CAVALLERIA
RUSTICANA
MELODRAMMA IN UN ATTO
di
G. TARGIONITOZZETTI e G. MENASCI
musica di
PIETRO MASCAGNI
PAGLIACCI
DRAMMA IN DUE ATTI
parole e musica di
RUGGERO LEONCAVALLO
Proprietà letteraria riservata
© 2010 Screenpress Edizioni - Trapani
ISBN 978-88-96571-15-6
È vietata la riproduzione, anche parziale,
con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia,
anche a uso interno o didattico, non autorizzata.
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CAVALLERIA RUSTICANA
L’OPERA
Cavalleria rusticana è un’opera in un unico atto di Pietro
Mascagni, andata in scena per la prima volta il 17 maggio
1890 al Teatro Costanzi di Roma, su libretto di Giovanni
Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dalla novella
omonima di Giovanni Verga.
Viene spesso rappresentata a teatro insieme a un’altra
opera breve, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Iniziatore
di questo singolare abbinamento fu lo stesso Pietro Mascagni, che nel 1926, al Teatro alla Scala di Milano, diresse,
nella stessa soirée, entrambe le opere.
III
SINOSSI
La scena si svolge in un paese siciliano durante il giorno di
Pasqua. Ancora a sipario calato, si sente Turiddu, il tenore,
cantare una serenata a Lola, sua promessa sposa che durante
il servizio militare di Turiddu ha però sposato Alfio. La
scena si riempie di paesani e paesane in festa, giunge anche
Santa, detta Santuzza, attuale fidanzata di Turiddu, che non
si sente di entrare in chiesa sentendosi in grave peccato.
Entra allora in casa di mamma Lucia, madre di Turiddu,
chiedendole notizie del figlio.
Lucia dice a Santuzza che Turiddu è andato a Francofonte a comprare il vino, ma Santa sostiene di aver visto Turiddu che si aggirava sotto la casa di Lola. La stessa notizia
arriva anche ad Alfio, che ignaro di tutto va a trovare Lucia.
A questo punto Santuzza svela a Lucia la relazione tra Turiddu e Lola. Egli ormai l’ha disonorata per ripicca contro
Lola, alla quale prima di andare soldato aveva giurato fedeltà eterna, e che ora continua a frequentare sebbene sia
sposata. Giunge dunque Turiddu che discute animatamente
con Santa; interviene anche Lola che sta per recarsi in
chiesa, e le due donne si scambiano battute ironiche.
Turiddu segue Lola, che è sola perché il marito lavora.
Santuzza augura a Turiddu la malapasqua e, vedendo arrivare Alfio, gli denuncia la tresca amorosa della moglie.
Dopo la messa, Turiddu offre vino a tutti i paesani. Alfio
entra nella piccola bottega e getta il bicchiere di vino in faccia a Turiddu il quale gli morde l’orecchio sfidandolo a
duello. Turiddu corre a salutare la madre e ubriaco, le dice
addio e le affida Santuzza.
Subito dopo si sente un vociare di donne e popolani. Un
urlo sovrasta gli altri: “Hanno ammazzato compare Turiddu!”.
IV
PERSONAGGI
SANTUZZA, una giovane contadina
Soprano
TURIDDU, un giovane contadino
Tenore
LUCIA, madre di Turiddu
Contralto
ALFIO, un carrettiere
Baritono
LOLA, sua moglie
Mezzosoprano
CORI E COMPARSE
Contadini e Contadine, Paesani, Ragazzi.
La scena rappresenta una piazza in un paese della Sicilia.
Nel fondo, a destra, chiesa con porta praticabile.
A sinistra l’osteria e la casa di Mamma Lucia.
È il giorno di Pasqua.
Tratto dalla novella di Giovanni Verga dallo stesso titolo.
ATTO UNICO
SICILIANA
A sipario calato
TURIDDU
O Lola ch’hai di latti la cammisa
si bianca e russa comu la cirasa,
quannu t’affacci fai la vucca a risu,
biato cui ti dà lu primu vasu!
