ISTITUTO COMPRENSIVO B. BARBARANI MINERBE SCUOLA SECONDARIA DI ROVERCHIARA ANDAR PER VILLE, PALAZZI, CASE A CORTE ANDAR PER VILLE, PALAZZI, CASE A CORTE E ORATORI… …A ROVERCHIARA LE TIPICHE CASE A CORTE VERONESI Una scuola particolare. “Scuola in Villa” Lo è la nostra scuola: la scuola secondaria di primo grado di Roverchiara. Non tutti gli studenti possono infatti vantare, come noi, di essere accolti e studiare in un‟antica Villa Padronale o meglio in un Palazzo: Palazzo Mazzanti, in piazzetta Unità d‟Italia a Roverchiara. Noi sì. La nostra scuola ha sede infatti nell‟antica Casa Padronale, appartenuta alla famiglia veronese dei Mazzanti sin dal 1589, posta nel centro del paese di Roverchiara, delle sue antiche vestigia conserva intatte tutte le strutture. L‟ingresso dà nel salone posto al piano terra e dalla parte opposta un‟altra porta dà invece sul cortile posteriore, il nostro cortile per gli intervalli. Il pavimento del salone d‟ingresso è in marmo rosso di Verona in tonalità diversificate nel decorativo rosone centrale che lasciano immaginare fruscii di abiti, balli e intrattenimenti musicali d‟altri tempi. 2 Ai lati le stanze sono ora le nostre aule; a metà della parete di sinistra il corridoio che conduce all‟antica cucina, è delimitato da una colonna che dà avvio alle rampe delle scale in marmo bianco che conducono ai piani superiori. Stessa simmetria anche al piano superiore: in mezzo il salone, ai lati, le stanze che ospitano le nostre aule e i laboratori di musica e di informatica. Ed infine il sottotetto con il laboratorio di scienze e di educazione artistica che non possono avere eguali in altre scuole per il panorama che i finestrini consentono di cogliere, per le travi a vista che lasciano immaginare il cielo, per gli spazi ampi e gli arredamenti che hanno poco a che fare con una scuola, tanto da dare l‟idea di essere come a casa propria, o quanto meno in una dimensione famigliare. Questo è quanto tutti provano come entrano in essa. 3 Non è una grande scuola, né moderna, né secondo le ultime tendenze architettoniche, ma non le manca niente per essere una Scuola con la esse maiuscola. E proprio perché è una Scuola in Villa facilita il nostro rapporto con la storia. Riesce infatti a renderci concreti fatti ed avvenimenti del nostro ambiente permettendoci di contestualizzarli in spazi conosciuti. E così possiamo andare indietro nel tempo e capire meglio la storia del nostro paese e quindi di noi stessi. Si tratta di una notevole opportunità che ci consente di vivere la nostra scuola anche nella sua passata peculiarità, quando era una villa al centro del paese, “di comprenderne l’importanza che ha rivestito nel passato all’interno della più vasta comunità locale e quindi di impegnarci per la sua tutela, per la sua valorizzazione in modo che possiamo trasmettere questo patrimonio che abbiamo ricevuto in eredità dal passato in tutta la sua integrità e valore” a quanti verranno dopo di noi. 4 La Scuola nel Palazzo Mazzanti La Scuola Media Statale di Roverchiara aprì i battenti il 1° novembre 1963, a seguito dell‟istituzione in Italia della cosiddetta scuola media unificata. In quell‟anno, infatti, la Giunta Comunale chiese ed ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione l‟istituzione di una sezione staccata di Scuola Media, dipendente da Oppeano. Gli alunni furono provvisoriamente ospitati in aule ricavate negli scantinati della Scuola Elementare “Giovanni Pascoli”. Negli anni Ottanta vennero adottate alcune decisioni molto importanti per la scuola media: dapprima il trasferimento dall‟edificio della scuola elementare all‟ex Palazzo Mazzanti, che tuttora la ospita e contestualmente la richiesta di autonomia, per l‟a. s. 1982-83, rispetto ad Oppeano, volta ad offrire “migliore funzionalità e maggiore rispondenza agli specifici problemi della popolazione di Roverchiara” (da Reg. Del. N. 80 della Giunta Comunale, 21-12-1981) ed infine la costruzione di una palestra retrostante la nuova sede scolastica. L‟autonomia istituzionale non venne concessa e la scuola continuò pertanto a rimanere sede staccata di Oppeano fino all‟anno scolastico 1995/1996, quando la scuola media di Roverchiara viene aggregata alla scuola media di Minerbe. Nell‟a.s. 1999/2000 si ha infine il passaggio della scuola secondaria di I° grado di Roverchiara all‟interno della nuova realtà dell‟Istituto comprensivo di Minerbe, di cui tuttora fa parte, accogliendo alunni provenienti dai Comuni di Roverchiara e Angiari. Palazzo Mazzanti -Yadira 5 La Famiglia Mazzanti Il capostipite della famiglia Mazzanti di Verona fu Lodovico, originario di Ferrara, proprietario di due spezierie in città, ma fu soprattutto Matteo Mazzanti a proseguire nell‟ambito dell‟attività paterna e a incrementare maggiormente la potenza economica della famiglia. Per quanto riguarda il patrimonio fondiario, nel Seicento i Mazzanti, in piena espansione economica, si accaparrarono un consistente numero di campi nella media pianura veronese, tanto che a Roverchiara arrivarono a possedere ben 300 campi, una casa dominicale e una piccola casa. All‟inizio dell‟Ottocento, i Mazzanti erano ancora presenti a Roverchiara, ma non la frequentavano più come un tempo. Nel 1813 l‟antica casa dominicale apparteneva a Benedetto Mazzanti che la conduceva in affitto, mentre la rimanente parte del caseggiato e il brolo retrostante di nove campi era intestato alle sorelle Laura e Antonia Mazzanti. Qualche anno dopo l‟edificio venne ceduto alla famiglia Tedeschi, che provvide ad una radicale ristrutturazione del complesso: la casa padronale, ornata da bugnato al piano terra e da semplici cornici alle finestre dei piani superiori, assunse l‟impronta neoclassica che oggi conserva e che le valse la designazione di “casa di villeggiatura” nel catasto austriaco del 1849. Il brolo fu sostituito da un parco romantico all‟inglese. Acquistato dal Comune negli anni ottanta è stato destinato a sede della nostra scuola, la secondaria di I° grado di Roverchiara. 6 Pavimento del salone d’ingresso della scuola: Rosone centrale 7 8 Comincia il nostro viaggio Palazzo Mazzanti, dove ha sede la nostra scuola, non è che una delle tante Ville, Palazzi o meglio delle tipiche Case a Corte presenti nel nostro territorio cui passiamo davanti ogni giorno o che intravvediamo tra gli alberi in lontananza nei nostri giri in bicicletta. Alcune, grazie ad un sapiente restauro conservativo sono tornate agli antichi splendori, molte altre portano i segni del tempo. Ma la sensibilità verso la loro storia ed il loro significato è in aumento. Anche il nostro viaggio tra di esse si pone questo importante obiettivo: saperle collocare nel territorio, riconoscerle, recuperarne i dati più significativi (epoca storica, proprietari, caratteristiche, funzioni…) in modo da imparare a valorizzarle e tutelarle. Fondamentale è stata infatti la loro importanza nel passato. Sono state punto di riferimento per tutta la comunità. All‟interno di esse si svolgeva la vita lavorativa e sociale di gran parte della popolazione. Il nostro obiettivo è pertanto quello di riuscire a poter leggere ed immaginare, per ognuna di esse, la storia della gente comune e non, che vi ha lavorato e vissuto, cui dobbiamo l‟attuale sviluppo. 9 Ieri “Casa dominicale” e “casa da lavorente”, villa signorile e umile casone: tra questi estremi si snoda tutta la gamma dell‟abitare in campagna nel periodo che va dalla fine dell‟epoca dei castelli al trionfo dell‟attuale industrializzazione in cui le forme e le tipologie tradizionali dell‟abitare non hanno più a che fare con il possesso e la cura dei campi. Le Corti e le Ville antiche, restaurate o fatiscenti che siano, ancora presenti nel territorio, possono aiutarci a ricostruire in parte questa realtà e il suo evolversi. Le dimore dei signori, simboli del ceto elevato e della cultura dei proprietari, sorgono al centro delle grandi proprietà, separate o in stretta dipendenza dalle strutture che ne permettono la sopravvivenza e il controllo dei prodotti agricoli: corti con barchesse per il ricovero di animali e attrezzi, cantine, magazzini, pozzi, forni, casare, colombare… Ci troviamo anzi di fronte a quel fenomeno definito “civiltà delle ville” che caratterizza in modo inconfondibile il nostro territorio, storicamente legato allo sfruttamento fondiario, espressione di un‟intera classe sociale, l‟aristocrazia, cui col tempo si affianca anche la ricca borghesia che nella coltivazione della terra ha la principale fonte di guadagno. La Villa infatti integra a sé le strutture rustiche, a volte includendole nel suo stesso spazio privilegiato, a volte organizzandole in organismi separati, ma sempre vicini, sotto il suo controllo, secondo il modello della Corte chiusa tipico dell‟area veronese e della nostra zona in particolare. Oggi Nel corso degli anni però, e in quelli più recenti in modo sempre più evidente, si assiste al progressivo abbandono, alla spogliazione, alla distruzione o alla destinazione agli usi più disparati di queste Corti, ormai troppo costose da restaurare e mantenere. Tendenza contro cui va affermata la coscienza del loro valore storico e la necessità della loro salvaguardia ponendoci urgentemente il problema del loro riutilizzo dato che è andato perduto il legame che le univa alla terra da cui traevano la propria sussistenza. 