Derivazione del modello circuitale 1

1
Dalla teoria dei campi elettromagnetici alla teoria dei circuiti.
L’argomento di questa lezione riguarda il passaggio dal modello matematico della teoria dei
campi elettromagnetici al modello circuitale. In particolare si studierà come, sotto opportune
ipotesi, le leggi che governano il funzionamento di un circuito elettrico possano essere dedotte
dalle leggi, più generali, dei campi elettromagnetici. Ossia, si vedrà che nel caso di campi
“lentamente variabili” le leggi di Kirchhoff e le relazioni caratteristiche dei singoli componenti
possono essere dedotte dalle leggi di Maxwell e dalle relazioni costitutive dei materiali con cui
sono realizzati i componenti.
1 Il modello elettromagnetico
Detto in un modo semplice, l’elettromagnetismo è lo studio dei fenomeni dovuti alle cariche
elettriche, sia che esse siano ferme o in moto. E’ noto che cariche ferme generano un campo
elettrico e che le cariche in moto danno luogo ad una corrente elettrica che a sua volta genera un
campo magnetico. Si vedrà nel proseguo di questa lezione che nel caso di campi variabili nel
tempo il campo elettrico e il campo magnetico non sono disaccoppiati, ma la variazione del
campo elettrico produce un campo magnetico e viceversa. E’ per questo motivo che si parla di
campi elettromagnetici.
E’ inevitabile quando si parla dei fenomeni elettromagnetici introdurre il concetto di campo. Per
campo di una qualunque grandezza s’intende la distribuzione spaziale di quella grandezza, che
può essere o no funzione del tempo.
Lo studio dell’elettromagnetismo ha lo scopo di spiegare l’interazione elettromagnetica, ossia
l’azione a distanza tra cariche elettriche sia che esse siano ferme o in moto. Ossia, il fine ultimo
dello studio dell’elettromagnetismo è di determinare la forza agente su una carica, sia essa
ferma o in moto, per effetto di tutte le altre cariche, siano esse ferme o in moto, del sistema che
si sta considerando.
Lo studio della teoria dell’elettromagnetismo è di fondamentale importanza per un ingegnere
elettrico ed elettronico perché tramite la sua conoscenza si spiegano diversi fenomeni fisici e il
principio di funzionamento dei dispositivi elettromagnetici.
Derivazione del modello circuitale
1
Pietro Testoni
2
In particolare lo studio della teoria dell’elettromagnetismo può essere eseguito attraverso due
diversi approcci: l’approccio induttivo o l’approccio deduttivo. In entrambi i casi si tratta di
arrivare ad un insieme di leggi che costituiscono il modello matematico del sistema in studio.
L’approccio induttivo permette di elaborare questo modello matematico seguendo lo sviluppo
storico della teoria dell’elettromagnetismo e quindi a partire dalle diverse scoperte che si sono
succedute negli ultimi secoli in ordine cronologico. Considerando i risultati di osservazioni
sperimentali si è arrivati a delle leggi che permettono di descrivere i fenomeni fisici osservati e
si sono poi dedotte delle leggi di validità generale.
L’approccio che noi invece seguiremo è quello deduttivo o assiomatico che consiste nel
postulare alcune relazioni fondamentali di validità generale che sono considerate degli assiomi,
ossia delle leggi di natura, e a partire da essi dedurre caso per caso delle relazioni che valgono
per il particolare caso in studio.
Seguiremo questo approccio perché fornisce una maniera più elegante, concisa e ordinata di
studiare i fenomeni elettromagnetici. In particolare costruiremo il nostro modello matematico
seguendo i tre passi seguenti:
1) definizione delle grandezze fisiche coinvolte nei fenomeni elettromagnetici;
2) definizione delle regole matematiche con le quali queste grandezze possono essere
elaborate;
3) definizione dei postulati fondamentali tra le grandezze fisiche.
1.1 Le grandezze del modello elettromagnetico
Le grandezze del modello elettromagnetico possono essere classificate in due categorie:
1) grandezze sorgente
2) grandezze di campo.
Abbiamo gia detto che le grandezze sorgente sono le cariche elettriche ferme o in moto. La
carica elettrica è una proprietà fondamentale della materia e può trovarsi sotto due forme
diverse, convenzionalmente indicate con positiva e negativa. In particolare la carica elettrica si
trova in natura sotto forma di multipli interi della carica dell’elettrone:
e=1,6 . 10-19 C
Il Coulomb è l’unità di misura della carica elettrica nel SI. Per la carica elettrica vale il principio
di conservazione che afferma che la carica non può essere ne creata ne distrutta. Il principio di
Derivazione del modello circuitale
2
Pietro Testoni
3
conservazione della carica elettrica è una legge di natura, un assioma, per il quale non è mai
stata dimostrata la sua inattendibilità. Vedremo in seguito come da questo principio sia possibile
derivare la legge di continuità della densità di corrente.
