mark Twain “Un
Americano alla Corte di Re Artù “(1889). Stranamente il romanzo di Twain, pur scritto con chiari intenti di
satira sociale, per anni ha continuato ad ispirare
migliaia di giovani scrittori americani che ancora oggi
si ostinano a scaraventare i loro eroi in improbabili
mondi medievaleggianti usando gli artifizi letterari più
assurdi, e producendo spesso delle emerite porcherie che procurano pessima fama ad alcuni settori
della cosiddetta “ narrativa fantasy”. Forse questo è
dovuto al fatto che, benchè i due romanzi siano stati
scritti nello stesso periodo, quello di Twain ha visto
alcune riduzioni cinematografiche già nella prima
metà del secolo XX (nel 1920, nel 1931 e nel 1949 ),
mentre per vedere un film tratto da “ La Macchina del
Tempo”, abbiamo dovuto attendere fino al 1960. Ma
ne valeva la pena. Il film di George Pal, intitolato nella versione italiana “ L’Uomo che visse nel Futuro”
era molto bello, e grazie ad un uso geniale della tecnica della “stop motion” riuscì a vincere nel 1960 il
premio Oscar per i migliori effetti speciali.
Dopodichè, per altri vent’anni, il silenzio! Intendiamoci. In tutto questo periodo, ed anche ben prima
del 1960, gli scrittori di fantascienza avevano continuato a sfornare romanzi e racconti sui viaggi nel
tempo a getto continuo, ma semplicemente i produttori e distributori cinematografici non erano interessati. La fantascienza andava bene per i viaggi
spaziali, e per i mostri di cartapesta, ma i viaggi nel
tempo ? Naah! Troppo complicato. Finalmente nel
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
1979 arriva “ L’Uomo venuto dall’Impossibile” di Nicholas
Meyer, ottimo regista ed autore di numerose opere letterarie ucroniche di genere “ steampunk”. Si tratta di
un vero capolavoro, ingiustamente dimenticato, anch’esso ispirato al romanzo di Wells, ma con delle
godibilissime variazioni sul tema. Devono passare però altri sei anni prima
dell’arrivo di Robert Zemeckis con la sua
monumentale trilogia di “ Ritorno al Futuro”, che nel 1985 segnerà la fine di
un’epoca di ostracismo ed aprirà ai viaggi nel tempo le porte del cinema di fantascienza.
Era comunque dal 1979 che non veniva
prodotto un film direttamente ispirato al
romanzo di Wells. Per questo motivo
l’arrivo sugli schermi del film di Simon
Wells, preceduto da un notevole battage pubblicitario(
il regista è un autentico pronipote del famoso romanziere) è stato seguito con particolare attenzione. Beh,
dopo averlo visto, posso dire che si tratta di una delle
opere cinematografiche più stupide, inutili ed inconcludenti che io abbia visto in tutta la mia vita.
Qualcuno ha detto che per trarre un buon film da un’opera letteraria, bisogna tradirla un po’. D’accordo. Ma
nessuno ha mai affermato che bisogna anche farla a
pezzi con una sega circolare impazzita ! E’ quello che
ha fatto il regista Simon Wells con il film “ The Time
Machine “. Costui deve stimare molto poco le opere
del suo illustre antenato, in quanto nel suo film ha eliminato accuratamente ogni accenno alle tematiche
politiche e sociali, nonché ai problemi filosofici, etici e
morali contenuti nei racconti e nei romanzi di Herbert
George Wells. Lo spostamento dell’azione dalla Londra vittoriana in una improbabile New York
ottocentesca, è solo il minore dei tradimenti. Che cosa
rimane, dunque ? Un banale film di avventure
fantascientifiche basato quasi tutto sugli effetti speciali, peraltro molto ridimensionati in quanto la parte
più spettacolare, la distruzione di New York da parte di
uno sciame di meteoriti, è stata eliminata dopo l’attacco terroristico dell’ 11 settembre, data nella quale la
realtà ha ampiamente superato la fantasia. Si salva
solo la “ macchina del tempo” vera e propria, molto
ben realizzata e a grandezza naturale, ed alcuni aspetti particolarmente
spettacolari del viaggio, come i mutamenti geografici della superficie terrestre dovuti all’erosione ed alle
glaciazioni, ma sono cose che si possono vedere in qualsiasi documentario televisivo. Vorrei anche dire che
recentemente ho rivisto in cassetta il
film di George Pal “L’Uomo che visse
nel Futuro”( 1960), e che, a parte alcune ingenuità nella parte centrale
quando il film si sofferma sugli effetti di una ipotetica
guerra atomica, il paragone è nettamente a favore di
quest’ultimo, sia dal punto di vista della recitazione
che della musica, e soprattutto per la sceneggiatura e
l’ambientazione molto più coerenti e fedeli all’opera di
Wells. Per quanto riguarda il film uscito recentemente, posso anche aggiungere che alcune di quelle che
ad un giovane spettatore potrebbero sembrare delle
scene originali e strabilianti, come il rapidissimo mutare delle stagioni, le piante che crescono a vista d’occhio ed il manichino in una vetrina che cambia gli abiti
a velocità folle, esse sono interamente scopiazzate
dal vecchio film di George Pal. Perciò ribadisco il mio
giudizio negativo sul film “ The Time Machine” di Simon
Wells, e consiglio quanti provassero ammirazione per
lo spirito umanistico del vecchio romanziere, di andare
a rivedersi “ A.I. “ di Steven Spielberg e “ L’ Uomo
Bicentenario” di Chris Columbus, che io considero due
tra i migliori films di fantascienza che ho visto negli
ultimi dieci anni. Questo per sottolineare ancora una
volta che non nutro pregiudizi di alcun genere nei confronti della cinematografia americana.
0.1. Il tempo sembra costituire
temporalmente: la/le dinamiuno dei cardini focalizzanti di
che innescate dalla "nuova"
quel genere narrativo che è la
scienza sono parte integrante
science fiction (SF) e che, pare
di un processo dialettico che
per sua stessa natura, è semsi snoda tra passato, presente
pre rivolta all'indagine fortemene futuro, in cui l'enfasi ricade,
te
speculativa
delle
di solito, sull'ultimo termine,
problematiche originate dal rapsia connotandolo come
tradizione e modello narrativo
porto proto-industriale uomoutopicamente possibile, sia
di viaggio nel tempo nella
scienza già presente, peraltro,
come distopicamente temibile
letteratura di Science Fiction
sin dai tempi della civiltà meper l'umanità. Così, solo quedievale, alchemica e misterica.
sto tipo di narrativa, le cui
Fernando Porta
Una narrazione che abbia per
discendenze mitiche e
oggetto "a situationthat could
favolistiche sono ormai state
not arise in the world we know,
riconosciute, (2) può permettebutwhich is hypothesised on the basis of re che la logica artisticamente illimitata del fantastico
someinnovation in science or technology, or pseudo e dell'immaginario ci liberi dalle vincolanti e condizioscience or pseudo technology", (1) appare quindi ini- nanti barriere del tempo, che pure avvolgono la storia
zialmente caratterizzata non solo in senso spaziale sin dai primordi dell'evoluzione biologica. Proprio al tema
(le ipotesi ed i congegni fantastici, appunto evoluzionistico è legato The Time Machine (TTM), delfantascientifici, che enucleano l'azione), ma anche l'inglese Herbert GeorgeWells, opera antesignana di
H. G. Wells
and the Time
Machine
21
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
tutto quel filone di timetravellling (viaggio nel tempo)
ampiamente sviluppatosi nella moderna SF, dove la
"macchina", nuovo veicolo feticcio di una tecnologia
sempre più totalizzante nella società post-industriale,
sostituisce l'espediente del "somnium" o dell'allucinazione trans-temporale attribuita al viaggiatore di turno
(3). È con quest'opera che può essere misurata la conseguente e progressiva rielaborazione di ogni narrazione che faccia uso di una tematica "temporale" così
come nella letteratura di SF è spesso avvenuto. Attraverso l'evoluzione subita dall'espediente temporale
wellsianopossiamo quindi, sia verificarne la funzionalità interna, sia intuire le proprietà archetipiche poi convalidate dalla sua adozione incondizionata quale tipico
gadget fantascientifico dei molti ascrivibili al Wells),
cui l'evoluzione del genere stesso può fare riferimento.
L'importanza, di un'opera come TTM perciò, trascende
ogni valutazione estetica di tipo formale e stilistico,
che pure non può che essere positiva, per divenire elemento probante della sua appartenenza ad un genere
letterario ben definito, nonché della sua esistenza in
esso come uno dei modelli espressivi successivamente
riutilizzato da altri scrittori. Del resto, la critica stessa
ha più di una volta esaltato la paradigmaticità
fantascientifica del romance wellsiano (4) ma l'intento
di questo studio è un altro: piuttosto, attraverso una
necessaria decostruzione del racconto "temporale" si
tenterà di giustificarne l'appartenenza al sistema prevalentemente normativo con cui è andato organizzandosi, nella moderna SF, tutto un repertorio di fascino
si escamotagespseudoscientifici e pseudotecnologici
(secondo la stessa iniziale definizione di Amis) che ne
determinano gli intrecci inverosimili.
1. The time machine (1895)
1.1. È indubbio che la prima opera che abbia presentato in veste nuova ed originale la vecchia
idea di "viaggio nel tempo", nel senso di un reale superamento della dimensione temporale, sia
stato TTM di H.G. Wells: accadde così che dopo
varie stesure (1) l'edizione Heinemann in volume
di questo romanzo (breve) potesse facilmente
impressionare una vasta parte di quella middle
class vittoriana ancora fiduciosamente legata alle
istanze del vecchio "compromesso" sociale ed
utilitaristico.
Come ha altrove affermato il Pagetti, (2) Wells seppe
riformulare nei suoi scientific romances alcune delle
tematiche proprie o generi letterari preesistenti, quali
la narrativa utopica, il romance "faustiano" (es.
Frankenstein) ed il romance di evasione: in questo
senso, TTM sembra ben congegnato. L'epos avventuroso del Viaggiatore-scienziato, everyman dell'era
moderna, si svolge lungo il binario temporale che lo
porterà ad identificare gli sviluppi futuri dell'umanità
basandosi sull'estrapolazione letteraria del concetto di
evoluzione biologica. Ma l'anno 802.701 in cui il Traveller
incontrerà i gentili Eloi ed i selvaggi Morlocks non appartiene ad una qualche statica utopia del passato, in
una tradizione tipicamente inglese che può essere fat-
22
ta risalire a T. Moro; al contrario il mondo descrittoci in
questo caso è il primo prodotto di quella fervida immaginazione "utopica", dinamica ed avveniristica, che poi
sarà ribadita dallo stesso Wells qualche anno più tardi
in un'altra fase della sua produzione letteraria. In TTM,
la prefigurazione di un futuro ancora molto lontano, ma
non per questo inattendibile, diviene il setting simbolico e paradossale in cui calare le ansie e le paure borghesi tipicamente "fin de siècle" secondo quel certo
tipo di sensibilità che già il Bergonzi ha evidenziato:
(...) fin de siècle was simple the
expression of a prevalent mood: the
feeling that the nineteenth (...) had
gone on too long, and that sensitive
souls were growing weary of it. (...) The
result could be described as a certain
loss of nerve, weariness with the past
combined with foreboding about the
future (3).
In Wells questa angoscia per un futuro ormai sempre
più vicino, a causa della industrializzazione già in uno
stato avanzato, questa ansia esistenziale, dunque, trova un unico momento risolutore nella fede scientista
nel progresso tecnologico, che fin dai tempi del Royal
College of Science non lo abbandonerà mai per gran
parte della sua lunga, movimentata esistenza. Con
questo scrittore-scienziato abbiamo quindi uno dei primi esempi di intellettuale cosciente in maniera del tutto razionale del problema insito nell'utilizzo realmente
pacifico della scienza per il benessere dell'umanità e
non della sua strumentalizzazione oppressiva. Questo tipo di morale ammonitoria è contenuta "in nuce",
come si vedrà, in TTM, dove è inoltre riscontrabile quella primitiva ideologia socialista (Wells fu tra il 1903 e il
1908 uno dei membri della Fabian Society) che dal
punto di vista narrativo, doveva non solo produrre la
rappresentazione allegoricamente manichea delle due
classi contrapposte, ma anche la denuncia sociale
(proiettata nel tempo darwiniano) del possibile esito
che "l'esperimento democratico" tentato dalla classe
politica poteva avere a lunga, lunghissima scadenza
(4). In questo modo, anche le due nations che nel
Disraeliritroviamo orgogliosamente contrapposte ottengono in TTM un amaro ed ironico riconoscimento: l'ultimo ed unico momento di "incontro" tra le due razze è
quello assurdamente ritualizzato della assunzione
antropofaga dei passivi Eloi/capitalisti da parte dei
mostruosi Morlocks/proletari, i soli, tra l'altro, ad essere depositari nel sotto suolo di un decadente sapere
tecnologico. Ma è a questo punto che la narrazione di
"time travelling" presentataci da Wells rivela le sue
obiettive capacità funzionali ed allegoriche: il Viaggiatore, infatti, ritroverà nel futuro/passato capovolto la
conferma di quegli sviluppi negativi (devolution) che l'attuale momento storico già preannuncia allo scrittore
lungo l'arco evolutivo dell'umanità. La sterilità del divenire entropico del nostro pianeta (5) che le ultime splendide pagine del romanzo ci presentano, è proprio la
conferma del ribaltamento finale che l'autore, allievo
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
fra l'altro di T. Huxley, ha effettuato sugli assiomi fondamentali della confidence tutta vittoriana di cui si tingeva il darwinismo sociale dell'epoca. L'homo morlocus
e le altre specie animali, pure presenti nelle versioni
non definitive di TTM (6) sono il prezzo che l'immaginario ha da pagare a quella "falsa enfasi", secondo R.
Williams, "che deriva dall'espansione della teoria della
selezione naturale a quella politica e sociale" (7). La
confusione tutta spenceriana dei termini "sopravvivenza dei più idonei", quindi "più forti", diviene l'etica sociale che la nuova civiltà delle macchine si è auto-imposta per giustificare ogni ingiustizia (8).
Risulta quindi chiaro come l'episodio temporale in Wells,
sia il portato artistico di una grossa potenzialità non
solo narrativa, ma anche ideologica che l'opera stessa
deve e vuole esprimere: nello stesso periodo in cui i
Conrad e i Bennett esordivano letterariamente, e con
ben altre modalità stilisti che, la favola evoluzionistica
di questo ex professore di biologia otteneva una clamorosa accoglienza sia da parte dei critici che dei
semplici lettori, testimonianza che il gusto popolare
per il romance evocativo e liberatorio poteva unirsi agli
intenti allegorici e divulgativi suscitati dal crescente
dibattito originato dalla nascente civiltà delle macchine.
Così, il modello generativo assunto nel corso di questo studio, dimostra e verifica la validità di una narrativa, come quella del Wells iniziale, che potrebbe definirsi avvincente e didattica, dove la proiezione
avveniristica permette al lettore dell'epoca di esorcizzare, appunto nel tempo, le paure ed i terrori presentati dalla finzione letteraria. Ma se queste erano e rimangono le finalità artistiche che dispiegano il "piano del
contenuto" in questa prima, originale narrazione di
timetravelling, ben altre sono le caratterizzazioni che
l'opera stessa può assumere in quello, per così dire,
"dell'espressione", dove è possibile identificare alcuni
elementi tematico-formali presenti in TTM.
In particolare, con una semplice operazione di tipo logico-deduttivo, è possibile isolare tre nuclei espressivi
costanti e peculiari in TTM che ne determinano, al livello del suo fenotesto (9), sia la significanza testuale
che veicola i contenuti già descritti e proposti dall'autore, sia quella funzione da noi definita archetipica nell'ambito della narrativa temporale e di SF. Ci si propone quindi, l'isolamento dei seguenti elementi che costituiscono, integrandosi osmoticamente, la struttura
narrativa complessiva del romanzo: a) il tema del "viaggio" (v.1.2); b) il tema del "tempo"; c) il tema della "macchina" (entrambi in 1.3.).
1.2. Una prima riflessione che può essere dedicata alla modalità itinerante di TTM è che essa situa questo primo scientific romance di Wells sulla scia di una lunga tradizione tipicamente inglese che si ricollega direttamente ai viaggi immaginari del XVII e XVIII sec. se non addirittura alle
travel letters del seicento (1).
Tuttavia, la peculiarità del nuovo racconto temporale
sta nel fatto che, pur trattandosi di un viaggio verso il
futuro inerente un sicuro distanziamento dal qui ed ora,
come accadeva in tutte le fantasie utopiche da T. Moro
in poi, esso riesce a creare una seriazione narrativa in
cui le varie fermate del Traveller corrispondono ad alcune fasi dell'evoluzione capovolta semplificata dal
darwinismo sociale ironicamente offertaci dall'autore
(2). Più che nello spazio, quindi, la "macchina" del
viaggiatore wellsiano è capace di spostarsi lungo il tempo evolutivo così che lo stesso stereotipo del viaggio
utopico, scomponibile in andata/permanenza/ritorno (3),
offre al lettore del tempo una versione esteticamente
fruibile del capovolgimento di certi valori etici e biologici, quali erano stati avanzati di recente da Darwin (4).
Il nuovo percorso verso quella che si scoprirà esser
una falsa Utopia porterà dunque il Viaggiatore ad una
successiva ipotesi sociale che si articola lungo varie
fermate nel futuro di un tempo linearmente assicurato
al piano della storia e quindi non completamente riconducibile a vecchie e parziali ipotesi filosofiche. Da
qui anche la funzione "epica" del time-travelling tipicamente wellsiano, orientato com'è verso una realtà che
per quanto ipotecataprobabilisticamente è sempre connessa al genere umano nel suo insieme, mentre invece le successive sue utilizzazioni sembrano assumere ben altre caratteristiche (5).
Il tema del nostos temporale è dunque il filo conduttore dell'affascinante operazione prometeica (in pratica,
una ricerca della conoscenza), instaurata dal narratore interno (il Viaggiatore) attraverso la scoperta della
"sua" fourthdimension "quarta dimensione" dove, come
si vedrà (1.3.), le altre tre dimensioni spaziali sono
annullate dalla volontà egotistica della sua stessa coscienza (6). Proprio per questo, alla fine del romanzo,
il "viaggio" non può concludersi nel nostro tempo, reale ed oggettivo, ma implica che il "profeta" wellsiano,
in osservanza alla coerenza interna della sua stessa
avventura, debba riprendere il suo veicolo trans-temporale. Probabilmente questo tipo di conclusione può
essere letta solo apparentemente come adeguamento
formale del Wells a certi tipi di romances spazio-temporali, pure contemporanei a TTM, dove veniva proposto un tipo di ending forzatamente matrimoniale e in
cui l'amore o la ricerca dell'eroe di una compagna erano garanzia, in qualche modo, della sostanziale aspirazione alla continuità (ontogenetica) dell'individuo (7).
Non si può, cioè, esser certi che il ritorno del futuro del
Traveller sia da imputare ad un qualche tipo di passione provata da questi nei confronti di Weena, la ragazza eloi salvata dalle acque di cui conserverà al ritorno
i due strani fiori che ella gli aveva donato: il romance
del Wells, in effetti, non dà molto spazio ad un romantico idillio di due individui appartenenti ad epoche diverse.
Mi sembra, invece, che la ripresa del viaggio temporale da parte del protagonista rappresenti qualche cosa
di più: con il suo finale aperto, il Wells, forse ha voluto
rendere omaggio all'indomabile volontà di un personaggio che, assurto a simbolo dell'intera umanità, decide
di non piegarsi di fronte all'universo deterministico, così
come il darwinismo capovolto e divulgativo di
TTM ha voluto presentarcelo. Piuttosto che verso altre
epoche è anche possibile che il Traveller abbia deciso
23
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
di tornare nell'802.701 non solo per rivedere la ragazza
eloi, ma anche per liberare lei e gli altri membri della
sua razza dalla passiva soggezione ai brutali Morlocks
(8), magari materializzandosi in qualche punto del
continuum prima che la lotta tra i due gruppi sociali
divenisse insanabile.
Comunque, in TTM, proprio questo tipo di conclusione
in cui il protagonista riesce a mantenere intatte tutte le
possibilità risolutive concessegli dalle personali aspettative del lettore diviene un utile ed ulteriore spunto per
le successive elaborazioni, propriamente
fantascientifiche, dello stesso sottogenere di storie sui
viaggi nel tempo.
1.3
Parts were of nickel, parts of ivory,
parts had certainly been filed or sawn
out of rock crystal. The thing was
generally complete, but the twisted
crystalline bars lay unfinished upon
the bench beside some sheets of
drowings...
(TTM, p. 14) (1)
There is no difference between Time
any of the three dimensions of Space
except that our consciousness moves
along it. (...) Our mental existences,
which are immaterial and have no
dimensions, are passing along the
Time. Dimensions with a uniform
velocity from the cradle to the grove,
Just as we should travel down if we
began our existence fifty miles above
the earth's surface.
(TTM, p. 8 e p. 10)
Le due citazioni non sono casuali: mentre da un lato,
pur nella loro brevità, esse costituiscono un valido riscontro dell'alto coefficiente mimetico ed informante
della parola wellsiana, dall'altro esse ne ribadiscono la
forte carica emotiva ed individualistica permettendole
di giungere all'esaltante ideazione di un congegno, nel
primo caso, e di una teoria, nel secondo, entrambi fantastici ed illusori eppure reali ed oggettivi durante l'intero corso della narrazione. Se, come si è già detto, è
il "viaggio" l'elemento (da noi definito tematicoformale),
che raccoglie e (ri)organizza in maniera sequenziale
la disposizione cosmica dell'io narrante, spetta alla
"macchina", nuova metafora della nascente società
industrializzata, percorrere le rotte di una ipotetica
"fourth dimension" temporale, esclusivamente rivolta a
saggiare le previsioni futurologiche del narratore/autore (2). L'evidenziazione, esemplificata dai brani, di questi altri due motivi, la "macchina" ed il "tempo" dunque, vale anche a mettere in luce la loro intima ed
inestricabile coincidenza all'interno del plot di
timetravelling assunto come modello generativo: il
romance in questione diviene così "campo aperto" in
24
cui l'ordine fabulistico di causa ed effetto delle cose e
dei personaggi riassume sincreticamente le istanze
sociali e scientifiche dell'epoca tardo-vittoriana. In particolare, in TTM possiamo osservare come entrambi
questi elementi diventino emblematici non solo di un
certo "realismo", teso verso il fantastico o, viceversa,
solo funzionale a quest'ultimo, ma anche rappresentino narrato logicamente quello che è un vero e proprio
ordine epistemologico, in cui l'autore ha concepito l'opera stessa (3).
È avvenuto infatti che l'ambiente urbano e la realtà interindividuale risultano rivoluzionati dagli elevati e accelerati standards di consumo e di produzione imposti dalla neo-costituita civiltà delle macchine e dell'industria,
dove l'efficienza e la disciplina responsabile divengono
i postulati risolutivi, ma anche costrittivi, della sfida al
"record" produttivo e gratificante. Proprio la macchina,
ha prodotto una destorificazione del tempo, prima individuale e romanticamente connesso al soggetto umano, ora meccanico, prescrittivo, artificiale (4), Questa
nuova "sensibilità" socio-industriale la ritroviamo, non
solo allegoricamente, nella particolareggiata macchina del Traveller e, soprattutto, nella sua concettuosa
esposizione dei criteri fortemente egotistici, nonché
schizoidi, che gli permettono il "balzo" temporale verso il futuro apocalittico ed entropico perché giustificato dalla evoluzione capovolta della parabola wellsiana:
la machine del Viaggiatore è perciò il sintomo di una
ultima e mistificante esigenza mimetica del narratore
nel quale "il realismo ha ceduto il posto ad una visione
problematica del rapporto col mondo: la sua scrittura
non è realistica bensì ipotetica, sospesa in un discorso lontano da verità assolute" (5). Quello che accade
in TTM è un chiaro esempio di deformazione simbolica
della realtà da parte dell'opera letteraria: una storia di
time-travelling necessita per la prima volta di una giustificazione meccanica e teorica che, per di più, deve
apparire plausibile e veritiera pur nella sua inverosimile
sospensione estetica.
Ma, alla fine del racconto, ecco che il Traveller stesso
pare ammettere che l'infingimento narrativo è giunto a
un punto di stallo (6): livello interno del racconto (quello della rassicurante drawing-room con i suoi ospiti) e
livello esterno (il resoconto dell'autore/testimone) giungono a materializzarsi dinanzi agli occhi del lettore,
consapevole tra l'altro della dinamica illusoria, ma interamente coerente, che gli è stata presentata dall'autore con il chiaro scopo di comunicargli non solo stupore e meraviglia, ma anche una precisa metafora sulla realtà socio-culturale che lo circonda.
Arriviamo così ad uno dei punti nodali della nostra analisi: viste le premesse contenutistiche che informano
TTM, esaminate le componenti formali che
interagiscono fra loro per produrre la logica sia della
fabula che dell'intreccio stesso, come possiamo giungere a una verifica empirica di quelle proprietà archetipe
e generative che giustificano l'assunzione a modello di
timetravelling per l'opera stessa nell'ambito di una SF
moderna e cosciente del proprio ruolo in quanto genere letterario? (7)
Il viaggio (ed in qualche modo l'utopia, anche capovol-
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
ta), il tempo (sintetico) e la macchina (il "meraviglioso
scientifico"), sono tutte tematiche costitutive che ritroviamo, incidenti in forme diversificate, in ogni narrazione fantascientifica che si rispetti ma che, a mio parere, giungono ad una sintesi ottimale ed efficiente solo
quando si tratti di una narrazione di viaggio nel tempo.
Nel caso di TTM, la pregnanza semantica dell'opera
aumenta di spessore fino a conferire al prodotto estetico quelle indubbie valenze mitiche e profetiche (8)
che sono già state ribadite ma che, pure, vanno
riesaminate alloro preciso insorgere, nel momento stesso in cui si riconosca a questa prima indicativa narrazione wellsiana sia una esemplare paradigmaticità
fantascientifica, sia una specificità comparativa in quanto exemplum temporale per i nostri successivi riferimenti.
Bisogna in effetti intendere che l'espediente temporale
del Wells, come del resto tutto il suo ciclo
fantascientifico, si configura essenzialmente, nel suo
peculiare rapporto con una dimensione fantastica che
se recupera le ansie e i terrori del gotico e del soprannaturale inspiegabile (Poe, Hawthorne), si rivolge per i
suoi stessi destabilizzanti contenuti ideologici (spesso ingenuamente populistici, v.1.1.), ad una particolare enfatizzazione del ruolo e del valore che la scienza
e la tecnologia possono avere nel campo del sociale,
quali valide espressioni di quel "mito" del progresso
auspicato e, allo stesso tempo, temuto dal mondo
borghese dell'età tardo vittoriana (9).
Pur non volendo, quindi utilizzare una ermeneutica
esclusivamente socioletteraria (a scapito di un'analisi
interna al testo e ai suoi connotati semantici), è un
fatto che nello stesso H.G.Wells l'artista ed il sociologo
si fondono ineluttabilmente per produrre, in TTM, una
dichiarata avversione all'ideale socio-biologico della
borghesia vittoriana: "tempo" e "macchina" non sono
una mera esigenza della struttura narrativa imposta
dal modulo del romance ma divengono nessi simbolici
su cui far ruotare la potente carica anti-vittoriana del
messaggio letterario.
Per cui, volendo condividere l'affermazione di K. Amis
secondo il quale con TTM (dopo il Frankenstein della
Shelley), inizia quel tipo di fantascienza essenzialmente moderna per il suo carattere sociologico ed
estrapolativo,(10) possiamo ora delineare un assioma
definitivo che mentre prescrive l'operatività del modello
temporale ne riconosce le indubbie capacità allegoriche e/o simboliche qualora, come in Wells, lo scrittore sia ben conscio dei riferimento al mondo della techne
e della scienza che l'uso di tale modello comporta.
Per superare l'impasse interpretativo creato da una lettura tradizionalmente mitopoietica di TTM (vedi
Bergonzi e la critica successiva), credo ci si possa
avvalere della teorizzazione di quel novum suviniano
che tanta attenzione ha suscitato in questo campo di
studi (11). In particolare, in TTM, non si può fare a meno
di notare che tale "egemonia narrativa" o anche "fenomeno o relazione totalizzante che si allontana dalla
norma della realtà dell'autore e del lettore presunto",
(12) risieda proprio nelle nuove elaborazioni (fantastico) letterarie subite dai suddetti temi del "viaggio", del
"tempo" e della "macchina". Inoltre, anche la peculiarità storicistica del novum stesso, (13) sembra determinarsi in questo scientific romance in una chiara e
definita intenzionalità ideologica e, se così può dirsi,
trasgressiva della narrazione wellsiana, pure ammettendo una sua discutibile efficacia sul piano più
specificatamente del riscontro politico.
Solo in questo romanzo, a parte alcuni parziali recuperi
successivi, la logica simbolica e mitopoietica dell'espediente temporale fantascientifico procede in parallelo
con l'intento e la relativa consapevolezza etico-politica
dell'autore, a prescindere dalla validità analogica che il
sistema dei potenziali fruitori, nonché della critica,
possono instaurare con l'iperbolica storia "futura" adottata come termine di confronto. Il novum cognitivo ed
estraniante che la vicenda del Traveller ha reso esperibile
in modo falsamente realistico diviene quindi un
indiscutibile parametro per definire e verificare tanto la
funzionale condizione omologante di TTM al genere
fantascientifico, quanto la sua innata e naturale tendenza a costituirsi quale archetipo di una vasta ed eterogenea produzione narrativa, cui ha pure offerto e suggerito stimolanti variazioni tematiche, solo in parte, si
vedrà, realizzate esteticamente a pieno.
2. Epigoni di The Time Machine nella moderna
S.F.
2.1. L'enorme massa di racconti brevi, lunghi e
romanzi veri e propri in cui l'azione è imperniata
sulle conseguenze e gli effetti di un improbabile,
anzi irreale, time-travelling costituisce oggi, uno
dei sottogeneri più importanti dell'intero corpus
fantascientifico ed ancora attende una più seria
sistematizzazione da parte della stessa critica,
affinché se ne verifichino le finalità complessive
e le singole modalità espressive (1). Tuttavia, pur
nei limiti impostici da questo studio, può essere
utile tentare di delineare una sommaria visione
prospettica di questo tipo di narrazione, affinché
non solo si ottenga un giusto inquadramento degli sviluppi subiti dal modello temporale di TTM,
ma anche, si comprendano le ragioni di certe
scelte e soluzioni narrative non sempre ortodosse e giustificabili dal punto di vista estetico.
Mi pare, quindi, che quella che in precedenza è stata
definita fruizione graduale e modellazione dell'esemplare wellsiano, si conformi fin dai suoi primi casi ad
una assimilazione non passiva dello stesso che, però,
va incontro successivamente (ed in maniera quasi naturale) ad una lenta ma inesorabile spoliazione di ogni
eventuale contenuto, sia allegorico che simbolico, presente invece nella iniziale elaborazione di fine ottocento.
In effetti, con la nascita delle prime riviste d'oltreoceano
dedicate in modo specifico alla SF ("Amazing Stories",
la prima, è del 1926), si ha subito la conferma dell'importanza che tutta la produzione degli early romances
del Wells avrà per i primi scrittori di questo genere,
nato e sviluppato si con intenti certamente popolari e
d'evasione: di tutte le sue innumerevoli "trovate", la
25
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
"macchina" del tempo, ovviamente, non mancò di interessare sia gli scrittori, desiderosi di nuovi suggerimenti, sia i lettori, i quali non lesinarono al romanzo del
1895 un successo ben clamoroso, se si considera il
lasso di tempo trascorso nel frattempo dalla sua prima
pubblicazione londinese (2). L'espediente temporale,
dunque, entrò in pianta stabile nei sommari delle copertine riccamente illustrate degli anni venti e trenta,
mentre una intera generazione di scrittori, appartenenti alla fase originaria della SF, (3) ebbe modo di sperimentarlo con varia fortuna, adeguandosi ove possibile
alla dimensione mitico-profetica creata da Wells stesso (v.1.2.), ma anche sforzandosi di ampliarne l'orizzonte narrativo, visto che le concrete esigenze commerciali di un mercato sempre più vasto richiedevano
opere altamente fantasiose ed immaginative.
Una letteratura ancora prevalentemente adolescenziale
in quanto a contenuti (si volevano opere che comunicassero il cosiddetto sense of wonder e basta), non
poteva certo produrre iniziali capolavori: così, nel campo delle time-travel stories ben poco di quella produzione ha resistito all'usura, proprio, del tempo. Va comunque riconosciuto che questo tipo di storie, sin dai
primi tentativi spesso ingenui e goffi, offrirono un certo
livello di originalità per quanto riguarda gli intrecci elaborati e le soluzioni finali adottate. Più di tutto, oltre
che nel futuro, cominciò quindi a verificarsi il caso che
si potesse viaggiare anche nel passato, (4) cosa, questa, che non poteva certo interessare a suo tempo il
Wells che, come si è detto, caricava questo tipo di
viaggio di ben altre finalità didattiche ed ammonitorie:
ora, la possibilità che il nuovo traveller potesse vivere
le più emozionanti avventure, ad esempio, nella preistoria del nostro pianeta (magari andando a caccia di
dinosauri!), permetteva una ben maggiore libertà narrativa tanto che, dopo i primi tentativi, si poté addirittura immaginare che la storia fosse mutabile se si permetteva all'eroe di recarsi, appunto, nei momenti passati che l'avevano in precedenza determinata (5).
Così, con l'ipotesi di una reversibilità cronologica, (6)
si può dire che la narrazione di time-travelling finalmente, riesca a scrollarsi di dosso la pesante tradizione di TTM, ricercando una sua autonoma disposizione
formale, pur entro i ristretti confini di una letteratura
fantascientifica inizialmente votata al disimpegno estetico in accordo, del resto, con le personali, rigide
direttive di coloro che ne stabilivano l'evoluzione interna e la conseguente politica editoriale (7): da qui, perciò, il fiorire di tutta una sovrabbondante produzione
narrativa in cui ci viene presentata la possibilità che
eventuali alterazioni nel passato causino la coesistenza
di un nuovo presente che convive con quello vecchio. Il
flusso temporale, in questo genere di storie, non è più
concepibile in maniera uni-lineare (come in Wells), ma
diventa soggetto a brusche deviazioni e diramazioni
che a loro volta si moltiplicano, in maniera che epoche
diverse mantengono una loro relativa unicità pur esistendo su piani differenti del continuum spazio-temporale. Questa stranezza, infatti, si verifica quando, in
una di queste narrazioni, capiti di imbattersi negli scon-
26
certanti "universi paralleli" offertici dai cosiddetti alternate time-streams (flussi temporali possibili), che sono
lo sfondo per le esaltanti avventure, di sovente velate
da un palese nazionalismo americano, che l'eroe di
turno, il "crononauta", deve sostenere contro avversari
(mostri, alieni, ecc.) decisamente stilizzati e riconoscibili come i "cattivi" da eliminare (8).
In ogni caso, quello che avviene in questa prima fase
della produzione di SF è quasi sempre una
banalizzazione dell'espediente temporale; solo con la
fine di tutte quelle opere incentrate sulla space-opera
(il melò più deteriore di un certo genere di fantascienza), fino ad allora imperante, le storie di time-travelling
furono finalmente in grado di raggiungere nuove, ulteriori possibilità espressive e maggiori elaborazioni nelle loro idee di base. Così, proprio nel periodo di maggiore ripresa della SF (a partire dagli anni quaranta), fu
evidente che anche il tema temporale poteva giovarsi
del generale miglioramento qualitativo portato avanti
da scrittori quali I. Asimov, T. Sturgeon, R. Heinlein ed
altri, tutti ormai riconosciuti come i maggiori esponenti
della produzione fantascientifica di quegli anni ed anche di gran parte di quella a venire (9).
Eccettuata la categoria di storie imperniate sui nuovi
sconvolgenti "paradossi temporali" (di cui si dirà in 2.2.),
fin dagli anni cinquanta le storie sui viaggi nel tempo
confermarono la tendenza ad un più responsabile utilizzo, da parte degli autori dell'espediente temporale:
romanzi come Bring the Jubilee (1953) (10) di W.Moore
e racconti brevi come The Brooklyn Project (1958) (11)
di W. Tenn, oppure A Sound of Thunder (1954) (12) di
R. Bradbury, non rappresentano solo dei casuali esempi isolati del generale miglioramento stilistico e
contenutistico di questo genere di narrazione. Essi
hanno anche il pregio di contenere effettivamente un
certo tipo di morale, o meglio, come si vedrà, di ideologia, per quanto negativa e totalizzante essa possa
essere considerata, se osservata dall'esterno.
Ci si riferisce, in particolare, a quella generale tendenza insita nelle nuove time-travel stories (e poi continuata anche nella produzione contemporanea), con cui
la storia e gli accadimenti umani presentatici
meccanicisticamente, divengono una semplice concatenazione, spesso arbitraria se non irreversibile, di
cause ed effetti che sfuggono alla comprensione del
singolo individuo, di solito descritto come debole pedina di manovre o completamente fortuite, oppure
preordinate, nei casi peggiori, da una qualche entità
extra-temporale. Se la storia, quindi, può anche essere inavvertitamente cambiata, proprio per evitare che
l'uomo possa pasticciare con il destino, ecco che
I.Asimov in The End of Eternity (1955), (13) riesce a
immaginare una organizzazione inter-temporale (dal
nome emblematico "Eternità"), che si serve di una
specie di ascensore temporale chiamato "cronoscafo"
(la macchina di Wells?) per controllare che tutto accada come stabilito in precedenza. In simili storie, tra
cui anche il ciclo famoso della Time-patrol (polizia,
pattuglia temporale), ideato da P. Anderson alla fine
degli anni sessanta, (14) l'abituale viaggio diviene stru-
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
mento per riaffermare una reazionaria ideologia del
controllo sovra-individuale, dove il libero arbitrio di ogni
essere umano è totalmente inesistente o, al limite, se
riconosciuto come tale, va attentamente sorvegliato.
In questo modo, come fu affermato da F. Ferrini in uno
dei primi studi sull'argomento, "la fantascienza (...)
convalida l'ideologia che niente può essere cambiato"
poiche, "negando il carattere rigorosamente storico di
ogni possibilità di trascendenza, la storia viene svuotata di ogni valore e significato (...) parole, gesti e fatti
sono solo incidenti". (15) A nulla serve, poi, che in queste storie la presenza di qualche compagna o innamorata possa far comprendere al traveller la sua insensata funzione di burattino più o meno inconsapevole degli avvenimenti che lo attendono, oppure che deve suscitare, a seconda degli ordini ricevuti e delle necessità sue personali.
La SF dunque, prodotto inizialmente para-letterario, per
troppo tempo (almeno fino agli anni sessanta) rassicurante dell'ordine sociale esistente (anche quando lo
estrapolava distopicamente), dimostra sì di essersi
impadronita al meglio dell'espediente letterario wellsiano
di viaggio nel tempo, ma anche, purtroppo, sembra
volerne sacrificare le indubbie potenzialità destabilizzanti e allegoriche, attraverso un uso troppo spesso
riduttivo e unicamente volto alla costruzione di trame
ricche di azione e movimento, ma molto povere di contenuti.
In questo modo, avvalendosi del time-travelling, la SF
non ha reso un grande servigio agli insegnamenti del
suo padre fondatore: anche se non mancano recenti
esemplificazioni di successo,(16) le storie di questo
tipo, quando non contengono una certa dose di
antistoricismo sovra-individuale, risultano tutte accomunate dalla forte tendenza a iperbolizzare, snaturandola, la dialettica del divenire storico attraverso la presentazione di avvenimenti stupefacenti e comunque
intesi a provocare una certa funzione esca pista, che
nega completamente il reale nel lettore.
2.2. Vi sono certe storie di fantascienza incentrate sul time-travellingche sono veramente rimaste
nella memoria dei lettori americani, soprattutto
a partire dagli anni quaranta, vero e proprio periodo aureo per l'ampliarsi delle innumerevoli
modalità narrative o sotto-generi che compongono la SF; mi riferisco più specificamente al tema
dei "paradossi temporali", anche meglio conosciuti come time-traps o time-loops(trappole temporali), senz'altro il prodotto di quell'esasperata ricerca degli effetti inverosimili (davvero, stavolta)
causati dall'utilizzo, certamente involuto, dell'espediente temporale. Così, ciò che queste storie ci presentano è, di solito, una ulteriore esasperazione di quella tendenza già definita
"escapista" ottenuta attraverso un incontrollato
aumento delle implicazioni concettuali e pseudologiche prodotte dall'atto stesso del viaggiare nel
tempo (1). In questo modo il viaggio non esiste
più neanche come precaria struttura itinerante
dell'intreccio, esso è sostituito dal materializzarsi
improvviso del viaggiatore temporale (ora quasi
sempre proveniente da un futuro scientificamente più avanzato), il quale diviene, suo malgrado,
artefice e poi vittima delle complicate
interdipendenze che si instaurano tra la nuova
condizione storica incontrata e la preesistente
situazione che gli ha permesso di violare le barriere epocali (2). Il momento risolutivo fornito ci
dal finale di queste storie, èpoi anche l'occasione per dispiegare una sorprendente (soprattutto
per i lettori) ri-conversione delle loro dinamiche
narrative, dove il tempo interno dello stesso racconto pare auto-generarsi ad infinitum confermando quelle caratteristiche di ciclica immutabilità
che già altri esempi di time-travelling ci avevano
presentato.
Anche queste storie paradossali sul tempo ebbero,
però, una lenta gestazione: (3) il loro primo esempio
risale infatti al 1933 per merito di NatSchachner, indubbiamente uno dei primi grandi rielaboratori di questo genere di narrativa fantascientifica, il quale ci presenta il suo racconto breve Ancestral Voices in cui
riesce a stupire i lettori del tempo ipotizzando che un
crononauta, uccidendo un barbaro durante il saccheggio di Roma, causi la scomparsa di diverse migliaia
dei suoi discendenti, tra cui (!) egli stesso.
Ma, pur essendo ancora accettabile l'apparente
credulità degli assunti logici che sono alla base di questo tipo di storie, ecco che la SF, ancora una volta,
avrebbe cercato di superare se stessa portando al
massimo le possibilità narrative che le erano state
appena fornite; dopo pochi anni infatti, questa nuova
esemplificazione (meglio, iper-elaborazione) dell'espediente temporale avrebbe fornito l'opportunità per divertenti e complicati puzzles narrativi in cui coinvolgere il
lettore fino al completo annientamento delle sue capacità deduttive, il tutto sempre grazie a quel processo
escapista già in precedenza descritto (4)
Per un valido e sintetico esame di questi racconti, basati su una valutazione paradossale e spesso illogica
del tempo, credo che ci si possa riferire a due di essi,
scritti entrambi nell'arco di quasi vent'anni da Robert
Heinlein, senz'altro uno dei più grandi e interessanti
scrittori della SF contemporanea: si tratta di ByHis
Boostrops (1941) (5) e AlI YouZombies (1959), due tra
le storie più intricate sui paradossi nel tempo.
Nel primo racconto, ad esempio, ci viene presentato
un uomo che si ritrova ad incontrare per ben cinque
volte se stesso; infatti la sua personalità più anziana
ha allestito la trappola temporale in cui cade sempre
quella più giovane che ne è all'oscuro. Come sempre il
finale sarà un ritorno alla condizione primitiva con cui
era iniziato il racconto; una volta che il protagonista
avrà deciso di conoscere il perché di questi paradossi,
i Supremi, cioè gli esseri sovra-temporali (vedi 2.1.)
che lo avevano controllato fin dall'inizio, faranno cominciare tutta la vicenda daccapo.
Più semplice da spiegare, invece, il meccanismo che
regola l'altro racconto AlI You Zombies, dove il
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
crononauta in questione scopre che incontrando se
stesso prima nel passato e poi nel futuro, dopo che
una operazione gli ha cambiato il sesso, egli è divenuto persino suo padre, sua madre e suo figlio (6). In
questo caso l'autore, R. Heinlein, non è affatto interessato a spiegare l'incongruenza biologica che si presenta al lettore; infatti, come sappiamo, un figlio dovrebbe possedere solo la metà dei cromosomi paterni,
mentre in questo caso li avrebbe tutti.
Di nuovo, quindi, storie come queste pongono l'accento sulla capacità estraniante, nel senso indicato da
Suvin (v. 1.3., nota 13) che il lettore può ritrovare nelle
complicate sequenze temporali dove le consuete esperienze sensoriali risultano annullate dalla assurda cronologia generativa degli avvenimenti. Il fatto che l'uomo
stesso, quale personaggio in queste narrazioni, giunga più volte ad incontrare il se stesso di un qualche
tempo diverso, non fa che sottolineare che, nella letteratura in generale, e quindi anche nel sotto-genere temporale della SF, la raffigurazione speculare dell'io alienato dell'uomo moderno è ormai un tema abituale per
molti scrittori (7). Quelli di fantascienza in particolare,
sembrano aver raggiunto una certa dimestichezza con
le
rappresentazioni
speculative
del/dei
doppelgänger;spetta alle time-loops il merito di ciò,
anche se sono veramente rari i casi in cui i racconti
sui paradossi temporali hanno comunicato qualcosa
che andasse al di là del semplice divertissement letterario.
Rimane perciò l'impressione che tutte le storie temporali, salvo le eccezioni sempre possibili ed auspicabili,
tendano ad una sostanziale aproblematicità nei confronti del lettore, di cui si vuole solo attrarre l'attenzione offrendogli l'inverosimile possibilità di un viaggio nel
tempo per confonderlo e destabilizzare in lui la logica
temporale di causa ed effetto. Questo, ovviamente, può
anche divertire, soprattutto quando si ha il preciso intento di farlo; già TTM ci era riuscito molto tempo prima, e abbiamo visto con quali interessanti risultati.
Per funzionare, il gioco degli "universi paralleli" e dei
congegni temporali deve basarsi non solo sulla volontaria disponibilità del lettore ad accettare l'eventualità
del viaggio nel futuro o nel passato, ma deve produrre,
oltre al necessario stupore, anche una autoriflessività
dei concetti e delle idee applicabili nel mondo del reale, in quel tempo reale in cui ci ritroviamo alla fine di
ogni "favola temporale", un tempo che non sarà mai ne
quello passato, ne quello futuro, ancora irraggiungibile
per la luce della nostra coscienza. Accettare l'illogicità
di queste narrazioni, dunque, non è semplice resa della ragione di fronte al potere dell'immaginazione, anzi,
diviene condizione convalidante per un nuovo tipo di
fabulazione, temporale e illusoria appunto, una tendenza non certo nuova nell'ambito della letteratura se si
pensa ai tempi delle leggende e degli antichi miti.
Fernando Porta Università di Salerno
Note
0.1.
1) Cfr. K. Amis, New Maps of Hell: A Survey of Science
Fiction, New York, Harcourt, 1960, p. 18.
2) In proposito cfr. N. Frye, The Secular Scripture. A Study
of the Structure of Romance, Cambridge-London, Harvard
University Press, 1976 (tr. it. La scrittura secolare, Bologna, Il Mulino, 1978).
3) Ad esempio nel racconto di E.A. Poe A tale of the Ragged
Mountains (1843), dove viene narrata la storia di un uomo
che spintosi tra le montagne della Virginia si ritrova nell'anno 1780, in preda agli effetti della morfina (usata dallo
stesso Poe), quasi in uno stato di allucinazione. Qualcosa di simile accade in A Connecticut Yankee in
KingArthur's Court di M. Twain (1889); qui, pur rimanendo
incerta la meccanica con cui l'eroe viaggia a ritroso nel
tempo, è il sonno a permettergli di tornare nel presente.
Ma l'idea di viaggio nel tempo non era affatto nuova in
letteratura: v. il famoso Rip Van Winkle (1819), di W. Irving;
The Clock that Went Backward (1891), di E.P. Mitchell; o
addirittura A ChristmasCarol in Prose (1843), scritto da C.
Dickens.
4) Cfr. R.M. Philmus, Into the Unknown: the Evolution of
SF from Francis Godwin to N.G. Wells, Berkeley and Los
Angeles, University of California Press, 1970, PP. 4-5,
passim. È d'obbligo ricordare che il presente studio trae
spunto soprattutto dalla linea ermeneutica di D. Suvin in
"A Grammar of Form and a Criticism of Fact: The Time
Machine as a Structural Model of Science Fiction", Comparative Literature Studies 10, 1973, pp. 334-352 (tr. it.
28
"Grammatica della forma e critica della realtà: la Macchina del Tempo come modello strutturale della fantascienza", in Strumenti Critici n. 18, 1972, pp. 197-216). Stesso
articolo poi ristampato in D. Suvin-R.M. Philmus eds., H.G.
Wells and Modern Science Fiction, Bucknell and London,
Associated University Press, 1977, pp. 90-115.
1. The Time Machine (1895).
1) Per le varie stesure di TTM successive alla prima, originale versione del 1888 denominata The Chronic
Argonauts e mai terminata cfr. l'ottimo B. Bergonzi, "The
Publication of The Time Machine, 1894-5", Review of
English Studies 11,1960, pp. 42-51. Più di recente è stata
inoltre dimostrata la complementarietà di tutte le varianti
di TTM da R.M. Philmus, "Revisions of the Future: The
Time Machine", Journal of Generai Education 28, 1976,
pp; 23-30. Nel nostro paese una attenta disamina delle
versioni del romanzo in questione è stata offerta da A.
Monti nel suo studio monografico Invito alla lettura di H.G.
Wells, Milano, Mursia, 1982, pp. 29-43.
2) Cfr. C. Pagetti, "Da Wells a Clarke: modelli ideologici e
formule narrative (1895-1961)", in La Città e le Stelle n. 1,
Inverno 1981-Primavera 1982, pp. 2-7.
3) Cfr. B. Bergonzi, The Early N.G. Wells, Manchester,
Manchester University Press, 1961, pp. 3-4.
4) È in questo antagonismo dualistico che ci è possibile
comprendere come, in Wells, il piano stesso della protesta socio-ideologica si sposti su quelle posizioni
anacronistiche e piccolo borghesi che susciteranno il violento attacco di marxisti ortodossi quali Caudwell, che
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
riaffermerà, in pratica, l'incapacità di questo scrit'tore di
operare una esatta diagnosi della evoluzione storica e
dello stesso concetto di lotta di classe. Cfr. C. Caudwell,
"H.G. Wells: A study in Utopianism", in Studiesin a Dying
Culture, London, Lane, 1938 (tr. it, "H.G. Wells: Saggio
sull'Utopismo", in La fine di una cultura, Torino, Einaudi,
1975 (1949". Ma una chiara analisi del limite ideologico
del Wells ci è offerta anche da R. Runcini nel suo acuto
Illusione e paura nel mondo borghese da Dickens a
Orwell, Bari, Laterza, 1968: in particolare viene affermato
che "la proposta wellsiana risulta dunque, come l'appello
populista di Dickens, una battaglia di retroguardia. (...) La
risposta illuminata di Wells -che alla scomparsa dei miti
individuali del progresso fa risalire le cause di un moto
inerziale e meccanico (...) del sistema capitalistico -sarà
che 'l'esperimento democratico' non soltanto verrà meno
al suo scopo di efficienza (...) ma è destinato a dissolversi
in un circolo vizioso tra due classi, la borghesia agiata e il
proletariato miserabile..." (p. 244).
5) Molto forte fu l'influsso del cosmic pessimismespresso
fin dal 1880 da T. Huxley, di cui Wells fu allievo ai tempi del
R. College: conquesta teoria si affermava,in effetti, che il
processo evoluzionistico non porterà mai ad alcun miglioramento morale dato che illato animale e selvaggio
dell'uomo è il risultato finale di milioni di anni
diadattamento ambientale. La vita sulla Terra, inoltre, era
consideratanel suo perenne moto verso lo stato di morte
entropica. A questo proposito, Huxley in una delle sue più
famose Romanes Lectures "<Evolution and Ethics",
London, 1894), era solito rappresentare il corso della vita
umana come la parabola di una "palla di mortaio", la cui
parte ascendente, così come quella discendente, erano
entrambe legate allo stesso processo evoluzionistico. A
questo studio si ispirò ilWells per alcuni dei suoi saggi
sulla devolution dei processi biologici nel cosmo: ad es.
"Human Evolution: An Artificial Process", in Fortnightly
Review, London, 1st August, 1896.
6) In particolare, nella seconda versione di TTM pubblicata sulla New Reviewnel 1894, vengono menzionate altre
due specie, uno strano incrocio tra un coniglio gigante ed
un canguro che è preda abituale di un grosso millepiedi,
che sembrano essere i rispettivi discendenti degli Eloi
(predati) e Morlocks (predatori) precedentemente incontrati dal Traveller.Questo episodio fu poi rimosso dalla
versione definitiva di TTM ma può aiutarci a comprendere
che l'evoluzione capovolta prospettata dal Wells, come
già quella naturale del Darwin, era progressiva e caratterizzata da mutazioni intermedie delle classi biologiche.
Cfr. in proposito A. Eisenstein, "The Time Machineand the
End of Man", Science Fiction Studies 9, 1976, pp. 161-16/
.
7) Cfr. R. Williams, "Il darwinismo sociale", in Materialismo e cultura, (Problems in Materialism and Culture,
London, 1980), Napoli, Pironti, 1983, p. 121.
8) Cfr. Idem, "Il concetto di natura", in Materialismo e cultura, op. cit., pp. 69-93, passim (in precedenza incluso in
Ecology: the Shaping Enquiry, J.Benthall ed., London,
Longman, 1972).
9) "Fenotesto" secondo una accezione leggermente più
ampia di quella puramente linguistica e testuale utilizzata
da J. Kristeva e dal gruppo della "nouvelle critique". Si
vuole qui soprattutto mettere in luce le possibilità
semantiche sviluppate da una narrazione nel cui campo
verbale i tre temi del "viaggio", del "tempo" e della "macchina" interagiscono per produrre l'originario racconto di
timetravelling del Wells.Comunque, cfr. O. Ducrot-T.
Todorov,Dizionario enciclopedico delle scienze del lin-
guaggio, Milano, Isedi, 1972, p. 581.
1.2.
1) A parte l'archetipo dell'Utopia di Tommaso Moro (1516),
i racconti di viaggi immaginari hanno anche un capostipite
famoso in FrancisGoodwin col suo The Man in the
Moone(1638), che addirittura anticipò il filone dei viaggi
nello spazio, ora componente abituale della letteratura di
SF.
2) Cfr. i precedenti studi del Wells che più risentono degli
influssi huxleiani, ad es. "The Rediscovery of the Unique"
e "The ZoologicalRetrogression", entrambi del 1891; in
essi si affermava la possibilità di una sostanziale identicità
apparente di tutte le cose viventi, animali e vegetali, le
quali, lungo una dinamica evolutiva ed ambientale possono poi smarrire ogni caratteristica positiva per allinearsi in maniera uniforme alla curva degenerativa del declino cosmico delineato da T. Huxley.
3) Cfr. V. Fortunati, "Dall'utopia alla fantascienza: le metamorfosi di un genere letterario", in L'utopia e le sue forme,
a cura di N. Matteucci, Bologna, Il Mulino, p. 260, passim.
4) Può essere condivisa l'affermazione del Suvin che "il
principio della struttura fantascientifica wellsiana è il mutamento della cognizione scientifica in cognizione estetica". Cfr. D. Suvin, "Grammatica della forma...", op. cit. p.
208.
5) "Epica" secondo l'accezione attribuita a questo termine
dal Parrinder, il quale, rifacendosi a E. Pound, sottolinea
la caratteristica storica e secolare che una narrazione di
questo tipo può assumere rispetto l'escapismo bizzarro
e fiabesco riscontrabile nel romance puro. Cfr. P. Parrinder,
Science Fiction.' Its Criticism and Teaching, London and
New York, Methuen, 1980, p. 96, passim.
6) R.M. Philmus definisce la "quarta dimensione" in TTM
"a kind of metaphor (...) a pIace where the consequences
of accepted ideals can be envisioned". Cfr. R.M. Philmus,
"The Logic of Prophecy in The Time Machine", in H.G. Wells:
a collection of criticai essays, B. Bergonzi ed., Englewood
Cliffs, New Jersey, Prentice Hall, 1976, pp. 65-66.
7) Cfr. A. Monti, "Un modello di specularità utopica: il viaggio nel cosmo e la dislocazione nel tempo dopo Darwim>,
in L'utopia e le sue forme, op. cit., pp. 233-242.
8) Una conclusione di questo tipo è prospettata dalla riduzione holliwoodiana di TTM (tit. it "l'uomo che visse nel
futuro", 1960, prodotto e diretto da G. Pal), dove il Viaggiatore nel tempo causa una ribellione vera e propria contro
i Morlocks, per l'occasione resi ancora più mostruosi dal
trucco cinematografico.
1.3.
1) Questa citazione. come le altre, si riferisce alla versione standard di TTM contenuta in H.G. Wells,Selected Short
Stories, Harmondsworth, Penguin, 1979, (1958), a sua
volta risalente alla edizione del 1927, edita dalla Erncst
Benn Ltd.
2) La non casuale dislocazione futuristica, in senso prevalentemente utopico, dell'espediente temporale
wellsiano deve farci riflettere sul concetto di didatticità
insito in TTM. Come si vedrà, la SF moderna, invece, porrà ben altre variazioni e complicanze dello stesso tema,
condizionato fra l'altro da una condizione fruitiva completamente diversa rispetto all'opera di fine ottocento.
3) Per dirla col Runcini, si è verificato che "il tempo sintetico multidirezionale della macchina non consente più la
riproduzione mimetica della realtà" da parte dell'artista,
cosicché "l'oggetto può essere descritto non già nella sua
essenza naturale ma nel perenne movimento verso la
sua totale consumazione". Cfr. R. Runcini, "H.G. Wells e il
29
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
futuribile come unico spazio creativo per una società programmata", in La fantascienza e la critica, a cura di L.
Russo, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 183.
4) Cfr. Idem. "L'idea del tempo sintetico, ovvero il presente vissuto nella sua unicità", in Illusione e paura..., op. cit.,
pp. 220-229.
