ISTITUTO COMPRENSIVO B. BARBARANI
MINERBE
SCUOLA SECONDARIA DI ROVERCHIARA
ANDAR PER VILLE, PALAZZI, CASE A
CORTE
ANDAR PER VILLE, PALAZZI, CASE A CORTE E ORATORI…
…A ROVERCHIARA
LE TIPICHE CASE A CORTE VERONESI
Una scuola particolare. “Scuola in Villa”
Lo è la nostra scuola: la scuola secondaria di primo grado di Roverchiara.
Non tutti gli studenti possono infatti vantare, come noi, di essere accolti e
studiare in un‟antica Villa Padronale o meglio in un Palazzo: Palazzo Mazzanti,
in piazzetta Unità d‟Italia a Roverchiara.
Noi sì.
La nostra scuola ha sede infatti nell‟antica Casa Padronale, appartenuta alla
famiglia veronese dei Mazzanti sin dal 1589, posta nel centro del paese di
Roverchiara, delle sue antiche vestigia conserva intatte tutte le strutture.
L‟ingresso dà nel salone posto al piano terra e dalla parte opposta un‟altra
porta dà invece sul cortile posteriore, il nostro cortile per gli intervalli.
Il pavimento del salone d‟ingresso è in marmo rosso di Verona in tonalità
diversificate nel decorativo rosone centrale che lasciano immaginare fruscii di
abiti, balli e intrattenimenti musicali d‟altri tempi.
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Ai lati le stanze sono ora le nostre aule; a metà della parete di sinistra il
corridoio che conduce all‟antica cucina, è delimitato da una colonna che dà
avvio alle rampe delle scale in marmo bianco che conducono ai piani superiori.
Stessa simmetria anche al piano superiore: in mezzo il salone, ai lati, le
stanze che ospitano le nostre aule e i laboratori di musica e di informatica.
Ed infine il sottotetto con il laboratorio di scienze e di educazione artistica
che non possono avere eguali in altre scuole per il panorama che i finestrini
consentono di cogliere, per le travi a vista che lasciano immaginare il cielo, per
gli spazi ampi e gli arredamenti che hanno poco a che fare con una scuola, tanto
da dare l‟idea di essere come a casa propria, o quanto meno in una dimensione
famigliare.
Questo è quanto tutti provano come entrano in essa.
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Non è una grande scuola, né moderna, né secondo le ultime tendenze
architettoniche, ma non le manca niente per essere una Scuola con la esse
maiuscola.
E proprio perché è una Scuola in Villa facilita il nostro rapporto con la
storia. Riesce infatti a renderci concreti fatti ed avvenimenti del nostro ambiente
permettendoci di contestualizzarli in spazi conosciuti. E così possiamo andare
indietro nel tempo e capire meglio la storia del nostro paese e quindi di noi
stessi.
Si tratta di una notevole opportunità che ci consente di vivere la nostra
scuola anche nella sua passata peculiarità, quando era una villa al centro del
paese, “di comprenderne l’importanza che ha rivestito nel passato all’interno
della più vasta comunità locale e quindi di impegnarci per la sua tutela, per la
sua valorizzazione in modo che possiamo trasmettere questo patrimonio che
abbiamo ricevuto in eredità dal passato in tutta la sua integrità e valore” a
quanti verranno dopo di noi.
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La Scuola nel Palazzo Mazzanti
La Scuola Media Statale di Roverchiara aprì i battenti il 1° novembre
1963, a seguito dell‟istituzione in Italia della cosiddetta scuola media unificata.
In quell‟anno, infatti, la Giunta Comunale chiese ed ottenne dal Ministero della
Pubblica Istruzione l‟istituzione di una sezione staccata di Scuola Media,
dipendente da Oppeano.
Gli alunni furono provvisoriamente ospitati in aule ricavate negli
scantinati della Scuola Elementare “Giovanni Pascoli”.
Negli anni Ottanta vennero adottate alcune decisioni molto importanti per
la scuola media: dapprima il trasferimento dall‟edificio della scuola elementare
all‟ex Palazzo Mazzanti, che tuttora la ospita e contestualmente la richiesta di
autonomia, per l‟a. s. 1982-83, rispetto ad Oppeano, volta ad offrire “migliore
funzionalità e maggiore rispondenza agli specifici problemi della popolazione di
Roverchiara” (da Reg. Del. N. 80 della Giunta Comunale, 21-12-1981) ed
infine la costruzione di una palestra retrostante la nuova sede scolastica.
L‟autonomia istituzionale non venne concessa e la scuola continuò
pertanto a rimanere sede staccata di Oppeano fino all‟anno scolastico
1995/1996, quando la scuola media di Roverchiara viene aggregata alla scuola
media di Minerbe.
Nell‟a.s. 1999/2000 si ha infine il passaggio della scuola secondaria di I°
grado di Roverchiara all‟interno della nuova realtà dell‟Istituto comprensivo di
Minerbe, di cui tuttora fa parte, accogliendo alunni provenienti dai Comuni di
Roverchiara e Angiari.
Palazzo Mazzanti -Yadira
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La Famiglia Mazzanti
Il capostipite della famiglia Mazzanti di Verona fu Lodovico, originario di
Ferrara, proprietario di due spezierie in città, ma fu soprattutto Matteo Mazzanti
a proseguire nell‟ambito dell‟attività paterna e a incrementare maggiormente la
potenza economica della famiglia.
Per quanto riguarda il patrimonio fondiario, nel Seicento i Mazzanti, in
piena espansione economica, si accaparrarono un consistente numero di campi
nella media pianura veronese, tanto che a Roverchiara arrivarono a possedere
ben 300 campi, una casa dominicale e una piccola casa.
All‟inizio dell‟Ottocento, i Mazzanti erano ancora presenti a Roverchiara,
ma non la frequentavano più come un tempo.
Nel 1813 l‟antica casa dominicale apparteneva a Benedetto Mazzanti che la
conduceva in affitto, mentre la rimanente parte del caseggiato e il brolo
retrostante di nove campi era intestato alle sorelle Laura e Antonia Mazzanti.
Qualche anno dopo l‟edificio venne ceduto alla famiglia Tedeschi, che
provvide ad una radicale ristrutturazione del complesso: la casa padronale,
ornata da bugnato al piano terra e da semplici cornici alle finestre dei piani
superiori, assunse l‟impronta neoclassica che oggi conserva e che le valse la
designazione di “casa di villeggiatura” nel catasto austriaco del 1849. Il brolo fu
sostituito da un parco romantico all‟inglese.
Acquistato dal Comune negli anni ottanta è stato destinato a sede della
nostra scuola, la secondaria di I° grado di Roverchiara.
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Pavimento del salone d’ingresso della scuola: Rosone centrale
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Comincia il nostro viaggio
Palazzo Mazzanti, dove ha sede la nostra scuola, non è che una delle tante
Ville, Palazzi o meglio delle tipiche Case a Corte presenti nel nostro territorio
cui passiamo davanti ogni giorno o che intravvediamo tra gli alberi in
lontananza nei nostri giri in bicicletta.
Alcune, grazie ad un sapiente restauro conservativo sono tornate agli
antichi splendori, molte altre portano i segni del tempo. Ma la sensibilità verso
la loro storia ed il loro significato è in aumento.
Anche il nostro viaggio tra di esse si pone questo importante obiettivo:
saperle collocare nel territorio, riconoscerle, recuperarne i dati più significativi
(epoca storica, proprietari, caratteristiche, funzioni…) in modo da imparare a
valorizzarle e tutelarle.
Fondamentale è stata infatti la loro importanza nel passato. Sono state
punto di riferimento per tutta la comunità. All‟interno di esse si svolgeva la vita
lavorativa e sociale di gran parte della popolazione. Il nostro obiettivo è pertanto
quello di riuscire a poter leggere ed immaginare, per ognuna di esse, la storia
della gente comune e non, che vi ha lavorato e vissuto, cui dobbiamo l‟attuale
sviluppo.
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Ieri
“Casa dominicale” e “casa da lavorente”, villa signorile e umile casone:
tra questi estremi si snoda tutta la gamma dell‟abitare in campagna nel periodo
che va dalla fine dell‟epoca dei castelli al trionfo dell‟attuale industrializzazione
in cui le forme e le tipologie tradizionali dell‟abitare non hanno più a che fare
con il possesso e la cura dei campi.
Le Corti e le Ville antiche, restaurate o fatiscenti che siano, ancora presenti
nel territorio, possono aiutarci a ricostruire in parte questa realtà e il suo
evolversi.
Le dimore dei signori, simboli del ceto elevato e della cultura dei
proprietari, sorgono al centro delle grandi proprietà, separate o in stretta
dipendenza dalle strutture che ne permettono la sopravvivenza e il controllo dei
prodotti agricoli: corti con barchesse per il ricovero di animali e attrezzi, cantine,
magazzini, pozzi, forni, casare, colombare…
Ci troviamo anzi di fronte a quel fenomeno definito “civiltà delle ville” che
caratterizza in modo inconfondibile il nostro territorio, storicamente legato allo
sfruttamento fondiario, espressione di un‟intera classe sociale, l‟aristocrazia, cui
col tempo si affianca anche la ricca borghesia che nella coltivazione della terra
ha la principale fonte di guadagno.
La Villa infatti integra a sé le strutture rustiche, a volte includendole nel suo
stesso spazio privilegiato, a volte organizzandole in organismi separati, ma
sempre vicini, sotto il suo controllo, secondo il modello della Corte chiusa tipico
dell‟area veronese e della nostra zona in particolare.
Oggi
Nel corso degli anni però, e in quelli più recenti in modo sempre più
evidente, si assiste al progressivo abbandono, alla spogliazione, alla distruzione
o alla destinazione agli usi più disparati di queste Corti, ormai troppo costose da
restaurare e mantenere.
Tendenza contro cui va affermata la coscienza del loro valore storico e la
necessità della loro salvaguardia ponendoci urgentemente il problema del loro
riutilizzo dato che è andato perduto il legame che le univa alla terra da cui
traevano la propria sussistenza.
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Il contesto
Roverchiara, comune della provincia di Verona, è situato tra la riva destra
del fiume Adige e il Bussè. Il suo territorio, si sviluppa su una superficie di
quasi 20 chilometri quadrati e sorge a 20 metri sopra il livello del mare. L‟area
nord-orientale del territorio comunale è ricca di acquitrini e cave che
testimoniano la presenza di un‟antica palude.