‘Ntra la porta tua lu sangu è sparsu,
e nun me ‘mporta si ce muoru accisu...
e s’iddu muoru e vaju ‘mparadisu
si nun ce truovu a ttia, mancu ce trasu.
SCENA I
La scena sul principio è vuota. Albeggia.
DONNE (di dentro)
Gli aranci olezzano sui verdi margini,
cantan le allodole tra i mirti in fior;
tempo è si mormori da ognuno il tenero
canto che i palpiti raddoppia al cor.
Le donne entrano in scena
UOMINI (di dentro)
In mezzo al campo tra le spighe d’oro
giunge il rumor delle vostre spole,
3
Cavalleria rusticana
noi stanchi riposando dal lavoro
a voi pensiam, o belle occhi-di-sole.
O belle occhi-di-sole a voi corriamo
come vola l’augello al suo richiamo.
Gli uomini entrano in scena
DONNE
Cessin le rustiche opre:
la Vergine serena allietasi del Salvator;
tempo è si mormori da ognuno il tenero
canto che i palpiti raddoppia al cor.
Il coro attraversa la scena ed esce
SCENA II
SANTUZZA e LUCIA
SANTUZZA (entrando)
Dite, mamma Lucia...
LUCIA (sorpresa)
Sei tu?... Che vuoi?
SANTUZZA
Turiddu ov’è?
LUCIA
Fin qui vieni a cercare il figlio mio?
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atto unico
SANTUZZA
Voglio saper soltanto,
perdonatemi voi, dove trovarlo.
LUCIA
Non lo so, non lo so, non voglio brighe!
SANTUZZA
Mamma Lucia, vi supplico piangendo,
fate come il Signore a Maddalena,
ditemi per pietà dov’è Turiddu...
LUCIA
È andato per il vino a Francofonte.
SANTUZZA
No! l’han visto in paese ad alta notte...
LUCIA
Che dici? se non è tornato a casa!
(avviandosi verso l’uscio di casa)
Entra...
SANTUZZA (disperata)
Non posso entrare in casa vostra...
Sono scomunicata!
LUCIA
E che ne sai del mio figliolo?
SANTUZZA
Quale spina ho in core!
5
Cavalleria rusticana
SCENA III
ALFIO, CORO e dette
ALFIO
Il cavallo scalpita,
i sonagli squillano,
schiocca la frusta. Ehi là!
Soffi il vento gelido,
cada l’acqua o nevichi,
a me che cosa fa?
CORO
O che bel mestiere
fare il carrettiere
andar di qua e di là!
ALFIO
M’aspetta a casa Lola
che m’ama e mi consola,
ch’è tutta fedeltà.
Il cavallo scalpiti,
i sonagli squillino,
è Pasqua, ed io son qua!
CORO
O che bel mestiere
fare il carrettiere
andar di qua e di là!
LUCIA
Beato voi, compar Alfio, che siete
sempre allegro così!
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AUTORI
PIETRO MASCAGNI
Pietro Mascagni (Livorno, 7 dicembre 1863 – Roma, 2
agosto 1945) è stato un compositore e direttore d’orchestra
italiano.
Mascagni visse a cavallo tra Ottocento e Novecento e il
successo formidabile ottenuto nel 1890 col suo primo capolavoro - la Cavalleria rusticana - non fu tuttavia eguagliato
dalle opere seguenti, seppure di fattura sempre pregevole e
molte delle quali entrate stabilmente nel repertorio, come ad
esempio Iris. Egli compose la musica di quindici opere,
d’un’operetta e di molti brani sia per orchestra che vocali,
canzoni, romanze e musica per solo pianoforte.
Pietro Mascagni nacque nel 1863 a Livorno, in piazza
delle Erbe. Dopo aver ultimato gli studi ginnasiali, ai quali
aveva affiancato anche lo studio del fortepiano e del canto,
dal 1876 in poi Mascagni decise di dedicarsi completamente agli studi musicali, seguendo gli insegnamenti di
Alfredo Soffredini, fondatore dell’Istituto Musicale Livornese.