5) Cfr. Idem, "H.G. Wells e il futuribile...", op. cit. p. 182. Per
il ruolo innovativo, in senso anti-realistico, svolto da TTM
soprattutto grazie all'uso particolare di elementi post-romantici e fantastici, cfr. anche P. Parrinder, "News from
Nowhere, The Time Machine and the Break Up of Classical
Realism",Science Fiction Studies10, 1976, pp. 265-274.
6) "Say I dreamed (...) Treat my assertion of its truth as a
mere stroke of art to enhance its interest. And taking it as
a story, what do you think of it?" (TTM, p. 80).
7) Cfr. in proposito, l'antologia di saggi curata da M. Rose,
Science Fiction, A Collection of Criticai Essays, Englewood
Cliffs, New Jersey, Prentice Hall, 1976. Ed inoltre: A.
Zgorzelsky, "Is Science Fiction a Genre of Fantastic
Literature?", Science Fiction Studies 19, 1979, pp. 296303 (tr. it. "La fantascienza è un genere letterario?", in La
fantascienza e la critica, op. cit.,pp. 67-76); R. Scholes,
StructuraiFabulation.. an Essay on Fiction of the Future,
Notre Dame and London, University of N. Dame Press,
1975; E.S. Rabkin, The Fantastic in Literature,Princeton,
New Jersey, Princeton University Press, 1976, pp. 117133; D. Suvin, "On What Is And Is Not a SF Narration: With
a List of 101 Victorian Books That Should Be Excluded
From SF Bibliographies", Science Fiction Studies 14, 1978,
pp. 45-57.
8) Cfr.: "TTM is not only a myth, but an ironic myth (...)". In B.
Bergonzi, The Early H.G. Wells, op. cit., p. 61.
9) Cfr. R. Runcini, Illusione e paura..., op. cit. pp. 24-28;
pp. 231-248 (su Wells); pp. 275-285 (i cosiddetti "Cavalieri della paura"). In realtà, l'ampiezza delle problematiche
suscitate dalla intera narrazione avveniristica wellsiana,
nelle ingenue forme dei suoi "early romances" o nelle
sussiego se anticipazioni utopiche, lascia emergere nettamente una serie di contrasti ideologici e di scelte
politicoeconomiche che investono l'area del sociale, e
che radicalizzandosi intorno all'evoluzione scientifica e
tecnologica di quel secolo in Occidente, richiamano la
nostra attenzione sulle nuove conformazioni che l'immaginario (e le sue proiezioni in campo letterario) aveva acquisito. In proposito cfr. G. Calcagno, "Utopia e tecnologia", in L'utopia e le sue forme, op. cit., pp. 323-353, passim
(utile anche per un esauriente riferimento alla bibliografia
sullo stesso argomento); A. Fattori, "L'immaginazione tecnologica" in AA.VV., Idem, a cura di A. Fattori, Napoli,
Liguori, 1980, pp. 163-181; S. Solmi, "Un'ombra sulla civiltà delle macchine", in Saggi sul fantastico, Torino,
Einaudi, 1978, pp. 103-115; F.D. Kligender,Arte e rivoluzione industriale, Torino, Einaudi, 1975; P. Rossi, I filosofi
e le macchine, Milano, Feltrinelli, 1971; R. Williams, Culture e rivoluzione industriale in Inghilterra 1780-1950,
Torino, Einaudi, 1968); H.L. Sussmann, Victorians and the
Machine: The Literary Response to Technology,
Cambridge, Harvard University Press, 1968 (in particolare il cap. "The Machine and the Future: H.G.Wells", pp.
162-193); inoltre, per un utile dibattimento in chiave socio-psicologica si veda anche A. Gehlen,L'uomo nell'era
della tecnica, Milano, Sugar, 1957.
10) Cfr. K. Amis, op. cit, pp. 34-41, passim. (Anche per una
precisa analisi sulle differenze intercorrenti tra la produzione fantascientifica di J. Verne e H.G. Wells).
11) Darko Suvin è sicuramente una delle maggiori personalità nel campo della odierna critica di SF; un ampio
30
compendio della sua produzione teorico-critica di questi
ultimi anni, novum compreso, puòessere reperito nel suo
imponente Metamorphosesof Science Fiction, New Haven
and London, Yale University Press, 1979.
12) In Italia la concettualizzazione del novumquale condizione necessaria per lo svolgersi e la significabilitàdi ogni
narrazione fantascientifica è apparsa per la prima volta
nella relazione "La fantascienza e il Novum" di D. Suvin
presentata nell'ottobre del 1978 al Convegno "La Fantascienza e la critica" di Palermo, (ora inclusa insieme ad
altri interventi nel volume omonimo, curato da Luigi Russo, op. cit., pp. 25-51). In precedenza, una anticipazione di
tale teoria fu offerta dal cognitive estrangement evidenziato
da questo studioso nell'articolo "On the Poetics of the
Science Fiction Genre", in College English, XXXIV, 1972,
pp. 372-383.
13) "Storicistico" nel senso che il novumfantascientifico
non consiste solo nella sua qualità estraniante ed estetica, ma nella capacità cognitiva convalidante che esso
richiede sia all'interno della realtànarrativa in cui opera,
sin dal riferimento esterno al sistema socioculturale che
lo ha prodotto (e quindi all'artista stesso). "Un novum
estetico è una traslazione di cognizione storico ed etica
dentro la forma, oppure (...) una creazione di cognizione
storica ed etica come forma". D. Suvin, "La Fantascienza
e il Novum", in La Fantascienza e la critica, op. cit., p. 40.
2. Epigoni di The Time Machine nella moderna SF.
2.1.
1) Una rassegna abbastanza indicativa delle storie di
timetravellingci è stata fornita da F.Alessandri nel suo "I
crononauti", incluso nella Grande Enciclopedia della Fantascienza, (11 voli.), Milano, Del Drago, vol. 1.
2) TTM fu non solo un modello per altri scrittori ma ottenne, ancora per molto tempo, anche i favori dei lettori americani i quali richiedevano la continua ristampa del
romance del 1895. In proposito, Jaques Sadoul, storico
riconosciuto del genere fantascientifico, ci riferisce che
ad una conventiondi appassionati del 1947 svoltasi a
Filadelfia, TTM risultava al quarto posto di una ideale classifica delle prime dieci opere di SF più amate di tutti i
tempi; dopo più di cinquanta anni la storia del
TimeTraveller era ancora capace di reggere il confronto
con opere moderne di scrittori specializzati. Cfr.Jaques
Sadoul, Histoire de la science-fiction moderne, Paris, Ed.
AlbinMichel, 1973 (tr. it.La storia della fantascienza, Milano, Garzanti,1975, p. 178 e sgg.).
3) Utilizzando la suddivisione cronologica istituita dal
Sadoul (Ibidem) abbiamo i seguenti periodi: nascita
(1911-1925), (le cd. riviste "pulps"); cristallizzazione (19261933); mutazione (1934-1938); mietitura (1939-1949);
proliferazione (1950-1957); recessione (1958-1965); resurrezione (1966-1971).
4) Le riviste di quel tempo (tra cui Science Wonder Stories,
Astounding Stories of Super Science, poi solo Astounding
Stories,Weird Tales ed altre), abbondavano di storie in cui
il viaggio nel tempo poteva condurre il protagonista indietro nel passato; così R. Palmer nel suo The Time Ray of
Jondra(1930) spedisce il traveller diciassettemila anni
nel passato a causa di strani congegni scoperti per caso
in Africa; J. Williamson in The Moon Era (1932) fa osservare agli abitanti stupefatti della Terra una luna giovane
ed abitata come doveva essere stata in un ipotetico (ed
impossibile) passato, ma gli esempi potrebbero continuare. I;espediente temporale, dunque, si rivolge oltre
che al futuro anche al passato: questa è la prima sconvolgente novità del suo utilizzo da parte degli scrittori di SF.
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
5) Una buona teorizzazione dei nuovi risvolti assunti dal
metodo di timetravelling ci è offerta da R. Scholes e
E.Rabkin nel loro ScienceFiction History, Science, Vision
(tr. it. Fantascienza-storia, scienza, visione, Parma, Pratiche, 1979), New York, Oxford University Press, 1977: "(...)
forward time traveller allows for an ironic setting that
supports satire of our present world (...). In this backward
sense, however, time travel not only creates a potentially
ironic setting but always calls the nature of causation into
question". (p. 176).
6) Cfr. in proposito le interessanti considerazioni di costume oltre che socio-antropologiche contenute in G. Dorfles
"La fantascienza e i suoi miti, in Nuovi riti, nuovi miti",
Torino, Einaudi, 1970 (1965), pp. 207-230.
7) A parte Hugo Gernsback (fondatore di Amazing Stories
della consorella ScienceWonder Stories), le altre due grosse personalità che contribuirono all'evoluzione interna,
anche se forzata, del genere furono F.O. Tremaine (dal
1936 direttore di Astounding), il quale incoraggiò una
maggiore immaginosità speculativa nelle opere da lui
pubblicate e soprattutto il suo successore, J. Campbell
che dal settembre 1937 sostituì Tremaine che diveniva
direttore editoriale di tutto un gruppo di riviste della Street
& Smith Publishing Inc. Fu Campbeli il primo ad incoraggiare storie maggiormente realistiche e coerenti, rompendo definitivamente con i melodrammi lacrimosi del
primo periodo, e promuovendo quindi, una più ampia
concretizzazione stilistica e dei contenuti. Su questo periodo della SF, cfr. A. e C. Panshin, "I;addomesticamento
del futuro" in Mondi interiori della fantascienza (una raccolta di vari saggi apparsi originariamente negli USA tra il
1972 e il 1973), Milano, Nord, 1977, pp. 67-83, passim.
8) Invece N. Schachnner in When the Future Dies (1939)
manda nel futuro il suo viaggiatore per scoprire una superarma che gli consenta di sconfiggere i soliti alieni che
hanno invaso la Terra: scoprirà purtroppo che essi hanno
vinto e gli umani non esistono più; fu però J. Williamson
con The Legion of Time (1938), (tr. it. La legione del tempo, in "Nova" n. 7, Bologna, Libra, 1968), ad introdurre in
maniera intelligente il tema degli alternate time-streams
(che a sua volta risaliva al racconto di J. Taine The Time
Streams, apparso fin dal 1931): in questo caso il protagonista fa in modo che i suoi spostamenti a bordo di una
"nave temporale" producano il ciclo temporale di Jonbare
non quello di Gyronchi in cui il mondo è governato da un
dispotico tiranno; va poi ricordato anche il romanzo Lest
Darkness Fall (1939) di L. Sprague de Camp (tr. it. Abisso
del Passato, Milano Nord, 1972) in cui il traveller,trasportato
nella Roma del VI sec. d.C., in seguito all'applicazione di
alcune nozioni scientifiche ancora sconosciute, ha modo
di rivoluzionare gli eventi storici impedendo (in un universo quindi "parallelo") la caduta dell'impero romano.
9) Cfr. il capitolo "mietitura (1939-1949)" incluso in J.
Sadoul, op. cit. pp. 135-178; per i successivi sviluppi, paragonati alla situazione politica internazionale inoltre cfr.
T.A. Shippey, "The Cold War in Science Fiction, 1940-1960",
in ScienceFiction: a Criticai Guide, P. Parrinder ed, London
and New York, Longman, 1979, pp. 90-109.
10) Tr. it. Anniversario fatale, Urania 141, Milano,
Mondadori 1956.
11) Tr. it. Brooklyn project, in appendice al cap. V, "I
crononauti" op. cit. del volI della Grande Enciclopedia...
op. cit, pp. 116-119.
12) Tr. it. Un colpo di tuono, incluso nell'antologia dello
stesso autore Le auree mele del sole, Piacenza, La Tribuna Ed., 1964, ora in Idem, 33 Racconti,Milano,
Mondadori, 1984.
13) Tr. it. I. Asimov,La fine dell'eternità, Bologna, Libra,
1975.
14) Tr. it. I Guardiani del tempo, Milano, Mondadori, 1977.
In esso sono compresi i quattro racconti del ciclo, pubblicati a partire dal maggio 1955 e poi raccolti nel volume
omonimo (Guardians oJ Time -1960): The Time Patrol;
Brave to Be a King; The only Game in Town; Delenda Est.
15) Cfr. F. Ferrini, "11 continuum spazio-tempo e gli universi paralleli", in Che cosa è la Fantascienza, Roma,
Astrolabio, Ubaldini Ed. 1970, P. 38.
16) Solo in qualche caso lo scrittore che si avvalga
dell'ideazione di un meccanismo di time-travelling, può
scoprirne le valide capacità estetiche che ad altri sfuggono: uno dei migliori esempi in proposito rimane il romanzo The Big Time (1958/1961) di F. Leiber (tr. it. Il grande
tempo, Milano Nord, 1975, che vinse nel 1958 lo "Hugo
Award", uno dei più grossi riconoscimenti letterari nel
campo della SF, creato in memoria di Hugo Gernsback.
In quest'opera, attraverso una guerra inter-temporale nella migliore tradizione delle storie sugli alternate timestreams, ci vengono presentati esseri umani che, involontariamente reclutati dalle opposte fazioni dei "Ragni" e
dei "Serpenti" per combattere in epoche differenti, restano una delle migliori gallerie di personaggi mai offerteci
nel campo della SF, spesso volutamente disinteressata
a quella introspezione psicologica che potrebbe appesantire il ritmo della narrazione.
2.2.
1) Tra i pochi studi sull'argomento dei viaggi nel tempo va
segnalato quello dello scrittore di SF e critico polacco
Stanislaw Lem: "The Time-Travel Story and RelatedMatters
of SF Structuring", in Science Fiction, A Collection of Criticai Essays, op. cit,pp. 72-88, in precedenza apparso in
Science Fiction Studies1, 1974, pp. 143-154. Qui viene
data la seguente definizione di questo particolare tipo di
narrazione temporale: "The time loop as the backbone of
a work's casual structure is thus different from the far
looser motif of journeys in time per se; (...) it is merely a
logical, although extreme, consequence of the generai
acceptance of the possibility of 'chronomotion". 6Ibidem,
p. 77).
2) Cfr.: "AlI structures of the time loop variety are internally
contradictory in a casual sense". Ibidem, p. 76.
3) Cfr. F. Alessandri,op. cit., p. 113, passim.Inoltre, nello
stesso capitolo cfr. anche H. Harrison, "Le macchine del
tempo", nella Grande Enciclopedia..., op. cit., 100-101 (utile per una sommaria informazione sulle nuove ed insolite possibilità narrative offerte nella SF dal time-travelling).
4) Cfr.: "Anti-problematic escapism into adventure is a
very common phenomenon in SF: authors indicate its formai effectiveness, understood as the ingenious setting of
a game in motion, as the skill of achieving uncommon
movements, without mastering and utilizing the
problematic and semantic aspect of such kinematics".
(Corsivi dell'autore). S. Lem, op.cit., p. 80.
5) Tr. it. Per qualche millennio in più, nell'antologia AAVV.,
Oltre il tempo, suppl. a "Robot: rivista di fantascienza", n.
18, Milano, Armenia, 1977.
6) S. Lem (op. cit.,p. 75), definisce questo racconto come
una delle esemplificazioni più piccole, "minimalloops", di
storie sui paradossi temporali perché in essa in pratica
tutti i personaggi si riducono ad essere le varie personalità (madre-padre-figlio) vissute dal traveller.
7) Cfr. J. Gattegno, "Il paradosso temporale" in Saggio
sulla fantascienza (La Science-Fiction, Paris, Presser Univ.
de France, 1971), Milano, Fabbri, 1973, pp. 85-87, passim.
31
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
1. La mediazione wellsiana e
le forme della SF
Mentre un discorso complessivo sulle varie articolazioni e manifestazioni attraverso cui si è organizzata la SF inglese dalla fine
dell'800 si presenta ancor oggi
assai difficile e dispersivo, è possibile precisare preliminarmente
alcuni passaggi e alcune linee di
un tracciato tortuoso, che non
sopporta le semplificazioni
tematiche o i meri elenchi
cronologici.
La critica è ormai d'accordo nel considerare cruciale
l'esperienza narrativa dei scientific romances
diWells(1), non per un fatto di astratta dignità letteraria, ma nel senso che Wells seppe coagulare e
riformulare per un'udienza nuova, quella dei lettori della classe piccolo-borghese che si avvicinava alla cultura letteraria alla fine dell'800, alcuni tra i più vitali generi narrativi della tradizione alla luce del dibattito sulla
scienza e sulle implicazioni sia socio-economiche che
ideologiche che tale dibattito comportava.
Attraverso una serie di esperimenti narrativi, da The
Time Machinea First Men in the Moon;Wells offriva le
modalità dinamiche di un romanzo a metà strada tra il
sogno e la speculazione ideologica in alternativa al
romanzo psicologico e a quello realista in chiave
sociologica (che lui stesso, in seguito, avrebbe tentato), ma anche in alternativa al vecchio romanzo avventuroso d'evasione, riesumato con strepitoso successo
da H. Rider Haggard negli anni '80, compiendo una
riflessione sulla interrelazione tra scienza, divulgazione scientifica, mitologia della scienza e narrativa di
massa che lo avrebbe portato ad abbandonare le stesse convenzioni dei scientificromances(2). Da quella
decisiva esperienza avrebbe dovuto partire tutta la SF
inglese del '900, almeno fino agli anni '60, fino all'arrivo
sulla scena di Ballard e cosiddetta "new wave", con il
loro discusso tentativo di rifondare il genere su altri
presupposti teorici e narrativi(3).
Tra i generi che Wells aveva recuperato e che, in qualche modo, rimangono fondamentali in quel crogiolo di
formule che è di solito il romanzo di SF, vale la pena di
ricordare:
a) la narrativa utopica, di impronta fortemente
didascalica e intellettualistica, assieme ad alcune
convenzioni del sistema utopico (il viaggio in terre sconosciute, l'isola);
b) il romance che aveva per protagonista lo scienziato
faustiano, in cui la scienza era intesa come esplicita
metafora dell'arte, con le sue implicazioni orrifiche e
gotiche;
c) il romance inteso come avventura ed evasione, al di
fuori di un preciso schema ideologico o speculativo,
ma spesso - magari inavvertitamente - carico di implicazioni mitiche (come in She di Rider Haggard).
Nel scientificromances, il discorso sulla scienza e la
tecnologia, se è alimentato da scoperte e discussioni
(si pensi all'importanza assunta alla fine del secolo
dall'astronomia), si spinge sempre all'interno di una società in
fermento, atterrita e affascinata
dai prodigi scientifici, per misurarne il polso, soddisfarne il desiderio di avventura che non è in
contraddizione con il gusto per
l'attualità e la riflessione
sociologica.
Perciò la figura-cardine dello
scienziato faustiano subisce un
radicale processo di ridimensionamento e smascheramento,
dal Viaggiatore del Tempo, che conserva alcune qualità eroiche all'interno dell'epos avventuroso di The Time
Machine, al grottesco e ripugnante - nella sua nudità e
impotenza Uomo Invisibile, fino a quella parodia dello
scienziato ottocentesco che è il Dottor Moreau (o, in
quanto a ciò, anche il sognatore Cavor). E, per converso, il paesaggio utopico si tinge dei toni aspri di una
consequenzialità storica vissuta ancora secondo i parametri della logica borghese in The Time Machine,
ma poi sempre più capricciosa e arbitraria con i mostri
di Moreau, i Marziani, i Seleniti.
Tutto questo tessuto fantastico veniva a sua volta vivificato dal puntuale richiamo alla concreta realtà del
presente, addirittura, in romanzi come Invisibile Man e
The First Men in the Moon, alla condizione della provincia inglese, allo sbalordimento dell'uomo della strada posto bruscamente di fronte alle manifestazioni d'un
potere che lo scavalcava, coinvolto nelle contraddittorie mitologie del Progresso e dell'Evoluzione verso forme più alte di civiltà e in quelle dell'Apocalisse e del
Crepuscolo degli Dei.
Quando, nel 1901, nell'ultimo dei scientific romances
della prima fase, The First Men in the Moon, Wells
affianca lo scienziato faustiano all'uomo della strada in
uno straordinario viaggio fino alla Luna, il nuovo Faust
è una caricatura mite e trasognata (anche se poi Cavor
si riscatta nella impossibilità del ritorno) e il suo compagno un piccolo borghese bancarottiere e profittatore,
e se Bedford torna sulla Terra a dare il suo personale e
molto parziale resoconto del viaggio lunare, Cavor rimane prigioniero dei Seleniti, impossibilitato a comunicare con i suoi simili, la voce di una scienza sempre
più lontana e sempre più incomprensibile(4).
In seguito, la tensione simbolica dei scientific romances
si spezza anche perché lo scrittore non è più in grado
di (o non è più interessato a) risolvere i problemi formali posti da un discorso narrativo così complesso: troppo difficile diviene il gioco delle prospettive ideologiche, dei punti di vista, il controllo dell'intreccio. Cosi, il
"realista del fantastico", secondo la definizione di un
estimatore non sospetto come Joseph Conrad, ripiega
verso altre soluzioni e altre formule, cercando di vivificare - come aveva fatto qualche anno prima, sul palcoscenico, G.B. Shaw - le problematiche più attuali e
fornendo al romanzo inglese un brillante contributo
polemico nella direzione della critica di costume e della riflessione sociologica.
Accanto a questa svolta, diviene più forte in Wells la
Da Wells a Clarke
modelli ideologici e
formule narrative
(1895-1961)
Carlo Pagetti
32
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
tentazione di riscoprirsi profeta e speculatore di portata internazionale, mentre si affaccia prepotente l'esigenza di una sistemazione della conoscenza nella prospettiva di un razionale processo di sviluppo dell'umanità.
Certo, anche il tono apertamente didascalico e la pretesa di sistematicità che contraddistinguono i scientific
romances successivi hanno un loro preciso significato
nella crescita di un corpus fantascientifico, costituendo un punto di riferimento del dibattito delle idee e aprendo la strada, in qualche caso, a impreviste soluzioni
narrative, come quella legata al narratore "totale" di
Star Maker di Stapledon. Ma il rifiuto dei precedenti
modelli è esplicito e formulato dallo stesso Wells all'inizio di A Modem Utopia (1905), dove il paesaggio
utopico viene costruito attraverso una diretta evocazione, che libera il narratore "dagli impicci di un racconto
convincente (convincing story-telling)", consentendogli di spaziare tra le idee, le ipotesi e i suggerimenti
con maggior agio di quanto non avesse fatto il narratore di News from Nowhere di William Morris.
Se non proprio il campo intero della fiction, l'universo
simbolico e fantastico dei scientific romances viene,
di fatto, rifiutato in nome di una forma mista, un "ibrido", come afferma lo stesso Wells:
The entertainment before you is neither the set drama
of the work of fiction you are accustomed to read, nor
the set lecturing of the essay you are accustomed to
evade, but a hybrid of these two(5).
L'area dei scientific romances rimane aperta, nei primi
anni del nuovo secolo, alle variazioni oniriche e
apocalittiche di M.P. Shiel in The Purple Cloud o all'allegoria anti-industriale di E.M. Forster, il cui racconto
lungo "The Machine Stops" è un testo per tanti versi
affascinante, ma mostra anche una sorta di
raggelamento delle implicazioni formali e ideologiche
del scientificromance wellsiano, un suo impoverimento, in nome di un mitico passato "naturale" proposto in
alternativa al mondo sotterraneo infestato di macchine, ma evocato senza la qualità infernale della satira
swiftiana o le sfumature allegoriche della tradizione
ottocentesca di BuIwer-Lyttop e di MacDonald.
Il rapporto tra scienza e società, che era il cuore del
discorso narrativo di Wells, tende a ridursi ulteriormente
nella produzione americana di EdgarRice Burroughs,
che riscopre le leggi del romance avventuroso alla Rider Haggard, fortemente sciovinista e maschilinista, e
per di più imbevuto dei più pesanti cliché sul ritorno
alla natura incontaminata, utilizzati da Burroughs in
modo ancora più esplicito nel ciclo dei romanzi di
Tarzan.
Brian Aldiss paragona con efficacia Pellucidar
diBurroughs e Men Like Gods, di Wells, entrambi apparsi nel 1923, per segnalare la diversità tra il
didascalismo ormai pesante di Wells e il facile
sensazionalismo dello scrittore americano(6), ma questa divaricazione si trasmette poi all'area intera dei pulp
magazines, con le loro pretese pedagogiche di ammaestramento pseudo-scientifico accanto all'applicazione spesso semplificata delle formule del romance
ottocentesco(western, thriller, ecc.). Sono questi pro-
cessi che riducono la SF alle formule di Gernsback e
producono quei fenomeni di ghettizzazione e autoemarginazione che peseranno sull'intero genere fino
ad anni recenti. Come si semplifica e si impoverisce il
linguaggio narrativo, cosi l'ideologia si riduce a una piatta
adesione ai miti dell'evoluzionismo tecnocratico, sostenuti fino in fondo da personaggi influenti come
Campbell(7).
2. La SF inglese degli anni '30 tra avventura scientifica e speculazione cosmica.
Ma sarebbe veramente limitativo, come per chi in Italia
voglia considerare "fantascienza" solo l'opera di alcuni
"specialisti" del genere, osservare le prospettive tra le
due guerre esclusivamente nell'ottica dei pulp
magazines americani. Intanto, in Inghilterra, l'influsso
americano continuava a mescolarsi con quello di Wells
e veniva contrastato dalla presenza di altre opere, tutte in qualche modo riconducibili all'area fantascientifica.
Ad esempio, Brian Aldiss elenca le sue eterogenee
letture di quindicenne alla fine degli anni '30 che lo
spinsero verso la SF:
The discovery of Marvel, Amazing and Astounding on
Woolworth's counter. The purchase for a shilling of Alun
Llewellyn's remarkable novel The Strange Invaders. The
continuous reading of H.G. Wells's novels, not only
the sf stories but Tono-Bungay and The New Machiavelli,
and so on, which I enjoyed for their socialism(8).
Nel vigoroso dibattito letterario degli anni '30 inglesi(9),
la presenza di opere come Brave New World di
AldousHuxley (1932), accanto ai testi di Stapledon e,
verso la fine del decennio, di C.S. Lewis, indica l'ampiezza degli interessi nei confronti di una narrativa capace di drammatizzare le prospettive utopiche al di là
delle formule dei pulp magazines, tanto che si potrebbe precisare la contemporanea presenza di due differenti tradizioni fantascientifiche, l'una - più ambiziosa
e agganciata ai fermenti culturali dell'epoca - impegnata nella formulazione di un discorso ideologico-politico
attraverso le forme della tradizione letteraria utopica(10),
l'altra - più marginale e specialistica intenta a rielaborare le formule dei scientific romances wellsiani alla
luce dell'impostazione di Gernsback, con una mescolanza di elementi didascalici, di spunti avventurosi e di
sfumature orrifiche.
E' appunto negli anni '30 che comincia ad apparire una
SF britannica fortemente influenzata dai modelli dei
pulpsamericani e tuttavia non immemore di altri elementi della tradizione utopica, soprattutto con
JohnWyndham, allora ancora JohnBeynon, nel dopoguerra autore di alcuni dei più interessanti romanzi di
SF pubbucati in Inghilterra, ma già negli anni '30 intelligente manipolatore di formule narrative.
La distanza tra le due tradizioni fantascientifiche, anzi,
anche a causa della comune origine wellsiana, è molto meno netta nella pratica narrativa, come ci proponiamo di segnalare nell'analisi di due testi usciti contemporaneamente nel 1935, Stowaway to Mars di
Wyndham e Odd John di Stapledon.
Stowaway to Mars, il secondo romanzo di Wyndham,
descrive una gara spaziale nella migliore tradizione
verniana per la conquista di Marte (vince, naturalmen-
33
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
te, il razzo costruito dall'Ingililterra che, nel 1981 immaginato dallo scrittore, può illudersi di essere ancora
una potenza mondiale). Wyndham parte da un solido
retroterra pseudo-scientifico, pur non rinunciando a
creare una sua versione dei Marziani, e vi innesta le
formule consolidate del romance avventuroso-sentimentale. L'eroe, Dale, è una figura di scienziato-industriale
ricalcato su personaggi contemporanei, come
Lindbergh, ma anche sulla falsariga dei fumetti dell'epoca. Allo stesso modo, i suoi compagni seguono
uno schema tipologico legato sia alla loro
specializzazione professionale che alla loro classe
sociale (il dottore è saggio, il giornalista allegro e ciarliero, il meccanico di bordo brutale, ecc.), mentre l'elemento melodrammatico è legato costantemente ai
personaggi femminili, prima la moglie di Dale, che
aspetta un figlio e vorrebbe impedirgli il folle volo, poi la
bella clandestina Joan, che rimarrà incinta di un
Marziano e la cui morte verrà laconicamente annunciata alla fine del romanzo.
Nello stesso tempo, il romanzo wyndhamiano presenta fin dall'inizio un certo numero di episodi strutturati
secondo la tradizione ora del western ora del thriller,
con duelli alla pistola, complotti e intrighi internazionali che si trasferiscono su Marte.
Anche in un intreccio di questo genere, sostanzialmente non diverso da quello di un'opera di Burroughs,
non mancano però consistenti elementi speculativi: il
dibattito sul ruolo delle Macchine nella società, che ha
illustri antecedenti nella letteratura utopica (si pensi a
Erewhomdi Samuel Butler) si salda con una riflessione sociologica sulla donna, che avrà in seguito esiti
interessanti.
Inoltre, al narratore di Stowaway, un personaggio non
identificato che potrebbe essere uno dei partecipanti
al viaggio (il giornalista più probabilmente del dottore),
Wyndham conferisce la consapevolezza di muoversi
all'interno di una finzione letteraria. Il narratore, mentre
"monta" i vari tasselli della narrazione, caratterizza il
suo racconto come un atto comunicativo nei confronti
di lettori "comuni". Il testo genera, per opposizione,
altri pseudo-testi, come "The Bridging of space which
Dale has crammed withvast (and, to me, indigestible)
quantities of mathematical and technical
information"(11), mentre teorizza con precisione il ruolo divulgativo della SF, sulla scia della tradizione
wellsiana (di cui, certo, non recupera le pulsioni fantastiche).
Il livello metanarrativo è rafforzato dai riferimenti a scrittori precedenti che hanno già descritto Marte, da Wells
a Burroughs: il viaggio "vero", nella finzione del testo
wyndhamiano, dovrebbe smascherare le finzioni del
passato, ma si propone, invece, come ulteriore falsificazione, nel momento in cui esso si riconosce nella
tradizione della sciencefiction. Malgrado le pretese
pseudo-scientifiche, la divisione tra immaginazione e
"verità" scientifica viene a cadere, tanto è vero che i
protagonisti del romanzo sanno benissimo che le stesse documentazioni fotografiche di cui pensano di servirsi possono essere manipolate:
"What a unique opportunity for reviving the traveller's
34
tale as an institution," put in Froud. "We could have a
lot of fun telling yarns about dragons, unicorns, cyclops,
centaurs, hippogrifs and all the rest of them when we
get home."
"You've forgotten that you're the camera man of this
expedition. They'd demand photographs," Dale
reminded him. Froud grinned.
"The camera never lies - but, oh, what a lot you can do
with a photograph before you print it... (cap. XXI)
Ancora nel 1935, una casa editrice importante come
la Methuen pubblicava Odd John di Stapledon, un romanzo che, anche per i numerosi dettagli erotici, era
inteso per un pubblico più sofisticato di quello di
Wyndham.
Odd John è giocato tutto sul conflitto tra l'uomo comune (il destinatario del romanzo di Wyndham) e il superuomo, e cioè, in termini etico-sociali, tra l'ipocrisia e la
mediocrità delle convenzioni e la prodigiosa intelligenza di una mente suprema, capace di costruire un modello utopico di organizzazione sociale.
In realtà, dell'utopia di John e dei suoi seguaci sappiamo abbastanza poco, visto che essa è stroncata sul
nascere. Ciò che Stapledon rappresenta è invece lo
sconvolgimento operato sulla comunità da un personaggio che discende dallo Hyde stevensoniano o dall'Uomo Invisibile di Wells. Il contrasto è accentuato sia
dall'aspetto fisico di John, che ne rivela la disumanità,
sia dalle azioni "immorali" che egli compie per farsi
strada nel mondo. L'educazione di John è una storia
fatta di inganni e di violenze, giustificate dalla necessità di giungere a un perfetto controllo psichico e mentale, e raccontate dal narratore, un uomo comune che è
l'anti-eroe del romanzo, paragonato a un fedele cagnolino, un docile strumento affascinato e respinto da quanto vede, depositario tuttavia della scrittura, e che nella
stesura del suo racconto riflette le contraddizioni della
proposta ideologica di Stapledon.
Cosi OddJohn si muove nella direzione di una speculazione sui valori e sulle prospettive della civiltà (un
discorso, questo, caro a Stapledon), attraverso una
dicotomia che divide narratore e narrazione, che mescola espliciti riferimenti alla tradizione utopica (si pensi
all'isola nel Pacifico colonizzata da John e dai suoi
seguaci) a un tessuto ancora avventuroso e
sensazionalistico, animato dalla orrida figura del protagonista. In questo modo, il bambino che sembra un
adulto, l'angelo che ha l'espressione di un mostro, il
genio supremo che esprime una moralità aliena e un
totale disprezzo per l'uomo comune, è il segno più efficace di una SF che ritrova la sua funzione di narrativa
ambigua, "mascherata", impegnata a cogliere lo straordinario attraverso gli occhi del buon senso borghese
e a indicare le contraddizioni emergenti dal testo. Non
è un caso che il fedelissimo narratore borghese rimanga il depositano dell'"intera verità", e sia la causa - non
si sa quanto inconsapevole - della scoperta dell'anticomunità di John:
The invaders wandered about in the comparatively open
space for a while, then turned back to the launch.
Presently, one of them stooped and picked up
something. John, who was in hiding beside me,
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
watching both the bodies and the minds of the four
men, exclaimed, "God! He's found one of your blody
cigarette-ends - a fresh one, too". In horror I sprang to
my feet crying, "Then he must find me." I plunged down
the hillside, shouting. The men turned and waited for
me... Under cross-examination by the Commander of
the vessel I became confused; and, finally, in despair,
I told them the whole truth...(12)
Con molta più decisione di Wyndham, il percorso di
Stapledon porta dunque al di là del divulgazionismo e
della psicologia spicciola, per puntare su un più ricco
discorso speculativo che non rifiuta le convenzioni di
un genere come la SF, ma, anzi, le esalta.
Rimane ancora, in Stapledon, il tentativo di dilatare l'lonarrante al di là dell'ideologia borghese fino a fargli
assorbire tutto l'universo, come è in Last and First Men,
ma ancor più in Star Maker, viaggio dantesco in chiave
laica dello scrittore stesso, ma anche viaggio di una
immaginazione che non accetta più i parametri del romanzo realistico-psicologico e dei suoi derivati di consumo, e propone invece un tessuto di fantasie e di
vicende planetarie, che sono una sintesi e una proiezione della SF come mito compiuto da un "emissario
dell'uomo verso le stelle"(13).
Così la SF inglese degli anni '30 rimane ancora fedele
alle formule wellsiane, ma presenta i segni di una precisa divaricazione, che individua una linea avventurosa, come quella perseguita da Wyndham, in cui gli
apporti speculativi e la riflessione sociologica rimangono in minoranza, pur non scomparendo del tutto,
mentre il discorso tecnologico fa da spartiacque rispetto
alla produzione fantastica(14), e propone una linea più
fortemente speculativa e di riflessione sul rapporto tra
il sapere (la "conoscenza" più che la "scienza") e la
comunità, che non trascura gli elementi avventurosi
esensazionalistici. Tangenziali rispetto a questa seconda area rimangono opere come Brave New World e
Star Maker.
3. Arthur Clarke negli anni '50: dalla città alle stelle - e ritorno
Pur senza trascurare altri scrittori assai significativi e
capaci di trovare uno spazio autonomo rispetto alla
produzione americana - come lo stesso Whyndham e
il Fred Hoyle di The Black Cloud, - va riconosciuto a
Clarke di essere la personalità inglese più forte dopo
la fine della guerra e fino al rinnovamento promosso
verso la metà degli anni '60 da Ballard e dalla cosiddetta "new wave".
Ciò che rende interessanti i romanzi di Clarke(15) scritti
negli anni '50 è il tentativo ai ricomporre e riunificare i
diversi fili della tradizione fantascientifica, attingendo
nello stesso tempo al patrimonio della divulgazione
scientifica e alle fondamenta speculative e didascaliche
della letteratura utopica, ma anche tenendo ben presenti il livello dell'avventura e dell'"entertainment", e delle
sue diramazioni fantastiche. All'interno di questa - non
sempre compatta - aggregazione di materiali eterogenei, si esercita un principio ideologico oscillante tra
razionalismo positivistico e misticismo cosmico, ma
anche un percorso narrativo che si interroga sulla sostanza stessa del scientificromance moderno.
L'impulso divulgativo viene rafforzato dalla presenza di
una costante attività pubblicistica e saggistica, in cui
Clarke utilizza le sue indubbie doti di solido espositore
di teorie e progetti scientifici, per altro, a differenza di
Wells, più attento ai problemi tecnici relativi alla conquista dello Spazio (e, più avanti, del mondo sottomarino) che alle visioni sociologiche di Wells. L'ideologia,
già ben visibile in Prelude to Space (scritto nel 1947 e
pubblicato nel 1951), è fin da principio saldamente
ancorata ai principi evoluzionistico-positivistici, animati
dalla retorica della colonizzazione dello spazio che lo
scrittore proporrà senza le sfumature ironiche di Wells.
Infatti, in Sandsof Mars (1951), l'ambizioso processo
di ingegneria spaziale che dovrebbe rendere abitabile
Marte per i coloni della Terra poggia anche sullo sfruttamento della razza "inferiore" dei Marziani.
L'attenzione alla divulgazione scientifica spiega il riferimento a una SF come quella di Verne, basata - secondo Clarke - su "sound scientific principies" e sulla
"uncanny prescience" dello scrittore francese, il cui
Viaggio dalla Terra alla Luna viene anteposto, come
modello pedagogico, a The First Men in the Moon di
Wells(16).
Quando, all'inizio degli anni '50, Clarke si volge in modo
più deciso verso una produzione di tipo narrativo, egli è
ancora intento a perseguire l'obiettivo di una scrupolosa ambientazione scientifica, che renda "credibile" il
romanzo. In Sandsof Mars la funzione divulgativa della
SF viene ribadita attraverso una catena di spiegazioni
e osservazioni pseudo-scientifiche e teorizzata esplicitamente attraverso il ruolo affidato al protagonista, lo
scrittore Gibson, il cui compito è appunto quello di
documentare "fedelmente" (anche attraverso l'uso della macchina fotografica) il progresso dell'uomo su
Marte. Alcune analogie con Stowaway to Mars sono, in
effetti, impressionanti, anche se il testo clarkiano sembra segnare, in qualche momento, addirittura un passo indietro, e cioè la negazione di uno specifico narrativo nella SF. Come afferma Gibson all'inizio del romanzo, a proposito delle sue opere precedenti, in risposta al rimprovero del pilota dell'astronave ("Perché
si devono scrivere certe assurdità?"); "Allora il volo
interplarietario non era ancora incominciato e io ero
costretto a servirmi unicamente dell'immaginazione"(17).
In realtà, neppure Clarke rinuncia a creare una propria
versione dei Marziani, sia pure in base a un principio di
"verosimiglianza" o "plausibilità" che dovrebbe spazzar via "secoli di fantasia e di leggenda":
Tutti i sogni dell'Uomo di esseri non molto dissimili da
lui medesimo svanirono nel nulla, e con questi scomparvero incompianti i mostri tentacolati di Wells e tutte
le altre schiere di orrori striscianti e orripilanti. Fu dissipato pure il mito di intelligenze freddamente disumane che guardino il misero Homo Sapiens dall'alto della
loro favolosa saggezza, con spassionata indifferenza,
pronto a schiacciarlo con la stessa impersonale insensibilità con la quale Egli è pronto a distruggere una
larva, un insetto bruto(18).
Vale la pena di ricordare subito che, negli anni successivi, lo stesso Clarke avrebbe resuscitato il livello
35
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
mitlco e fantastico della SF in romanzi come
Childhood's End eThe City and the Stars, dove la "conoscenza" non è tanto un fatto scientifico, ma la percezione delle pulsioni e degli archetipi presenti nella
psiche e nella storia dell'umanità.
In Sandsof Mars, ad ogni modo, la vivacizzazione di
un intreccio statico è affidata, oltre che alla "suspense"
contenuta nell'esplorazione del pianeta, nella ribadita
retorica della colonizzazione spaziale, affidata a uomini rudi e coraggiosi, e a un risvolto sentimentale collegato al passato del protagonista e al ritrovamento d'un
figlio perduto: cosi, il rifiuto della dimensione dell'immaginario, tanto importante nei scientiflc romances di
Wells, finisce per rendere puramente accessori e riempitivi i livelli narrativi, ancorando il genere ai principi di
un divulgazionismo scientifico "popolare" privo di slanci fantastici.
Lo stesso Clarke era certamente consapevole delle
limitazioni di una simile impostazione, tanto da ribaltare in buona parte il suo discorso nelle opere successive, Childhood's End (1953) e The City and the Stars
(1956), dove l'impianto didascalico, sempre attivamente perseguito, acquista le risonanze speculative più
vaste di una favola sul mito del futuro e si avvale dei
riferimenti alla tradizione degli anni '30 di Huxley e di
Stapledon.
Più evidente è anche il percorso simbolico del protagonista come dell'umanità, coinvolta in un rito di
iniziazione alla vita, che comprende l'uscita dal grembo materno, una fanciullezza di inquietudini e di scoperte, il volo tra le stelle, alla ricerca del padre, la fine
della dipendenza dalle immagini del padre e della madre attraverso la conquista di una nuova condizione
esistenziale (Childhood's End) o il raggiungimento di
un nuovo equilibrio interiore che riflette una rinnovata
armonia cosmica (The Cityand the Stars).
Rilevante ai fini di questo discorso, ci sembra soprattutto The C!ty and the Stars, dove la visione del futuro
risente certamente della scala evoluzionistica proposta da Stapledon, ma si avvale soprattutto di una serie
di spunti offerti da Brave New World diHuxley, dagli
nomini "artificiali" di Diaspar alla contrapposizione tra
"cultura" e "natura" replicata nella dicotomia tra Diaspar
e Lys. Certo, la prospettiva satirico-distopica di Huxley
è stata opportunamente annacquata e spogliata di alcuni aspetti più provocatori (come nei riferimenti alla
sessualità del futuro), ma l'impianto narrativo si è
irrobustito, tanto da inglobare una serie di espedienti e
di tematiche riepilogative della tradizione
fantascientifica, negli episodi avventurosi e nei frequenti
colpi di scena, ma anche per la presenza di situazioni
e oggetti fantascientifici come il robot, l'astronave, la
telepatia, l'alieno, il volo nello spazio.
Ma ciò che più importa è il tentativo di recuperare la
tensione onirica e fantastica dei scientific romances
wellsiani accanto alla dimensione didascalica e speculativa, che continua a determinare le modalità formali della prosa di Clarke. Cosi Diaspar non è soltanto
un' ennesima versione del labirinto tecnologico che ha
inaridito le sorgenti spirituali dell'uomo, il "nuovo mondo" huxleyano, o, ancora prima, le viscere della Terra
36
in "The MachineStops" di Forster, ma un luogo di sogni e di fantasie, che genera altre illusioni, sostituendo
all'esperienza diretta l'inverizione di situazioni fittizie
che gli abitanti della città vivono come "reali":
You could go into these phantom worlds with your
friends, seeking the excitement, that did not exist in
Diaspar - and as long as the dream lasted there was
no way in which it could be distinguished from reality.
Indeed, who could be certain that Diaspar itself was
not the dream?(19)
Il protagonista del romanzo, Alvin, è un Odd John alla
rovescia, "unico" perché "normale", animato da un
desiderio di conoscenza che, però, con il tempo, sa
temperare con la prudenza e il recupero di un rapporto
con altri esseri umani, pronto a mettersi da parte una
volta che il suo compito "storico" è stato compiuto.
Alvin è, insomma, una abile variante dell'"uomo medio", nobilitato da una astratta sete di "sapere" che
non assume mai connotati economici o esplicite sfumature sessuali. Un personaggio del genere non può
che essere "raccontato" da un narratore onnisciente
che è il suo alter-ego, un altro Alvin più vecchio e più
saggio in grado di mediare diverse esigenze esattamente come il suo protagonista.
In realtà, è probabile che i tentativi più riusciti di Clarke
non siano quelli in cui il messaggio metafisico è più
esplicito e pesante, ma i testi in cui avventura,
estrapolazione scientifica e proiezione conoscitiva sono
fusi con maggiore modestia e coscienza dei propri limiti di narratore fedele alla tradizione di Wells (e di
Verne). In questo senso, un notevole equilibrio narrativo viene raggiunto in A Fall of Moondust (1961) dove gli
schemi del romanzo avventuroso-psicologico, i risvolti
catastrofici, il ribadito rifiuto di una tradizione orrifica
sono efficacemente vivificati da un tessuto narrativo che
riflette sul rapporto tra l'uoma medio e lo sviluppo tecnologico mentre, anche a livello psicanalitico, la vicenda dei passeggeri della Selene, rinchiusi in un fragile
ma caldo guscio sotto la superficie polverosa della Luna
rilancia con maggiore evidenza l'immagine del grembo
materno da cui l'uomo deve uscire - ma con cui deve,
fare i conti - se vuole giungere a una sua consapevole
maturità. Perciò, paradossalmente, quando un collegamento radio viene istituito con la navicella sepolta,
uno dei protagonisti si rende conto che l'arrivo del mondo
esterno ha spezzato il senso di amicizia e solidarietà
che si era istituito tra i passeggeri:
The radio link; had already transformed their Iives, had
brought them hope and put them in touch with their
loved ones. Yet, in a way, he was almost sorry that
their seclusion was ended. The heart-warming sense
of solidarity. . . was already a fading dream. They no
longer formed a single group, united in the common
cause of survivai. Now their lives had diverged again
into a score of independent aims and ambitions,
Humanity had swallowed them up once again, as the
ocean swallows a raindrop(20).
Ricompare cosi il vecchio rimpianto per una comunità
autonoma e composta di individui solidali che l'impatto
con i mass media ha profondamente modificato. Allo
stesso modo, la Luna di A FalI of Moondustè un luogo
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
turistico visitato da ricchi borghesi in cerca di emozioni e resa eccitante dalle fonti di comunicazione di
massa che si occupano di un banale incidente di viaggio. Lo sfondo fantastico della SF è ridotto, ironicamente, alla paranola fanatica di un passeggero, convinto di essere perseguitato dagli UFO. L'epos si perde nella replica di un percorso borghese e si frammenta
in alcune storie individuali regolate dai cliché della letteratura e del cinema di consumo ma, paradossalmente, la SF risorge dalle sue ceneri non a livello di romanzo "serio", ma appunto di romanzo di consumo capace tuttavia di scarti ironici e di proiezioni fantastiche,
perché consapevole di cadere sotto il dominio dei mass
media; in questo modo, la divulgazione scientifica non
è una sorta di pallido specchio di una più alta "verità",
ma il suo surrogato, l'unica - in effetti - "verità" possibile che nella finzione trova un nuovo livello di comunicazione e di riflessione narrativa.
Ancora una volta, era la tradizione wellsiana, con le
varie mediazioni di Verne, Stapledon e di alcuni modelli americani, che suggeriva a Clarke le sue pagine mi-
gliori. L'impossibilità di giungere a una visione metafisica dell'universo avrebbe anche in seguito ispirato l'impegno più solido di uno scrittore che aveva bisogno di
negare la propria anima didascalica e pseudo-filosofica per trasformare in fiction la propria scrittura, come
è possibile vedere in quello che sarebbe poi stato il
suo tentativo più interessante di riflessione narrativa,
Rendesvouzwith Rama (1973).
Ma, alla fine degli anni '50, il ruolo di Clarke si stava
esaurendo cosi come, in un certo senso, il discorso
wellsiano doveva essere rifiutato per poter dare ancora
i suoi frutti. Nuove esigenze e nuovi nomi, quelli di
Ballard e di Aldiss, di Disch e di Brunner, avanzavano
sulla scena della SF inglese: alla ricerca di una nuova
forma narrativa che avrebbe spazzato via ogni residua
presunzione di verisimiglianza, ogni pretesa di profezia e di realismo, esaurendo cosi sia la linea speculativa di Wells, Stapledon e Clarke, sia quella avventurosa ed escapista che ancora scrittori come Wyndham
e Clarke avevano cercato di conservare nel loro tessuto narrativo.
© Carlo Pagetti
Note
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Oltre agli studi
preziosi
di B.
Bergonzi,
Manchester,
1961,ancora
e di M.R.
Hillegas,
The
Future asThe
Nightmare. H.G. Wells and the Anti-Utopians, New
York, 1967, si vedano D. Suvin e R.M. Philmus, eds.,
H.G. Wells and Modern Science Fiction,Lewisburg,
1977, e F. Meconnen, The Science Fiction o fH.G.
Wells, Oxford, 1981, senza dimenticare le importanti pagine su Wells in D. Suvin, Metamorphoses
of Science Fiction, New Haven, 1979 e la sezione
“Science Fiction through H.G. Wells”, con saggi di
R.M. Philmus e altri, in Science Fiction Studies, March
1981.
Mi sono già occupato di questi problemi in
precedenti interventi, tra cui segnalo “La
fantascienza: la scienza come favola - la favola
come ideologia”, in A.A.V.V., La fantascienza e la
critica, Milano, 1980, pp. 206-216.
Per il rapporto tra Ballard e la tradizione
fantascientifica inglese, rinvio a V. Fissore, “Premessa” a G. Montanari, Ieri, il futuro. Origini e sviluppo della Fantascienza inglese, Milano, 1977, pp.
I-III, al mio “J.G. Ballard: sperimentalismo e mitologia del futuro”, Annali dell’istituto Orientale di Napoli, Sez. Anglistica, 1978, 1-2, pp. 99-108, e ivi, L.
Di Michele, “Il romanzo prismatico di J.G. Ballard”,
1980, 2-3, pp. 225-291.
Si veda il mio “H.G. Wells: The First Men in the Moon”,
in Studi Inglesi 5, 1978, pp. 189-210, e la sua
versione inglese, “The First Men in the Moon: H.G.
Wells and the Fictional Strategy of the Scientific
Romances”, in Science Fiction Studies, July 1980,
pp. 123-124.
H.G. Wells, A Modern Utopia, Lincoln, 1967, p. 2.
B.W. Aldiss, Billion Year Spree,London, 1973, pp.
156-158.
Si vedano le osservazioni sull’ottimismo
evoluzionistico di Campbell da parte di un crtico
non certo ostile come P.A. Carter, The Creation of
Tomorrow. Fifty Years of Magazine Science Ftction,
New York, 1977, pp. 213-214.
B.W. Aldiss, “Magic and Bare Boards”, in B.W. Aldiss
e H. Harrison, eds., Hell’s Cartographers,London,
1976, p. 184.
Per cui si veda F. Moretti, Letteratura e ideologie
negli anni trenta inglesi, Bari, 1976.
early
H. G.implicazioni
Wells. A study
of the escientiftc
romances,
10. Sulle
teologiche
la strategia
politica
di autori come C.S. Lewis, che nel 1938 avrebbe
pubblicato Out of the Silent Planet, si veda E.
Jameson, “La fantascienza teologica”, in A.A.V.V.,
La Fantascienza e la critica, cit., pp. 217-221.
11. J. Wyndham/J. Beynon, Stowaway to Mars, Coronet
Books, London, 1972, cap. IX
12. O. Stapledon, Odd John, New English Library (con
una introduzione di L. Fiedler), London, 1978, cap.
XXIV.
13. R. Scholes, Structural Fabulation, Notre Dame,
1975, riscopre Stapledon come punto di passaggio obbligato tra Wells e la SF contemporanea (pp.
62-67), ma il ruolo di questo scrittore era stato segnalato dagli storici della SF (si veda, ad esempio,
un giudizio analogo in S. Moskowitz, Explorers of
the !nfinite, Cleveland, 1963, p. 270).
14. Non va dimenticata, verso la fine degli anni ’30, la
presenza a Oxford di un circolo letterario come quello degli Inklings, a cui facevano capo C.S. Lewis,
J.R.R. Tolkien e CharIes Williams. Non solo la SF,
ma anche il genere della “fairy tale” (e in America,
la narrativa dell’orrore con H.P. Lovecraft) trovano
un terreno fertile nell’espansione della cultura di
massa che avviene negli anni precedenti Io scoppio della Il guerra mondiale.
15. Su Clarke si vedano: J.D. Olander e M.H.
Greenberg, eds., Arthur C. Clarke, Edinburgh, 1977;
G.E. Slusser, The Space Odyssey of Arthur C.
Clarke, San. Bernardino (Cal.), 1978; E.S. Rablin,
Arthur C. Clarke, West Linn (Oregon), 1979.
16. Si veda A. C. Clarke, “The Fascinaton of Space”, in
Dialogue 1, 1970, pp. 52-59.
17. Usiamo in questo caso la traduzione italiana di
Maria Gallone, data la sua eccezionalità. Le Sabbie di Marte fu, infatti, il primo “Romanzo di Urania”,
pubblicato il 10 ottobre 1952. La citazione è a pag.
3 (cap. 1).
18. A. C. Clarke, Le Sabbie di Marte, cit., p. 97 (cap.
XII).
19. A. C. Clarke, The City and the Stars, Signet Book,
New York, 1957, cap. I.
20. A. C. Clarke, A Fall of Moondust, Pan Books,
London, 1964, cap. 15.
37
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Ponendo l’accento sul peculiare
andamento spaziale di ogni opera narrativa, Frank Kermode ha
osservato che l’uomo moderno,
diversamente dall’uomo medievale, ha un’intima esigenza di
“fictions relating to time - the kind
that confer significance on the
interval between tick and
tock” (1). Esiste un nesso tra
narrativa e tempo significativo
(kairos) giacché entrambi acquistano una valenza semantica solo in quanto hanno un
inizio e una fine. Se è vero che, delimitandolo
spazialmente, l’uomo umanizza il tempo e gli dà una
forma, resta pur sempre l’oggettiva e inevitabile presenza di chronos, vale a dire il tempo non umanizzato,
il tempo che fluisce con o senza l’elemento umano.
Al centro di “Chronopolis” (C) - un racconto di J.G.
Ballard pubblicato nel 1960 - troviamo affrontata la
problematica del dualismo kairos/chronos altrimenti
enucleabile mediante i paradigmi SENSO/NON-SENSO, UMANO/NON-UMANO. È significativo, pertanto,
che in questo racconto, il protagonista, Conrad
Newman, non riesca a dare un significato alla vita proprio perché, con l’abolizione dell’orologio sancita per
legge, pare definitivamente compromessa la possibilità di conferire una dimensione umana al tempo, di lanciare un ponte tra la finitezza e limitatezza dell’uomo e
l’infinito e indifferente trascorrere di chronos:
Time unfolded at its usual sluggish, half-confused pace.
They lived in a ramshackle house in one of the
amorphous suburbs, a zone of endless affernoons[...]
He [Newman] was in no hurry tu grow up; the adult
world was unsynchronized and ambitionless[...](2).
Per molti versi, “Chronopolis” costituisce la prima intuizione ballardiana di un Leitmotiv che poi ritroveremo
in molta parte della produzione dello scrittore anglosassone, che, in tal modo, si misura con uno dei grandi temi della narrativa fantascientifica. Per Ballard, tuttavia, non si tratta di imitare o rielaborate i modi convenzionali di scrittura, ma di tentare nuove soluzioni
stilistico-narrative in cui vengano esaltati gli atteggiamenti dilemmatici e i conflitti interiori dell’uomo, per
questo il narratore guarda più ai “demented landscapes
of Van Gogh” (3) che ai padri fondatori della science
fiction.
In proposito Carlo Pagetti ha giustamente notato che
le opere ballardiane “si pongono come esercitazioni
formali, allegorie e favole in cui vengono discussi e revisionati i miti su cui è basata la letteratura
fantascientifica” (4). D’altro canto, nel notissimo saggio “Which Way to Inner Space” - apparso nella rivista
New Worlds nel maggio 1962 - l’autore inglese parla di
rinnovamento dei moduli fantascientifici, pensando
soprattutto alla tematica temporale, non più intesa
come il convenzionale viaggio nel tempo ma piuttosto
come artificio utile per mettere in evidenza taluni aspetti
della vicenda arcaico-collettiva dell’umanità e mostrare i risvolti psicologici del rapporto tra sensibilità umana e dimensione temporale:
[...] vorrei che la SF elaborasse
concetti come zona tempo, tempo profondo e tempo
archeopsichico. Vorrei vedere
più idee psico-letterarie, più concetti
metabiologici
e
metachimici, vorrei vedere dei sistemi temporali personali, delle
psicologie e degli spaziotempi
sintetici, e quei remoti ed oscuri semi-mondi che avvertiamo nei
dipinti delle personalità dissociate, tutto in completa poesia speculativa e fantasia scientifica (5).
Insomma, per lo scrittore l’unico grande territorio inesplorato è rappresentato dall’universo interiore dell’uomo che, più dello spazio interplanetario, riserva, a chi
vi si avventuri, non poca materia narrativa. A questo
punto, si può dire che al binomio antinomico kairos/
chronos fa riscontro il paradigma INTERNO/ESTERNO dal momento che il tempo umanizzato e dotato di
semanticità può esistere solo se connesso alla sensibilità umana, laddove il paesaggio esterno diviene un
elemento accessorio, talora correlativo oggettivo di una
condizione interiore, tal altra rappresentazione di una
decadenza di cui chronos è il grande artefice. Questa
antinomia viene esplicitamente dichiarata nelle parole
finali di The Drought (1965), quando l’eroe, Charles
Ransom, giunge alla fine della sua avventura attraverso la catastrofe naturale della siccità:
To his surprise he noticed that he no longer cast any
shadow on to the sand, as if he had at last completed
his journey across the margins of the inner landscape
he had carried in his mind for so many years. The light
failed, and the air grew darker. The dust was dull and
opaque, the crystals in its surface dead and clouded.
