La selezione eugenetica individuale e di massa
“Se venisse speso in provvedimenti per migliorare la razza umana anche solo un ventesimo dei costi e dei sacrifici che si spendono
per migliorare la razza dei cavalli e dei bovini che galassia di geni
potremmo creare! Potremmo introdurre nel mondo profeti e gran sacerdoti della civilizzazione così come ora possiamo moltiplicare gli
idioti mettendo insieme i cretini”. Così scriveva Francis Galton, padre dell’eugenetica (Hereditary Character and Talent, 1865) forse
pensando che l’uomo potesse realizzare in tempi brevi l’evoluzione
delle specie che Darwin, suo cugino e maestro, aveva ritenuto realizzata in milioni di anni.
Tanti sono stati i precursori e gli epigoni, tra gli altri Aldous
Huxley, che, pur in chiave romanzesca (Brave New World, 1932),
immagina una società nella quale l’educazione sessuale scolastica
elimina la ‘tentazione’ della famiglia, la società è sottoposta ad un
rigido controllo che include la riproduzione, gli ovuli sono fecondati
in provetta e conservati, la nascita è anonima, da un ovulo si possono ottenere fino a novantasei gemelli identici, a tavolino si possono
creare uomini superiori, fisicamente ed intellettualmente, ma anche
uomini inferiori obbedienti e dediti ai lavori più umili. Pochi anni
dopo Bentley Glass, genetista, affermava che “nessun genitore in futuro avrà il diritto di opprimere la società con un figlio mentalmente
malformato o incompetente” (Science and Liberal Education, 1960;
Science and Ethical Values, 1965).
Questa è l’eugenetica - i cui principi sono tratti da alcuni esempi
tra i tanti - ed alla sua vasta area appartiene la diagnosi pre-impianto nella fecondazione assistita, che è vietata dalla legge
40/2004 ma che si vorrebbe invece legalizzare modificando la legge
da poco approvata. Poco importa se in questo caso non si tratta di
una attività di selezione-soppressione di massa bensì di una selezione individuale, perché gli strumenti ed i risultati finali sono gli stessi. La sua ‘promozione’ è stata di recente rinforzata, in Italia, attraverso il clamore mediatico suscitato dal trattamento di un soggetto
talassemico con cellule staminali adulte ottenute dal cordone ombelicale di due suoi fratelli gemelli esenti dal gene della talassemia,
presente invece nei loro fratelli-embrioni, selezionati e soppressi. È
una vicenda che può forse essere guardata con comprensione sotto
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il profilo del risultato terapeutico - nella speranza che sia definitivo
e stabile - ma che non cambia in alcun modo né la sostanza della
procedura né le prospettive di soppressione eugenetica che essa
apre.
Di questo si tratta, né ci lasceremo coinvolgere nelle contorsioni
dialettiche che abbiamo udito e letto recentemente da parte di un
magistrato molto impegnato nel campo della bioetica il quale, per
evitare l’etichetta di eugenetica, inevitabile nei confronti di queste
pratiche, ha cercato di invertire i termini della questione accusando
la legge 40/2004 di essere, questa sì, di impronta eugenetica. Dopo
avere riconosciuto che i test genetici diagnostici e predittivi hanno
come problema centrale la discriminazione, l’autore ha prospettato
la temeraria tesi secondo cui è stato il legislatorte italiano che, pretendendo di interferire nel processo di riproduzione artificiale, regolamentandolo e quindi ponendovi dei limiti, avrebbe di fatto lui stesso compiuto un atto selettivo.
La realtà è evidentemente un’altra e c’è da augurarsi che il Parlamento non ceda alla tentazione di modifiche della legge per evitare il referendum - nei quesiti ammessi dalla Consulta - che, comunque si concluda (speriamo senza il raggiungimento del quorum) è da
ritenere preferibile ad un deliberato snaturamento della legge attualmente in vigore. Come quelle modifiche, ad esempio, che abbiamo letto sulla stampa quotidiana, elaborate da un autorevole uomo
politico con lo scopo apparentemente lodevole di impedire l’abrogazione referendaria della legge 40/2004.
Questa legge, come è noto, cerca di porre un freno quantomeno
alle selezioni-soppressive embrionali - già largamente praticate per
la legge sull’aborto - limitando il numero degli embrioni prodotti
per la fecondazione assistita, vietando di depositarli nei congelatori
in attesa che il loro invecchiamento ne determini di fatto la morte,
vietando la diagnosi pre-impianto, strumento sofisticato di selezione-soppressione embrionale.