10 Il contesto Roverchiara, comune della provincia di Verona, è situato tra la riva destra del fiume Adige e il Bussè. Il suo territorio, si sviluppa su una superficie di quasi 20 chilometri quadrati e sorge a 20 metri sopra il livello del mare. L‟area nord-orientale del territorio comunale è ricca di acquitrini e cave che testimoniano la presenza di un‟antica palude. Il paese era anticamente chiamato “Fonzane”, probabilmente derivante dal nome di una famiglia della zona. Esistono due ipotesi sulla derivazione del toponimo “Roverchiara”, ma quella che sembra essere la più corretta fa derivare il nome del comune dalla parola latina “rublicus”, diminutivo di “rubus”, in italiano rovo, distesa di rovi, roveto. La parola si sarebbe trasformata nel tempo in rublicus, rovéclo, rovechio, rovecio, roecio, roeciara e definitivamente in roverciara, roverchiara. Un‟altra ipotesi fa derivare il nome da rovere, un tipo di quercia, forse come bosco sparso e quindi roverciara. Questa idea è confermata dalla presenza di un bosco presente nel passato nella zona che va dall‟abitato di Roverchiara a quello di Roverchiaretta, la frazione. L‟altra ipotesi fa derivare l‟origine del nome da “Ripaclara”. Ovvero associa il toponimo alla presenza di un porto sul fiume Adige (che comunque esisteva) e di un faro che lo illuminava. 11 Lo stemma comunale è rappresentato da un grande rovere (quercus petraea) radicato su una vasta campagna verde. Il simbolo è stato scelto per ricordare la pianta che ricopriva il territorio nella zona di Roverchiara da cui trae origine il toponimo del Comune. Quello di scegliere un albero o un tipo di vegetazione è un fenomeno che si ripete spesso per i comuni rurali, soprattutto nella Bassa veronese. La zona di Roverchiara fu abitata già in epoca romana: lo attestano le antiche monete che di tanto in tanto vengono alla luce. Le prime notizie scritte risalgono a un documento dell‟813 in cui si parla di una comunità cristiana la Schola Cantorum in cui il vescovo Rotaldo di Verona assegna delle rendite e dei possessi. Si è trattato di una comunità religiosa Gonfalone comunale, Marco in contatto continuo con i vescovi, che viveva intorno alla pieve e al battistero. Il centro ebbe particolare importanza nel medioevo. Sempre da documenti religiosi, risalenti all‟anno 1000, si ricava che la pieve conta un gran numero di religiosi al suo servizio: 36 preti e altri con ruolo minore. Un rapporto diretto fra vescovo e comunità, di tipo religioso ed economico che si interruppe nel 1206, quando il comune si impossessò dei beni vescovili mettendo al confino il vescovo Adelardo II. Nel 1234 è da Gonfalone comunale-Emanuele segnalare un‟azione militare di Ezzelino da Romano. Per conquistare Albaredo gettò un ponte sull‟Adige. Ad Ezzelino, nel controllo del paese, si succedettero prima gli Scaligeri, poi i Visconti ed infine i veneziani. Al tempo della Serenissima Roverchiara fu un importante porto per merci e passeggeri per la zona, di pari importanza a quello di Legnago, ed anche in seguito continuò ad essere una fertile campagna orientata alla coltivazione di prodotti agricoli per la città di Verona. 12 Cosa vedremo nel nostro viaggio Roverchiara è un paese ancora immerso nel verde della pianura padana, fiancheggiato dagli argini di un grande fiume. Un fiume che da sempre ha qualificato queste zone, rendendo fertile e viva la campagna. La storia di Roverchiara si può leggere dunque attraverso l‟Adige e attraverso gli edifici che sono sorti lungo di esso. Allora perché non rilevare quello che ancora rimane dell‟ambiente naturale e architettonico, imparando ad apprezzare quelle strisce di terra che gli stanno attorno e, senza fare troppi chilometri, scoprire o ritrovarne le bellezze naturali, architettoniche ed artistiche con l‟obiettivo di recuperare una storia che non può non avere come protagonisti che gli uomini, l‟ambiente, le architetture e i paesaggi di questa comunità che si è andata formando nel corso degli anni? Il tutto per arrivare, alla fine del percorso, alla composizione di un quadro che è insieme memoria e attualità, passato e presente, come eravamo e come siamo, forse persino come saremo in futuro. In particolare, partendo dai resti della Corte Monastero, vedremo: o Villa Pomedelli-Pindemonte-Fiumi o Le Corti Brenzoni: Palazzo Brenzoni-Guarienti Villa Raspa o Corte Marogna o Le Corti Bonente Corte Bonenti-Giberti Oratorio di Santa Teresa d‟Avila Corte Della Torre-Bonente o Villa Biondani-Monastero delle Maddalene 13 LA CORTE CHIUSA QUALE MODELLO COSTRUTTIVO TIPICO DELL’AREA VERONESE Un po’ di storia La Villa è una specie di villaggio, formato da tutti i fabbricati e le opere che servono alla vita di campagna: le barchesse, le cantine, l‟aia, le colombaie, il brolo, il giardino, il pozzo, la peschiera... La villa era il centro dal quale il proprietario terriero amministrava l‟azienda agricola dalla quale ricavava la propria ricchezza. I grandi proprietari, infatti, cedevano in affitto le proprie terre ai fittavoli, che le coltivavano per ricavarne di che vivere. Non solo, gli abitanti delle campagne si rivolgevano ai grandi proprietari per chiedere qualche prestito: la villa diventava così anche un centro di potere. E infatti si ergeva maestosa sui campi e sulle modeste casupole dei fittavoli. Nella villa, poi, il proprietario intratteneva gli amici della città, a volte esibendo la propria ricchezza, e ospitava i personaggi importanti di passaggio. La villa era anche luogo tranquillo dove il proprietario poteva riposarsi, dedicarsi alla caccia, alle letture, allo studio, alla riflessione, con la possibilità di seguire la coltivazione e la raccolta dei prodotti agricoli. 14 La diffusione delle Ville Venete Nel Cinquecento l‟aumento demografico, il declino delle attività manifatturiere e commerciali della città e la politica veneziana tesa a convertire la propria economia dalla mercatura al settore primario, provocarono una gara, tra coloro che avevano capitali da investire, per assicurarsi il possesso di terre da sfruttare con le nuove tecniche agricole. Si andò così affermando 1‟azienda agricola moderna, costituita da un fondo accorpato e gestito da una Corte rurale. Le Corti nel veronese Il patriziato veronese e gli enti ecclesiastici aderirono attivamente a questa nuova forma di investimento e il territorio di Roverchiara fu uno dei più ambiti in considerazione della fertilità delle sue terre. I nobili veronesi rilevarono le terre principalmente da proprietari locali o da altri cittadini. Diverse famiglie cittadine, tra le quali quelle dei Pomedelli e dei Mazzanti, acquistarono dai territoriali (contadini/proprietari locali di Roverchiara) numerosi campi. Nello stesso periodo fecero importanti acquisti dai territoriali anche i fratelli Della Torre, Raimondo e Girolamo Della Torre. 15 Tra le nobili famiglie veronesi, quelle che caratterizzarono e influirono maggiormente sulla società e sull‟economia di Roverchiara, sia per l‟estensione delle loro proprietà che per la durata della loro presenza in questo territorio protrattasi per oltre quattro secoli, furono i Brenzoni, i Marogna, i Sagramoso, i Della Torre e i Serego Alighieri. Da ricordare inoltre che alle famiglie Martelli, Mazzanti e Tedeschi si deve l‟avvio e lo sviluppo della risicultura a Roverchiara. Anche tra i territoriali si possono annoverare famiglie diventate influenti. Tra queste vanno ricordate quelle dei Bonente e dei Giberti che, pur partendo da una modesta situazione, seppero raggiungere una agiata posizione economica. Rappresentazioni della Corte della Prepositura della Giara, in contrada Paradiso (1718) 16 La situazione a Roverchiara All‟epoca della diffusione delle Ville e delle Case a Corte nel veronese, la situazione a Roverchiara, quale si può desumere dai Libri d‟estimo del tempo, risulta essere la seguente: abitazioni di proprietà delle famiglie nobili e borghesi di Verona (cosiddetti cittadini) abitazioni e proprietà di Enti ecclesiastico-religiosi edifici e proprietà degli abitanti di Roverchiara (cosiddetti territoriali) Le abitazioni dei cittadini erano: 14 Corti con casa padronale, 10 Corti con casa da lavorente, 3 case in muratura d‟affitto e una bottega. Le abitazioni degli Enti: 1 Corte dominicale, 7 Corti con casa da lavorente, 3 case in muratura d‟affitto. Le abitazioni dei contadini (territoriali): 14 case a muro, 7 case di muro coperte di paglia e 14 casoti di paglia. Complessivamente l‟assetto del paese era pertanto così configurato: 15 Corti con casa padronale, 17 Corti con casa da lavorente, 19 case di abitazione in muratura e una bottega, 7 case di abitazione con muri perimetrali in muratura ma coperte di paglia e 14 casoti di legno e paglia, per un totale di 73 edifici. Dall‟analisi di questi dati si evince che alla fine del Seicento le Corti con casa padronale erano numerose, a significare che i proprietari erano intenzionati a seguire da vicino il lavoro dei campi, mentre i contadini dovevano ancora adattarsi a vivere in miseri casotti di paglia. La popolazione a quel tempo risultava infatti essere ben più di quella che poteva dimorare in queste abitazioni censite per cui è facile immaginare che molti contadini, seppure proprietari di piccoli appezzamenti di terra, dovevano vivere in miseri casotti di paglia. Alla metà del Settecento il numero delle Corti dei cittadini con casa padronale rimane invariato mentre le Corti con casa da lavorente subiscono un sensibile aumento passando da 10 a 26 e ciò porta a supporre una tendenza da parte dei proprietari cittadini a ridurre la loro partecipazione diretta alla conduzione dei fondi. Si riducono invece i beni degli enti ecclesiastici: quasi un anticipo delle soppressioni che saranno attuate nel secolo successivo. 