Dal punto di vista microscopico, considerata la struttura atomica della materia, la carica elettrica
esiste solo in punti discreti dello spazio. Quando si considerano gli effetti sui campi
elettromagnetici dovuti ad una distribuzione spaziale di carica elettrica, non è conveniente
riferirsi alla struttura microscopica della materia, ma è piuttosto utile considerare una
distribuzione continua di carica e definire la densità volumetrica di carica.
Definiamo quindi la grandezza sorgente densità volumetrica di carica, come:
ρ = lim
∆v → 0
∆q
∆v
C
m3
come si può notare la densità volumetrica di carica è una grandezza scalare ed è definita come il
rapporto per ∆v che tende a zero della quantità di carica ∆q contenuta all’interno di ∆v diviso
per il volume stesso.
Molto spesso capita di dover considerare delle distribuzioni superficiali o lineari di carica
elettrica e di dover quindi parlare di densità superficiale o lineare di carica. Solitamente, a meno
che la sua distribuzione non sia uniforme, la densità di carica è una funzione del punto nello
spazio.
Tutto quanto detto vale per le cariche ferme, ma si è detto che anche le cariche in moto
producono degli effetti sui campi elettromagnetici. E’ noto che il moto di cariche elettriche
produce una corrente elettrica che può essere cosi definita:
I = lim
∆t → 0
∆q C
,A
∆t s
ossia è la quantità di carica che attraversa una data superficie nell’unità di tempo. Si capisce
pertanto che la corrente elettrica non è una funzione del punto nello spazio perché la sua
definizione è legata ad una superficie. E’ invece conveniente definire una grandezza sorgente
funzione del punto; a tale proposito si definisce la densità volumetrica di corrente di conduzione
come una grandezza vettoriale avente come modulo il rapporto tra la corrente che attraversa
l’unità di superficie normale alla direzione del flusso di corrente e che ha come direzione e
verso quello del flusso di corrente. Molto spesso, per applicazioni in alta frequenza e buoni
conduttori, le correnti sono confinate in uno strato superficiale dei conduttori e si parla in questo
caso di densità superficiale di corrente. Il termine densità di corrente di conduzione nasce dal
fatto che essa è legata al moto delle cariche elettriche libere di, si vedrà in seguito che esiste una
altra densità di corrente chiamata di spostamento.
Oltre alle due grandezze sorgente esistono quattro grandezze di campo, esse sono:
Derivazione del modello circuitale
3
Pietro Testoni
4
E
V 
 m  vettore campo elettrico,
C 
D  2  vettore spostamento elettrico.
m 
B [T ] vettore densità di flusso magnetico o induzione magnetica,
 A
H   vettore campo magnetico,
m
Si vedrà meglio in seguito il significato fisico di queste grandezze, si noti intanto che sono tutte
grandezze vettoriali. Il campo elettrico è l’unica grandezza necessaria per studiare il campo
elettrostatico nel vuoto, quando si ha la presenza di dielettrici bisogna invece introdurre un’altra
grandezza: il vettore spostamento elettrico. Allo stesso modo, per problemi di magnetostatica
nel vuoto l’unica grandezza da considerare è il vettore densità di flusso magnetico e in presenza
di materiali ferromagnetici bisognerà introdurre anche il vettore campo magnetico.
Nel nostro modello matematico oltre alle grandezze di campo e sorgente sono definite tre
costanti fondamentali, che sono legate alle proprietà dello spazio vuoto. Esse sono: la velocità
della luce nel vuoto, la permeabilità magnetica e la permittività dielettrica dello spazio vuoto.
La velocità della luce nel vuoto è approssimativamente pari a:
c 3 ⋅108
m
s
Le altre due costanti fondamentali si riferiscono a fenomeni elettrici e magnetici nello spazio
vuoto. In particolare la permeabilità magnetica del vuoto esprime il legame tre il vettore B e il
vettore H nel vuoto, secondo la relazione:
B = µ0 H
mentre la permittività dielettrica del vuoto esprime il legame tre il vettore D e il vettore E nel
vuoto, secondo la relazione:
D = ε0E
Il valore delle due costanti è il seguente:
µ0 = 4π ⋅10−7
H
e ε 0 8,8 ⋅10 −12
m
F
m
1.2 Le operazioni matematiche tra grandezze del modello
Si è visto che molte delle grandezze che definiscono il modello matematico
dell’elettromagnetismo sono grandezze vettoriali, altre invece sono scalari. Tutte queste
grandezze solitamente variano sia in funzione del tempo che del punto dello spazio considerato.