La lettura della proposta di modifica della legge - che non è la
sola ma per ora appare la più permissiva ed include la diagnosi preimpianto - consente di constatare che la finalità antireferendaria
verrebbe perseguita togliendo di fatto gran parte dei limiti bioetici
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qualificanti, riducendo l’eventuale nuova legge ad una mera regolamentazione burocratica dei centri di fecondazione assistita, analoga
a quella proposta anni orsono dal Ministero della sanità con pochissimi limiti, tra cui la maternità surrogata.
Rimossa nell’art. 1 la menzione dei diritti dei soggetti coinvolti
“compreso il concepito”, si ripropone ipocritamente, per l’ennesima
volta, il generico quanto ovvio principio di “rispetto” e della “tutela della dignità umana”. L’embrione la possiede o no? L’articolato
sembra fornire una risposta indiretta attraverso l’introduzione, all’art. 10 del progetto, dell’ootide, entità su cui questa rivista si è già
soffermata recentemente (cfr. Medicina e Morale 2004, 3: 461-467)
cui sembra che il proponente intenda attribuire natura diversa dall’embrione, dato che solo per l’ootide verrebbe concessa la crioconservazione. Le contraddizioni del progetto risultano peraltro evidenti ove si consideri che nel testo l’ootide viene definito come uno
“stadio” dell’ovulo fecondato, non già una entità a se stante, ed
inoltre che l’art. 7, al n. 2, prevede il consenso alla crioconservazione degli embrioni: che quindi risulta lecita.
Mentre nella vigente legge 40/2004 l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita è consentito soltanto se sussiste una sterilità
documentata, il progetto lo estende non solo alla soluzione dei “problemi derivanti dalla sterilità e dalla infertilità o ipofertilità di coppia” ma anche alla “prevenzione delle malattie infettive e di quelle
trasmesse per via genetica”, malattie “che comportino rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro”.
È concessa anche la fecondazione eterologa sia pure limitata a
casi di sterilità e malattie infettive irreversibili, ma prevedendo comunque l’anonimato dei donatori di gameti (che sta scomparendo in
tutti i paesi europei, ultima la Gran Bretagna) con possibilità di deroga per autorizzazione dell’autorità giudiziaria solo in caso di
“circostanze che comportino un grave e comprovato pericolo per la
salute psico-fisica del nato”.
Il campione di seme del donatore, di cui deve essere accertata
l’assenza di malattie infettive ed ereditarie (quali e quante delle tante possibili?) può essere utilizzato per cinque donne.
I genitori possono dare il loro consenso alla crioconservazione
degli embrioni “ed alla destinazione a scopo di ricerca degli em-
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brioni non utilizzati e/o non più utilizzabili a fini procreativi”. È
consentita “la fecondazione in vitro di tanti ovociti quanti ritenuti
necessari, in relazione anche all’età, alle condizioni della donna ed
alla presenza delle circostanze di cui al quarto comma del presente
articolo, ad assicurare la formazione di un numero di embrioni sufficiente ad almeno due successivi impianti”.
Il progetto, dopo avere consentito che gli embrioni non utilizzati
vengano impiegati “per ricerche e sperimentazioni che perseguano
esclusivamente finalità terapeutiche”, formula alcuni ovvi e marginali divieti come quello di miscelare liquido seminale proveniente da
soggetti diversi, la fecondazione di un gamete umano con gameti di
specie diversa, la clonazione umana a fini riproduttivi, l’ectogenesi.
L’unica vera limitazione (provvisoria) è “la fecondazione in vitro di
ovociti a scopo di ricerca e sperimentazione o per usi terapeutici”.
Il quarto comma del già citato articolo 10 è quello su cui questo
editoriale intende soffermarsi brevemente in quanto consente “la
diagnosi pre-impianto degli embrioni e la loro eventuale selezione”
(cioè: soppressione) sia pure “solo quando sia accertato il rischio
di gravi malattie genetiche” le quali dovrebbero essere indicate nelle linee guida definite dal Ministero della Salute e “la cui presenza
legittima la diagnosi pre-impianto e la selezione degli embrioni”.
La diagnosi pre-impianto spalanca una porta verso la selezionesoppressione embrionale che già era stata aperta, in Italia, con la
legge 194, nella sua applicazione pratica.
