fiabe - Tè, biscotti e idee

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L’angolo delle fiabe
(a cura degli alunni di prima media)
IL filo di rugiada
La primavera era alle porte: i fiori colorati sbocciavano in tutta la loro meraviglia , gli uccellini modulavano melodiose
sinfonie , i coniglietti facevano scorta di carote …
Le prime luci del mattino avevano svegliato il piccolo scoiattolino Trinchy , che in un baleno si era alzato e stava per
andare a scuola. La sua casa era una piccola tana dentro un gigantesco abete secolare: era molto spaziosa e divisa in
tante camere dove abitava la sua famiglia.
All’ improvviso la sua mamma gli ordinò di andarsi a lavare il dente, l’ unico che gli era rimasto, perché l’altro si era rotto
durante una brutta caduta da un albero. Trinchy odiava andare a lavarsi il dente, specialmente quando mangiava le
arachidi tostate, perché il dentifricio annullava il loro dolce e invitante sapore. Quell’imposizione gli dava sempre molta
noia. Allora, fingendo di obbedire alla mamma, andò in bagno ma non fece ciò che gli era stato ordinato. Anzi prese, dallo
zainetto rosso che teneva sulle spalle, un piccolo gomitolo di filo di rugiada: il filo era trasparente e posto davanti alla luce
rifletteva i colori dell’arcobaleno ed era formato da tante minuscole gocce di rugiada. Ma quel filo non poteva essere
impiegato per cucire dei maglioncini, come un normale filo di cotone o di lana, bensì era un potentissimo amuleto magico.
Era, in poche parole, la Felicità : ogni volta che Trinchy passava un brutto momento, bastava dire una parola magica e
oplà, il filo intrappolava il brutto momento e tutto ritornava sereno. Lo aveva trovato per caso, quel gomitolo, frugando in
mezzo a delle primule nel sottobosco.
Pure quel mattino, chiuso in bagno, lo scoiattolo Trinchy tenendo in mano il filo intonò un ritornello: “Farfalla, vola dentro la
goccia”. Poi, come se nulla fosse, tranquillo e sereno, ritornò in salotto dove la mamma lo stava aspettando con la
merenda in mano e andò a scuola.
Arrivato a scuola, prima delle lezioni si mise a chiacchierare come di consueto con il suo
amico Ramon, un altro scoiattolo. I due si conoscevano da molto tempo; negli ultimi mesi,
però, Ramon si era insospettito del piccolo scoiattolo rimasto con un dente perché non
capiva come Trinchy non fosse mai triste. Ramon era diventato perfino geloso, perché lui,
invece, era continuamente avvolto dalla tristezza: aveva perso recentemente i genitori in un
terribile terremoto e ora viveva in una casetta in mezzo al bosco in compagnia di una talpa
che lo accudiva come se fosse suo figlio. Invidiava tutto di Trinchy: la sua vita, la sua
famiglia, e
soprattutto, quel suo perenne buonumore.
Così avvenne che quella sera, dopo la scuola, incuriosito di conoscere il segreto dell’amico e sperando di ritrovare anche
lui un po’di felicità, si incamminò dietro a Trinchy, nascondendosi tra la vegetazione del bosco. Infine attese con
pazienza, appostandosi su un ramo del vecchio abete in cui si trovava la casa dell’amico.
Proprio quella sera, Trinchy per risolvere una questione con la sorellina Mimi , si era rifugiato in camera sua e aveva usato
l’amuleto magico. Ormai, ogniqualvolta, aveva un fastidio Trinchy non esitava a ricorrere al suo aiuto. Ramon, però, aveva
visto la scena e aveva capito tutto. Non appena Trinchy uscì, lui si intrufolò in un baleno dentro la camera e frugò nello
zainetto rosso che era rimasto sopra il letto fino a quando non trovò l’amuleto.
Trinchy, risalito in camera, fece in tempo a sorprenderlo con l’amuleto ancora in mano.
“ Ramon !?” . Trinchy era sbigottito.
“ Tu me lo hai nascosto per così tanto tempo… Ora tocca a te vivere la reale infelicità” replicò Ramon con durezza.
Trinchy d’impulso si avventò su Ramon, cercando di strappargli il filo di rugiada.
Nello scontro che seguì Ramon lasciò cadere il gomitolo, che precipitò fuori dalla finestra.
Fu un attimo. Non appena ebbero toccato terra, le gocce di rugiada rotolarono via e si ruppero in mille pezzi.
Come se non bastasse, dalle gocce in frantumi si liberò un enorme Infelicità. Erano i pianti, i malumori, le sofferenze che
Trinchy vi aveva imprigionato all’interno.
E l’ Infelicità, come un male invisibile, si insinuò nei cuori degli abitanti del bosco.
Quando Trinchy guardò dalla finestra, vide un inferno: tutti litigavano, urlavano, si picchiavano…
Da quel giorno, Trinchy conobbe l’ Infelicità: è come una spada che ti trafigge il cuore.
La primavera arrivò, ma quell’anno tutti continuavano a essere tristi o prepotenti.