17 Per quanto riguarda i proprietari territoriali (abitanti/contadini di Roverchiara) si riduce il loro numero ed anche la quantità di terra di proprietà, con una media di due campi per famiglia, ma aumentano sensibilmente gli edifici in loro possesso che da 35 passano a 76. Di queste 27 erano case di abitazione in muratura, 13 con i muri perimetrali di muro e il tetto di paglia, 38 costruite in legno e coperte con paglia o canne palustri. Il tenore di vita dei contadini era probabilmente migliorato, ma si può ipotizzare che buona parte di loro continuasse ancora ad abitare in case di legno e paglia (casoti). Le tipologie di Corte Il tipo di insediamento più comune nel territorio era costituito da un insieme di fabbricati, circondati da muro, generalmente chiamate Corti, anche se in realtà questo termine non ricorre molto nei documenti dell‟epoca, dove, invece, sono presenti le denominazioni di: Possessione con casa da patron, o con casa da gastaldo, o con casa da lavorente. La Corte era formata da numerosi edifici, ciascuno dei quali aveva una precisa funzione, in modo da conferire all‟insieme una completa autonomia, sia per quanto riguarda la lavorazione e la conservazione dei prodotti agricoli, sia per le necessità domestiche dei contadini. La casa da patron, la casa da lavorente, le case dei boari e dei brazenti fornivano l‟alloggio alle varie classi di agricoltori, mentre le barchesse, i fenili, le stalle, i polinari, i granari servivano da ricovero per gli animali, i raccolti e gli attrezzi agricoli. La Corte rappresentava un complesso residenziale autosufficiente, non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello della vita domestica. Infatti in essa erano presenti: il pozzo, il forno, e la peschiera, in modo che gli abitanti di questa specie di comunità fossero in grado di farsi il pane, di conservare il vino e di procurarsi sempre il pesce fresco. Al centro della Corte, si estendeva il seleze, costruito con sottili tavolette di cotto dette selezini, dove venivano essiccati i cereali e dove si accentrava la maggior parte dei lavori della corte. Attorno al seleze, gli edifici erano distribuiti in vario modo: a volte ad U o a L, soprattutto nelle Corti con casa da patron, più spesso disposti in linea dove le abitazioni, le barchesse e gli altri fabbricati erano sistemati lungo il lato maggiore della Corte, gli uni adiacenti agli altri e con la facciata rivolta a mezzogiorno. A seconda delle dimensioni e delle funzioni che le Corti svolgevano nella conduzione fondiaria, si possono suddividere in tre tipi principali: 18 1. Corti con casa da patron Era la grande Corte, situata al centro di un vasto possedimento, dotata di tutti gli edifici abitativi e rustici necessari alla sua autosufficienza, dove si svolgevano le principali operazioni di raccolta dei prodotti agricoli. Questa era la tipica corte del ‟500, quando le possessioni erano vaste e si sentiva di più la necessità di costituire un insediamento capace di fornire ai contadini che vi abitavano tutto ciò che era loro necessario. In queste Corti era quasi sempre presente una cappella (giesola) per le necessità religiose di questa piccola Comunità. 2. Corti con casa da gastaldo o con casa da lavorente Sia nel caso che la Corte principale (con casa da patron) fosse situata in Piazza (nel centro abitato) e quindi lontana dal fondo o che il fondo stesso fosse costituito da due o più corpi separati uno dall‟altro, si rendeva necessaria la costruzione di altre Corti, simili a quella principale, ma di dimensioni più contenute, dove avrebbe dovuto risiedere una persona di fiducia, che sostituisse il padrone nella direzione dei lavori, cioè il fattore o il gastaldo. Ed ecco, quindi, sorgere delle Corti secondarie dove la casa da lavorente rappresentava l‟insediamento abitativo più comune. 3. Casamento con stalla e fenile ad uso di boaria Questi insediamenti rurali riflettevano in miniatura la struttura della Corte, ma non ne possedevano le caratteristiche di autosufficienza. Le dimensioni generali e il numero degli edifici erano ridotti e l‟abitazione era di tipo unifamigliare, nonostante i membri della famiglia fossero numerosi. La boaria era costituita da una abitazione, tipo casa da brazente o, nel migliore dei casi, da lavorente con giustapposto un edificio rustico con funzione di stalla-fienileportico. Vi erano, inoltre, un piccolo seleze (Aia), qualche teza (Portico) in legno coperta di paglia e il Pozzo. Questo tipo di insediamento agricolo si diffuse soprattutto con l‟allevamento del bestiame. Gli elementi strutturali e costitutivi delle Corti Le Corti erano per lo più costituite da un insieme di edifici, funzionali alle varie attività agricole che vi si svolgevano, con tipiche caratteristiche architettoniche. a) La Casa da patron Era l‟abitazione del proprietario o del grande affittuale. Essa poteva avere forme imponenti e molto ricercate, oppure un aspetto più semplice, ma in ogni caso aveva le caratteristiche della dimora padronale. Queste erano rappresentate dalle dimensioni generali che sovrastavano quelle delle altre abitazioni, essendo l‟edificio dominicale costruito, di norma, su tre piani con l‟uso del tufo per ornare finestre e portali. 19 La disposizione delle stanze, negli interni di queste dimore, era formata da un salone di ingresso rettangolare con quattro porte che davano accesso ad altrettante stanze. Le due anteriori erano dotate di caminetti. I soffitti presentavano travi squadrate e spesso dipinte; i pavimenti erano in cotto. La scala si sviluppava parallelamente al lato maggiore del salone costituendo una doppia parete; i gradini erano in tufo. Alla scala si accedeva da una delle porte del salone. Sul tetto si elevavano i comignoli in cotto e la torre campanaria. In molte dimore le tegole si appoggiavano su tavole di legno sostenute da travicelli rotondi e non lavorati; più tardi si diffusero tavolette in cotto e travicelli squadrati. Nel contesto dell‟edificio era quasi sempre ricavata la torre colombara. b) La Casa da lavorente o da gastaldo Rappresentava l‟alloggio del fattore o di colui che conduceva il fondo a lavorenzia, cioè di quel ceto di agricoltori che, pur intervenendo direttamente nei lavori della terra, avevano anche responsabilità dirigenziali. Essa aveva una struttura simile alla Casa da patron e spesso le sue finestre e il portale d‟ingresso erano abbelliti con l‟uso del tufo, ma le finiture generali, le dimensioni e le comodità interne erano molto più modeste. c) Le Case dei boari e dei brazenti Nelle Corti i salariati più fortunati dimoravano in abitazioni ricavate all‟interno delle barchesse o in modeste casupole in muratura prive di ornamenti in pietra e di qualsiasi finitura superflua. Il pavimento di queste abitazioni era rappresentato dalla nuda terra. La maggior parte dei braccianti abitava però in case di paglia detti Casoni da brazente, che sorgevano attorno alla corte o riuniti in piccoli gruppi ai crocicchi delle strade, in vicinanza delle Corti. Abitavano in case di paglia, non solo i brazenti e i boari,ma anche i piccoli affittuali. Questo tipo di abitazione rimase l‟alloggio più diffuso nelle nostre campagne fino alla fine del Settecento. Le case di paglia erano formate da una struttura di legno tamponata con fasci di canne palustri e foglie spalmate di argilla. La copertura era ottenuta con un ammasso di paglia e di canne palustri. Non mancavano le case di muro con tetto di paglia, dove le quattro pareti erano costruite con mattoni crudi cementati con argilla. Poiché il legno, la paglia e le canne palustri erano il materiale di costruzione più facilmente reperibile nel territorio, essi furono usati anche in tempi più recenti, non solo per costruire case da abitazione, ma anche porteghi, fenili, teze e stalle. 20 d) Le barchesse e i porteghi L‟edificio più importante e che maggiormente caratterizzava la Corte, oltre all‟abitazione principale, era il portego o la barchessa. Le denominazioni di portego e barchessa sono sinonimi. Si trattava di un edificio molto alto e ampio, costruito sempre in muratura e coperto di tegole. Nella sua parte anteriore vi era uno spazio libero, riservato al transito dei carri, ai lavori agricoli nelle giornate di pioggia e al deposito degli attrezzi. La parte più interna poteva avere due destinazioni diverse a seconda del tipo di Corte. Portego del Vescovato, in via Oppi Nelle Corti più importanti si ricavavano al piano terra le abitazioni per i boari o per altri dipendenti, e ai piani superiori i granari, mentre in altri casi, il piano inferiore era riservato alla stalla e quello superiore al fenil (fienile). Il prospetto dell‟edificio era caratterizzato da una serie di archi, sopra i quali si aprivano le finestre dei granari. Nelle Corti più ricche le finiture esterne delle barchesse erano molto ricercate; in altri casi, invece, esse erano semplici e, a volte, gli archi erano sostituiti da pilastri in cotto. Le barchesse erano quasi sempre disposte ai lati dell‟abitazione principale. e) Le stalle Nelle Corti più modeste, dove non esisteva la barchessa, sotto un alto porticato, che spesso era coperto di paglia, veniva ricavata la stalla. Sopra il solaio della stalla il fenil (fienile). La maggior parte di queste strutture era in legno, comprese le colonne, che all‟interno della stalla sostenevano il fienile; una botola permetteva di scaricare il fieno al centro della stalla. f) Le teze Erano aree coperte che servivano per il ricovero di carri e attrezzi. La copertura era quasi sempre di paglia. A partire dal ‟700 furono costruite con pilastri in mattoni e ricoperte con tegole. 