Il paese era anticamente chiamato “Fonzane”, probabilmente derivante dal
nome di una famiglia della zona. Esistono due ipotesi sulla derivazione del
toponimo “Roverchiara”, ma quella che sembra essere la più corretta fa derivare
il nome del comune dalla parola latina “rublicus”, diminutivo di “rubus”, in
italiano rovo, distesa di rovi, roveto. La parola si sarebbe trasformata nel tempo
in rublicus, rovéclo, rovechio, rovecio, roecio, roeciara e definitivamente in
roverciara, roverchiara. Un‟altra ipotesi fa derivare il nome da rovere, un tipo di
quercia, forse come bosco sparso e quindi roverciara. Questa idea è confermata
dalla presenza di un bosco presente nel passato nella zona che va dall‟abitato di
Roverchiara a quello di Roverchiaretta, la frazione. L‟altra ipotesi fa derivare
l‟origine del nome da “Ripaclara”. Ovvero associa il toponimo alla presenza di
un porto sul fiume Adige (che comunque esisteva) e di un faro che lo
illuminava.
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Lo stemma comunale è rappresentato da un grande
rovere (quercus petraea) radicato su una vasta campagna
verde. Il simbolo è stato scelto per ricordare la pianta che
ricopriva il territorio nella zona di Roverchiara da cui trae
origine il toponimo del Comune. Quello di scegliere un
albero o un tipo di vegetazione è un fenomeno che si ripete
spesso per i comuni rurali, soprattutto nella Bassa veronese.
La zona di Roverchiara fu abitata già in epoca romana:
lo attestano le antiche monete che di tanto in tanto vengono
alla luce. Le prime notizie scritte risalgono a un documento
dell‟813 in cui si parla di una comunità cristiana la Schola
Cantorum in cui il vescovo Rotaldo di Verona assegna delle
rendite e dei possessi. Si è trattato di una comunità religiosa
Gonfalone comunale, Marco
in contatto continuo con i
vescovi, che viveva intorno
alla pieve e al battistero. Il
centro ebbe particolare
importanza nel medioevo. Sempre da
documenti religiosi, risalenti all‟anno 1000, si
ricava che la pieve conta un gran numero di
religiosi al suo servizio: 36 preti e altri con
ruolo minore. Un rapporto diretto fra vescovo e
comunità, di tipo religioso ed economico che si
interruppe nel 1206, quando il comune si
impossessò dei beni vescovili mettendo al
confino il vescovo Adelardo II. Nel 1234 è da
Gonfalone comunale-Emanuele
segnalare un‟azione militare di Ezzelino da
Romano. Per conquistare Albaredo gettò un
ponte sull‟Adige. Ad Ezzelino, nel controllo del paese, si succedettero prima gli
Scaligeri, poi i Visconti ed infine i veneziani.
Al tempo della Serenissima Roverchiara fu un importante porto per merci e
passeggeri per la zona, di pari importanza a quello di Legnago, ed anche in
seguito continuò ad essere una fertile campagna orientata alla coltivazione di
prodotti agricoli per la città di Verona.
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Cosa vedremo nel nostro viaggio
Roverchiara è un paese ancora immerso nel verde della pianura padana,
fiancheggiato dagli argini di un grande fiume.
Un fiume che da sempre ha qualificato queste zone, rendendo fertile e viva
la campagna. La storia di Roverchiara si può leggere dunque attraverso l‟Adige
e attraverso gli edifici che sono sorti lungo di esso.
Allora perché non rilevare quello che ancora rimane dell‟ambiente naturale
e architettonico, imparando ad apprezzare quelle strisce di terra che gli stanno
attorno e, senza fare troppi chilometri, scoprire o ritrovarne le bellezze naturali,
architettoniche ed artistiche con l‟obiettivo di recuperare una storia che non può
non avere come protagonisti che gli uomini, l‟ambiente, le architetture e i
paesaggi di questa comunità che si è andata formando nel corso degli anni?
Il tutto per arrivare, alla fine del percorso, alla composizione di un quadro
che è insieme memoria e attualità, passato e presente, come eravamo e come
siamo, forse persino come saremo in futuro.
In particolare, partendo dai resti della Corte Monastero, vedremo:
o Villa Pomedelli-Pindemonte-Fiumi
o Le Corti Brenzoni:
Palazzo Brenzoni-Guarienti
Villa Raspa
o Corte Marogna
o Le Corti Bonente
Corte Bonenti-Giberti
Oratorio di Santa Teresa d‟Avila
Corte Della Torre-Bonente
o Villa Biondani-Monastero delle Maddalene
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LA CORTE CHIUSA QUALE MODELLO COSTRUTTIVO TIPICO
DELL’AREA VERONESE
Un po’ di storia
La Villa è una specie di villaggio, formato da tutti i fabbricati e le opere che
servono alla vita di campagna: le barchesse, le cantine, l‟aia, le colombaie, il
brolo, il giardino, il pozzo, la peschiera...
La villa era il centro dal quale il proprietario terriero amministrava
l‟azienda agricola dalla quale ricavava la propria ricchezza. I grandi proprietari,
infatti, cedevano in affitto le proprie terre ai fittavoli, che le coltivavano per
ricavarne di che vivere. Non solo, gli abitanti delle campagne si rivolgevano ai
grandi proprietari per chiedere qualche prestito: la villa diventava così anche un
centro di potere. E infatti si ergeva maestosa sui campi e sulle modeste casupole
dei fittavoli. Nella villa, poi, il proprietario intratteneva gli amici della città, a
volte esibendo la propria ricchezza, e ospitava i personaggi importanti di
passaggio.
La villa era anche luogo tranquillo dove il proprietario poteva riposarsi,
dedicarsi alla caccia, alle letture, allo studio, alla riflessione, con la possibilità di
seguire la coltivazione e la raccolta dei prodotti agricoli.
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La diffusione delle Ville Venete
Nel Cinquecento l‟aumento demografico, il declino delle attività
manifatturiere e commerciali della città e la politica veneziana tesa a convertire
la propria economia dalla mercatura al settore primario, provocarono una gara,
tra coloro che avevano capitali da investire, per assicurarsi il possesso di terre da
sfruttare con le nuove tecniche agricole.
Si andò così affermando 1‟azienda agricola moderna, costituita da un fondo
accorpato e gestito da una Corte rurale.
Le Corti nel veronese
Il patriziato veronese e gli enti ecclesiastici aderirono attivamente a questa
nuova forma di investimento e il territorio di Roverchiara fu uno dei più ambiti
in considerazione della fertilità delle sue terre.
I nobili veronesi rilevarono le terre principalmente da proprietari locali o da
altri cittadini.
Diverse famiglie cittadine, tra le quali quelle dei Pomedelli e dei Mazzanti,
acquistarono dai territoriali (contadini/proprietari locali di Roverchiara)
numerosi campi. Nello stesso periodo fecero importanti acquisti dai territoriali
anche i fratelli Della Torre, Raimondo e Girolamo Della Torre.
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Tra le nobili famiglie veronesi, quelle che caratterizzarono e influirono
maggiormente sulla società e sull‟economia di Roverchiara, sia per l‟estensione
delle loro proprietà che per la durata della loro presenza in questo territorio
protrattasi per oltre quattro secoli, furono i Brenzoni, i Marogna, i Sagramoso, i
Della Torre e i Serego Alighieri.
Da ricordare inoltre che alle famiglie Martelli, Mazzanti e Tedeschi si deve
l‟avvio e lo sviluppo della risicultura a Roverchiara.
Anche tra i territoriali si possono annoverare famiglie diventate influenti.
Tra queste vanno ricordate quelle dei Bonente e dei Giberti che, pur partendo da
una modesta situazione, seppero raggiungere una agiata posizione economica.
Rappresentazioni
della Corte della
Prepositura della
Giara, in contrada
Paradiso (1718)
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La situazione a Roverchiara
All‟epoca della diffusione delle Ville e delle Case a Corte nel veronese, la
situazione a Roverchiara, quale si può desumere dai Libri d‟estimo del tempo,
risulta essere la seguente:
abitazioni di proprietà delle famiglie nobili e borghesi di Verona
(cosiddetti cittadini)
abitazioni e proprietà di Enti ecclesiastico-religiosi
edifici e proprietà degli abitanti di Roverchiara (cosiddetti territoriali)
Le abitazioni dei cittadini erano: 14 Corti con casa padronale, 10 Corti con
casa da lavorente, 3 case in muratura d‟affitto e una bottega.
Le abitazioni degli Enti: 1 Corte dominicale, 7 Corti con casa da lavorente,
3 case in muratura d‟affitto.
Le abitazioni dei contadini (territoriali): 14 case a muro, 7 case di muro
coperte di paglia e 14 casoti di paglia.
Complessivamente l‟assetto del paese era pertanto così configurato: 15
Corti con casa padronale, 17 Corti con casa da lavorente, 19 case di abitazione
in muratura e una bottega, 7 case di abitazione con muri perimetrali in muratura
ma coperte di paglia e 14 casoti di legno e paglia, per un totale di 73 edifici.
Dall‟analisi di questi dati si evince che alla fine del Seicento le Corti con
casa padronale erano numerose, a significare che i proprietari erano intenzionati
a seguire da vicino il lavoro dei campi, mentre i contadini dovevano ancora
adattarsi a vivere in miseri casotti di paglia.
La popolazione a quel tempo risultava infatti essere ben più di quella che
poteva dimorare in queste abitazioni censite per cui è facile immaginare che
molti contadini, seppure proprietari di piccoli appezzamenti di terra, dovevano
vivere in miseri casotti di paglia.
Alla metà del Settecento il numero delle Corti dei cittadini con casa
padronale rimane invariato mentre le Corti con casa da lavorente subiscono un
sensibile aumento passando da 10 a 26 e ciò porta a supporre una tendenza da
parte dei proprietari cittadini a ridurre la loro partecipazione diretta alla
conduzione dei fondi.
Si riducono invece i beni degli enti ecclesiastici: quasi un anticipo delle
soppressioni che saranno attuate nel secolo successivo.
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Per quanto riguarda i proprietari territoriali (abitanti/contadini di
Roverchiara) si riduce il loro numero ed anche la quantità di terra di proprietà,
con una media di due campi per famiglia, ma aumentano sensibilmente gli
edifici in loro possesso che da 35 passano a 76. Di queste 27 erano case di
abitazione in muratura, 13 con i muri perimetrali di muro e il tetto di paglia, 38
costruite in legno e coperte con paglia o canne palustri.