An immense pall of darkness lay over the dunes, as if
the whole of the exterior world were losing its
existence (6).
È nondimeno interessante notare che a questo individuale inner space spesso corrisponde, su un piano
strettamente topologico, l’individuazione metonimica
di uno spazio limitato e centripeto che risulta funzionale al disvelamento del paesaggio interiore o, per dirla con David Ketterer, “devastated landscapes fanction,
to some degree, as metaphorical reflections of man’s
inner landscape” (7). È il caso di Concrete Island (1974),
ove il protagonista, in seguito allo scoppio di una ruota, si ritrova con la sua Jaguar fracassata in un’isola di
cemento racchiusa dall’intersecarsi di tre giganteschi
nastri autostradali. Lo spazio brullo e abbandonato finisce per divenire, una volta che l’automobilista si è
reso conto dell’impossibilità di ottenere soccorso, il
luogo di una scoperta psichica, al punto che Maitland,
l’eroe del romanzo, stabilirà un rapporto diretto tra il
suo destino e quello dell’area di cui è prigioniero:
More and more, the island was becoming an exact
model of his head. His movement across this forgotten
terrain was a journey not merely through the island’s
past but through his own (8).
È ancora il caso di High-Rise (1975), storia di un con-
“Chronopolis”
di J.G. Ballard
la città e il tempo
Francesco Maroni
38
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
dominio che si trasforma in una sorta di enorme e buia
caverna in cui vigono la legge del più forte e un impulso
belluino all’autodistruzione. In questa favola moderna,
costruita secondo il raffinato mosaico della imagery
ballardiana, l’edificio di quaranta piani diviene il locus
di un auto-confinamento che condurrà i protagonisti a
un tribalismo cruento, al recupero della primordialità
umana: aspetti, questi, incarnati soprattutto da un personaggio significativamente chiamato Wilder:
[...] Wilder welcomed and understod the night - only in
the darkness could one become sufficiently obsessive,
deliberately play on all one’s repressed insticts. He
welcomed this forced conscription of the deviant strains
in his character. Happily, this free and degenerate
behaviour became easier the higher he moved up the
building, as if encouraged by the secret logic of the
high-rise (9).
Nella narrativa ballardiana spazio e tempo custituiscono
i parametri obbligati di un confronto dell’uomo moderno con se stesso, con il suo passato, con il suo futuro; spazialità e temporalità sono connessi in un modo
inestricabile con la vicenda arcaico-collettiva dell’uomo nella quale confluiscono le memorie individuali, le
singole storie interiori. Vale quindi il rapporto spazio/
tempo nell’interpretazione di Gaston Bachelard:
Lo spazio, nei suoi mille alveoli, racchiude e comprime il tempo: lo spazio serve a questo scopo.
[. . j Attraverso lo spazio, nello spazio rinveniamo i bei
fossili della durata, concretizzati da lunghi soggiorni.
L’inconscio soggiorna, i ricordi sono immobili, tanto
più solidi quanto più e meglio vengono spazializzati (10).
In questa prospettiva possiamo interpretare
“Chronopolis” come il racconto del tempo spazializzato,
giacché la modellizzazione spaziale mette in evidenza gli aspetti psichici del viaggio di Newman verso il
cuore della metropoli abbandonata. Anche qui, insomma, lo spazio si divide secondo il paradigma INTERNO/ESTERNO, il decadente paesaggio metropolitano
opponendosi ai nuovi insediamenti rurali sparsi lungo il
perimetro della città disabitata.
Il protagonista di “Chronopolis”, Conrad Newman, è in
cerca di un tempo significativo da contrapporre al monotono andamento della vita quotidiana; in questo caso
però la semanticità viene data dalla possibilità di stabilire dei confini cronologici alla giornata.
Dunque l’eroe ballardiano è ossessionato dal problema della misurazione del tempo in una società in cui è
stato vietato l’uso e persino la semplice immagine dell’orologio e di qualsiasi strumento capace di indicare
l’ora. A ben gnardare, l’ossessione di Newman cela, a
un livello più profondo, una fondamentale esigenza
conoscitiva del destino personale e collettivo: si tratta,
in breve, di scoprire non solo il fascino del meccanismo dell’orologio, ma anche e soprattutto il passato
socio-culturale e psichico di una civiltà che aveva affidato le sue sorti al funzionamento di quello strumento
meccanico e massificante. Il recupero cioè di un’identità che l’abbandono della città del tempo ha voluto
negare alle nuove generazioni, di cui Newman è un
rappresentante. Pertanto, la dimensione temporale
cercata è solo apparentemente chronos, se è vero che
l’eroe ballardiano tenta, con il suo gesto di rivolta, di
dare forma e significato a una vita senza senso, conferendole un inizio e una fine. Sotto questo a-spetto
“Chronopolis” si configura come “an escape from
chronicity” (11), per cui la conquista del primo orologio
avvia nel protagonista i meccanismi che presiedono
inconsciamente alla rappresentazione del paesaggio
interiore:
what he needed was an internal timepiece, an
unconsciously operating psychic mechanism regulated,
say, by his pulse or respiratory rhythms (C, p. 187).
Se da un lato l’eroe ballardiano è affascinato dalla oggettiva misurazione del tempo, dall’altro egli cerca di
andare ben oltre l’attuazione di un progetto che sostanzialmente appartiene al mondo esterno, ad una
realtà cioè estranea all’uomo; per questo Newman mira
alla realizzazione di un sistema temporale personale
teso a fornire un supporto psichico e un punto di riferimento umanizzato nel suo viaggio conoscitivo. In questo senso si può affermare che la tipica forma circolare dell’orologio acquista, agli occhi del personaggio, le
sembianze di un vero e proprio mandala, che, secondo la definizione junghiana, si configura come simbolo
di “un an ampliamento della sfera della coscienza e
della vita psicologica cosciente” (12). Nel caso della
narrativa ballardiana, il processo psicologico della
“individuazione” vuoI dire anzitutto ritorno alle forze
archetipico-collettive mediante una serie di esperienze di rottura con l’ordine stabilito. Concetto, questo,
sviluppato anche da Carl G. Jung quando scrive che:
L’individuazione è sempre più o meno in contrasto con
le norme collettive, giacché essa è separazione e
differenzazione dalla generalità e sviluppo del particolare [...] (13).
Nella sua forma geometricamente regolare e compiuta, il cerchio chiuso si configura come “l’antidoto tradizionale a uno stato mentale caotico” (14), giacché in
esso sembra realizzarsi la sintesi tra dimensione
spaziale e dimensione temporale; e ciò che accade al
biologo Powers, protagonista del racconto “The Voices
of Time”, che, al centro del suo mandala - significativamente definito un “orologio cosmico” - riesce a conquistare il passato arcaico del genere umano:
The vast age of the landscape, the inaudible chorus of
voices resonating from the lake and from the white hills,
seemed tu carry him back through time, down endless
corridors to the first threshold of the world(15).
A questo punto si può senz’altro dire che Chronopolis,
descritta come “an enorrnous ring, five miles in width,
encircling a vast dead centre forty or fifty miles in
diameter” (C, p. 195), ha la forma di un grande mandala temporale, il cui potere centripeto si esercita sull’intraprendente Conrad Newman che vive nella costante
ricerca di “a compass charting his passage through
the future” (C, p. 192). E, d’altro canto, significativo
che l’eroe ballardiano decida di addentrarsi nel territorio vietato, nonostante esso si presenti sulla carta geografica come “a flat, uncharted grey, a massive terra
incognita” (C, p. 195). In effetti, il viaggio esplorativo
non riguarda tanto la scoperta di “a wilderness of concrete and frosted glass” (C, p. 197), quanto il
39
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
disvelamento delle regioni inesplorate della psiche
umana. Non per nulla Newman è convinto che:
a calibrated timepiece added another dimension to life,
organizzed its energies, gave the countless activities
of everyday existence a yardstick of signiflcance (C,
p. 192).
Di qui anche il grande sogno di restituire alla vita la
città del tempo cominciando proprio a mettere in movimento i suoi orologi arrugginiti, che, agli occhi dell’eroe,
si configurano come l’anima e la cifra dell’enorme macchina metropolitana:
lf one could only start the master clock the entire city
would probably slide into gear and come to life, in an
instant be repeopled with its dynamic jostling millions
(C, p. 201).
Newman, proveniente dai centri rurali, guarda meravigliato e piacevolmente stupefatto al disegno
architettonico della città, alle precise geometrie delle
sue piazze e delle vie, alla complessa gerarchia che
un tempo governava tutta l’organizzazione sociale ed
economica di quell’universo tecnologicamente e
demograficamente avanzato:
“There seems to be plenty of dignity here. Look at these
buildings, they’ll stand for a thousand years [. . .] think
of the beauty of the system, engineered as precisely
as a watch” (C, p. 202).
L’immagine di una città mostruosa e affascinante al
tempo stesso trova conferma, del resto, nel tessuto
linguistico del racconto che, ricorrendo all’uso insistito di taluni lessemi - enormous, large, vast, wide,
massive, high - enfatizza nel lettore la contrastante
visione di un microcosmo individuale alle prese con
una realtà complessa e smisurata come quella di
Chronopolis, definita “ a fantastically complex social
organism” (C, p. 198).
A ben guardare, la metropoli, nei suoi aspetti
disumanizzanti, rappresenta uno dei temi ricorrenti dei
racconti ballardiani e, sul piano della imagery, conferisce alla scrittura dell’autore inglese una peculiare
unitarietà e coerenza poetico-immaginativa. In questo
senso, si veda il racconto “The Ultimate City” (UC),
ove si narra di un grande insediamento urbano che “like
a thousand others around the globe, had gradually come
to a halt and shunt itself down for ever” (16) in un’epoca in cui “the huge urban populations of the late
twentieth century had dwindled” (UC, p. 14). Compiendo lo stesso gesto di Conrad Newman, il protagonista
di questa storia, Hollway, con l’ausilio di un aliante si
reca verso l’”ultima città” nel tentativo di rianimarla. In
questo caso però, l’emblema della civiltà tramontata
non è l’orologio ma l’automobile, che, agli occhi del
personaggio, appare come “a fitting womb” (UC, p. 19),
vale a dire una cavità uterina attraverso la quale raggiungere lo spazio psichico dell’uomo proto-industriale, di cui non resta traccia nella “sophisticated Arcadia” (UC, p. 16) delle Città Giardino. Per questa ragione, Hollway, trasgredendo una legge che definisce terra di nessuno la metropoli abbandonata, si stabilisce
nel cuore della vecchia città e comincia a riparare i
motori arrugginiti di vecchie carcasse di automobili,
40
spinto dalla convinzione che in tal modo la morta civiltà risorgerà per riacquistare l’antica grandezza, la straordinaria esperienza che, nel bene o nel male, essa
dispiegava quotidianamente:
[...] it had been filled with more than a million people,
the streets packed with traffic and the skies with
helicopters, a realm of ceaseless noise and activity,
competition and crime (UC, pp. 50-51).
Risulta evidente che questa “ultima città” non è affatto
differente da Chronopolis, entrambe essendo testimonianza di un passato in cui la volontà umana veniva del
tutto piegata alle esigenze dell’insaziabile e assurdo
mostro metropolitano. Ma se è verò, come ha notato
Clifford D. Simak, che un tempo la città era “il prodotto
dell’evoluzione della nostra civiltà, e per molti secoli
servì ottimamente all’uomo” (17), ben comprendiamo
come il viaggio degli eroi ballardiani abbia un carattere
eminentemente psichico, sia cioè la ricerca di una storia
culturale e socio-psicologica anteriore alle temperie del
decadimento urbano. Per cui vediamo che Hollway, non
diversamente da Newman, agisce nella speranza di
rinvenire “ the missing sections of his mind” (UC, p.
35), di conquistarsi un’identità che le comunità rurali
delle Città Giardino avevano da tempo rimosso completamente.
Vale la pena di ricordare che, sia per Newman che per
Hollway, la spinta verso la trasgressione delle norme
sociali e la rivisitazione della civiltà perduta trae origine dal disperato tentativo di ricostruire la personalità
dei genitori scomparsi attraverso un contatto affettivo
con le reliquie del loro passato. Cosi, nel caso del protagonista di “Chronopolis” leggiamo:
After his mother died he spent Iong days in the attic,
going through her trunks and old clothes, pIaying with
the bric-a-brac of hats and beads, trying to recover
something
of
her
personality.
In the bottom compartment or her jewellery case he
came across e small flat gold-cased object, equipped
with a wrist strap. The dial had no hands but the twelvenumbered face intrigued him and he fastened it to his
wrist (C, p. 188).
Anche nel caso di Holloway il messaggio psichico giunge dagli oggetti dell’età scomparsa, oggetti che acquistano il valore di un indispensabile cifrario per entrare
in sintonia con un universo negato dalla società presente, ma ancora esistente grazie a una surrettizia
forza psichica:
The shelves were filled with relics of his father’s restless
mind - antique gear-boxes and carburettors, mementoes
of the vanished petroleum age, and the designs for a
series of progressively more ambitious sailplanes. The
half-completed skeleton of a small glider still lay on its
trestles in the workshop (UC, p.9).
Nei racconti di Ballard non si tratta, quindi, di movimenti avventuroso-sensazionalistici ma, al contrario,
di terribili drammi interiori e di angosce della mente;
per questo ha ragione Brian W. Aldiss quando, a proposito degli short stories ballardiani, nota che “they
hinge upon inaction, their world is the world of loss and
surrender” (18). In effetti proprio in “Chronopolis” notia-
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
mo come uno dei momenti potenzialmente avventurosi - la fuga di Newman dal suo insegnante-poliziottodel-tempo che lo ha accompagnato attraverso l’enorme labirinto della metropoli - sia smorzato di ogni
sensazionalismo con la riduzione all’essenziale di tutto l’episodio. Né va dimenticato che il tema dell’inazione
entra sin dalle prime battute del racconto quando viene mostrato il protagonista in prigione, in attesa della
sentenza che dichiari la sua innocenza o colpevolezza
per avere infranto le leggi del tempo. Ed è significativo
che Newman trovi la possibilità di una sorta di evasione morale attraverso la costruzione di una meridiana
che sfrutta i raggi di sole che penetrano nella cella.
Fuga o viaggio che sia, i personaggi ballardiani sono
sempre calati in contesti in cui l’unica realtà possibile
e quella del paesaggio fossile, della foresta cristallizzata - una realtà cioè che riflette l’esperienza arcaica
dell’uomo, proprio come si legge in The Crystal World
(1966):
[...] this illuminated forest in some way reflects an
earlier period of our life, perhaps an archaic memory
we are born with of some ancestral paradise where the
unity of time and space is the signature of every leaf
and flower (19).
Che le città ballardiane segnino il momento di una straordinaria sintesi spazio-temporale, appare evidente nel
racconto “Concentration City” (1967), ove si assiste al
tentativo infruttuoso di un personaggio che va alla ricerca di uno spazio libero al di là dei confini metropolitani: la città diviene in questo racconto un’entità mostruosa e sconfinata proprio come chronos:
“[...] You accept that time has no beginning and no
end. The City is as old as time and continuous with
it” (20).
Alla fine del suo viaggio il protagonista di “Concentration
City” si ritrova al punto di partenza e non gli resterà
nulla se non la certezza che l’insediamento urbano,
non meno del tempo, è una prigione dalla quale è impossibile fuggire. D’altra parte, alla stessa conclusione perviene anche Newman che, nel chiuso della sua
cella, per la prima volta si rende conto che Chronopolis,
la città degli orologi, non potrà mai dare un significato
e una forma alla vita umana semplicemente perché
l’orologio è uno strumento capace di registrare soltan1. F. Kermode, The Sense of an Ending:
Studies in the Theory of Fiction,
London and New York, 1970 (I ed.
1966), pp. 51-52.
2. J.G. Ballard, “Chronopolis”, in FourDimensionaI Ntghtmare,
Harmondsworth, 1977 (I ed. 1963), p.
188.
3. J.G. Ballard, “Cry Hope, Cry Fury”, in
Vermilion Sands, St Albans, 1975 (I
ed. 1973), p. 97.
4. C. Pagetti, “J.G. Ballard:
sperimentalismo e mitologia del futuro”,
in Annali-Anglistica 1-2 (1978), p.
104.
5. J.G. Ballard, “Da che parte è lo spazio
interiore?”, in Nuova Presenza 37-38,
primavera-estate 1970, p. 29. Lo stesso articolo è apparso, in diversa traduzione, nel Bollettino SFBC 22-23, marzo-giugno 1970, sotto il titolo “Come si
arriva allo spazio interno?”.
6. J.G. Ballard, The Drought, St Albans,
1978 (I ed. 1965), p. 188.
to il tempo esteriore degli accadimenti, non certo le
intime e individuali esperienze dell’animo umano. Per
ironia della sorte, l’eroe ballardiano viene condannato
ad ascoltare per vent’anni l’incessante e ossessivo ticchettio di un orologio:
He was still chuckling over the absurdity of it all two
weeks later when for the first time he noticed the clock’s
insanelysirritating tick... (C, p. 211).
Con queste parole, che, in un certo senso, segnano la
vittoria di chronos sul tempo significativo, si conclude
un racconto imperniato sull’impossibilità di avere una
dimensione temporale umanizzata in una struttura
sociale sostanzialmente disumanizzante, ove l’unico
tempo che può esistere è quello ricordato, con grande
enfasi, dall’insegnante-poliziotto:
“Time! Only by synchronizing every activity, every
footstep forward or backward, every meal, bus-halt, and
telephone call, could the organism support itself. Like
the cells in your body, which proliferate into mortal
cancers if allowed to grow in freedom, every individual
here had to subverse the overriding needs of the city or
fatal bottlenecks threw it into total chaos [...]” (C, p.
199).
In ultima analisi, risulta fittizia l’opposizione tra il mondo di Chronopolis (IN) e quello in cui è vietata la misurazione del tempo (ES); conseguentemente appare
anche inesistente - alla luce della semiotica lotmaniana
sui modelli spaziali (21) l’antitesi ordine (IN) vs caos
(ES), se è vero che le parole dell’insegnante-poliziotto
mettono a nudo come Chronopolis non avesse un ordine a misura d’uomo, ma al contrario un caos mascherato, grazie all’orologio, con una superficiale vernice di
ordine. Sotto questa prospettiva potremmo definire la
Chronopolis ante lapsum nei termini bunyaniani di “città della distruzione”, soprattutto perché la sua perfetta
e cronometrica organizzazione imposta dall’alto e il
consegnente caos latente divengono le coordinate fondamentali di un potenziale psichico autodistruttivo. In
fondo, la terra incognita esplorata da Conrad Newman
è proprio questo inner space, che, per quanto costringa il personaggio alla totale resa, si pone come I’unico
grande locus psicologicamente e, ancor più, letterariamente significativo.
© Francesco Marroni
Four-Dimensional Nightmare, cit., p.
38.
7. D. Ketterer, New Worlds for Old, New
16.J.G. Ballard, “The Ultimate City”, in LowYork, 1974, p. 135.
Flying Aircraft, St Albans, 1978 (I ed.
8. J.G. Ballard, Concrete Island, St
1976), p. 14.
Albans, 1976 (I ed. 1974), pp. 69-70.
17.C.D. Simak, “Introduzione”, in Le città
9. J.G. Ballard, High-Rise, St Albans,
che ci aspettano, a cura di Roger
1977 (I ed. 1975), pp. 120-121.
Elwood, Milano, 1977, p. 5.
10.G. Bachelard, La poetica dello spazio,
18.B.W. Aldiss, Billion Year Spree: The
Bari, 1975, pp. 36-37 (La poétique de
True History of Science flction, New
l’espace, 1957).
York, 1975 (I ed. 1973), p. 300, Di
11. F. Kermode, op. cit., p. 50.
Brian W. Aldiss si veda anche l’articolo
12.C.G. Jung, Dizionario di psicologia
“The wounded Land: J.G. Ballard”, in
analitica, Torino, 1977, p. 85.
SF: The Other Side of Realism, a
13.Ibid., p. 84.
cura di Thomas D. Clareson, 1971,
14.C.G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio
Bowling Green (Ohio), pp. 116-129).
collettivo, Torino, 1977, p. 25. Qui vale
19.J.G. Ballard, The Crystal World, St
la pena di ricordare che, da un punto
Albans, 1978, (I ed. 1966), p. 83.
di vista letterario, Georges Poulet ha
20.J.G. Ballard, “Concentration City”, in
analizzato con grande acume questa
The Disaster Area, St Albans, 1979 (I
forma geometrica pervenendo a inteed. 1967), p. 52.
ressantissimi esiti critici (Les
21.Cfr. Ju. M. Lotman e B.A. Uspenskij,
métarnorphoses du cercle, Paris,
Tipologia della cultura, Milano, 1975 (I
1961).
ed. 1973), pp. 155157.
15.J.G. Ballard, “The Voices of Time”, in
Note
41
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Ancora oggi è controverso cosa
mente assurda come appariva
Realtà quantistica
sia stato veramente scoperto
dai loro esperimenti; perché alnella rivoluzione della fisica avlora cominciava a emergere una
nella
venuta fra il 1900 e il 1930. Le
visione della realtà completafantascienza recente
implicazioni filosofiche del cammente diversa da quella risultanbio di logica dal modello classi- [Quantum Reality in Recent Science Fiction] te dalla teoria newtoniana a loro
co a quello quantistico sembrafamiliare.
Patricia Warrick
no essere più radicali ancora del
Il modello newtoniano o
passaggio dalla visione medievameccanicistico è compatibile
le della realtà alla fisica
con la logica del senso comunewtoniana.
ne. Secondo questo modello l’universo è uno spazio
Se si accetta la teoria quantistica, si deve ammettere tridimensionale, sempre fermo e immutabile. In queche la nostra esperienza, il senso comune non sono il sto spazio si muovono particelle di materia: piccoli,
solo universo. Ne esistono milioni di altri, alcuni quasi solidi oggetti da cui è composta tutta la materia. Gli
identici al nostro, altri assolutamente differenti, abitati eventi materiali sono ridotti al movimento di punti di
da copie-carbone di noi stessi. E’ una realtà strana, materia nello spazio, causato dalla forza di gravità.
sconvolgente, così bizzarra che perfino i fisici che hanno Newton sviluppò equazioni matematiche per descriveformulato la teoria quantistica trovano difficile accet- re il moto dei corpi ed esse diventarono la base per la
tarla. Essi hanno discusso fra loro, ostacolati dal fatto meccanica classica. Queste leggi del moto permettoche la lingua non ha parole per i nuovi concetti. Non no l’accurata previsione di tutto ciò che accadrà mai
sorprendentemente, praticamente nessuno al di fuori nell’universo basandosi su ciò che possiamo conoscere
di quella cerchia di fisici sapeva che la fisica stava a un certo istante. Questa rigida rete di causa ed effetsubendo una rivoluzione. La teoria della relatività di to portò Piede de (1749-1827) a dichiarare che se davEinstein attrasse l’interesse del pubblico, mentre an- vero la posizione e il movimento di ogni singola particora oggi la teoria quantistica e’ un termine scono- cella dell’universo potessero essere conosciute, sasciuto ai più.
rebbe possibile calcolare l’intera storia passata e preLo strano mondo della realtà quantistica cominciò a sente dell’universo. Tutto può essere determinato. Così
interessarmi negli anni sessanta, quando restai affa- scompare la visione medioevale dell’universo, seconscinata dalla lettura di Fisica e filosofia di Werner do cui nel mondo tutto è mistero e magia, e si cominHeisenberg. Egli descriveva una realtà che non avevo ciò a pensare al mondo come a una Grande Macchimai trovato nella letteratura mainstream contempora- na. Con abbastanza studio, la scienza poteva deternea, né nella science-fiction .Quando negli anni set- minare esattamente il funzionamento della Grande
tanta cominciai a studiare seriamente la narrativa di Macchina, e una volta capito lo si sarebbe potuto conPhilip K. Dick, riconobbi in alcuni dei suoi mondi biz- trollare. Per ogni effetto, esisteva una causa. Un altro
zarri la weirdness quantistica conosciuta dai testi di importante punto della fisica classica è che lo scienfisica.
ziato è visto come un osservatore distaccato del monHo continuato la mia ricerca della realtà quantistica do fenomenico oggetto del suo studio. Egli è una connella sf e in questo saggio voglio trattare una mezza sapevolezza non partecipante e i fenomeni che osserdozzina di autori recenti che giocano con i concetti va non cambiano se lui non è presente.
della meccanica quantistica. Forse un titolo più appro- Alla fine del Seicento questa visione meccanicistica
priato sarebbe stato “La storia del gatto di Shrodinger” della realtà si era ormai affermata e gli scienziati l’avrebperché quel gatto appare in tante delle storie.
bero accettata per i prossimi duecento anni. Così posPrima una breve rassegna della rivoluzione nella fisi- siamo capire il fastidio dei fisici quantistici nel ventesica. Una storia affascinante è legata a questo mitico mo secolo quando, studiando le particelle
gatto, che per il fisico tedesco Erwin Shrodinger era subatomiche, emersero i maggiori princìpi della loro
contemporaneamente vivo e morto. Egli evocò il gatto nuova teoria. Per esempio uno è il Principio di Incerper chiarire la differenza tra la realtà quantistica e la tezza o Indeterminazione di Heisemberg, che afferma
nostra esperienza quotidiana. La nostra storia comin- che a causa dell’ interazione fra l’osservatore e la cosa
cia alla fine dell’ ottocento, quando i fisici cominciaro- osservata, ogni misura di un processo fondamentale è
no a investigare la natura dell’atomo e incontrarono affetta da una fondamentale e ineliminabile
una realtà strana e inaspettata. Le loro scoperte li por- incertezza.La materia si comporta sia come un’onda
tarono a sfidare le fondamenta stesse della fisica clas- che come una particella. Se ne misuriamo una, la misica, costringendoli a pensare in modi interamente dif- surazione dell’altra diventa impossibile. Possiamo sotferenti e alla fine li portò a fondare una nuova visione toporne una a una misura precisa, ma allora restiamo
della realtà basata sulla fisica quantistica. Un gruppo incerti riguardo all’altra. Inoltre se una particella ha una
internazionale di fisici lavorò per la ricerca e la formula- precisa posizione, essa semplicemente non ha un ben
zione matematica della teoria quantistica. Tra loro definito momento, e viceversa. Relazioni simili sussic’erano Max Planck, Werner Heisenberg, Niels Bohr, stono fra altre grandezze, per esempio fra il tempo
Erwin Shrodinger, Louis de Broglie, Wolfgang Pauli e durante cui avviene un evento atomico e l’energia coinPaul Dirac. Al principio si spaventarono delle loro sco- volta.
perte e si chiesero se la natura poteva essere vera- Niels Bohr introdusse il concetto di complementarità
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per aiutare a capire questa relazione paradossale tra
coppie di concetti classici. Secondo Bohr, sia l’immagine della particella che quella dell’onda sono necessarie descrizioni della stessa realtà, ma ognuna presa
singolarmente è solo parzialmente corretta. Occorrono entrambe le immagini per rendere pienamente conto della realtà a livello atomico e tutte e due devono
essere applicate con le limitazioni del principio di
indeterminazione. Il concetto di complementarità è ora
una parte essenziale del modo in cui i fisici pensano
alla natura.
La fisica quantistica ha altre inquietanti viste sulla realtà. Al livello subatomico la materia sembra avere solo
una tendenza ad esistere; gli atomi passano improvvisamente da uno stato quantico a un altro; la materia
non è materia discreta nello spazio vuoto come sostiene la fisica meccanicista ma sembra esistere una
essenziale interconnessione di tutti i fenomeni atomici. Dato che tutto è interconnesso, il riduzionismo attuale metodo della scienza tradizionale - fornisce una
falsa visione della realtà. In questa realtà concepita
come una rete il comportamento di ciascuna particella
sembra essere un evento casuale. Si possono fare affermazioni di tipo probabilistico ma non sul comportamento di singole particelle. La teoria quantistica sconvolge perfino la nostra comune concezione dello spazio e del tempo perché dichiara che il tempo non è
assoluto ed universale. Relazioni fra eventi come il
passato e il futuro diventano dipendenti dall’osservatore. Analogamente lo spazio, mentre non è osservabile
come il tempo, tuttavia dipende per la sua esistenza
dall’atto dell’osservazione. Così ciò che noi pensavamo come un mondo oggettivo osservato da un soggetto finisce per essere, secondo la fisica quantistica,
una creazione del soggetto.
Comincia a emergere una visione della realtà in totale
disaccordo con quella della fisica classica. Una ricercatore la chiama weirdness (bizzarria, magia) quantica.
Come dice Niels Bohr, “Chi non rimane scioccato quando si avventura per la prima volta nella teoria dei quanti
non può assolutamente averla capita “.
Le implicazioni filosofiche della realtà quantistica stanno appena cominciando ad emergere, non sono ancora ben definite. Ma alcuni punti sono degni di nota. Il
primo è il carattere dinamico della materia. Tutte le
particelle possono trasformarsi in altre particelle. Possono essere create dall’energia e annichilirsi in energia. I concetti della fisica classica del tipo “particella
elementare” e “ oggetto isolato” non hanno significato.
Invece di essere ordinato, stabile e in equilibrio la materia sembra ribollire e rimescolarsi, piena di cambiamento e disordine, in evoluzione. Non è mai statica
ma sempre in movimento. La realtà sembra essere
una rete di interconnessioni dinamiche e non statiche.
Un’altra implicazione è che tutte le leggi sono creazioni della mente umana. Al contrario, i primi fisici classici erano certi che Dio avesse costruito la natura secondo la legge divina, e Newton pensava che la sua
opera più grande consistesse nello scoprire queste leggi
impresse nella natura da Dio. I fisici quantistici credono che tutte le loro teorie, comprese le “leggi” da loro
descritte sono creazioni della mente umana, proprietà
di modelli concettuali della realtà, non la realtà vera.
Così il ruolo della consapevolezza umana nel creare la
realtà acquista grande importanza. Alcuni ricercatori
pensano che la consapevolezza potrebbe essere una
parte fondamentale della realtà che noi sperimentiamo, una realtà sviluppata per la prima volta dal matematico John Von Neumann. Forse, abbastanza stranamente, l’universo è portato all’esistenza dalla percezione di coloro che ne fanno parte. Mentre non tutti
i fisici quantistici accetterebbero questa posizione, molti
sarebbero d’accordo nel dire che la realtà è un’ilusione.
Non esiste nessun mondo esterno che noi possiamo
osservare, misurare e discutere senza cambiarlo. Isolare ed esaminare ogni pezzetto di realtà dà nella migliore delle ipotesi una visione molto distorta di come
funziona la totalità.
Siccome i concetti convenzionali di tempo, spazio e
causalità devono essere abbandonati nel pensiero
quantistico, dobbiamo abbandonare anche i sistemi di
pensiero logico costruiti su questi concetti; bisogna
concepire la natura quantica come una natura irrazionale. Forse non è tanto che la natura quantica è irrazionale, quanto che la nostra grammatica e il nostro
linguaggio, basati sulla logica del senso comune, sono
inadeguati a parlare di essa.
Questo breve sommario del cambiamento di paradigmi
intervenuto nella fisica è nella migliore delle ipotesi
abbozzato, e senza dubbio incompleto. Per approfondire possiamo leggere qualcuno della mezza dozzina
di volumi apparsi sul mercato qualche anno fa. Uno dei
primi è stato Il Tao della fisica di Fritjof Capra, che
esplora le relazioni tra i concetti della fisica moderna e
le idee fondamentali delle tradizioni religiose e filosofiche dell’estremo oriente. Più di recente la seconda
ondata di libri ci offre discussioni sulle implicazioni filosofiche di una visione quantistica della realtà. The
Reenchantment of the World (1981) di Morris Berman
sottolinea che la realtà come è descritta dalla fisica
quantistica è strana, mistica e incomprensibile. In
Search of Shrodinger’s Cat del fisico inglese John
Gribbin dà un’eccellente storia ed esposizione della
meccanica quantistica. Come fa notare Gribbin il gatto fornisce una metafora per un paradosso della teoria
quantistica che altrimenti sarebbe difficile da
visualizzare e discutere.
Erwin Shrodinger ebbe difficoltà ad accettare la teoria
quantistica perché prospetta un universo senza leggi
affidabili ed egli, come il suo amico Albert Einstein,
era un determinista che trovava un simile universo difficile da accettare. Egli inventò il suo esperimento immaginario del gatto tentando di dimostrare che la teoria quantistica è difettosa. Shrodinger immaginò una
scatola che contiene una fonte radioattiva, un rivelatore che segnala la presenza di particelle radioattive, una
bottiglia di vetro contenente un veleno come il cianuro,
e un gatto vivo. L’apparato nella scatola è predisposto
in modo che il rivelatore resti acceso un tempo abbastanza lungo perché ci sia un probabilità del 50% che
uno degli atomi del materiale radioattivo decada e che
il rivelatore segnali la presenza di una particella. Se il
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rivelatore registra un simile evento, in contenitore di
vetro viene rotto e il gatto muore; se no il gatto vive.
Non abbiamo nessun modo di conoscere in risultato
dell’esperimento finché non apriamo la scatola per guardarci dentro; il decadimento radioattivo avviene casualmente e statisticamente parlando è un evento imprevedibile. Nel mondo di tutti i giorni c’è una probabilità
del 50% che il gatto morirà e senza guardare dentro la
scatola possiamo dire che il gatto è o vivo o morto. Ma
ora noi incontriamo la stranezza del mondo quantistico.
Secondo la teoria nessuna delle due possibilità si apre
al materiale radioattivo, e perciò al gatto, nessuna delle due è reale finché non è osservata. Il decadimento
atomico non è né avvenuto né non avvenuto, il gatto
non è né vivo né morto, finché noi non guardiamo dentro la scatola per guardare cos’è successo. I teorici
che accettano la versione pura della meccanica
quantistica dicono che il gatto esiste in qualche stato
indeterminato, né vivo né morto finché un osservatore
non guarda nella scatola. Niente è reale se non è osservato. Shrodinger, naturalmente voleva dimostrare che
una teoria che viola così il senso comune deve essere
difettosa.
Il paradosso del gatto di Shrodinger attirò l’attenzione
dei fisici quando fu pubblicato nel 1935 ed essi in risposta immaginarono altre versioni dell’esperimento
immaginario. In alcuni il gatto è sia vivo sia morto, oppure vivo in un universo e morto in un altro.
Il gatto ha stuzzicato la fantasia degli scrittori di fantascienza a partire dagli anni ’80. Robert Anton Wilson
lo utilizzò per il titolo della sua trilogia Shrodinger’ s
cat , che è composta da tre opere: The Universe Next
Door , The Trick Top Hat e The Homing Pigeons . Un
glossario alla fine del romanzo definisce termini della
fisica quantistica, come la Catastrofe di Von Neumann,
e avverte il lettore che Wilson sta giocando d’immaginazione con le possibilità della realtà quantistica. La
trilogia galoppa con ingegno, competenza e follia. E’
composta di un caos di particelle - citazioni, concetti
della teoria quantistica, cambi di prospettiva,
frammentazione della trama - il che crea quella sensazione di mondo quantistico. E giustamente i romanzi
sono difficili da riassumere, proprio come i concetti
della meccanica quantistica.
“Shrodinger’s cat” di Rudy Rucker, pubblicato su
“Analog” (1981), si apre con una citazione dell’articolo
di Shrodinger del 1935, che descrive il suo esperimento immaginario. La storia racconta di un fisico di
Heidelberg e del suo assistente intenti a costruire l’apparato di un esperimento per provare un altro famoso
paradosso della fisica, il paradosso di Einstein Podolsky - Rosen. L’apparato permetterà il viaggio nel
tempo, che secondo la meccanica quantistica non è
impossibile. Il risultato dell’esperimento del fisico non
è né un sì né un no ma uno stato indeterminato. Come
si manifesta? Lo scienziato si divide in due teste, una
che dice sì e una che dice no. Le teste continuano a
dividersi e allontanarsi, finché ciascuna non scompare
in un altro universo. Rucker, un matematico, sa di fisica ed è capace di crearci sopra una storia di fantasia.
Nel 1983 pubblicò The Sex Sphere, un romanzo basa-
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to sull’ipotesi che i mondi paralleli esistono, come affermano alcune interpretazioni della teoria quantistica.
E’ un divertissement ambientato in Italia, dove dei terroristi rapiscono un fisico anarchico e lo costringono
ad aiutarli a costruire una bomba atomica. Poi c’è una
sfera chiamata Babs venuta dall’iperspazio che vuole
coinvolgere tutto il mondo nel fare l’amore. Essa alla
fine porta via il nostro fisico nello spazio di Hilbert - un
infinito spazio-tempo dimensionale dove sono
catalogati tutti i possibili eventi. The Sex Sphere è un
rauco batuffolo di lanugine - vicino al soft-porno - in cui
Rucker si diverte a immaginare un mondo di ipersfere,
un concetto ripreso da Albert Einstein, secondo quanto spiega nell’introduzione.
Greg Bear gioca con l’idea della meccanica quantistica
in una storia pubblicata su Analog , intitolata
“Shrodinger’s Plague”. Egli comincia con la storia del
gatto nella scatola, ma lo tira fuori e gli dà una piega
diabolicamente inaspettata. La storia si svolge in un
laboratorio di ricerca e comincia con un fisico che racconta il famoso esperimento del gatto. Poi spiega
dettagliatamente il prossimo esperimento immaginario: è quello di Eugene Wigner , in cui si propone di
mettere nella scatola un uomo al posto del gatto. Questo implicherebbe che la consapevolezza umana, che
sembra avere una parte fondamentale nel costruire la
realtà, risponderebbe immediatamente al decadimento o al non-decadimento del nucleo radioattivo.
Allora il fisico nella storia di Bear spiega ai suoi cinque
colleghi ricercatori il prossimo stadio da lui preparato
per preparare la storia del gatto. Il suo esperimento
non è più immaginario ma reale e l’ha portato fuori dalla scatola. Tantalizzato e stressato dagli incredibili presupposti della teoria quantistica, egli ha deciso di sottoporli a una prova, rubando a un biologo un virus sperimentale che ha un periodo di incubazione di 330 giorni, è altamente letale e si diffonde con il semplice contatto. Egli sviluppa un congegno che, a seconda del
decadimento radioattivo, diffonde o non diffonde il virus
in una area completamente sigillata. Poi, fa passare i
suoi colleghi attraverso l’area. Un mese più tardi rivela
loro cosa ha fatto, e che essi possono morire o non
morire per il virus in circa 300 giorni. Ora egli ha introdotto un nuovo fattore : non solo la loro consapevolezza della realtà, ma la loro percezione della realtà, perché uno dei fisici è un ipocondriaco. Se egli pensa di
aver sviluppato i sintomi ma non ha veramente contratto la malattia, morirà? La breve e incisiva storia di Bear
introduce il lettore a uno degli aspetti della meccanica
quantistica, il ruolo dell’osservatore, mentre allo stesso tempo solleva una valida domanda sulle percezioni
difettose e dimostra inoltre chiaramente la stretta relazione oggi esistente fra fisica, psicologia e filosofia.
Il prossimo gatto nella mia storia è il più recente. In
The Coming of the Quantum Cats Frederik Pohl immagina un universo quantistico dove gli universi paralleli esistono ed è normale viaggiare fra di essi. Nel
romanzo il lettore segue la vita, o più precisamente le
vite, di Dominic DeSota che in un mondo è un fisico
quantistico, in un altro è un senatore americano e in
un terzo è un agente immobiliare di scarso successo.
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La maggior parte degli altri personaggi hanno almeno
un secondo se non un terzo o quarto sé stessi. Confusione e sorpresa fanno correre il romanzo tra intrighi
internazionali, audizioni del Senato e le attività investigative di una spietata agente dell’FBI. La storia termina in un mondo parallelo dove i gatti quantistici, come
sono chiamati i viaggiatori dagli altri mondi, portano
l’esperienza dei loro mondi di origine per partecipare
alla ricostruzione del loro mondo attuale. Ogni tanto
uno dei personaggi di Pohl si ferma e offre una spiegazione di qualche aspetto della teoria quantistica. Perfino John Gribbin, fisico ed autore di In Search of
Shrodinger’s Cat , compare come personaggio minore
nel romanzo.
Il gatto di Shrodinger non è il solo stratagemma o idea
a trovare posto nella science-fiction contemporanea.
Superluminal di Vonda N. McIntyre immagina un universo con viaggi più veloci della luce dove gli esploratori, i cui cuori sono stati sostituiti con macchine, penetrano attraverso sei dimensioni dello spazio. Nel potente climax della trama, un individuo evoluto riesce a
irrompere nella settima dimensione. Il romanzo propone che l’individuo deve riuscire a immaginare un nuovo
universo e aver fede che esso è possibile, prima di
avere alcuna possibilità di trovarlo. Superluminal crea
una potente metafora per il viaggio mentale che deve
precedere ogni incursione nella comprensione del nostro universo materiale. Ciò che l’occhio vede è determinato da ciò che la mente percepisce.
Le opere appena citate non sono le prime a usare i
concetti della meccanica quantistica. Un piccolo numero apparve prima degli anni ’80, e il primo in assoluto è The Legions of Time di Jack Williamsons, pubblicato nel 1938. Oggi Williamson ricorda che negli anni
’20 era un avido lettore di articoli scientifici. Lesse per
la prima volta della relatività di Einstein nell’Enciclopedia Britannica e il risultato fu una prima storia di viaggi
nel tempo pubblicata su Astounding nel 1931, intitolata “The Meteor Girl”. Continuando le sue letture incontrò la meccanica quantistica e l’idea per The Legions
of Time era pronta. E’ una storia sui mondi paralleli in
cui Williamson fa spegare al suo protagonista cosa
l’ha ispirato a inventare la sua macchina del tempo:
“ Il tempo e’ sempre stato una sfida per me . Quando
vivevamo in un semplice continuum a quattro dimensioni ( e la quarta era il tempo ) la sua conquista sembrava ingannevolmente semplice - forse attraverso
qualche applicazione della dinamica newtoniana Classica .”
“ Ma arrivò Max Planck con la sua teoria quantistica ,
de Broglie e Shrodinger con la loro meccanica ondulatoria , Heisenberg con la sua meccanica matriciale.
Ogni nuova scoperta sembrava complicare la struttura dell’universo - e il problema del tempo. “
“ Con la sostituzione delle onde di probabilità alle particelle concrete le linee degli oggetti attraverso il mondo non erano più i sentieri semplici e stabiliti di una
volta. La geodesica ebbe un infinito proliferare di possibili branche, secondo i capricci dell’ indeterminazione
subatomica.”
Quando Larry Niven, trent’anni più tardi, specula sulla
proliferazione di possibili derivazioni che portino a mondi
alternati, egli intitola la sua storia “All the Myriad Ways”.
Il tenente investigatore Trimble riflette sui “continui dividersi e dividersi, un megauniverso di universi, milioni
di più ogni minuto . . . la divisione dell’universo ogni
volta che qualcuno prendeva una decisione. Divisione,
ogni scelta mai fatta poteva risolversi in entrambi i modi.
Ogni scelta fatta da ogni uomo donna o bambino sulla
Terra si riversava sull’universo della porta accanto.”(cap.
1). Le speculazioni filosofiche di Trimble sono interrotte da una ondata inspiegabile di suicidi e crimini che
deve cercare di risolvere. Egli sospetta che siano legati alla Crosstime Corporation, che ha recentemente realizzato delle navi capaci di raggiungere gli universi
delle scelte alternative. Con un simile viaggio, la razionalità e la logica di causa-effetto devono essere
scardinate. Alla fine Trimble trova le sue risposte avendo una visione di se stesso in una infinita serie di
Trimble, ogni immagine leggermente differente. Essi
sono tutti i Trimble alternativi nella miriade di universi.
E conclude: “ ‘omicidio casuale, suicidio casuale, crimine casuale. Perché no? Se gli universi alternativi
esistono, allora causa ed effetto sono un’illusione. La
legge delle medie è una frode. Tu puoi fare tutto, e uno
dei tuoi omologhi lo farà, o l’ha già fatto’ “(cap.10).
Pochi anni più tardi David Gerrold si fa pensoso e filosofico quando in The Man Who Folded Himself si chiede: se gli universi paralleli esistono veramente, qual’è
il ruolo della coscienza e del libero arbitrio nel determinare dove, tra tutti quegli universi, esisterà effettivamente l’individuo? Questo romanzo non è di hard sf;
Gerrold ha una cultura umanistica. Ma è ingegnoso e
intelligente quando specula sulle implicazioni di una
realtà indeterminata come è definita dalla meccanica
quantistica.
Proprio un anno più tardi Ursula Le Guin pubblicò una
storia bizzarra che gioca sull’irrisolvibile scissione fra
il modello deterministico della realtà e il modello
quantistico. La storia si intitola “Shrodinger’s Cat” e
coinvolge un gatto, un cane, e un narratore che abita
uno strano universo - potrebbe essere benissimo un
inferno a cui alcuni sono condannati dalla nascita dal
loro Dio Puritano. Chi legge non può essere certo/a,
come non può essere certo/a se il narratore è un uomo
o una donna, del destino del gatto alla fine della storia,
o di come è possibile la predestinazione in un mondo
di indeterminazione quantistica. Il cane, che potrebbe
anche essere un uomo, prova a parlare al narratore
duplicando l’esperimento di Shrodinger - mettendo il
gatto in una scatola insonorizzata dove sarà ammazzato da un’arma se durante un intervallo di cinque secondi viene emesso un fotone. Quando il narratore,
preoccupato per il gatto, si oppone, il cane replica:
“ Non vedi come questo sia centrale per tutta la teoria
quantistica? Prima del Tempo Zero tutto il sistema è
chiaro e semplice. Ma dopo il Tempo Zero tutto il sistema può essere rappresentato solo con una combinazione lineare di due onde. Non possiamo prevedere
il comportamento del fotone, e così, una volta che si è
comportato in un certo modo, non possiamo prevedere lo stato del sistema che si è venuto a creare. Non
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possiamo prevederlo! Dio gioca ai dadi col mondo! Così
si è elegantemente dimostrato che se tu vuoi certezza, devi creartela da te ! “
Quando il narratore esita ancora, il cane scoppia in
lacrime, spiegando di non potere sopportare la terribile
incertezza, di dover avere delle certezze. “Tutto ciò
che voglio è certezza. Sapere per certo che Dio davvero gioca a dadi col mondo”.
Il gatto entra nella scatola e poco dopo, quando il coperchio viene aperto, il gatto è sparito. Il cane alza la
testa e vede, sconvolto, il tetto della sua casa venire
aperto da qualcuno (come in un gioco di scatole cinesi) e la luce cade dall’alto.
Uno strano finale per una strana storia. Cos’è portato
a pensare il lettore: che noi nel nostro mondo siamo
un esperimento in una scatola per un altro
sperimentatore che vuole avere certezza? Forse sì,
forse no. E’ incerto.
Le storie appena esaminate sono interessanti, ma sono
minori rispetto alle opere di due scrittori che primeggiano su tutti gli altri nelle loro esplorazioni immaginarie di un universo quantistico. Questi autori hanno
background e approcci molto differenti, ma sono complementari nel dare al lettore un’idea del mondo
quantistico. Sono Philip K. Dick e Gregory Benford;
uno è essenzialmente un poeta in prosa e l’altro è un
fisico. Leggerli entrambi dà una migliore
immedesimazione e una migliore comprensione di un
cosmo quantistico di quanto possano fare singolarmente. Dick usa costantemente il metaforico per raffigurare la realtà. Benford invece descrive realisticamente il
fisico che compie la ricerca che porta alla visione della
realtà ipotizzata dalla scienza contemporanea.
Gli universi fantastici di Dick sono spesso considerati
weird e bizzarri, esattamente gli stessi termini usati
dai fisici per descrivere la realtà quantistica. I suoi più
grandi romanzi sfruttano punti di vista multipli, ogni
personaggio vede un universo differente, esprimendo
così la conapevolezza di Dick che l’osservatore partecipa alla creazione dell’universo in cui vive. Due suoi
romanzi, The Three Stigmata of Palmer Eldritch e Ubik
, creano una realtà molto simile a quella delle particelle subatomiche secondo le teorie quantistiche. I mondi appaiono e scompaiono, la causalità è scomparsa,
il tempo scorre avanti e indietro, la consapevolezza
crea la realtà. Dick, pur non essendo un fisico, era ben
a conoscenza della fisica quantistica, avendola incontrata nelle sue letture di Carl Jung, che a sua volta era
amico ed era influenzato dal fisico Wolfgang Pauli. In
un discorso svagato, a tratti caotico pronunciato a Metz
nella Science Fiction Convention del 1977, Dick discusse a lungo la sua teoria delle realtà alternative.
Sollevò una domanda:
E se esistesse una pluralità di universi sistemati lungo una specie di asse laterale, cioè ad angolo retto
rispetto al flusso del tempo lineare?
Diciamo, tanto per divertimento, che esistono davvero. Allora, come sono uniti uno all’altro, ammesso che
lo siano? Per esempio, sono assolutamente separati
l’uno dall’altro o si sovrappongono? Se esistono, e davvero si sovrappongono, allora noi potremmo, in un sen-
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so traslato ma molto reale, abitare diversi di essi in
varie fasi di un dato tempo.
Dick prosegue proponendo che forse le nostre impressioni soggettive del mondo differiscono perché noi abitiamo universi differenti, solo parzialmente sovrapposti.
Poi avanza l’ipotesi che possano esserci infiniti universi sovapposti e che sia possibile spostarsi da uno all’altro, ricordando di aver utilizzato questa possibilità
in The Man In the High Castle , dove Mr. Tagomi, verso
la fine del romanzo, cade per un breve tempo nel nostro mondo e poi ritorna al suo mondo alternativo in cui
la Germania e il Giappone hanno vinto la guerra.
Nella sua discussione sui mondi paralleli nel discorso
a Metz (non pubblicato) Dick si sofferma particolarmente su Ubik perché lo considera la sua più completa esplorazione di questo tema. Joe Chip, come risultato dell’esplosione di una bomba, cade in una realtà
alternata dove egli non può sapere se è vivo o morto.
Questo mondo alternato è instabile, continuamente
torna indietro nel tempo e sparisce. Solo la bomboletta
spray di Ubik può assicurargli che la realtà non svanirà. Negli anni seguenti il pensiero di Dick sulla realtà
si evolse e infine divenne Dio, il potere che assicura
che l’umanità possa condividere una realtà comune.
Senza un simile potere, ogni individuo sarebbe
intrappolato e isolato nel suo universo privato.
Dick giunse a credere sempre di più che l’intelligenza
umana è sulla via di compiere un balzo evolutivo che
avrebbe prodotto un nuovo tipo di processo mentale,
che avrebbe superato la dicotomia logico/intuitivo del
cervello bimodale attuale. Probabilmente stava cercando di raffigurare questo modo di pensiero nel suo ultimo romanzo, The Owl in Daylight , che era incompiuto
alla data della sua morte, nel 1982.
Infine, concludiamo la nostra rassegna con le opere di
Gregory Benford, i cui mondi immaginari ci mostrano il
fisico moderno al lavoro cercando di capire la realtà
quantistica. Timescape e Artifact sono due ottimi romanzi nel genere della sf hard, e in entrambi le teorie
di fisica delle particelle sono parte essenziale della
trama. In Timescape , che ha vinto il Premio Nebula,
gli oceani della Terra della fine del ventesimo secolo
sono minacciati da una crescita abnorme di plancton.
Dei fisici del Cavendish Laboratory a Cambridge (quella in Inghilterra), tentano di sviluppare una tecnica per
mandare tachioni (particelle più veloci della luce) indietro negli anni ’60 per avvertire dell’imminente disastro ecologico. Dei fisici all’università della California La Jolla alla fine ricevono il messaggio. I tachioni sono
particelle teoriche che non sono mai state trovate, così
Benford viola la fisica contemporanea immaginando la
loro esistenza. Eccetto che per questa unica ipotesi,
il romanzo raffigura il vero mondo della fisica oggi e dà
al lettore un’eccellente idea di come si fa scienza.
Anche Artifact dà al lettore un’accurata immagine della attuale fisica delle particelle tranne che per poche
ipotesi assunte che non sono ancora state provate,
anche se non ci sono prove che siano false. Benford
include una “postfazione tecnica” [assente nell’ed. ital.
Nord] in cui descrive l’attuale stato delle conoscenze
nella fisica delle particelle e poi elenca le ipotesi non
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ancora provate che ha usato nella creazione del suo
mondo immaginario. Benford mi ha recentemente riferito che la postfazione è stata ben accolta dai lettori, e
che anche a lui piace la disciplina che essa impone al
romanzo e che sottolinea ai lettori. Commenta: “ per
me, la difficoltà forse più interessante per gli scrittori di
hard sf è l’estetica nell’aggirare o anche contraddire
alcuni pezzetti di fisica conosciuta, quando è necessario per la trama, i personaggi o perfino per il simbolismo. Questo fa riconoscere chiaramente la perpetua
tensione fra l’elemento drammatico e l’elemento scientifico nel genere: in modo produttivo, io credo. “
Artifact combina l’archeologia greca - un’esplorazione
del passato - con le possibilità della fisica delle particelle - un’esplorazione del futuro? Clare Anderson,
un’archeologa che studia le tombe Micenee, trova uno
strano manufatto: un cubo di granito con uno strano
cono d’ambra su una faccia. Quando un archeologo
greco cerca di attribuirsi il merito della scoperta, Clare
ruba il cubo e lo riporta al MIT per studiarne le strane
proprietà. Studiandolo, i fisici scoprono che contiene
una potentissima energia e può esplodere con più potenza di una bomba atomica. L’archeologo greco arriva a Boston per reimpossessarsi del manufatto. La
trama è piena di tensione e sorpresa: un vero thriller.
Ma strada facendo il lettore raccoglie anche nozioni
fondamentali sulla fisica delle particelle.
In una recente lettera a me (Luglio 1986) Benford parla
di come nel ventesimo secolo c’è stato il passaggio
dal modello classico al modello quantistico e del suo
significato come soggetto per l’esplorazione da parte
dello scrittore di fantascienza. Dice:
Il maggior problema nella hard sf era per decenni come
ridurre l’enorme scala degli eventi astronomici a misura dell’uomo e della durata della sua vita. Gli effetti
quantistici ribaltano la situazione : la realtà diventa
strana e interessante (fuzzy) soltanto su scala atomica. Il programma di Dick era di abbozzare indirettamente questi eventi imprevedibili e questo umore contraddittorio. Io ho cercato di vedere dove la fisica moderna permette di mostrare questi effetti quantistici in
scala umana.
Timescape usò le analogie quantistiche dell’onda e del
tempo, facendo andare le onde cicliche dal passato al
presente e viceversa e applicando poi un principio
quantistico ( essendo necessario che l’onda sia ciclica,
e poi si biforchi quando altrimenti risulterebbe un paradosso).
Artifact prese l’ultima novità della fisica delle particelle
e chiese cosa sarebbe successo alla scala di chilometri a cui siamo abituati . Incredibilmente, le recenti
prove a sostegno di una quinta forza sono molto vicine
a quello che avevo sviluppato nel romanzo; anche se
in realtà è più debole, ha comunque dimensioni dell’ordine del chilometro).
Inoltre, direi che il bello viene proprio quando si tratta
di raffigurare il comportamento della mente umana alle
prese con categorie incompatibili con i paradigmi scolpiti (hardwired) nel nostro cervello. I fisici possono accontentarsi di dire: “ Be’ , finché abbiamo le equazioni
non c’è bisogno di una spiegazione. Ma per i profani il
discorso cambia . Così in un certo senso ora la scienza viene spiegata da non scienziati, o meglio questi
cercano di evocare l’ oscuro modo di pensare necessario per comprendere ciò che le equazioni si limitano
a descrivere.
Questo è un compito che solo la fantascienza si è
assunta. Il suo programma è di gran lunga più dettagliato e specifico dei tentativi occasionali della letteratura mainstream .
In conclusione, dopo aver esaminato i romanzi e i racconti che esplorano la realtà quantistica , possiamo
chiederci cosa c’è al di là del gatto di Shrodinger. Questo animale paradossale ha richiamato l’attenzione sullo
strano mondo della fisica delle particelle, e certamente la storia del gatto è stata raccontata spesso nella
recente sf. Ma molte altre storie sulle teorie quantistiche
aspettano di essere raccontate e fornirebbero fertile
materiale per gli scrittori. Il modello quantico della realtà esige una radicale ristrutturazione delle nostre idee
sul cosmo, e la sf offre all’immaginazione il migliore
strumento per una esplorazione non matematica delle
possibilità.
La storia non finisce qui.
Patricia Warrick: “Quantum Reality in Recent Science Fiction”, Extrapolation 4/28, pp. 297-309.
Trad.italiana di Vittorio Barabino, IntercoM #132/133
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Quentin Compson, in The
b) il cammino umano inteso
Sound and the Fury di Faulkner,
come un qualsiasi processo fiosservando l’orologio rotto di un
sico soggetto alle leggi naturali
campanile, riflette che quello,
che regolano qualsiasi corpo viDanilo Santoni
almeno una volta al giorno, è in
vente e cioè nascita, crescita e
...and all our Yesterdays have lighted
perfetto orario mentre tutti gli aldecadenza: un cammino ciclico
fools
tri (vuoi perché in avanti, vuoi
che torna sempre al punto di
the way to dusty death.
perché indietro) potrebbero non
partenza.