Al 1880 risalgono le sue prime composizioni di musica
sinfonica e sacra, tra le quali la Sinfonia in fa maggiore,
Elegia per soprano, violino e pianoforte, Ave Maria per
soprano e pianoforte, Pater Noster per soprano e quintetto
d’archi. Nel 1881 compose la cantata In filanda a quattro
voci soliste e la cantata Alla gioia, sul testo di Friedrich
Schiller. Nel 1882 partì per Milano, superò l’esame d’ammissione al Conservatorio e cominciò a frequentare l’ambiente artistico milanese. Qui conobbe Giacomo Puccini
e Amilcare Ponchielli.
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Nel luglio del 1888 s’iscrisse ad un concorso, indetto
dalla casa editrice Sonzogno, per un’opera in un singolo
atto. Mascagni scelse come argomento la novella Cavalleria rusticana di Giovanni Verga. Come librettisti il livornese, ed amico personale, Giovanni Targioni-Tozzetti e
Guido Menasci. Nel 1890 la Cavalleria rusticana venne
proclamata vincitrice del concorso (su 73 partecipanti) ed
il 17 maggio debuttò al Teatro Costanzi di Roma, ottenendo un successo clamoroso di pubblico. Il successo si
ripeté in ogni teatro, in ogni località, nella quale venne da
allora rappresentata.
Negli anni successivi Mascagni iniziò a collaborare con
Luigi Illica per la stesura dell’Iris, commissionata dall’editore Ricordi.
Dal 1899 al 1900 le sue tournée in qualità di direttore
d’orchestra lo portarono a Pietroburgo, Vienna e negli
Stati Uniti. Dopo il debutto poco lusinghiero de Le maschere, che aveva esordito in contemporanea in sei città
diverse (Roma, Milano, Venezia,Torino, Genova, Verona),
andò a Vienna su invito di Gustav Mahler, dove, al Teatro
Imperiale, diresse il Requiem di Giuseppe Verdi, per ricordare la scomparsa del musicista. Seguirono altre tournées in Europa e negli Stati Uniti, fino a che, nel 1903,
assunse la carica di Direttore della Scuola Nazionale di
Musica di Roma, alla quale affiancò, a partire dal 1909,
anche la direzione artistica del Teatro Costanzi.
Nel 1927 Mascagni ricevette la delega dal Governo in
qualità di rappresentante dell’Italia in occasione delle celebrazioni per il centenario della morte di Ludwig Van
Beethoven, che ebbero luogo a Vienna. Due anni dopo,
nel 1929, alla fondazione della Reale Accademia d’Italia,
Mascagni venne incluso tra gli Accademici, insieme, tra
gli altri, a Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Gabriele
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PAGLIACCI
L’OPERA
Pagliacci è un’opera lirica di Ruggero Leoncavallo, su libretto del compositore, rappresentata per la prima volta al
Teatro dal Verme a Milano, il 21 maggio 1892 con la direzione di Arturo Toscanini.
Essa si ispira a un delitto realmente accaduto a Montalto Uffugo, in Calabria, quando il compositore era bambino, e in seguito al quale il padre di Ruggero Leoncavallo,
che era magistrato, istruì il processo che portò alla condanna dell’uxoricida.
Tradizionalmente, l’opera viene rappresentata in coppia
con l’altro capolavoro del teatro musicale verista, Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.
III
SINOSSI
La rappresentazione inizia a sipario calato, con Tonio che,
in costume da Taddeo, si presenta come Prologo, fungendo
da portavoce dell’autore ed enunciando i principi informatori e la poetica dell’opera.
La compagnia di Canio è giunta in un paesino meridionale, Montalto Uffugo in provincia di Cosenza, per inscenare una commedia. Canio non sospetta che la moglie
Nedda lo tradisca con Silvio, un contadino del luogo.Tonio,
che ama Nedda ma che è da lei respinto, avvisa Canio del
tradimento. Questo scopre i due amanti che si promettono
amore, ma Silvio fugge senza che Canio lo veda in volto.