Il tenore di vita dei contadini era probabilmente migliorato, ma si può
ipotizzare che buona parte di loro continuasse ancora ad abitare in case di legno
e paglia (casoti).
Le tipologie di Corte
Il tipo di insediamento più comune nel territorio era costituito da un
insieme di fabbricati, circondati da muro, generalmente chiamate Corti, anche se
in realtà questo termine non ricorre molto nei documenti dell‟epoca, dove,
invece, sono presenti le denominazioni di: Possessione con casa da patron, o con
casa da gastaldo, o con casa da lavorente.
La Corte era formata da numerosi edifici, ciascuno dei quali aveva una
precisa funzione, in modo da conferire all‟insieme una completa autonomia, sia
per quanto riguarda la lavorazione e la conservazione dei prodotti agricoli, sia
per le necessità domestiche dei contadini.
La casa da patron, la casa da lavorente, le case dei boari e dei brazenti
fornivano l‟alloggio alle varie classi di agricoltori, mentre le barchesse, i fenili,
le stalle, i polinari, i granari servivano da ricovero per gli animali, i raccolti e
gli attrezzi agricoli.
La Corte rappresentava un complesso residenziale autosufficiente, non solo
dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello della vita domestica. Infatti in
essa erano presenti: il pozzo, il forno, e la peschiera, in modo che gli abitanti di
questa specie di comunità fossero in grado di farsi il pane, di conservare il vino e
di procurarsi sempre il pesce fresco.
Al centro della Corte, si estendeva il seleze, costruito con sottili tavolette di
cotto dette selezini, dove venivano essiccati i cereali e dove si accentrava la
maggior parte dei lavori della corte.
Attorno al seleze, gli edifici erano distribuiti in vario modo: a volte ad U o a
L, soprattutto nelle Corti con casa da patron, più spesso disposti in linea dove le
abitazioni, le barchesse e gli altri fabbricati erano sistemati lungo il lato
maggiore della Corte, gli uni adiacenti agli altri e con la facciata rivolta a
mezzogiorno.
A seconda delle dimensioni e delle funzioni che le Corti svolgevano nella
conduzione fondiaria, si possono suddividere in tre tipi principali:
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1. Corti con casa da patron
Era la grande Corte, situata al centro di un vasto possedimento, dotata di
tutti gli edifici abitativi e rustici necessari alla sua autosufficienza, dove si
svolgevano le principali operazioni di raccolta dei prodotti agricoli. Questa era
la tipica corte del ‟500, quando le possessioni erano vaste e si sentiva di più la
necessità di costituire un insediamento capace di fornire ai contadini che vi
abitavano tutto ciò che era loro necessario. In queste Corti era quasi sempre
presente una cappella (giesola) per le necessità religiose di questa piccola
Comunità.
2. Corti con casa da gastaldo o con casa da lavorente
Sia nel caso che la Corte principale (con casa da patron) fosse situata in
Piazza (nel centro abitato) e quindi lontana dal fondo o che il fondo stesso fosse
costituito da due o più corpi separati uno dall‟altro, si rendeva necessaria la
costruzione di altre Corti, simili a quella principale, ma di dimensioni più
contenute, dove avrebbe dovuto risiedere una persona di fiducia, che sostituisse
il padrone nella direzione dei lavori, cioè il fattore o il gastaldo. Ed ecco, quindi,
sorgere delle Corti secondarie dove la casa da lavorente rappresentava
l‟insediamento abitativo più comune.
3. Casamento con stalla e fenile ad uso di boaria
Questi insediamenti rurali riflettevano in miniatura la struttura della Corte,
ma non ne possedevano le caratteristiche di autosufficienza. Le dimensioni
generali e il numero degli edifici erano ridotti e l‟abitazione era di tipo unifamigliare, nonostante i membri della famiglia fossero numerosi. La boaria era
costituita da una abitazione, tipo casa da brazente o, nel migliore dei casi, da
lavorente con giustapposto un edificio rustico con funzione di stalla-fienileportico. Vi erano, inoltre, un piccolo seleze (Aia), qualche teza (Portico) in
legno coperta di paglia e il Pozzo. Questo tipo di insediamento agricolo si
diffuse soprattutto con l‟allevamento del bestiame.
Gli elementi strutturali e costitutivi delle Corti
Le Corti erano per lo più costituite da un insieme di edifici, funzionali alle
varie attività agricole che vi si svolgevano, con tipiche caratteristiche
architettoniche.
a) La Casa da patron
Era l‟abitazione del proprietario o del grande affittuale. Essa poteva avere
forme imponenti e molto ricercate, oppure un aspetto più semplice, ma in ogni
caso aveva le caratteristiche della dimora padronale.
Queste erano rappresentate dalle dimensioni generali che sovrastavano
quelle delle altre abitazioni, essendo l‟edificio dominicale costruito, di norma, su
tre piani con l‟uso del tufo per ornare finestre e portali.
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La disposizione delle stanze, negli interni di queste dimore, era formata da
un salone di ingresso rettangolare con quattro porte che davano accesso ad
altrettante stanze.
Le due anteriori erano dotate di caminetti. I soffitti presentavano travi
squadrate e spesso dipinte; i pavimenti erano in cotto.
La scala si sviluppava parallelamente al lato maggiore del salone
costituendo una doppia parete; i gradini erano in tufo.
Alla scala si accedeva da una delle porte del salone. Sul tetto si elevavano i
comignoli in cotto e la torre campanaria.
In molte dimore le tegole si appoggiavano su tavole di legno sostenute da
travicelli rotondi e non lavorati; più tardi si diffusero tavolette in cotto e
travicelli squadrati.
Nel contesto dell‟edificio era quasi sempre ricavata la torre colombara.
b) La Casa da lavorente o da gastaldo
Rappresentava l‟alloggio del fattore o di colui che conduceva il fondo a
lavorenzia, cioè di quel ceto di agricoltori che, pur intervenendo direttamente
nei lavori della terra, avevano anche responsabilità dirigenziali. Essa aveva una
struttura simile alla Casa da patron e spesso le sue finestre e il portale
d‟ingresso erano abbelliti con l‟uso del tufo, ma le finiture generali, le
dimensioni e le comodità interne erano molto più modeste.
c) Le Case dei boari e dei brazenti
Nelle Corti i salariati più fortunati dimoravano in abitazioni ricavate
all‟interno delle barchesse o in modeste casupole in muratura prive di ornamenti
in pietra e di qualsiasi finitura superflua.
Il pavimento di queste abitazioni era rappresentato dalla nuda terra.
La maggior parte dei braccianti abitava però in case di paglia detti Casoni
da brazente, che sorgevano attorno alla corte o riuniti in piccoli gruppi ai
crocicchi delle strade, in vicinanza delle Corti. Abitavano in case di paglia, non
solo i brazenti e i boari,ma anche i piccoli affittuali.
Questo tipo di abitazione rimase l‟alloggio più diffuso nelle nostre
campagne fino alla fine del Settecento.
Le case di paglia erano formate da una struttura di legno tamponata con
fasci di canne palustri e foglie spalmate di argilla. La copertura era ottenuta con
un ammasso di paglia e di canne palustri.
Non mancavano le case di muro con tetto di paglia, dove le quattro pareti
erano costruite con mattoni crudi cementati con argilla. Poiché il legno, la paglia
e le canne palustri erano il materiale di costruzione più facilmente reperibile nel
territorio, essi furono usati anche in tempi più recenti, non solo per costruire
case da abitazione, ma anche porteghi, fenili, teze e stalle.
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d) Le barchesse e i porteghi
L‟edificio più importante e che maggiormente caratterizzava la Corte, oltre
all‟abitazione principale, era il portego o la barchessa.
Le denominazioni di portego e barchessa sono sinonimi. Si trattava di un
edificio molto alto e ampio, costruito sempre in muratura e coperto di tegole.
Nella sua parte anteriore vi era uno spazio libero, riservato al transito dei carri,
ai lavori agricoli nelle giornate di pioggia e al deposito degli attrezzi. La parte
più interna poteva avere due destinazioni diverse a seconda del tipo di Corte.
Portego del Vescovato, in via Oppi
Nelle Corti più importanti si ricavavano al piano terra le abitazioni per i
boari o per altri dipendenti, e ai piani superiori i granari, mentre in altri casi, il
piano inferiore era riservato alla stalla e quello superiore al fenil (fienile). Il
prospetto dell‟edificio era caratterizzato da una serie di archi, sopra i quali si
aprivano le finestre dei granari. Nelle Corti più ricche le finiture esterne delle
barchesse erano molto ricercate; in altri casi, invece, esse erano semplici e, a
volte, gli archi erano sostituiti da pilastri in cotto.
Le barchesse erano quasi sempre disposte ai lati dell‟abitazione principale.
e) Le stalle
Nelle Corti più modeste, dove non esisteva la barchessa, sotto un alto
porticato, che spesso era coperto di paglia, veniva ricavata la stalla. Sopra il
solaio della stalla il fenil (fienile). La maggior parte di queste strutture era in
legno, comprese le colonne, che all‟interno della stalla sostenevano il fienile;
una botola permetteva di scaricare il fieno al centro della stalla.
f) Le teze
Erano aree coperte che servivano per il ricovero di carri e attrezzi. La
copertura era quasi sempre di paglia. A partire dal ‟700 furono costruite con
pilastri in mattoni e ricoperte con tegole.
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g) Il pozzo, il forno e la caneva
Queste strutture erano
sempre presenti nelle Corti,
in
quanto
erano
indispensabili
per
la
sussistenza dei contadini. Il
pane era impastato e cotto
dalle singole famiglie per
consuetudine, per motivi
economici e per la difficoltà
a raggiungere il forno del
paese. Anche la cantina era
indispensabile, e non solo
per il vino, ma per
conservare le carni, i salumi
e gli altri alimenti in un luogo fresco.
h) Le colombare
Erano costruzioni a forma di torre, di pianta quadrata che sovrastavano in
altezza tutti gli edifici circostanti. Le torri colombare erano spesso inglobate nel
contesto dell‟edificio principale. Oggi ne sono rimaste poche ma un tempo erano
numerosissime e alcune di esse imponenti per dimensioni e altezza.
Probabilmente nei tempi più lontani avevano funzioni difensive. In seguito,
saranno servite per sorvegliare i lavori dei campi.