Trinchy escogitava mille soluzioni senza successo. Non riusciva a perdonare Ramon, perché nel suo cuore ora c’erano
solo odio e rancore.
Poi un giorno di maggio, mentre stava attraversando da solo la piazza del bosco (un piccolo parco dove gli animaletti la
domenica facevano il mercato), Trinchy notò delle farfalle variopinte che si stavano inseguendo. Erano magnifiche a
vedersi, assorte com’erano nel loro gioco spensierato. Come avevano fatto a rimanere così leggere?
“ Farfalla vola dentro la goccia “. Trinchy ricordò d’un tratto la formula magica.
La recitò ad alta voce.
All’inizio sembrò non accadere nulla.
Poi una farfalla, la più elegante tra tutte, si posò sulla sua zampa. Ed ecco che un’altra la seguì.
Una, due, tre… in un secondo più di mille farfalle si erano posate su di lui. Una moltitudine di piccole ali colorate. Trinchy,
non sapendo che fare, chiuse gli occhi.
Prima che avesse il tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo, le farfalle si tramutarono in tante minuscole
gocce di rugiada iridescenti.
Quando lo scoiattolino riaprì gli occhi, vide solo che in una zampa era appoggiato un gomitolo di filo di rugiada, identico a
quello che aveva perso per colpa dell’invidia di Ramon.
Avrebbe potuto tenerlo ancora tutto per sé e mettere fine alla propria tristezza.
Ma, questa volta, decise diversamente. Trasse un grande respiro e recitò: ”Farfalle volate fuori dalle gocce” .
Dal filo uscirono tutte le farfalle che prima erano posate su di lui. Con la stessa rapidità con cui si erano trasformate in
gocce, le farfalle si alzarono in volo andandosi a sparpagliare nel bosco. Entrarono nelle bocche degli abitanti pieni di odio
e tristezza.
Tutti gli abitanti si sentirono immediatamente contenti. O meglio, pazzi di gioia. Si sentirono “le farfalle nella pancia”, come
due innamorati al loro primo incontro.
Trinchy e Ramon ritrovarono entrambi il buonumore e ridivennero amici.
Martina Breviario e Martina Colleoni
MIA SORELLA LUNA
Tanti anni fa, all’origine della terra, Re Cielo, padrone dell’ universo con immensi poteri mise alla luce il suo primogenito:
SOLE.
Sole aveva dei capelli biondi come la luce, possedeva una carnagione olivastra e luminosa e indossava sempre
un’armatura dai colori abbaglianti, abbinata ad un mantello rosso, lungo fino ai polpacci.
Un giorno Re Cielo vide che Sole si sentiva solo e così creò una damigella semplice ma bellissima; si chiamava LUNA.
Luna aveva dei capelli blu come la notte e una carnagione diafana, qusi trasparente. Ella indossava un vestito color oro e
pure
lei
aveva
un
mantello
come
il
fratello,
ma
di
colore
bianco.
Accade così che Sole, incantato dalla bellezza di sua sorella, se ne innamorò perdutamente e nessuno se ne accorse.
Luna però odiava da sempre suo fratello, dal momento che lui era il preferito di tutti perché portava calore, amore, felicità
sulla
terra,
mentre
lei,
al
contrario,
portava
buio,
incubi,
paure.
Cosi Luna creò Nubi , una piccola nuvoletta, candida e molto carina, devota alla fanciulla in tutto e per tutto al punto da
provare gli stessi sentimenti di Luna. Entrambe avevano in comune l’odio per Sole.
E così le due presero a combinare mille dispetti a quel poveretto, che soffriva in silenzio continuando ad amare Luna,
nonostante tutto.
Sole aveva paura di rivelare i propri sentimenti alla sorella, così decise di provare a staccarsi da lei per qualche tempo.
Partì dunque per un viaggio verso la stella polare, sua cugina. Anche qui però Sole non riusciva a dimenticre le sue pene
d’amore e un giorno confidò alla stella polare il suo sentimento. Ma la Stella non sapendo mantenere i segreti andò subito
da Luna per raccontarle la confidenza diSole.
Luna
di
fronte
a
questa
rivelazione
s’impaurì
e
si
rifugiò
nel
tempio
di
Re
Cielo.
Sole, tornato dal suo viaggio, si accorse immediatamente della sua scomparsa; la cercò per tutto l’universo per settimane
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e settimane ma senza successo.
Quando stava iniziando a
disperarsi, tuttavia, si ricordò del tempio di Re Cielo, l’unico posto in cui si era dimenticato di guardare.
E finalmente la trovò.
Lei era impaurita e molto spaventata. Dopo ciò che le aveva rivelato la stella cometa, qualcosa dentro di lei era mutato.
L’odio che fino a quel momento aveva provato, aveva lasciato il posto ad una tenerezza nuova ed inattesa verso il
fratello, che aveva confessato di amarla.
Non appena Sole entrò nel tempio di Re Cielo, Luna si sciolse in un pianto e trovò il
coraggio di ammettere il suo amore verso il fratello.
Come può finire questa fiaba?
Come tutti i bambini ben sanno, il sole brilla nel cielo di giorno per lasciare il posto,
dopo il tramonto, alla luna, che illumina la notte.