(Macteth, v. 5)
esserlo mai. Quello che qui inIl discorso comunque può esseteressa della riflessione di
re sintetizzato dal rapporto che
Quentin è la concezione ciclica del tempo che essa intercorre tra tre elementi precisi: passato, presente e
sottintende: dopo sessanta secondi si torna a zero ed futuro. Infatti:
inizia un nuovo minuto, dopo sessanta minuti si ha - se si ritiene il futuro identico al passato, avremo
un’ora e ventiquattro ore fanno un giorno, sette giorni una ripetizione fissa e monotona della storia, senza
una settimana...
alcun interesse letterario o culturale;
Questo per introdurre l’analisi di un aspetto che da più - se tra le due grandezze del passato e del futuro
parti si è messo in evidenza nelle opere più rappresen- esiste un rapporto di non completa identità avremo due
tative della letteratura fantascientifica made in USA: la classi di fenomeni (fenomeni unici, fenomeni che torcircolarità(1). Tale termina viene usato per indicare due nano periodicamente) che con la loro interazione ne
aspetti diversi posti su due livelli distinti: il primo, for- indirizzano il movimento e arrivano ad innestare quello
male, si riferisce al livello del discorso laddove l’intrec- che è stato definito tempo ciclico. Gioca una funzione
cio segue un andamento circolare;” il secondo, sostan- determinante la posizione che occupa in questo moviziale, si riferisce aI livello della storia laddove si pro- mento l’altra grandezza, il presente, in quanto se ocspetta l’esistenza di fenomeni ripetitivi nel rapporto che cupa la fase ascendente del ciclo si genera un moviintercorre tra passato e futuro che possono essere mento ottimistico, se invece occupa la fase discenespressi con il termine di tempo ciclico.
dente avremo un movimento pessimistico;
Occorre premettere che qui non si fa differenza fra strut- ·
se si pone, infine, il passato
tura circolare di una storia e visione ciclica della sto- diverso dal presente e questo diverso dal futuro avreria, ritenendo la prima come mera esemplificazione mo possibilità che variano al variare del valore che si
strutturale del concetto espresso dalla seconda. attribuisce alla parola diverso: con differenze casuali
Circolarità di un’opera che è realizzazione della visio- la successione temporale sarà a sua volta casuale;
ne ciclica della storia umana: ampia paraboIa che tor- con differenze intese come peggioramento la succesna alla propria origine, in un nuovo ciclo e in una conti- sione si presenterà come regressiva.
nua altalena che trova motivo di ispirazione per la pro- In questa sfaccettatura di punti di vista gioca un ruolo
pria realizzazione nell’alternarsi di progresso e importante (accanto alla visione prettamente storica)
regresso, sia che essa si realizzi o meno in una strut- la concezione del mondo che deriva dalla visione scientura ciclica.
tifica dell’uomo in quanto, a seconda delle esperienze
Si è parlato di tempo ciclico e sorge spontaneo do- e delle conoscenze, scaturirà un concetto di umanità
mandarsi se il tempo è lineare o ciclico. Non si vuole e di società particolare e si avrà, di conseguenza, un
qui dare una risposta, ma si vuole porre in risalto come impulso determinante a seguire una delle due direttrici
durante tutto l’arco dell’esistenza umana sia stato sen- sopraccitate.
tito tale problema e come, nel tentativo di trovarvi una La letteratura fantascientifica, proprio perché basata
risposta, non si sia potuto prescindere da soprattutto sulla scienza concepita in senso generale
condizionamenti religiosi, politici od economici e que- e, quindi, immersa totalmente nello specifico sociale
sto a partire dalle visioni medioevali, attraverso il Rina- e tesa a descrivere le possibili direttrici del futuro delscimento (termine già di per sè ciclico) verso Vico, l’uomo, dovrebbe presentare tutti gli aspetti sopra
Malthus e Marx, fino ai giorni nostri e, parlando di Fan- espressi a seconda del punto di vista adottato dallo
tascienza, si potrebbe dire oltre.
specifico scrittore. Si usa il termine dovrebbe in quanDa sempre l’uomo si è trovato a dover analizzare la to, anche da un rapido esame della produzione
propria storia e, cosa importante per questo discorso, fantascientifica, si può facilmente dimostrare che gli
il proprio futuro: proprio perché la concezione del tem- scrittori di SF hanno adottato quasi incondizionatamenpo è legata in maniera inscindibile a quella della sto- te la visione ciclica del tempo(2).
ria, l’interpretazione del primo non può non riflettersi in L’affermazione che la SF usa un concetto temporale
quella della seconda.
ciclico nella struttura delle proprie opere può apparire
Tale interpretazione ha oscillato alI’interno di due diret- fuori luogo se si pensa all’illimitato ottimismo che illutrici diametralmente opposte che segnano, a loro vol- minava il cammino umano all’inizio del secolo a seguita, i confini del concetto di progresso:
to del proliferare delle scoperte scientifiche. Un esema) il cammino umano inteso come processo di pio che si può definire classico e che non si può rinunaccumulazione, in positivo o in negativo, di conoscen- ciare a fare è la roboante e retorica inventiva e l’entuze, capacità, possibilità: un cammino rettilineo, a vol- siasmante autoesaltazione che contraddistingue lo
te veloce a volte lento e inarrestabile.
scienziato Hugo Gernsback. A leggere le pagine di
I Signori del Tempo
48
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Ralph 124C41+ sembra che l’uomo abbia iniziato a
calcare una strada rettilinea, larga, piana e scorrevole
e la storia del genere umano sembra progredire senza
ostacoli: la scienza ha donato a tutti la possibilità di
vivere meglio, di uscire dalla ignoranza, di partecipare
in maniera diversa e da protagonisti al flusso dell’esistenza, in altre parole è apportatrice di un progresso
senza limiti.
Tutto ciò, però, è stato di breve durata, un effimero
riflesso in uno sparuto gruppo di opere, se è vero che
esiste tutta una serie di opere successive nello stesso
genere letterario pronte a contraddire le apparentemente
salde certezze espresse dal romanzo di Gernsback.
Per dimostrare quanto detto si prenderanno in esame
tre opere specifiche: la trilogia di Foundation di
Asimov, il ciclo di Dune di Herbert e il romanzo
Canticle for Leibowitz di W.M. Miller Jr. La scelta di
queste tre opere se da un lato è casuale perché si
potrebbero sostituire con un’infinità di altre e tutte presentanti caratteristiche analoghe, dall’altro risponde ad
una logica precisa: sono infatti tre opere differenti tra
loro per intenti e per struttura in quanto la prima è una
trilogia ricavata dall’assemblaggio di racconti di formato diverso (l’uscita di nuovi volumi ad una distanza di
tempo pluriennale sull’onda del favore che godono i
cicli sul mercato fantascientifico già da sola conferma
qualsiasi tipo di discorso sul concetto di tempo ciclico);
la seconda è un’opera caratteristica di quel genere che
va sotto il nome di ciclo narrativo composta, per ora,
da cinque volumi; la terza ha la forma ridotta del romanzo, anche se formato da tre racconti autonomi.
Già la struttura delle tre opere si dimostra di natura
squisitamente ciclica frazionate come sono in diverse
date di pubblicazione; ma le cose che maggiormente
interessano in esse sono il concetto di storia e la visione temporale che gli autori presentano.
Non rappresenta una scoperta critica (è anzi lo stesso
autore a sottolinearlo) dire che l’idea che è alla base di
Foundation prende le mosse dalle vicende della caduta dell’lmpero Romano. Asimov intatti si impadronisce
dei processi disgregativi propri della struttura imperiale romana derivanti dalle spinte centrifughe,
dall’imbarbarimento a seguito dell’isolamento e dalla
perdita dei contatti culturali, tecnologici e politici trasponendoli semplicemente in un ambito galattico. Non
è tutto, perché per Asimov non soltanto la storia si
ripete e le sorti dell’Impero Galattico ricalcano passo
passo quelle dell’Impero Romano, ma è possibile prevedere con precisione millimetrica anche il più piccolo
avvenimento. E’ la grande vittoria della matematica
sull’imponderabile, della riflessione umana sulla storia, della programmazione sul pragmatismo. Le equazioni di Hari Seldon, adombrando gli studi degli storici
sui cicli economici del nostro secolo, conseguono una
vittoria importante per il progresso scientifico ma il tutto è possibile perché il movimento del tempo è geometricamente determinabile in quanto segue un andamento a spirale.
Il discorso sostanzialmente non cambia se si passa
ad osservare il ciclo di Dune. Qui l’unica variante è che
la cultura romana è sostituita da quella islamica; per il
resto si può dire che Herbert saccheggia in maniera
pesante processi storici, atteggiamenti sociali e risultati culturali del passato per riproporli in un futuro di
ampiezza galattica. Quello che invece cambia, ed in
modo decisivo, è il concetto di ciclicità temporale: il
futuro è inteso come groviglio di possibili situazioni ed
è l’individuo, a seconda delle proprie scelte, casualmente o intenzionalmente a determinarne il cammino.
Un impatto tra determinismo e libera scelta che sfociando nella ciclicità di una struttura circolare dimostra come, pur esistendo in nuce possibilità che portino alla distruzione del movimento ciclico, l’individuo
nelle proprie scelte tende a rifiutare l’ignoto per il familiare e, quindi, il ripetitivo. Il futuro, allora, è soltanto
una possibilità, o meglio, una probabilità il che ci fa
pensare alla meccanica quantistica ed alla natura ondulatoria non soltanto del tempo, ma anche della storia. Si può dire che in questo caso la figura simbolica
che può rappresentare il movimento temporale è quella del pensolo: oscillazione ripetitiva tra innovazione e
conservazione, forze centrifughe e forze centripete,
espansione e compressione, Eros e Thanatos…
Per quanto riguarda A Cantiche for Leibowitz, il discorso è sempre lo stesso, il procedimento di recupero
degli avvenimenti tra Medioevo e Rinascimento è avvalorato e rafforzato dalla visione cattolica dell’autore e
l’incubo dell’olocausto atomico si riveste dei colori
apocalittici delle visioni millenaristiche della superstizione religiosa occidentale. In questo caso la dimensione galattica dell’uomo è accennata soltanto come
possibilità alla fine dell’opera e la visione temporale si
caratterizza come contrasto tra l’umano e il divino: ad
un Dio esterno all’uomo, incorruttibile e inviolabile, e
ad una fede immutabile nel tempo fa riscontro la vita
dell’uomo e ella società da esso creata, deperibile
perché biologica e soggetta ad ascesa, declino e morte: i tre stadi della condizione umana: i lati di un triangolo equilatero che col proprio perimetro racchiude e
circoscrive tutte le esperienze e le possibilità dell’uomo sintetizzate in questo caso (con gusto e visione
prettamente americani) dalla conoscenza tecnologica
e dalla precarietà di detta conoscenza.
Come già detto si potrebbe continuare con gli esempi
fino ad abbracciare opere diverse dalla narrativa citando la circolarità creata e ricercata dagli episodi del ciclo cinematografico di Star Wars. Non deve inoltre
indurre a considerazioni errate il tipo di esempi scelti
perché, anche se sono state prese in considerazione
opere ad ampio respiro narrativo, la visione ciclica è
presente anche in racconti di più modeste dimensioni
fisiche. In questo caso l’attenzione dello scrittore sarà
catalizzata da un singolo personaggio storico o da un
avvenimento circoscritto come in The Longest Voyage
di Poul Anderson dove si utilizza l’impresa di Cristoforo
Colombo o in The Voyage of the Space Beagle di
Van Vogt dove si trasferisce nello spazio la spedizione
di Darwin. Il caso limite è rappresentato da The Year
of the Jackpot di Heinlein che si può definite la
teorizzazione romanzata della ciclicità della storia
umana.
Ma torniamo alle tre opere prese in considerazione.
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Si sono sottolineate le differenze nella struttura e le
differenze nella realizzazione del concetto di ciclicità
temporale che esse propongono ma quello che le accomuna e le lega strettamente è l’affiorare arrogante di
un aspetto dello spirito umano: il sentimento
prometeico. Tale atteggiamento, che sì può individuare
nel tentativo di dominio dell’uomo sulla natura grazie
alla tecnica e sulla società grazie all’organizzazione,
è portato al limite da una forte convinzione scientista
partendo dalla base di una costanza dei comportamenti
umani e di una fondatezza nel concepire il futuro in
termini di passato.
Ci si trova di fronte ad un processo che però mostra
subito la propria incongruenza perché, in operazioni di
questo tipo, si scelgono soltanto alcuni aspetti del
passato giudicati idonei ad una estrapolazione che
permetta la determinazione di un futuro con un aspetto (ottimistico o pessimistico) che è conseguenza
stretta della selezione operata. Una operazione discutibile ma che, bisogna ammettere, narrativamente
funziona ed è interessante ricercare i motivi di tale
successo.
Il fatto più specifico della società attuale è la nascita di
un sentimento diffuso che possiamo definire come paura
del futuro: l’industrializzazione e le scoperte scientifiche nel momento in cui portavano progresso e benessere all’umanità distruggevano il cerchio di vincoli umani
e di certezze etiche che circoscriveva la statica società pre-industriale per liberare completamente io spirito
indagatore dell’uomo. Di conseguenza la società si è
trovata di fronte a cambiamenti continui che hanno
costretto l’uomo a vivere all’interno di una organizzazione dall’aspetto indecifrabile e sfuggente, impossibile da comprendere per la grande velocità di trasformazione e fonte di disorientamento e frustrazione.
Un mezzo per superare una situazione di questo tipo
può consistere nel ritirarsi in quell’unico angolo ancora
conosciuto e compreso dall’esperienza umana che è
il passato, un passato che dilata il proprio valore per
assurgere a parametro di conoscenza e mezzo di interpretazione.
Conoscenza e interpretazione: le due facce del rapporto dell’uomo con la propria vita, del suo tentativo di
governare la realtà e del suo desiderio di riuscire ad
affrontare anche gli avvenimenti più imprevedibili.
Da questa premessa appare logico supporre che la
visione ciclica del tempo, con la sua proposta di futuri
vicini o lontani per nulla estranei al presente (e al passato) dell’uomo, da un lato ha una funzione di
stabilizzazione sociale e dall’altro una funzione
consolatoria nei confronti dell’individuo frustrato. Con
questo però non si nasconde che tale processo narrativo non è esente da contrasti interni che scaturiscono
dallo scontro delle forze centripete della visione ciclica
con le forze centrifughe e destabilizzanti della visione
lineare.
Una prima notazione da fare è che nella stragrande
maggioranza delle opere di fantascienza emerge come
dato costante la presenza di almeno una delle seguenti
figure, il viaggio e l’impero.
Nel caso del viaggio ci troviamo di fronte ad un moto
50
spaziale racchiuso dall’itinerario che congiunge una
partenza ad un arrivo (quasi sempre i due punti coincidono fisicamente) attraverso un determinato spazio
coperto, senza eccezioni, da avventure di carattere
iniziatico e tendenti a creare una comunione tra eroe e
ambiente. Si instaura in questo caso un processo
mitologico che rimanda ad un metatesto che assolve
alla funzione di descrivere sia gli oggetti che il mondo
che li contiene. La comprensione è legata alla comprensione dei processi di trasformazione degli oggetti
nel mondo che li contiene(3).
Nel caso dell’Impero ci troviamo di fronte ad un moto
biologico che riproduce il processo di nascita-crescita-declino-morte di un qualsiasi organismo vivente.
Siamo di fronte ad un processo descrittivo che rappresenta il rinvio ad un costrutto astratto che possiamo
definire metalinguistico; la comprensione è legata alla
traduzione del mondo descritto da una categoria “altra” e “astratta”.
Si può sottolineare la differenza cha intercorre tra i due
processi ponendo a confronto le seguenti frasi:
“Muad’Dib è il profeta” (ambiente mitologico)
“Muad’Dib è un Profeta” (ambiente descrittivo).
Esiste una differenza connotativa tra le due frasi e tale
differenza si riflette nella visione ciclica del tempo: la
ripetitività degli oggetti crea le premesse per l’esistenza di insiemi generali che porterebbero alla presenza
di un livello metadescrittivo con la conseguente esclusione del livello mitologico.
L’Uomo e un uomo, l’Eroe e la società, l’eroe opposto
alla società per quanto concerne il livello della ciclicità
temporale.
Ci troviamo di fronte ad una biforcazione nella visione
ciclica del tempo che porta a due direzioni ben distinte. Da una parte, grazie soprattutto ad una visione
pluralista della storia, si segue un atteggiamento descrittivo e si presuppone l’esistenza di categorie astratte che si riflettono, ripetitivamente, nel quotidiano: è il
caso dell’idea sociale che sta alla base di tutti i grandi
cicli narrativi della Fantascienza. Un’idea che, pur non
essendo necessariamente a struttura circolare, presentando il ripetersi ritmico di determinati avvenimenti,
innesta un andamento sostanzialmente ciclico.
Dall’altra, a seguito di esigenze prettamente commerciali(4), si fa ricorso alle forme e alle strutture (ormai standardizzate dall’abuso fattone dalla letteratura
di massa) di quel mondo che si è definito mitologico.
La spinta viene da un’idea individualista, il fine dovrebbe essere la più sfrenata originalità ma, proprio il ripetersi di opera in opera degli stessi meccanismi e la
presenza degli stessi agenti, riveste le opere di tale
gruppo con un aspetto che è strutturalmente ciclico.
Il mondo dell’eroe si presenta allora come ciclo trasgressivo, legato com’è ad un andamento fantastico,
nei confronti del ciclo strettamente ripetitivo del mondo sociale ed è per questa ragione che le tre opere
prese in considerazione non si strutturano intorno ad
una figura unica di eroe ma hanno una serie di personaggi che agiscono in tempi diversi e luoghi differenti
all’interno di un ben determinato modello sociale.
La ciclicità formale della funzione dell’eroe, dunque, si
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
scontra con la sostanza sociale della ciclicità temporale e tale confronto è acuito e sfruttato da una grandezza che istituzionalmente dovrebbe rappresentare il
tratto d’unione tra la società e il singolo individuo: il
potere.
E’ proprio il potere, infatti, nel bisogno di affondare le
proprie radici sia nel passato (per trovare una tradizione che lo legittimi) che nel futuro (per trovare un avvenire che lo perpetui), che si pone in contrasto con l’idea
ciclica del tempo introducendovi, a sua volta, un sentimento strettamente lineare. Il mezzo principe attraverso cui tale linearizzazione si attua è la creazione di
sistemi cronologici (da sempre sono stati i detentori
del potere a dare il proprio nome agli anni o a fornire il
punto di partenza per il loro, computo). Lo scopo che
così si persegue è quello di dimostrare che, possedendo il potere sul tempo e riuscendo a scandirlo con
i propri ritmi, si è capaci di durare indefinitamente.
A questo punto non sembra azzardato affermare che
la linearizzazione del tempo sottenda una visione eroica e individualista mentre la ciclicità temporale,
venandosi di un sentimento comune alla
predestinazione di sapore calvinista(5), apre uno spiraglio democratico sul grande panorama della storia.
Il ciclo è un grande fiume che segue imperturbabile il
proprio corso e massifica l’individuo: l’eroe si dibatte
vanamente all’interno di un solco già tracciato e già
percorso (e sperimentato) da altri eroi prima di lui: un
solco che comunemente viene chiamato fato. L’uomo, però, ha sempre combattuto contro il fato, ha
aspirato a foggiare un avvenire diverso sia dal passato
che dal presente e ha sognato la realizzazione delle
speranze più vane. La visione ciclica, allora, si può
vedere come un antimodello da analizzare, confrontare e criticare e che si presenta con due aspetti distinti,
a seconda degli intenti dello scrittore.
Avremo allora un antimodello esotico che nasce dallo
sfruttamento di visioni cavalleresche medioevaleggianti
(ha come conseguenza il fatto di creare una frattura fra
il mondo del lettore e il mondo del personaggio presentando il perpetuarsi di un passato estraneo alla sto-
1.
ria americana) e un antimodello realista che sfrutta elementi caratteristici della vita di frontiera e usa conflitti
scaturenti dall’attrito presente in società inter-razziali
(in questo caso si crea una connessione stretta fra il
mondo del lettore e il mondo del personaggio attraverso la ripresa di aspetti caratteristici, e distintivi, della
storia e della società statunitense).
Non deve comunque trarre in inganno l’uso del termine
antimodello in quanto i cicli narrativi (e il romanzo di
Fantascienza in generale) non si pongono una funzione rivoluzionaria. La nota caratteristica (e abilmente.
celata) di tale letteratura che ricorre con una costanza
stupefacente, è quella di presentare la accettazione
dei principi che formano le basi della società americana attuale; l’unico intervento, semmai, è di criticarne
gli eccessi.
La visione ciclica del tempo, invece, è vista, sentita e
usata per un altro scopo: giustificare le disfunzioni del
passato e del presente, attraverso la dimostrazione
della loro stretta correlazione con la vita sociale dell’uomo, e bloccare qualsiasi possibile idea alternativa
ai principi della società industriale e capitalista dell’Occidente.
La grande visione di un Impero Galattico (costruito con
impegno dal “popolo” americano a sua immagine e
somiglianza) posta a confronto con il destino dei grandi imperi storici terrestri fa affiorare la paura per la fine
della struttura sociale americana: senso tragico di un
moto inarrestabile, incubo della ragione cha rigenera i
mostri del passato.
Perché l’America ha preso il testimone del popolo eletto
(non soltanto per farci i soldi con I predatori dell’Arca perduta) e lo ha portato nello spazio, spandendo
la luce sulle tenebre, l’ordine sul caos, ma cerca di
dimenticare di avere lo stesso cuore di Kurtz e di essere ossessionata dalla stessa visione di Achab.
Perché l’America ha generato Dominic Flandry per ricordarsi che al di fuori dell’american way of life c’è
soltanto la lunga notte della barbarie.
E perché l’America ci ha venduto la sua immagine e
noi, l’abbiamo accettata.
NOTE
La presente analisi si limita a prendere in esame
citazione a sfruttare l’idea di opere di particolare sucopere di origine statunitense; eventuali similitudini e/
cesso. Nel primo caso lo scrittore che, pur preseno diseguaglianze con opere di altra nazionalità non
tando opere originali e “diverse”, non vuole essere
sono sperimentate. Lo scopo è di mettere a fuoco il
abbandonato dal pubblico di massa deve presentapatrimonio caratteristico e distintivo della ideologia
re opere “comprensibili” che abbiano una corrispondello scrittore di SF in USA. Per questo motivo ogni
denza fra il milieu del lettore e quello del personagvolta che qui si parlerà di SF sarà sempre sottinteso
gio. Tale cosa si può ottenere solo ricorrendo a
l’aggettivo statunitense.
forme drammatiche tradizionali, presentando una cor2. In margine occorre dire che si esclude da tale discorrispondenza tra le due situazioni culturali e mostranso tutta quella sezione della SF che va sotto il nome
do il futuro come eredità del passato. Paradi Utopia, in quanto presenta un discorso sul tempo
dossalmente, per soddisfare la richiesta di un mondiverso: dopo il momento creativo che rompe il legado “nuovo”, lo scrittore di SF si è rivolto al passato.
me tra passato e presente nessun cambiamento è
Nel secondo caso si ha come conseguenza la napiù concepibile.
scita di saghe nelle quali la struttura circolare è inse3. Uno stimolo all’uso della figura del viaggio può venire
rita in uno schema di continue ripetizioni atte a facilidalla mobilità della società statunitense: mobilità non
tare la fruizione dell’opera da parte del lettore occasoltanto spaziale ma anche fisica (si pensi, per esemsionale ed è motivo di coesione per opere scritte e
pio, ai repentini mutamenti della città statunitense,
pubblicate in tempi differenti e inevitabilmente affette
semplice assemblaggio di blocchi non legati da alda frammentazione.
cun vincolo storico) e razziale (si pensi al rapido mu- 5. Un aspetto questo che denuncia l’esistenza di una
tare dello status delle varie etnie che formano il corpus
più vasta relazione tra episteme puritana e letteratusociale).
ra fantascientifica statunitense e ne fa un elemento
4. L’aspetto commerciale influisce sotto due aspetti ben
peculiare e distintivo nei confronti della SF di qualsiprecisi: richiesta di originalità in opere nuove e solleasi altro paese.
51
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mappe dello spazio/tempo
Incontrai Doc Murphy in un corSiamo stati sposati solo per tre
so di scrittura tenuto da un frananni, e neppure anni tanto belli,
cese pazzo alla University of
ma a modo mio l’avevo amata e
Utah a Salt Lake City. Avevo apmi era mancata molto e non
Orson Scott Card
pena lasciato il mio lavoro come
avrei voluto che partisse quanredattore in giacca-e-cravatta
do se ne andò. Non mi piaceva
presso una rivista conservatrice per famiglie e avevo rimuginarci sopra. “Non mi ricordo di averti preso a
qualche problema ad abituarmi ad essere di nuovo uno mazzate.”
studente sbavato. In un gruppo scorbutico Doc era il Sorrise e basta. E, naturalmente, ripensai immediatapiù scorbutico ed io ero pronto ad essere annoiato da mente alla conversazione e capii che aveva ragione.
lui e ad ignorare le sue opinioni. Ma le sue opinioni non Odiavo il suo maledetto sorriso.
potevano essere ignorate. Prima di tutto per ciò che “OK,” dissi, “sei l’unico con i capelli lunghi nel mondo
fece per me. E poi, infine, per ciò che era stato fatto a degli ultimi tagli militari esistenti. Dimmi perché ti pialui. Mi ha formato, il suo passato si profila su di me ce Morris Il “barattatore”.”
ogniqualvolta mi sieda a scrivere.
“Non mi piace Morris. Penso che Morris sia una puttaArmand, l’insegnante (che non aveva migliorato il pro- na che vende la libertà dl qualcun altro per guadagnare
prio accento francese rimpiazzandolo con quello di dei voti.”
Boston) apparve sorpreso nel presentare il mio rac- E mi confusi, allora. Ero stato a scorticare il buon vecconto in classe. “E’ commercialmente vitale” disse. chio Morris il “barattatore”, commissario della contea
“E’ anche una cacata. Che altro posso dire?”
Davis, per aver licenziato la bibliotecaria capo della
Fu Doc a dirlo. Con i chiodi in una mano e il martello contea perché aveva osato tenere un libro “pornografinell’altra, crocifisse me e il racconto. Considerando co” nonostante le sue obiezioni. Morris mostrava tutti i
che avevo già deciso di non prestargli attenzione, e segni di essere illetterato, fascista ed estremamente
considerando quanto fossi arrogante nella posizione popolare, e con piacere avrei voluto colpire il cavallo
sublime di essere quello studente che aveva addirittu- alla sua impiccagione.
ra venduto un romanzo, è sorprendente da parte mia “Così non ti piace neppure Morris… che cosa ho detto
averlo ascoltato. Ma sotto l’attacco abbastanza arrab- di sbagliato?”
biato nei confronti del mio lavoro c’era qualcos’altro: “La censura non è mai giustificabile per nessuna raun rispetto basilare, penso, per ciò che un buon scrit- gione, tu dici.”
tore dovrebbe essere; e per quella piccola possibilità “Ti piace la censura?”
nel mio lavoro che un buon scrittore potesse nascon- Ed allora le canzonature da semiserie si fecero del
dersi da qualche parte dentro di me.
tutto serie. Istantaneamente non ml guardò più. IstanCosì ascoltai. E imparai. E gradualmente, mentre il taneamente aveva occhi solo per il fuoco e vidi le fiamfrancese diventava sempre più stampalato, ml rivolsi a me che danzavano nelle lacrime sulle ciglia inferiori e
Doc per imparare a scrivere. Per quanto fosse di nuovo mi resi conto che con Doc mi trovavo complescorbutico, aveva una mente molto più frizzante di qual- tamente in alto mare.
siasi altra persona che avessi mai conosciuto con ad- “No,” disse. “No, non mi piace.
dosso un abito d’affari. Incominciammo ad incontrarci E poi un sacco di silenzio finché non bevve due bical dl fuori del corso. Mia moglie mi aveva lasciato due chieri pieni di vino, proprio così, e se ne andò in macanni prima, così avevo abbondanza di tempo libero e china a casa; viveva su ad Emigration Canyon alla fine
una casa in affitto bella larga per potercisi espandere; di una strada stretta e ventosa e avevo paura che fosbevevamo o leggevamo o parlavamo, davanti ad un fuo- se troppo ubriaco, ma sulla porta mi disse soltanto,
co o sopra al vitello al parmigiano, molto convincente, “Non sono ubriaco. Mi ci vogliono quasi due litri di vino
dl Doc o fuori abbattendo una vite insidiosa che voleva solo per arrivare ad essere normale dopo un’ora con
impadronirsi di tutto il mondo a partire dal mio giardino te, sei così dannatamente sobrio.”
posteriore. Per la prima volta da quando Denae era Un fine settimana mi portò persino a lavorare con lui.
partita mi sentii a mio agio a casa mia... Doc sembra- Doc si guadagnava da vivere nel Nevada. Lasciammo
va conoscere per istinto quali parti della casa trattene- Salt Lake City un venerdì pomeriggio e guidammo fino
vano i ricordi sbagliati e subito li compensava facendo- a Wendover, la prima città al di là del confine. Mi aspetmici sentire di nuovo a mio agio.
tavo che fosse un impiegato del casinò a cui ci ferO a disagio. Doc non diceva sempre cose piacevoli. mammo. Ma non entrò per timbrare nessun cartellino,
“Capisco perché tua moglie ti ha lasciato,” disse una lasciò solo il suo nome a un tipo, e poi si sedette ad
volta.
un angolo con me ed attese.
“Pensi che non sia neppure un gran ché a letto?” (Era “Non devi lavorare?” chiesi.
una battuta... né Doc né io avevamo alcuna predilezio- “Sto lavorando,” rispose.
ne sessuale insolita).
“Anch’io avevo preso l’abitudine a lavorare a quel modo,
“Hai un modo neanderthaliano dl trattare con la gente, ma m’hanno licenziato.”
nient’altro. Se non vanno dove vuoi che vadano ,gli rifili “Devo aspettare il mio turno per un tavolo. Te l’ho detto
una bella mazzata e li trascini via.
che mi guadagno da vivere con il poker.”
Era irritante. Non mi fa piacere pensare a mia moglie. E finalmente chiarii che era un professionista autono-
Divieto a Ritroso
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
mo, un giocatore, una persona abile con le carte.
C’erano quattro tipi di nome Doc là quella sera. Doc
Murphy fu il terzo ad essere chiamato ad un tavolo.
Giocò in maniera tranquilla e perse continuamente
anche se non in modo grave per due ore. Poi, immediatamente, in quattro mani si rifece di tutto ciò che
aveva perso e ci aggiunse quasi mille e cinquecento
dollari. Poi fece le sue scuse dopo un numero decente
di mani perdenti e ce ne ritornammo a Salt Lake.
“Di solito devo rigiocare il sabato notte,” mi disse. Poi
sogghignò. “Stanotte sono stato fortunato. C’era un
idiota che pensava di conoscere il poker.”
Mi ricordai del vecchio detto: Non mangiare mai in un
posto chiamato Da Mamma, non giocare mai a poker
con un uomo chiamato Doc, e non andare mai a letto
con una donna che ha più preoccupazioni di te. Pura
verità. Doc aveva annotato tutti i mazzi di carte, sapeva a memoria tutte le probabilità ed erano rare le facce
da poker attraverso cui Doc non potesse vedere.
Alla fine del trimestre, comunque, si fece chiaro per
me che in tutto il tempo che eravamo stati in classe
assieme, non avevo mai visto una delle sue storie. Non
aveva scritto assolutamente niente. E c’era il suo livello sul registro: Ottimo.
Ne parlai con Armand.
“Oh, Doc scrive,” mi assicurò. “Meglio dl quanto tu faccia, e tu hai Ottimo. Dio solo sa come, non hai il talento per scrivere.”
“Perché non io espone così che il resto della classe
può leggerlo?”
Armand si strinse nelle spalle. “Perché dovrebbe? Perle
ai porci.”
Eppure mi irritava. Dopo essere stato a guardare Doc
che sbudellava uno scrittore, non penso fosse giusto
che le sue opere non si trovassero mai nel gruppo da
sezionare.
Nel trimestre successivo riapparve in un seminario di
perfezionamento con me e glielo chiesi. Rise e mi disse di scordarmene. Risi a mia volta e gli dissi che non
l’avrei fatto. Desideravo leggere la sua roba. Così la
settimana successiva mi dette un manoscritto di tre
pagine. Era un frammento non terminato di un racconto su di un uomo che pensa davvero che sua moglie lo
abbia lasciato anche se ogni notte torna a casa e la
trova là. Era una delle migliori cose scritte che avessi
mai letto in vita mia. Non importava come lo si considerasse. La cosa era abbastanza chiara e abbastanza eccitante che qualsiasi idiota che amava Harold
Robbins avrebbe potuto apprezzarla. Ma lo stile era
abbastanza ricco e la sua materia sufficientemente
approfondita anche in poche pagine da rendere la maggior parte degli altri “grandi” scrittori dei pollicoltori.
Rilessi il frammento cinque volte solo per essere sicuro di afferrarlo completamente. La prima volta avevo
pensato che fosse metaforicamente su di me. La terza volta capii che riguardava Dio. La quinta volta vidi
che era su tutto ciò che contava e desiderai leggerlo
ancora.
“Dov’è il resto?” chiesi. Alzò le spalle. “E’ lì,” disse.
“Non si sente che è finito.”
“Non lo è.”
“Bene, finiscilo! Doc, potresti venderlo a chiunque, perfino al “New Yorker”. Per loro probabilmente non devi
neppure finirlo.”
“Perfino il “New Yorker’. Perbacco”
“Non posso credere che pensi di essere troppo bravo
per tutti, Doc. Finiscilo. Voglio sapere come va a finire.”
Scosse la testa. “E’ tutto. E’ tutto ciò che ci sarà mai.”
E questa fu la fine della discussione.
Ma di volta in volta mi mostrò qualche altro frammento.
Sempre migliore di quello precedente. E nel frattempo
diventammo intimi, non perché fosse uno scrittore così
bravo (non sono così autolesionista da provare piacere
ad andarmene in giro con gente che può ubriacarmi
cori la sua scrittura) ma perché era Doc Murphy. Scoprimmo tutti i posti decenti dove ottenere una birra a
Salt Lake City... una attività che non richiedeva un gran
spreco di tempo. Vedemmo tre buoni film e un’altra
dozzina che erano così brutti che ci si divertiva a guardarli. Mi insegnò a giocare a poker abbastanza bene
da cavarmela senza danno ogni fine settimana. Si rassegnò alla mia sfilza di amichette profetizzando che
probabilmente avrei finito con il risposarmi. “Sei così
debole di carattere da provare a fare un tentativo,” mi
disse scherzosamente.
Alla fine, quando avevo smesso da tempo di chiederlo,
mi disse perché non finiva niente.
Io ero sotto di due birre e mezza e lui stava bevendo
un’odiosa mistura di Tab e succo di pomodoro che
beveva ogni volta che desiderava punirsi per le sue
colpe, in base alla teoria che era persino peggio della
pratica Indù di bersi la propria piscia. Mi era appena
tornato indietro un racconto da una rivista che ero sicuro che sarebbe stato acquistato.
Stavo pensando di smettere. Rise di me.
“Parlo sui serio,” dissi.
“Nessuno che abbia una qualche qualità deve mai
smettere di scrivere.”
“Senti chi parla. Il re degli scrittori determinati.” Apparve arrabbiato. “Sei un paraplegico che si prende gioco
di un uomo con una gamba sola,” disse.
“Sono stanco di tutto questo.”
“Abbandona allora. Non fa differenza. Lascia il campo
agli scribacchini. Probabilmente sei anche tu uno
scribacchino.”
Doc non aveva bevuto niente che potesse renderlo burbero, niente sbronza triste dunque. “Ehi, Doc, sto chiedendo un incoraggiamento.”
“Se hai bisogno di incoraggiamenti, non lo meriti. C’è
solo un modo in cui un buon scrittore può essere fermato.”
“Non dirmi che hai un blocco dello scrittore selettivo.
Nei confronti dei finali.”
“Blocco dello scrittore? Gesù!, non sono mai stato bloccato in vita mia. I blocchi sono ciò che succede quando non sei abbastanza buono a scrivere la cosa che
sai che devi scrivere.”
Mi stavo arrabbiando. “E tu, naturalmente, sei sempre
buono a sufficienza!”
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mappe dello spazio/tempo
Si sporse in avanti, mi fissò negli occhi. “Sono il migliore scrittore di lingua inglese.”
“In parte sono d’accordo con te. Sei Il migliore che non
ha mai finito niente.”
“Finisco tutto,” disse. “Finisco tutto, caro amico, e poi
brucio tutto tranne le prime tre pagine. Finisco una
storia a settimana, a volte. Ho scritto tre romanzi completi, quattro commedie. Ho fatto perfino una
sceneggiatura. Avrebbe guadagnato milioni di dollari e
sarebbe diventato un classico.”
“Chi è che lo dice?”
“Lo dice... non ha importanza chi lo dice. Era stata
acquistata, aveva un cast, era pronta per essere filmata. Aveva un bilancio di trenta milioni. Lo studio ci credeva. L’unica cosa intelligente che avessi mai sentito
far loro.”
Non potevo crederci. “Stai scherzando.”
“Se stessi scherzando chi riderebbe? E’ vero.”
Non lo avevo mai visto così avvelenato, così afflitto.
Era vero, se era vero che conoscevo Doc Murphy, e
penso che lo conoscessi. ‘’Perché?” chiesi.
“Il Comitato di Censura.”
“Cosa? Non esiste una cosa simile in America.”
Sorrise. “Non a tempo pieno, comunque.”
“Chi diavolo è il Comitato di Censura?” Me lo disse:
Quando avevo ventidue anni vivevo in una strada rurale
dell’Oregon, disse, oltre Portland. Cassette della posta fuori, sulla strada. Scrivevo, ero un commediografo,
pensavo dl poter fare carriera; stavo giusto iniziando a
tentare la narrativa. Una mattina uscii dopo passato il
portalettere. Piovigginava leggermente. Ma non ci feci
molto caso. C’era una busta dal mio agente di
Hollywood. Era un contratto. Non un’opzione... una
vendita. Centomila dollari. Mi era appena venuto in
mente che mi stavo bagnando e che dovevo rientrare
quando due uomini uscirono dai cespugli... sì, lo so,
penso che andassero in cerca di entrate teatrali. Indossavano abiti d’affari. Dio, odio gli uomini che indossano abiti d’affari. Uno dei due allungò la mano. Disse,
“Datelo a me, risparmiatevi un sacco dl preoccupazioni.” Darlo a lui? Gli dissi ciò che pensavo della sua
proposta. Sembravano dei mafiosi, o come una parodia comica dei mafiosi, sul serio.
Erano suppergiù della stessa altezza, e sembravano
quasi la stessa persona, proprio un riflesso duplicato
di crudeltà negli occhi; ma poi realizzai che la mia
prima impressione era stata fuorviante. Uno era biondo, uno coi capelli scuri; il biondo aveva un mento leggermente all’indietro che dava alla sua faccia un aspetto
mansueto dal naso in giù; quello scuro aveva avuto un
tempo dei brutti problemi di pelle e il suo collo era
tozzo, dandogli un’aria di stupidità, come se una faccia fosse stata appiccicata sul davanti del collo senza
nessuno spazio per una testa. Tutt’altro che mafiosi.
Gente comune.
Tranne gli occhi. Quel riflesso negli occhi non era falso
ed era stato quello che me li aveva fatti vedere in modo
sbagliato all’inizio. Quegli occhi avevano visto la gente
piangere e si erano preoccupati e comunque le avevano fatto di nuovo male. E’ un aspetto che gli occhi
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umani non dovrebbero mai avere.
“E’ proprio li contratto, per l’amor di Dio,” dissi loro, ma
quello scuro con le cicatrici delI’acne mi ripeté solo di
consegnarglielo.
Nel frattempo, comunque, la mia paura iniziale era
passata; non erano armati e così avrei potuto sbarazzarmi di loro senza violenza. Tornai verso casa. Mi vennero dietro.
“A che vi serve il mio contratto?” chiesi.
“Quel film non sarà mai fatto,” disse Mansueto, quello
biondo col mento sfuggente. “Non permetteremo che
si faccia.”
Ml chiedo chi gli scrivesse i dialoghi, li copiavano forse
da Fenimore Cooper? “I loro centomila dollari dicono
che vogliono provarci. lo voglio che ci provino.”
“Non riceverete mai quel denaro, Murphy. E questo
contratto e quella sceneggiatura scompariranno dall’esistenza entro i prossimi quattro giorni. Questo ve lo
prometto.”
lo gli chiedo, “Cosa siete, un critico?”
“Ci manca poco.”
Nel frattempo avevo superato la porta e loro erano dall’altra parte della soglia. Avrei potuto chiudere la porta,
probabilmente, ma sono un giocatore d’azzardo. Dovevo restare questa volta perché dovevo conoscere che
mano avessero. “Avete intenzione di prenderlo con la
forza?” chiesi.
“Se è inevitabile,” dice Tozzo. E poi aggiunge, “Vede,
Mr. Murphy, voi siete un uomo pericoloso; con quella
vostra macchina da scrivere IBM Self-Correcting
Selectric, quella con una spaziatura difettosa così che
a volte stampate delle lettere alcuni spazi oltre la fine.
Con vostro padre che una volta vi ha detto. “BilIy, a dirti
la sacrosanta verità, non so se sono o no tuo padre.
Non ero l’unico tipo con cui si vedeva tua madre quando la sposai. Così non me ne frega un accidente se tu
campi o no.”
L’aveva detta proprio precisa. Parola per parola. Quello
che mio padre mi aveva detto quando avevo quattro
anni. Non l’avevo detto a nessuno. E lui la conosceva
parola per parola.
CIA, Gesù. E’ patetico.
No, non erano della CIA. Si volevano solo assicurare
che non scrivessi. O piuttosto che non pubblicassi niente.
Gli dissi che non ero interessato ai loro suggerimenti.
E avevo visto giusto... non erano del genere muscoloso.
Chiusi la porta e se ne andarono semplicemente via.
E il giorno dopo mentre guidavo la mia vecchia Galaxy
lungo la strada, al dl sotto del limite di velocità, un
ragazzino in bicicletta scappò fuori proprio di fronte a
me. Non ebbi neppure la possibilità di frenare. Un attimo prima non c’era e subito dopo era là. Lo presi. La
bicicletta andò a finire sotto l’auto, ma lui quasi raggiunse il tettino. Il piede conficcato nel paraurti, stretto
dalla bicicletta. Il resto era scorso sopra il cofano, spaccandosi i fianchi e rompendosi la spina dorsale in tre
parti. Lo stemma del cofano Io aveva sventrato e iIl
sangue scorreva lungo il parabrezza come una tempesta violenta, tanto che non potevo vedere altro che la
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mappe dello spazio/tempo
sua faccia, che era compressa contro il vetro con gli
occhi aperti. Era morto sul colpo, naturalmente, e anch’io avrei voluto morire.
Stava giocando ai marziani o a qualcos’altro di simile
col fratello. Il fratello era rimasto là vicino alla strada
con un fucile laser di plastica in una mano e uno sguardo
stupido sul viso. La madre scappò fuori di casa urlando. Anch’io stavo urlando. C’erano due vicini che avevano visto tutto il fatto. Uno di loro chiamò la polizia e
l’ambulanza. L’altro cercò di controllare la madre e di
trattenerla dall’uccidermi. Non ricordo dove stavo andando. Tutto quello che ricordo è che l’auto aveva impiegato insolitamente tanto tempo prima dì partire quella mattina. Più di un minuto e mezzo, credo... un sacco di tempo, per far partire una macchina. Se si fosse
messa in moto sempre come solito, non avrei preso il
ragazzino. Incominciai a pensarci su... non era altro
che una coincidenza che io mi trovassi a passare proprio in quel momento. Mezzo secondo prima e lui ml
avrebbe visto e avrebbe frenato. Mezzo secondo dopo
e io avrei visto lui. Solo coincidenza. La sola ragione
per cui il padre del ragazzo non mi ammazzò quando
arrivò a casa dieci minuti dopo fu perché piangeva a
dirotto. Non fui mai processato perché i vicini testimoniarono che non avevo avuto nessuna possibilità di fermarmi e l’investigatore della polizia determinò che non
stavo andando veloce. Neppure negligenza. Solo una
terribile, terribile fatalità.
Lessi l’articolo sui giornali. Il ragazzo aveva solo nove
anni, ma seguiva dei corsi speciali a scuola ed era
molto sveglio, un bravo ragazzo con la strada spianata
e si prendeva sempre cura dei fratelli e delle sorelle.
Un vero strappa-lacrime per la consunzione dei
sottoscrittori. Pensai di uccidermi. E poi gli uomini col
vestito d’affari tornarono. Avevano quattro copie del mio
scritto, della mia sceneggiatura. Quattro copie è tutto
ciò che avessi mal fatto... l’originale era tra i miei documenti.
“Vedete, Mr. Murphy, abbiamo tutte le copie della
sceneggiatura. Ci darete l’originale.”
Non ero dello spirito adatto alla cosa. Iniziai a chiudere la porta.
“Avete veramente molto gusto,” dissi. Non mi interessava come avessero ottenuto lo scritto, non in quel
momento. Volevo solo trovare un modo di dormire fino
a quando non mi fossi svegliato e il ragazzo sarebbe
stato ancora vivo.
Aprirono la porta con una spinta ed entrarono. “Vedete, Mr. Murphy, fino a quando non abbiamo alterato la
vostra auto, ieri, la vostra strada e quella del ragazzo
non si si sarebbero mai intersecate. Abbiamo dovuto
provare quattro volte per raggiungere il tempo giusto,
ma alla fine ce l’abbiamo fatta. E’ il bello dei viaggi
temporali. Se lo manchi, puoi sempre tornare indietro
e prenderlo in pieno la volta dopo.”
Non potevo credere che qualcuno volesse prendersi
credito della morte del ragazzo. “Per quale motivo?”
chiesi.
E me lo dissero. Sembra che il ragazzo avesse perfino
più talento di quanto si pensasse. Sarebbe cresciuto
e sarebbe diventato uno scrittore. Un giornalista e critico. E avrebbe causato un sacco dl problemi ad un
particolare governo circa quarant’anni dopo lungo la
linea. Avrebbe scritto soprattutto tre libri che avrebbero
cambiato l’intero modo dl pensare di un gran numero
di persone. Nel modo sbagliato.
“Siamo tutti scrittori anche noi,” Mansueto mi disse.
“Non dovrebbe sorprendervi che prendiamo molto seriamente la nostra scrittura. Più seriamente di quanto
facciate voi. Gli scrittori, i buoni scrittori, possono cambiare la gente. E alcuni dei cambiamenti non sono molto
buoni. Nell’uccidere ieri quel ragazzo, vedete, avete
arrestato una sanguinosa guerra civile da qui a sessant’anni circa. Abbiamo già controllato e ci sono alcuni spiacevoli effetti collaterali, ma niente che non
possa essere posto sotto controllo. Sette milioni di
vite salvate. Non dovreste sentirvi male a riguardo.”
Mi ricordai delle cose che conoscevano su di me. Cose
che nessuno avrebbe potuto conoscere. Mi sentii stupido perché iniziai a credere che potessero dire la verità. Mi sentii preoccupato perché restavano calmi quando parlavano della morte del bambino. Chiesi, “Come
c’entro io? Perché proprio io?”
“Oh, è semplice. Voi siete un ottimo scrittore. Destinato ad essere il migliore della vostra epoca. Narrativa. E questa sceneggiatura. In trecento anni arriveranno a compararvi a Shakespeare e il povero vecchio
bardo ci rimetterà. Il problema è, Murphy, che voi siete
un edonista del diavolo e per giunta un pessimista e,
se riusciamo a trattenervi dal pubblicare qualsiasi cosa,
l’intero spirito artistico di due secoli sarà considerevolmente illuminato. Senza nominare la prevenzione di
una carestia da qui a settant’anni. La Storia fa strane
connessioni, Murphy, e voi siete al centro di un sacco
di sofferenze. Se non pubblicherete mai il mondo sarà
un posto migliore per tutti.”
Tu non c’eri là, non li hai sentiti. Non li hai visti, seduti
sul mio divano, gambe incrociate, annuire, gesticolare
come se stessero dicendo la cosa più naturale al mondo. Da loro ho imparato a descrivere l’autentica pazzia. Non qualcuno con la bava alla bocca; soltanto
qualcuno seduto là come un buon amico, a dire cose
impossibili, cose crudeli e sorridendo e diventando
eccitato e... Gesù, non lo puoi sapere. Perché io gli
credevo. Loro lo sapevano, vedi. Ed erano troppo pazzi, anche un matto poteva uscirsene con una burla
migliore di quella. E la sto mostrando come se io gli
credessi logicamente, ma non era così, non credo di
poterti persuadere, ma credimi... se capisco quando
un uomo sta bluffando o sta dicendo la verità, e ci riesco, quei due non stavano bluffando. Un bambino era
morto e loro sapevano quante volte avevo girato la chiave dell’accensione. E c’era verità in quegli occhi terribili quando Mansueto disse, “Se volontariamente ti
astieni dalla pubblicazione, ti sarà permesso di vivere.
Se rifiuti, allora morirai entro tre giorni. Un altro scrittore ti ucciderà... accidentalmente, naturalmente. Abbiamo autorità di lavorare solo attraverso gli autori.”
Gli chiesi perché. La risposta mi fece ridere. Sembra
che fossero della Associazione Autori. “E’ un proble-
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mappe dello spazio/tempo
ma di responsabilità. Se si rifiuta di prendersi la responsabilità per le conseguenze future dei suoi atti,
dovremo dare questa responsabilità a qualcun altro.”
E così chiesi loro perché non mi uccisero semplicemente all’inizio Invece di stare a sprecare il tempo a
parlare con me.
Fu Tozzo che rispose e il bastardo stava piangendo, e
mi dice; “Perché vi amiamo. Amiamo tutto ciò che scrivete. Abbiamo imparato tutto ciò che conosciamo sulla scrittura da voi e ci rimetteremmo se voi morireste.”
Provarono a consolarmi raccontandomi in che buona
compagnia fossi. Thomas Hardy... gli fecero abbandonare i romanzi e attaccarsi alla poesia che non è letta
da nessuno e così fu salvo. Mansueto mi dice,
“Hemingway decise di uccidersi invece di aspettare
che lo facessimo noi. E ce ne sono alcuni altri che
devono solo astenersi dallo scrivere un particolare libro. E’ doloroso per loro, ma Fitzgerald è stato ancora
capace di avere una carriera decente con gli altri libri
che poteva scrivere, e Perelman ce lo ha trasformato
in comico in quanto non gli si poteva permettere di
scrivere la sua opera reale. Noi ci preoccupiamo solo
dei grandi scrittori. I cattivi scrittori non sono una minaccia per nessuno.”
Concludemmo una specie d’affare. Potevo continuare
a scrivere. Ma dopo che avevo finito tutto, dovevo bruciarlo. Tutto tranne le prime tre pagine. “Se comunque
lo finisce,” dice mansueto, “ne avremo una copia qui.
C’è una biblioteca qui che... uh, credo che il modo più
semplice per dirla è che esiste fuori dal tempo. Sarete
pubblicato, in qualche modo. Solo, non nel vostro tempo. Non prima di ottocento anni. Ma almeno potrete
scrivere. Ci sono altri che devono tenere le loro penne
completamente immobili. Spezza il cuore, sapete.”
Sapevo tutto sui cuori spezzati, sissignore sapevo proprio tutto. Bruciai tuffo tranne le prime tre pagine.
C’è solo un motivo per uno scrittore per smettere di
scrivere, ed è quando il Comitato di Censura lo raggiunge. Qualsiasi altra persona che abbandona è solo
un somaro placcato d’oro. Morris il “barattatore” non
sa proprio cosa sia la vera censura. Non si realizza
nelle biblioteche. Si realizza sui cofani delle macchine. Così va’ avanti, diventa un vero sensale, vendi assicurazioni, va’ dietro a Babbo Natale e pulisci la muta
di renne, non me ne frega un accidente.
Ma se abbandoni qualcosa che io non avrò mai, con te
ho chiuso. Non c’è nulla in te per me.
Così scrivo. E Doc lo legge e lo fa a pezzi; tutto tranne
questo. Questo lui non lo vedrà mai. Per questo forse
mi ucciderà, ma chi se ne frega? Non sarà mai pubblicato. No, no, sono troppo vanitoso. Tu lo stai leggendo, non è vero? Vedi come spingo il mio ego al limite?
Se è vero che sono uno scrittore abbastanza buono,
se il mio lavoro è sufficientemente importante da cambiare il mondo, allora una coppia d’individui con il vestito d’affari verrà a farmi una proposta che non potrò rifiutare, e tu non leggerai per niente tutto questo, ma lo
stai leggendo, non è vero? Perché mi sto facendo questo? Forse sto sperando che arrivino e che ml forniscano una scusa per smettere di scrivere ora, prima
che scopra che ho già scritto meglio dl quanto farò
mai. Ma qui io faccio marameo a quei dannati critici
futuri e loro mi ignorano, dicono esattamente quanto
valga il mio lavoro.
O forse no. Forse sono realmente bravo, ma il mio
lavoro va a finire solo che ha un effetto positivo, senza
causar nessuna spiacevole onda nel futuro. Forse sono
uno di quei fortunati che può mettere su qualcosa di
potente che non ha bisogno di essere censurato per
proteggere il futuro.
Forse i porci hanno le ali.
© Orson Scott Card, titolo originale Prior restraint
apparso originariamente in Aboriginal Science Fiction, Sept. ‘86
traduzione italiana Danilo Santoni
Orson Scott Card
Orson Scott Card ha raggiunto il massimo della sua popolarità tra
il 1986 e il 1987, quando per due anni di seguito ha vinto il premio
Nebula e il premio Hugo nella categoria romanzo. Si tratta, a tutt’oggi, di un record ed è stato realizzato con i primi due romanzi
della serie di Ender, Ender’s Game e Speaker for the Dead (la
serie si compone di altri due romanzi, Xenocide, pubblicato nel
1991, e Children of the Mind, pubblicato nel 1996. Attualmente
alla serie si è aggiunto un altro romanzo, Ender’s Shadow, che
torna a narrare gli avvenimenti del primo romanzo, ma visti attraverso gli occhi di un altro ragazzino di nome Bean.
La produzione di Card, comunque, non è ristretta allla fantascienza, ma spazia attraverso i generi più svariati (Lost Boys,
Treasure Box, e Homebody pur ponendo una forte enfasi sul
personaggio e sulle sue scelte morali, si rifanno alla ghost story
originale), Enchantment, è un romantic fantasy che usa un’alternanza tra il mondo americano moderno e quello russo della
Bella Addormentata. Coi romanzi della Homecoming Saga (The
Memory of Earth, The Call of Earth, The Ships of Earth,
Earthfall e Earthborn) ha raccontato in chiave fantascientifica
le sacre scritture. Con Pastwatch: The Redemption of
Christopher Columbus ha scritto una storia alternata dove si
cerca di fermare Colombo dallo scoprire l’America; al genere delle
storie alternate si può ricollegare anche la serie fantasy di The
Tales of Alvin Maker, i cui primi cinque volumi (Seventh Son,
Red Prophet, Prentice Alvin, Alvin Journeyman, e
Heartfire) sono ambientati in una America alternata, mistica e
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magica (in linea con la tradizione religiosa delle popolazioni pellirossa) in cui gli Stati Uniti si sono formati soltanto dalle colonie
svedesi e olandesi a nord della Pennsylvania e dove il re d’Inghilterra vive in esilio nella Carolina, essendo l’Inghilterra diventata
una repubblica. Ha scritto anche molte commedie, sia teatrali che
radiofoniche.
Card partecipa attivamente alla vita della chiesa mormone.
Ha realizzato due libri sulle tecniche di scrittura: Character and
Viewpoint e How to Write Science Fiction and Fantasy
(premio Hugo nel 1991) e ha insegnato in molti corsi universitari e
nei più famosi workshop per scrittori.
E’ nato a Richland, nello stato di Washington, ed è cresciuto in
California, Arizona, and Utah. Attualmente vive a Greensboro, nel
North Carolina. Sposato e padre di cinque figli: Geoffrey, Emily,
Charles, Zina Margaret e Erin Louisa (i nomi vengono, rispettivamente, da Chaucer, Bronte/Dickinson, Dickens, Mitchell e Alcott).
Premi
Hugo
1986, Novel, Ender’s Game
1987, Novel, Speaker For the Dead
1988, Novella, “Eye for Eye”
1991, Non-Fiction, How to Write Science Fiction and
Fantasy
Nebula
1986, Novel, Ender’s Game
1987, Novel, Speaker For the Dead
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Tre giorni dopo l’arrivo degli aliegelatina e il ritornello di Surfin’
ni facemmo la scoperta decisiva
Bird dei Trashmen, che suonache ci mise in mano il futuro di
vano sul Wurlitzer orgoglio-e-giotutto il pianeta. La scoperta era
ia di Bill, si dissolse in quella che
che loro non erano ancora arriaveva lo stesso suono delle scaPeter Crowther
vati.
riche elettriche. Solo che non
Attraversammo quell’area sfitta nei pressi di avevamo mai sentito dire di un juke-box che soffre di
Sycamore... c’ero io, Derby (come il cappello) McLeod, scariche elettriche. Poi le luci si spensero e la maccol mio buon amico e genio locale Jimmy-James china si bloccò.
Bannister e con Ed Brewster, il più discolo di Forest Jerry Bucher stava per fare un tiro (la palla sei di sponPlains... solo che non c’è proprio niente di cattivo in da nell’angolo lontano, dato che tutte le altre buche
Ned. Proprio niente.
erano coperte dagli stripe di Ed Brewster: è buffo come
Entrammo dentro alla cosa che aveva la forma di una si ricordino dei dettagli di questo tipo) e si drizzò pari a
nuvola fatta con quell’erba mobile del deserto e che uno scovolino, come se qualcuno gli avesse buttato
serviva da macchina interstellare tutta scassata (era un mortaretto o qualcosa di disgustoso nel fondo dei
stato su invito degli alieni, o così pensavamo noi; la pantaloni.
scoperta che facemmo in seguito mise completamen- “Che diavolo era?” chiese Jerry rivolto a nessuno in
te in dubbio questo fatto particolare) soltanto per dare particolare e spostando il fiammifero mezzo masticato
un’occhiata a cosa stesse mai facendo quell’alieno. da un lato della bocca all’altro, mentre si guardava atJimmy era convinto (e aveva ragione, come fu poi di- torno per buttare la colpa su qualcuno, se non altro per
mostrato) che stesse tenendo d’occhio quello che ac- avergli fatto perdere il colpo. Ed non era certo quello
cadeva e che registrasse tutto in qualcosa che doveva che si può definire un giocatore tranquillo ed era anche
essere un ‘libro’.
peggio come perdente.