Derivazione del modello circuitale
4
Pietro Testoni
5
Le operazioni che quindi saranno necessarie per trattare queste grandezze sono quelle del
calcolo vettoriale e del calcolo differenziale. In particolare, qui di seguito, si farà un richiamo
sugli operatori differenziali e su alcuni teoremi degli integrali contenti operatori differenziali.
1.2.1 Gli operatori differenziali
Gradiente di un campo scalare
L’operatore gradiente si applica ad una funzione scalare e restituisce una funzione vettoriale.
Considerato un sistema di riferimento cartesiano e definiti i versori uˆ x , uˆ y , uˆ z rispettivamente
degli assi x, y e z, è possibile definire un operatore vettoriale (nabla) ∇ :
∇ = uˆ x
∂
∂
∂
+ uˆ y
+ uˆ z
∂x
∂y
∂z
In questo sistema di riferimento il gradiente si esprime come:
gradf = ∇f = uˆ x
∂f
∂f
∂f
+ uˆ y
+ uˆ z
∂z
∂x
∂y
Divergenza di un campo vettoriale
L’operatore divergenza si applica ad una funzione vettoriale e restituisce una funzione scalare.
In un sistema di riferimento cartesiano la funzione vettoriale può essere espressa come:
f = uˆx f x + uˆ y f y + uˆz f z
e sempre facendo riferimento all’operatore ∇ la divergenza della funzione vettoriale f si
esprime in un sistema di riferimento cartesiano ortogonale come:
∂f
∂f y ∂f z
divf = ∇ ⋅ f = x +
+
∂x ∂y ∂z
Rotore di un campo vettoriale
L’operatore rotore si applica ad una funzione vettoriale e restituisce una funzione vettoriale.
Facendo uso dell’operatore vettoriale ∇ il rotore può essere espresso come il risultato di un
prodotto vettoriale:
uˆx
∂
rotf = ∇× f =
∂x
fx
uˆ y
∂
∂y
fy
Derivazione del modello circuitale
uˆz
∂
∂z
fy
5
Pietro Testoni
6
Teorema della divergenza
Il teorema della divergenza afferma che l’integrale della divergenza del vettore f esteso ad
volume V è uguale al flusso dello stesso vettore uscente dalla superficie chiusa che racchiude il
volume:
∫ ∇ ⋅ fdv =
v
∫ f ⋅ ds
S
Teorema di Stokes
Il teorema di Stokes afferma che l’integrale superficiale del rotore di un campo vettoriale f su
una superficie aperta è uguale all’integrale lineare del vettore lungo
la linea chiusa che
delimita il contorno della superficie stessa:
∫ ∇ × f ⋅ ds = ∫ f ⋅ dl
S
l
Le identità vettoriali
I identità
rot (grad (V)) = ∇ × ( ∇ V) ≡ 0
Il rotore del gradiente di una qualunque funzione scalare e’ zero. Questa identita’ ci permette di
affermare che se un campo vettoriale e’ a rotore nullo esso puo’ essere espresso come il
gradiente di un campo scalare. Pertanto se esiste un vettore E tale che il suo rotore sia nullo
∇ × E = 0 e’ possibile definire lo scalare V tale che E = -∇V . Un campo vettoriale
conservativo, ossia a rotore nullo, puo’ sempre essere espresso come il gradiente di una
funzione scalare.
II identità
div (rot A) = ∇ ⋅ ∇ × A ≡ 0
La divergenza del rotore di una qualunque funzione vettoriale e’ zero. Questa identita’ ci
permette di affermare che se un campo vettoriale e’ a divergenza nulla esso puo’ essere
espresso come il rotore di un altro campo vettoriale. Pertanto se esiste un vettore B tale che la
sua divergenza sia nulla ∇ ⋅ B = 0 e’ possibile definire un altro vettore A tale che B = ∇ × A .
Derivazione del modello circuitale
6
Pietro Testoni
7
1.3 Equazioni di Maxwell e regioni di definizione
Si può a questo punto illustrare il terzo e ultimo passo dell’approccio deduttivo della teoria
dell’elettromagnetismo. Si tratta di introdurre i postulati fondamentali per lo studio delle
relazioni tra le grandezze sorgente e le grandezze di campo dei campi elettromagnetici. Le
equazioni fondamentali che governano tutta la teoria dei campi elettromagnetici sono solo
quattro e sono chiamate equazioni di Maxwell.