La diagnosi preimpianto oltre ad essere gravata da rischi e limiti, ha prodotto, secondo i dati riferiti recentemente da M.L. Di Pietro, A. Giuli e A. Serra e relativi soltanto ai dati reperibili in letteratura, centinaia di migliaia di soppressioni embrionali: cifra da considerare largamente in difetto (cfr. Medicina e Morale 2004, 3: 469500).
Come gran parte dei problemi della procreatica anche la diagnosi pre-impianto soffre anzitutto del vizio della disinformazione all’opinione pubblica essendo presentata come operazione facile, utile a
qualsiasi diagnosi-prognosi precocissima, esente da rischi di gravi
errori, cioè di falsi positivi o di falsi negativi.
Sia la diagnosi pre-impianto nella fecondazione in vitro che la
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diagnosi prenatale nel corso della gravidanza sono di fatto - ed al di
là di artificiose motivazioni pseudogiuridiche - strumenti per realizzare quella che dobbiamo designare come selezione-soppressione
embrionale individuale. L’aggettivo ‘individuale’ ha l’intento definitorio, non irrilevante, di distinguere questa forma di selezione soppressiva dalla selezione-soppressione di massa invocata per i feti ed
i nati, di varie età, nel corso dei millenni e che di fatto è stata praticata anche nel secolo scorso e lo è in quello attuale in varie parti
del mondo ed è ispirata dalla tentazione faustiana, rinverdita nel secolo dei lumi e nel novecento, che si riallaccia a più antichi progetti
di modellamento della società attraverso l’eliminazione degli invalidi e dei vecchi decisa ed attuata dalla società intera.
La selezione-soppressione individuale è decisa dai genitori ed attuata in genere dal medico, quella di massa è decisa dal potere politico nelle sue varie forme e risponde a progetti generali di gestione
delle società nazionali o regionali.
Il tema della selezione-soppressione di massa è stato trattato in
varie occasioni su questa rivista e viene in genere incluso nelle trattazioni sull’eutanasia. Più volte abbiamo richiamato, a titolo di
esempio, il progetto di Platone che in Repubblica ha prospettato la
soppressione degli adulti ammalati ad opera dei medici. Programmi
analoghi si ritrovano nelle idee di Francis Bacon (Advancement of
Learning, 1605) ed in quelle precedenti di Tommaso Moro (Utopia è
del 1516) che ha prospettato un sistema organizzato di eutanasia con
il quale i pazienti affetti da malattie dolorose e prive di speranza
avrebbero dovuto essere consigliati da un comitato di sacerdoti a decidersi per una rapida morte mediante il suicidio od essere soppressi
direttamente dall’autorità anche attraverso l’opera dei medici. Weissmann, nel 1882, ha ritenuto che la morte dell’anziano, ma anche
della donna e della persona priva di educazione scolare, sia priva di
importanza per la società in quanto questi individui vivono su di un
piano inferiore rispetto agli altri, meno creativo, quasi vegetativo.
William Osler nel 1905, sotto l’influenza di queste concezioni, ha sostenuto che all’età di 40 anni sopravviene la perdita di creatività ed
una relativa inutilità dell’individuo e nello stesso periodo il biologo
Ernest H. Haeckel ha proposto che centinaia di migliaia di persone
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inutili fossero soppresse mediante avvelenamento. Alla base dell’eugenetica nazista si riconoscce sia il libro del giurista Karl Binding e
dello psichiatra Alfred Hoche, intitolato L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute (1920), scritto all’epoca della Repubblica di Weimar e che ipotizzava una prassi eutanasica da attivare da parte di una società democratica.
La progettata eliminazione di milioni di persone si è di fatto realizzata nel secolo scorso, con svariate motivazioni e continua ad attuarsi in varie parti del mondo, specialmente in Africa ed Asia negli
ultimi anni. Né si tratta sempre di motivazioni riguardanti soggetti
invalidi ma anche di etnie e gruppi appartenenti a diversi credi religiosi e perfino di soggetti di sesso femminile, la qual cosa in Cina
ha ridotto il numero delle donne.
Tutti questi misfatti sono spesso condannati e dichiarati mostruosi
ma la loro attuazione non si arresta in varie parti del globo e nella
maggior parte dei casi sfugge ad ogni punizione. Nel frattempo però
si assiste all’assuefazione collettiva nei confronti dei fenomeni di
soppressione di feti ed embrioni. Troppo spesso si dimentica la tragedia dell’aborto legalizzato, che in Italia si avvale della giustificazione giuridica, il più delle volte infondata, del pericolo per la salute
della madre, ma in realtà è uno strumento contraccettivo - in contrasto palese con l’art. 1 della legge 194/1978 che nega che la legge
possa avere questo fine - e costituisce di fatto un meccanismo permissivo che consente la soppressione legale di circa 150.000 “prodotti di concepimento” all’anno, in vari stadi del primo sviluppo.