Non è che lui (sempre che l’alieno fosse un ‘lui’: non lo Ed Brewster s’era accucciato, le spalle incurvate, che
scoprimmo mai) scrivesse come scrivo io o scrivi tu, osservava la polvere che scendeva dalle travi e si poperché non lo faceva per niente. Non si seppe neppure sava sul tavolo di biliardo, le braccia della sua amise realmente stesse scrivendo fino ad un’ora tarda di chetta Estelle strette attorno alla vita.
quella notte, fino a che Jimmy-James non dette una Ma era raggelata dietro al bancone, col piatto vuoto in
lunga occhiata in quel loro libro di schiuma.
mano che guardava alle luci che entravano dalla fineNon che questo libro assomigliasse a nessun altro li- stra. “Sembra una specie di terremoto,” buttò là.
bro visto prima. Non gli assomigliava. Proprio come la La testa di Bill Chetton era visibile attraverso il
nave che li aveva portati a Forest Plains non assomi- boccaporto che dava in cucina, la bocca spalancata e
gliava a nessun’altra nave vista prima, né in Earth vs gli occhi grossi come un piatto piano. “Tutti a posto?”
The Flying Saucer e neppure in Twilight Zone (tutti e Posai la stecca contro il tavolo e andai fino alle vetradue erano ciò che allora potevi chiamare programmi te. A dire la verità, fuori avrebbe dovuto essere buio,
‘attuali’). E gli alieni stessi non assomigliavano a nes- invece era illuminato come a una gara di ballo nottursun’altra specie di alieni mai visti sui fumetti o che na, come se qualcuno stesse puntando i fari della
potevi aver sognato... neppure dopo esserti sbafato, la macchina proprio contro le vetrate, e quando detti un’ocnotte prima, una pizza vecchia di due giorni riscaldata chiata alla strada vidi sabbia e altra roba sollevata in
troppo, il tutto dopo una scorpacciata di Michelob e tre aria che avanzava verso di noi proveniente dall’area sfitta
o quattro piatti di quel cheese surprise di Ma Chetton, che stava di fronte.
quei piccoli pezzi di frittelle di formaggio tostato che “Ma non è altro che un guasto,” annunciò Estelle, la
Ma tirava fuori quando tutti i mesi si svolgevano le Eli- sua voce suonava più alta e stridula del solito e non
minatorie di Biliardo di Forest Plains.
era per niente rassicurante.
Fu durante una di quelle notte speciali, quando la luna Appoggiato al tavolo davanti alla vetrata, col viso presul deserto se ne sta appesa come una stupida zucca muto contro il vetro, vidi che la causa di quel guasto
di Halloween e il caldo ti incolla la maglietta sulla schie- non era qualcosa di semplice e lineare come una linea
na e sottobraccio, che iniziò veramente tutto l’affare. aerea venuta giù tra Forest Plains e Bellingham, ad
Fu quella notte che le creature venute dallo spazio pro- una cinquantina di chilometri. Era qualcosa di molto
fondo arrivarono a Forest Plains. Poi, comunque, non più complicato.
fu quella.
A posarsi nell’area sfitta di là della strada c’era qualcoMa qui sto andando troppo avanti...
sa che assomigliava a un incrocio tra un gigantesco
Comunque penso sia il momento migliore per iniziare barattolo di metallo e ad un altrettanto gigantesco vela storia, quella notte.
getale, coi fianchi che si gonfiavano e si sgonfiavano.
Era un lunedì, l’ultimo di novembre, verso le 9. L’anno “E’ un elicottero?” domandò il Vecchio Fred Wishingham
era il 1964.
accanto a me, la voce bassa e nervosa. Fred era sceMa Chetton stava spazzolando i pochi cheese surprise so a passo lento dal baracchino che occupava ogni
che restavano dalla sua ultima visita in cucina su un notte dell’anno e stava piazzato dall’altro lato del tavopiatto di biscotti appena fatti e fumanti, nell’atmosfera lo a fissare nella notte. “Non può essere un aereo,”
fumosa dell’Emporio del Biliardo di suo marito Bill, ol- disse, “perciò deve essere un qualche tipo di elicottetre Sycamore, quando il posto si mise a vibrare come ro.” L’ultima affermazione aveva tutta l’aria di una pia
Palindromico
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mappe dello spazio/tempo
illusione.
Ma pia illusione o no, la cosa che stava scendendo nel
terreno sgombro al di là della strada non assomigliava
a nessun elicottero che avessi mai visto (non che ne
avessi visti molti, comunque) e lo dissi a Fred.
“E’ un qualche maledetto tipo di pallone ad aria,” fece
Ed Brewster, accucciandosi in modo da poter avere
una vista migliore della punta della cosa che era alta,
questo non si poteva negarlo.
“Assomiglia più che altro ad una nuvola pelosa,” mormorò tra sé Abel Bodeen. Immagino che parlasse così
piano perché non gli andava che l’osservazione fosse
sentita da tutti, dato che suonava un po’ sciocca. E lo
era abbastanza. La verità di tutto era che la cosa appariva proprio come una nuvola pelosa... o forse come
una gigantesca lattuga o la cima di un cavolfiore, con
le luci che lampeggiavano accendendosi e spegnendosi al suo interno.
In brevissimo tempo c’eravamo radunati tutti attorno
alla vetrata a guardare, nessuno disse altro mentre la
cosa scendeva sul terreno.
Nel giro di un minuto o due le luci nella sala da biliardo
tornarono e le scosse si arrestarono. “Andate a vedere
cos’è?” Chiese Fred. Non rispose nessuno. “Penso
che qualcuno debba andare a vedere cos’è,” disse.
Proprio in quel momento la zanzariera della porta scricchiolò davanti a noi e vedemmo la figura familiare di
Jimmy-James Bannister che usciva sul marciapiede.
Lanciò uno sguardo a noi sulla finestra e alzò le spalle. Poi attraversò la strada.
“Spero che quel maledetto pazzo sappia cosa sta facendo.” Ed Brewster era un maestro ad esprimere a
parole i pensieri di tutti.
In realtà il fatto era che Jimmy-James sapeva molte
più cose di quante il resto di noi riuscisse ad immaginare. E se c’era qualcosa che non conosceva ci si
attaccava fino a che non l’aveva conosciuta. JimmyJames, nato James Ronald Garrison Bannister (aveva
raddoppiato il suo nome di battesimo un po’ per soddisfare il padre, un po’ per ridurre a un minimo accettabile l’uso del soprannome), era il cervellone di stanza a
Forest Plains. Ancora ventidueenne, stessa mia età,
stava finendo il suo Master a Princeton in lingue e
matematica applicata.
Jimmy-James poteva risolvere problemi con lunghe divisioni a mente e bestemmiare in quattordici lingue il
che, assieme al fatto che reggeva l’alcool meglio di
chiunque altro, incluso Ed, lo rendeva il membro più
popolare di qualsiasi gruppo si potesse formare... particolarmente di quelli dove si consumavano buone dosi
di liquore o anche semplicemente di birra. Era a casa
per il giorno del ringraziamento, si era preso una settimana di vacanze, e c’è un sacco di gente con un debito di gratitudine nei suoi confronti per questo fatto.
Comunque Jimmy-James se ne andò là, in carne ed
ossa e doppiamente sfrontato, anche se qualcuno poteva dire ‘stupido’, attraversando la strada, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e la testa dritta, orgogliosa e impavida. Ci furono un paio di sospiri silenziosi provenienti da qualche parte dietro di me e poi il
rumore di passi strascicati, come se qualche tizio cer-
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casse di arrivare più vicino alla finestra per avere una
vista migliore. Dopotutto ognuno di noi aveva visto nel
film La guerra dei mondi cosa succede alla gente che
arriva un po’ troppo vicino a quegli oggetti... e tutti avevamo ormai quasi deciso che la cosa al di là della
strada aveva le stesse probabilità di provenire da qualche altro posto sulla Terra di quelle che avrebbe avuto
di essere volata fino a noi dal negozio di Vince e Molly
Waldon che sta lungo la strada. Non è che qualcuno
era saltato su a dire che venisse da un altro pianeta,
ma tutti sapevamo che era così. Ma perché fosse qui
era un’altra faccenda, anche se non avevamo poi tanta
fretta di scoprire la risposta a questa domanda. Be’,
nessuno di noi tranne Jimmy-James.
“Andate a chiamare lo sceriffo,” sussurrò Ma Chetton.
Posso ancora sentire Bill Chetton attaccato al ricevitore dire Pronto? Pronto? come se la sua vita dipendesse da quell’oggetto. Non fece una grossa sorpresa
quando Bill annunciò alla stanza ammutolita che sembrava che la linea fosse caduta. Poi il juke-box si mise
a scalciare con un A papapapapapa... forte e rauco, la
puntina in qualche modo era tornata all’inizio del successo dei Trashmen.
Fuori la strada sembrava trattenere il respiro un po’
allo stesso modo in cui la gente che guardava fuori di
finestra stava trattenendo il proprio... entrambi, lei e
noi, aspettavamo di vedere cosa sarebbe successo.
Quello che successe fu allo stesso tempo impressionante e in qualche modo deludente. Come JimmyJames raggiunse il marciapiede al di là della strada, i
fianchi del gigantesco barattolo vegetale a palla, proveniente da un altro mondo, si abbassarono e diventarono una specie di bordo lucente che arrivava fino a
terra. Non appena successo ciò un intero gruppo di
cose vegetali più piccole (più piccole sì, ma pur sempre il doppio delle dimensioni di Jimmy-James... e, con
quasi uno e ottantadue, JJ non è un piccoletto) scesero dalla piattaforma sulla terraferma... e nel cuore di
Forest Plains.
Potevamo sentire il loro miagolio da dove stavamo,
anche più alto del ronzio dei Trashmen che andavano
dicendo a tutti quelli che volevano ascoltare che The
Bird was the Word... e, mentre guardavamo, vedemmo le forme a vegetale arrestarsi sul marciapiedi proprio di fronte a Jimmy-James dove gli girarono attorno
e si raccolsero in un cerchio stretto. Poi tutti tranne
uno fecero qualche passo indietro e poi quello rimasto
arretrò anche lui.
A questo punto Jimmy-James si volse e ci fece cenno.
“Venite fuori,” gridò.
“Pensate che sia sicuro?” chiese Ed Brewster.
Mi strinsi nelle spalle. “Non sembra che abbiano intenzioni pericolose,” disse a bassa voce Ma Chetton, la
sorpresa nella voce era evidente come le striature di
grigio che le coloravano i capelli attorno alle orecchie e
sulle tempie.
“Hanno fatto tutta quella strada da dove vengono e mi
sembra che se avevano in mente di farci qualche danno per ora lo dovevano aver già fatto,” disse il Vecchio
Fred Wishingham. “Detto questo, comunque,” aggiunse, “non me ne andrò certo alla carica là fuori finché
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mappe dello spazio/tempo
non si sa per bene che cosa sono venuti a fare.”
“Forse non sono poi venuti per niente,” suggerì Estelle.
Qualcuno disse che poteva anche essere il caso di
uno scenario così inverosimile ma non ne volevano
sapere niente. Erano così i tipi di Forest Plains in quei
giorni... di fatto era così la gente in tutto il paese. Nessuno (con la possibile eccezione di Ed Brewster, e
anche lui lo faceva solo per divertimento) voleva far
apparire o far sentire qualcun altro uno stupido e ferire
i suoi sentimenti, se poteva evitare di farlo. Con Estelle
poteva risultare difficile. Estelle aveva finito coll’apparire proprio una stupida in un modo che rasentava l’arte.
“Vuoi dire, come se stessero esplorando... qualcosa
di questo tipo?” chiese Abel Bodeen per andarle
incontro.”Oh sì,” concordò in modo sognante Estelle,
“esplorando.”
“Be’, io vado fuori,” disse Ma. E senza frapporre una
seconda occhiata o una pausa per permettere a qualcuno di farla desistere, posò il piatto vuoto sul bancone e si diresse alla porta. Neanche un minuto più tardi
attraversava la strada. Sembrava che le cose avessero
previsto che stava per uscire dato che si erano spostate attraverso la strada come per salutarla, girandole
attorno all’ultimo minuto, non appena Ma si arrestò, e
circondandola proprio alla stessa maniera che avevano fatto con Jimmy-James.
Non sembravano proprio pericolosi ma avrei preferito
che ci fosse la legge in questo caso. “Il telefono è ancora fuori uso, Bill?” Urlai. Bill Chetton sollevò il ricevitore e provò di nuovo. Annuì e lo rimise a posto.
“Va bene, Ed,” dissi, “io e te sfrecciamo da dietro e
corriamo fino all’ufficio dello sceriffo.”
Ed disse di sì, dopo averci pensato su un secondo o
due, e poi tutti e due scivolammo dietro il bancone e
dentro la cucina di Bill e Ma, poi uscimmo dalla porta
di dietro e nel giardino, oltre i secchi della mondezza
verso la siepe... e poi sentii qualcuno che chiamava.
“Cos’è stato?” sussurrai verso Ed.
Ed si era immobilizzato su due piedi dall’altra parte
della siepe. Fissava di fronte a se. Quando giunsi alla
siepe guardai nella direzione in cui stava fissando Ed,
ed erano là. Tre. Proprio di fronte a noi e ululavano.
Non dimenticherò mai quel suono... come il vento nel
deserto, perso e senza meta.
La porta da cui eravamo appena usciti si aprì di nuovo
dietro di noi e si sentì l’urlo della voce di Fred
Wishingham, “Fermi dove siete...” e poi si spense quando Fred vide le cose. “Stavo appunto venendo a dirvi
che qualcuna di quelle cose aveva appena svoltato e si
era diretta verso dove sareste comparsi voi... be’, ve
ne siete già accorti.” Fred aveva abbassato il tono della voce come se fosse stato appena scoperto a sparare cazzate in chiesa.
Ed annuì e io dissi a Fred di tornare dentro.
Come sentii scattare la serratura della porta sussurrai
ad Ed: “Pensi che forse riescono a leggerci la mente?”
Ed si strinse nelle spalle.
Le cose erano alte sui 3 metri, tre metri e mezzo, e
sembrava che galleggiassero sopra il terreno su una
piattaforma pieghettata di forma circolare. Ho detto ‘galleggiare’ perché non lasciavano alcun segno mentre si
spostavano, neppure nel terriccio soffice che correva
davanti al negozio di Bill e Ma.
La piattaforma era profonda all’incirca trenta centimetri e, al di sopra, il corpo della cosa si andava assottigliando come lo stelo di un bicchiere fino a raggiungere un’altra sporgenza pieghettata (come il cappello di
un fungo) che si trovava in cima. A metà strada tra le
due piattaforme si sporgeva per una trentina di centimetri dallo stelo un collare fatto di viticci o ali sottili
(come il velo filamentoso di una medusa) che poi scendevano giù molli per circa un metro. Sembrava che
vibrassero e mulinassero per conto proprio, senza far
caso se soffiasse o meno vento, e non mi ci volle molto per immaginare che questi erano quello che sul
mondo della cosa passava per delle braccia e delle
mani.
Guardai verso la sezione superiore della prima creatura, cercando di scorgere se ci fossero dei buchi per
l’aria o degli occhi, ma non c’era niente, anche se la
grana della pelle di copertura fosse in qualche modo
opaca e traslucida... trasparente, in mancanza di una
frase migliore, e si potevano vedere delle cose che si
muovevano al suo interno, che roteavano e si componevano. Da dove provenisse il suono che producevano,
questo non saprei dirlo. E non lo scoprimmo mai.
Osservammo le creature che si facevano più vicine.
D’un tratto quella di fronte a noi si volse in modo proprio veloce e le cose braccio-mano svolazzarono verso
l’esterno, come un lenzuolo che si posa sul letto e,
solo per un attimo, toccarono le mie spalle. C’era qualcosa che assomigliava alla tenerezza. Allora pensai
che forse me lo stavo immaginando... che stessi forse
leggendo le sue onde cerebrali o qualcosa del genere,
ma scoprii in seguito che c’era, se non una tenerezza
vera e propria, almeno un sentimento di familiarità da
parte della creatura.
Questo confronto durò soltanto qualche secondo, un
minuto al massimo, e poi la creatura si ritrasse da noi
in direzione dell’ufficio dello sceriffo e nel muoversi aveva le cose a forma di ali allungate verso di noi.”Che ci
hai fatto con quella?” chiese Ed Brewster, la voce un
po’ gracchiante e rauca.
“Non lo so proprio,” risposi.
Osservai attentamente perché una delle creature mi
intrigava più delle altre. Portava quella che appariva
come una specie di scatola di schiuma, piena di strati
impilati di un qualcosa che sembrava zucchero filato.
Nel momento in cui avevamo ‘incontrato’ il capo, supponemmo che la cosa che mi aveva toccato fosse il
capo, quest’altra creatura stava rimuovendo piccoli
pezzi di schiuma che sembrava assorbire nei propri
viticci. Lo stava facendo ancora quando gli altri tre si
spostarono lungo il marciapiede. Nel momento in cui
raggiunsero il retro dell’ufficio dello sceriffo, il capo
abbassò le sue ali, si volse e, lasciandosi dietro gli
altri due, si spostò lungo il marciapiede per sparire
dalla vista.
Mi volsi al suono di passi affrettati dietro di me e vidi
Jimmy-James che correva lungo il passaggio, il viso
che emanava un sorriso ampio. Lo seguiva Ma Chetton,
la testa ancora girata verso la strada per vedere se
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mappe dello spazio/tempo
qualcuna delle creature stesse seguendo lei.
“Che cos’era quello?” chiese JJ. Poi “Che cos’era quello!”
Annuii e poi mi volsi a guardare verso Ed, anche lui
stava annuendo. Sembrava che non ci fosse nient’altro da fare.
“Hanno detto niente?” chiese Jimmy-James. “Hanno
detto da dove vengono?”
“Niente di niente,” dissi. “Non una parola. Solo quel
mugolio funebre. Mi fa venire la pelle d’oca... sembra
quasi un coyote.”
“O un bambino che mette i denti,” disse Ma senza
respiro.
“Lo stesso qui,” disse JJ. “Ho provato con tutto quello
che conoscevo, inglese, francese, tedesco, spagnolo,
russo... e altre ancora. E ho provato anche un paio di
ibridi.”
“Come se si fosse alle Nazioni Unite,” borbottò Ma
Chetton in modo irritato, col respiro che raspava. “O
stare in cima alla torre di Babele alla fine dei secoli.”
“Che diavolo sono gli ibridi,” chiese Ed Brewster.
“Mescolanze di due o tre lingue,” spiegò JJ. “Un tempo
era così che comunicavano molti tizi... voglio dire prima che un singolo dialetto o una lingua non prendesse
piede così da poter diventare una cosa comune. E li
ho provati con ogni tipo di segni o altre cose, ma è
come se non sapessero che cosa stia facendo. Pensavo che forse avrebbero saputo ogni cosa della nostra lingua ascoltando le nostre onde radio là nello
spazio profondo. Ma non c’è niente da fare. Non posso
immaginare neppure come facciano a comunicare tra
loro,” disse. “A meno che non sia quel rumore lamentoso o forse attraverso quella cosa che uno di loro si
porta dietro.”
“Vuoi dire la cosa a forma di scatola? Quella cosa che
sembra una pila di cotone filato?”
JJ annuì. “Sta tutto il tempo ad armeggiare con quella
roba, cambiandola anche mentre cerco di parlare con
loro.”
“Sì, ma...” feci, “hai notato che tira fuori le cose invece
di aggiungerle a quelle che stanno dentro?”
“L’ho notato,” rispose JJ. “Mi chiedevo se non stesse
assorbendo quella roba permettendogli di comunicare
con gli altri. Come un traslatore.”
Mi strinsi nelle spalle. Era troppo per me.
Ed si guardò attorno per assicurarsi che nessuna di
quelle creature fosse strisciata verso di lui e disse,
“Immaginiamo che possano leggere la mente.”
“Sicuro?” disse JJ. “Da che cosa?”
“Be’,” disse Ed, con tono casuale, “sapevano che stavamo venendo qua nel passaggio.”
JJ aggrottò le ciglia e mi lanciò un’occhiata prima di
riportare tutta l’attenzione su di Ed.
Ed fece la sua scrollata di spalle caratteristica. “Perché mai sarebbero dovuti venire qua dalla strada se
non sapevano che stavamo uscendo?”
Mentre JJ ci rimuginava sopra io feci, “Cosa pensi che
vogliano, JJ?”
La porta di dietro della sala da biliardo si aprì e si sporse Abel Bodeen. “C’è là qualcuna di quelle cose?”
“Nessuna, sono andate a trovare lo sceriffo,” dissi.
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Abel tese il viso e fece un sorriso amaro. “Dovrebbe
fare un piacere infinito a Benjamin,” disse con una
risatina.
La realtà fu che le creature, come poi risultò, fecero
piacere allo sceriffo Ben Travers. O comunque non gli
dispiacquero. La verità di tutto era che gli alieni non
fecero nulla per infastidire o irritare qualcuno. Di fatto
non fecero assolutamente nulla.
“Ma che diavolo sono venuti a fare, Derby?” mi chiese
Abel Bodeen un paio di giorni dopo che erano... che li
avevamo visti.
“Non riesco a capirlo.” risposi.
Stavamo seduti sulle vecchie sedie a schienale alto
che Molly Waldon aveva lasciato tra lei e il General
Store di Vince e osservavamo le creature che giravano
attorno per la città, proprio come avevano fatto da sempre. Ma io osservavo con un po’ più d’attenzione di
quanto avessi fatto all’inizio. La gente del paese si era
abituata agli alieni dopo un paio di giorni e nessuno
sembrava preoccuparsi molto su cosa fossero venuti a
fare. Così si può dire che la gente non aveva fatto caso
che l’atteggiamento delle creature stava cambiando.
Non è che stava cambiando di molto, ma stava cambiando.
“Ci hai fatto caso anche tu?”
Mi schermai gli occhi dalla luce del sole del tardo pomeriggio di novembre e guardai verso Jimmy-James.
“Fatto caso a cosa?”
Si voltò verso due creature che stavano scivolando lungo il lato opposto della strada. “Stanno rallentando.”
Seguii il suo sguardo e, di sicuro, le creature sembravano più lente di quanto non lo fossero state all’inizio.
Ma c’era dell’altro. Sembrava che fossero più caute.
Lo dissi a JJ e ad Abel, e a Ed e Estelle che erano
appoggiati a ciò che restava di una vecchia staccionata sul bordo del marciapiede.
Ed sbuffò. “Non ha senso,” disse. “Perché dovrebbero
essere cauti adesso, dopo che sono stati qua due
stramaledetti giorni.”
“Ed, sta attento con quella bocca,” frignò Estelle con
una voce stridula.
“Ha ragione, lui,” convenne Jimmy-James.
“Chi?” chiese Ed. “Io o lui?”
“Tutti e due.” JJ si alzò in piedi e si diresse verso il palo
dietro ad Ed e si sporse. “Stanno diventando più lenti e
sembra che siano più... più accorti,” disse, scegliendo
le parole. “E no, non ha alcun senso il fatto che più
stanno qui e più si fanno accorti.”
“Non c’è niente che possa renderli nervosi, questo è,
sicuro,” disse Abel. “Ci hanno presi belli e incartati come
un regalo di Natale.”
Gli alieni avevano effettivamente tagliato fuori la città.
Non c’erano linee telefoniche e le strade erano... be’,
erano insuperabili. Era stato Doc Maynard a vederlo
per primo mentre cercava di andare con la sua vecchia
Ford Fairlane a trovare il padre di Sally Iacocca, fuori
verso Bellingham. Frank Iacocca aveva fatto una brutta caduta (Doc aveva detto che si era fratturato un paio
di costole) e Doc l’aveva fasciato come Boris Karloff in
quel vecchio film, La mummia.
L’auto s’era spenta cinque chilometri oltre Forest Plains
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mappe dello spazio/tempo
e non c’era stato niente da fare per Doc per farla
riandare. Così era tornato in città in cerca d’aiuto, senza neppure dare un’occhiata sotto al cofano, e Abel,
Johnny Deveraux ed io eravamo andati ad aiutarlo.
Johnny, che lavora al garage di Phil Masham, aveva
preso qualche attrezzo e una batteria di riserva nel
caso fosse qualcosa di semplice da poter accomodare sulla strada. Doc Maynard non era proprio famoso
per il modo in cui controllava la sua macchina.
Quando arrivammo Johnny provò l’accensione e era
completamente morta. Ma quando fece per muoversi
sul davanti della macchina per aprire il cofano iniziò di
botto a dimenarsi e lasciò andare la batteria. Fu allora
che scoprimmo la barriera.
Un ‘campo di forza’ è il modo in cui la chiamava JimmyJames.
Tutto sembrava completamente normale di fronte alla
Fairlane di Doc Maynard, ma non c’era modo che potessimo andarci. Sembrava stoffa ma non era porosa.
JJ disse che era una membrana sintetica invisibile (per
quello che ciò potesse essere) e riteneva che le creature l’avessero posta attorno alla città per proteggere
la loro nave spaziale. Di sicuro la barriera girava tutto
attorno alla città... o così pensava lui. Provammo punti
diversi lungo sentieri di contadini o tracciati di greggi e
ognuno arrivava ad un arresto completo.
Che ci piacesse o no, eravamo imprigionati come un
pesce in una boccia. Ma ciò sembrava non aver importanza... almeno fino a che JJ non dette uno sguardo al
‘libro’ delle creature.
“Lui eccolo là, se è un ‘lui’,” disse Jimmy-James, indicando la creatura con la scatola di cotone filato. Il buffo era che la scatola ora sembrava avere meno roba
all’interno di quanta non ne avesse all’inizio. La prima
volta che l’avevamo vista sembrava che fosse quasi
piena.
“L’altra cosa,” disse JJ con una voce incerta che ti faceva pensare che stesse realizzando ciò che stava
per dire nel momento stesso in cui lo diceva, “è che
sembra che non tocchino la gente con quelle... quelle
cose a velo.”
“Sì,” approvai. “Penso sia ciò che volevo dire sul fatto
che fossero più caute. Per buona parte, comunque.”
Ed sbuffò. “Forse è che più ci osservano e meno gli
piacciamo.”
Estelle scompigliò i capelli ingrassati di Ed Brewster e
strizzò le labbra. “Sono sicura che gli piace quello che
vedono di te, tesoro,” trillò senza cambiar forma alla
bocca. “Piacerebbe a tutti.” Sembrava che Estelle stesse parlando a un neonato in una carrozzina. Anche Ed
dovette averlo pensato perché le disse di piantarla con
quel chiasso mentre si riaggiustava il ciuffo sulla fronte.
“Dobbiamo a tutti i costi dare un’occhiata a quella cosa
a forma di scatola,” disse JJ.
“E come facciamo?” chiesi. “E, comunque, che ce ne
viene? A me sembra soprattutto un carico di porcherie.”
JJ si allontanò dalla staccionata e si avviò verso la strada. “E’ proprio così,” urlò al di sopra delle sue spalle
mentre si dirigeva verso la creatura con la scatola. “Nes-
suno di noi ha guardato a quello che c’è là dentro, non
da vicino.”
Osservavamo tutti il confronto.
Jimmy-James s’arrestò proprio di fronte alla creatura e
questa si girò. Quasi immediatamente, le piccole braccia velate si allargarono come spinte da una brezza e
si posarono sulle spalle di JJ, il suono lamentoso s’alzò di un tono o due nel processo. Poi iniziò ad andarsene indietro, con le braccia che soffiavano via libere.
JJ urlò verso di me di avvicinarmi. Ed Brewster si alzò
e si spostò accanto a me. “Vengo anch’io,” disse.
“Sta attento a quello che fai, Ed, tesoro,” cinguettò
Estelle.
“Sta tranquilla, Estelle, sta tranquilla,” rispose Ed con,
forse, solo la traccia di un sospiro. E tutti e due ci
incamminammo lungo la strada per unirci a JJ. Fu così
che entrammo nella nave spaziale delle creature.
L’alieno con la scatola continuò ad arretrare da noi tre
e noi ci limitammo a continuare a seguirlo. Alla fine
raggiungemmo la nave dove scoprimmo altre due creature che stavano presso la rampa.
Le creature poi indietreggiarono nella nave. Noi continuammo e seguirle.
Alcuni minuti dopo tutti e tre ci ritrovammo in mezzo a
un ammasso disordinato di quella che sembrava schiuma a tocchi, con forme varie, impilata o messa contro
altri tocchi. Alcuni pezzi erano circolari (cilindrici, disse JJ) e altri sembravano delle gocce di creta per modellare, sistemate da una mano gigantesca senza alcun disegno o ragione.
Dentro, all’interno della nave, le braccia-ali delle cose
sbattevano più veloci e più rapide che mai... e l’alieno
che avevamo individuato a registrare l’intera visita era
occupato al massimo, togliendo pezzetti di schiuma
con i viticci ed assorbendoli. Quando guardai all’interno della scatola, vidi che non c’era più quasi niente.
In alto, sopra una parte della stanza affollata, una grossa
cosa-lampada se ne stava da sola. Fermi sotto la lampada due alieni erano apparentemente concentrati su
di un’altra scatola, le braccia-ali svolazzavano come
foglie catturate dal vento. Questa scatola particolare
era completamente piena, un insieme di forme, tocchi
e pezzetti multicolori, tutti pressati uno dentro l’altro o
isolati.
“Occorre dare un’occhiata a quella,” sussurrò JJ ad Ed
e a me.
“Lasciala a me,” disse Ed Brewster. Si diresse verso
la scatola e la sollevò con tutte e due le mani. “Va
bene se la prendo in prestito per un po’, amici cari?”
disse, facendo ondeggiare la scatola di fronte alle due
creature.
Le cose sembrarono non far niente mentre Ed tornò
indietro e indietreggiò insieme a noi, anche se le loro
braccia sventolavano più veloci che mai. Poi, di colpo,
le piccole braccia-ali si afflosciarono e le due creature
si voltarono. Subito la creatura che stava di fronte alle
altre due nel centro della stanza fece ondeggiare le
sue braccia e poi, anch’essa, si girò.
“Usciamo da qui,” disse Jimmy-James. “Incomincio ad
avere un cattivo presentimento.”
Mentre correvamo lungo la piattaforma tornando verso
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Sycamore Street chiesi a Jimmy-James cosa volesse
dire con l’ultima frase. Ma lui scosse semplicemente
la testa.
“E’ troppo fantastico perfino a pensarlo,” fu tutto ciò
che disse. “Fatemi solo dare un’occhiata alla scatola
e poi forse potrò farmi un’idea.”
La riportammo di gran carriera a casa di Jack e Edna
Bannister giù lungo Beech Avenue e mentre io e Ed ci
bevevamo una tazza dietro l’altra del caffè forte della
mamma di JJ, lo stesso JJ se ne stava piegato sopra il
contenuto della scatola aliena. Erano quasi le tre di
mattina quando un Jimmy-James con gli occhi spiritati entrò di corsa nel salotto dei Bannister e sbatté la
scatola sul tavolo. Ed s’era addormentato, raggomitolato come un bambino sul divano, e io stavo guardando la Guida TV.
“Devo guardare l’altra scatola,” disse. “Ora!”
Ed fece schioccare rumorosamente le labbra e si rivoltò sul divano.
Io sollevai lo sguardo da un servizio su Gilligan’s Island
e rimasi sorpreso nel vedere quanto Jimmy-James rassomigliasse a quel sopravvissuto inerme del naufragio. “Che succede?”
JJ scosse la testa e si passò le mani tra i capelli.
Notai subito che tremavano. “Tanto, forse... forse niente. Non lo so.”
“Tu vorresti...”
“Ho usato tutte le solite tecniche di codifica,” disse JJ
spuntandole sulle dita tese. “Ho applicato il Principio
Patagone delle forme ripetute, dei motivi dei colori, degli
spazi... Ho applicato la Legge Spettromica delle relazioni delle sfumature e le dinamiche comunicative strutturali degli antichi Incas...”
Sollevai una mano dicendogli di fermarsi. “Hey, amico... di che diavolo stai parlando?”
JJ si accovacciò di fronte a me e mi fissò negli occhi.
“Ha un senso,” disse. “L’ho fatto funzionare... gli schemi si adattano.”
“Tu l’hai capita?” gettai lo sguardo alla scatola piena di
forme sconnesse. “Quella?”
JJ annuì con enfasi. “Sì!” disse. Poi, “No! Oh mio Dio,
non lo so. Per questo devo controllare. E devo farlo
stasera. Domani potrebbe essere troppo tardi.”
“Ancora non capisco cosa...”
Il genio locale di Forest Plains mi posò una mano sul
ginocchio. “Non c’è tempo,” disse, “Non c’è tempo per
parlare. Dobbiamo farlo ora.”
Studiai per alcuni secondi il suo viso, vidi lo sguardo
dei suoi occhi: ci si leggeva un bisogno urgente, questo sì... ma c’era anche dell’altro. Era la paura. JimmyJames Bannister appariva impaurito più di quanto possa mai essere un uomo. “Va bene, andiamo a farlo.”
Si alzò su e guardò ad Ed. “E di lui?”
“Starà bene. C’è da aspettarsi qualche problema là?”
“Penso di no.”
“Benissimo, andiamo allora.”
E andammo.
La nave era silenziosa e buia. JJ aveva preso la pila del
suo vecchio e tutti e due strisciammo lungo quella piattaforma verso il profondo del razzo delle creature. Il
luogo era deserto, il che andava benissimo. Non ci
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volle molto per JJ per trovare la seconda scatola (quella che la creatura aveva usato per tutto il tempo) prenderla tra le braccia e correre fuori dalla nave.
Fummo di nuovo a casa quasi subito dopo essere usciti. Per l’intera faccenda non c’erano voluti meno di dieci minuti.
Osservai JJ che si sedeva di fronte alla nuova scatola
(che conteneva ora solo alcune zollette o pezzi informi
di quella roba tipo creta) spremendosi le mani e mormorando tra se e se. Non lo sopportavo più e afferrai JJ
e lo scossi finché non riuscii a sentire i sui denti che
sbattevano, “Cosa diavolo c’è, JJ... perché non me lo
dici per l’amor di Dio?”
Sembrò tornare in se e allora si calmò. Poi fece con
tono basso, “E’ per gli alieni.”
“Che c’è su di loro?” chiesi.
“Sono...” Sembrò che si stesse sforzando di trovare le
parole giuste. “Sono palindromi.”
“Sono cosa?”
“Vanno all’indietro... il loro tempo è diverso dal nostro.”
“Il loro tempo è diverso da nostro? Diverso in che modo?”
“Si muove in una direzione diversa... all’indietro invece
che avanti... tranne che per loro è in avanti. Ma per noi
è...” JJ agitava le braccia come se stesse per decollare. “Be’, è completamente incasinata così com’è.”
“Cos’è tutto questo rumore?” Chiese Ed rigirandosi sul
divano. Si allungò per raggiungere il suo pacchetto di
Lucky e se ne mise una nell’angolo della bocca, l’accese con un fiammifero.
Io non sapevo cosa dire e guardai verso Jimmy-James.
“Forse sarebbe meglio se lo dicessi a lui... a noi!”
JJ si sedette al tavolo vicino alle due scatole, una piena e una quasi vuota. Sorrise e disse con calma, “E’
così.
“Sono riuscito ad entrare nei fondamenti del loro linguaggio. Non è stato poi tanto difficile una volta eliminate le aree senza vie d’uscita.” Puntò la scatola quasi vuota. “Questo è il ‘libro’ che stanno usando ora...
quello che registra cosa accade qui... qui sulla Terra.”
“A me sembra un ammasso di creta,” disse Ed, soffiando il fumo per tutta la tavola e spingendo via un
bordo della scatola.
“Questo perché sei...” disse con impazienza JJ, “perché tu sei della Terra. Per loro è l’equivalente di un
diario... il diario di bordo, se credete.”
Ed tornò a sedersi sul divano. “Va bene. E che dice?”
“Inizia nel momento preciso in cui hanno aperto le porte. Dice che hanno trovato un gruppo di creature che
stavano nell’esterno e li osservavano mentre sbarcavano... mentre uscivano. Queste creature, dicono i loro
dati, avevano degli strumenti... pensarono all’inizio che
le cose potevano essere dei regali.”
Aggrottai le ciglia. “Quando è stato? Io non ho mai
portato strumenti.”
JJ si piegò in avanti. “Sta proprio qui. Tu non li portavi.
Non è successo. Almeno non è ancora successo.”
Sollevò la scatola sulle sue ginocchia e puntò alle forme all’interno. “Vedete, è tutto sistemato in una forma
lineare, con ogni pezzo che si collega agli altri, innalzandosi nella scatola ad ondate e ripiegandosi dall’altra parte. Sono come strati di pasta ripiegati su se
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mappe dello spazio/tempo
stessi. Ma guardate al modo in cui sono sistemati...
potete tirare via dei pezzi e il buco tiene. E’ una forma
strutturale intricata di comunicazione di base. Dico ‘di
base’ perché sono riuscito a trovare solo gli elementi
di base. C’è molto ma molto di più... ma non avevo il
tempo di scoprirlo. Non ora, comunque.”
Ed fece cadere la cenere sul tappeto e la sfregò con la
mano libera. “Perché non hai il tempo? Che c’è da aver
paura?”
“La paura è che la registrazione continua col dire quanto
fossero sorpresi di scoprire delle creature...”
“Non certo meno sorpresi di quanto non lo fossimo noi
di veder loro!” dissi.
JJ continuò senza commenti. “Continua col dire come
uscirono e si misero di fronte a noi e come nessuno,
nessuno di noi, si mosse o fece qualcosa. Rimanemmo semplicemente là. Poi tutti ce ne andammo e tornammo alle nostre strutture. Andarono a guardare dietro all’esterno di queste strutture e poi tornarono alla
loro nave. Erano preoccupati per il fatto di aver in qualche modo creato la situazione con l’energia della loro
nave.”
“Huh?”JJ fece segno ad Ed di stare zitto e continuò.
“Ascolta. Poi dice che, dopo alcune ricerche preliminari (dicono che si dovrà portare avanti una ricerca molto
più approfondita) dopo queste prime ricerche, noi arrivammo a bordo della loro nave e prendemmo in prestito il loro giornale di bordo.”
“Certo, bene, l’abbiamo preso il giornale di bordo,” dissi. “Per quello che ci può essere utile.”
“Ma di tutta quell’altra roba non è successo niente,”
disse JJ. “Queste cose qui...” indicò ai pezzi singoli di
creta... sollevò un capo del foglio accuratamente intrecciato di pezzi connessi e di piccole costruzioni.
“Questo solo ammonta a meno di una singola giornata. Le creature sono state qui quasi tre giorni ormai.
Non si fa menzione di tutte le altre cose che sono
successe. E tenete bene a mente... le cose qua dentro sono quelle che sono rimaste, per quanto ci riguarda.”
Pensai che qualcuno doveva pur chiederlo così andava
benissimo che fossi io. “Cosa vuoi dire con ‘sono quelle che sono rimaste’?”
“Voglio dire che abbiamo visto la creatura togliere le
cose da questa scatola per tutto il tempo che è stata
qui, giusto?” annuii e vidi che Ed Brewster faceva lo
stesso. “E,” continuò JJ enfatizzando la parola, “ciò
che abbiamo qui, ora, è ciò che rappresenta cosa è
rimasto nella scatola dopo che ha rimosso le cose di
creta per quasi tre giorni, è una registrazione di quando sono arrivati all’inizio. La creatura ha tolto le cose
da sopra, l’ho osservata... e anche tu Derby; anche tu
Ed, e ha lasciato le cose in fondo completamente intatte. E queste cose registrano il loro arrivo.”
Ed e io sedevamo in silenzio, fissi su Jimmy-James.
Non avevo la minima idea di cosa dire ed era la stessa
cosa per Ed. JJ dovette capirlo perché iniziò a parlare
di nuovo senza darci la minima possibilità di fare un
commento.
“Derby, le creature... hai notato come sembri sempre
che si girino allontanandosi quando si va a parlare con
loro?”
Avevamo immaginato che la parte chiara della cima
del fungo funzionasse più o meno come il viso delle
cose. Ed era vero, ora che Jimmy-James lo diceva,
che le cose avevano sempre quella parte di loro voltata
ogni volta che ci avvicinavamo ad esse.
“E’ perché al momento in cui inizi a cercare di comunicare con loro, loro hanno appena finito di cercare di
fare la stessa cosa con te.”
“Mi sa tanto una cacata,” disse Ed. “Neppure Perry
Mason potrebbe far condannare qualcuno con queste
prove.”
“E avete notato come vi rivolgano il viso quando si allontanano? E’ perché, nel loro schema temporale, si
stanno avvicinando.”
Qualcosa di tutto ciò iniziava ad avere un senso per
me e JJ lo notò.
“E tutti abbiamo commentato il fatto di come il loro
atteggiamento verso di noi stia cambiando,” disse. “Tu
hai detto che hanno iniziato ad essere più lenti... più
cauti.”
“Sì, l’ho detto,” ricordai.
“Be’, stanno diventando più cauti perchè dove si trovano ora è quando sono appena arrivati. Quando li abbiamo visti per la prima volta era nel loro terzo o quarto
giorno di permanenza. Si erano abituati a noi allora...
adesso non lo sono ancora.”
“Va bene, va bene, ho sentito quello che stai dicendo,
JJ,” dissi. “Forse il tempo delle creature si sposta all’indietro, se è ciò che vuoi dire. Non lo capisco, ma in
fondo ci sono molte cose che non capisco. Quello che
mi lascia interdetto è perché ti ci riscaldi tanto. Tutto
sta andando per il meglio: li abbiamo visti ‘arrivare’,
che tu dici è quando se ne sono andati, e nel frattempo non è successo niente. Tutto ciò di cui ci dobbiamo
preoccupare è del nostro futuro che è il loro passato...
e se sono venuti da là e tutto è a posto...”
Vidi il viso di JJ che faceva delle smorfie come se avesse
appena succhiato un limone. Si sporse e tirò la scatola lungo il bordo del tavolo, sollevò un altro di quei puzzle
intrecciati di pezzi d’argilla multicolore. “Questo è il
diario precedente,” disse, “quello prima di quello che
hanno iniziato all’arrivo.
“Ricorderete che ho detto che c’era una frase nel diario di bordo dell’attuale nave sulla preoccupazione delle creature per aver in qualche modo creato la situazione che avevano trovato al loro arrivo?” Annuimmo
tutti e due. “Be’, questa situazione è spiegata con un
po’ più di dettagli nella registrazione precedente.” A
questo punto Jimmy-James tornò a sedersi sulla sedia e sembrò mandar giù il respiro.
“Benissimo: il giornale dice che stavano seguendo il
corso preso da una nave precedente, una nave che era
scomparsa molto tempo prima, quando sperimentarono una qualche specie di terribile tempesta spaziale
che non era mai stata registrata prima. Per un certo
periodo fu in dubbio la loro sopravvivenza, comunque
sopravvissero. Ma quando la tempesta si placò, non si
ritrovarono in nessun luogo che potessero riconoscere. Dopo qualche loro periodo di tempo (che, basandosi sulle informazioni limitate nel nuovo libro, dovrebbe
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
essere di un quarto di giornata, ora più ora meno) ci fu
un improvviso lampo di luce accecante e una grossa
esplosione. Quando controllarono i loro strumenti scoprirono che la loro nave stava per impattare con un
pianeta che sembrava essere apparso dal nulla.”
Ed apparve confuso. “Così questa esplosione si spense prima che toccassero il pianeta?”
JJ annuì.
“Non l’afferro,” disse Ed.
Dissi di lasciar finire Jimmy-James.
“Non c’era stato alcun pianeta là prima di allora,” disse
JJ. “Poi c’era. E quel pianeta era la Terra.
“Riuscirono appena ad evitare la collisione,” continuò
JJ, “e scesero sulla superficie del pianeta. Dopo aver
controllato le condizioni atmosferiche si prepararono
ad uscire. Il giornale di bordo finisce con essi che si
chiedono cosa vi troveranno.”
Mentre JJ parlava avevo trattenuto il fiato. Lo lasciai
andare con un lungo sospiro. “Sei sicuro?”
Il possessore della testa migliore di tutto il paese annuì tristemente.
“Ma tu pensi di essere sicuro?”
“Penso di essere sicuro, sì.”
“E hanno scoperto noi, giusto?”
“Giusto, Ed,” disse JJ. “Hanno scoperto noi.” Attese.
Ripensai a tutto ciò che avevo udito e sapevo che doveva esserci qualcosa che avrebbe dovuto preoccuparmi... ma non riuscivo proprio a immaginare cosa potesse essere. Poi mi colpì. “Il lampo accecante,” dissi. “Se prima di quel lampo accecante non c’era niente
e dopo c’era la Terra... allora, se il tempo delle creature si sposta all’indietro, e la loro versione del loro arrivo
è, o sarà, la nostra versione della loro partenza, ciò
significa che gli alieni distruggeranno il pianeta quando partiranno.”
JJ stava annuendo. “E’ come me l’immagino anch’io,”
disse.
Guardai verso Ed e lui guardò verso di me. “Che cosa
facciamo?” chiesi a JJ.
JJ si strinse nelle spalle. “Dobbiamo fermare la loro
partenza, in termini della nostra progressione temporale.”
“Ma nei termini della loro, vorrebbe dire fermare il loro
arrivo... e loro sono già qua.”
“Sì, questo è vero. Allo stesso modo, se facciamo qualcosa per fermarli (e io qua vedo solo un corso di eventi)
allora, di nuovo nel nostro tempo, loro non ‘arriveranno’
veramente... anche se, naturalmente, sono già arrivati
per quanto ci concerne. Ciò che facciamo è prevenire
la loro partenza nei nostri termini.”
Ed Brewster scosse la testa e si spinse fuori del divano fino a terra. “Gesù, mi sta venendo un diavolo di mal
di testa, qui,” disse. “Il loro arrivo è la nostra partenza... la loro partenza è il nostro arrivo... ma se non
fanno questo, come potrebbero fare quello... e in quanto
alla palindromia...” Si sollevò passandosi le mani tra i
capelli. “Mi sembra tutta una roba uscita fuori da Howdy
Doody. Che significa tutto questo? Come possiamo
giocare col tempo a questo modo? Come può qualcuno giocare col tempo in questa maniera?”
“Penso che potrebbe essere stata la tempesta
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spaziale,” disse JJ. “Penso che, forse, il loro tempo
progredisse normalmente nello stesso modo del nostro... anche se Albert Einstein ha detto che non dovremmo rimanere legati ai binari del tempo visto come
una progressione lineare a senso uni...”
“Gesù, Jimmy-James!” Urlò Ed, e JJ sobbalzò... gettando un’occhiata verso la camera da letto dei genitori
mentre noi tutti ci aspettavamo di sentire dei rumori di
persone che si avvicinavano per vedere il motivo di tanto rumore. “Gesù,” continuò Ed in un sussurro roco,
“Non riesco ad afferrare tutta questa roba. Dilla in parole semplici.”
“Benissimo,” disse JJ. “Immaginiamo una delle due
cose: o gli alieni sono sempre andati indietro nel tempo oppure no.
“Se accettiamo la prima opzione, allora dobbiamo chiederci come hanno trovato la strada per arrivare al nostro universo.”
“La tempesta spaziale?” Suggerii.”Penso di sì,” disse
JJ. “Se accettiamo la seconda opzione, quella che non
viaggiano normalmente indietro nel tempo, allora dobbiamo chiederci cosa potrebbe aver causato il cambiamento.” Guardò di nuovo verso di me e fece un
sorrisetto.
Annuii. “La tempesta spaziale.”
“E-satto! Così, in entrambi i casi, è tutta opera della
tempesta. Ma qualunque sia la causa, rimane il fatto
che sono qui e dobbiamo prevenire ciò che ha causato
l’esplosione, qualunque cosa essa sia.”
Rimanemmo quasi un minuto seduti a considerare il
fatto. Non mi piaceva il suono di ciò che avevo udito,
ma mi piaceva molto meno il suono del silenzio che
era seguito. Guardai Ed. Neppure lui appariva molto
contento. “E allora come facciamo, JJ?” chiesi.
JJ si strinse nelle spalle. “Dobbiamo ucciderli... ucciderli tutti,” disse. Tirò fuori dalla scatola ormai quasi
vuota che tutti riconoscevamo come il giornale di bordo dell’attuale nave le poche costruzioni simili a pizzo
di argilla intrecciata. “E dobbiamo farlo stanotte.”
Non ricordo realmente come radunammo la gente quella
notte. E non ricordo di essere stato ad ascoltare JJ
che raccontava più e più volte la sua storia. Ma c’è da
dire che lo fece e che la gente fu raggruppata, C’ero io,
lo sceriffo Ben, Ed, Abel, Jerry e lo stesso JimmyJames Bannister. Uscimmo in silenzio fino alla nave
spaziale e non fummo per niente sorpresi di vedere dei
deboli fili di vapore che uscivano dai fianchi o che la
piattaforma era alzata per la prima volta da... be’, per
la prima volta negli ultimi tre giorni. Come la piattaforma si abbassò, lentamente, sul terreno polveroso della zona abbandonata al di là della sala da biliardo di
Bill e Ma, sentii JJ che chiamava il mio nome.
“Derby...”
Mi voltai e lui sollevò il fucile, poi annuì verso gli altri
che stavano lungo Sycamore Street, tutti portavano una
cosa o l’altra. “Strumenti,” disse.
Ormai era troppo tardi. I giochi erano fatti.
Appena apparvero iniziammo a sparare. Ci spostammo in avanti come un’unica massa, vigilanti, sparando
e ripulendo, sparando e ripulendo. Le creature non
seppero mai cosa le colpì. Si piegavano semplicemente
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mappe dello spazio/tempo
e cadevano a terra, alcune all’interno della nave e altre
su Sycamore Street. Quando furono morte, lo sceriffo
Ben andò da ognuna a piazzargli un paio di proiettili
nella testa con la pistola.
Noi continuammo nella nave e finimmo l’opera.
Ce n’erano sedici. Rastrellammo la nave da cima a
fondo come in preda alla febbre, una frenesia omicida
distruttiva, tirando fuori pezzi di schiuma e buttandoli
sulla strada... allo stesso modo in cui si potrebbero
tirar fuori i cavi dalla parte di dietro di una radio per
fargli smettere di suonare musica da ballo. Dio!, ma
eravamo impauriti.
Quando sorse il sole, rimettemmo gli alieni dentro la
nave e inzuppammo il tutto di benzina. Poi ci accostammo un fiammifero. Bruciò in modo tranquillo, come
avremmo dovuto aspettarci da un qualsiasi veicolo
manovrato da creature così gentili. Bruciò per giorni e
notti. Quando smise caricammo i resti sul camion a
pianale di Vince Waldon e li portammo fino al Darien
Lake. La barriera (o il ‘campo di forza’, come la chiamava JJ) era scomparsa. Le cose erano tornate più o
meno alla normalità. Per un po’.
Risultò poi che JJ aveva trovato altri di quei giornali di
bordo quella notte, quando tutti noi rompevamo e distruggevamo. Risultò che li aveva portati via di nascosto dalla nave e li aveva messi al sicuro per poterli
recuperare in seguito. Non lo scoprii subito.
Venne a casa mia circa una settimana dopo.
“Derby, dobbiamo parlare,” disse.
“Di che cosa?”
“Degli alieni.”
“Oh, per l’amor di Dio, io...” stavo per dirgli che non
sopportavo di parlare più di quelle creature, non riuscivo a sopportare di pensare a quello che gli avevamo
fatto. Ma la sua faccia aveva un tale bisogno di conversazione che mi fermai quasi subito. “Che c’è da dire
sugli alieni?” chiesi.
Fu allora che Jimmy-James mi disse di aver preso i
vecchi diari da dentro la nave.
Camminando lungo Sycamore, mi disse, “Hai mai pensato a quello che abbiamo fatto?”
Feci un grugnito.
“No, non al fatto che abbiamo sparato agli alieni... ma
sul come abbiamo cambiato il loro passato.” Qualcuno aveva lasciato una bottiglia di soda sul marciapiede
e JJ la calciò con calma nella cunetta. Il rumore che
fece, comunque, fece partire l’abbaiare di un cane e io
cercai di localizzarne il suono, ma non ci riuscii. Sembrava comunque che si adattasse quella mescolanza
di un cane solitario che abbaia e della notte e del discutere degli alieni... come se tutto fosse correlato.
“Voglio dire,” continuò JJ, “abbiamo cambiato il nostro
futuro... il che va bene: tutti possono farlo, ma in realtà
abbiamo cambiato delle cose che, per quanto riguardava loro, erano già accadute. Ci hai pensato a questo?”
“Per niente.” Camminammo in silenzio per quasi un
minuto, poi chiesi, “E tu?”
“Un po’, all’inizio. Poi, quando ho letto i diari, ci ho
pensato un sacco.” Si fermò e si volse verso di me. “Ti
ricordi del diario quello grosso, della scatola piena?
Quello che finiva con i dettagli dell’esplosione?”
Non dissi nulla, ma sapevo di cosa stesse parlando.
“Sono andato più a fondo sui dettagli sulla nave scomparsa... quella che era andata perduta. L’ultimo messaggio che hanno ricevuto da quest’altra nave veniva
dalle stesse coordinate.”
“E allora?”
Si strinse nelle spalle. “Il messaggio diceva che stavano avanzando quando hanno notato di colpo un pianeta che prima non c’era.”
“Pensi che mi vada di ascoltare tutto questo?”
“Penso che la Terra sia destinata alla distruzione. Gli
alieni realizzeranno una qualche specie di piano
cosmico.”
“JJ, incominci a perdermi.”
“Certo, incomincio a perdere me stesso,” disse con
una risatina. Ma non c’era nessun umorismo. “Quest’altra nave, la prima, quella di cui parla il diario... ho
calcolato che è circa quaranta anni nel loro passato.
O nel nostro futuro.”
Gli afferrai il braccio e lo feci voltare. “Vuoi dire che ci
sono altre di quelle cose in arrivo?”
JJ annuì. “Nel giro di quarant’anni, più o meno. E si
ritroveranno in questa sezione di universo e BOOM!...”
Sbatté le mani rumorosamente. “-Ehi, capitano,-” fece
JJ con un accento che suonava vagamente straniero,
“-c’è un pianeta laggiù!- E non c’è nessuna bambola
kewpie per indovinare il nome di quel pianeta.”
“Così, se anche loro si stanno spostando all’indietro...
allora questo vuol dire che ci distruggeranno.” Il cane
abbaiò di nuovo da qualche parte in alto alla nostra
destra.
“Sicuro. Ma se gli alieni che abbiamo appena ucciso
stavano per fare il lavoro, come potrebbero averlo fatto
anche gli altri?”
“Un altro pianeta?”
JJ scosse la testa. “Le coordinate apparivano abbastanza specifiche... per quanto potessi capirci. E qui
c’è un altro problema.”
“Cos’è?”
“I diari sono andati. Si sono liquefatti... trasformati in
poltiglia.”
“Tutti?”
“Ogni pezzetto. Ma era della Terra che stavano parlando. Ci scommetto la mia vita... diavolo, ci scommetterei perfino la tua.”
Fu allora che realizzai appieno quanto amico realmente fosse Jimmy-James Bannister. Dava un valore molto più grande alla mia vita che alla sua.
“Il che vuol dire, naturalmente,” disse JJ, “che saremmo destinati a fermare gli alieni come abbiamo già fatto.”
“Vorrebbe dire che dobbiamo farlo?”
“A me pare così.” Mi fissò e deve aver visto che mi
rilassavo un po’. “Ti fa sentire meglio?”
“Un po’.”
“Anche a me.”
“Che cos’è? Che cos’è che causa la distruzione?”
“Ehi, se lo avessi saputo... Come la penso io è che
forse stanno in qualche modo incurvandosi attraverso
lo spazio... una specie di cessione di materia. Le rivi-
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mappe dello spazio/tempo
ste hanno parlato di questo genere di cose per anni: li
chiamano imbuti neri o qualcosa del genere.
“Ma forse stanno incurvandosi anche attraverso delle
progressioni temporali... senza neppure realizzare che
lo stanno facendo. Poi, appena appaiono nella nostra
dimensione o nel nostro piano, un qualcosa che opera
su una diversa progressione temporale... è come una
reazione chimica e...”
Battei le mani. “Lo so,” dissi. “BOOM!”
“Giusto.”
“E allora che faremo?”
“In questo momento? Niente. In questo momento il
bilanciamento è stato ripristinato. Ma il paradosso si
ripeterà... attorno al 2003, 2004.” Mi sorrise. “Più o
meno.”
Continuammo a camminare e a parlare ma questo è
tutto ciò che posso ricordare di quella notte.
Il giorno dopo, o forse quello dopo ancora, lo dicemmo
a Ed Brewster. E facemmo un patto tra noi.
Non potevamo permetterci di dire a qualcuno cosa era
successo. Chi ci avrebbe creduto? Dov’erano le pro-
ve? Qualche scatola di fango? Potevamo scordarcelo.
E se avessimo mostrato loro la roba annerita in fondo
al Darien Lake... be’, era solo un ammasso di roba
annerita sul fondo di un lago.
Ma c’era un’altra ragione per cui non volevamo raccontare a nessuno al di fuori di Forest Plains ciò che avevamo fatto. Proprio come nessun altro in paese desiderava dirlo a qualcun altro. Ci vergognavamo.
Così facemmo un patto. Avremmo tenuto gli occhi aperti, avremmo guardato i cieli, come dice il giornalista
nel film La cosa...
E quando sarebbe successo qualcosa, avremmo saputo cosa fare.
Quello che realmente mi colpisce, ancora, dopo tutto
questo tempo, non è il fatto che ci sia da qualche parte un gruppo di alieni che forse è diretto verso un incontro disastroso con la Terra... ma che là, nel loro
pianeta o nella loro dimensione, ci sia un altro gruppetto
di creature che sta ascoltando i loro messaggi... un
gruppetto che abbiamo ucciso nelle strade di Forest
Plains 40 anni fa.