Canio vorrebbe scagliarsi contro Nedda, ma arriva uno degli
attori a sollecitare l’inizio della commedia perché il pubblico
aspetta. Canio non può fare altro, nonostante il suo turbamento, che truccarsi e prepararsi per la commedia.
Canio, nel ruolo di Pagliaccio, impersona appunto un
marito tradito dalla sposa Colombina. La realtà e la finzione
finiscono col confondersi, e Canio, nascondendosi dietro il
suo personaggio, riprende il discorso interrotto dalla necessità di dare inizio alla commedia e, sempre recitando, rinfaccia a Nedda la sua ingratitudine e trattandola duramente le
dice che il suo amore è ormai mutato in odio per la gelosia.
Di fronte al rifiuto di Nedda di dire il nome del suo amante,
Canio uccide lei e Silvio accorso per soccorrerla. Tonio e
Peppe, inorriditi, non intervengono, ma gli spettatori, comprendendo troppo tardi che ciò che stanno vedendo non è
più finzione, cercano invano di fermare Canio, che, a delitto
compiuto, esclama beffardo: “la commedia è finita!”
IV
PERSONAGGI
NEDDA, attrice da fiera, moglie
di Canio (nella commedia Colombina)
Soprano
CANIO, capo della compagnia
(nella commedia Pagliaccio)
Tenore
TONIO, lo scemo (nella commedia
Taddeo), commediante
Baritono
PEPPE (nella commedia Arlecchino),
commediante
Tenore
SILVIO, campagnuolo
Baritono
CORI E COMPARSE
Contadini e Contadine.
La scena si passa in Calabria presso Montalto, il giorno della
festa di mezz’agosto. Epoca presente, fra il 1865 e il 1870.
PROLOGO
TONIO (in costume da Taddeo come nella commedia, passando
a traverso al telone)
Si può?...
(poi salutando)
Signore! Signori!... Scusatemi
se da sol me presento. Io sono il prologo.
Poiché in scena ancor le antiche maschere
mette l’autore, in parte ei vuol riprendere
le vecchie usanze, e a voi di nuovo inviami.
Ma non per dirvi come pria: «Le lagrime
che noi versiam son false! Degli spasimi
e dei nostri martir non allarmatevi!»
No. L’autore ha cercato invece pingervi
uno squarcio di vita. Egli ha per massima
sol che l’artista è un uomo e che per gli uomini
scrivere ei deve. Ed al vero ispiravasi.
Un nido di memorie in fondo a l’anima
cantava un giorno, ed ei con vere lagrime
scrisse, e i singhiozzi il tempo gli battevano!
Dunque, vedrete amar sì come s’amano
gli esseri umani; vedrete de l’odio
i tristi frutti. Del dolor gli spasimi,
urli di rabbia, udrete, e risa ciniche!
E voi, piuttosto che le nostre povere
gabbane d’istrioni, le nostr’anime
considerate, poiché siam uomini
di carne e d’ossa, e che di quest’orfano
mondo al pari di voi spiriamo l’aere!
Il concetto vi dissi. Or ascoltate
3
Pagliacci
com’egli è svolto.
(gridando verso la scena)
Andiam. Incominciate!