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Uno sguardo sulla realtà attuale
Nel Seicento le aziende agricole situate nel territorio di Roverchiara
avevano già assunto il loro assetto definitivo ed erano quasi tutte dotate di Corte
rurale, che molto spesso comprendeva la casa padronale. L‟estensione delle
tenute era abbastanza contenuta a causa del suolo agrario fertile ed argilloso che
consentiva elevate produzioni, ma richiedeva molto lavoro.
Nel Settecento, in particolare, si assiste ad un ripreso interesse per
l‟agricoltura, dovuto in buona parte all‟espansione della risicoltura.
Si conferma in questo periodo la tendenza, già manifestatasi nel
Cinquecento, verso l‟accorpamento fondiario da parte di famiglie cittadine. Tale
inclinazione dei cittadini veronesi ad accrescere il loro patrimonio fondiario in
Roverchiara avviene prima a spese dei territoriali, durante il XVI e XVII secolo,
poi degli enti ecclesiastici.
Antica mappa di Roverchiara esposta presso la sede del Comune
Gli enti ecclesiastici andarono così incontro ad un lento declino fino alla
loro soppressione nell‟Ottocento. Quanto ai residenti locali essi dovettero
sempre assoggettarsi a questo stato di cose non potendo incidere in modo
significativo sull‟economia locale.
23
In sintesi possiamo dire che le Corti rurali con casa padronale erano già
completamente strutturate nella prima metà del Seicento e che il loro numero
rimase invariato nel secolo successivo.
La presenza della casa padronale ci testimonia la volontà, da parte dei
proprietari cittadini, di seguire da vicino il lavoro nei campi.
Tale tendenza alla partecipazione diretta alla conduzione dei fondi sembra
ridursi nel Settecento.
Tra la fine del Seicento e il Settecento l‟estensione delle proprietà terriere
subisce una notevole riduzione; hanno invece un certo incremento le attività che
potrebbero essere definite “industriali”, come i mulini per la macina dei cereali
posti sul fiume Adige.
Ma qual è oggi la situazione delle case padronali signorili del territorio di
Roverchiara?
Di alcune, disabitate e fatiscenti, rimangono solamente tracce dell‟antico
splendore; altre, più fortunate, dopo vari passaggi di proprietà, hanno seguito
destini diversi come dimore o edifici pubblici.
Il nostro percorso intende approfondire la conoscenza di alcune di esse.
24
I RESTI DELL’ANTICO MONASTERO DELLA PREPOSITURA
DELLA GIARA
“I campi non sono più quelli di una volta, tagliati da fossi e zeriole, con le
rive coperte di salgari, generosi di legna per i poveri; sono scomparsi i lunghi
filari di gelsi, con la preziosa foglia con cui si alimentava il baco da seta
attorno alle corti, “dai broli e dai campeti” sono state sradicate le viti di clinton
e di fragolo …sono scomparsi gli odori del letame e del fieno che riempivano
l’aria nelle diverse stagioni e segnavano un tempo senza storia…”: questa è la
descrizione che fa Dino Coltro del mondo contadino e di un‟agricoltura ormai
quasi dimenticata.
Abbiamo percorso un tratto dell‟argine dell‟Adige per osservare questa
parte del territorio di Roverchiara e capire quali testimonianze del passato
emergono e quali cambiamenti sono avvenuti.
Uscendo dalla scuola, imboccando via Principe Umberto e poi via Adige
che finisce proprio sull‟argine, si arriva sulla pista ciclabile che da qualche anno
è stata anche asfaltata.
ROVERCHIARA
fiume Adige
corte Monastero
ROVERCHIARETTA
25
Camminando in direzione di Bonavigo, abbiamo cercato di scoprire
l‟argine come elemento naturale ed umanizzato: gli argini, la vegetazione
spontanea, le golene, i campi coltivati, il Monastero di cui rimangono ormai
quasi solo rovine.
Corte Monastero
A Roverchiaretta, “distante
dall’argine dell’Adige più che un
tiro di mano”, sussistono in
totale stato di abbandono i resti
delle strutture di un antico
monastero-fattoria del quale si
hanno notizie in un atto di
donazione della prima metà del
Duecento come appartenente
all‟ordine degli Umiliati. Le case
degli Umiliati veronesi, nelle
quali
si
attendeva
alla
lavorazione della lana, erano più
di dieci, per la maggior parte
ubicate lungo le rive dell‟Adige.
“Alcuni italiani che si erano ribellati all’autorità imperiale vennero deportati in
Germania dal Barbarossa e là indossarono degli abiti bianchi per supplicare il
perdono dell’Imperatore. Rientrati in Italia essi diedero vita a un ente religioso,
l’ordine degli Umiliati, che si proponeva di unire la preghiera al lavoro, in
particolare si occuparono della lavorazione della lana, attività che richiedeva
l’utilizzo di acqua corrente: da questo deriva la necessità di ubicare i propri
insediamenti vicino ai corsi d’acqua”.
Alla fine del XII secolo un gruppo di Umiliati si insediò in un luogo poco
fuori le mura di Verona che per la grande quantità di sabbia e di ghiaia o giara,
portata dal fiume Adige prese il nome di “La Ghiara”. Coloro che
sovrintendevano alle case degli Umiliati prendevano il nome di preposti e
l‟ufficio che essi esercitavano era definito prepositura; da cui la denominazione
di Prepositura della Giara. Alla fine del Seicento per la compromissione morale
l‟ordine fu soppresso e i suoi beni passarono al monastero dei Teatini che ne
mantennero la denominazione di Prepositura alla Giara.
A Roverchiara gli Umiliati possedevano la tenuta più vasta della
Prepositura.
Questa proprietà godeva di particolare rilievo per la qualità e l‟abbondanza
dei prodotti che se ne ricavavano.
26
La
proprietà
era
collocata vicino all‟argine ed
aveva un‟estensione di 126
campi e nel suo contesto
erano incluse tre case in
muratura e la corte principale
denominata Monastier o
Monastero.
Un disegno dei primi
del
Settecento
con
prospettiva a volo d‟uccello,
ci consente di capire come
era
strutturato
l‟intero
complesso: il lato meridionale della Corte era occupato dalla “casa grande” e da
un porticato a pilastri, mentre sul lato orientale erano disposti altri edifici,
compresa la cappella gentilizia di San Giorgio, conclusi dalla torre colombara.
Il resto del perimetro era delimitato da mura interrotte, ad occidente, dal
portale
a
volta
dell‟ingresso.
Nel disegno non è
riportato il campanile
annesso alla chiesetta,
nonostante sia sempre
ricordato
negli
inventari.
Un dipinto del
Novecento riproduce
invece il complesso
senza l‟oratorio.
Ciò porta a supporne la demolizione o la sua destinazione ad altri usi.
Nei tempi successivi infatti la struttura si è progressivamente deteriorata
fino a diventare un rudere solitario tra le golene dell‟Adige.
Il proprietario attuale è Gilberto Zancanella.
27
Dell‟oratorio, sorto come annesso al complesso della Corte, esistono solo
poche e frammentarie notizie. Una citazione che lo riguarda è contenuta in un
elenco di beni degli Umiliati datato 1504.
Altre notizie sono presenti in una sommaria descrizione fatta nel 1622 dal
canonico Agostino Rezano dove si parla di un arredo semplice ed essenziale
adatto ad una chiesetta rurale, dove non vi era obbligo di messe, tranne che nella
ricorrenza di San Giorgio. In una relazione scritta l‟11 agosto 1777 il parroco,
don Lorenzo Rossi, scrive che nell‟oratorio situato nella Corte detta il
Monastero, i fittavoli, i fratelli Carmagnani, “facevano talvolta dir messa per
loro devozione”.
Il parroco stesso vi si recava ogni anno in processione l‟ultimo giorno delle
Rogazioni e in tale occasione celebrava la messa.
Successivamente la Corte Monastero fu declassata a fabbricato rurale e in
tempi recenti abbandonata e progressivamente disgregata (adattato da Luoghi di
culto scomparsi: san Giorgio e altri oratori, di G. Ferrari De Salvo, in
Roverchiara - Una comunità e il suo territorio, 2006).
28
Corte Monastero: i ricordi del prof. A. Pistoia
Il ponte di Bonavigo è stato distrutto nel 1945 insieme al centro storico
perché gli Americani dovevano bombardare i ponti per bloccare i Tedeschi nella
loro ritirata.
A noi bambini di Bonavigo sembrava che al di là dell‟Adige ci fosse un
mondo sconosciuto, perché era difficilmente raggiungibile anche se c‟era il
traghetto.
Verso il 1960 hanno ricostruito il ponte. Nell‟Adige si pescavano con le
mani i lucci, le anguille, le trote salmonate, il cavedano e molti altri pesci;
oppure, d‟estate, si poteva pescare di notte dal ponte, dato che non passavano
auto e c‟era silenzio.
Tra il ponte e la Corte Monastero c‟era una spiaggia dove si giocava a
calcio.
La Corte Monastero, dalla parte verso l‟argine, aveva un portico sostenuto
da due colonne che alla base poggiavano su due pietre romane gigantesche;
questo indicava che probabilmente tanto tempo fa c‟erano insediamenti romani.
Questa ipotesi è avvalorata anche dal fatto che qualche agricoltore della zona
aveva trovato, in un terreno non lontano, numerosi tessere di mosaico da
pavimento.
La casa era una costruzione piuttosto grande, a tre piani; al primo piano mi
ricordo un grande salone con quattro porte e un camino sporgente verso
l‟esterno, sul camino c‟erano degli affreschi con la scritta “EPS CALA” ma
probabilmente si trattava di un frammento; in una stanza al piano terra si notava,
su una parete, la traccia di un grande arco, che poteva essere di un‟abside.
La casa è stata abitata fino agli anni ‟60.
29
VILLA POMEDELLI-PINDEMONTE-FIUMI
Oltre la scuola, al di là della strada, incontriamo un‟altra villa, un tempo
anch‟essa Casa a Corte con altri fabbricati annessi.
È villa Pomedelli-Pindemonte-Fiumi dove la successione dei nomi sta a
ricordare i vari passaggi di proprietà per via ereditaria succedutisi nel tempo.
Attualmente è sede municipale; è diventata quindi casa di tutti, la casa della
comunità cittadina.
Di essa pertanto, come è avvenuto anche per villa Mazzanti, diventata sede
della scuola secondaria, è stato realizzato un recupero e una ridestinazione di
particolare valore e significato; entrambe infatti sono state riportate all‟antico
splendore, ma soprattutto è stata resa possibile, giorno dopo giorno, una loro
“godibilità” diffusa ed allargata.