21 g) Il pozzo, il forno e la caneva Queste strutture erano sempre presenti nelle Corti, in quanto erano indispensabili per la sussistenza dei contadini. Il pane era impastato e cotto dalle singole famiglie per consuetudine, per motivi economici e per la difficoltà a raggiungere il forno del paese. Anche la cantina era indispensabile, e non solo per il vino, ma per conservare le carni, i salumi e gli altri alimenti in un luogo fresco. h) Le colombare Erano costruzioni a forma di torre, di pianta quadrata che sovrastavano in altezza tutti gli edifici circostanti. Le torri colombare erano spesso inglobate nel contesto dell‟edificio principale. Oggi ne sono rimaste poche ma un tempo erano numerosissime e alcune di esse imponenti per dimensioni e altezza. Probabilmente nei tempi più lontani avevano funzioni difensive. In seguito, saranno servite per sorvegliare i lavori dei campi. 22 Uno sguardo sulla realtà attuale Nel Seicento le aziende agricole situate nel territorio di Roverchiara avevano già assunto il loro assetto definitivo ed erano quasi tutte dotate di Corte rurale, che molto spesso comprendeva la casa padronale. L‟estensione delle tenute era abbastanza contenuta a causa del suolo agrario fertile ed argilloso che consentiva elevate produzioni, ma richiedeva molto lavoro. Nel Settecento, in particolare, si assiste ad un ripreso interesse per l‟agricoltura, dovuto in buona parte all‟espansione della risicoltura. Si conferma in questo periodo la tendenza, già manifestatasi nel Cinquecento, verso l‟accorpamento fondiario da parte di famiglie cittadine. Tale inclinazione dei cittadini veronesi ad accrescere il loro patrimonio fondiario in Roverchiara avviene prima a spese dei territoriali, durante il XVI e XVII secolo, poi degli enti ecclesiastici. Antica mappa di Roverchiara esposta presso la sede del Comune Gli enti ecclesiastici andarono così incontro ad un lento declino fino alla loro soppressione nell‟Ottocento. Quanto ai residenti locali essi dovettero sempre assoggettarsi a questo stato di cose non potendo incidere in modo significativo sull‟economia locale. 23 In sintesi possiamo dire che le Corti rurali con casa padronale erano già completamente strutturate nella prima metà del Seicento e che il loro numero rimase invariato nel secolo successivo. La presenza della casa padronale ci testimonia la volontà, da parte dei proprietari cittadini, di seguire da vicino il lavoro nei campi. Tale tendenza alla partecipazione diretta alla conduzione dei fondi sembra ridursi nel Settecento. Tra la fine del Seicento e il Settecento l‟estensione delle proprietà terriere subisce una notevole riduzione; hanno invece un certo incremento le attività che potrebbero essere definite “industriali”, come i mulini per la macina dei cereali posti sul fiume Adige. Ma qual è oggi la situazione delle case padronali signorili del territorio di Roverchiara? Di alcune, disabitate e fatiscenti, rimangono solamente tracce dell‟antico splendore; altre, più fortunate, dopo vari passaggi di proprietà, hanno seguito destini diversi come dimore o edifici pubblici. Il nostro percorso intende approfondire la conoscenza di alcune di esse. 24 I RESTI DELL’ANTICO MONASTERO DELLA PREPOSITURA DELLA GIARA “I campi non sono più quelli di una volta, tagliati da fossi e zeriole, con le rive coperte di salgari, generosi di legna per i poveri; sono scomparsi i lunghi filari di gelsi, con la preziosa foglia con cui si alimentava il baco da seta attorno alle corti, “dai broli e dai campeti” sono state sradicate le viti di clinton e di fragolo …sono scomparsi gli odori del letame e del fieno che riempivano l’aria nelle diverse stagioni e segnavano un tempo senza storia…”: questa è la descrizione che fa Dino Coltro del mondo contadino e di un‟agricoltura ormai quasi dimenticata. Abbiamo percorso un tratto dell‟argine dell‟Adige per osservare questa parte del territorio di Roverchiara e capire quali testimonianze del passato emergono e quali cambiamenti sono avvenuti. Uscendo dalla scuola, imboccando via Principe Umberto e poi via Adige che finisce proprio sull‟argine, si arriva sulla pista ciclabile che da qualche anno è stata anche asfaltata. ROVERCHIARA fiume Adige corte Monastero ROVERCHIARETTA 25 Camminando in direzione di Bonavigo, abbiamo cercato di scoprire l‟argine come elemento naturale ed umanizzato: gli argini, la vegetazione spontanea, le golene, i campi coltivati, il Monastero di cui rimangono ormai quasi solo rovine. Corte Monastero A Roverchiaretta, “distante dall’argine dell’Adige più che un tiro di mano”, sussistono in totale stato di abbandono i resti delle strutture di un antico monastero-fattoria del quale si hanno notizie in un atto di donazione della prima metà del Duecento come appartenente all‟ordine degli Umiliati. Le case degli Umiliati veronesi, nelle quali si attendeva alla lavorazione della lana, erano più di dieci, per la maggior parte ubicate lungo le rive dell‟Adige. “Alcuni italiani che si erano ribellati all’autorità imperiale vennero deportati in Germania dal Barbarossa e là indossarono degli abiti bianchi per supplicare il perdono dell’Imperatore. Rientrati in Italia essi diedero vita a un ente religioso, l’ordine degli Umiliati, che si proponeva di unire la preghiera al lavoro, in particolare si occuparono della lavorazione della lana, attività che richiedeva l’utilizzo di acqua corrente: da questo deriva la necessità di ubicare i propri insediamenti vicino ai corsi d’acqua”. Alla fine del XII secolo un gruppo di Umiliati si insediò in un luogo poco fuori le mura di Verona che per la grande quantità di sabbia e di ghiaia o giara, portata dal fiume Adige prese il nome di “La Ghiara”. Coloro che sovrintendevano alle case degli Umiliati prendevano il nome di preposti e l‟ufficio che essi esercitavano era definito prepositura; da cui la denominazione di Prepositura della Giara. Alla fine del Seicento per la compromissione morale l‟ordine fu soppresso e i suoi beni passarono al monastero dei Teatini che ne mantennero la denominazione di Prepositura alla Giara. A Roverchiara gli Umiliati possedevano la tenuta più vasta della Prepositura. Questa proprietà godeva di particolare rilievo per la qualità e l‟abbondanza dei prodotti che se ne ricavavano. 26 La proprietà era collocata vicino all‟argine ed aveva un‟estensione di 126 campi e nel suo contesto erano incluse tre case in muratura e la corte principale denominata Monastier o Monastero. Un disegno dei primi del Settecento con prospettiva a volo d‟uccello, ci consente di capire come era strutturato l‟intero complesso: il lato meridionale della Corte era occupato dalla “casa grande” e da un porticato a pilastri, mentre sul lato orientale erano disposti altri edifici, compresa la cappella gentilizia di San Giorgio, conclusi dalla torre colombara. Il resto del perimetro era delimitato da mura interrotte, ad occidente, dal portale a volta dell‟ingresso. Nel disegno non è riportato il campanile annesso alla chiesetta, nonostante sia sempre ricordato negli inventari. Un dipinto del Novecento riproduce invece il complesso senza l‟oratorio. Ciò porta a supporne la demolizione o la sua destinazione ad altri usi. Nei tempi successivi infatti la struttura si è progressivamente deteriorata fino a diventare un rudere solitario tra le golene dell‟Adige. Il proprietario attuale è Gilberto Zancanella. 27 Dell‟oratorio, sorto come annesso al complesso della Corte, esistono solo poche e frammentarie notizie. Una citazione che lo riguarda è contenuta in un elenco di beni degli Umiliati datato 1504. Altre notizie sono presenti in una sommaria descrizione fatta nel 1622 dal canonico Agostino Rezano dove si parla di un arredo semplice ed essenziale adatto ad una chiesetta rurale, dove non vi era obbligo di messe, tranne che nella ricorrenza di San Giorgio. In una relazione scritta l‟11 agosto 1777 il parroco, don Lorenzo Rossi, scrive che nell‟oratorio situato nella Corte detta il Monastero, i fittavoli, i fratelli Carmagnani, “facevano talvolta dir messa per loro devozione”. Il parroco stesso vi si recava ogni anno in processione l‟ultimo giorno delle Rogazioni e in tale occasione celebrava la messa. Successivamente la Corte Monastero fu declassata a fabbricato rurale e in tempi recenti abbandonata e progressivamente disgregata (adattato da Luoghi di culto scomparsi: san Giorgio e altri oratori, di G. Ferrari De Salvo, in Roverchiara - Una comunità e il suo territorio, 2006). 28 Corte Monastero: i ricordi del prof. A. Pistoia Il ponte di Bonavigo è stato distrutto nel 1945 insieme al centro storico perché gli Americani dovevano bombardare i ponti per bloccare i Tedeschi nella loro ritirata. A noi bambini di Bonavigo sembrava che al di là dell‟Adige ci fosse un mondo sconosciuto, perché era difficilmente raggiungibile anche se c‟era il traghetto. Verso il 1960 hanno ricostruito il ponte. Nell‟Adige si pescavano con le mani i lucci, le anguille, le trote salmonate, il cavedano e molti altri pesci; oppure, d‟estate, si poteva pescare di notte dal ponte, dato che non passavano auto e c‟era silenzio. Tra il ponte e la Corte Monastero c‟era una spiaggia dove si giocava a calcio. La Corte Monastero, dalla parte verso l‟argine, aveva un portico sostenuto da due colonne che alla base poggiavano su due pietre romane gigantesche; questo indicava che probabilmente tanto tempo fa c‟erano insediamenti romani. Questa ipotesi è avvalorata anche dal fatto che qualche agricoltore della zona aveva trovato, in un terreno non lontano, numerosi tessere di mosaico da pavimento. La casa era una costruzione piuttosto grande, a tre piani; al primo piano mi ricordo un grande salone con quattro porte e un camino sporgente verso l‟esterno, sul camino c‟erano degli affreschi con la scritta “EPS CALA” ma probabilmente si trattava di un frammento; in una stanza al piano terra si notava, su una parete, la traccia di un grande arco, che poteva essere di un‟abside. La casa è stata abitata fino agli anni ‟60. 