Rientra e la tela si leva
4
ATTO PRIMO
La scena rappresenta un bivio di strada in campagna, all’entrata di un villaggio. A sinistra una strada che si perde
tra le quinte, fa gomito nel centro della scena e continua
in un viale circondato da alberi che va verso la destra in
prospettiva. In fondo al viale si scorgeranno, fra gli alberi,
due o tre casette. Al punto ove la strada fa gomito, nel terreno scosceso, un grosso albero; dietro di esso una scorciatoia, sentiero praticabile che parte dal viale verso le
piante delle quinte a sinistra. Quasi dinanzi all’albero, sulla
via, è piantata una rozza pertica, in cima alla quale sventola
una bandiera, come si usa per le feste popolari; e più in
giù, in fondo al viale, si vedono due o tre file di lampioncini di carta colorata sospesi attraverso la via da un albero
all’altro. La destra del teatro è quasi tutta occupata obliquamente da un teatro di fiera. Il siparo è calato. E su di
uno dei lati della prospettiva è appiccicato un gran cartello
sul quale è scritto rozzamente imitando la stampa:
«Quest’ogi gran rappresettazione». Poi a lettere cubitali:
PAGLIACCIO, indi delle linee illeggibili. Il sipario è rozzamente attaccato a due alberi, che si trovano disposti
obliquamente sul davanti. L’ingresso alle scene è, dal lato
destro in faccia alla spettatore, nascosto da una rozza tela.
Indi un muretto che, partendo di dietro al teatro, si perde
dietro la prima quinta a destra ed indica che il sentiero
scoscende ancora, poiché si vedono al disopra di esso, le
cime degli alberi di una fitta boscaglia.
5
Pagliacci
SCENA I
All’alzarsi della tela si sentono squilli di tromba stonata alternantisi con dei colpi di cassa, ed insieme risate, grida allegre,
fischi di monelli e vociare che vanno appressandosi. Attirati
dal suono e dal frastuono i contadini di ambo i sessi, in abito
da festa, accorrono a frotte dal viale, mentre Tonio lo scemo, va
a guardare verso la strada a sinistra, poi, annoiato dalla folla
che arriva, si sdraia, dinanzi al teatro. Son tre ore dopo mezzogiorno; il sole di agosto splende cocente.
CORO di contadini e contadine (arrivando a poco a poco)
Son qua!
Ritornano...
Pagliaccio è là!
Tutti lo seguono,
grandi e ragazzi,
e ognuno applaude
ai motti, ai lazzi.
In aria gittano
i lor cappelli
fra strida e sibili
tutti i monelli.
Ed egli serio
saluta e passa
e torna a battere
sulla gran cassa.
RAGAZZI (di dentro)
Ehi, sferza l’asino,
bravo Arlecchino!
6
atto primo
CANIO (di dentro)
Itene al diavolo!
PEPPE (di dentro)
To’! biricchino!
Un gruppo di Monelli entra, correndo, in scena dalla sinistra
LA FOLLA
Ecco il carretto...
Indietro... Arrivano...
Che diavolerio!
Dio benedetto!
Arriva una pittoresca carretta dipinta a vari colori e tirata da
un asino che Peppe, in abito da Arlecchino, guida a mano camminando, mentre collo scudiscio allontana i ragazzi. Sulla carretta sul davanti è sdraiata Nedda in un costume tra la
zingara e l’acrobata. Dietro ad essa è piazzata la gran cassa.
Sul di dietro della carretta è Canio in piedi, in costume di Pagliaccio, tenendo nella destra una tromba e nella sinistra la
mazza della gran cassa. I contadini e le contadine attorniano
festosamente la carretta.
LA FOLLA
Evviva! il principe
se’ dei pagliacci!
I guai discacci tu
col lieto umore!
Ognun applaude a’ motti, ai lazzi...
ed ei, ei serio saluta e passa...
Evviva!
7
Pagliacci
CANIO
Grazie!
LA FOLLA
Bravo!
CANIO
Vorrei...
LA FOLLA
E lo spettacolo?
CANIO (picchiando forte e ripetutamente sulla cassa per dominar le voci)
Signori miei!
LA FOLLA (scostandosi e turandosi le orecchie)
Uh! ci assorda! Finiscila!
CANIO (affettando cortesia e togliendosi il berretto con un gesto comico)
Mi accordan di parlar?
LA FOLLA (ridendo)
Con lui si dee cedere,
tacere ed ascoltar!
CANIO
Un grande spettacolo
a ventitré ore
prepara il vostr’umile
e buon servitore!