© Peter Crowther, 1999
titolo originale, Palindromic
apparso originariamente in Martin H. GREENBERG, Larry SEGRIFF (a cura di), First Contact
[Primo contatto, Grandi Opere Nord 32, Editrice Nord, Milano, col titolo Palindromia, tr. Luca Landoni]
ristampato on-line in infinity plus
tr. ital. Danilo Santoni
Peter Crowther
Autore inglese che oltre ad aver scritto una lunga serie di opere brevi ha curato antologie di autore vario molto
importanti.
In collaborazione con James Lovegrove ha scritto anche il romanzo Escardy Gap, accolto con favore dalla critica e
dal pubblico.
Oltre alla produzione come curatore, per la quale si rimanda alla bibliografia nella bellissima homepage (http://
www.horrornet.com/crowbiblio.htm) dell’autore, le opere da lui pubblicate comprendono:
·
The Longest Single Note (and Other Strange Compositions) (http://www.cemeterydance.com/html/
crowther.html)
Ventidue racconti, tre poesie ed un estratto da un romanzo
·
Escardy Gap
Un vecchio romanziere di successi letterari si ritrova con il blocco dello scrittore, fino a che non inizia a
scrivere dell’arrivo di un misterioso treno in un villaggio idilliaco, Escardy Gap. Il treno è occupato da una
gruppo di demoni, The Company, e la situazione tende a sfuggire di mano allo scrittore.
Il romanzo che è stato paragonato ad un incrocio tra Sthephen King e Ray Bradbury ha uno stile poetico e
gli autori fanno uso di una prosa fluente per descrivere la vita di una piccola città dell’America rurale.
·
Fugue On a G-String (http://www.horrornet.com/pcfugue.htm)
·
Forest Plains
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
gliaia di miliardi in ogni secondo,
Se non altro spiega un sacco di
migliaia di miliardi di migliaia di
cose.
miliardi. Gli universi si biforchePer quelli che hanno una educaranno e ri-biforcheranno e biforzione tecnica in fisica sembra che
cheranno ancora , prendendo ogni
l’interpretazione Everett-Wheelercorso immaginabile possibile.
Graham dell’indeterminazione
Giudicando all’ingrosso che l’uniquantistica una volta fatte poche
verso ha dieci miliardi di anni, il
aggiunte si possa dimostrare corGreg Knauss
numero degli universi interamenretta. Per quelli che questa edute separati va oltre l’immaginaziocazione non ce l’hanno occorre
ne umana. La quantità è inconcepibile.
una piccola spiegazione.
La fisica, da qualche anno a questa parte ha avuto un Suppongo sia ovvio che alla fine viene a mancare lo spaproblema centrale: che c’è di sbagliato nella meccanica zio.
quantistica? La meccanica quantistica è un metodo per
calcolare i valori a livello atomico e sub-atomico, un po’ Se questi atomi, comunque, fossero capaci di duplicarsi,
come la meccanica newtoniana si può usare per calcola- secondo la linea Everett-Wheeler-Graham, il barattolo inre valori su scala più ampia. Le formule newtoniane pos- comincerebbe lentamente a diventare affollato. Collisioni
sono predire dove cadrà un sasso se qualcuno lo butta con universi divergenti spiegano un bel po’ quello che
per aria, le formule quantistiche cercano di fare la stessa stiamo vedendo.
Naturalmente queste collisioni diventeranno più frequencosa per gli atomi.
Ma non ha mai funzionato in modo giusto. La fisica ti e la pressione alla fine inizierà a salire. Come si vengonewtoniana, la fisica del mondo reale, esce fuori sempre no a creare altri atomi, alla fine l’idrogeno liquido (lo Stato
con una specifica risposta... potrebbe non essere la ri- Liquido) si condenserebbe dai gas sempre più affollati.
sposta giusta, diciamo, se si è dimenticato qualche fatto- Le collisioni diventerebbero innumerevoli, quasi costanti.
re o si è letto male qualche misura, ma è pur sempre una Ed è quello che ci sta accadendo. Non voglio dire che io
risposta unica. La fisica quantistica, invece, produce sem- sappia cosa sia il barattolo ( Tornton Wilder probabilmenpre più di una risposta e TUTTE sono tecnicamente e te lo chiamerebbe “la Mente di Dio”) ma io penso che le
matematicamente corrette. Viene chiamata “indetermina- collisioni non abbiano luogo fisicamente, almeno non
tezza”. Newton dice che il sasso cadrà QUI, la meccanica nelle tre dimensioni più basse. Non c’è nessun tonfo del
nostro universo che va a finire dentro ad un altro.
quantistica dice che il sasso cadrà QUI e QUI e QUI.
Gli universi sembrano “picchiarsi l’un l’altro leggermente
Questo, naturalmente è impossibile.
Nel mondo reale non puoi avere più di una risposta. Non (forse c’è qualche tipo di repulsione naturale o elasticità)
è una questione di gettare un sasso e stare a vedere e avviene soltanto u piccolo scambio. Parti dell’altro unidove cadrà. Le formule già forniscono una risposta, e verso si spruzzano sul nostro e parti del nostro si rovesciano in esso, seguendo qualche conservazione del
solo una. Fine.
Schrödinger venne fuori col suo gatto famoso per cercare momentum sovradimensionale, come bolle gigantesche
di illustrare il problema. Immaginiamo: c’è una scatola, di latte.
senza buchi o finestre, che contiene un gatto. Il gatto è
collegato a qualche congegno letale (mi è sempre pia- In termini pratici che vuol dire? Se non altro spiega molto.
ciuto pensare a una ghigliottina, ma Schrödinger ha usa- Spiega Gesù che esce dalla tomba, per esempio. Diciato un gas velenoso) che può scattare da qualche evento mo, tre giorni dopo la sua crocifissione c’è stata una collisione di uno Stato di Gas rari con un universo dove non
quantistico.
Ora, dopo uno specifico lasso di tempo, il gatto è morto? era stato ucciso, e il Cristo è stato buttato nel nostro monLa meccanica quantistica ci fornirà un certo numero di do..
risposte, una delle quali potrebbe dire che il gatto è stato Spiega cosa successe a un libro di spagnolo che scomucciso, un’altra che non lo è stato. Così, senza aprire la parve dal mio armadietto alle superiori.
scatola, il gatto è vivo o morto? Schrödinger dice che è Spiega cosa succede alle chiavi della macchina di ognututte e due le cose (un’affermazione ovviamente falsa) no di noi, e a quel calzino che manca sempre nella lavasemplicemente per sottolineare che la meccanica trice.
Spiega Atlantide e Big Foot e il mostro di Loch Ness e gli
quantistica ha una lacuna in ciò.
Ci sono state molte spiegazioni su ciò che succedeva. unicorni e ogni altro mito o leggenda nel mondo.
Einstein ha avuto la Variante Nascosta, Von Neumann e Spiega perché c’è un altro me stesso, molto vicino ad un
Finkelstein hanno avuto la Logica Quantistica, Bohr ha esatto duplicato per quanto posso vedere, seduto in cuciavuto l’Interpretazione di Copenhagen, Walker e Herbert na che si ingozza di banane. Abbiamo parlato per un bel
hanno avuto la Nonlocalità della Coscienza, Sarfatti ha po’ ieri sera, dopo che mi era apparso in bagno, e l’unica
avuto la Nonlocalità dell’Informazione. Erano tutti tentativi differenza evidente che abbiamo trovato tra i nostri univerdi rettificare quanto prediceva la meccanica quantistica si era che nel suo le banane non si sono mai evolute.
con ciò che realmente accadeva, modi di guardare al- Qualche evento quantistico , indietro nel passato, prevenl’universo per farlo combaciare con le risposte ne quel qualcosa che alla fine divenne banane dal mutare in un certo modo. Lui (l’altro me) le ama e ne ha manquantistiche.
Come appare, gli eventi hanno provato che i dottori Everett, giate più di tre dozzine da quanto ne so.
Wheeler e Graham erano nel giusto. Il loro modello sug- Ora che gli universi stanno condensando nello Stato Ligeriva, forse un po’ fantasiosamente, che per ogni inde- quido vedremo un sacco di altre cose di questo tipo. Mi
terminatezza (ogni gatto di Schrödinger) si crea un univer- chiedo quanto a lungo reggerà ogni ordine sociale. In
so interamente nuovo, esattamente uguale al primo tran- qualche modo dubito che la gente si preoccuperebbe
ne che per quel singolo avvenimento quantistico. In un molto della legge se sapesse che tutto ciò che sanno per
certo possa cessare di esistere ad ogni momento.
universo il gatto sarà morto, nell’altro sarà vivo.
Naturalmente di avvenimenti quantistici ne accadono mi- E mi chiedo quanto manchi allo Stato Solido.
La scimmia di
Schrödinger
© 2001 Greg Knauss, tit.orig. Schrödinger’s Monkey, tr.it. Danilo Santoni
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mappe dello spazio/tempo
Queste cose le scrivo nel linveva essere un’area di spazio
guaggio umano. Il fatto stesso
insolita con designazione amche scriva nel loro linguaggio la
masso del Presepio. I telescopi
dice lunga su quanto in basso io
a gravità degli umani vi mostrasia caduto.
vano della massa, ma i loro teChe timra c’è nel mettere per
lescopi ottici non mostravano
iscritto i fatti di altri, geroglifici neri
niente. Calcolavano che la priGeoffrey A. Landis
incisi al laser su sottili rettangoli
maria dell’ammasso fosse un
bianchi? Non è il nostro metodo.
oggetto ad alta densità, forse un
Il vero popolo non fa altro che Illustrazioni di Fabio Germanà buco nero. Gli umani, come
condividere direttamente, respisempre curiosi per sommi capi
rare nell’aria della nostra comunione di branco, condi- rispetto a qualsiasi cosa pensino sia inusuale, desidevidere i propri suoli e lasciar fondere le nostre espe- ravano sganciare stazioni scientifiche nel sistema per
rienze, senza interpretazione, senza parole.
investigare ulteriormente.
Ma i grandi padri-branco ci hanno istruito ad abbrac- Attraverso il grosso boccaporto vedevo solo il vuoto
ciare la differenza, a radicare con gli stranieri per far dello spazio, punteggiato di stelle lontane. Il capitano
crescere rigoglioso il nostro seme. L’universo è grande della nave, Ringelman, si trovava col tecnico Varju nele noi siamo piccoli, se abbiamo paura del cambiamento la nostra stazione.
saremo distrutti, ci hanno detto i padri-branco, e così Varju era il membro di una specie che non aveva alcun
sono stato inviato per attraversare l’universo in compa- nome per se stessi fino a che gli umani non li chiamagnia di predatori dallo strano odore e con delle forme rono gli strisciati, nome che faceva riferimento ad una
strane. Ho finito con l’adottare i loro modi, col pensare coloritura superficiale grigio-violetto invisibile al mio
i loro pensieri e con lo svolgere le loro azioni.
spettro visivo. Era l’unico altro non umano sulla nave.
Ma a capirli non ci riesco.
Per me Varju appariva quasi come un umano, con due
gambe poco più lunghe di quelle degli umani, due bracLa nave degli umani viaggia a velocità inimmaginabili. cia e un segno infrarosso sui tre-dieci celsius che pulLa loro curiosità è fremente, intensa ma transitoria, sava caldo e freddo col ritmo sincopato di un cuore a
scattano da un luogo ad un altro come insetti tre camere. La sua razza era stata incontrata dagli
impollinatori, sempre sostando ma mai fermandosi a umani circa due secoli prima che gli umani incontrasconoscere un qualsiasi posto nella sua completezza. sero noi e si erano assimilati agli umani velocemente
Io ho visto meraviglie senza fine, alcune minacciose, ed interamente, in maniera così completa che pensaaltre inermi. Non hanno alcun senso del branco, nes- vo a lui come ad un altro umano, solo leggermente
sun altro senso della sopravvivenza della specie al di diverso dagli altri nella forma e nelle dimensioni. Anlà di se stessi. Temo che un giorno in tutta innocenza che il pronome che aveva scelto di usare, lui, lo faceva
sveglieranno qualcosa molto più grande di loro che li come emulatore degli umani, anche se non era della
distruggerà senza neppure che riescano a capire il loro casta d’inseminazione. Il suo branco veniva da una
pericolo. In precedenza avrei detto che non sarebbero stella ancor più lontana dal branco madre della stella
riusciti a concepire una tale minaccia. Ma ora ho visto, degli umani e così la sua gente e la nostra non si eraho visto che comprendono la minaccia, l’abbracciano no mai incontrate, tranne che sulle navi umane. Non
perfino. A dir la verità sembra che accettino la distru- erano per noi né predatori né prede. Varju ed io mantezione della specie. Abbracciano l’alieno.
nevamo un rapporto distante ma cordiale.
Pensavo di capirli. Ora temo di non riuscirci.
“La primaria di questo sistema è senza dubbio un buco
nero,” disse Varju. Come gli umani anche la sua gente
Torri è il nome che ho preso tra gli umani. Sono sillabe perseguiva la conoscenza ai soli fini della conoscenche sono facili da pronunciare per loro, senza alcun za, usando la curiosità metodica che chiamano sciensignificato nel loro linguaggio. Nella vera lingua si avvi- za e divertendosi spesso a mettere in mostra ciò che
cina nella pronuncia alla parola che indica ‘solo’.
conoscevano. “Non si rintraccia nessun disco di acCity of Anchorage è una nave della curiosità umana, e crescimento attorno all’orizzonte degli eventi. Potrebil mio compito consiste nello stare a bordo ad osser- be essere un indizio di grande età.”
varli. City of Anchorage è stata allo stesso tempo una “Meglio non andare troppo vicino,” disse il pilota della
grossa nave e molte altre piccole. Il nucleo nostra stazione. Era un’umana di nome Stakowski. Era
meccanizzato traghetta con essa le stazioni scientifi- sempre in servizio, ma quando la stazione era ancorache, ognuna di esse una piccola nave. Lascia andare ta al nucleo della nave non aveva impegni primari ed
queste stazioni per raccogliere dati nei luoghi di inte- era possibile trovarla o al livello scientifico o nel suo
resse sulle superfici planetarie o in orbita in prossimità guscio di pilotaggio. “Sono cose che hanno la cattiva
di siti astrofisici, poi torna a svanire nella topologia in- reputazione di inghiottire le navi.”
visibile della spazio FTL.
“I buchi neri sono oggetti astrofisici piuttosto affasciSei stazioni sono state sganciate. La stazione con cui nanti,” disse Varju. I viticci dietro al collo si arrotolavasono osservatore era la successiva. Come nome ave- no e si srotolavano lentamente mentre parlava. “Se si
va Anchorage Station Seven, ma gli umani si riferivano riuscisse ad avvicinare l’orizzonte degli eventi di un buco
ad essa solo con il nome Igloo. La nostra discesa do- nero, il tempo rallenterebbe. All’interno dell’orizzonte
Abbracciando
L’Alieno
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
degli eventi, stando alla teoria, il
tempo e lo spazio invertono i propri ruoli.”
“Tutto quello che so io,” disse il
pilota, “è che non vorrei essere
quella che prova la cosa.”
“Potete puntarci un telescopio?”
chiese il Capitano Ringelman.
Io lo vedevo chiaramente e per un
attimo mi sorprese che gli umani
non ci riuscissero. “E’ proprio là,”
dissi.
“Non vedo niente,” disse lei.
“Sarebbe più visibile se riusciste a
vedere nello spettro infrarosso,” dissi con un leggero
tono di scusa, in quanto gli umani non vedono molto
bene oltre ad un stretto spettro e non amano che gli
venga ricordato. Varju si volse verso lo schermo di visione dietro di lui e parlò al computer. “Spettro infrarosso centro cinque micron compressione tre...” una pallida sbavatura divenne visibile nel centro dello schermo del computer mentre Varju continuava senza pausa “...magnificazione dieci, contrasto più dieci.” La
sbavatura pallida si allargò fino a riempire la maggior
parte dello schermo, mostrando un disco nero con una
corona rosso scuro attorno ad esso, simile al sole degli
umani coperto dalla loro grossa luna.
“Cos’è che stiamo vedendo?” chiese il pilota.
Varju rispose con un’aria distante e distratta. “State
vedendo il calore del gas interstellare mentre cade nel
buco nero.”
Una forma ondeggiante blu rossastra iniziò a luccicare
nel bordo del disco. Varju aggrottò le ciglia, un movimento facciale che apparentemente aveva imparato dagli
umani, anche se senza una pelle flessibile sul suo
viso il gesto mi appariva più come un segno di guerra.
“Qualcosa sta accadendo sull’orizzonte degli eventi.”
“Che cos’è?” chiese il capitano.
Varju appariva perplesso e un po’ intimorito. I viticci sul
collo erano tutti ritti. “Non lo so.”
Guardai fuori dell’oblò e vidi... qualcosa. Chiusi gli infraocchi, poi gli occhi cromatici ma non riuscivo a decifrare ciò che vedevo. Potevo anche sentirlo, come un
campo elettrostatico che mutava lentamente. “I miei
organi sensoriali raccolgono qualcosa. Un’energia di
qualche tipo.”
“Bene,” disse il capitano. Sorrideva. “Avete qualcosa
da investigare. Si prepari a far scendere la stazione.”
Il capitano mi fece scendere a cercare Jared Brown, il
suo primo ufficiale e il comandante della nostra stazione. Il suo nome era stato citato per avere un sovratono
divertente, dato che il nome era in opposizione alla
colorazione della sua pelle. Una sottigliezza umana
quasi invisibile contro il bagliore infrarosso della loro
temperatura corporea, ma fu spiegato che una chiarezza del pigmento della pelle era abbastanza inusuale.
Era fuori turno anche se non ancora nel suo orario di
sonno.
Il nucleo della nave umana è più grande di quanto sia
necessario, con stanze intere dedicate ad attività spe-
cializzate per la socializzazione. Lo trovai in mensa
che sorseggiava una mistura di etanolo e acqua. E’
una combinazione chimica velenosa per noi, ma necessaria alle funzioni di metabolismo in alcuni, ma non
tutti, gli umani. Stava seduto ad un tavolo con un visore
personale divertendosi con un qualche tipo di immagini bi-dimensionali. Qualcun altro, una donna, era entrato proprio prima di me. La conoscevo, lei e Brown
avevano fatto una danza di corteggiamento per molti
giorni. Il capitano non aveva specificato l’urgenza così
afferrai l’opportunità di osservare gli umani, la mia missione principale.
Lei aveva posato la testa sulle proprie mani e l’osservava in silenzio. Dopo un momento lui sollevò lo sguardo. Non potevo interpretare la sua espressione.
Apparentemente lei riusciva a farlo. “Sembri.. triste?”
disse. “Malinconico?”
“Solo un po’ di nostalgia, credo.” Sospirò..
“Ti va di parlare?”
In silenzio Brown girò il visore in modo che lei potesse
vedere le fotografie. “Ricordi del college.”
“Amici?”
“Qualcuno che conoscevo.”
“Ah,” il tono di lei era neutro in modo studiato. “Come ti
è venuta in mente ora?”
“Il buco nero,” disse. “Il fatto che siamo così vicini ad
uno di essi mi ha fatto ricordare di lei. Stava sul Beagle
quando è entrato nel sistema Cygnus X-1.”
“Ah,” disse. Il disastro del Cygnus X-1 era ben noto a
tutti noi dello spazio, lo conoscevo anch’io. Non c’era
bisogno che dicesse altro.
“E’ morta come voleva vivere, facendo il lavoro che
amava,” disse. Scosse la testa e sorrise. “Proprio fortunata, eh? Quanti di noi riescono ad avere una possibilità del genere? Mi è stato detto che il suo rapporto
preliminare su Cygnus X-1 sia ancora un classico nel
campo.” Fece una pausa. “Aveva proprio un grosso
talento per la fisica. Sarebbe potuta...” Brown si fermò
di nuovo, in cerca delle parole. “Non lo so. Aveva un
tale talento, un potenziale così grande. Ma non riuscì
mai ad avere una vera possibilità per vedere dove l’avrebbe potuta condurre.”
Scosse la testa e sollevò la bevanda. “Forse è meglio
così. Forse è meglio morire giovani, senza essere ancora delusi. Mi era stato offerto un posto sul Beagle.
Se le cose fossero state diverse, ci sarei potuto essere sopra anch’io.”
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mappe dello spazio/tempo
“Pensi che avresti potuto cambiare qualcosa?”
“Salvare la spedizione? No di certo. Sarei potuto morire con lei.”
Si fecero silenziosi per un momento e considerai che
fosse il momento appropriato per annunciare la mia
presenza.
Brown alzò lo sguardo. “Mi spiace. Mi cercavate?”
“Siamo pronti a scendere appena potete. Il capitano vi
vuole sul ponte.”
Si sollevò. “Bene, bene. Le dica che sono per strada.”
C’eravamo solo noi quattro nella stazione a prepararci
per la discesa: Brown, ora comandante della stazione, io e
Varju e Stakowski nel suo guscio
di pilotaggio. Il nostro peso crollò mentre la City of Anchorage
rallentò la rotazione e poi di colpo la nota bassa della stazione
che permeava tutto cambiò di timbro. Ci eravamo separati dal nocciolo della nave. Il nostro pilota
stabilizzò la stazione e nello
schermo osservammo la rotazione del nocciolo della nave. Brown
controllò le funzioni, io e Varju
controllammo Brown e, di sicuro, Stakowski fece i suoi controlli
personali. Ci trovavamo in orbita
e perfettamente funzionanti.
Brown prese la radio. “E’ bello
da qua, gente. Ci vediamo fra
due settimane. Non fate tardi, mi
raccomando.”
“Ci saremo,” fu la risposta. “Fate
un buon lavoro.”
E di colpo la City of Anchorage
luccicò e scomparve.
Eravamo soli.
Osservai il buco nero nell’oblò. Non avevo nessun compito che richiedesse un’azione immediata e rimasi ad
osservarlo, affascinato, mentre Brown e Varju mettevano in ordine gli strumenti di osservazione. Sembrava
che oscillasse leggermente nella forma, i poli da schiacciati si facevano allungati e viceversa e ad ogni orbita il
nodo di energia turbinante sul bordo dell’orizzonte degli eventi sembrava essere più luminoso che mai. E
continuava ad aumentare.
Di colpo realizzai che non è che si facesse più luminoso, ma più vicino. Si avvicinava alla stazione orbitante.
Forse era a causa dei motori a velocità maggiore della
luce. E possibile che una nuvola di gas attacchi una
nave? Non lo so. Gli altri riuscivano a vederlo? Non so
neppure questo.
Il pulsare basso e costante dei nostri motori si fermò
di colpo e il trillo di diversi allarmi risuonò per tutta la
stazione. Varju e Brown nuotavano sopra le loro
consolle. “Che cos’era quello?” Chiese Brown.
“Sovraccarico improvviso del sistema di potenza,” replicò il pilota. Si trovava alla consolle di un computer,
70
connessa a qualche routine diagnostica del sistema
elettrico della nave. “I sistemi di propulsione si sono
spenti automaticamente. Non scorgo nessun danno
visibile ai motori. Non emettono potenza, e basta.”
“Da che cosa è causata?”
Il pilota scosse la testa. “Non lo so. Proprio non lo so.
I sistemi di supporto vitale sono ancora operativi. Siamo a terra ma non siamo morti.” Si sciolse dal
seggiolino, si spinse via dal banco con una spinta a
spirale verso l’alto, si afferrò ad una barra e si spinse
testa in avanti dal guscio di pilotaggio.
“Varju,” chiese Brown. “Che succede?”
Varju si muoveva forsennatamente alla sua stazione, passando lo schermo da una camera all’altra con una velocità
tale che non riuscivo neppure
a riconoscere le immagini.
Scosse la testa, un altro gesto imparato dagli umani. “Nessuna informazione.”
“Qualche segno di vita?”
“Negativo,” disse Varju. “A
meno che non sia vivo lo stesso campo di energia.” Fece
una pausa, poi continuò in
modo lento. “Una forma di vita
che si sia evoluta attorno ad
un buco nero sarebbe molto
diversa da qualsiasi cosa conosciamo.Avrebbero percezioni molto diverse dello spazio e
del tempo.”
“C’è qualcosa alla radio?”
“No.”
“Trasmettiamo.” Attese che
mettessi in linea l’antenna ad
alto guadagno. “Pronto? Benissimo. Qui è Jared Brown
dalla stazione terrestre Igloo. C’è qualcuno?”
“Niente.” Mi fece sorridere il fatto che sembrava che si
aspettasse che questa cosa, un migliaio di anni luce
dal suo pianeta natale, parlasse e capisse l’inglese.
“Varju? C’è niente?”
“Un alto flusso gravitazionale nel campo d’energia, una
dimostrazione di schemi di flusso inusuale. Un legante coesivo di uno stato di bassa entropia... signore,
questo campo di energia potrebbe mostrare segni di
vita intelligente.”
“Provi un’altra frequenza. Provi diverse frequenze,”
Brown attese mentre Varju rattoppava il sistema.
“C’è nessuno? Abbiamo dei problemi. C’è nessuno?”
Una voce parlò di colpo. L’intonazione era insolita, ma
era facilmente comprensibile. Era un linguaggio umano, l’inglese.
“Umano Brown. E’ stranamente bello vederti ancora
una volta.”
Riconobbi di colpo la voce. I suoni armonici erano differenti, ma il ritmo era identico a quello della voce del
primo ufficiale.
“Si identifichi. Come fa a conoscermi.”
Lavorando furiosamente Varju mise qualcosa sullo
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
schermo, forse la traccia visiva dal segnale radio. Sullo schermo appariva come un intreccio complesso di
luce colorata circondato da un’aurea luminosa che
ondeggiava freneticamente.
“I nomi per me hanno scarso significato,” disse la voce.
“Chiamami... colui che sta fuori. O, forse, colui che
ama la vita.”
“Ci ha danneggiati,” disse Brown.
“Non credo che realizziate esattamente in che pericolo vi troviate.”
“Siamo pienamente coscienti dei pericoli dei buchi neri,
grazie. Non abbiamo alcuna intenzione di avvicinarci
molto.”
“Sta qui il pericolo.” Sorprendentemente la voce rideva.
“No, Ufficiale Brown. Non sto facendo altro che terminare ciò che avete iniziato molto tempo fa. Chiamatelo... darvi un’opportunità.”
Il pilota Stakowski si trovava nel suo guscio di pilotaggio,
ma col portello del boccaporto aperto sulla zona scientifica. Osservava le consolle. “Potremmo avere dei problemi qui,” urlò. “L’orizzonte degli eventi del buco nero
oscilla e le oscillazioni possono crescere in ampiezza. Non dovrebbe accadere. Il campo gravitazionale
variabile sta trasformando in caotica la nostra orbita.”
Digitò la tastiera e scannò rapidamente lo schermo.
“La nostra eccentricità orbitale sta crescendo. E’ difficile da prevedere. Se la risonanza aumenta.........”
“Questo è impossibile,” disse Varju. “Nessuna forza
possibile può generare onde gravitazionali di potenza
capace a spostare l’orbita di una stazione di dieci milioni di chilogrammi. L’energia necessaria sarebbe enorme.”
A bassa voce, quasi a se stesso, Varju continuò, “...naturalmente se una forma di vita si è evoluta attorno ad
un buco nero, potrebbe controllare un’energia enorme.”
Brown si allungò per prendere la radio, ma era già troppo tardi. Potevo ora sentire il passaggio delle onde
gravitazionali, milioni di dita minuscole che allungavano lentamente e poi comprimevano i miei arti, i miei
organi interni.
La stazione fece un suono come quello di un generatore che va giù di giri e gli allarmi iniziarono a suonare
come iniziò a crescere la tensione sulla conchiglia strutturale della stazione.
“E’ troppo tardi,” disse Stakowski. La voce era calma e
professionale. “Su questa orbita la nostra periassi sfiora
l’orizzonte degli eventi e non riesco a mantenere accesi i motori. La stazione non ce la farà, saremo allungati come spaghetti. E’ questo...”
Il disco di oscurità si allungò; i confini dell’oscurità si
distorsero, tremolarono. Non c’era senso di movimento e pochissimo tempo per la paura. Avevo la sensazione di venire allungato e compresso allo stesso tempo e poi ci fu un improvviso scricchiolare duro e fulmineo
quando la nuvola di plasma si scaricò contro la stazione. I viticci dietro il collo di Varju si indurirono. La macchia di fronte a noi si allargò e poi di colpo la stazione
era altrove.
Sciami di granelli di polvere ionizzata brillavano attorno alla stazione, poi scomparvero. Nel visore c’era un
pianeta blu con nuvole bianche e continenti
irriconoscibili verdi e marroni contro il blu degli oceani.
Lontano era visibile una cometa che si stagliava contro le stelle.
“Che diavolo?” fece Brown.
“Impossibile,” mormorò Stakowski. Resettò tutti gli interruttori automatici di circuito e le luci e i pannelli di
controllo ritornarono in vita. “Impossibile....... a meno
che.......... no, è inconcepibile.” Stakowski e Varju discussero per un momento, con frasi veloci per me troppo
basse e tagliate da poterle seguire. Poi lei si volse
verso di noi e parlò di nuovo. “L’unico modo che posso
immaginare,” disse “è nelle onde gravitazionali. Sembra impossibile, ma un’onda gravitazionale potrebbe
aver cancellato esattamente la distorsione di marea
del campo gravitazionale proprio quando abbiamo sfiorato l’orizzonte degli eventi e ci ha evitato di essere
spaccati. In teoria è possibile, ma...” Fece una pausa.
“Be’, comunque è possibile in teoria.”
“Ma dove siamo?” chiese Brown.
Si strinse nelle spalle. “Potremmo essere dovunque.
In un campo gravitazionale come questo? Lo
spaziotempo è instabile.” Controllò i suoi strumenti.
“Una stella di tipo G due, sequenza principale. Sette
pianeti principali più asteroidi visibili, forse altri sull’altro lato della stella. Uno dei pianeti è un mondo delle
dimensioni della Terra con un’atmosfera di ossigenoazoto respirabile.”
Anche Varju era stato a controllare i suoi strumenti.
Guardò verso Brown. “Non posso calcolare la nostra
locazione galattica. Il computer non riesce a far coincidere gli schemi della stella coi segnalatori galattici
standard di riferimento. Cerco di iniziare una ricerca
estesa del data base.”
“Bene. Continua a cercare. Signor Torri, la... cosa
d’energia ci è venuta dietro?”
“No,” dissi.
“Nessuna potenza dei motori?”
“I motori funzionane benissimo,” disse il pilota. “Sono
tornati in linea come se non fossero mai stati fuori uso
quando ho resettato dopo che abbiamo colpito il buco.”
Non che questo potesse farci niente di buono. Solo la
nave madre aveva il motore FTL. Se non fossimo stati
là per essere raccolti...
“Bene,” disse Brown. Aprì un cannello da bevanda e
fece un lungo e lento sorso di etanolo diluito dalla scorta
che aveva portato con se a bordo. Sembrava che lo
calmasse. “Allora entriamo in orbita.”
Il pianeta era molto simile al nostro branco madre,
molto simile alla Terra degli umani, anche se le masse
terrestri erano strane, con continenti allungati che scavalcavano i poli nord e sud alternanti e continenti insulari nell’oceano che c’era in mezzo. Dietro ad esso
un’immensa cometa baluginava con l’incandescenza
della ionizzazione dell’ossidrile in un vento stellare.
Brown fissò fuori, “Quel pianeta,” disse, la voce appariva perplessa. “Qualcosa... appare stranamente familiare.”
Varju lo fissò con interesse. “Avete visto questo mondo in precedenza?”
Brown scosse lentamente la testa senza distogliere
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mappe dello spazio/tempo
gli occhi dal visore. “No. No. Ma comunque... qualcosa... il colore, le nuvole...”
“Signore?” disse il pilota Stakowski.
Scosse la testa come per liberarsi di tutto. “Sì?”
“Signore, c’è qualcos’altro di peculiare riguardo a questo sistema. Se osserva lo schermo...” Sfiorò la sua
tastiera. Un’immagine delle orbite dei vari oggetti nel
sistema solare apparve nello schermo principale. Cinque erano orbite paraboliche che originavano molto lontano dal sole. “Può vedere che attualmente ci sono
cinque comete nel sistema solare interno.
“E’ una situazione proprio insolita,” disse Varju. “Di solito
ci si aspetta di trovare al massimo una cometa, o forse due, nel sistema solare interno in un certo momento.”
“Che c’è da dire?” chiese Brown.
“Be’, questa cometa qui...” Il pilota si fermò.
“Che c’è da dire sulla cometa?” chiese Brown, il tono
indicava irritazione.
“La traiettoria,” Replicò Stakowski. “Va diretta verso il
pianeta.”
“Quanto manca all’impatto?”
“Tredici ore circa,” replicò Varju.
“C’è vita sul pianeta?”
“C’è vita in abbondanza sul pianeta,” disse Varju. “Nessun segno di vita intelligente, comunque.”
“Una tragedia,” disse Brown, “ma che cosa ha a che
vedere con noi? Torri, pensa che potremmo distruggere la cometa prima dell’impatto?”
Lavorai un po’ alla mia stazione, che aveva anche una
diagnostica completa sulle armi insufficienti della stazione umana. “No. Se i motori funzionassero potremmo cercare di dargli una spinta, naturalmente. Senza
motori, niente.”
Varju riprese a parlare. “Signore, osservi. Qua, sul continente grande.” Varju portò un display sullo schermo
principale. Il pianeta apparve come una griglia sullo
schermo. Mentre Varju manipolava i controlli della sua
consolle, l’immagine ruotava e un’area venne magnificata finché non apparve il contorno di un’area in una
zona vicino al centro. Una griglia a reticolo lampeggiava per segnare il centro del contorno. “E’ una veduta
col telescopio ad infrarossi, ma contorni a microonde
o in millimetri appaiono identici. Un campo di energia
complesso. Solo uno. E... non è che coincida perfettamente, ma sotto molti è aspetti è simile all’anomalia
energetica presso il buco nero.”
“Niente sulla radio?” chiese Brown. “Nessun tentativo
di comunicazione questa volta?”
Mi detti da fare alla mia stazione. “Niente. Nessuna
emissione radio di nessun tipo tranne statica solare.”
“Sembra che se dobbiamo lasciare questo posto,” disse, “dovremmo incontrare questo... fenomeno.
Stakowski?”
“L’area è soprattutto giungla,” disse. “C’è una spianata
all’incirca a due chilometri a sud-est del campo di energia di Varju che è sufficientemente larga per atterrare
con la stazione.”
“Ma pensa che possa far uscire quest’ammasso di
ferraglia dall’orbita e farlo atterrare senza rompere niente?”
72
“Di sicuro,” disse lei.
Si strinse nelle spalle. “E allora sia fatto.”
Quando la stazione ebbe atterrato e scemarono i disturbi dei motori d’atterraggio, Brown ed io ci apprestammo ad uscire mentre Varju scannava la zona. Una
squadra di tre elementi, uno per ogni razza a bordo. Il
pilota rimase nel suo guscio, sarebbe rimasta là fino a
che non saremmo tornati indietro sani e salvi.
Controllai la mia arma, un piccolo fucile a raggi di plasma. Non è che fosse il meglio per un pianeta sconosciuto, ma gli umani esplorano con un incallito disinteresse per la sicurezza e tendono a guardare con sospetto ad armamenti più pesanti portati da coloro che
si trovano nelle loro navi scientifiche. Sono gli animali
più dannosi e più pericolosi sul loro stesso pianeta
natale e non si attendono pericoli dagli altri. Tranne
che da altri umani.
Brown non aveva armi, ma portava una grossa radio
per comunicare con la stazione (noi, naturalmente,
avevamo tutti le radioline della tuta) e Varju portava un
assortimento vario di equipaggiamenti scientifici.
Sembra tutto a posto,” disse Brown. “L’atmosfera dovrebbe essere a posto nel caso si presenti un’emergenza, ma comunque lasciamoci le tute funzionanti.
Pronti?”
Noi eravamo pronti. Varju aprì la chiusura e saltammo
su di un nuovo mondo.
Avevamo già fatto tutti quanti parte di squadre d’atterraggio e sapevamo cosa fare. Eravamo atterrati sul limitare di una foresta verde piena di felci e strani alberi
torreggianti. Varju avanzò sorvegliando i sui strumenti.
Io attesi un attimo per vedere cosa poteva accadergli.
Niente. Saltai giù, corsi fino ad un posto dove potevo
vedere dietro alla stazione, mi accucciai e mi guardai
attorno velocemente, il fucile spianato e pronto. Avrei
desiderato odorare l’aria in cerca di pericolo, ma naturalmente la tuta me lo impediva. Brown saltò giù con
calma e guardò verso la cometa, che appariva immensa e gelida nel cielo azzurrino.
Varju continuò a sorvegliare con un cromatografo a gas.
“Simile alla Terra, un po’ più di diossido di carbonio.”
Mise giù lo strumento. “Sembra che ci siano soprattutto foreste di alberi legnosi. Molte poche piante da
fiore.” Guardò nella direzione opposta. “Qualche tipo
di grosso animale nelle vicinanze, penso.”
Di colpo potevo udire anch’io il rumore. Improvvisamente
una testa gigantesca sul tipo di quella dei rettili attaccata ad un collo a forma di serpente si innalzò sopra
gli alberi.
Puntai immediatamente la mia arma. Era solo un piccolo raggio al plasma ma un colpo ben indirizzato poteva mettere fuori combattimento la bestia e salvarci la
vita.
“No!” urlò Brown.
Come il mio fucile iniziò a scaricare Brown mi colpì di
lato al braccio. Il lampo blu scuro passò di lato. Non
c’era tempo per un secondo colpo. Brown ed io rimanemmo perfettamente immobili.
L’animale, la cui testa da sola era enorme come noi
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mappe dello spazio/tempo
due assieme, abbassò la testa per osservarci, drizzò
la testa da un lato in modo sorpreso per guardarci con
un piccolo occhio nero, poi con l’altro. Dopo un lungo
momento la bestia soffiò e la testa si ritrasse nel
sottobosco.
“Erbivoro,” disse Varju con calma.
“Proprio una fortuna,” dissi. Questo era un problema di
sopravvivenza, ero arrabbiato. “Primo Ufficiale Brown,
perché avete deviato il mio colpo?”
“Perché ho riconosciuto quell’animale!” disse Brown.
“Varju?”
“Proprio così,” disse Varju. Anche lui sembrava che
conoscesse qualcosa che io non conoscevo. “Un rappresentante dei saurischi, il
più grande animale da terra
sul pianeta. Alamosaurus, a
giudicare dalle dimensioni e
dalla forma della testa. Appartenente alla fine del
cretaceo nella storia della
Terra.”
“Allora questo pianeta è...”
Ci fu un segnale di richiamo
dal collegamento radio.
Brown l’accese.
La voce nella radio era
distorta, ma il tono di paura
della voce di Stakowski arrivava chiaramente. “Ho
identificato lo spettro della
stella dagli archivi del computer!” disse Stakowski. “So
cosa è successo! Siamo
stati spostati indietro nel
tempo di circa settanta milioni di anni.”
Un ronzio. Voltai la testa per seguire il moto di un insetto.
“Il pianeta su cui ci troviamo è la Terra.”
L’insetto mi si posò sulla spalla. Era un insetto molto
grosso, forse velenoso. Sollevai la mano per schiacciarlo.
“Non far del male a nessun animale che incontri. Un
cambiamento nella storia a questo punto potrebbe avere
gravi conseguenze milioni di anni in avanti.”
Mi fermai di colpo e gentilmente cacciai via l’insetto
dalla mia spalla.
Brown mise il microfono in trasmissione. “Sì,” disse
seccamente. “Ce l’eravamo immaginato.”
Mettemmo via le armi.
Brown guardò su una bussola magnetica. “Da questa
parte, credo.”
Varju guardò verso la cometa. “Sessantacinque milioni di anni nel passato.”
Brown sollevò le sopracciglia. “Sì?”
“E quella cometa,” indicò, “impatterà nel giro di dodici
ore. La catastrofe causata dalla collisione coprirà il
pianeta con una spessa coltre di polvere e fumo. Il
freddo distruggerà ogni forma di vita sul pianeta che
sia più grande di un vraln...più grande di un coniglio.
Darà un colpo di spugna. E fornirà alla sua specie la
possibilità di prendere il comando.”
“Così questa cometa pronuncerà la fine dei dinosauri,”
dissi. Sapevo cosa fossero i dinosauri. Avevo studiato
la storia degli umani, i miei ospiti strani ma amabili, e
quella del loro pianeta.
Brown annuì, “Ed un inizio per noi.”
I miei compagni mi sorprendevano. Spazio e tempo
sono uguali e in principio tutti sappiamo che se è possibile il volo spaziale, così deve essere possibile il viaggio nel tempo, ma la realtà sembrava non averli disturbati per niente. Il primo ufficiale Brown apparentemente non mostrava alcun timore nella sua posizione, nessun senso di improprietà nel ritrovarsi assieme agli avi
del loro branco più antico.
“Avanti,” disse Brown.
Procedemmo nella direzione indicata da Varju, attraverso un sottobosco
intricato verso degli alberi
distanti. Alle mie spalle
scorgevo Varju che analizzava coi suoi strumenti
scientifici, fermandosi
occasionalmente ad esaminare aree di interesse
insolito. Nonostante il dimostrato pericolo sembrava non essere troppo vigile.
“Questo pianeta non è diverso da alcune parti del
mio mondo,” dissi. E pericoloso allo stesso modo
per l’incauto, pensai, ma
tenni per me i miei pensieri.
“Avete animali come quelli?” chiese Brown.
“Non grossi così, primo ufficiale Brown. Ma un po’ più
feroci.”
Varju stava ancora scannando l’area, indifferente. Senza
guardar su disse, “Questa è un’opportunità magnifica
per osservare l’evoluzione della biosfera...”
Proprio in quel momento ci fu un’altra chiamata dalla
nave. Il pilota Stakowski aveva trovato qualcosa che
pensava fosse interessante e voleva l’opinione di Varju.
Trovammo una parete quasi completamente di roccia
nuda che immaginai fosse la posizione meglio difendibile che potessimo trovare. Brown collegò uno schermo video portatile.
“Ho fatto dei calcoli,” disse Stakowski, “basandomi
sull’ipotesi che il grappolo di comete che abbiamo osservato sia caduto nel sistema solare a causa di una
perturbazione nella nube di Oort a causa di qualche
oggetto massiccio. Basandomi sui risultati del calcolo
ho computato la locazione probabile attualmente dell’oggetto e ho condotto una ricerca usando i telescopi
a lunga gittata.”
“E allora?” chiese Brown.
“E’ sullo schermo.” Si vedeva uno spazio vuoto con
delle stelle sparse, evidentemente una veduta al telescopio modificata al computer. Un rettangolo lampeggiante al centro indicava la locazione di ricerca.
73
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
“Ebbene?” chiese Brown. “Non ci vedo niente.” Ci fu
una pausa. “Adesso si. Un buco nero?”
“Penso di sì. Simile a quello nell’ammasso del Presepio, forse di massa leggermente più ridotta.”
“E lei crede che potrebbe essere quello stesso?”
“Be’... da un buco nero ci potrebbe aspettare che nel
tempo guadagni massa.”
“Possiamo usarlo per riportare l’Igloo al suo tempo?”
“Negativo. Le forze di marea
vicino all’orizzonte degli eventi farebbero a pezzi la nave. In
ogni caso, senza propulsione
FTL ci vorrebbero venti anni per
arrivare là.”
“Hmmmf,” fece Brown. “Bene,
prosegua col suo lavoro.”
Brown ripiegò il video e l’antenna ad ombrello nei contenitori e proseguimmo.
Varju si fermò e aggrottò la
fronte per la concentrazione, i
viticci induriti, ad analizzare entrambi i lati del sentiero. “Interessante,” disse. Scosse lo strumento e l’osservò di nuovo. “Sembra che stia rilevando un...”
Una nota rimbombante bassa, una specie di cinguettio risonante e vibrato, provenne da dietro la linea degli
alberi. Mi girai su me stesso per afferrare il fucile poi
lasciai ricadere deliberatamente la mano lungo il mio
fianco. C’era un ordine di sopravvivenza del branco di
non uccidere niente qui. Si tratta del branco umano, a
dire la verità, ma la sopravvivenza di un branco alleato
ha la precedenza su qualsiasi individuo, non ha importanza chi esso sia. Almeno fino a che non viene dissolta l’alleanza. Mi cercai una copertura.
“Che cos’è stato?” chiese Brown.
“Hadrosaurus,” disse Varju.
Riuscii a vedere il calore del loro corpo riflesso dalle
foglie degli alberi prima di vedere gli animali. Scivolarono fuori dagli alberi con passi sorprendentemente silenziosi per animali così grossi, una mandria di una
quindicina di elementi.
“Che mi venga un colpo,” disse Brown. “Dinosauri col
becco a papera e mantelli di pelle color porpora. Ora
ho visto proprio tutto.”
Ci superarono di corsa sulle due zampe, alti il doppio
di un umano, correndo con un curioso moto ondeggiate, testa in giù e il collo allungato di fronte a loro. Il
‘mantello’ era un lembo di pelle che sventolava da una
cresta sulla testa che assomigliava ad un pennone e
si allungava libero sopra le ossa piatte delle spalle. Gli
hadrosaurus non ci degnarono neppure di uno sguardo
mentre ci superarono di corsa, col sangue che pulsava in macchie di calore attraverso la pelle. Svanirono
silenziosamente nella foresta dietro di noi. Erano veloci e in un attimo non rimase nient’altro di loro che gli
sbuffi di aria calda dalla loro respirazione faticosa.
Dietro di loro il bosco frusciava ancora. “E a quanto
sembra anche un grosso teropode,” disse Varju.
“Un che cosa?”
Il ruggito rimbombante si ripeté e i rami si mossero.
74
Un albero cadde in avanti verso la spianata dove ci
trovavamo e di colpo una forma a sangue caldo gigantesca si sollevò a metà da dietro gli alberi.
In un attimo un’enorme testa si alzò al di sopra dei
rami più alti degli alberi. Non era certo un rettile gentile
che mangiava piante. Anche la mia conoscenza inadeguata degli animali terrestri estinti poteva riconoscere
questo qua. Era il re delle lucertole
giganti:
un
tirannosauro. Si spostò di lato
e un occhio gigantesco guardò verso il basso. La bocca
aperta mostrava grossi denti
a forma di spada e il
dinosauro ruggì di nuovo.
Io e Brown guardammo in alto
impauriti.
“Un dinosauro gigante e carnivoro.”
“Non spari!” Urlò Brown. “Corra!”
L’ombra del dinosauro ci
piombò addosso. Ci voltammo e ci mettemmo a correre. Con uno schianto rumoroso un altro albero si frantumò e cadde. Il ruggito tornò a ripetersi. Mi guardai
alle spalle. La bestia stava immobile in cima agli alberi
caduti, la testa voltata verso di noi ad osservarci.
Corremmo. Un grosso masso bloccava il sentiero;
Brown tagliò attorno ad esso a sinistra, io e Varju scartammo sulla destra attraverso una fenditura sulla facciata della parete d’arenaria rossa.
Il tirannosauro guardò a sinistra, vide Brown e con una
mossa convulsa ruotò su se stesso per seguirlo. Si
spostava con una velocità incredibile per una bestia
così grossa, correndo con la coda dritta dietro di sé e
la schiena quasi orizzontale.
Mi arrampicai sulla facciata rocciosa e mi voltai per
guardare. Dal nuovo angolo era chiaro che l’altro sentiero arrivava ad un punto morto sulla facciata della
parete, con nessuna nicchia sufficiente a nascondersi
e rocce per cercare di salire. Allungai la testa per vedere Brown.
Si guardava a destra e a sinistra, ma non vedeva una
via d’uscita. L’ombra del tirannosauro si sollevò sopra
di lui. Guardò in alto.
Il tirannosauro roteò la testa in basso.
Brown rimase impietrito su un grosso masso, la sua
testa nella palla del casco viso a viso col tirannosauro.
La testa della bestia era grossa quasi quanto Brown.
Rimase perfettamente immobile e il tirannosauro lo
annusò, poi aprì la bocca mostrando denti appuntiti e
lunghi circa quindici centimetri. Una lingua simile a
quella di un serpente uscì dalla sua bocca e lo leccò,
una volta, due, di nuovo. Con un suono frustrato e lamentoso molto simile a un miagolio, il tirannosauro si
girò attorno con un unico movimento aggraziato.
Saltò su un’alta roccia che affiorava, sollevò la testa e
gonfiò la sacca della gola. Poi fece uscire un canto,
con una nota lunga e bassa gorgheggiante che si trasformò in un tubare trillante. Drizzò la testa e si pose
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
in ascolto per un lungo momento, ma solo il silenzio
gli rispose. Saltò a terra e scomparve nella foresta.
Io e Varju ci incontrammo con Brown e osservammo il
dinosauro che scompariva. La mia mano si allungava
continuamente verso il fucile, ma ogni volta si fermava
senza estrarre l’arma. Non capivo.
Varju lo spiegò con calma. “Individua la preda dall’odore. Brown non ha alcun odore, per questo non era una
preda. Allorché ha realizzato che non era commestibile ha perso il suo interesse per lui.”
“Non me lo sarei mai immaginato,” disse Brown guardando ancora verso l’animale scomparso. Non sembrava per niente scosso dall’incontro. “Mai. Chi avrebbe mai pensato che un tirannosauro ha delle macchie
color oro e marrone come quelle di un leopardo?” Brown
scosse la testa. “Avanti,” disse.
Continuammo attorno al masso. La radio suonò e il
primo ufficiale si arrestò, aprì l’antenna ad ombrello e
l’accese. “Qui Brown.”
Il pilota Stakowski era appena comprensibile al di sopra di molte scariche. “State entrando nelle vicinanze
del campo energetico anomalo,” disse. “Posso ancora
captare il vostro segnale, ma potrei non riuscire più a
raggiungervi.”
“State suggerendo di tornare?” chiese Brown.
“No,” rispose. “Tutt’altro. Solo... state attenti.”
“Ci staremo,” rispose Brown. “Chiudo.”
Guardai nel cielo mentre Brown ripiegava l’antenna. La
cometa si stagliava contro il blu. Sembrava che fosse
diventata ancor più grossa.
Avanzammo.
Continuammo fino ad un costone e guardammo giù
verso una valle. Il campo energetico anomalo di Varju
era un grumo lanuginoso di luce che fluttuava lentamente nell’aria, un reticolo finissimo di membrana che
lentamente si spostava all’interno di esso, che brillava
di luce ma non di calore.
Varju lo scannerizzò e scosse la testa. “Strano. Interessante. Campi di energia altamente organizzati. L’intensità è rimarchevole.”
“E’ vivo?” chiese Brown. “E’ intelligente?”
“E’ pericoloso?” chiesi io?
“Non lo so,” disse Varju.
Il campo di energia lampeggiò in modo più brillante e
si sentì una voce. “Saluti, viaggiatori.” Ero sorpreso.
Avevo sentito bene? Non era il linguaggio umano, era
proprio il mio. Mi voltai per tradurre agli altri, ma anche
loro avevano capito. Cosa mai può parlare tre lingue
allo stesso momento?
“Questo pianeta è pericoloso,” disse. “Perchè siete
venuti?”
Brown si schermò gli occhi per difendersi dal bagliore.
“Siamo viaggiatori pacifici che sono stati spediti qui
per caso. Chi siete?”
“I nomi non sono importanti. Sono uno che controlla e
ama la vita. Chiamatemi... l’Esterno.”
Il campo di energia lampeggiò di nuovo in modo più
brillante. Feci una smorfia e mi buttai in una posizione
di combattimento. Brown si gettò su un ginocchio col
braccio destro che si schermava il viso. Varju rimase
fermo e non fece niente.All’apparenza i suoi occhi erano
meno sensibili agli estremi di luminosità.
“La mia luminosità vi da fastidio?” chiese la cosa d’energia. “E’ qualcosa che non è sotto il mio controllo cosciente. Proverò...” Lampeggiò e si attenuò un po’.
Potemmo guardare di nuovo nella sua direzione, anche se con qualche difficoltà.
“Cosa siete?” chiese Brown. “Che cosa volete da noi?
Come fate a parlare la nostra lingua?”
“Io non posso ‘parlare’ nessun linguaggio,” rispose. “I
vostri cervelli contengono campi elettromagnetici. Modulo questi campi e lo percepite come linguaggio.”
“Perchè siete qui?” chiese Brown.
“Potrei chiedere la stessa cosa a voi,” disse.
“Ma questo non è il vostro mondo.”
“No,” disse. “Sono... un osservatore. La mia forma non
è di quelle che evolvono su un pianeta o che abbiano
molto interesse alla vita planetaria. Siamo venuti dalle
regioni energetiche del centro galattico, dove tipi di vita
organica come i vostri non sopravvivono.”
“Da un buco nero?” chiese Varju, cercando ancora di
soddisfare la curiosità invece di chiedere all’essere di
riportarci al nostro tempo. Ma io rimasi in silenzio. In
fondo raccogliere informazioni sarebbe anche potuto
risultare utile.
“Ah,” disse l’essere d’energia. “Ci capite.”
“Dunque dovreste essere estremamente vecchio, per
come misuriamo il tempo,” disse Varju.
“Milioni di anni,” disse. “Miliardi, chi può dirlo? Il tempo
ha poco significato dove viviamo. Per molti milioni di
anni ho girato per le stelle del disco galattico, visitando la desolazione fredda e scura ai bordi della galassia, osservando la strana vita che cresce sui pianeti,
fredda e dura.”
“Uno scienziato allora, come noi,” disse Varju. “Ci sono
molti altri come voi qui?”
“Oh no,” disse la cosa. “Solo io. Per la maggior parte
la mia gente ha lasciato questo spaziotempo. Ci sono
altri luoghi per esistere, universi con stati di energia
quantistica più alti e la mia gente vi ha migrato. Un
giorno li raggiungerò, ma non ora. Anche in un milione
di anni non mi sono ancora stufato della diversità della
vita. Questo è uno dei mondi più insoliti che abbia mai
visitato.”
Brown sorrise. “Ci fa piacere. Questo pianeta è casa
mia.”
“E’ vero?,” disse. “Molto strano. Non sarei venuto se
avessi saputo che questo pianeta aveva vita intelligente. Ma quella che ho sentito non era la vostra astronave?”
Brown guardò verso Varju. “E’ esatto,” disse. “Siamo
arrivati da sessantacinque milioni di anni nel futuro.”
“Sul serio?” chiese l’esterno. “Siete venuti nel vostro
passato?”
Notai che non sembrava sorpreso all’impossibilità che
Brown aveva appena espresso. Forse, come aveva
sottinteso Varju, l’essere poteva seguire strade sia attraverso il tempo che attraverso lo spazio.
“Non avere paura del pericolo di tornare al proprio passato? O... sì. Siete qui per la paura. Ma non è neces-
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
saria. Correggerò l’errore.”
“Errore?” chiese Varju.
“Perchè,” un tentacolo di luminosità brillò in alto verso
la cometa, “quella cometa. Siete di sicuro qui per arrestarne l’impatto con questo pianeta, per fermare la grande distruzione. La rimetterò al suo posto. Non lascerò
che questo mondo stupendo venga distrutto.”
“No...” disse Brown, “la cometa si è schiantata
sessantacinque milioni di anni fa. Lontano nel passato. Se la cometa venisse deviata, la razza umana, la
mia razza, non esisterebbe.”
“E a me cosa rappresenta?” disse l’essere. “Ho preso
la mia decisione. Non vedo alcuna ragione per distruggere la fredda bellezza di questo mondo.”
“Ma è il corso naturale degli eventi,” disse Brown. “L’evoluzione.”
“Mi avete messo di fronte ad un dilemma,” disse. “Vedete, ho già interferito con gli avvenimenti. Solo il mio
interessamento a questi pianeti ha causato l’approccio del buco nero a questo sole. Non ci sarebbe alcuna cometa se non fosse per il mio errore.”
“Questo dimostra gli aspetti insoliti del sistema,” disse Varju. “Un risultato del passaggio del buco nero.”
“Nel deviare la cometa,” disse, “riparerò il danno che
ho fatto inavvertitamente.”
“E così ci distruggerete,” disse Brown.
L’essere fece un giro lampeggiante complicato della
sua luminosità che interpretai come un’alzata delle
spalle. “Ciò che non esiste non può essere distrutto.
Voi venite da un futuro, ma non dall’unico futuro possibile. Io semplicemente causerei il fatto che la vostra
specie non esisterebbe.”
“Non essere mai nati,” disse Brown. “Ma come la dite,
suona sempre fatale.”
“Dovete capire che non esistete realmente. Siete solo
un’apparizione virtuale. Un effetto laterale del breve intervallo tra il momento in cui ho perturbato la nube di
comete e quello in cui ho corretto il mio errore.
“Affinché uno viva altri devono morire. E’ la legge della
vita.”
Per un momento l’Esterno brillò e rimase silenzioso,
un mutare sfumato di colori screziati. I viticci dietro il
collo di Varju, i suoi organi sensori elettromagnetici, si
irrigidirono.
Fece un rumore leggero, quasi un sospiro. “Quale essere non sceglierebbe la sopravvivenza della propria
specie? Così mi forzate a fare una scelta.” Si fermò.
“E così sia. Se volete che sia io a scegliere che viviate
preparatevi a difendere il vostro caso. Umano Brown,
avete con voi due che non sono della vostra specie. Vi
nomino come gruppo di saggi per convincermi a cambiar parere. Ma attenzione. Il vostro voto deve essere
all’unanimità per farmi condannare questo pianeta.
“Venite dal futuro. Da un futuro. Ve ne mostrerò un
altro, il futuro che volete farmi uccidere.”L’aura dell’essere-energia per un attimo si fece più luminosa e fummo costretti a girare lo sguardo. Quando la luminosità
scemò vedemmo di fronte a noi un’altra creatura. Era
un essere rettiloide, seduto dietro ad una scrivania di
un qualche legno pesante scuro che scriveva con quella
che sembrava una penna d’oca. Aveva all’incirca le di-
76
mensioni di un umano. Chiaramente era simile ai
dinosauri che avevamo visto, seduto in modo eretto,
con una lunga coda che era visibile ad un lato. Si volse
e vidi che aveva una grazia delicata e sinuosa. Aveva
una pelle verde chiaro, che sembrava quasi seta, più
chiara verso la parte inferiore, macchiata con un fine
arabesco di un arancio e un giallo delicati e un ciuffo di
penne dietro al collo. Gli occhi erano grandi e blu, come
zaffiri giganteschi, aveva delle piccole semi-lenti poggiate sul naso. Alzò lo sguardo dal suo lavoro e scrutò
al di sopra dei suoi occhiali.