29 VILLA POMEDELLI-PINDEMONTE-FIUMI Oltre la scuola, al di là della strada, incontriamo un‟altra villa, un tempo anch‟essa Casa a Corte con altri fabbricati annessi. È villa Pomedelli-Pindemonte-Fiumi dove la successione dei nomi sta a ricordare i vari passaggi di proprietà per via ereditaria succedutisi nel tempo. Attualmente è sede municipale; è diventata quindi casa di tutti, la casa della comunità cittadina. Di essa pertanto, come è avvenuto anche per villa Mazzanti, diventata sede della scuola secondaria, è stato realizzato un recupero e una ridestinazione di particolare valore e significato; entrambe infatti sono state riportate all‟antico splendore, ma soprattutto è stata resa possibile, giorno dopo giorno, una loro “godibilità” diffusa ed allargata. Villa Pindemonte-Fiumi, sede del Municipio di Roverchiara 30 Le famiglie Pomedelli-Pindemonte-Fiumi I Pomedelli erano già insediati a Roverchiara nella seconda metà del Cinquecento, quando Pomedello Pomedelli era impegnato ad acquistare terreni dai territoriali. Nel 1653 suo figlio Pietro Pomedelli, possedeva a Roverchiara “una casa murà, coppà e solarà con campi di brolo”. L‟edificio, quindi, già allora aveva le caratteristiche padronali. Nella prima metà del Settecento i beni Pomedelli di Roverchiara passarono per via ereditaria ai Pindemonte di San Pietro Incarnario. Nel 1745 Carlo Pindemonte, figlio di Agostino, era titolare a Roverchiara, dove erano concentrate quasi tutte le sue proprietà, di 90 campi. Il tutto era gestito dalla Corte con casa dominicale e rusticale situata in piazza a Roverchiara, che egli aveva provveduto a ristrutturare conferendole quell‟eleganza che ancora oggi conserva. Carlo ebbe tre figli e uno di questi, Agostino, a sua volta ne ebbe quattro tra cui due femmine, Grandiglia e Marianna, che nel 1813 erano proprietarie delle tenute di Roverchiara, compresa l‟antica casa padronale. In seguito al matrimonio di Grandiglia con Vincenzo Brenzoni la Corte e il fondo entrarono nel patrimonio Brenzoni; a sua volta Francesca Brenzoni, figlia di Antonio e nipote di Grandiglia, sposò Domenico Fiumi, nonno del poeta Lionello Fiumi, determinando il passaggio della proprietà nel patrimonio di questa famiglia. Lionello Fiumi soggiornava spesso nella villa di Roverchiara e nel 1962 ne restaurò l‟interno. Villa Fiumi ieri Villa Fiumi oggi 31 Oggi la casa padronale, completamente restaurata, è adibita a sede municipale del comune di Roverchiara. L‟edificio a due piani più sottotetto ha una elegante facciata ornata da cornici in tufo. Due portali sovrapposti danno accesso ai saloni del piano terra e del piano nobile, quest‟ultimo è preceduto da un terrazzino. Tipici ovoli illuminano il sottotetto. 32 Villa Fiumi, prestigiosa Sede Municipale, è stata un tempo la residenza di un nostro concittadino illustre, il poeta Lionello Fiumi. Nel vasto panorama culturale attuale sebbene sembri non avere la considerazione che merita, nei primi anni del ‟900 godette invece di fama internazionale, sia per le opere di poesia che per le opere di traduzione dalla lingua francese, di cui era esperto conoscitore, avendo vissuto molti anni a Parigi. Nei primi del ‟900, la famiglia del poeta, da Verona, cominciò a soggiornare, durante i mesi estivi, nella campagna di Roverchiara. Il pavimento in cotto, originale del ’700, nel salone d’ingresso 33 L’originale bussola della porta d’entrata Il focolare nella prima stanza a destra dell’entrata, ora ufficio del sindaco 34 Nell’ufficio del sindaco:mappa antica del territorio di Roverchiara 35 Nell’ufficio anagrafe, sempre al pianterreno, interessanti regoli e contro regoli originali Risale al ‟900 il primo consistente intervento di ristrutturazione: le sale del primo piano furono decorate con eleganti fasce pittoriche in stile Liberty e vennero sostituite pavimentazioni, serramenti e intonaci. I soffitti a travature vennero coperti da una controsoffittatura e furono realizzate le due tramezze che dividono i saloni centrali. 36 Particolari degli affreschi che ornano le pareti delle stanze del primo piano, tutti ritoccati nella recente opera di ristrutturazione della villa 37 Secondo la storiografia, Villa Fiumi risale al 1745, anno in cui comparve nella polizza d‟estimo come proprietà del marchese Carlo Pindemonte; in seguito è passata per via matrimoniale prima alla famiglia Brenzoni e poi al nonno di Lionello Fiumi. In realtà, durante i lavori di restauro conservativo si è potuto stabilire che la villa deriva da una struttura architettonica ben più antica, risalente addirittura al 1400. Gli elementi tipici della villa veneta settecentesca si rilevano soprattutto nella struttura a due piani con il salone centrale che conduce lateralmente alle stanze. L‟ultimo piano è dedicato al granaio. L‟ingresso della villa è caratterizzato da un bel portale sormontato da un balcone con ringhiera in ferro battuto. Le finestre sono incorniciate in tufo e sono da ammirare la cornice di gronda a modiglioni, le modanature in tufo, le aperture ovali del sottotetto e le sagome ricercate delle torricelle dei camini, elementi tutti caratterizzanti una dimora Villa Fiumi, Julia gentilizia. All‟esterno funge da completamento estetico il giardino all‟italiana, anche questo elemento tipico della villa veneta. Lionello Fiumi Cercando notizie su Lionello Fiumi oggi possiamo ritrovarlo in quello che è diventato lo spazio più suggestivo della sua casa: nel sottotetto, dove è stato allestito un museo a lui dedicato. L‟illustre poeta ha abitato questo edificio con la sua famiglia dai primi anni del ‟900. Nella quiete di questa casa Fiumi lavorò assiduamente ai suoi saggi letterari e produsse molte opere poetiche. 38 Si può così dire che egli è il personaggio più rappresentativo ed illustre di Roverchiara. Nato a Rovereto nel 1884, Fiumi si trasferisce a Verona nel 1908 e comincia a trascorrere periodi di vacanza nella casa di campagna di Roverchiara. Nel 1914 pubblica la prima raccolta di poesie, Polline a cui seguono nel 1916 Mussole. Lionello comincia a girare per l‟Italia e nel 1925 si stabilisce in Francia, a Parigi. Verso il museo dedicato al poeta Lionello Fiumi, situato nel sottotetto 39 Particolari del museo 40 Altre immagini del museo dedicato a Lionello Fiumi 41 Nel 1931 pubblica Sopravvivenze che esce in contemporanea sia in Italia che in Francia. Dopo un viaggio alle Antille, nel 1937 pubblica un libro di prose poetiche, Immagini delle Antille. Ritorna a Roverchiara nel ‟40, scappando da Parigi a causa della guerra, con la moglie francese, Marta Leroux. Nel ‟44 deve fuggire in Svizzera per evitare l‟arresto da parte dei Tedeschi in ritirata con l‟accusa di essere filofrancese. Vi ritornerà negli anni del dopoguerra e qui morirà l‟amata Marta. Intanto continua a scrivere poesie e prose ed ad ottenere riconoscimenti, soprattutto all‟estero. Nel 1958 si risposa con Beatrice Magnani, con la quale si trasferisce a Verona, ma la villa di campagna di Roverchiara sarà sempre il luogo delle vacanze estive e rimarrà sempre legata al ricordo di Marta, alla quale continuerà a dedicare poesie. Nell‟ultimo periodo della sua vita continua a scrivere e pubblicare opere in poesia ed in prosa, ad essere attivo nella collaborazione a riviste letterarie in Francia ed in Italia, a ricevere premi ed onorificenze. Muore nel 1973 e viene sepolto a Verona. A Roverchiara la Biblioteca porta il nome di Lionello Fiumi e l‟amministrazione comunale ogni anno promuove un Premio di poesia sempre intitolato a Lionello Fiumi. A Verona inoltre è attivo un “Centro Studi Internazionale Lionello Fiumi”. 42 Intervista a Stefania Guerrini, responsabile della Biblioteca civica di Roverchiara L‟edificio comunale che stiamo visitando un tempo aveva un illustre proprietario, il poeta Lionello Fiumi. Nel Settecento era del marchese Carlo Pindemonte che apparteneva ad uno dei casati più importanti di Verona. Successivamente passò per via matrimoniale ai Brenzoni, un‟altra nobile famiglia veronese e sempre per via matrimoniale al trentino Domenico Fiumi, nonno di Lionello Fiumi. Lionello Fiumi è stato poeta, conferenziere, ambasciatore di letteratura italiana in Francia dove visse stabilmente per oltre vent‟anni; fondò riviste, giornali e fu un fine traduttore dal francese. Raggiunse la massima fama come poeta e scrittore negli anni che vanno dal ‟25 al ‟39 tanto che le sue opere furono tradotte in più di 25 lingue. Lionello Fiumi era nato a Rovereto. I suoi famigliari possedevano questa casa che lui utilizzava per le vacanze trascorrendovi felice i mesi estivi. Lionello Fiumi l‟ebbe sempre molto cara: era la casa dei suoi avi e divenne anche il suo rifugio negli anni che vanno dal ‟44 al ‟57 quando dovette rientrare dalla Francia per lo scoppio della seconda guerra mondiale. In questa casa, assieme alla moglie Marta Leroux, sposata a Parigi, fondò uno dei cenacoli letterari più importanti della bassa veronese. Alla sua morte, avvenuta nel 1973, per lascito testamentario venne donata al Comune una stanza perché venisse valorizzata attraverso una biblioteca a sua memoria. Dopo alcuni decenni di abbandono, nel 1994-95, l‟amministrazione rilevò l‟immobile e istituì anche la biblioteca civica che però per ragioni di spazio venne dislocata nei locali dell‟edificio adiacente alla scuola media. Nel 1998, dopo il restauro, villa Fiumi è stata destinata a residenza municipale. Esternamente ha