(riverenza)
Vedrete le smanie
del bravo Pagliaccio;
8
atto primo
e com’ei si vendica
e tende un bel laccio.
Vedrete di Tonio
tremar la carcassa,
e quale matassa
d’intrighi ordirà.
Venite, onorateci
signori e signore.
A ventitré ore!
A ventitré ore!
Tonio si avanza per aiutar Nedda a discendere dal carretto,
ma Canio, che è già saltato giù, gli dà un ceffone.
CANIO
Via di lì!
Poi prende fra le braccia Nedda e la depone a terra
CONTADINE (ridendo, a Tonio)
Prendi questo, bel galante!
RAGAZZI (fischiando)
Con salute!
Tonio mostra il pugno ai Monelli che scappano, poi si allontana
brontolando e scompare sotto la tenda a destra del teatro.
TONIO (a parte)
La pagherai! brigante!
Intanto Peppe conduce l’asino col carretto dietro al teatro
9
Pagliacci
UN CONTADINO (a Canio)
Di’, con noi vuoi tu bevere
un buon bicchiere sulla crocevia?
CANIO
Con piacere.
PEPPE (ricompare di dietro al teatro; getta la frusta, che ha ancora in
mano, dinanzi alla scena e dice)
Aspettatemi...
anch’io ci sto!
(poi entra dall’altro lato del teatro per cambiar costume)
CANIO (gridando verso il fondo)
Di’, Tonio, vieni via?
TONIO (di dentro)
Io netto il somarello. Precedetemi.
UN ALTRO CONTADINO (ridendo)
Bada, Pagliaccio, ei solo vuol restare
per far la corte a Nedda!
CANIO (ghignando, ma con cipiglio)
Eh! Eh! Vi pare?
CANIO
Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo
con me, miei cari; e a Tonio... e un poco a tutti or parlo!
Il teatro e la vita non son la stessa cosa.
E se lassù Pagliaccio sorprende la sua sposa
col bel galante in camera, fa un comico sermone,
poi si calma od arrendesi ai colpi di bastone!...
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atto primo
Ed il pubblico applaude, ridendo allegramente!
Ma se Nedda sul serio sorprendessi... altramente
finirebbe la storia, com’è ver che vi parlo!...
Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo!
NEDDA (a parte)
Confusa io son!
CONTADINI
Sul serio pigli dunque la cosa?
CANIO (un po’ commosso)
Io!?... Vi pare!... Scusatemi!...
Adoro la mia sposa!
(va a baciar Nedda in fronte)
Un suono di cornamusa si fa sentire all’interno; tutti si precipitano verso la sinistra, guardando fra le quinte.
MONELLI (gridando)
I zampognari! I zampognari!
CONTADINI
Verso la chiesa vanno i compari.
Le campane suonano a vespero da lontano
CONTADINI
Essi accompagnano la comitiva
che a coppie al vespero sen va giuliva.
CONTADINE
Ah! Andiam.
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Pagliacci
La campana
ci appella al Signore!
CANIO
Ma poi... ricordatevi!
A ventitré ore!
I zampognari arrivano dalla sinistra in abito da festa con nastri dai colori vivaci e fiori ai cappelli acuminati. Li seguono
una frotta di contadini e contadine ach’essi parati a festa. Il
coro, che è sulla scena, scambia con questi saluti e sorrisi, poi
tutti si dispongono a coppie ed a gruppi, si uniscono alla comitiva e si allontanano, cantando, pel viale del fondo, dietro al
teatro.
CORO
Din don, don, din, don
Din don, suona vespero,
ragazze e garzon,
a coppie al tempio
ci affrettiamo, din don...
din don, diggià i culmini,
il sol vuol baciar.
Le mamme ci adocchiano,
attenti, compar!
Din don, tutto irradiasi
di luce e d’amor!
Ma i vecchi sorvegliano
gli arditi amador!
Din don, suona vespero,
ragazze e garzon,
le squille ci appellano
al tempio, din don...
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