Villa Pindemonte-Fiumi, sede del Municipio di Roverchiara
30
Le famiglie Pomedelli-Pindemonte-Fiumi
I Pomedelli erano già insediati a Roverchiara nella seconda metà del
Cinquecento, quando Pomedello Pomedelli era impegnato ad acquistare terreni
dai territoriali. Nel 1653 suo figlio Pietro Pomedelli, possedeva a Roverchiara
“una casa murà, coppà e solarà con campi di brolo”. L‟edificio, quindi, già
allora aveva le caratteristiche padronali.
Nella prima metà del Settecento i beni Pomedelli di Roverchiara passarono
per via ereditaria ai Pindemonte di San Pietro Incarnario.
Nel 1745 Carlo Pindemonte, figlio di Agostino, era titolare a Roverchiara,
dove erano concentrate quasi tutte le sue proprietà, di 90 campi. Il tutto era
gestito dalla Corte con casa dominicale e rusticale situata in piazza a
Roverchiara, che egli aveva provveduto a ristrutturare conferendole
quell‟eleganza che ancora oggi conserva.
Carlo ebbe tre figli e uno di questi, Agostino, a sua volta ne ebbe quattro tra
cui due femmine, Grandiglia e Marianna, che nel 1813 erano proprietarie delle
tenute di Roverchiara, compresa l‟antica casa padronale.
In seguito al matrimonio di Grandiglia con Vincenzo Brenzoni la Corte e il
fondo entrarono nel patrimonio Brenzoni; a sua volta Francesca Brenzoni, figlia
di Antonio e nipote di Grandiglia, sposò Domenico Fiumi, nonno del poeta
Lionello Fiumi, determinando il passaggio della proprietà nel patrimonio di
questa famiglia. Lionello Fiumi soggiornava spesso nella villa di Roverchiara e
nel 1962 ne restaurò l‟interno.
Villa Fiumi ieri
Villa Fiumi oggi
31
Oggi
la
casa
padronale, completamente
restaurata, è adibita a sede
municipale del comune di
Roverchiara.
L‟edificio a due piani
più sottotetto ha una
elegante facciata ornata da
cornici in tufo.
Due portali sovrapposti danno
accesso ai saloni del piano terra e del
piano nobile, quest‟ultimo è preceduto da
un terrazzino.
Tipici ovoli illuminano il sottotetto.
32
Villa Fiumi, prestigiosa Sede Municipale, è stata un tempo la residenza di
un nostro concittadino illustre, il poeta Lionello Fiumi.
Nel vasto panorama culturale
attuale sebbene sembri non avere la
considerazione che merita, nei primi
anni del ‟900 godette invece di fama
internazionale, sia per le opere di
poesia che per le opere di traduzione
dalla lingua francese, di cui era
esperto conoscitore, avendo vissuto
molti anni a Parigi.
Nei primi del ‟900, la famiglia
del poeta, da Verona, cominciò a
soggiornare, durante i mesi estivi,
nella campagna di Roverchiara.
Il pavimento in cotto, originale
del ’700, nel salone d’ingresso
33
L’originale bussola
della porta d’entrata
Il focolare nella prima stanza a destra dell’entrata, ora ufficio del sindaco
34
Nell’ufficio del sindaco:mappa antica del territorio di Roverchiara
35
Nell’ufficio anagrafe, sempre al
pianterreno, interessanti regoli e
contro regoli originali
Risale al ‟900 il primo consistente
intervento di ristrutturazione: le sale del
primo piano furono decorate con eleganti
fasce pittoriche in stile Liberty e vennero
sostituite pavimentazioni, serramenti e
intonaci.
I soffitti a travature vennero
coperti da una controsoffittatura
e furono realizzate le due
tramezze che dividono i saloni
centrali.
36
Particolari degli affreschi che
ornano le pareti delle stanze del
primo piano, tutti ritoccati nella
recente opera di ristrutturazione
della villa
37
Secondo la storiografia, Villa Fiumi risale al 1745, anno in cui comparve
nella polizza d‟estimo come proprietà del marchese Carlo Pindemonte; in
seguito è passata per via matrimoniale prima alla famiglia Brenzoni e poi al
nonno di Lionello Fiumi.
In realtà, durante i lavori di restauro conservativo si è potuto stabilire che la
villa deriva da una struttura architettonica ben più antica, risalente addirittura al
1400.
Gli elementi tipici della villa veneta settecentesca si rilevano soprattutto
nella struttura a due piani con il salone centrale che conduce lateralmente alle
stanze. L‟ultimo piano è dedicato al granaio. L‟ingresso della villa è
caratterizzato da un bel
portale sormontato da un
balcone con ringhiera in
ferro battuto. Le finestre
sono incorniciate in tufo e
sono da ammirare la
cornice di gronda a
modiglioni, le modanature
in tufo, le aperture ovali del
sottotetto e le sagome
ricercate delle torricelle dei
camini,
elementi
tutti
caratterizzanti una dimora
Villa Fiumi, Julia
gentilizia.
All‟esterno funge da completamento estetico il giardino all‟italiana, anche
questo elemento tipico della villa veneta.
Lionello Fiumi
Cercando notizie su Lionello Fiumi oggi possiamo ritrovarlo in quello che è
diventato lo spazio più suggestivo della sua casa: nel sottotetto, dove è stato
allestito un museo a lui dedicato.
L‟illustre poeta ha abitato questo
edificio con la sua famiglia dai
primi anni del ‟900.
Nella quiete di questa casa Fiumi
lavorò assiduamente ai suoi saggi
letterari e produsse molte opere
poetiche.
38
Si può così dire che egli è il personaggio più rappresentativo ed illustre di
Roverchiara.
Nato a Rovereto nel 1884, Fiumi si trasferisce a Verona nel 1908 e
comincia a trascorrere periodi di vacanza nella casa di campagna di Roverchiara.
Nel 1914 pubblica la prima raccolta di poesie, Polline a cui seguono nel 1916
Mussole. Lionello comincia a girare per l‟Italia e nel 1925 si stabilisce in
Francia, a Parigi.
Verso il museo dedicato al
poeta
Lionello
Fiumi,
situato nel sottotetto
39
Particolari del museo
40
Altre immagini del museo
dedicato a Lionello Fiumi
41
Nel 1931 pubblica Sopravvivenze che esce in contemporanea sia in Italia
che in Francia. Dopo un viaggio alle Antille, nel 1937 pubblica un libro di prose
poetiche, Immagini delle Antille.
Ritorna a Roverchiara nel ‟40, scappando da Parigi a causa della guerra,
con la moglie francese, Marta Leroux. Nel ‟44 deve fuggire in Svizzera per
evitare l‟arresto da parte dei Tedeschi in ritirata con l‟accusa di essere filofrancese. Vi ritornerà negli anni del dopoguerra e qui morirà l‟amata Marta.
Intanto continua a scrivere poesie e prose ed ad ottenere riconoscimenti,
soprattutto all‟estero. Nel 1958 si risposa con Beatrice Magnani, con la quale si
trasferisce a Verona, ma la villa di campagna di Roverchiara sarà sempre il
luogo delle vacanze estive e rimarrà sempre legata al ricordo di Marta, alla quale
continuerà a dedicare poesie.
Nell‟ultimo periodo della sua vita continua a scrivere e pubblicare opere in
poesia ed in prosa, ad essere attivo nella collaborazione a riviste letterarie in
Francia ed in Italia, a ricevere premi ed onorificenze. Muore nel 1973 e viene
sepolto a Verona.
A Roverchiara la Biblioteca porta il nome di Lionello Fiumi e
l‟amministrazione comunale ogni anno promuove un Premio di poesia sempre
intitolato a Lionello Fiumi.
A Verona inoltre è attivo un “Centro Studi Internazionale Lionello Fiumi”.
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Intervista a Stefania Guerrini, responsabile della Biblioteca civica di
Roverchiara
L‟edificio comunale che stiamo visitando un tempo aveva un illustre
proprietario, il poeta Lionello Fiumi. Nel Settecento era del marchese Carlo
Pindemonte che apparteneva ad uno dei casati più importanti di Verona.
Successivamente passò per via matrimoniale ai Brenzoni, un‟altra nobile
famiglia veronese e sempre per via matrimoniale al trentino Domenico Fiumi,
nonno di Lionello Fiumi.
Lionello Fiumi è stato poeta, conferenziere, ambasciatore di letteratura
italiana in Francia dove visse stabilmente per oltre vent‟anni; fondò riviste,
giornali e fu un fine traduttore dal francese. Raggiunse la massima fama come
poeta e scrittore negli anni che vanno dal ‟25 al ‟39 tanto che le sue opere furono
tradotte in più di 25 lingue. Lionello Fiumi era nato a Rovereto. I suoi famigliari
possedevano questa casa che lui utilizzava per le vacanze trascorrendovi felice i
mesi estivi. Lionello Fiumi l‟ebbe sempre molto cara: era la casa dei suoi avi e
divenne anche il suo rifugio negli anni che vanno dal ‟44 al ‟57 quando dovette
rientrare dalla Francia per lo scoppio della seconda guerra mondiale.
In questa casa, assieme alla moglie Marta Leroux, sposata a Parigi, fondò
uno dei cenacoli letterari più importanti della bassa veronese. Alla sua morte,
avvenuta nel 1973, per lascito testamentario venne donata al Comune una stanza
perché venisse valorizzata attraverso una biblioteca a sua memoria.
Dopo alcuni decenni di abbandono, nel 1994-95, l‟amministrazione rilevò
l‟immobile e istituì anche la biblioteca civica che però per ragioni di spazio
venne dislocata nei locali dell‟edificio adiacente alla scuola media.
Nel 1998, dopo il restauro, villa Fiumi è stata destinata a residenza
municipale.
Esternamente ha tutti i caratteri della tipica villa del Settecento con le
modanature in tufo alle porte e alle finestre, le torricelle nei camini, le gronde a
modiglioni.
Il restauro conservativo ha potuto evidenziare la struttura architettonica
antecedente risalente al „400, gli interventi di Carlo Pindemonte e quelli della
famiglia Fiumi che hanno riguardato più che altro gli interni: gli infissi, i
pavimenti e le decorazioni liberty.