“Mi avete interrotto,” disse l’essere dinosauroide, in
modo stizzoso. “Ero a metà di una stanza e mi avete
interrotto.”
“Brown sorrise. “Mi spiace.”
Fece un cenno con la mano artigliata. “Non ha importanza. La sinfonia ha atteso per tutta la vita, può aspettare benissimo per un altro po’. E poi forse era il momento di fare una pausa.” Il dinosauroide si guardò
attorno poi fissò Brown, girando leggermente la testa
per guardare prima con un occhio poi con l’altro, drizzando la testa esattamente allo stesso modo del
dinosauro precedente. “Dio bono, non ho mai visto niente come voi. E poi, che esseri siete?”
Varju si volse verso Brown. “Questo è insolito. Sembra
che abbia una risposta xenofoba praticamente nulla.”
“E questo è insolito?” Chiesi.
“Certo,” disse Varju voltandosi verso di me. Aveva gli
occhi che non si chiudevano mai. “Avevamo sempre
ritenuto che la xenofobia fosse un istinto di sopravvivenza.”
“Ma... la vostra stessa specie non presenta xenofobia.”
risposi, confuso. “Vi ho visto con gli umani. Li emulate. Parlate il loro linguaggio, pensate coi loro pensieri.”
Varju mi osservò con occhi grandi e tristi. “Non lo sapete? Avete studiato la storia degli umani, non conoscete nulla della mia?”
“No.”
“Quando li incontrammo fu subito guerra, Torri. Studiammo gli umani, studiammo la loro aggressione, studiammo la loro tecnologia e realizzammo che non
avremmo avuto possibilità di vincere. Nel giro di un
secolo ci avrebbero sterminati. Ma la xenofobia, la
guerra, era codificata nei nostri geni. La nostra unica
sopravvivenza stava nel rivedere il nostro codice genetico. Lo facemmo. Correggemmo la nostra xenofobia e
ci arrendemmo agli umani chiedendo solo che ci dessero protezione, dato che ormai non ci saremmo potuti più proteggere.” Fece una pausa. “Non sapete quanto ammiriamo la vostra razza, Torri? Sopravvivere accanto agli umani e rimanere se stessi!”
E gli umani ci sono costati cento miliardi di vite, pensai. Era un prezzo giusto?
“Fate le vostre domande, richiese l’essere d’energia.
“Com’è la vostra casa?” chiese Varju.
“E’ un posto come qualsiasi altro, credo,” rispose l’essere dinosauroide. “E’ caldo e accogliente. Facciamo
il possibile per renderlo bello, con giardini e foreste.”
“Non avete città?” chiese Varju.
“No, no, naturalmente abbiamo le città. I migliori artisti
del mondo gareggiano nel disegnare le nostre città.
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Torri di cristallo scintillante alte dieci chilometri... Spero di potervi mostrare una nostra città, sono così belle.”
“Avete guerre?” chiese Varju.
“Guerre?” chiese l’essere dinosauroide. “Non riconosco la parola.”
“Vi uccidete uno con l’altro?” disse Brown.
“Uccidere? Volete dire uccidere altri esseri intelligenti? Che pensiero stomachevole! Dio bono, no! Certo
che no! Quale essere farebbe mai una cosa del genere?”
Varju ed io ci scambiammo uno sguardo.
“Solo un essere totalmente incivile, naturalmente,” disse
Varju.
L’essere di energia parlò. La voce era dolce. “Queste
persone sono qui per decidere l’esistenza della vostra
razza. Voi non siete reale. Siete solo una proiezione di
ciò che potrebbe succedere da qui a dieci milioni di
anni. Solo una probabilità.”
“Ah,” disse il dinosauroide. “E così, come disse il poeta, Tutto ciò che siamo o sembriamo non è che un
sogno, dentro ad un altro sogno.”
“Edgar Alla Poe,” disse Varju. Vedendo la mia occhiata spiegò: “Un poeta della Terra del diciannovesimo
secolo.”
L’essere dinosauroide apparve sorpreso. “No, no...
Gornak Trallik, un poeta del secolo del crepuscolo
ambrato. Dalle canzoni delle città di zaffiro.” Si fermò.
“Un sogno io sono, dunque, ma se tutto ciò che sono
è un sogno, debbo ringraziarvi per quella breve realtà
che mi viene data. Anche un sogno può amare la vita,
ed esserne grato.”
“Questa è la terra dei vostri avi lontani,” disse l’essere
d’energia. “La cometa che vedete colpirà questo mondo con le fiamme. La maggior parte della vita che vedete attorno a voi morirà e tra essa anche i vostri avi
lontani. Io posso evitare questa catastrofe. Ma se voi
esisterete allora questo umano, il figlio di un possibile
futuro diverso, non potrà esistere.”
“La mia compagna...” disse il dinosauroide. “I miei amici
e le covate... i miei figli...”
“Non esisterebbero,” disse l’essere d’energia. Poi proseguì con un tono più amichevole, “non è che soffriranno. Non potrebbero soffrire, dato che non esisterebbero per niente.”
“Allora lasciate che vi parli dei miei nipoti,” disse il
dinosauroide. “Di quell’ingegnosa combriccola di lucertole che non vedrete mai. Piccoli furfanti, di sicuro...
ma gli vogliamo bene. Moru, è il maggiore, dice che
vuole diventare un compositore famoso, proprio come
il nonno. Continuo a dirgli che se vuole fare il musicista deve essere diligente e applicarsi tutti i giorni, ma
preferisce starsene fuori con gli amici a giocare a palla
Vorik.” Scosse la testa con un movimento circolare a
scatti. “Ah, i bambini. Ci sarà tempo per l’esercizio
quando crescerà. Lasciamolo divertire. La piccina, Kira,
è la più giovane, non è ancora uscita dal guscio e già
sa cosa vuole diventare. Dice che sarà il pilota di una
nave spaziale quando sarà grande. E ci scommetto
che lo farà pure, ha l’intelligenza giusta. E sempre così
seria.” Allungò il collo e sospirò. “E’ proprio un peccato
che non potrete conoscerli. Ma per favore provate a
pensare a loro, un giorno, e loro vivranno, per un po’,
nei vostri ricordi.””Lo farò,” disse Brown.”Avete delle
flotte stellari?” chiese Varju.
“Oh, certo... fin da quando il motore a distorsione
spaziotemporale è stato scoperto due millenni fa,” disse. “Non ne vedo il motivo, per quanto mi riguarda...
tutto questo viavai per lo spazio. I sauri dovrebbero
essere soddisfatti della Terra, è un pianeta tanto bello.
Ho viaggiato in lungo e in largo e non penso di aver
visto che una frazione piccolissima delle cose magnifiche che ci sono da vedere.”
“Difenda la sua causa per la sua gente,” disse l’essere
di energia.
Il dinosauro osservò attentamente Brown. Scosse di
nuovo la testa con lo stesso strano movimento circolare. “Una forma di vita senza penne... discendente dei
mammiferi... eppure proveniente dalla Terra! Molto strano. Ma anche la vostra razza ama la vita?”
“Certo,” disse Brown.
Ci fu un lungo silenzio mentre il dinosauroide osservava Brown. Poi disse, “Non posso. Se la nostra esistenza deve avvenire a spese di un’altra allora è sbagliata. Faccia la sua scelta, se può. Io non posso e
non potrò mai spingere alla distruzione di un altro.”
“Ben detto,” disse l’essere di energia. “e così vi faccio
tornare al possibile a-venire.”
“Mi spiace solo...” disse il dinosauroide ed esitò.
“Che non siete reale?” suggerì Varju.
“No. Accetto il dono della vita, anche se temporaneo.
Mi spiace solo che ora non terminerò la mia sinfonia.”
Fece una pausa. “E ora scopro che è vero. Di tutte le
parole tristi della lingua o della penna, le più tristi sono:
sarebbe potuto essere.”
L’essere di energia si illuminò e quando riuscimmo di
nuovo a guardarlo il dinosauro era andato.
“John Greenleaf Whittier, un poeta della Terra del
diciannovesimo secolo,” disse Varju. Dopo una pausa
aggiunse, “e anche, a quanto sembra, un poeta
dinosauro.”
“Deve comprendere,” disse l’essere d’energia, “che voi
non siete più reale dell’essere dinosauro. Dichiarate di
venire dal futuro, ma dovete sapere che ci sono molti
futuri, nessuno che sia più reale di un altro. Questo è
l’adesso, il solo ora che esista. Fate la vostra scelta
con saggezza.”
“Dunque ci avete mostrato un futuro possibile,” disse
Varju, “ma non per questo l’unico futuro
possibile.””Abbastanza giusto. Ma quello che vi ho
mostrato è il futuro che verrà fuori se non permetto che
queste creature periscano.””Conosco gli umani,” disse Varju. “Hanno dei difetti. Ma hanno anche della grandezza. Devo votare per gli umani.”
L’energia lampeggiò e sentii la sua attenzione volgersi
verso di me. “E voi?”
Di colpo capii che con le parole potevo cambiare la
storia, arrestare il morire di grandi branchi e sfidare la
grandezza. Questo essere aveva del potere, un grosso potere. In quel momento ebbi paura e capii che
dovevo scegliere le parole con estrema attenzione.
“Quando la mia razza ha incontrato gli umani, non ave-
77
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
vamo il viaggi a velocità superiore della luce,” dissi. “I
nostri branchi si erano diffusi per centinaia di soli ad
un costo tremendo, ma senza guerra. Quando gli umani
con le loro navi FTL arrivarono li accogliemmo con le
armi. Gli umani sembrarono ritirarsi e noi copiammo le
loro navi, una tecnologia a cui noi non avremmo mai
pensato da soli, per unire un centinaio di branchi sparpagliati.
“E poi fummo colpiti dalle epidemie. Morirono cinquanta miliardi della gente vera nelle epidemie che portarono gli umani. Allora pensammo che deliberatamente
avevano cercato di distruggerci.
“Molto ma molto dopo, realizzammo che non erano
stati gli umani, ma la loro tecnologia, il viaggio FTL, ad
ucciderci. I cento mondi avevano sviluppato cento epidemie, ad ognuna delle quali gli abitanti erano immuni,
ma i mondi distanti non lo erano. I viaggi su navi spaziali
che duravano secoli fungevano da quarantena.
“E dopo le epidemie le guerre civili. Tra i cento mondi
sparpagliati c’erano dei branchi rinnegati, che non volevano unirsi agli altri. Erano stati separati troppo a
lungo. Il FTL umano ci aveva portato una cosa nuova,
la guerra tra i branchi. Interi mondi dovettero essere
sterminati per riportare unità tra la nostra gente. Nel
caos crebbero profeti e messia, tutti che predicavano
eresie e divisione e altri ancora di noi morirono.
“L’arrivo degli umani portò alla morte di undici su dodici
delle persone vere allora vive, Anche gli avi radicati
morirono. Dei cento mondi solo sedici ora prosperano.
Ci vorranno secoli, forse millenni, prima che possiamo
raggiungere di nuovo una gloria di questo tipo.”
“Allora votate contro gli umani?” chiese. La sua voce
sembrava fredda e priva di emozioni.
E così nel mio momento di timra feci la mia scelta.
Urlai. “No! Gli umani hanno insegnato alla mia gente
cose che noi non abbiamo neppure sognato! Senza
l’aver incontrato gli umani, ci saremmo estesi sempre
più all’esterno, conoscendo solo noi stessi, sterminando altre specie sui pianeti che ci occorrevano, senza
mai conoscerle o cercare di comprenderle. Fino a che,
un giorno, non avremmo incontrato una razza aliena
con tecnologia superiore che ci avrebbe sterminato allo
stesso modo. Quando incontrammo gli alieni con tecnologia superiore, furono gli umani. Quasi riuscirono a
sterminarci, è vero, ma non per rabbia. Ci insegnarono
come abbracciare l’alieno. Io voto per gli umani, oh
celato! Ci hanno insegnato un concetto per noi alieno,
un concetto che vale qualsiasi cosa conoscessimo
prima. Amicizia, tra persone che sono differenti.”
Dissi la verità, ma le mie ragioni espresse urlavano la
verità. Gli umani ci avevano uccisi, questo è vero, a
miliardi, ma il branco era sopravvissuto e, sopravvivendo, s’era fatto più forte. Ma la creatura dinosauro aveva
detto che anche loro conoscevano il segreto del volo
interstellare! Se a posto degli umani fosse arrivata la
creatura dinosauro e se fosse venuta milioni di anni
prima? Come avrebbero potuto, anche in innocenza,
non distruggerci prima che esistessimo? In confronto
a questo la minaccia umana era stata nulla, proprio
nulla.”Dunque avete vinto la vostra causa, umano,” l’essere d’energia proferì. “Anche se va contro la mia natu-
78
ra permettere che avvenga tale distruzione. Scelgo di
accettare il giudizio di tre.””Non ancora,” disse Brown.
La sua espressione era strana, illeggibile. “Avete detto
che deve essere unanime.””Certo,” disse l’essere d’energia. “C’è un altro voto. Avevo pensato che era solo una
formalità. Umano?”
“Non è come morire, avete detto. Nessun dolore, nessun lutto. Significherebbe non esistere per niente.”
Sorrise. “Mi piace. L’umanità non è così grande. Date
a quelle creature una possibilità per vedere cosa faranno. Deviate la cometa.”
Avrei potuto ucciderlo, ma avrebbe cambiato la scelta? L’essere si sarebbe poi avvicinato a noi? L’essere
di energia si sfuocò e per un attimo fu immobile e poi il
momento della scelta fu superato.
“Avete fatto la vostra scelta e avete scelto contro i vostri stessi interessi.” Fece una pausa. “Ma avete mostrano una compassione strana. L’ho ritrovata in specie antiche, quelle con una storia di milioni di anni ed
oltre che non hanno alcuna paura dell’estinzione. Ma
in specie giovani? Non lo capisco, ma è strano, raro e
prezioso. Penso di non avere scelta. Ritirerò la mia
interferenza. La cometa cadrà com’è il suo destino.”
“Ma...” disse Brown.
“Ho preso la mia decisione,” disse l’essere d’energia,
la voce come un basso tuono. “La vostra specie avrà la
sua possibilità. Usatela bene. Forse un giorno ci
rincontreremo, milioni di anni nel futuro. Addio.” Con
un suono che si faceva sempre più acuto fino a diventare ben presto ultrasonico, l’essere di energia si restrinse e si fece luminoso. Continuò a diventare sempre più luminoso al di là di ogni livello sopportabile fino
a che mi chiesi se la roccia su cui era appollaiato non
si sarebbe fusa. Quando anche Varju si schermò gli
occhi e cadde in ginocchio l’energia si condensò nelle
più piccole scintille e accelerò verso il cielo.
Fu una lunga camminata indietro fino alla stazione.
Non incontrammo dinosauri.
Tornammo in orbita e nessuno di noi fu sorpreso quando la stazione fu attratta di nuovo nell’orizzonte degli
eventi del buco nero. Guardammo di nuovo nelle profondità oscure dell’ammasso del Presepio.
Quando fu chiaro che eravamo tornati ed avevamo raggiunto un’orbita stabile, Stakowski uscì dal guscio di
pilotaggio per affrontare Brown. “Brown? Dimmi, come
facevi a sapere che ci avrebbe risparmiati?”
“Non sapevo niente di sicuro,” disse Brown. “Era che
mi sembrava...” si strinse nelle spalle, “l’unica cosa
che doveva essere fatta. In quel momento.” Si fermò
per un attimo, e sorseggiò del nutrimento dalla sua
soluzione di etanolo mentre la fissava, poi continuò
tranquillamente, quasi a se stesso. “Avevano un potenziale così alto. Non è che noi stessi avessimo fatto
di più.”
Il pilota Stakowski gli rivolse uno sguardo penetrante
ma non disse nulla.
“E mi chiedo ancora... come sarebbero stati? Se si
fossero evoluti?”
“Credo che non lo sapremo mai, Jared,” disse. Sembrava che non fosse arrabbiata per quello che aveva
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
fatto l’ufficiale, per il fatto che un umano avesse scelto
lo sterminio per tutti loro.
E poi la voce dell’esterno arrivò attraverso la radio. “Saluti
di nuovo, umano Brown. E’ da tanto tempo.”
“Esterno?” disse Brown.
“I nomi hanno poca importanza,” disse. “Una volta avevo quell’etichetta. Questo universo si sta espandendo,
sta diventando freddo. Avevo pensato di unirmi ai miei
compagni ma ho aspettato un altro po’ per rivedere
colui che ha mostrato compassione. Per dire, con le
tue parole, addio.”
“Ma li hai lasciati comunque morire,” disse Brown.
Sembrava arrabbiato, anche se era il branco che aveva
scelto di salvare.
“Non potevo salvarli tutti,” disse. “Ma quelli che ho potuto li ho portati via con me, su un pianeta simile per
clima, molto lontano nel disco galattico. Tra quelli che
ho portato c’erano coloro che col tempo sarebbero
evoluti fino a diventare l’essere che hai incontrato. Per
far sì che anche loro trovassero il loro destino.”
Nel boccaporto la macchia di energia nell’orizzonte del
buco nero si andava intensificando. Alla radio la voce
scemava. “Un giorno li incontrerete. Per ora, addio.”
Il campo di energia nel boccaporto crebbe oltre i bordi
dello schermo e poi svanì nell’oscurità e nelle stelle.
“E’ andato,” disse sottovoce Varju.
“Penso che qui abbiamo finito,” disse Brown. “E’ venuto il momento di tornare a casa.”
Orbitammo attorno al buco nero per altre due settimane finché la City of Anchorage non tornò a prenderci,
ma raccogliemmo solo numeri e fatti senza utilità alcuna.
Secondo il suo programma la nave stellare umana ci
riportò sulla Terra e, in seguito, tornò alla sua missione di raccogliere conoscenze senza alcuna utilità sulle stelle e sulle nuvole di polveri. Durante il viaggio di
ritorno l’equipaggio umano discusse al suo interno le
azioni del Primo Ufficiale Brown e per la maggior parte
furono d’accordo sul fatto che non avrebbero agito allo
stesso modo. Ma il primo ufficiale non fu punito per le
sue azioni, non fu sollevato dal suo incarico e neppure, per quanto ne possa dire io, fu ripreso dal capitano
per aver rischiato l’esistenza della sua specie.
E’ vero: gli umani abbracciano l’alieno. La saggezza
dei grandi padri-branco ci ha istruiti ad abbracciare l’alieno, ci ha detto che la nostra specie, il branco di tutti i
branchi, inevitabilmente sarà costretto alla morte se
non lo facessimo. Ma io ci penso e ci penso. Dovremmo abbracciare l’alieno anche a costo dell’auto distruzione? Anche noi saremo forzati un giorno a fare una
scelta di questo tipo? E se scegliessimo in modo sbagliato?
Ho chiesto di lasciare questa missione e tornare al
branco madre, condividere il terreno coi miei compagni di branco e meditare nella calda oscurità. Non posso restare tra questi esseri che non voglio comprendere.
Sto imparando a pensare come loro, e sono preoccupato. Sono preoccupato, sì, preoccupato per noi tutti.
Anche per gli umani.
titolo originale, Embracing the Alien - traduzione Italiana Susanna Cecchi - © 1995 Geoffrey A. Landis
Geoffrey A. Landis (Detroit, Michigan, USA, 1955) svolge in
primo luogo l’attività di scienziato, e si definisce “scrittore di
fantascienza part-time”. Come scienziato è collaboratore dello
Ohio Aerospace Institute, in assegnazione ad un centro
ricerche della NASA (ha recentemente partecipato alla missione
Pathfinder), ha pubblicato più di 150 articoli, in particolare studi
sulle celle fotovoltaiche o sull’astronautica (propulsione a razzo
o realizzazione di velivoli); è inoltre autore di parecchi articoli
divulgativi (alcuni apparsi su Analog) e partecipa regolarmente
ai forum scientifici della rivista statunitense Science Fiction
Age.
Questa sua vena divulgativa si manifesta implicitamente anche
attraverso la narrativa: Landis è infatti autore di più di cinquanta
racconti e di una ventina di poesie, apparsi principalmente su
riviste di fantascienza (Analog, Asimov’s, Interzone,
Science Fiction Age). Nel 1991 alcuni suoi racconti sono stati
raccolti e pubblicati col titolo Myths, Legends, and True
History, in un volume della serie Author’s Choice Monthly, ora
introvabile. Nel 1990 il racconto Increspature nel mare di
Dirac ha vinto il Premio Nebula, nel 1992 Una passeggiata al
sole si è meritato il Premio Hugo. Può essere considerato, per
le tematiche della sua narrativa e per l’approccio scientifico
diretto, un esponente della hard sf (sottogenere della fantascienza in cui si può riconoscere uno specifico scientifico
evidente): in questa classificazione emerge per una sensibilità
molto personale. Nella maggior parte dei suoi racconti, infatti, la
solida base scientifica è lo scenario in cui si muovono personaggi con una forte “umanità” e in cui vengono esplorati risvolti
particolarmente significativi dei rapporti umani (dalla tragedia del
lapidario Nel mondo dei sensi, all’ironia di Ricambi).
Lo aspettiamo con ansia sulla lunghezza del romanzo: per il
2000 è annunciata l’uscita del suo primo romanzo, intitolato
Mars Crossing.
RACCONTI
Increspature nel mare di Dirac (Rip[p]le[s] in the Dirac
Sea, 1988), tr. Carla Meazza, in Destinazione Spazio (1989
Annual World’s Best SF), a cura di Donald A. Wollheim, Urania
1142, Arnoldo Mondadori Editore, Milano; anche in I tempi che
corrono (Time Machines - The Best Time Travel Stories Ever
Written), a cura di Bill Adler, Millemondi 17, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano
Nel mondo dei sensi (Realm of the Senses, 1990), tr.
Giancarlo Carlotti, in Isaac Asimov Science Fiction
Magazine 7, Phoenix Enterprise Publishing Company, Bologna
Il pesce e l’uccello (The Tale of the Fish Who Loved a Bird,
1991), tr. Gabriele Fischer, in Nova SF* 27, Perseo Libri,
Bologna
Una passeggiata al sole (A Walk in the Sun,1991), tr.
Antonella Tonelli, in Isaac Asimov Science Fiction
Magazine 9, Phoenix Enterprise Publishing Company, Bologna;
anche in I Premi Hugo 1991-1994, a cura di Piergiorgio
Nicolazzini, Editrice Nord, Milano
Abbracciando l’alieno (Embracing the Alien, 1999), tr. Danilo
Santoni, in IntercoM 6*
Le singolari abitudini delle vespe (The Singular Habits of
Wasps, 1994), tr. Ignazio Sanna, in Analog Fantascienza 5,
Phoenix Enterprise Publishing Company, Bologna; [col titolo Lo
strano comportamento delle vespe] anche in Quando gli
alieni invasero la Terra, a cura di Piergiorgio Nicolazzini,
Editrice Nord, Milano
Progetto a lungo termine: relazione al consiglio degli
scarafaggi (Long Term Project: Report to the Great Council
of Cockroaches (Or, What Really Happened to the
Dinosaurs), 1995), in Isaac Asimov Science Fiction
Magazine 13, Phoenix Enterprise Publishing Company, Bologna
La guerra di Rorvik (Rorvik’s War, 1995), tr. Gianluigi
Zuddas, in Nuove leggende del futuro (New Legends), a
cura di Greg Bear e Martin H. Greenberg, Editrice Nord, Milano
Ecopoiesi(Ecopoiesis, 1997), tr. Alessandro Zabini, in Strani
universi, a cura di Piergiorgio Nicolazzini, Editrice Nord, Milano
Ricambio (Turnover, 1997), tr. Antonella Pieretti, in Il gioco
infinito (Year’s Best SF 3, 1998), a cura di David G. Hartwell,
Millemondi 20, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
Natale (quando tutti avremo la macchina del tempo)
(Christmas (after we all get time machines), 1999), tr. Marco
Mocchi, in IntercoM
79
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
Le macchine del tempo, quando poi verranno inventate,
saranno una vera delusione.
Funziona che non puoi andare indietro,
(nessun viaggio per andare a vedere Lincoln o il primo Natale)
solo in avanti.
Diventeranno presto l’articolo novità del catalogo di Sharper Image[1]
poi da Spencer Gifts[2]
e infine da K-mart[3]
in vendita solo questa settimana
(batterie non incluse).
Nascondere i regali di Natale sarà questione di un attimo:
nessuna preoccupazione per i ragazzi a caccia di nascondigli.
Lo impacchetti,
lo appoggi dove sarà l’albero e
/zap/
al 24 Dicembre, ore 23:59.
Rimuovere le decorazioni natalizie sarà facile.
Basta coi ripostigli per slitte, luci e calze natalizie
Natale
(quando tutti avremo
la macchina del tempo)
[Christmas (after we all get time
machines)]
Geoffrey A.
Landis
e fermacarte con Frosty il pupazzo di neve[4] e Rudolph la renna[5]
punti il tempocomando e
/zap/
/zap/
/zap/
partiti,
ritornati al prossimo dicembre
se vuoi riutilizzi la carta da regalo,
/zap/
Il giorno dopo Natale
/zap/
l’albero è già decorato per l’anno prossimo.
Il presepe di cristallo soffiato
/zap/
(Non spostare i mobili!
Quel tavolo dovrà essere proprio lì l’anno prossimo!)
Neve? Perché spalarla?
/zap/
i bambini saranno felici di averla in Agosto.
I suonatori di cornamuse
loro stessi /zap/
si spediscono alla stagione natalizia, dove hanno da lavorare in abbondanza.
Dopo Natale, tutti quelli col solo lavoro natalizio,
/zap/
andati.
E Natale non vale niente senza la famiglia
Nonno e Nonna, ormai avanti con gli anni,
non saranno qui ancora per molti Natali
ma
/zap/
Inoltre, una volta all’anno,
è certo più conveniente di un ospizio.
E alcuni di noi,
stanchi della triste allegria,
stufi delle compere in centro,
nauseati dalle canzoni natalizie che ti rimbombano nelle
orecchie
vorranno
alla fine,
fuggire.
/zap/
80
Note alla traduzione:
1. Sharper Image produce e
commercializza articoli ed oggetti
futuristici ed innovativi
2. Spencer Gifts è una catena
statunitense di negozi, specializzati in articoli da regalo
3. K-mart è una catena di supermercati statunitense che propone
grande varietà di articoli a basso
prezzo (l’equivalente, con le
debite proporzioni, dei discount)
4. Frosty il pupazzo di neve è
un personaggio dell’iconografia
natalizia, il nome Frosty è tipico
degli Stati Uniti
5. Rudolph la renna, un altro
personaggio dell’iconografia
natalizia, è la renna di Babbo
Natale, caratteristica per il suo
naso rosso luminoso
© Geoffrey A. Landis, vietata la
riproduzione senza l’autorizzazione dell’autore
tit. orig. Christmas (after we all
get time machines)
apparso originalmente nella
Asimov’s, dicembre 1999
traduzione italiana di Marco
Mocchi
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
La ragazza dal vestito di raso
avvicinarsi la ragazza dal vestiseduta sugli scalini dell’ambuto di raso bordeaux. Si era ferlatorio medico osservava il lenmata a due passi da me, guarto traffico estivo sul lungomare
dandomi interdetta come se mi
di palme. Gli autisti si affacciariconoscesse, poi aveva doFranco Ricciardiello
vano dai finestrini spalancati per
mandato se ero diretto a nord.
guardare le sue lunghe gambe
“Torino” le avevo risposto paslisce.
sandomi la lingua sulle labbra
Io avevo parcheggiato all’ombra la mia 1.100. Il man- asciutte. Ero certo di non conoscerla.
giadischi sul sedile posteriore suonava Atlantis appe- “Andiamo a Torino anche mio marito ed io” aveva rispona uscita su 45 giri. Estrassi una Muratti dal pacchet- sto con accento leggermente alieno “Può darci un pasto floscio nel taschino della camicia. “Dà fastidio?” saggio?”
domandai schiarendomi la gola.
Due ragazzini giocavano con biglie di vetro colorate di
La ragazza sembrò risvegliarsi da un intorpidimento fronte alla porta del bar. Schiacciai con la punta delle
dei sensi. “No...” disse, e poi aggiunse sorridendo più scarpe di vernice il mozzicone della Muratti e mi fermorbida “No, non dà fastidio.”
mai sulla soglia, facendo segno alla donna di preceSuo marito era ancora sdraiato sul lettino, nell’ambu- dermi, ma lei scosse il capo come se si vergognasse.
latorio allestito in un container scaricato nel controviale Entrai nel bar flagellato di mosche. Due vecchi amdi fronte al mare. Nessuno dei due portava la fede al mazzavano il tempo al fresco, in un tavolino d’angolo,
dito, ma la confidenza fra di loro lasciava supporre un e la luce che entrava dalla porta sul cortiletto del retro
legame matrimoniale.
era insopportabilmente bianca.
La ragazza osservò affascinata gli svedesi che presi La ragazza volle un gelato nocciola e crema. “Che annella tasca dei pantaloni. Tirai una boccata di fumo, date a fare al nord?” domandai osservando con le mani
gettando il fiammifero di legno in un posacenere pieno in tasca le biglie dei bambini “un gelato costa almeno
di sabbia.
50 lire in Piemonte.”
“Lo sa che provocano cancro ai polmoni e malattie La ragazza sorrise di nuovo e assaggiò il gelato come
cardiocircolatorie?” domandò la ragazza; aggiunse fosse un afrodisiaco. Bevvi il mio caffè, scostandomi
“Posso?”, poi allungò le dita per prendere il pacchetto leggermente dal banco per tenerle d’occhio le gambe.
di svedesi. Le automobili passavano lente nell’agosto L’uomo del bar accese la radiolina nella vetrina fra le
torrido. Un ciclista che scivolava in bicicletta da un’om- bottiglie di liquori nazionali e d’importazione.
bra di palma all’altra si voltò a guardare le gambe della “Lucio Battisti” disse la ragazza con un cenno del dito
ragazza.
“le piace?”
“Siete piemontesi?” domandai.
Mi strinsi nelle spalle. “Abbiamo cantanti migliori...”
“Svizzeri” rispose frugando nella borsetta “Canton “Quel disco, nella sua macchina” disse lei improvvisaTicino” si voltò per guardare il marito rimasto da solo mente interessata “chi è che canta?”
nell’ambulatorio.
“Donovan” risposi “ho anche il 33 giri, Barabajagal. Le
Quando lui si era sentito male stavamo percorrendo in piace la musica?”
auto la provinciale parallela al litorale, fiancheggiata da “Donovan” ammiccò la ragazza “è quello che marciava
chioschi di venditori di frutta e stabilimenti balneari. contro la guerra in Vietnam, vero?”
Avevo fatto appena in tempo ad accostare sotto l’inse- “To Susan on the West Coast waiting. Ero a Londra, 3
gna a croce rossa dell’ambulatorio estivo che l’uomo anni fa. Lavapiatti in un ristorante italiano di Leicester
era svenuto sul sedile posteriore della mia 1.100.
Square. Donovan prese parte a quel rally contro la guerSbadigliai nel bianco e nero del tardo pomeriggio tirreno. ra partito da Marble Arch. C’era gente con cartelli del
Donovan continuava a lamentarsi sul destino diAtlantide tipo Better to lose face than the human race, Donovan
dal suo solco di vinile: Way down below the Ocean era in testa al corteo insieme a Vanessa Redgrave.
where I wanna be, She maybe. Ero distratto dalle gambe Tirava un vento bastardo all’arrivo a Trafalgar Square,
della ragazza seduta nel vento anacronistico che le dove Joan Baez si è messa a cantare.”
insidiava l’orlo del vestito, ma mi sentivo controllato “A che ora arriveremo a Grosseto? “domandò lei mendal paramedico nell’ombra dell’ambulatorio. “Giornata tre l’uomo del bar asciugava un bicchiere con uno stracsplendida, vero?” dissi.
cio di tela.
“Un gelato” rispose la ragazza.
Consultai l’orologio da polso “E’ svizzero” dissi mo“Come?” replicai credendo di non avere capito.
strandoglielo come se avessimo qualcosa in comune
Lei mi additò l’insegna di plastica di un bar. Annuii.
“17 jewels. Arriveremo a Grosseto alle 7 e mezza.”
“Che gusto?” domandai, ma si alzò per venire anche La ragazza leccò il gelato. “19 e 30” tradusse “pensa
lei.
che i negozi siano ancora aperti a quell’ora?”
Avevo caricato i due appena fuori Roma; mi avevano Posai la tazzina di porcellana dozzinale. “Senta, conchiesto un passaggio a un distributore to di fermarmi a dormire per strada” dissi “non me la
Supercortemaggiore dove mi ero fermato per fare rifor- sento di guidare di notte. Se volete continuare stasera
nimento. Mentre osservavo il numeratore della pompa il viaggio per Torino, dovete cercare un altro passagruotare lentamente fino a segnare i 40 litri, avevo visto gio.”
1968
81
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
“Mi rincresce di darle tutto questo fastidio” disse la
ragazza abbassando la voce perché il barista non potesse sentire “prosegua pure da solo, mio marito ed io
troveremo un altro passaggio quando starà meglio.”
“Niente affatto” risposi “con questo caldo preferisco fare
riposare il motore e i pneumatici.”
La ragazza si illuminò. “Quando riaccende il motore,
me lo fa vedere?” domandò “intendo dire, aprendo il
coperchio.”
“Il cofano?” risposi “se vuole... Non capisco cosa ci
sia di così divertente...” aggiunsi poi voltandomi verso
il bancone per sentire meglio la radiolina. “Come si
chiama?” le domandai.
“Letizia” rispose mordendo l’ultimo frammento di cialda.
Tornammo in strada ma faceva troppo caldo, tanto che
desiderai di avere bevuto una spuma invece del caffè.
Sollevai il cofano dell’Innocenti passando le dita sul
radiatore rovente.
La ragazza, Letizia, si affacciò sul motore scostandosi con le dita ciocche di capelli biondi. Inspirò a pieni
polmoni l’esalazione di olio minerale e benzina. “Un
motore endotermico” commentò “è meraviglioso. Va a
petrolio distillato, vero?”
Mi raspai la guancia rasata male. “Sì. La benzina è
distillata dal petrolio...” risposi pensoso, arretrando di
un passo per guardarle i fianchi.
“Conta di fermarsi a dormire in albergo?” domandò Letizia sollevandosi dal motore “potremmo fermarci con
lei, se domani continuerà il viaggio.”
Lasciai ricadere il cofano. “Andiamo a vedere come
sta suo marito. Se non si sente di riprendere il viaggio
potremmo fermarci a dormire qui. Sono stanco.”
Letizia si avviò verso l’ambulatorio, la gonna
sventagliata dai colpi d’aria delle auto di passaggio.
“Pensa che possiamo trovare un negozio di dischi ancora aperto?” domandò “vorrei comprare quello” aggiunse con un gesto del pollice verso la radiolina del bar.
“E’ sicura che suo marito si senta bene?” domandai
sottovoce a Letizia. Ci trovavamo alla reception di un
piccolo albergo sull’Aurelia appena fuori città.
“Perché?” domandò lei sinceramente stupita.
“Voglio dire... tutti quei dischi che ha comprato... Non
per essere curioso, ma che lavoro fa?”
“Elettronica” rispose la ragazza accavallando le gambe con noncuranza. Accanto a lei, sul cuscino del piccolo divano di iuta dell’albergo, era posata una pila di
giornali che aveva acquistato all’edicola di fronte: Grazia, Annabella, Sorrisi e Canzoni, Duepiù, Radiocorriere
TV, Epoca, Le Scienze.
Mi domandai come facesse a leggerli tutti. “Avete speso almeno 50.000 lire di dischi” dissi disorientato.
“Musica italiana” tagliò corto Letizia “non si trova in
Canton Ticino.”
Un piccolo ventilatore di plastica verde acqua combatteva la propria battaglia persa in partenza contro l’afa
serale, appoggiato sul banco delle chiavi. Mi slacciai il
colletto del camiciotto, sospirando nel guardare le gambe della ragazza. “Non ha fame?” sussurrai.
82
Lei alzò un sopracciglio. “Aspetti che sento Arduino”
rispose raccogliendo il pacco di riviste. Scomparve sulla
scala, nel controluce serale della finestra ingiallita di
nicotina.
Sentivo la vista annebbiata. Accesi il televisore, tornando a sedermi comodamente sul divano. Con un sibilo, la palla di luce del tubo catodico si allargò in pochi secondi a tutto schermo.
“Improvvisamente gli eventi si sono infiammati nella
giornata di ieri” disse un giornalista con occhiali di
celluloide “la polizia e la guardia nazionale hanno dovuto impedire ai dimostrati contro la guerra di raggiungere l’International Amphiteater della città di Chicago,
dove è in corso il congresso del Partito Democratico. I
giovani, alcuni dei quali sventolavano bandiere vietcong,
hanno risposto con lancio di sassi e bottiglie ai manganelli e ai lacrimogeni della polizia, mentre la guardia
nazionale ha addirittura impiegato baionette operando
centinaia di arresti. Per domani è previsto l’arrivo di
migliaia di dimostranti al raduno di Grant Park dove
terrà un discorso l’attivista radicale Tom Hayden.”
Sbadigliai, pensando che non mi importava nulla di
quello che succedeva in America. L’uomo dell’albergo
si schiarì la gola e sentii i tacchi di Letizia che scendeva le scale. “Arduino si ferma in camera,” riferì ritta in
piedi davanti al divano “faremmo meglio a uscire per
mangiare qualcosa, lui non ha fame.”
Quasi stentai a comprendere, poi mi alzai in piedi di
scatto. “Noi... noi due?” balbettai arrossendo. Il proprietario dell’albergo ticchettava nervosamente con lo
scatto di una penna a sfera. Prima che potessi rimettere a fuoco lo sguardo, mi accorsi che la ragazza era
già uscita e mi aspettava con aria interrogativa in strada.
Quando il marito ci raggiunse stavamo finendo di mangiare il dentice, seduti nel déhors di un piccolo ristorante a cento metri dall’albergo. La sera era mite, un
vento fresco saliva dalla marina portando profumo di
alghe e atomi di iodio. Ero stordito dal viaggio, dal vino
bianco e dalle gambe di Letizia.
Suo marito arrivò spettinato e con la barba non rasata,
sedette fra noi due lanciando uno sguardo di complicità a Letizia. “Che hai fatto finora?” gli domandò lei.
“Ho ascoltato tutto” le disse “il proprietario dell’albergo
mi ha prestato il suo giradischi. Dovresti sentire il doppio bianco dei Beatles, è divino. Niente a che vedere
con i compact: questo è suono autentico del vinile.”
“Non hai paura di rovinarli?” lo rimproverò la moglie “questi giradischi hanno un pickup duro come un aratro.
Potremmo avere difficoltà a rivenderli ai collezionisti.”
“Ah!” esclamai “ci sono, commerciate in dischi. Possibile che in Svizzera non si trovi la musica americana?”
“Inglese” precisò il marito fulminandomi con un’occhiata
perplessa come accorgendosi solo allora che Letizia
era in compagnia.
Rimpiansi l’intimità di pochi minuti prima. “Faccio due
passi” dissi alzandomi e salutando con un cenno la
coppia.
Ritornai rapidamente verso l’albergo. Al banco presi le
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
chiavi di entrambe le camere e salii gli scalini due a
due, con il cuore in gola per il timore che Letizia rientrasse insieme al marito. I dischi erano sparsi ovunque: sul letto matrimoniale, sul comò, sulle poltrone e
sul pavimento. Lucio Battisi, Gino Paoli, Luigi Tenco,
Fabrizio De Andrè, i Dik Dik, Mina, Giorgio Gaber,
Jacques Brel, Rolling Stones, Beatles, Bob Dylan,
Doors, Donovan, Joan Baez, Creedence Clearwater
Revival, e diversi altri. Decine e decine di 33 giri, 45 giri
e 78 giri.
Pensai che i due fossero pazzi, oppure che avessero
clienti disposti a pagare a prezzo salato dischi reperibili in qualsiasi negozio della Svizzera italiana. Rimasi
in silenzio ad origliare eventuali rumori nel corridoio,
poi aprii la valigia della coppia, nell’armadio: conteneva alcuni libri nuovi di stampa, ancora con il prezzo,
capi di vestiario e una decina di stecche di sigarette di
marche diverse: Muratti, Marlboro, Camel, Gitanes,
persino Alfa senza filtro. Trovai anche una scatoletta di
cartone con sopra scritto I.U.D., e la aprii vedendo con
divertimento che conteneva una spirale di rame. Intrauterine device. Una busta di carta era piena di oggetti
vari, tutti ancora nelle loro confezioni: un pettinino,
pacchetti di figurine da edicola (calciatori, la vera storia del West, animali del mondo), cartoline illustrate di
Roma, un fischietto da vigile urbano, lacci da scarpe,
un Pinocchio di legno snodabile alto dieci centimetri,
un caleidoscopio di cartone colorato.
Sotto la valigia, una scatola di cartone piena di riviste
illustrate. Passeggiai perplesso per la camera da letto, cercando inutilmente qualche particolare che confermasse la provenienza svizzera della coppia.
Riportai le chiavi al bancone, sedendo a guardare l’edizione notturna del telegiornale con le notizie dal Vietnam
fino al ritorno di Letizia e del marito, dopo di che li
seguii risalendo in camera a dormire.
“Sta meglio?” domandai guardando l’orologio.
Letizia uscì dal bagno e vide il gesto. “Mi spiace” gli
disse “so che deve ripartire, non si preoccupi per noi:
troveremo un altro passaggio.”
Osservai perplesso le pile di dischi sul letto. Il marito
di Letizia uscì dal bagno pallido come uno straccio.
“Abbiamo abusato della sua pazienza” disse con un
filo di voce e un tentativo di sorriso “mi rincresce, la
ringrazio di tutto.”
Erano quasi le 11 del mattino. Guardando Letizia nel
controluce della finestra, mi dissi che non era poi così
urgente arrivare a Torino a metà pomeriggio. “Ha mangiato frutti di mare ieri sera, vero?” dissi comprensivo
“non importa, se partiamo adesso potremo arrivare a
Livorno per l’ora di pranzo.”
Aiutai Letizia a portare giù la valigia piena di dischi e
oggetti vari, e mentre Arduino pagava il conto dell’albergo caricai il baule.
“Sicuro che non siamo di disturbo?” domandò Letizia.
Aveva ancora il vestitino di raso del giorno prima.
Accesi l’autoradio. “Una fonte interna all’Accademia
militare di West Point che intende restare anonima”
disse la voce formale di un giornalista “attribuisce la
completa sorpresa con la quale l’esercito statunitense
ha accolto l’offensiva del Tet a un cattivo funzionamento dei servizi di informazione americani. Gli specialisti
dei servizi segreti inviati a Saigon nel maggio scorso
per una indagine ufficiale avrebbero stabilito che l’intensità, il coordinamento e la successione nel tempo
degli attacchi vietcong non erano stati pienamente previsti. La capacità dei comunisti di colpire così tanti
obbiettivi simultaneamente è stato un altro importante
elemento inatteso. I militari americani si sarebbero in
sostanza cullati in un falso senso di sicurezza a causa di rapporti illusori sulle perdite nordvietnamite e
vietcong e sul morale dell’avversario. L’offensiva del Tet
ha colto completamente impreparato l‘esercito americano e sudvietnamita.”
“Tempi sanguinosi, vero?” dissi notando nello specchietto retrovisore che Arduino si era accasciato con gli
occhi chiusi sul sedile posteriore, pallido e stanco.
“Avevano promesso che quella contro i tedeschi sarebbe stata l’ultima guerra, e invece continuano, dappertutto. Tra poco passeremo proprio in riva al mare.
Piace il mare a voi svizzeri, vero?”
Letizia inspirava il profumo di iodio filtrato dalla pineta.
Nuvole fastidiose continuavano a spegnere ed accendere il sole, e un vento di Liguria scivolava piatto verso
le colline metallifere minacciando il suo vestito corto e
leggero.
Guardavo la strada, fumando piano appoggiato alla
macchina. Arduino, sdraiato sul sedile posteriore, ascoltava con gli occhi chiusi una radiolina con auricolare.
“Temo che le convenga lasciarci qui” disse la ragazza
levandosi i capelli dagli occhi.
Feci un cenno verso suo marito. “In quelle condizioni?
Non mi faccia ridere.”
“Quanto manca per Grosseto?”
Sbadigliai. “20 km., direi.”
Mi accorsi di stare bene. Era il primo pomeriggio di un
giorno di fine agosto, nella bassa Toscana, in compagnia di una donna veramente bella. Perché avrei dovuto affrettarmi per arrivare a Torino qualche ora prima?
“Possiamo ripartire anche se dorme” disse Letizia “ma
forse lei vuole mangiare...”
Ravviai il motore, l’uomo neppure si svegliò. “Mangeremo a Grosseto” dissi mentre la ragazza tornava a sedere nel sedile accanto. Estrasse qualcosa dalla borsetta, una specie di cerotto che sembrava un foglietto
di metallo sottile. Tirò via una pellicola traslucida dal
retro e, sporgendosi in mezzo ai sedili, applicò il grosso cerotto circolare all’interno dell’avambraccio del
marito.
Osservai disorientato tutte le operazioni, badando a
non uscire di strada. “Che cosa è?” domandai a Letizia quando richiuse la borsetta.
“Idrossido di alluminio” rispose laconica.
Ma a Grosseto Letizia non aveva più fame. Mangiai un
panino con frittata mentre Arduino guardava passare i
camion diretti a nord. Letizia passeggiava in fondo alla
piazza, lungo il lato dei negozi, suscitando il nervosi-
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smo di alcuni pappagalli seduti sui gradini del monumento.
Scommetto che adesso compra qualcosa, pensai, e
sorrisi indulgente con me stesso quando la ragazza
entrò nella merceria d’angolo, sotto i portici.
Arduino mi fece un cenno del dito, camminando incerto verso il bar. Sedetti al volante, raccogliendo dal sedile posteriore la radiolina con auricolare che l’uomo
ascoltava in continuazione.
“Perturbazioni negli anni ‘30 del XIV” disse una voce
monotona nel mio orecchio “due Sacche di Mälgratz
stanno viaggiando a ritroso dal ‘39 verso,
presumibilmente, il ‘33. Per quanto riguarda il II avanti
Cristo, il puntatore di recupero sta effettuando una
iterazione ciclica a distanza di 7 giorni ogni 60 secondi. Una imprevista marea di ritorno rischia di provocare
perturbazioni nel IX d.C., si consiglia un anticipo del
rientro a non più tardi di 100.000 secondi a partire da
ora.”
Sfilai l’auricolare, cercando sul lato della radio la rotellina
della frequenza, senza trovarla. Vidi che Letizia stava
rientrando con la borsa di cartone di una merceria. “Ce
l’ha uno specchietto?” domandò.
Avevo posato in fretta la radiolina per non farmi sorprendere a curiosare. “Se abbassa il parasole del sedile anteriore troverà lo specchietto.”
La ragazza mi gettò la borsa di mano e sedette, cercando con le dita lo specchio. Estrasse da una
scatoletta che portava in mano un tubetto color oro, e
con un movimento a vite espulse il glande a missile di
un rossetto dal colore tenue. Cominciò a ripassarsi le
labbra sotto i miei occhi, ricoprendo il colore rosso vivo
di prima. Non è possibile, pensai, lo fa apposta? Ci
sta provando?
Gettai un occhio alla borsa di carta della merceria.
Senza muovere le spalle per non che Letizia potesse
vedermi nel retrovisore, allargai con due dita la borsa
per controllare cosa avesse acquistato.
Trattenni il fiato. Infilai la mano nell’apertura e ne estrassi due reggicalze di pizzo bianco con l’etichetta di cartoncino verde e oro. Sentii girare la testa. La ragazza
si stava ripassando le palpebre con un pervinca malinconico, non vedeva che frugavo nei suoi acquisti.
Suo marito Arduino ritornò con una dozzina di pacchetti di sigarette differenti fra le mani: Ambassador,
Rothman’s, Wilson, Windsor e altri che non riconobbi.
Credo che siano pazzi, pensai ritornando alla guida. E
che razza di stazione ascoltano? Non sembra un
radiogiornale.
“Come stai?” domandai all’uomo, che si strinse nelle
spalle. Era molto pallido.
Letizia mi sorrise con le labbra vermiglie. “Che te ne
pare?” domandò. Mi sembrava uguale a prima.
Cercai nel retrovisore lo sguardo di suo marito, ma si
era adagiato contro lo schienale e teneva gli occhi chiusi. “Bello” sussurrai rimettendo in moto.
mava con attenzione, seduto al tavolino di uno stabilimento balneare dove cucinavano gamberetti fritti e insalata di mare. Ogni dieci minuti barcollava fino ai servizi igienici di legno, di fianco alla scala che portava
sul lungomare.
“Temo che arriverai in ritardo” disse Letizia raggiungendomi alla sedia a sdraio.
“Sono in vacanza” risposi “posso fare quello che voglio.”
La ragazza mi osservò a braccia conserte, i capelli
che le spazzolavano gli occhi perché il vento scendeva
dalle colline. Aveva indossato un cardigan dello stesso
colore del vestitino, con imprevedibili maniche sottili
come sigarette e lunghe fino alle nocche delle dita.
“Non è una donna quella che ti aspetta a Torino?” mi
domandò.
Mi strinsi nelle spalle. “In qualunque posto si vada, in
teoria c’è sempre una donna che aspetta. E qualunque donna sia in attesa, in verità non aspetta mai te.”
Letizia rimase perplessa, poi si spostò fra i miei occhi
e il sole, così che fui costretto a guardarla controluce.
Non mi rispose, ma dopo mezzo minuto con le braccia conserte si voltò e senza scioglierle camminò fino
alla linea di conchiglie e castelli di sabbia della battigia.
Il vento frustava gli ombrelloni e le cartacce, avvertendo che la sera era in arrivo. Gli ultimi bagnanti si arrendevano alla stanchezza dell’olio solare e raccoglievano borse e asciugamani per battere in ritirata verso le
vie parallele al lungomare.
Arduino era scomparso dal tavolo del bar. Letizia disegnò un’iperbole di impronte che tagliava migliaia di altre impronte del pomeriggio, poi ritornò a raccogliere le
scarpe parcheggiate contro le cabine azzurre.
“Ehi!” mi gettò una voce sezionata senza rispetto dal
vento. Mi alzai sbadigliando e la raggiunsi, ma era già
sulla scala di cemento frantumato dalla gramigna che
portava sul lungomare. “Andiamo a cercare una pensione” disse “e se troviamo un negozio di dischi sulla
strada...”
Scoppiai a ridere. “Ma come è possibile?” dissi “ancora dischi?”
Letizia si morse le labbra. “Non ti piace la musica?
Rimarrà... io penso che rimarrà a lungo nella memoria
di questi anni.”
“La musica?” risposi incredulo “Ti sbagli. C’è una guerra, e tu pensi alla musica. La guerra in Asia e la guerra
in Europa. Parigi a ferro e fuoco, i carri armati in piazza. Il maggio francese, n’est-ce pas?” La raggiunsi sul
controviale.
“L’hai fatta anche tu quella guerra?” domandò lei di rimando, “hai tirato le pietre ai poliziotti, all’università?
Pasolini...”
“Questa da naoi è guerriglia di provincia” risposi atteggiandomi “in Francia sì che ci sanno fare. Sartre. La
Sorbona. Daniel Cohn-Bendit. Dovrei andare anch’io a
gridare fratello Ho Chi Minh in strada. Mi ci vedi?”
Si fermò in mezzo alle strisce pedonali, mi squadrò da
C’era più vento. Letizia si era messa un fazzoletto bian- capo a piedi con espressione seria, ancora con la franco e rosso sui capelli come una diva di Cinecittà, ma gia negli occhi, e rispose “Sì, ti ci vedo.”
aveva ancora le gambe nude. Suo marito Arduino fu-
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“La battaglia di Hué?” domandò Arduino arrivando silenzioso dalla porta della reception.
Mi voltai, sorridendogli. “Sì, sono immagini di febbraio,
quando Van Thieu e i marines hanno ripreso Hué.”
Guardammo le immagini senza audio, perché l’altoparlante del televisore nella sala comune della pensione non funzionava. Letizia si stava mordendo le unghie, ma riuscì a dire “Hanno un certo fascino, così
senza colore.”
Mi domandai cosa volesse dire, ma Arduino aggiunse
subito “Ricordi il film di Kubrick?”
Drizzai le antenne. “Kubrick? Orizzonti di gloria...”
Letizia scosse il capo, poi rispose senza riflettere. “No,
il film sul Vietnam. Full Metal Jacket.”
Arduino la fulminò con un’occhiata.
“Un film di Kubrick sul Vietnam?” dissi “è appena uscito 2001 Odissea nello spazio nelle sale cinematografiche.”
“Il film è ancora in in lavorazione” rispose frettolosamente Arduino “Letizia ed io ci interessiamo anche di
cinema.”
Voltai appena l’occhio senza girare il capo, e notai che
tentava di farle un pizzicotto al braccio per avvertirla.
Pensai che era strano. “Mai sentito parlare...” borbottai “e che vuol dire?”
“Che vuol dire cosa?”
Feci un gesto del dito. “Full...”
“Full Metal Jacket” rispose Arduino a denti stretti “così
i marines chiamano i proiettili con bossolo di metallo.”
Letizia si alzò stirando le braccia. “Usciamo a fare due
passi” disse “avrei bisogno di digerire.”
Arduino sembrò cercare qualcosa sul divano sdrucito,
poi tentò di alzare il volume del televisore.
“Devi girare quel pulsante” dissi vedendo che non sapeva neppure dove mettere la mano “No, quell’altro...
Ma come sono fatte le TV in Svizzera?”
“Non vieni?” mi domandò Letizia, lasciandomi un’altra
volta di stucco.
“Che facciamo?” domandai a suo marito, che si strinse nelle spalle e girò sul retro del televisore come per
cercare di aprirlo.
Letizia raccolse il suo cardigan fuori moda dall’attaccapanni accanto a un’agave giallo nicotina. “Che aspetti?” mi domandò “non vorrai lasciarmi uscire da sola?”
La seguii in strada, nella freschezza quasi violenta della
sera. Una radio stava snocciolando note di chitarra.
“Cohen” disse Letizia infilando il cardigan con un movimento che sembrava un ombrello nella custodia a tubino.
“Te ne intendi, di musica...” constatai, cacciando le
mani nella tasche dei pantaloni di cotone.
Si strinse nelle spalle con una smorfia.
“E... di cinema?” proseguii.
Mi precedette perso il lungomare. Le strade erano quasi
deserte, i marciapiedi pieni di automobili parcheggiate
per la cena.
“Come sarebbe quella storia del film di Kubrick?” dissi
raggiungendola.
“Non so” rispose secca, proseguendo a braccia
conserte “L’esperto di cinema è Arduino. Pensi che ci
saranno zanzare?”
Riflettei sulle parole del marito, poi vidi una cabina telefonica all’angolo della strada principale che portava
dal municipio al lungomare. “Devo chiamare un amico”
dissi “ti spiace?”
Mi seguì addirittura dentro la cabina. Feci ruotare la
porta per richiuderla e mi ritrovai stretto contro Letizia,
fra i vetri sudici con il marchio SIP al contrario. Osservò con interesse il mio dito indice che ruotava il disco,
contò i gettoni che inserivo nel caricatore e sillabò il
numero. Aveva un profumo floreale, una fragranza quasi commestibile. Le avrei passato volentieri le labbra
sul collo.
“Mario?” strillai quando mi risposero “ho pochi gettoni,
scusa una domanda. Davvero Kubrick sta girando un
film sul Vietnam?”
Letizia si irrigidì, trattenendo il fiato.
“Che dici?” mi rispose la voce dall’altro lato del filo “il
prossimo dovrebbe essere un altro film di fantascienza, un romanzo di Anthony Burgess. Ma dove sei?”
“Niente, scusa. Ho finito i gett...” riappesi perché era
caduta la linea.
“E allora?” disse Letizia con un‘espressione offesa “che
volevi dimostrare?”
Era alta almeno 1,80, solo 5 centimetri meno di me.
Molto alta per una donna. “Tu e tuo marito mi prendete
in giro. Spiegami questa faccenda del film di Kubrick
sulla battaglia di Hué.”
“Il tuo amico non se ne intende” rispose con aria di
sfida “parlava di Arancia Meccanica. Stanley Kubrick
non farà mai quel film, il governo inglese lo giudica
troppo politico.”
Gonfiai le guance. “E tu come fai a saperlo?”
“E tu come fai a sapere che quella donna sarà ancora
ad aspettarti, quando arriverai a Torino?” mi scimmiottò lei, poi aprì la porta della cabina. Guardai il suo vestito ondeggiare verso ponente, una Giulietta che passava a velocità elevata suonò il clacson
ossessivamente.
Mi aspettò, non sembrava offesa. La affiancai in silenzio e ci dirigemmo verso la spiaggia. “Hai una sigaretta?” domandò con una voce troppo acuta di un’ottava.
Alzai un sopracciglio. “Fumi?”
Si strinse nelle spalle. Sfilai con un gesto fluido una
Muratti dal taschino e le porsi gli svedesi. “Are you a
Dono-fan?” recitai “Folknik sweetie, profile blurred in
cigarette-smoke?”
Prese il cerino con le dita sbagliate. Glielo strofinai io,
e mi stupii che non tentasse di accendere la sigaretta
dalla parte del filtro.
Tirò una boccata e incrociò gli occhi. Avevo paura che
cominciasse a tossire fino a cacciare il fumo dalle orecchie, invece si trattenne. Non lasciò neppure l’impronta del rossetto sul filtro.
Ci raggiunse una musica lontana verso ponente. Letizia la seguì come il pifferaio di Hamelin, ma la gente
marciava in senso inverso sul lungomare.