tutti i caratteri della tipica villa del Settecento con le modanature in tufo alle porte e alle finestre, le torricelle nei camini, le gronde a modiglioni. Il restauro conservativo ha potuto evidenziare la struttura architettonica antecedente risalente al „400, gli interventi di Carlo Pindemonte e quelli della famiglia Fiumi che hanno riguardato più che altro gli interni: gli infissi, i pavimenti e le decorazioni liberty. La gronda a modiglioni era segno di ricchezza Interessanti le Torricelli nei camini 43 LE CORTI BRENZONI I Brenzoni Agostino può essere considerato il vero fondatore della dinastia dei Brenzoni. Egli dimostrò oculatezza nell‟amministrazione del patrimonio famigliare e, soprattutto, ebbe il merito di acquistare Punta di San Vigilio sul lago di Garda e di farvi costruire una sontuosa residenza, da allora fino ad oggi oggetto di ammirazione per le sue qualità architettoniche e per l‟incantevole posizione geografica. Mentre San Vigilio era un luogo di delizia, i possedimenti terrieri, tra cui quelli nel territorio di Roverchiara, erano la fonte economica che consentiva ai Brenzoni una vita agiata. Nel Settecento il loro patrimonio si arricchì ulteriormente tanto che, nella sola Roverchiara, raggiunse i 500 campi e nell‟Ottocento più di 600 campi. Nell‟arco di poco più di un secolo i Brenzoni avevano quasi raddoppiato il loro patrimonio fondiario. Essi provvidero anche a ristrutturare la corte e la casa padronale posta in piazza a Roverchiara. Nel 1866 il capofamiglia Agostino Vincenzo sposò Teodora Bevilacqua, mentre sua sorella Isabella si era già unita in matrimonio nel 1852 con Giuseppe Guarienti. Alla morte di Agostino (1880), che non aveva avuto figli, il patrimonio Brenzoni fu trasferito a Guglielmo Guarienti, figlio di Giuseppe Guarienti e Isabella Brenzoni. Da allora i Guarienti assunsero la denominazione di Guarienti di Brenzone e conservarono buona parte delle proprietà di Roverchiara fino alle soglie del 2000. I Brenzoni-Guarienti si possono quindi considerare importanti protagonisti della vita e dell‟economia di Roverchiara, avendo operato sulle terre di questo paese ininterrottamente per cinque secoli. Questo stemma si trova sul fianco della casa padronale di Corte Guarienti. Si tratta di uno stemma a cartoccio in pietra al cui interno è inserito il blasone a forma di scudo raffigurante un toro furioso, attraversato da una fascia con tre stelle. Ai piedi dello stemma due cornucopie e, in capo, una corona. Casa padronale Brenzoni-Guarienti in via Bogon:lato est 44 Prima Corte Brenzone Casa padronale Brenzoni-Guarienti in via Bogon: facciata Si tratta dell‟antica casa padronale dei Brenzoni situata in contrada Bogon, attuale via Roma. Il complesso è costituito da un portale d‟ingresso con pilastri decorati, che immette in un ampio cortile. Sul lato sinistro sono collocate la casa da lavorente e la stalla con porticato ad archi. A destra, prospiciente la strada, sorge la casa padronale a due piani con sottotetto. La facciata meridionale è abbellita da cornici alle finestre. A nord il cortile è chiuso da un‟altra casa di abitazione che era riservata al gastaldo. Il ricordo di Giovanni Olivato E‟ nato il 13 agosto 1933 a Roverchiara; è figlio di Cesare Olivati che svolgeva la professione di capo-uomini in villa Guarienti. Ci racconta: “Villa Guarienti è esistente fin dalla metà dell‟Ottocento. I suoi proprietari erano i conti Guarienti di Brenzone, ma ora la struttura non è più abitata. Corte Guarienti è sita in via Roma; è una delle tante case padronali presenti a Roverchiara. Le corti padronali sparse nel territorio del comune sono molte e in ognuna di esse vi lavoravano una cinquantina circa di persone. La destinazione delle proprietà era la produzione di mele, frumento, barbabietole da zucchero, erba medica e mais; un‟altra attività era l‟allevamento di bovini e cavalli. Nel dopoguerra questa villa costituì una grande fonte di ripresa economica per Roverchiara, anche se poi con il passare degli anni la proprietà si ridusse fino a rimanere costituita soltanto dalla casa padronale, e non sempre, come in questo caso, abitata”. 45 Seconda Corte Brenzoni: Villa Raspa Villa Raspa ieri Villa Raspa oggi Anche questa villa un tempo apparteneva alla famiglia Brenzoni, oggi è di proprietà del signor Faccioni Giuseppe. Si tratta di una villa rinascimentale risalente al 1500. Si trova sulla destra della strada che da Roverchiara conduce a Isola Rizza. Attualmente l‟edificio è in completo stato di abbandono e decadimento. La villa è abbellita da finestre e porte incorniciate da pietra lavorata e, sempre sulla facciata, da un affresco che rappresenta scene mitologiche. Sul tetto sono presenti alcune eleganti canne fumarie. La struttura è composta da cinque corpi disposti linearmente; il primo è una stalla o deposito per attrezzi; il secondo corpo ospita una scala per la torre colombara che costituisce il terzo corpo; seguono il corridoio e l‟abitazione padronale. Nel corso del settecento la villa è stata abbellita con particolari vari (finestrelle della torre, portale). All‟interno sono presenti due grandi saloni (uno al piano terra, l‟altro al piano superiore) con camini curati nei dettagli, una scala, soffitti nobili e altri affreschi. L‟edificio è noto in paese come “Villa Raspa”, dei conti BrenzoniGuarienti. Villa Raspa - Linda 46 47 Villa Raspa, viste del retro 48 CORTE MAROGNA Nel XIV secolo i Marogna godevano già di una cospicua fortuna economica. Alla metà del secolo XVII la famiglia dei Marogna si era suddivisa in vari rami. E‟ Marcello Marogna che ha le proprietà concentrate a Roverchiara, in contrada Casalino, per un totale di 200 campi. Alla sua morte il patrimonio viene suddiviso tra i suoi tre figli. La “casa Dominicale e rusticale, con barchesse, stalle, orto, brolo” viene divisa a metà tra i fratelli Angelo Maria e Alessandro. La proprietà viene quindi ulteriormente suddivisa tra i figli di Angelo Maria e Alessandro, tanto che alla fine del secolo i Marogna non sono più proprietari dei beni. All‟inizio del secolo successivo, il fondo passò ai Marastoni. Un antico disegno del Settecento dà una rappresentazione molto dettagliata della Corte, che appare tutta recintata da mura con gli edifici rustici sul lato occidentale e nord-orientale ed il palazzo residenziale al centro. Tale impianto generale è ancor oggi immutato, mentre la bella facciata con i contorni in tufo alle finestre di linee classicheggianti, il timpano che sormonta il portale del primo piano ed i vasi a festoni posti sui pilastri del portone di ingresso fanno pensare ad interventi risalenti al primo Ottocento. Corte Marogna al Casalino ieri Corte Marogna al Casalino oggi 49 Vista laterale di Corte Marogna al Casalino I ricordi di Giaccon Giovanni Giacon Giovanni è nato a Roverchiara il 31/08/1941 e questi sono i suoi ricordi. Villa Marogna si trova in via Casalino 21, a Roverchiara. La sua costruzione risale al quindicesimo secolo. Il primo proprietario fu Bartolomeo Marogna; questa famiglia mantenne la proprietà fino al diciassettesimo secolo. Nel diciottesimo secolo l‟edificio passò ai fratelli Marastoni, Giovanni e Giacomo. Dal diciannovesimo secolo fu acquistata prima dalla famiglia Guerra, successivamente da Sergio Sandri e Giorgio Cavallaro. Nella villa lavoravano molti braccianti agricoli impiegati nella produzione di mais, tabacco, frumento e gelsi (morari), importanti per l‟allevamento dei bachi da seta. Si coltivavano anche vigne per la produzione del vino; una parte dei terreni era lasciata a pascolo per l‟allevamento di bestiame da latte e per l‟alimentazione dei buoi impiegati nella lavorazione della terra. La villa ha subito parecchi passaggi di proprietà; tutti i proprietari hanno comunque mantenuto nel tempo la produzione delle stesse tipologie di prodotti. 50 LE CORTI BONENTE-GIBERTI I Bonente I Bonente erano già presenti nel territorio di Roverchiara nella seconda metà del XVI secolo. Nel 1628 la stirpe Bonente era formata da due nuclei famigliari: uno intestato ai fratelli Francesco e Giovanni e quello di Domenico e Tognin, che possedevano tre campi e mezzo in contrada Borcola. Si trattava, quindi, di una modesta stirpe di territoriali che, però, seppe riscattarsi e raggiungere nel corso del secolo una agiata posizione economica. Nella seconda metà del Seicento, Giovanni Bonente fu in grado di acquistare una proprietà a Roverchiara in contrada dell‟Ormeolo di 60 campi. Pochi anni dopo Giovanni acquistò anche una corte, con poca terra, in contrada Mezzavilla, dai Della Torre. La fortuna economica dei Bonente procedette a gonfie vele anche nella prima metà del Settecento e così il figlio di Giovanni, Antonio, “dottor delle leggi”, pur essendosi trasferitosi a Verona, effettuò altri acquisti di terreni e, in questo modo, l‟azienda dei Bonente, distribuita nelle contrade delle Beazzane, dell‟Ormeolo e del Livellone, assunse il suo assetto definitivo. Venne ereditata dal figlio di Antonio, Gaetano, che aveva abbracciato la vita ecclesiastica. Nel 1813 egli poteva contare su due corti alle Beazzane e una al Livellone. La prima Corte era costituita da una “casa di villeggiatura”, da due case da massaro e dall‟oratorio di Santa Teresa. La seconda Corte, posta poco lontano, a nord della strada, comprendeva una casa da massaro e un brolo. Di impronta cinquecentesca, la sua struttura e le sue forme fanno pensare che fosse adibita a casa padronale. La terza Corte, in contrada Livellone, a sud della stesa strada, consisteva in un‟unica casa da massaro. Dopo la morte del reverendo Gaetano, tutta la tenuta fu ereditata dai cugini Giberti, sua madre infatti era Anna Maria Giberti, morta nel 1771 e sepolta nella cappella delle Beazzane, dove è conservata la sua pietra tombale. Nel 1849, Girolamo Giberti, figlio di Giovanni, era ancora titolare della proprietà. Nel 1920 tutto il fondo venne acquistato dalla famiglia Ferrarini. 