La gronda a modiglioni era segno di ricchezza
Interessanti le Torricelli nei camini
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LE CORTI BRENZONI
I Brenzoni
Agostino può essere considerato il vero fondatore della dinastia dei
Brenzoni. Egli dimostrò oculatezza nell‟amministrazione del patrimonio
famigliare e, soprattutto, ebbe il merito di acquistare Punta di San Vigilio sul
lago di Garda e di farvi costruire una sontuosa residenza, da allora fino ad oggi
oggetto di ammirazione per le sue qualità architettoniche e per l‟incantevole
posizione geografica.
Mentre San Vigilio era un luogo di delizia, i possedimenti terrieri, tra cui
quelli nel territorio di Roverchiara, erano la fonte economica che consentiva ai
Brenzoni una vita agiata.
Nel Settecento il loro patrimonio si arricchì ulteriormente tanto che, nella
sola Roverchiara, raggiunse i 500 campi e nell‟Ottocento più di 600 campi.
Nell‟arco di poco più di un secolo i Brenzoni avevano quasi raddoppiato il
loro patrimonio fondiario. Essi provvidero anche a ristrutturare la corte e la casa
padronale posta in piazza a Roverchiara.
Nel 1866 il capofamiglia Agostino Vincenzo sposò Teodora Bevilacqua,
mentre sua sorella Isabella si era già unita in matrimonio nel 1852 con Giuseppe
Guarienti.
Alla morte di Agostino (1880), che non aveva avuto figli, il patrimonio
Brenzoni fu trasferito a Guglielmo Guarienti, figlio di Giuseppe Guarienti e
Isabella Brenzoni.
Da allora i Guarienti assunsero la denominazione di Guarienti di Brenzone
e conservarono buona parte delle proprietà di Roverchiara fino alle soglie del
2000.
I Brenzoni-Guarienti si possono quindi considerare importanti protagonisti
della vita e dell‟economia di Roverchiara, avendo operato sulle terre di questo
paese ininterrottamente per cinque secoli.
Questo stemma si trova sul
fianco della casa padronale di
Corte Guarienti. Si tratta di uno
stemma a cartoccio in pietra al
cui interno è inserito il blasone a
forma di scudo raffigurante un
toro furioso, attraversato da una
fascia con tre stelle.
Ai piedi dello stemma due
cornucopie e, in capo, una
corona.
Casa padronale Brenzoni-Guarienti in via Bogon:lato est
44
Prima Corte Brenzone
Casa padronale Brenzoni-Guarienti in via Bogon: facciata
Si tratta dell‟antica casa padronale dei Brenzoni situata in contrada Bogon,
attuale via Roma. Il complesso è costituito da un portale d‟ingresso con pilastri
decorati, che immette in un ampio cortile.
Sul lato sinistro sono collocate la casa da lavorente e la stalla con porticato
ad archi. A destra, prospiciente la strada, sorge la casa padronale a due piani con
sottotetto. La facciata meridionale è abbellita da cornici alle finestre.
A nord il cortile è chiuso da un‟altra casa di abitazione che era riservata al
gastaldo.
Il ricordo di Giovanni Olivato
E‟ nato il 13 agosto 1933 a Roverchiara; è figlio di Cesare Olivati che
svolgeva la professione di capo-uomini in villa Guarienti.
Ci racconta: “Villa Guarienti è esistente fin dalla metà dell‟Ottocento. I
suoi proprietari erano i conti Guarienti di Brenzone, ma ora la struttura non è più
abitata. Corte Guarienti è sita in via Roma; è una delle tante case padronali
presenti a Roverchiara.
Le corti padronali sparse nel territorio del comune sono molte e in ognuna
di esse vi lavoravano una cinquantina circa di persone. La destinazione delle
proprietà era la produzione di mele, frumento, barbabietole da zucchero, erba
medica e mais; un‟altra attività era l‟allevamento di bovini e cavalli.
Nel dopoguerra questa villa costituì una grande fonte di ripresa economica
per Roverchiara, anche se poi con il passare degli anni la proprietà si ridusse
fino a rimanere costituita soltanto dalla casa padronale, e non sempre, come in
questo caso, abitata”.
45
Seconda Corte Brenzoni: Villa Raspa
Villa Raspa ieri
Villa Raspa oggi
Anche questa villa un tempo apparteneva alla famiglia Brenzoni, oggi è di
proprietà del signor Faccioni Giuseppe.
Si tratta di una villa rinascimentale risalente al 1500. Si trova sulla destra
della strada che da Roverchiara conduce a Isola Rizza. Attualmente l‟edificio è
in completo stato di abbandono e decadimento. La villa è abbellita da finestre e
porte incorniciate da pietra lavorata e, sempre sulla facciata, da un affresco che
rappresenta scene mitologiche. Sul tetto sono presenti alcune eleganti canne
fumarie. La struttura è composta da cinque corpi disposti linearmente; il primo è
una stalla o deposito per attrezzi; il secondo corpo ospita una scala per la torre
colombara che costituisce il terzo corpo; seguono il corridoio e l‟abitazione
padronale. Nel corso del settecento la villa è stata abbellita con particolari vari
(finestrelle della torre, portale). All‟interno sono presenti due grandi saloni (uno
al piano terra, l‟altro al piano superiore) con camini curati nei dettagli, una scala,
soffitti nobili e altri affreschi.
L‟edificio è noto in paese come “Villa Raspa”, dei conti BrenzoniGuarienti.
Villa Raspa - Linda
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47
Villa Raspa, viste del retro
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CORTE MAROGNA
Nel XIV secolo i Marogna godevano già di una cospicua fortuna economica.
Alla metà del secolo XVII la famiglia dei Marogna si era suddivisa in vari rami.
E‟ Marcello Marogna che ha le proprietà concentrate a Roverchiara, in contrada
Casalino, per un totale di 200 campi.
Alla sua morte il patrimonio viene suddiviso tra i suoi tre figli.
La “casa Dominicale e rusticale, con barchesse, stalle, orto, brolo” viene divisa a
metà tra i fratelli Angelo Maria e Alessandro.
La proprietà viene quindi ulteriormente suddivisa tra i figli di Angelo Maria e
Alessandro, tanto che alla fine del secolo i Marogna non sono più proprietari dei
beni. All‟inizio del secolo successivo, il fondo passò ai Marastoni.
Un antico disegno del Settecento dà una rappresentazione molto dettagliata della
Corte, che appare tutta recintata da mura con gli edifici rustici sul lato
occidentale e nord-orientale ed il palazzo residenziale al centro. Tale impianto
generale è ancor oggi immutato, mentre la bella facciata con i contorni in tufo
alle finestre di linee classicheggianti, il timpano che sormonta il portale del
primo piano ed i vasi a festoni posti sui pilastri del portone di ingresso fanno
pensare ad interventi risalenti al primo Ottocento.
Corte Marogna al Casalino ieri
Corte Marogna al Casalino oggi
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Vista laterale di Corte Marogna al Casalino
I ricordi di Giaccon Giovanni
Giacon Giovanni è nato a Roverchiara il 31/08/1941 e questi sono i suoi
ricordi.
Villa Marogna si trova in via Casalino 21, a Roverchiara. La sua
costruzione risale al quindicesimo secolo.
Il primo proprietario fu Bartolomeo Marogna; questa famiglia mantenne la
proprietà fino al diciassettesimo secolo.
Nel diciottesimo secolo l‟edificio passò ai fratelli Marastoni, Giovanni e
Giacomo.
Dal diciannovesimo secolo fu acquistata prima dalla famiglia Guerra,
successivamente da Sergio Sandri e Giorgio Cavallaro.
Nella villa lavoravano molti braccianti agricoli impiegati nella produzione
di mais, tabacco, frumento e gelsi (morari), importanti per l‟allevamento dei
bachi da seta.
Si coltivavano anche vigne per la produzione del vino; una parte dei terreni
era lasciata a pascolo per l‟allevamento di bestiame da latte e per
l‟alimentazione dei buoi impiegati nella lavorazione della terra.
La villa ha subito parecchi passaggi di proprietà; tutti i proprietari hanno
comunque mantenuto nel tempo la produzione delle stesse tipologie di prodotti.
50
LE CORTI BONENTE-GIBERTI
I Bonente
I Bonente erano già presenti nel territorio di Roverchiara nella seconda
metà del XVI secolo.
Nel 1628 la stirpe Bonente era formata da due nuclei famigliari: uno
intestato ai fratelli Francesco e Giovanni e quello di Domenico e Tognin, che
possedevano tre campi e mezzo in contrada Borcola. Si trattava, quindi, di una
modesta stirpe di territoriali che, però, seppe riscattarsi e raggiungere nel corso
del secolo una agiata posizione economica.
Nella seconda metà del Seicento, Giovanni Bonente fu in grado di
acquistare una proprietà a Roverchiara in contrada dell‟Ormeolo di 60 campi.
Pochi anni dopo Giovanni acquistò anche una corte, con poca terra, in contrada
Mezzavilla, dai Della Torre.
La fortuna economica dei Bonente procedette a gonfie vele anche nella
prima metà del Settecento e così il figlio di Giovanni, Antonio, “dottor delle
leggi”, pur essendosi trasferitosi a Verona, effettuò altri acquisti di terreni e, in
questo modo, l‟azienda dei Bonente, distribuita nelle contrade delle Beazzane,
dell‟Ormeolo e del Livellone, assunse il suo assetto definitivo.
Venne ereditata dal figlio di Antonio, Gaetano, che aveva abbracciato la
vita ecclesiastica.
Nel 1813 egli poteva contare su due corti alle Beazzane e una al Livellone.
La prima Corte era costituita da una “casa di villeggiatura”, da due case da
massaro e dall‟oratorio di Santa Teresa.
La seconda Corte, posta poco lontano, a nord della strada, comprendeva
una casa da massaro e un brolo. Di impronta cinquecentesca, la sua struttura e le
sue forme fanno pensare che fosse adibita a casa padronale.
La terza Corte, in contrada Livellone, a sud della stesa strada, consisteva in
un‟unica casa da massaro.
Dopo la morte del reverendo Gaetano, tutta la tenuta fu ereditata dai cugini
Giberti, sua madre infatti era Anna Maria Giberti, morta nel 1771 e sepolta nella
cappella delle Beazzane, dove
è conservata la sua pietra
tombale.
Nel
1849,
Girolamo
Giberti, figlio di Giovanni, era
ancora titolare della proprietà.
Nel 1920 tutto il fondo
venne acquistato dalla famiglia
Ferrarini.