I due astri non si incontrano mai, se non in rarissime occasioni…perché?
Nello stesso giorno in cui Sole e Luna scoprirono di amarsi, Re Cielo udì le loro
parole.
Si infuriò moltissimo. Re Cielo Aveva creato Luna perché Sole si sentiva solo e triste,
ma da quando Luna era comparsa Sole si era mostrato ancora più afflitto.
E ora che Re Cielo, udendo i discorsi dei due innamorati, ne aveva scoperto il motivo, decise di dividerli per sempre.
Re Cielo, infatti, credeva che il loro amore avrebbe creato solo altra sofferenza.
Durante le eclissi, però, Sole e Luna continuano a sussurrarsi bellissime parole d’amore, così delicate che nessun poeta
potrebbe mai concepirne di simili.
Martina Pilloni, Matteo Morleo, Roberto Magni e Chiara Tintori
Il libro segreto
C’era una volta, in un paese lontano, un re vedovo da poco tempo. In quei giorni era indaffarato a preparare
l’incoronazione di sua figlia. La principessa Sofia era bellissima, intelligente e apprezzata da tutti nel reame; amava
leggere e scrivere e pensava solo al suo futuro, immaginandoselo sereno e meraviglioso.
Per l’incoronazione il padre le regalò Il Libro Segreto, ma la figlia non fece in tempo a chiedergli che cosa ci fosse di
segreto, perché proprio la sera stessa il re morì.
Ogni giorno la principessa si recava nel posto più tranquillo del giardino reale, sotto degli antichi salici piangenti, per
leggere in pace il suo libro. Ogni tanto trovava delle lettere “strane”, di colore rosso; quandò arrivo precisamente a metà
del libro, dalle pagine uscì improvvisamente una fatina, che subito svelò a Sofia il segreto del libro: le lettere rosse e
“strane” servivano a formulare una frase magica che avrebbe aperto una porta per un nuovo regno.
Dopodichè la fatina sparì tra le pagine del libro con la stessa rapidità con cui era apparsa.
Sofia risolse l’enigma unendo tra di loro le lettere rosse: la frase era M-O-N-D-O A-N-I-M-A-L-E.
Nel pronunciarla, però, Sofia si accorse che non era accaduto nulla…dov’era la porta tanto misteriosa di cui aveva parlato
la fatina?
Sulle prime si lasciò assalire dallo sconforto, ma poi ebbe l’intuizione di ritornare a metà libro. Ed ecco, come la prima
volta, spuntare ancora la fatina. Senza dire nulla, la condusse in un punto dove le fronde dei salici sembravano più fitte
che mai. Sofia né scostò alcune con le mani e trovò la porta tanto attesa.
Impaurita, decise comunque di entrare.
Si trasformò all’istante in una fata degli animali, con due bellissime ali e un vestito azzurro e rosa.
Intorno c’erano molti animali, venuti da chissadove, e tutti la osservavano con grande curiosità, come se non avessero
mai visto prima una fata come lei.
Sembrava non mancarne nessuno: scoiattoli insieme a giraffe, pesci e uccelli, perfino esemplari rari quali unicorni alati e
delfini volanti…
Poi in lontananza Sofia vide un castello splendente e variopinto. Seguendo un sentiero tra i boschi riuscì ad arrivarci.
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Come fu all’interno, Sofia vide altre fate come lei, che l’accolsero con tutti gli onori e con grandi feste: ebbe il dubbio che le
fate sapessero da tempo del suo arrivo nel regno. Le fecero visitare tutto il castello, dalla torre fino al giardino.
Le raccontarono che lì viveva una regina. In quel momento era appena uscita, ma la pregarono di attenderla.
Quando la regina tornò, Sofia la riconobbe subito.
Era sua madre che era morta due anni prima.
Sofia era fuori di sé per la gioia. Da quel giorno, tutti i pomeriggi, tornava nel mondo animale attraverso la porta.
E così andò avanti per alcuni mesi fino a quando la madre si ammalò, proprio come era accaduto due anni prima. Sofia
aveva paura che morisse una seconda volta, così la portò con sé nel regno di suo padre, dietro suggerimento della fata
del libro. Infatti, se la regina fosse morta, sarebbe scomparso per sempre, insieme a lei, tutto il regno animale.
Così la regina tornò nel suo antico regno con grande gioia dei re suo consorte, e riuscì a guarire.
Sofia ebbe così di nuovo un padre e una madre.
Le mancavano, però, gli animali del Mondo Animale, quindi propose alla madre di unire i due mondi, permettendo così alle
magiche creature di passare sulla terra.
Fu allora che tutti gli animali, pure quelli fantastici, vennero sparpagliati anche nel nostro mondo.
Dopo qualche tempo Sofia si sposò con un principe; dalla loro unione nacque una graziosa
bambina, che chiamarono “Fata”, in ricordo del Mondo Animale.
Ancora oggi nel paese di Sofia, se si fa attenzione, un bambino può scorgere un delfino volante
sollevarsi sopra un fiume o un unicorno alato volteggiare tra le nuvole accese dal tramonto.
Gaia di Stefano e Giulia Mandelli
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