Stava facendosi notte. La tradizione della passeggiata
aveva portato in strada centinaia di turisti a osservare
le luci di pescherecci lontani e a inalare l’anidride
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carbonica delle palme.
“Cos’è questa musica?” domandò Letizia camminando svelta.
Osservai il tratto di cenere all’estremità della sua sigaretta. “Forse una balera” risposi “d’estate si balla, in
spiaggia.”
Il comune, o forse un imprenditore privato, aveva montato un tendone su una grossa pedana di assi di legno, sospesa come una bassa palafitta sulla spiaggia
dove un tipo con un enorme naso rosso staccava biglietti. Lessi il prezzo sul cartello che diceva
FESTAGIOVANI 1968 ma Letizia aveva già in mano
un pugno di banconote piegate in metà. Mi domandai
se le tenesse nella tasca del cardigan. Con mio discreto imbarazzo pagò per tutti e due senza battere
ciglio, quindi la seguii sotto il tendone.
C’era ancora poca gente. Ragazzi con capelli tagliati
corti e orribili giacche bianche ricamate stavano suonando canzoni di Patti Pravo, qualche coppia cabotava
lungo il perimetro della pista, evitando le sedie di legno
pieghevoli. Ragazze con capelli a caschetto e vestiti
di cotone, ragazzi con cravatta, qualcuno ostentava
capelli più lunghi del collo. Il vestito più corto era quello di Letizia.
La toccai su una spalla, le indicai il banco del bar. Mi
seguì docile mentre ordinavo una gassosa, la prese
anche lei e pagò prima che potessi levare il portamonete di tasca. “Stasera sei mio ospite” disse, “devo
sdebitarmi per il passaggio in auto e per il tempo che ti
facciamo perdere.”
Sedemmo in fondo alla pista, vicino a uno strappo nel
tendone che ci iniettava aria di mare nella schiena.
Una ragazza in pantaloni rosa era la cantante del gruppo. Letizia bevve la gassosa dal collo della bottiglia
con un certo impaccio, poi mi disse “Vai a chiedergli di
suonare Battisti.”
“Aspetta” dissi “ti piace questa?” avevo riconosciuto
dalle prime note A whiter shade of pale.
Letizia posò la bottiglietta ai piedi della sedia. “Balliamo?”
Sentii un tuffo al cuore, ma suo marito era lontano,
avvolto dalle onde di marea della nausea, e Letizia aveva
un collo liscio e nervoso.
Non sapeva neanche dove mettere i piedi. Invece di
lasciarsi tenere la destra mi si incollò contro, allacciandomi le braccia dietro al collo. Gli altri ballerini ci
osservarono con la coda dell’occhio.
Letizia girava su se stessa, ruotando sul perno della
gamba destra. Dovetti seguire il suo ritmo, una specie
di 2/4 leggermente sincopato rispetto al wah-wah. Poi
la chitarra del gruppo intonò l’introduzione di California
Dreamin’ e Letizia accelerò il ritmo.
Qualcun altro cominciò a imitare il suo passo, semplice e seducente nella sua monotonia.
Cielo grigio su, foglie gialle giù, cerco un po’ di blu
dove il blu non c’è. La cantante in rosa aveva una bella
voce, Letizia aveva il profumo del frutto della passione
che avevo sentito per la prima volta a Londra in una
tazza di tè. Pensai che non era possibile, che non
avevo mai amato i Dik Dik eppure avrei voluto che So-
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gnando la California durasse almeno 25 minuti. Invidiavo i ragazzi intorno a noi che potevano seguire con
la coda dell’occhio la spirale ellittica della gonna di
Letizia in movimento.
Dopo un’altra canzone Letizia spezzò il ritmo e si fermò in mezzo alla pista. “Vai a chiedere Battisti.”
E io che non amavo Balla Linda andai sotto il palco a
chiedere alla ragazza in rosa di cantarla. Lei mi lesse
il movimento delle labbra durante il finale di harmonium
e annuì.
Era entrata molta più gente, habitués di mezza età
rimanevano ai bordi della pista mentre i ragazzi ballavano. Ballammo anche Battisti con il ritmo in sordina
di Letizia. Altre coppia ci avevano imitati, allacciandosi
più stretti, le braccia intorno al collo e alla vita.
L’ultima nota della canzone coincise con il primo colpo di grancassa di Back in the U.S.S.R.. Come quasi
tutte le coppie uscimmo dalla pista, mentre pochi temerari tentavano qualche movenza psichedelica.
Letizia guardò l’orologio “Sono le 23” mi disse all’orecchio “forse vuoi tornare a riposare...?”
Che strano modo di leggere l’orologio, pensai, sembra
un’annunciatrice della Rai. “Non ho fretta. Sono abituato a dormire poche ore per notte, e poi sono in vacanza.”
“E quella ragazza che ti aspetta a Torino? Ma forse
non c’è nessuna ragazza, non è così?”
La guardai irritato. Lei invece sembrava divertirsi. “Questi sono fatti miei” risposi “e tu, piuttosto? Sei uscita a
ballare mentre tuo marito sta male in una camera d’albergo.”
“Arduino non è mio marito” rispose.
Trattenni il fiato. “Cosa significa?”
Mi fece cenno di tacere. “Come si chiama questa canzone?” domandò voltando l’orecchio verso le casse
acustiche.
“Quando soffia il vento, mi pare.”
“Il vento” mi corresse lei.
Tornammo sulla pista di assi di legno lucide. Restammo a ballare fino oltre la mezzanotte, fino a che la
voce della cantante si fece rauca e i musicisti cominciarono a steccare.
I ragazzi sgocciolarono via per ritornare alle pensioni o
ai piccoli alberghi del lungomare. A malincuore, anche
Letizia mi chiese di uscire perché le canzoni cominciavano a ripetersi.
“Voglio andare a vedere il mare di notte” disse abbottonando il cardigan “torna pure in albergo, se vuoi.”
“No” risposi, quasi punto nell’orgoglio “ti accompagno.”
Scendemmo verso il fronte del mare su una passerella
di assi martellate, fino a che si persero nella sabbia.
Letizia tenne in mano le scarpe di raso che affondavano come chiodi e mi precedette di due passi verso
l’acqua entrando fino alla caviglia.
“E’ fredda?” domandai.
Mi guardò come se avessi parlato in turco. Planò con
le piante dei piedi sulla sabbia bagnata.
“And Jesus was a sailor when He walked upon the
water” cantai non proprio intonato.
“Dylan” tirò a indovinare Letizia senza voltarsi “I dreamed
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mappe dello spazio/tempo
I saw St. Augustine.”
“Sbagliato. Leonard Cohen.”
Dal tendone arrivavano ancora riff sconnessi di chitarra e qualche colpo di piatti. Sulla passeggiata del lungomare erano rimaste solo poche coppiette, mentre
altri ragazzi passeggiavano in solitudine sulla spiaggia
buia, come granchi moribondi.
“Cosa vuole dire che Arduino non è tuo marito?” domandai raccogliendo tutto il mio coraggio.
“Vuole dire quello che ho detto” rispose Letizia scura
contro la risacca “siamo solo colleghi.”
Rovesciai con la punta della scarpa una conchiglia.
“Perché mi avete fatto credere di essere marito e moglie?”
“Voi italiani siete così” rispose sbadigliando “sarebbe
impossibile dormire nella stessa camera con un uomo
senza essere considerata una puttana.”
“Esagerata” la rimproverai “siamo nel ‘68.”
“Difficile dimenticarlo” rispose lei quasi a se stessa. Il
complesso non suonava più. Qualche automobile passava sulla provinciale appena oltre il lungomare, l’unico altro suono era il suicidio delle onde sulla spiaggia.
Raggiunsi Letizia. Aveva il collo nudo e bianco sotto la
luce lontana dei caffè di riviera. “Hai freddo?” domandai.
Si strinse nelle spalle. “L’estate sta finendo” rispose
“tanto vale approfittarne.”
“Siamo ad agosto” dissi avvicinando il pollice alle sue
labbra lucide di rossetto “avremo ancora giorni di sole...”
Posai le dita sulla curva della sua guancia, il polpastrello
sulle labbra. Mi stupii che non stingesse, eppure aveva una bocca così rossa...
“Che fai?” disse.
“Se Arduino non è tuo marito...” incominciai, ma si avviò verso le barche rovesciate in secca.
Le tenni dietro, raggiungendola per cingerle la vita con
il mio braccio come quando avevamo ballato sotto la
tenda.
C’era ancora musica, veniva dalla veranda di un ristorante. Camminammo sulla sabbia, il mio braccio intorno alla sua vita, le sue braccia conserte con le scarpe
fra le dita.
Le dita di un pianista saltellavano fra i tasti di un pianoforte verticale. Riconobbi stupito La canzone di
Marinella. “Questa notte non dovrebbe finire mai” commentò Letizia elettrizzata dal vento di mare.
Non era facile ballare sulla sabbia. Letizia gettò le scarpe e oscillammo a ritmo nel buio più assoluto, anche
più avvinghiati che nella balera estiva.
C’era la luna e avevi gli occhi belli, lui ti baciò le labbra
ed i capelli, c’era la luna e avevi gli occhi stanchi, lui
pose le sue mani suoi tuoi fianchi.
“Chi sei?” domandai ai suoi capelli “da dove vieni?”
Pestammo tutta la sabbia fredda di umidità. La sua
bocca era tiepida, profonda, ma mi accorsi che era
tutta bagnata di lacrime.
“Le stelle” disse con gli occhi allo zenith “da tanto non
le vedevo. Dove abito io c’è smog giorno e notte.”
Il cielo in una stanza. Sentivo sotto le dita il movimento sincopato dei suoi glutei. L’orlo del vestito mi strofi-
nava sui pantaloni con ostinazione. Quando sei qui
con me, questa stanza non ha più pareti ma alberi.
Camminammo frenetici verso un barca, tenevo in mano
il suo cardigan e lei aveva già un seno scoperto dalla
spallina. Ci infilammo al riparo del legno rovesciato,
dove era ancora più buio perché la luce in linea retta
della luna non aveva la forza di strisciare fra la spiaggia
e la barca. Letizia aveva una pelle liscia come il raso
del vestito e lo stesso profumo del frutto della passione. La sua carne era soda ma cedevole. Lacerai la
camicia contro una scheggia di legno, battei le spalle
contro la barca, mi procurai escoriazioni ai gomiti e ai
ginocchi strusciando sulla sabbia.
Letizia aveva labbra con un rossetto perenne, che non
stingeva neppure sul mio collo. Aveva denti forti, e li
usò. Aveva muscoli alle cosce e tentò di usarli, ma ci
ripensò e si lasciò andare.
Uscimmo da sotto la barca con i capelli e le unghie
pieni di sabbia. Sentivo fame e avevo una leggera nausea contemporaneamente. Letizia mi mostrò lo strappo sulla spalla della camicia, poi mi fece lo sgambetto
facendomi cadere. La rincorsi mentre cercava le scarpe al buio, e quando le trovammo le riempii la bocca
con un pugno di sabbia.
Per sfuggirmi corse in mare fino alla caviglia, poi la
ricattai con le scarpe. Tornammo sul lungomare dove
c’era un solo caffè già aperto. Pagò cappuccio e cornetto per tutti e due, poi chiese alla signora del bar di
accendere la radio.
Balla Linda. Persino il rumore dello zucchero che cadeva attraverso la schiuma del caffè sembrava troppo
forte.
La mattina arrivò come un raggio laser attraverso le
palme. Arrivò anche un ragazzo in blue-jeans con un
cartone pieno di paste alla crema, Letizia ne mangiò 6
davanti agli occhi della proprietaria che quasi non ci
credeva. Cercò di fumare un’altra sigaretta, ma questa
volta tossì davvero.
Il colore sulle sue labbra non si era nemmeno sbiadito.
Ogni pochi minuti scrollava i capelli facendo cadere
granelli di sabbia sul tavolino.
“Senti” dissi dopo avere parlato del più e del meno fino
alle sei del mattino, “Cosa vai a fare a Torino? Torna a
Roma con me, possiamo passare l’estate insieme.”
Alzò le dita per ordinare un altro caffè, quindi schiacciò maldestramente la mezza sigaretta nel posacenere.
“Non posso, sto lavorando. Devo essere di ritorno a
Lugano fra 5 giorni, e prima devo passare da Torino.
Ho da recuperare per conto di un cliente materiale nel
negozio di dischi di suo padre.”
Scossi la testa, incredulo. “Che razza di storia. E
Arduino?” mi accorsi di essere geloso.
“Te l’ho detto, è un collega di lavoro.”
“Tu non sei svizzera” dissi cacciando le mani nelle tasche dei pantaloni “conosco bene l’accento di Lugano.”
Inghiottì il caffè ancora bollente, allungando le gambe
sotto il tavolino per intrecciarle con le mie.
“Vengo con te a Lugano” dissi.
Mi guardò seria, mordendosi le labbra. Mi infuriai “Ma
non senti proprio niente? Davvero sei così abituata a
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infilarti sotto le barche rovesciate con un uomo?”
“Zitto, scemo” mi redarguì accennando alla signora del
bar che allungava l’orecchio.
Il sonno era passato, non avrei voluto ritornare in albergo per non affrontare Arduino, ma dopo avere cercato
nuovamente di fumare un’altra sigaretta Letizia si alzò.
Arduino ci aspettava con le valigie accanto alla mia
1.100. Aveva già saldato il conto e appariva meno pallido della sera prima, ma aveva brutte notizie per me.
“Dobbiamo tornare a casa” disse mostrando a Letizia
la radiolina senza sintonia “c’è stato un contrattempo.”
Avrei voluto parlarle in privato. “Senti, vi riporto io a
Roma” le sussurrai all’orecchio.
Scosse vigorosamente il capo. “No, non è possibile.
Continua pure il tuo viaggio, e scusa per il tempo che ti
abbiamo fatto perdere.”
Arduino mise l’auricolare all’orecchio, allontanandosi
per chiedere all’albergatore gli orari delle corriere per
la stazione ferroviaria. “Senti, voglio il tuo numero di
telefono” dissi con un groppo in gola.
Letizia sorrise. “Ti assicuro che non avrebbe senso.”
Sospirai. “Dimmi la verità, Arduino è davvero tuo marito?”
Scoppiò a ridere stavolta. “No, guarda che la questione è un’altra. Ma ti prometto che mi farò viva io.”
Arduino stava ritornando. “Davvero? Lo prometti?”
“Lo giuro.”
64 anni fa. Non l’avevo mai dimenticata, ma trovarmela
davanti così all’improvviso fu uno choc
“Che hai, papà?” domandò Lucrezia.
Rimisi lo sguardo a fuoco su di lei. “Niente” risposi, ma
il mio sguardo mi contraddiceva. Tornai a guardare
Letizia.
Mia figlia Lucrezia seguì il raggio laser dei miei occhi.
“La conosci” domandò.
“Una volta” risposi.
Era indubitabilmente Letizia. Dimostrava 13 anni, forse 14. Mi venne in mente quel romanzo in cui una
strana malattia costringe una ragazza a una
regressione temporale, giorno dopo giorno indietro negli anni fino a tornare bambina, poi neonata, infine a
scomparire.
Letizia ragazzina stava osservando qualcosa nella lente
sinistra dei suoi occhiali. Muoveva la testa a tempo,
come se stesse ascoltando un programma musicale.
Lucrezia sfilò dalla narice sinistra la sua cannuccia e
la posò con cura sul piano del tavolino, poi batté tre
volte con l’indice sul piccolo microfono della console.
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“Myosotis” disse.
“Mi rincresce” rispose una voce minuta, sintetica, “è
terminato. L’offerta del giorno è fiore della passione.”
Il fiore della passione. Letizia sulla sabbia. Dio mio,
64 anni fa. Mi alzai distratto, lasciando Lucrezia di
stucco, e mi avvicinai al tavolo della ragazzina, che
sembrò incuriosita.
“Letizia?” domandai.
Sorrise “Mi conosce?”
Mio Dio, pensai riconoscendo la sua voce. Il timbro
vocale era già quello di Letizia adulta.
“Posso sedermi?” domandai accennando alla sedia libera al suo tavolino.
Disattivò con un cenno il canale, levandosi gli occhiali.
“E’ un amico di mio padre?” domandò.
Sedetti, ignorando mia figlia che mi controllava curiosa. “Davvero non ricordi dove ci siamo conosciuti?”
La ragazzina scosse il capo, poi cercò negli occhi di
Lucrezia al tavolino accanto se fosse uno scherzo. Un
oboe malato di melancholia mirò ai nostri timpani dagli
altoparlanti della mescita.
Rimanemmo in silenzio, non sapevo che dirle. Se non
ricordava... Ma chi era quella ragazzina che si chiamava come quella Letizia di 64 anni prima, pochi giorni nella mia estate del ‘68?
E poi compresi. Forse impallidii perché la ragazzina
batté le ciglia appena preoccupata, di certo mi si riempirono gli occhi di lacrime. “Dio...” sussurrai “Dio mio,
avevi giurato...”
64 anni. Un ragazzino si affacciò dalla tenda
monomolecolare della mescita, si arrestò quando mi
vide al tavolo con Letizia. “Scusa” borbottai alzandomi, e ritornai al tavolo con mia figlia.
I ragazzini sedettero insieme. “Ti eri sbagliato?” sussurrò Lucrezia con un sorriso da un orecchio all’altro.
“Sbagliato?” negai “Assolutamente. L’ho conosciuta.”
Sì, pensai, l’ho conosciuta, e lei ha promesso, anzi
giurato che si sarebbe rifatta viva.
“Misterioso” commentò Lucrezia incrociando gli occhi,
poi la spia sulla console si accese “Ah, il mio frutto
della passione. Vuoi assaggiare?”
Declinai l’invito, e mi sedetti allo schienale della poltrona a gas, che suonò una breve melodia di compressione. Osservai Letizia, soddisfatto. Soddisfatto e sconcertato, perché quel mattino antidiluviano in cui mi aveva
lasciato in riva al Tirreno senza mai più rifarsi viva, quel
mattino sapeva già che mi avrebbe rivisto. Perché per
lei, quel nostro primo incontro casuale di quando aveva 13 anni era già avvenuto.
----------- 15 dicembre 1994 / 29 marzo 1995
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
10^-13 E.V.
Claudio Tanari
Metempsicosi (Gr. meta empsychos,
Lat. Metempsychosis)
La dottrina della trasmigrazione delle anime afferma che la stessa anima abita progressivamente, in
stadi successivi, i corpi di diversi esseri viventi, siano essi umani o animali.
MICHAEL MAYER, The Catholic Encyclopedia Volume X , Universitas Gregoriana 1974
Gli egizi furono i primi ad asserire che l’anima è immortale, che è in grado di trapassare, al momento della morte, nel corpo di un
altro essere vivente e che quando abbia compiuto il ciclo di tutte le forme di vita terrestri,
acquatiche e celesti, allora tornerà ad incarnarsi in un corpo umano; questo ciclo dell’anima si svolge in trecento anni.
ERODOTO, Storie II - 123
Nel pensiero braminico si trova la dottrina dei cicli
cosmici, dell’annullamento e della rinascita destinati a
ricorrere ad intervalli di tempo enormi; all’interno di questo movimento universale i destini dell’anima individuale
sono del tutto accidentali.
DOUGLAS MACDONNELL, La concezione dell’anima nel
pensiero indiano antico in “Journal of Theological Studies”,
Londra 2001
Se usassimo dei generatori magnetici trifasici a campi elettromagnetici
alternati, che producano onde elettromagnetiche del tipo ELF
(Extremely Low Frequence, Estrema
Bassa Frequenza), ossia frequenze
che vanno da 300 Hz a frequenze
minori, ciascun fotone generato
possederebbe un energia elettromagnetica proporzionale al numero di
onde al secondo (in questo caso circa 10^-13 E.V.), tale forza potrebbe
aprire una porta spazio - temporale
locale, circoscritta in una zona ristretta, fuori da questo mondo.
ALLARDYCE CLOCKWORN, Cilindri rotanti e possibilità di violazione
della legge di causalità universale,
Physical Review D, Philadelphia
University 2135
Zanzara
s.f.
(scient. Culex
Pipiens) Nome comune degli Insetti
Ditteri appartenenti alla famiglia dei
Culicidi, le cui larve e ninfe vivono
nell’acqua, generalmente stagnante. Le femmine,
ematofaghe, provocano punture fastidiose anche all’uomo.
E M I L Y
WORDWIDE Dizionario Enciclopedico Universale,
Stanford 2001
Usando una terminologia più scientifica, si può dire che il problema creato
dai cammini chiusi di tipo tempo (CCTT)
è quello della violazione della Legge di
Causalità. Quella di Causalità è una legge ipotetica secondo la quale le cause
precedono sempre gli effetti.
FRANZ LEIBER, Paradossi e possibilità, New York 2023
Ci sono due possibilità che sono state ampiamente dibattute da scienziati, filosofi e
in modo più accessibile da scrittori di fantascienza. La prima consiste nel ritenere il
passato come inviolabile, determinato e non
modificabile. Tutto ciò che è successo, compreso il viaggio indietro nel tempo (…) è già
accaduto e secondo questo punto di vista
non può essere alterato. Qualunque siano
le vostre intenzioni, quindi, dopo essere
partiti nulla di quello che farete cambierà il
passato. (…) Una leggera variante di questa idea è quella di andare indietro nel tempo e cambiare il passato in modo non particolarmente significativo. Ad esempio, se
andaste nel passato ed abbatteste un albero, un altro albero ricrescerebbe al suo posto; se uccideste vostra nonna ancora giovane (cfr. Il paradosso della nonna di Fritz
Obermayer), vostro nonno potrebbe sposare al suo posto la sorella, in modo tale che
il patrimonio genetico da voi ereditato cambi di poco; e così via dicendo.
I cambiamenti insomma si attenuerebbero
prima di propagarsi lontano attraverso il continuo spazio - temporale, obbedendo alla
legge di Leiber dell’Autoconservazione della Realtà.
ALFRED SHEKLETON, Indietro nel tempo
“Science Magazine 21 Luglio 1999
I sing the progresse of a deathless Soule
Whom Fate, which God made, but doth not
controule,
Plac’d in most shapes
JOHN DONNE The Progresse of the Soule 1601
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
volare veloce verso punto trapasso quasi ora pancia meglio forse quanto ancora animale molto tempo uomo
piena sangue ma stanco quasi ora trasferimento altra ancora stanco volare basso verso fine ciclo attenziovita meglio forse
ne
Allardyce Clockworn era pronto. La Macchina era lì
davanti, ovoidale, pronta a tuffarsi nel campo
transcronico e a viaggiare nel tempo. Clockworn ricordò i suoi studi, le sue pubblicazioni scientifiche, gli
sberleffi dell’ambiente accademico, la creazione della
prima cattedra di Cronofisica… Ora era a un passo
dalla realizzazione di tutto ciò che aveva dapprima solo
immaginato poi, a prezzo di enormi sforzi intellettuali
e finanziari, progettato e costruito con le sue mani.
Sfiorò delicatamente la superficie dell’abitacolo, avvertì sotto i polpastrelli una sensazione di calore vibrante:
sapeva che si trattava del campo latente, ma in quel
momento non poté fare a meno di pensare la Macchina come un organismo vivo.
Si guardò intorno abbracciando con una rapida occhiata
il suo studio – laboratorio, la luce del giorno che iniziava a penetrare dalla vetrata, il silenzio sospeso del giardino in penombra. Entrò deciso nella macchina e si
sedette al posto di guida.
Allardyce Clockworn osservò l’immagine riprodotta dalla
telecamera: era “atterrato” su una collina piuttosto bassa da cui si dominava una cittadina non molto estesa;
selezionò con l’indice la porzione di immagine da ingrandire proprio al centro dell’abitato: vide uomini e
donne dagli strani abiti camminare indaffarati, pochi
veicoli, probabilmente dal motore a scoppio, scivolare
lenti e goffi lungo le strade. Ingrandì il particolare di un
ragazzo che gridando agitava dei larghi fogli di carta
con una mano e con l’altra ne teneva un pacco, apparentemente pesante. Bloccò il dettaglio della pagina
esterna di uno di quei fogli: “Hitler attacca l’Urss”; “U Boot giapponese al largo di San Francisco?”; “I Dodgers
vincono 7 – 4 contro i Cincinnati Reds”.
- XX secolo… – sorrise tra sé Clockworn.
Tornò alla visione ampia. Intorno alla Macchina, che il
generatore d’antimateria manteneva rigorosamente invisibile, un terreno coltivato a pascolo su cui sorgeva
una quercia rigogliosa era accarezzato dalla brezza
estiva. Clockworn fu tentato di respirare l’aria che imsole forte volare stanco vita prima una cellula sola fa- maginava tiepida – all’orologio erano le 7.30 a.m. – e
cile muoversi acqua leggera ora corpo grande troppo profumata. Ingrandì il dettaglio di un fiore di campo vipesante quasi ora non rompere ciclo grave rompere sitato da un piccolo insetto ronzante.
ciclo pericolo stanco stanco
riposo ancora presto nuovo ciclo non iniziato fiore coClockworn si schiarì la voce poi materializzò con un modo nettare gustoso quando ape cibo prezioso ora
ordine vocale la videotastiera del computer di bordo. bisogno riposo ultimo sforzo poi nuova vita meglio siBloccato il portello, la capsula era completamente pri- curo
va di aperture, liscia e concava all’interno come il guscio di un uovo; una luminosità diffusa e riposante e All’improvviso aprì il portello; sì, conosceva i rischi di
una poltrona reclinabile erano gli unici elementi di arre- un qualsiasi contatto con il passato, aveva pubblicato
do della Macchina. Sul video olografico Clockworn po- interi tomi sui paradossi temporali, le cui possibili conteva vedere, inquadrato da una micro telecamera ester- seguenze erano note in teoria ma non sperimentate in
na, il suo studio; in sovrimpressione la data attuale, pratica. Finora. Del resto, che pericolo c’era? Annusa“22 Giugno 2141”, un giorno, ne era sicuro, che sareb- re l’aria di qualche secolo fa non potrà certo alterare
be stato ricordato nei futuri libri di storia della scienza alcunché o, peggio, trasgredire la Legge di Leiber!
e non solo. Aveva già deciso dove (o quando?) si sa- E poi, la leggerezza di quest’atmosfera! La luce del
rebbe diretto: destinazione XX secolo, nel passato, na- sole e la calda dolcezza di quella stagione irruppero
turalmente, visto che non era ancora riuscito a risolve- nell’abitacolo - Il profumo del passato! – pensò
re il problema di piegare la Curva Chiusa di Tempo ver- Clockworn eccitato e trionfante…
so il futuro.
Il cronofisico digitò sulla videotastiera fluttuante le co- ecco finestra fine ciclo aperto volare svelto dentro fiordinate di flusso, azionò i motori trifasici e… la Mac- nestra strana finestra uomo dentro luce strana fame
china si mosse. O meglio rimase immobile, ma sangue fame fame odore sangue ronza sangue…
sull’oloschermo l’immagine dello studio dapprima tremolò, poi si disintegrò in una miriade di frammenti lu- La zanzara che sarebbe diventata, qualche secolo più
minosi, sostituita da interferenze e scie multicolori. Ma tardi, Allardyce Clockworn entrò titubante nella capsuvicino al bordo inferiore del video i numeri che indicava- la di Allardyce Clockworn. Altrettanto distrattamente,
no la data avevano preso a scorrere all’indietro veloci, questi la schiacciò con una istintivo schiaffo sul collo
così veloci che era impossibile leggerli distintamente. impedendone la trasmigrazione ormai imminente e inNell’abitacolo, a parte un leggero senso di nausea nescando una reazione a catena che avrebbe cancelClockworn non avvertiva il minimo movimento.
lato d’un colpo lui stesso, i suoi figli, pronipoti, affini e
Poi il computer fermò la Macchina: la data era ferma al tutto il resto dell’umanità ad onde concentriche; l’onda
22 Giugno 1941.
d’urto temporale annullò, senza troppo rumore, la Realtà e l’Universo che si dissolsero, semplicemente.
collina lontana quasi arrivato stanco ma prossima vita
90
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
La porta scivolò nella parete e
si richiuse subito dietro al passaggio della sagoma. L’uomo
ripiombò per un breve attimo
nell’oscurità fitta fino a quando
il comando vocale accese la
luce del piccolo monolocale.
Apparve il volto rude ma ancora giovane di Son Redrum.
Quando si girò, incerto sulle gambe e annebbiato dai
fumi dell’alcool, si trovò di fronte alla canna di una minacciosa pistola.
- E tu... chi diavolo sei? Che fai in casa mia? - chiese
Redrum accigliato, ancora confuso.
L’altro, immerso in una comoda poltrona, sorrise. Una
risata amara, non divertita. Rimase in silenzio.
Redrum, vedendo la reticenza dell’altro, iniziò a scaldarsi: - Ehi, bastardo! Ti ho chiesto chi cazzo sei?
Chi... come sei entrato? - e inciampando nei suoi stessi
passi gli andò incontro, sempre più infervorato.
- Non fare un altro passo.
- Che dici?
- Non muoverti. È più chiaro?
- Ehi, insomma - cercando di sistemare le cose, in un
momento di passeggera lucidità, - io non ti conosco,
bello. Che vuoi da me? Non ti ho fatto niente... vuoi dei
soldi? - frugandosi nei pantaloni sudici, in modo talmente impacciato da rovesciarne tutto il contenuto in
Tempo Di Vendetta
Andrea Iovinelli
terra.
- No, non mi conosci. Non ancora, almeno. - Si alzò dalla poltrona e stese il braccio, puntando la pistola con ancora più
decisione.
- Ehi, ehi, amico, vacci piano.
Parliamone.
- Non sono tuo amico.
- C-che vuoi insomma, si può sapere? - indietreggiava
impaurito, confuso dalla minaccia dello sconosciuto,
e finì col perdere l’equilibrio cadendo pesantemente
sul pavimento.
- Cosa voglio? È semplice e dovresti averlo intuito, ormai. - Sorrise ancora, e su quell’espressione c’era tutta la malvagità di chi, cercando avidamente la vendetta, sta finalmente per soddisfarla. - Voglio la tua vita.
Gli si avvicinò, fino a fermarglisi sopra. Lo squadrò un’ultima volta dal alto e, senza un’ombra di pietà, premette il grilletto. Due spari risuonarono fragorosi nella piccola stanza disadorna.
Il sangue imbrattò oscenamente le pareti; poi iniziò a
riversarsi con lentezza sul pavimento incanalandosi nel
grezzo mosaico delle piastrelle.
L’assassino sorrise un’ultima volta, isterico. Il suo volto era disteso ora, finalmente appagato. Sollevato dal
carico di un peso che non riusciva più a sopportare.
“Benvenuti al notiziario della sera di 4U-TV. Come avete
appena sentito dai titoli, a due giorni di distanza dalla sentenza, non accenna a placarsi la polemica divampata in seguito alla conclusione del processo a Son Redrum. Ricordiamo
che l’imputato, riconosciuto colpevole dell’omicidio delle
piccola Ely Brahim, è stato condannato a quindici anni e sei
mesi per riconosciuta infermità mentale, senza che venisse
accolta la richiesta di condanna a morte della pubblica accusa; la pena, lo ha ribadito anche oggi in modo chiaro il presidente della Corte, dovrà essere scontata non presso un comune penitenziario, ma in una struttura adeguata ad accogliere casi clinici di simile gravità, come esplicitamente stabilito dal collegio giudicante. Ma colleghiamoci subito in diretta
con il nostro inviato, per aggiornarci in dettaglio su tutti gli
ultimi scottanti particolari della vicenda...”
La voce del mezzobusto si disperse tra i suoi confusi
pensieri, rimanendo solo un fastidioso mormorio di
sottofondo da cui allontanarsi il più possibile. Lars si
avvicinò con passi pesanti all’ampia finestra panoramica e attivò il circuito che polarizzò solo una parte delle
microsfere; l’opacità sfumò e il buio opprimente della
stanza lasciò un po’ di spazio alla lieve luminescenza
che filtrava dall’esterno della vetrata. Al di là, pullulante, fredda, imperturbabile, la metropoli continuava a
respirare con lo stesso affanno dei suoi abitanti. Con
la stessa falsa e forzata indifferenza.
Sotto il suo sguardo, dall’alto del centoduesimo piano
del più alto grattacielo della città, si stendeva il gigan-
tesco pianoro del settimo livello, un miglio esatto sopra il livello del mare. L’elitario settimo livello “a un passo dalle stelle”, come recitava lo slogan.
Il paradiso esclusivo in cui veniva a rifugiarsi chiunque
ne avesse le possibilità finanziarie, lasciando il resto
del mondo al di fuori, sotto di sé. La gabbia dorata in
cui le intoccabili personalità si chiudevano per illudersi
di essere finalmente al sicuro.
Mai avrebbe creduto che qualcuno potesse arrivare a
ferirlo fin lassù. Ora si chiedeva, più di ogni altra cosa,
cosa sarebbe accaduto se solo avesse scelto di essere qualcun altro, di fare qualsiasi altro comunissimo
mestiere.
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IntercoM
mappe dello spazio/tempo
“Il giudice ha commentato
brevemente, e ha giustificato la sentenza addossando le
colpe della mancata condanna al massimo della pena, alle
infrazioni procedurali ravvisate nella raccolta e nell’esposizione degli indizi da parte
della pubblica accusa. Secondo le prime indiscrezioni trapelate finora, le illegalità sarebbero collegabili a una presunta...”
Un rumore lieve emerse dal silenzio ovattato. Lars si
volse solo quando avvertì la presenza dei passi leggeri
di Sara, dietro di sé.
- COR: spegnere televisione. - Mise a posto qualche
soprammobile, poi gli si avvicinò cauta: - Lars, che fai
al buio...? - mormorò in tono dimesso, - vieni via da lì,
dài, ho preparato qualcosa.
- Non ho fame, grazie.
- Solo un boccone. Ti devi sforzare, devi reagire, Lars.
Non puoi andare avanti così.
- Vorrei essere forte come te.
Silenzio.
Sara gli si accostò e lo abbracciò forte cingendolo all’altezza della vita. Lars distolse lo sguardo dal vuoto
oltre il vetro e la baciò dolcemente. Lei raccolse dalla
sua guancia le lacrime che gli rigavano il volto.
- Oh... amore mio. Non puoi, non possiamo continuare
a torturarci così. So che è triste e brutto dirlo; e so che
Ely non sarà mai più con noi, ma dobbiamo continuare
a vivere. Ehi, guardami - lo prese per il mento e lo fissò
negli occhi lucidi. - Lo dobbiamo fare anche per lei.
Sono sicura che lei vorrebbe così, sai?
Lars deglutì e sollevo il capo prendendola per mano. Vieni, devo parlarti.
- Ma è pronto e si raffredderà tutto quan...
- È importante, ti prego.
Sara si accigliò, preoccupata. - Siediti - le sussurrò
lui, rimanendo per lunghi momenti muto e imbarazzato, senza un capo a cui attaccarsi per iniziare a dirle
ciò che aveva da confessarle.
Inspirò a fondo, rilasciò il fiato rumorosamente e poi
posò con coraggio gli occhi su di lei.
- Ci sono stato, ho visto tutto - disse veloce, liberandosi.
- Lars, che stai dicendo? Non ti capisco.
- Tre settimane fa. Ho voluto vedere con i miei occhi
cos’è veramente accaduto a Ely.
Sara cedette di schianto alle lacrime. - Che cosa hai
fatto, Lars? - balbettò. - Perché?
- Ho usato una scheda temporale e ho assistito all’omicidio di nostra figlia.
- Sei impazzito?! Potrebbero condannarti all’ergasto-
92
lo, per questo! E tu dovresti saperlo bene!
- Io ho pensato...
- E non hai pensato a me, a quello che avrei voluto io?!
- gli urlò in faccia. - Hai approfittato della tua carica,
hai usato gli strumenti crono-investigativi per tuoi scopi personali, te ne rendi conto? No, è evidente che non
puoi, se l’hai fatto veramente.
- L’ho fatto per noi. E non pensare che sia stata una
decisione facile.
- Certo, certo... e magari avresti pensato di uscirne
anche pulito, vero?
- Non è quello che mi preoccupa. C’è dell’altro, Sara.
Lei si alzò furente, scura in volto, e con passò deciso
si allontanò dal divano; Lars la prese per un polso cercando di trattenerla. - Aspetta, ti prego.
- Non voglio sapere nient’altro, razza di bastardo incosciente. - Il pianto divenne isterico, incontrollabile.
Continuava ad agitarsi tentando di divincolarsi dall’abbraccio del marito, e in pochi attimi la lotta si tramutò
in una vera e propria colluttazione che si concluse solo
quando lui le sferrò un sonoro schiaffone.
- Ho ucciso Son Redrum! - le gridò addosso, desideroso di scaricarsi il peso di dosso. Sara non fiatò, ma lo
allontanò con forza da sé. - Pochi minuti fa - concluse
lui.
- Redrum è in carcere, non puoi averlo...
- Mi sono procurato un accesso al flusso temporale
aperto, quello interdetto, e gli ho fatto visita quindici
anni fa, nel suo passato, quando ancora non sapeva
chi fossi. - Lei lo fissava ora con gli occhi sbarrati. Sara, ho vendicato Ely. Ho voluto, anzi, ho dovuto
farlo, o non avrei più avuto pace. Se solo tu avessi
visto cosa le ha fatto quel mostro...
Sara gli si scostò lentamente, quasi senza forze, si
sedette e poi si coricò rannicchiandosi lentamente.
Appariva sconvolta. Estraniata, indifesa e soprattutto
inconsolabile.
- Redrum secondo i calcoli morirà tra due giorni, quando le onde temporali investiranno il nostro continuum.
Poi partiranno le indagini per accertare la causa del
decesso e quando sguinzaglieranno i crono-investigatori... beh, scopriranno che sono l’assassino.
Lars le si avvicinò sedendosi sul bordo del divano.
- Sara, non ti abbandonerò. Non mi prenderanno, vedrai. Non sarà semplice ma conosco un modo per...
uscirne.
La città splendeva, immersa nella fastosa illuminazione artificiale, con le strade invase da fiumi di persone
affannate ad affogare tutte le malinconie e le noie nella
fiera dell’acquisto futile. Tutti quanti esili e grigi nella
loro affettata allegrezza. Musica, sorrisi e balocchi per
i bambini.
Il vocìo continuo della vita in sottofondo lo invase con
violenza improvvisa, e lo colpì forte alla testa. Fu costretto a fermarsi un attimo, a prendere fiato, mentre il
fiume in piena lo urtava, indifferente e inconsapevole
del suo e di mille altri drammi umani.
La testa, oltre a essere vittima di fitte lancinanti, gli
girava vorticosamente. Lars respirò a fondo, cercò di
rilassarsi e poi provò cauto a riprendere il cammino
IntercoM
mappe dello spazio/tempo
verso il suo appuntamento; si costrinse, quasi, o vi
sarebbe giunto in ritardo col rischio di farsi sfuggire
un’occasione che non gli si sarebbe più presentata.
Dopo pochi passi s’affacciò sulla piazza di St. Germain,
sorpreso di riscoprirla in tutta la sua bellezza, addobbata e ripulita per l’occasione. Nell’ampio cerchio centrale troneggiava una spettacolare animazione
olografica del Santo delle Stelle, colui che tanta prosperità aveva portato alla razza umana donandole nuovi mondi da sfruttare a piacimento. Lui passò ben distante, aggirando di proposito la folla che s’accalcava
attorno al pupazzo luminoso, tra file di bancarelle di
mestieranti e artisti vari. Attraversò tutto lo spiazzo fino
all’altro capo, per infilarsi poi nel piccolo e buio vicolo
delle Tre Code; il suo uomo l’avrebbe atteso al bar
omonimo, intento nella lettura del Newdays del giorno
prima.
Scoprì presto che il suo uomo in realtà era una giovane donna; dava le spalle alla strada e aveva gli occhi
su un foglio plasto-elettronico: era caricato con la prima pagina del vecchio Newdays, come avevano concordato. Lars si avvicinò cauto, ancora insicuro. La
ragazza, dai capelli scuri e lunghi raccolti dietro la nuca,
lo squadrò da dietro i suoi occhialini, probabilmente di
quelli per la visione notturna.
- Si sieda. Cosa le ordino?
Brahim lì per lì rimase immobile, sorpreso; poi s’accomodò lentamente, impacciato da non si sa quale timore. Guardandola si disse che più che una trafficante in
congegni di traslazione temporale, sembrava una sostenuta professoressa di fisica o di matematica.
- Un bibita fresca. Una qualunque, grazie.
La ragazza prese il menù e fece l’ordinazione; pigiò il
pollice sul circuito di pagamento, facendo uso della
sua impronta digitale con sorprendente noncuranza.
- Sarà una vita d’inferno - tagliò corto lei. - È davvero
sicuro di volerlo fare?
Solo allora Lars s’avvide che la donna giocherellava
con un qualcosa di trasparente e di impalpabile, una
specie sottile pellicola che si rigirava tra le dita, usata
quasi di sicuro per il camuffamento delle impronte.
- Pensa che non ci abbia riflettuto fino a farmi scoppiare la testa? Crede che non abbia paura? Non faccio
altro che pensarci, e ripensarci.
- Quando l’avrà fatto non avrà più una vita. Solo un
incubo infinito. Come non ne ha mai immaginato uno.
- Lo guardò, severa. Appariva sinceramente preoccupata. Poi riprese: - Io non so come sarà con precisione; so solo che non sarà piacevole e... sentivo di doverglielo dire, ecco.
- La ringrazio, ma non possiedo alternative. Mi dica
solo come funziona.
Lei sospirò. - D’accordo, come vuole lei. È semplice.
Da quando avrà compiuto il gesto, avrà ventitré minuti
di vita a disposizione; questo per ogni singolo corso
temporale in cui si ritroverà. L’apparecchio la avvertirà
automaticamente, di questo almeno non deve preoccuparsi. Ma faccia attenzione: spetterà sempre e solo
a lei attivare il trasferimento.
- Capisco, toccherà a me - ripeté a stesso, quasi a
volerselo imprimere nella mente.
- Una distrazione le sarà fatale. Se l’onda temporale,
che trasporta le “informazioni” della sua morte e che si
sposta attraverso i differenti piani dimensionali, dovesse raggiungere il presente soggettivo in cui si trova,
sorprendendola sul posto, sarebbe spacciato. Le è
chiaro?
- Sì, lo spero. In fondo non è così complicato.
La ragazza prese la sacca consunta da dietro la sua
sedia e iniziò a rovistarvi dentro. - Ricordi un’ultima
cosa, altrettanto importate: il traslatore la avviserà con
un ronzio cinque, due e un minuto prima che l’onda la
raggiunga - e così dicendo, mentre si alzava dal tavolino, gli consegnò l’aggeggio; Lars se lo ritrovò in mano
quasi senza accorgersene: una ridicola scatoletta di
plastica di forma rettangolare, che aveva tutta l’aria di
essere un semplice e innocuo giocattolo. - Auguri concluse fissandolo. Si girò verso la strada, lo guardò
un’ultima volta di sopra la spalla e poi si dileguò tra il
fiume di passanti.
The City Files
Il noto procuratore federale vittima di un raptus omicida
Lars Brahim uccide e poi si suicida
Le indagini temporali svelano il mistero. Vendica l’assassinio di sua figlia e poi si abbandona
a una tragica fine. Brahim si sarebbe “assassinato” trasportandosi nel suo stesso passato
di Marcus Asvel
Cala il sipario sulla vicenda che ha sconvolto l’opinione pubblica in questi ultimi giorni, e finalmente si rimuovono i veli che l’avevano avvolta nel più fitto dei misteri. Il procuratore federale, Lars
Brahim, è stato riconosciuto come colpevole dell’omicidio di Son Redrum (a sua volta assassino riconosciuto della figlia dell’alto magistrato), avvenuto poco più di una settimana fa. La conferma all’ipotesi che per tutti era stata la più probabile fin dall’inizio, si è avuta per voce del titolare
delle indagini, il Delegato Hans Delbruck, nel corso della conferenza stampa tenutasi stamattina
presso il palazzo della Procura.
“Abbiamo accertato”, ha dichiarato Delbruck, “attraverso accurate indagini retro-temporali l’effettiva colpevolezza del sospettato principale, il Signor Brahim Lars. Il dottor Brahim ha compiuto
l’omicidio di Son Redrum trasferendosi diciotto anni nel passato, servendosi di un traslatore
illegale che gli ha permesso di accedere a uno degli universi ‘aperti’, quelli, per intenderci, le cui
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mappe dello spazio/tempo
conseguenze hanno una diretta influenza sugli accadimenti del nostro continuum temporale, la
nostra dimensione presente. Non pago di aver commesso un simile crimine”, ha proseguito il
Delegato, “il Brahim ha coronato la sua escalation di follia con un gesto tanto disperato quanto
assolutamente inconcepibile per una mente che si possa ritenere sana ed equilibrata: il suo
stesso omicidio, o suicidio, secondo i punti di vista. Per mezzo del medesimo strumento, si è
traslato nel passato, appena cinque minuti indietro rispetto al suo presente, e ha fatto fuoco su se
stesso uccidendosi.
“Il caso, è quindi a tutti gli effetti risolto e archiviato, non essendo il Brahim più in alcun modo
perseguibile dalle vigenti leggi. Pensiamo inoltre” ha concluso, “che il castigo a cui si è condannato lo stesso Brahim sia ben peggiore di qualsiasi altra pena ipotizzabile e crediamo sia doveroso da parte del nostro Ufficio astenersi dal tormentare ulteriormente questa povera anima lacerata
già a sufficienza dalla pena e dalla sofferenza”.
Cos’altro aggiungere alle nostre considerazioni e alle schiette parole espresse dal Dott. Delbruck,
se non la nostra compassione? Tutti noi ci sentiamo in un qualche modo solidali con il dramma
vissuto da Lars Brahim e dalla sua famiglia, partecipi dello strazio e del dolore che li ha trafitti
sconvolgendone le menti e la ragione; mai e poi mai potremmo quindi condannare i loro gesti o
biasimare la loro vendicativa ferocia. Tutto ciò che ci resta di questa amara vicenda è solo un
profondo e sincero senso di pietà per una famiglia il cui destino è stato segnato dall’atroce e
crudele ritorsione dell’uomo investitosi come loro Nemesi. MA
Ciao Sara,
ti sono affianco, veglio su di te mentre dormi. Tutto diventa più difficile, a ogni minuto che
passa. Pensavo che non sarebbe stato facile, certo, ma non credevo che sarei arrivato a maledirmi per ciò che ho fatto. Ho creduto di poter ingannare la morte, e la società che mi puniva per
un’azione che ritenevo fosse giusta compiere, e invece ho ingannato solo me stesso, perché non
è vita, questa. Non può esserlo.
Il costringersi a essere liberi è solo un’altra forma di prigionia; una prigione tanto pesante e
dolorosa quanto l’essere costretto in catene d’acciaio. Vivere nell’angoscia continua di fuggire
alla propria morte, sempre presente appena dietro le tue spalle, pronta a sorprenderti nell’ultima
fatale distrazione. Non posso farcela in eterno e so che prima o poi cederò alle lusinghe di un
luogo che ora mi sembra tanto migliore di questo. La tentazione di abbandonare tutto è forte, a
ogni istante di più, eppure... eppure, non ne trovo il coraggio, la forza. Come non la trovai
allora, perché la sola cosa che mi impedisca di arrendermi sei tu. Il pensiero di doverti lasciare e
di non poterti più vedere.
È giunta l’ora, devo trasferirmi. Ti lascio, osservando il tuo viso sereno, immersa in chissà
quale splendido sogno. Lo spero. Un solo minuto ancora ed è meglio che mi prepari, se
davvero voglio continuare ad ammirarti.
Tuo
Lars
Che cosa accade ora a Brahim?
Pochi appunti per fare un po’ di chiarezza sugli avvenimenti
di Marcus Asvel
Per i lettori che non avessero una sufficiente conoscenza delle dinamiche che regolano le leggi
temporali, cercheremo ora di spiegare con concetti semplici ciò che è successo e soprattutto ciò
che sta avvenendo anche in questo istante, affinché si riesca ad avere un quadro della situazione
più chiaro e comprensibile. Il concetto base da ricordare, fondamentale, è la capacità di spostarsi su due differenti modelli di piani temporali, a loro volta infiniti:
- il primo, quello comunemente denominato “chiuso” e che tutti usiamo abitualmente per le nostre
più disparate escursioni turistiche, è, diciamo così, “distaccato” dal nostro, e le azioni che vi si
compiono (di qualunque natura esse siano) non influiscono in alcun modo sul presente del nostro
spazio-tempo.
- il secondo invece, quello “aperto”, è interdetto a qualsiasi tipo di accesso non autorizzato (di
solito è utilizzato esclusivamente per le indagini retro-temporali), perché gli eventi che vi accadono hanno la capacità di condizionare, alterandola, la nostra quotidianità, le vicende che la circondano e con cui interagiamo più o meno direttamente. Le più comuni infrazioni del codice di
regolamentazione degli spazi temporali prevedono l’ergastolo; nei casi più gravi è invece prevista
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la pena di morte.
Ora, la dinamica che ha portato alla morte di Redrum è abbastanza facile e riassumibile
in poche parole: Brahim vuole uccidere Redrum (per vendicare l’omicidio di sua figlia), ma
quest’ultimo, anche perché recluso e sorvegliato strettamente, è difficilmente avvicinabile.
Decide così di procurarsi un traslatore temporale illegale e si trasferisce diciotto anni
indietro, nel passato “aperto” di Redrum. Lo uccide, e quando l’onda temporale (contenente le “informazioni aggiornate” sulla vita passata di Redrum) raggiunge il nostro
continuum, Redrum muore.
Per l’omicidio-suicidio di Lars Brahim il discorso è invece più complesso. Brahim ha
compiuto un omicidio e ha la certezza che, una volta accertata la sua colpevolezza, verrà
condannato a morte. L’unica “salvezza” è uccidere se stesso in un passato aperto, allo
scopo di non essere più perseguibile penalmente. Il tal modo Brahim modifica la struttura
del suo continuum soggettivo e quello di tutti noi. Ma per far sì però che tale meccanismo
funzioni mantenendolo in vita, egli non può farsi raggiungere dall’onda temporale che
provocherebbe la sua morte, ed è così costretto a trasferirsi di continuo in differenti e
paralleli piani del suo presente (e del nostro), creandone ogni volta uno nuovo che
scaturisce dalla sua “esperienza personale” appena passata. Ciò è possibile perché il
tempo di trasmissione dell’informazione relativa al suo avvenuto decesso, tra un piano del
presente e l’altro, è di ventitré minuti; Brahim è quindi “libero” di muoversi, in anticipo
rispetto all’informazione, da un universo all’altro allontanandosi dal suo presente originale
lungo la “diagonale” dello spazio-tempo.
Questa la triste sorte che ha scelto per sé Lars Brahim, pur di vendicare l’omicidio di sua
figlia Ely. Costretto a trasferirsi in un differente universo ogni ventitré minuti, senza potersi
mai fermare. Un tormento unico e inimmaginabile, che non vorremmo augurare nemmeno al nostro peggior nemico. MA
È successo appena pochi istanti fa. Tremo ancora dallo spavento.
Non riesco più a dormire quando vorrei e dovrei, e il sonno mi sorprende quando meno me lo aspetto, nei posti
più impensabili e scomodi. I miei sensi intorpiditi si rifiutano di assistermi... e così non ho sentito il segnale che
mi avvertiva: nessuno dei tre previsti. Non so come, forse perché ormai il mio stato d’allerta è perenne, anche
se inconscio, ma mi sono svegliato di soprassalto avvertendo un immediato senso di pericolo. A quel punto
mancavano solo trentadue secondi alla fine. Appena in tempo, Sara.
Se penso che potrebbe accadere senza che me ne accorga... dio non voglia. Sapere di essere stati a un passo
dalla morte non è semplicemente brutto, è orrendo. Vivere quei pochi secondi che ti separano dalla fine, mentre
sai che si avvicinano inarrestabili. Si viene assaliti da un’angoscia che ti preme sul cuore e ti afferra per la
gola; si vive la paura che la sensazione possa non lasciarti più.
Purtroppo non ti ho trovata a casa. Probabilmente sei uscita per qualche acquisto.
Volevo parlare. Vederti.
Sai, sto rimuginando, qui... tra una frase e l’altra. E a dire il vero lo faccio di continuo, ultimamente. Mi chiedo
che senso abbia e se non stia sbagliando tutto. Mi dico che sono un vigliacco, un egoista, e non riesco a non
pensare che ad ogni nuovo trasferimento in un nuovo universo, oltre alla mia soddisfazione nel poter
continuare a vederti, dovrei anche considerare, dare più importanza al fatto che lascio dietro di me una scia
infinita di vedove. Ogni volta ti tradisco e trafiggo il tuo cuore abbandonandoti per sempre. A ogni nuovo
incontro mi ritrovo davanti al tuo sorriso sereno, e sono felice della tua felicità nel vedermi, mentre altrove stai
piangendo per l’ennesima volta la mia scomparsa.
Basta, è davvero troppo. Mi ripeti che sto facendo la cosa giusta, ma mi sto convincendo che dovrei ignorare
il tuo parere e pensare, almeno per una volta nella vita, anche al bene di chi mi è vicino. E forse tra il lasciarmi
sorprendere nel sonno e il decidere coscientemente quando “farmi finire”, è bene che mi decida per la seconda.
Devo solo trovare il coraggio.
Tuo per sempre,
Lars
Girovagava nelle vicinanza di casa sua, senza una
meta, cercando letteralmente di ingannare il tempo.
Era una bella giornata e così aveva deciso di passarla
in modo sereno, senza incontrarsi con Sara, contemplando il semplice scorrere della vita.
Si accomodò su una panchina del lussureggiante Parco Centrale e aspettò che i restanti venti minuti scivo-
lassero via indisturbati, senza tormentarsi in pensieri
ingombranti.
Dopo poco gli venne incontro un giovane uomo, piuttosto mal vestito e dall’aspetto più in generale svagato e
trascurato.
- Buongiorno - gli sorrise. – Lei è il dottor Lars Brahim,
giusto?
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Lars sbarrò gli occhi, stupito e spaventato al tempo
stesso. - Forse – rispose, riprendendosi dalla sorpresa. - Lei chi... come fa a saperlo?
- Ooh... lo so perché sono giorni che la seguo. – Il
sorriso si trasformò in ghigno. Lars lo guardò sederglisi
affianco, poi proseguì: - Il mio nome sa qual è? Redrum.
Sany Redrum, precisamente; anche se dovrebbe importagli solo il mio cognome.
Lars sbiancò, muto e paralizzato dalla rivelazione.
Senza sapere che cosa fare o dire.
- Sa... ho riflettuto molto. Ho pensato, valutato, soppesato. Poi ho deciso. – Brahim gli si scostò istintivamente. – Ho deciso per la vendetta, ma per quella più
sottile e atroce.
Sany Redrum sfoderò tutti i suoi denti in una risata
che aveva del diabolico. E Lars, di colpo, cogliendo ciò
che avrebbe dovuto intuire all’istante, scattò in piedi e
corse via.
Via verso casa. Da Sara.
Una corsa forsennata, mentre i pensieri più orrendi si
accavallavano e si sovrapponevano, in una sorta di
perversa tortura psicologica. Tra un ipotesi e l’altra,
qualche sconnessa preghiera e l’angoscia che si impadroniva di ogni cellula del suo corpo.
Attraversò lo spazio che lo separava da casa con le ali
ai piedi; urtando, sbandando e urlando per farsi largo
tra i passanti. Il portone, l’androne e le scale fino al
primo piano, le percorse quasi con un solo balzo. Premette il pollice sul meccanismo digitale di apertura e
spalancò la porta: il salotto era vuoto, la cucina pure;
non gli rimase che precipitarsi al piano di sopra, in
camera da letto.
Sara era distesa sul letto, sotto le lenzuola.
- Oh, dio. Fa che non sia vero – mormorò Lars, gemendo . Sara non si muoveva.
Si accostò al giaciglio trattenendo il fiato, col silenzio
che gli ronzava nelle orecchie, le tempie pulsanti e il
cuore che picchiava in petto.
Un lieve respiro. Lars s’accorse che il petto le si gonfiava ritmicamente. Rimase lì a guardarla per un po’, a
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seguire il ritmo del suo respiro. Dormiva beatamente,
serena.
Finalmente rilasciò tutta l’aria che aveva trattenuto fino
ad allora, in un sospiro liberatorio. Incerto sulle gambe
molli, cercò a tentoni una sedia dietro di sé e vi si
lasciò cadere sopra. Il traslatore ronzò: l’avviso dei cinque minuti, pensò. Poi, tirando fuori l’apparecchio dai
pantaloni, s’accorse che il segnale era quello dei due
minuti. Nella foga della rincorsa non aveva nemmeno
sentito quello precedente.
Bello scherzo, gli aveva fatto. Ma era davvero uno scherzo o era un avvertimento, un “consiglio”? Quell’uomo
chi era? Era davvero il fratello di Redrum? Tante domande senza risposta. Tanti dubbi, si disse, che non
sarebbero mai dovuti esistere. E allora? Allora basta
veramente. Coinvolgere fino a questo punto Sara, no.
Mai più.
GNIIIIK.
Un solo minuto.
Lei non meritava la sua fine; lei aveva tutto il diritto di
vivere la sua vita, di scegliere il modo migliore di farlo.
E non che qualcuno altro decidesse per lei come e
quando farla morire.
BIP-BIP-BIP. Trenta secondi.
Sara si mosse, tirò fuori un braccio scoprendosi parzialmente e finì per girarsi sull’altro fianco. Quel suo
bel braccio liscio, morbido, snello ma sodo. Il suo profumo. Le sue dita lunghe, delicate.
Addio, Sara.
BIP-BIP. BLIIIIIMP.
Il lungo segnale d’allarme la svegliò. Lì per lì non capì,
ancora assonnata. Guardò la sveglia, ma poi si rese
conto di non riconoscerne il suono. Si sollevò mettendosi seduta e lo vide. Era sulla poltroncina, in una posizione scomposta, con le braccia larghe e penzolanti.
Capì. Non fiatò, né pianse.
Si avvicinò, si posò sulle sue gambe e lo baciò delicatamente sulla guancia.
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