51
Prima corte Bonente-Giberti
Il complesso di questa Corte, pur conservando le tracce dell‟antica
imponenza, oggi si trova in cattivo stato di conservazione. È composto dalla
casa padronale con i caratteristici camini, gli ovoli nel sottotetto e il portale ad
arco, dagli edifici rustici disposti perpendicolarmente alla strada e dall‟Oratorio
privato. L‟edificio di maggior interesse e meglio conservato è la cappella
dedicata a Santa Teresa.
La tenuta fu acquistata dai Bonente nel 1653, che la utilizzarono fino al
1813, anno in cui passò in eredità alla famiglia Giberti.
All‟interno della Corte vi è un piccolo oratorio dedicato a Santa Teresa
d‟ Avila fatto costruire nel 1741 dai Bonente.
Corte Bonente-Giberti ieri
Corte Bonente-Giberti oggi
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Villa Bonente, vista dalla strada e dal retro
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Particolari di villa Bonente
La barchessa laterale nella corte retrostante la villa Bonente
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L’Oratorio di Santa Teresa d’Avila alle Beazzane
L‟oratorio di Santa Teresa d‟Avila si trova in località Beazzane e fa parte
del complesso della Corte Dominicale Bonente-Giberti.
Nel Settecento, l‟intera proprietà delle Beazzane, posseduta dai Boldieri,
venne rilevata dai Bonente, una famiglia in piena espansione economica.
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I nuovi proprietari avevano segnalato la difficoltà di raggiungere la chiesa
parrocchiale di Roverchiara perché lontana e perché le stradine sterrate erano
difficili da percorrere nei mesi piovosi. Ottennero pertanto, nel 1740,
l‟autorizzazione dal doge Alvise Pisani a gettare le fondamenta e a iniziare la
costruzione di un Oratorio pubblico.
Ottenuto il benestare dall‟autorità civile, i lavori presero velocemente avvio
e i Bonente si attivarono per avere anche l‟autorizzazione dell‟autorità religiosa
per l‟erezione dell‟oratorio da dedicare a Sant‟Antonio di Padova e a Santa
Teresa. Il vescovo Giovanni Bragadino, prima di concedere l‟autorizzazione,
volle verificare che l‟oratorio avesse tutte le caratteristiche del luogo di culto
pubblico con la porta sulla pubblica via, con l‟assenza di porte o finestre private,
la dotazione di suppellettili e arredi sacri.
Il vescovo cioè, oltre a controllare che fosse presente tutto il necessario per
la celebrazione della messa, voleva assicurarsi che la cappella avesse i requisiti
dell‟oratorio pubblico.
Morto Antonio, la proprietà passò al figlio Gaetano, il quale, essendo
sacerdote e quindi privo di eredi legittimi, la lasciò in eredità ai cugini Giberti.
Nel 1819 il proprietario dell‟oratorio e della tenuta delle Beazzane di 302 campi
risulta essere Girolamo Giberti.
Un altro riferimento all‟edificio si ha nel 1845 quando il vescovo Mutti,
durante la sua visita pastorale a Roverchiara, indica tra i luoghi di culto
l‟oratorio dedicato ai santi Antonio e Teresa.
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Oggi la chiesa è caratterizzata da una facciata scandita da due lesene e
sormontata da un timpano triangolare con tre pinnacoli in pietra. Al centro del
timpano lo stemma gentilizio dei Bonente. Sulla parete di fondo si leva la cella
campanaria.
Un
elegante
portale in tufo dà
accesso all‟unica aula
interna, impreziosita
con gli stucchi alle
pareti e i marmi
policromi dell‟altare,
sovrastato da una pala
settecentesca.
La pala raffigura
la Madonna con il
bambino in braccio,
seduti sopra le nuvole e a sinistra, inginocchiata, Santa Teresa d‟Avila che
rivolge lo sguardo alla Vergine; alle sue spalle sant‟Antonio di Padova.
Ai due lati dell‟altare due porte consentono l‟accesso alla retrostante
sacrestia.
Recentemente l‟oratorio è stato sottoposto a intervento di restauro.
Attualmente è di proprietà della famiglia Frison.
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Seconda Corte Della Torre-Bonente
Questo edificio dalle linee cinquecentesche, per l‟imponenza della struttura
e per la ricercatezza delle finiture, come le cornici alle finestre e il portale
dell‟ingresso a bugnato, fa supporre che anticamente fosse adibito a residenza
padronale.
Dai documenti di compra-vendita si ricava che nel 1682 il marchese Della
Torre acquista a Roverchiara “una casa da lavorente suddivisa in diversi corpi e
campi in parte arativi, vignati, garbi e prativi”.
I Della Torre vendettero poi la proprietà ai Bonente, che nel 1734
ingrandirono tutto il complesso.
Corte Torre-Bonente ieri
Corte Torre-Bonente oggi
Particolare del portale di ingresso
Particolare del portale sul retro
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Particolari della facciata con due meridiane
Particolari delle finestre del piano terra e piano primo
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Vista della barchessa
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MONASTERO DI SANTA MARIA DELLE VERGINI DETTE LE
MADDALENE
ORA VILLA BIONDANI
Il cenobio di Santa Maria Maddalena viene istituito attorno al 1200 in
località campo Marzo a Verona.
Nel 1350 le monache dimoranti in Santa Maria Maddalena si unirono in
maniera stabile, con tutte le loro proprietà, al vicino monastero di Santa Maria
della Vergini, accogliendo la regola francescana di Santa Chiara d`Assisi: ne
decretò l`unione il vescovo di Verona Giovanni Naso.
Da allora le monache di questo monastero furono denominate “Le
Maddalene”.
Le monache del monastero di Santa Maria delle Vergini ricavavano i fondi
necessari per il loro sostentamento e per la gestione del monastero dall‟attività di
prestito, dalla riscossione degli affitti e, principalmente, dalle entrate dei fondi
rustici tra cui quelli di Roverchiara, che consistevano in 160 campi distribuiti in
28 appezzamenti, gestiti da una casa con fienili e corte, in contrada Carbonata.
Tale casa riveste un grande interesse per le caratteristiche del portico. Una
serie di pilastri a sezione quadrata sostiene il tetto, che si appoggia su traversi in
legno.
Anche le strutture murarie testimoniano la vetustà del complesso.
La proprietà fondiaria del monastero complessivamente, nel tempo,
raggiunse l‟estensione di 740 campi.
Per quanto riguarda i possedimenti di Roverchiara, che, con i suoi 227
campi, era quella che aveva conosciuto la maggior espansione, troviamo che nel
1653 erano dotati di una seconda casa da lavorente, in località detta appunto
“Valle della Maddalene”.
Nell‟Ottocento, con la soppressione del monastero, le proprietà furono
demaniate.
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L’antica Corte “Le Maddalene”
Villa Biondani è divisa in due parti: quella più antica è stata costruita nel
1500; la parte moderna, invece, risale al 1950.
Villa Biondani è molto antica, è stata costruita tra il 1500 e l‟inizio del
‟600.
Il proprietario attuale è Federico Biondani che di professione fa
l‟insegnante e ha una sorella di nome Cristina. Un tempo questa villa
apparteneva a suo padre, Giuseppe Biondani che di professione faceva il dottore
in agraria e che ha lavorato a lungo nei suoi campi, mettendo a dimora numerose
piante di abeti.
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A destra della villa si trova un portico dove si tenevano gli attrezzi agricoli.
Alla parete sono appesi gli
attrezzi che si usavano un tempo
sia nella lavorazione dei campi
che
nell‟allevamento
del
bestiame: ricordo dell‟intenso
lavoro che si svolgeva in questa
villa e di tutte le persone che vi
lavoravano e vivevano.
Attrezzi agricoli
sono inoltre
conservati ed
esposti nella
corte
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Lo stile antico della villa si nota soprattutto dall‟arco che sovrasta le finestre.
Sul retro della villa si trova ancora la stalla, anche se inutilizzata.
Purtroppo non abbiamo potuto vedere l‟interno della villa ma abbiamo
potuto costatarne la complessità dalle dimensioni e dall‟abbondanza di finestre.
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La villa aveva due meridiane, entrambe ancora visibili anche se non ben
conservate.
Intervistare il proprietario ed ascoltarne la testimonianza è stata
un‟esperienza molto interessante per noi ed è stato molto emozionante sentire e
vedere come una volta i signori vivevano nelle loro ville di campagna.
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La villa recente (1950)
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Intervista a Federico Biondani
1)
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Quando è stata costruita la villa?
La villa è divisa in due parti: quella più antica è stata costruita nel
1500; la parte moderna, invece, nel 1950.
Che attività si svolgevano nella villa?
Nella parte più antica della villa si svolgevano i lavori dei campi e
si portavano a pascolare gli animali. Molto importanti erano anche
la caccia e la pesca.
Chi lavorava nei campi?
Nei campi ci lavorava mio padre con alcuni operai. Adesso ci sono
pochi dipendenti e si fa quasi tutto con le macchine e con prodotti
chimici.
Lei ha sempre vissuto qui?
No, io e mia sorella abbiamo ereditato la villa dai nostri genitori. Ci
siamo trasferiti qui negli anni ‟70, prima abitavamo a Minerbe. La
villa è stata costruita da nostro nonno.
Ci sono stati dei cambiamenti da quando è arrivato qui fino ad
oggi?
A 10 anni, quando sono venuto ad abitare qui, vedevo molta più
gente rispetto ad oggi. Molti operai infatti se ne sono andati a causa
dell‟avanzamento della tecnologia. Un altro cambiamento molto
importante per tutto il territorio è stato l‟intervento sul fiume Bussè,
al quale è stato modificato il corso. Un tempo infatti il Bussè, che
nasce a Oppeano, sfociava in Adige, ma con il tempo il suo letto si
è alzato impedendo alle acque di defluire con la creazione di
ristagni. Il suo corso è stato pertanto deviato e incanalato verso
Legnago.
Che ricordi ha? Ha nostalgie?
Sì, mi mancano molto l‟animazione che c‟era nella villa e le
chiacchiere con i lavoratori. Ora la villa è “spopolata.”
Cosa le manca del passato?
Se torno indietro nel tempo mi viene in mente la mia bella infanzia
e i ricordi dei momenti più significativi trascorsi con la mia
famiglia.
Si svolgono delle manifestazioni nella sua villa?
Sì, si fanno delle manifestazioni, pranzi e ricevimenti.