51 Prima corte Bonente-Giberti Il complesso di questa Corte, pur conservando le tracce dell‟antica imponenza, oggi si trova in cattivo stato di conservazione. È composto dalla casa padronale con i caratteristici camini, gli ovoli nel sottotetto e il portale ad arco, dagli edifici rustici disposti perpendicolarmente alla strada e dall‟Oratorio privato. L‟edificio di maggior interesse e meglio conservato è la cappella dedicata a Santa Teresa. La tenuta fu acquistata dai Bonente nel 1653, che la utilizzarono fino al 1813, anno in cui passò in eredità alla famiglia Giberti. All‟interno della Corte vi è un piccolo oratorio dedicato a Santa Teresa d‟ Avila fatto costruire nel 1741 dai Bonente. Corte Bonente-Giberti ieri Corte Bonente-Giberti oggi 52 Villa Bonente, vista dalla strada e dal retro 53 Particolari di villa Bonente La barchessa laterale nella corte retrostante la villa Bonente 54 L’Oratorio di Santa Teresa d’Avila alle Beazzane L‟oratorio di Santa Teresa d‟Avila si trova in località Beazzane e fa parte del complesso della Corte Dominicale Bonente-Giberti. Nel Settecento, l‟intera proprietà delle Beazzane, posseduta dai Boldieri, venne rilevata dai Bonente, una famiglia in piena espansione economica. 55 I nuovi proprietari avevano segnalato la difficoltà di raggiungere la chiesa parrocchiale di Roverchiara perché lontana e perché le stradine sterrate erano difficili da percorrere nei mesi piovosi. Ottennero pertanto, nel 1740, l‟autorizzazione dal doge Alvise Pisani a gettare le fondamenta e a iniziare la costruzione di un Oratorio pubblico. Ottenuto il benestare dall‟autorità civile, i lavori presero velocemente avvio e i Bonente si attivarono per avere anche l‟autorizzazione dell‟autorità religiosa per l‟erezione dell‟oratorio da dedicare a Sant‟Antonio di Padova e a Santa Teresa. Il vescovo Giovanni Bragadino, prima di concedere l‟autorizzazione, volle verificare che l‟oratorio avesse tutte le caratteristiche del luogo di culto pubblico con la porta sulla pubblica via, con l‟assenza di porte o finestre private, la dotazione di suppellettili e arredi sacri. Il vescovo cioè, oltre a controllare che fosse presente tutto il necessario per la celebrazione della messa, voleva assicurarsi che la cappella avesse i requisiti dell‟oratorio pubblico. Morto Antonio, la proprietà passò al figlio Gaetano, il quale, essendo sacerdote e quindi privo di eredi legittimi, la lasciò in eredità ai cugini Giberti. Nel 1819 il proprietario dell‟oratorio e della tenuta delle Beazzane di 302 campi risulta essere Girolamo Giberti. Un altro riferimento all‟edificio si ha nel 1845 quando il vescovo Mutti, durante la sua visita pastorale a Roverchiara, indica tra i luoghi di culto l‟oratorio dedicato ai santi Antonio e Teresa. 56 Oggi la chiesa è caratterizzata da una facciata scandita da due lesene e sormontata da un timpano triangolare con tre pinnacoli in pietra. Al centro del timpano lo stemma gentilizio dei Bonente. Sulla parete di fondo si leva la cella campanaria. Un elegante portale in tufo dà accesso all‟unica aula interna, impreziosita con gli stucchi alle pareti e i marmi policromi dell‟altare, sovrastato da una pala settecentesca. La pala raffigura la Madonna con il bambino in braccio, seduti sopra le nuvole e a sinistra, inginocchiata, Santa Teresa d‟Avila che rivolge lo sguardo alla Vergine; alle sue spalle sant‟Antonio di Padova. Ai due lati dell‟altare due porte consentono l‟accesso alla retrostante sacrestia. Recentemente l‟oratorio è stato sottoposto a intervento di restauro. Attualmente è di proprietà della famiglia Frison. 57 Seconda Corte Della Torre-Bonente Questo edificio dalle linee cinquecentesche, per l‟imponenza della struttura e per la ricercatezza delle finiture, come le cornici alle finestre e il portale dell‟ingresso a bugnato, fa supporre che anticamente fosse adibito a residenza padronale. Dai documenti di compra-vendita si ricava che nel 1682 il marchese Della Torre acquista a Roverchiara “una casa da lavorente suddivisa in diversi corpi e campi in parte arativi, vignati, garbi e prativi”. I Della Torre vendettero poi la proprietà ai Bonente, che nel 1734 ingrandirono tutto il complesso. Corte Torre-Bonente ieri Corte Torre-Bonente oggi Particolare del portale di ingresso Particolare del portale sul retro 58 Particolari della facciata con due meridiane Particolari delle finestre del piano terra e piano primo 59 Vista della barchessa 60 MONASTERO DI SANTA MARIA DELLE VERGINI DETTE LE MADDALENE ORA VILLA BIONDANI Il cenobio di Santa Maria Maddalena viene istituito attorno al 1200 in località campo Marzo a Verona. Nel 1350 le monache dimoranti in Santa Maria Maddalena si unirono in maniera stabile, con tutte le loro proprietà, al vicino monastero di Santa Maria della Vergini, accogliendo la regola francescana di Santa Chiara d`Assisi: ne decretò l`unione il vescovo di Verona Giovanni Naso. Da allora le monache di questo monastero furono denominate “Le Maddalene”. Le monache del monastero di Santa Maria delle Vergini ricavavano i fondi necessari per il loro sostentamento e per la gestione del monastero dall‟attività di prestito, dalla riscossione degli affitti e, principalmente, dalle entrate dei fondi rustici tra cui quelli di Roverchiara, che consistevano in 160 campi distribuiti in 28 appezzamenti, gestiti da una casa con fienili e corte, in contrada Carbonata. Tale casa riveste un grande interesse per le caratteristiche del portico. Una serie di pilastri a sezione quadrata sostiene il tetto, che si appoggia su traversi in legno. Anche le strutture murarie testimoniano la vetustà del complesso. La proprietà fondiaria del monastero complessivamente, nel tempo, raggiunse l‟estensione di 740 campi. Per quanto riguarda i possedimenti di Roverchiara, che, con i suoi 227 campi, era quella che aveva conosciuto la maggior espansione, troviamo che nel 1653 erano dotati di una seconda casa da lavorente, in località detta appunto “Valle della Maddalene”. Nell‟Ottocento, con la soppressione del monastero, le proprietà furono demaniate. 61 L’antica Corte “Le Maddalene” Villa Biondani è divisa in due parti: quella più antica è stata costruita nel 1500; la parte moderna, invece, risale al 1950. Villa Biondani è molto antica, è stata costruita tra il 1500 e l‟inizio del ‟600. Il proprietario attuale è Federico Biondani che di professione fa l‟insegnante e ha una sorella di nome Cristina. Un tempo questa villa apparteneva a suo padre, Giuseppe Biondani che di professione faceva il dottore in agraria e che ha lavorato a lungo nei suoi campi, mettendo a dimora numerose piante di abeti. 62 A destra della villa si trova un portico dove si tenevano gli attrezzi agricoli. Alla parete sono appesi gli attrezzi che si usavano un tempo sia nella lavorazione dei campi che nell‟allevamento del bestiame: ricordo dell‟intenso lavoro che si svolgeva in questa villa e di tutte le persone che vi lavoravano e vivevano. Attrezzi agricoli sono inoltre conservati ed esposti nella corte 63 Lo stile antico della villa si nota soprattutto dall‟arco che sovrasta le finestre. Sul retro della villa si trova ancora la stalla, anche se inutilizzata. Purtroppo non abbiamo potuto vedere l‟interno della villa ma abbiamo potuto costatarne la complessità dalle dimensioni e dall‟abbondanza di finestre. 64 La villa aveva due meridiane, entrambe ancora visibili anche se non ben conservate. Intervistare il proprietario ed ascoltarne la testimonianza è stata un‟esperienza molto interessante per noi ed è stato molto emozionante sentire e vedere come una volta i signori vivevano nelle loro ville di campagna. 65 La villa recente (1950) 66 Intervista a Federico Biondani 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Quando è stata costruita la villa? La villa è divisa in due parti: quella più antica è stata costruita nel 1500; la parte moderna, invece, nel 1950. Che attività si svolgevano nella villa? Nella parte più antica della villa si svolgevano i lavori dei campi e si portavano a pascolare gli animali. Molto importanti erano anche la caccia e la pesca. Chi lavorava nei campi? Nei campi ci lavorava mio padre con alcuni operai. Adesso ci sono pochi dipendenti e si fa quasi tutto con le macchine e con prodotti chimici. Lei ha sempre vissuto qui? No, io e mia sorella abbiamo ereditato la villa dai nostri genitori. Ci siamo trasferiti qui negli anni ‟70, prima abitavamo a Minerbe. La villa è stata costruita da nostro nonno. Ci sono stati dei cambiamenti da quando è arrivato qui fino ad oggi? A 10 anni, quando sono venuto ad abitare qui, vedevo molta più gente rispetto ad oggi. Molti operai infatti se ne sono andati a causa dell‟avanzamento della tecnologia. Un altro cambiamento molto importante per tutto il territorio è stato l‟intervento sul fiume Bussè, al quale è stato modificato il corso. Un tempo infatti il Bussè, che nasce a Oppeano, sfociava in Adige, ma con il tempo il suo letto si è alzato impedendo alle acque di defluire con la creazione di ristagni. Il suo corso è stato pertanto deviato e incanalato verso Legnago. Che ricordi ha? Ha nostalgie? Sì, mi mancano molto l‟animazione che c‟era nella villa e le chiacchiere con i lavoratori. Ora la villa è “spopolata.” Cosa le manca del passato? Se torno indietro nel tempo mi viene in mente la mia bella infanzia e i ricordi dei momenti più significativi trascorsi con la mia famiglia. Si svolgono delle manifestazioni nella sua villa? Sì, si fanno delle manifestazioni, pranzi e ricevimenti. 