Un lungo ed ininterrotto filo nero lega tra loro i polimorfi progetti e le opere di selezione soppressiva che percorrono i millenni ed
includono una varietà di azioni delittuose che si sono ispirate sia al
modellamento politico delle società attraverso l’eliminazione di
massa di intere etnie e di gruppi religiosi sia alle selezioni individuali degli embrioni, dei malformati, dei vecchi ed invalidi ed ora
degli embrioni prodotti nelle pratiche di fecondazione assistita. La
proposta di legalizzare la diagnosi pre-impianto non è che l’ultimo
passo, quello che chiude il cerchio, per di più attraverso il consueto
strumento della disinfomazione, che suggestiona impropriamente
l’opinione pubblica.
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Jacques Testart (La vita in vendita, 2004), dopo avere constatato
che l’attuale tendenza è caratterizzatata dalla fiducia assoluta nella
capacità della scienza e dall’idea che nel DNA siano racchiusi tutti i
segreti dell’esistenza, fa rilevare che solo poche malattie sono dovute ad un gene che può essere identificato consentendo la diagnosiprognosi, tutti tuttavia siamo in possesso di quattro o cinque geni
presenti in unico esemplare ma che possono essere trasmessi alla
prole. Se dunque siamo tutti ‘tarati’ se ne dovrebbe dedurre che il
numero degli embrioni da sopprimere è elevatissimo. È questa la
strada su cui ci si vuole incamminare, esposta al rischio di estensioni arbitrarie individuali del concetto di rischio genetico?
Chi denuncia questa deriva e vi si oppone viene frequentemente
deriso e marginalizzato. Tuttavia molta parte dell’opinione pubblica
silenziosa, ma capace di pensare eticamente, è in grado di erigere
argini contro l’avanzare di questi progetti, in genere mascherati da
argomenti pseudoumanitari. Essa ha però bisogno di essere illuminata ed incoraggiata attraverso oneste prese di posizione pubbliche.
Come quella assunta di recente da Guido Ceronetti che, nel corso di
una intervista, dopo aver ricordato l’ammonizione del grande biologo Jean Rostand - “se si tocca il corpo tutto è perduto” - ha espresso questo lapidario giudizio: “Tutte le fecondazioni artificiali, si
tratti di donne o di animali, mi sembrano obbrobriose. Alle coppie
sterili, se hanno senso umano, si addicono le adozioni. Sottoporre le
donne a quelle tecniche infami per me è inaccettabile, e può avvenire anche di peggio perchè non si può fermare più niente. Tra omologa o eterologa non ci sono distinzioni: il grado di bruttura è il medesimo”. E Jurgen Habermas (Il futuro della natura umana, ed. it.
2002) ha con uguale forza scritto:”Non è compatibile con la dignità
della persona umana l’essere generato con riserva e giudicato degno di vita e sviluppo in base al risultato di un test genetico”. La
diagnosi pre-impianto è “una autostrumentalizzazione che l’uomo
intraprende a partire dai fondamenti biologici della sua esistenza”.
Parole chiare e forti, in questa riflessione del grande intellettuale
laico italiano e del famoso sociologo tedesco, cui fanno purtroppo
da contrappeso quelle pronunciate recentemente da un medico, pochi anni fa ministro, che a sua volta ha invece definito “infame” la
legge n. 40/2004, perché troppo restrittiva. Anche molti medici, pur-
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troppo, sono infatti nemici dell’autentica bioetica, travolti da una
pericolosa concezione di progresso a qualsiasi prezzo. In tal modo
essi dimenticano l’art. 42 (“Fecondazione assistita”) del Codice di
Deontologia medica del 1998 che all’ultimo comma recita: “È proscritta ogni pratica di fecondazione assistita ispirata a pregiudizi
razziali; non è consentita alcuna selezione dei gameti ed è bandito
ogni sfruttamento commerciale, pubblicitario, industriale di gameti,
embrioni e tessuti embrionali o fetali, nonché la produzione di embrioni ai soli fini di ricerca”.
Angelo Fiori
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