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Villa Biondani disegnata da Alessia
Collage di Villa Biondani, di Federico e Michele
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DAL VERONESE AL PADOVANO: VISITA A VILLA ZABORRA
A conclusione del percorso alla scoperta delle costruzioni che
raccontano la nostra storia e valorizzano il nostro territorio abbiamo
proposto la visita guidata ad una vicina villa veneta del padovano
Villa Zaborra - Castello di San Pelagio (DUE CARRARE-PD)
Costruito dai Carraresi per scopi difensivi, divenne proprietà dei Conti Zaborra
alla fine del 1600. Intorno alla torre medievale è sorto il complesso il cui aspetto
attuale, tipico della villa veneta, è della fine del XVIII secolo.
Verso la metà del 1900 i proprietari hanno rivalutato l‟avvenimento storico che ha
reso famoso il castello: il volo su Vienna di Gabriele d‟Annunzio del 9 agosto
1918. È stato così realizzato un museo con un percorso cronologico che racconta
la storia del volo, dalla mitologia al volo degli uccelli, da Leonardo da Vinci alle
conquiste spaziali. Nella barchessa vi è un tipico ristorante.
Un parco di tre ettari accoglie alberi secolari, la carpinata, il brolo, la peschiera,
la ghiacciaia e due labirinti verdi.
Castello di San Pelagio
Lessico riferito alle Ville Venete aventi funzione agricola:
Barchessa: riferimento al termine agricolo di “barco” che, anticamente significava mucchio
di fieno, era il luogo in cui si tenevano il fieno e gli attrezzi agricoli.
Brolo: anticamente significava orto cinto da muro o siepe, indica ancora il frutteto accosto
alla casa dove sono coltivati alberi da frutto di antica varietà.
Carpinata: viale ombreggiato da carpini centenari potati a tunnel. Il Carpino è un albero
autoctono europeo che, in autunno, diventa di colore oro scuro.
Peschiera: il laghetto piano, senza giochi d‟acqua, quasi un pallido riflesso della laguna
veneziana.
Ghacciaia: l‟antico frigorifero della villa, una stanza sotterranea che, riempita di neve e
ghiaccio durante l‟inverno, d‟estate serviva alla conservazione dei cibi.
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STORIA
La torre (nella
foto), dal 1300 era
parte del sistema
difensivo
dei
Da
Carrara che comprendeva più torri
collegate tra loro da
passaggi
sotterranei
lunghi fino a 1 km.
Oggi è visibile solo la
torre di S. Pelagio, i
cui passaggi sotterranei sono in parte
allagati. Esauriti i
compiti difensivi, nei
secoli successivi il
Castello venne trasformato in Villa Veneta e dal 1700 ha assunto l‟aspetto che
ancora oggi si ammira. Dal 1680 fino la 1960, la villa è stata abitata dai Conti
Zaborra, ai quali ancor oggi il Castello appartiene.
LA VILLA E IL PARCO DELLE ROSE E DEI LABIRINTI
La villa, una delle oltre tremila Ville Venete della regione Veneto, vista dal
giardino interno presenta un corpo centrale a ridosso della torre trecentesca e
due ali laterali.
L‟ala di sinistra,la barchessa, risale al 1793 e fu opera di Paolo Zaborra,
come si legge nell‟iscrizione dell‟arco di centro; l‟ala di destra, adibita ad
abitazione dei proprietari e dei custodi, è la parte più antica.
Tra le due ali vi è il giardino di rappresentanza con al centro la vasca delle
ninfee. Dietro l‟ala di destra si trova il giardino segreto, a sud trovano
collocazione il brolo, il parco con i labirinti, la montagnola con la ghiacciaia e la
peschiera.
Dalla strada comunale si vede la facciata principale, rimaneggiata alla fine
del 1700. Il corpo centrale è ornato di un elegante portale d‟accesso con
colonne di mattoni e statue, e due torrioni laterali. Al centro, sotto il balcone,
compare la scritta: “Roberto Zabborra quod has aedes in meliorem faciem sua
pec. restituerit amplificaverit Paulus Zabborra viro op benemer. lap. mem.
P.C.A.D. MDCCLXXV” (A Roberto Zaborra uomo benemerito per le opere che
con il suo denaro ha migliorato questo edificio, restaurandolo e amplificandolo,
Paolo Zaborra questa lapide pose a memoria nell'anno del Signore 1775). Ai lati
due targhe in marmo ricordano il Volo su Vienna compiuto dal poeta Gabriele
D‟Annunzio e dai piloti della Serenissima.
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Il torrione di destra, il cui uso è sempre stato agricolo, presenta un grande
portone; dal torrione di sinistra, un alto portale immette direttamente nel salone
da ballo, oggi sala delle Mongolfiere.
Il giardino di rappresentanza, o padronale, ospita 200 varietà di rose, circa
mille esemplari e nasce da una appassionata ricerca trentennale nei vivai di tutta
Europa. La loro scelta è avvenuta con criteri ben precisi: profumo, colore,
portamento, dimensioni …. Attorno alla vasca centrale dove vengono coltivate
ninfee a fiore bianco e a fiore rosa, si notano cespugli di yucca glauca e gruppi
di peonie arboree.
Gli alunni delle classi
1A- 2A- 2B
in visita alla villa
il 21 marzo 2012
Il giardino Segreto è quello
interno al castello, prospiciente la
Cappella, separato dalla campagna da
un alto muro di cinta. E‟
contraddistinto da vialetti e spazi erbosi
che circondano una vasca. Resistono al
tempo alcune statue e nani in pietra
settecenteschi.
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Vi è una grande ricchezza di elementi arborei e arbustivi: cipressi, tassi,
tigli secolari, viburni, ibischi, oleandri, lavanda, passiflora…
Dal giardino di rappresentanza ci si incammina lungo un viale di carpini
centenari disposti a tunnel la cui funzione, un tempo, era quella di collegamento
tra la zona residenziale del Castello e la campagna. In fondo vi è l‟altare
dedicato alla Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori; poi salendo un
sentiero a chiocciola si arriva sulla montagnola che all‟interno racchiude la
ghiacciaia.
Vi sono poi due labirinti verdi: il “Labirinto del Minotauro” che assolve a
un duplice compito: da un lato ricorda i maliziosi labirinti delle Ville Venete,
luoghi di svago e di giochi amorosi, dall‟altro il mito di Icaro e quindi la storia
del volo, tema del museo. Il labirinto del “Forse che sì forse che no” ricorda nel
nome il famoso romanzo dannunziano e nella struttura quello dipinto su un
soffitto nel Palazzo Ducale a Mantova.
Oggi la Villa è Museo del Volo e nei suoi giardini ha trovato posto anche il
“Viale degli Eroi” dove vengono messe a dimora “piante aereonautiche” come
l‟alloro che, dedicato a D‟Annunzio, ne ricorda la grande opera poetica; il
frassino, dedicato al
conte Da Schio che
ne utilizzava il
legno
per
la
costruzione dei suoi
dirigibili.
Nel parco vi
sono inoltre: il
brolo e il prato con
la sua fascia di erba
spontanea che serve
da
collegamento
con il paesaggio
rurale circostante.
La villa pertanto è stata fruibile
dagli alunni sia
La torre medievale vista dal parco
all‟interno, con la
visita alla torre medievale e alle stanze dove è allestito il Museo del Volo, sia
all‟esterno, essendo attrezzata per varie attività, fra le quali il tiro con l‟arco.
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ANDAR PER VILLE, PALAZZI, CASE A CORTE:
CONCLUSIONI
Il nostro sogno:
Valorizzare le ricchezze dimenticate, come le case, le Corti, i sentieri,
le strade, gli alberi, gli arbusti che integrano il paesaggio… i segni
della storia, per permettere a tutti di poterne fruire.
Non lasciare che l‟incuria e l‟inquinamento rovinino il nostro ambiente
così interessante e ricco di vita.
C‟è una modernità buona, quella che riesce ad integrare tutte queste strutture
e una cattiva, quella che le distrugge e le abbandona.
Ma la gente non è attratta dal degrado e così ville, palazzi e case a corte
sono destinate all‟oblio e alla dimenticanza.
Il nostro sogno pertanto è il pieno recupero di tutte le strutture del territorio
ancora fatiscenti per far sì che diventino, così come è stato per la nostra scuola e
per l‟edificio comunale, godibili ogni giorno da tutti.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Per le notizie sugli oratori: F. Occhi- A. Garau, Alla scoperta di pievi e di
oratori, ed. P.L. Basso veronese, 2001
Per le caratteristiche e le strutture abitative presenti nelle Corti veronesi: R.
Scola Gagliardi, Un feudo vescovile in epoca veneziana, ed. Comune di
Bovolone, 1982
Per la vita lavorativa che si svolgeva nelle Corti: D. Coltro, La terra e l’uomo,
Cierre ed. 2006
Per la storia delle famiglie gentilizie veronesi che avevano possedimenti terrieri
a Roverchiara: AA.VV., Roverchiara, una comunità e il suo territorio, a cura di
R. Scola Gagliardi, ed. Comune di Roverchiara, 2006
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INDICE
Una scuola particolare: “Scuola in Villa
La Scuola nel Palazzo Mazzanti
La Famiglia Mazzanti
Comincia il nostro viaggio
Ieri-Oggi
Il contesto
Cosa vedremo nel nostro viaggio
La Corte chiusa quale modello costruttivo tipico dell‟area del veronese
Un po‟ di storia
La diffusione delle Ville
Le Corti nel veronese
La situazione a Roverchiara
Le tipologie di Corte
Gli elementi strutturali e costitutivi delle Corti
Uno sguardo sulla realtà attuale
I resti dell‟antico Monastero della Prepositura della Giara
Corte Monastero
Intervista al prof. A. Pistoia
Villa Pomedelli-Pindemonte-Fiumi
Le famiglie Pomedelli-Pindemonte-Fiumi
Il poeta Lionello Fiumi
Intervista a Stefania Guerrini, responsabile della Biblioteca civica di
Roverchiara
Le Corti Brenzoni
I Brenzoni
Palazzo Brenzoni-Guarienti in contrada Bogon
Villa Raspa
Corte Marogna
I ricordi di Giaccon Giovanni
Le Corti Bonente-Giberti
I Bonente
Prima Corte dei Bonente-Giberti
L‟Oratorio Bonente-Giberti di Santa Teresa d‟Avila alle Beazzane
Seconda Corte dei Della Torre-Bonente
Monastero di Santa Maria delle Vergini dette Le Maddalene
Corte delle Maddalene, ora Villa Biondani
Dal veronese al padovano: visita alla Villa Zaborra - Castello di San Pelagio
Conclusioni: il nostro sogno
Bibliografia di riferimento
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