67 Villa Biondani disegnata da Alessia Collage di Villa Biondani, di Federico e Michele 68 DAL VERONESE AL PADOVANO: VISITA A VILLA ZABORRA A conclusione del percorso alla scoperta delle costruzioni che raccontano la nostra storia e valorizzano il nostro territorio abbiamo proposto la visita guidata ad una vicina villa veneta del padovano Villa Zaborra - Castello di San Pelagio (DUE CARRARE-PD) Costruito dai Carraresi per scopi difensivi, divenne proprietà dei Conti Zaborra alla fine del 1600. Intorno alla torre medievale è sorto il complesso il cui aspetto attuale, tipico della villa veneta, è della fine del XVIII secolo. Verso la metà del 1900 i proprietari hanno rivalutato l‟avvenimento storico che ha reso famoso il castello: il volo su Vienna di Gabriele d‟Annunzio del 9 agosto 1918. È stato così realizzato un museo con un percorso cronologico che racconta la storia del volo, dalla mitologia al volo degli uccelli, da Leonardo da Vinci alle conquiste spaziali. Nella barchessa vi è un tipico ristorante. Un parco di tre ettari accoglie alberi secolari, la carpinata, il brolo, la peschiera, la ghiacciaia e due labirinti verdi. Castello di San Pelagio Lessico riferito alle Ville Venete aventi funzione agricola: Barchessa: riferimento al termine agricolo di “barco” che, anticamente significava mucchio di fieno, era il luogo in cui si tenevano il fieno e gli attrezzi agricoli. Brolo: anticamente significava orto cinto da muro o siepe, indica ancora il frutteto accosto alla casa dove sono coltivati alberi da frutto di antica varietà. Carpinata: viale ombreggiato da carpini centenari potati a tunnel. Il Carpino è un albero autoctono europeo che, in autunno, diventa di colore oro scuro. Peschiera: il laghetto piano, senza giochi d‟acqua, quasi un pallido riflesso della laguna veneziana. Ghacciaia: l‟antico frigorifero della villa, una stanza sotterranea che, riempita di neve e ghiaccio durante l‟inverno, d‟estate serviva alla conservazione dei cibi. 69 STORIA La torre (nella foto), dal 1300 era parte del sistema difensivo dei Da Carrara che comprendeva più torri collegate tra loro da passaggi sotterranei lunghi fino a 1 km. Oggi è visibile solo la torre di S. Pelagio, i cui passaggi sotterranei sono in parte allagati. Esauriti i compiti difensivi, nei secoli successivi il Castello venne trasformato in Villa Veneta e dal 1700 ha assunto l‟aspetto che ancora oggi si ammira. Dal 1680 fino la 1960, la villa è stata abitata dai Conti Zaborra, ai quali ancor oggi il Castello appartiene. LA VILLA E IL PARCO DELLE ROSE E DEI LABIRINTI La villa, una delle oltre tremila Ville Venete della regione Veneto, vista dal giardino interno presenta un corpo centrale a ridosso della torre trecentesca e due ali laterali. L‟ala di sinistra,la barchessa, risale al 1793 e fu opera di Paolo Zaborra, come si legge nell‟iscrizione dell‟arco di centro; l‟ala di destra, adibita ad abitazione dei proprietari e dei custodi, è la parte più antica. Tra le due ali vi è il giardino di rappresentanza con al centro la vasca delle ninfee. Dietro l‟ala di destra si trova il giardino segreto, a sud trovano collocazione il brolo, il parco con i labirinti, la montagnola con la ghiacciaia e la peschiera. Dalla strada comunale si vede la facciata principale, rimaneggiata alla fine del 1700. Il corpo centrale è ornato di un elegante portale d‟accesso con colonne di mattoni e statue, e due torrioni laterali. Al centro, sotto il balcone, compare la scritta: “Roberto Zabborra quod has aedes in meliorem faciem sua pec. restituerit amplificaverit Paulus Zabborra viro op benemer. lap. mem. P.C.A.D. MDCCLXXV” (A Roberto Zaborra uomo benemerito per le opere che con il suo denaro ha migliorato questo edificio, restaurandolo e amplificandolo, Paolo Zaborra questa lapide pose a memoria nell'anno del Signore 1775). Ai lati due targhe in marmo ricordano il Volo su Vienna compiuto dal poeta Gabriele D‟Annunzio e dai piloti della Serenissima. 70 Il torrione di destra, il cui uso è sempre stato agricolo, presenta un grande portone; dal torrione di sinistra, un alto portale immette direttamente nel salone da ballo, oggi sala delle Mongolfiere. Il giardino di rappresentanza, o padronale, ospita 200 varietà di rose, circa mille esemplari e nasce da una appassionata ricerca trentennale nei vivai di tutta Europa. La loro scelta è avvenuta con criteri ben precisi: profumo, colore, portamento, dimensioni …. Attorno alla vasca centrale dove vengono coltivate ninfee a fiore bianco e a fiore rosa, si notano cespugli di yucca glauca e gruppi di peonie arboree. Gli alunni delle classi 1A- 2A- 2B in visita alla villa il 21 marzo 2012 Il giardino Segreto è quello interno al castello, prospiciente la Cappella, separato dalla campagna da un alto muro di cinta. E‟ contraddistinto da vialetti e spazi erbosi che circondano una vasca. Resistono al tempo alcune statue e nani in pietra settecenteschi. 71 Vi è una grande ricchezza di elementi arborei e arbustivi: cipressi, tassi, tigli secolari, viburni, ibischi, oleandri, lavanda, passiflora… Dal giardino di rappresentanza ci si incammina lungo un viale di carpini centenari disposti a tunnel la cui funzione, un tempo, era quella di collegamento tra la zona residenziale del Castello e la campagna. In fondo vi è l‟altare dedicato alla Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori; poi salendo un sentiero a chiocciola si arriva sulla montagnola che all‟interno racchiude la ghiacciaia. Vi sono poi due labirinti verdi: il “Labirinto del Minotauro” che assolve a un duplice compito: da un lato ricorda i maliziosi labirinti delle Ville Venete, luoghi di svago e di giochi amorosi, dall‟altro il mito di Icaro e quindi la storia del volo, tema del museo. Il labirinto del “Forse che sì forse che no” ricorda nel nome il famoso romanzo dannunziano e nella struttura quello dipinto su un soffitto nel Palazzo Ducale a Mantova. Oggi la Villa è Museo del Volo e nei suoi giardini ha trovato posto anche il “Viale degli Eroi” dove vengono messe a dimora “piante aereonautiche” come l‟alloro che, dedicato a D‟Annunzio, ne ricorda la grande opera poetica; il frassino, dedicato al conte Da Schio che ne utilizzava il legno per la costruzione dei suoi dirigibili. Nel parco vi sono inoltre: il brolo e il prato con la sua fascia di erba spontanea che serve da collegamento con il paesaggio rurale circostante. La villa pertanto è stata fruibile dagli alunni sia La torre medievale vista dal parco all‟interno, con la visita alla torre medievale e alle stanze dove è allestito il Museo del Volo, sia all‟esterno, essendo attrezzata per varie attività, fra le quali il tiro con l‟arco. 72 ANDAR PER VILLE, PALAZZI, CASE A CORTE: CONCLUSIONI Il nostro sogno: Valorizzare le ricchezze dimenticate, come le case, le Corti, i sentieri, le strade, gli alberi, gli arbusti che integrano il paesaggio… i segni della storia, per permettere a tutti di poterne fruire. Non lasciare che l‟incuria e l‟inquinamento rovinino il nostro ambiente così interessante e ricco di vita. C‟è una modernità buona, quella che riesce ad integrare tutte queste strutture e una cattiva, quella che le distrugge e le abbandona. Ma la gente non è attratta dal degrado e così ville, palazzi e case a corte sono destinate all‟oblio e alla dimenticanza. Il nostro sogno pertanto è il pieno recupero di tutte le strutture del territorio ancora fatiscenti per far sì che diventino, così come è stato per la nostra scuola e per l‟edificio comunale, godibili ogni giorno da tutti. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO Per le notizie sugli oratori: F. Occhi- A. Garau, Alla scoperta di pievi e di oratori, ed. P.L. Basso veronese, 2001 Per le caratteristiche e le strutture abitative presenti nelle Corti veronesi: R. Scola Gagliardi, Un feudo vescovile in epoca veneziana, ed. Comune di Bovolone, 1982 Per la vita lavorativa che si svolgeva nelle Corti: D. Coltro, La terra e l’uomo, Cierre ed. 2006 Per la storia delle famiglie gentilizie veronesi che avevano possedimenti terrieri a Roverchiara: AA.VV., Roverchiara, una comunità e il suo territorio, a cura di R. Scola Gagliardi, ed. Comune di Roverchiara, 2006 73 INDICE Una scuola particolare: “Scuola in Villa La Scuola nel Palazzo Mazzanti La Famiglia Mazzanti Comincia il nostro viaggio Ieri-Oggi Il contesto Cosa vedremo nel nostro viaggio La Corte chiusa quale modello costruttivo tipico dell‟area del veronese Un po‟ di storia La diffusione delle Ville Le Corti nel veronese La situazione a Roverchiara Le tipologie di Corte Gli elementi strutturali e costitutivi delle Corti Uno sguardo sulla realtà attuale I resti dell‟antico Monastero della Prepositura della Giara Corte Monastero Intervista al prof. A. Pistoia Villa Pomedelli-Pindemonte-Fiumi Le famiglie Pomedelli-Pindemonte-Fiumi Il poeta Lionello Fiumi Intervista a Stefania Guerrini, responsabile della Biblioteca civica di Roverchiara Le Corti Brenzoni I Brenzoni Palazzo Brenzoni-Guarienti in contrada Bogon Villa Raspa Corte Marogna I ricordi di Giaccon Giovanni Le Corti Bonente-Giberti I Bonente Prima Corte dei Bonente-Giberti L‟Oratorio Bonente-Giberti di Santa Teresa d‟Avila alle Beazzane Seconda Corte dei Della Torre-Bonente Monastero di Santa Maria delle Vergini dette Le Maddalene Corte delle Maddalene, ora Villa Biondani Dal veronese al padovano: visita alla Villa Zaborra - Castello di San Pelagio Conclusioni: il nostro sogno Bibliografia di riferimento 74