Il campo elettromagnetico interessa solitamente dei mezzi materiali (conduttori, isolanti,
materiali ferromagnetici, etc), risulta quindi conveniente rappresentare i possibili domini di
applicazione delle equazioni di Maxwell. Tali domini possono essere convenientemente
rappresentati come nella figura seguente:
SB
SH
Ωo ε o
µ o js
Ω2 σ2
µ 2 j s2
Ω1 µ 1
Mo
S2
S1
So
Fig. 1.1 Domini di applicazione eq. di Maxwell
In essa si possono individuare le tre regioni:
-
Ωo : è la regione dove è definito il campo, è delimitata dalla superficie So che può anche
estendersi all’ infinito. E’ caratterizzata dalla permeabilità µ o, dalla permittività ε o, mentre
con js si sono indicate eventuali sorgenti di corrente.
-
Ω1 : è la regione “ferromagnetica” dove esiste un materiale con permeabilità diversa da µ o ed
eventualmente una magnetizzazione residua Mo, è delimitata dalla superficie S1.
-
Ω2 : è la regione conduttrice dove è definito il materiale che oltre ad avere una permeabilità µ 2 e
una permittività ε 2 , ha anche una conducibilità σ2 ed è sede di correnti js2.
Per esempio, nel caso di un trasformatore la regione di tipo Ω1 è quella del nucleo ferromagnetico,
la regione di tipo Ω2 è quella degli avvolgimenti, la regione di tipo Ωo è l’aria che racchiude le altre
regioni e js è la corrente impressa dall’avvolgimento primario.
Derivazione del modello circuitale
7
Pietro Testoni
8
Fig. 1.2 Trasformatore
Nello sviluppo del modello matematico dell’elettromagnetismo si procederà per passi e si
incomincerà ad introdurre le equazioni di Maxwell per il solo caso stazionario, dopodiché si vedrà
quali modifiche apportare alle stesse equazioni perché esse siano valide anche per il regime
variabile.
1.3.1
Le equazioni di Maxwell in regime stazionario
In regime stazionario, quando tutte le grandezze elettromagnetiche sono costanti al variare
del tempo, le equazioni di Maxwell non contengono alcun termine di derivata rispetto al tempo ed
esse assumono la forma semplificata:
∇× H = J
∇×E = 0
∇⋅B = 0
∇⋅D = ρ
[1.3.1.1]
[1.3.1.2]
[1.3.1.3]
[1.3.1.4]
Le prime due equazioni coinvolgono l’operatore rotore, le altre due sono le equazioni della
divergenza. La prima dice che il campo magnetico ha rotore diverso da zero, mentre il campo
elettrico è irrotazionale. La terza esprime il fatto che il campo B è solenoidale, mentre il vettore
D ha divergenza diversa da zero.
Si deve inoltre considerare la legge di conservazione della carica elettrica: la carica elettrica non
può essere ne creata, ne distrutta. Si consideri un volume V delimitato da una superficie S e si
supponga che in un fissato istante t esista all’interno di S una certa carica Q, se una certa corrente I
fuoriesce dalla superficie S la carica all’interno della superficie stessa deve diminuire secondo la
legge
Derivazione del modello circuitale
8
Pietro Testoni
9
∂Q
∂
I = ∫ J ⋅ ds = −
= − ∫ ρ dV
∂t
∂t V
S
ricordando che la corrente che esce dalla superficie S può essere espressa come il flusso della
densità di corrente attraverso la superficie.
Applicando il teorema della divergenza si ottiene:
∂ρ
∫ ∇ ⋅ JdV = − ∫ ∂t dV
V
V
Questa relazione deve valere per qualunque volume e quindi anche in forma puntuale:
∂ρ
∇⋅J = −
∂t
La relazione appena scritta è nota come equazione di continuità della densità di corrente e nel caso
stazionario può essere semplificata nella:
∇⋅J = 0
[1.3.1.5]
Oltre alle equazioni precedenti, si considerano anche le relazioni costitutive che consentono di
legare, tramite un legame di causa ed effetto, i fenomeni elettromagnetici tramite le proprietà dei
materiali:
B = µH
D =εE
J =σE
[1.3.1.6]
[1.3.1.7]
[1.3.1.8]
Non sempre il legame tra le diverse grandezze è lineare e non sempre si ha a che fare con materiali
omogenei ed isotropi.
Si può notare che nel caso stazionario il vettore campo elettrico E assieme al vettore spostamento
elettrico D formano una coppia indipendente rispetto alla coppia formata dal vettore densità di
flusso magnetico B e dal vettore campo magnetico H . In altre parole i vettori del campo elettrico e
quelli del campo magnetico non sono tra loro in relazione. La densità di carica elettrica da origine
ad un campo elettrico che a sua volta può dare origine in un mezzo conduttore ad una corrente
elettrica che è la causa del campo magnetico. Quindi nel caso stazionario il campo elettrico e il
campo magnetico possono coesistere, ma non si influenzano vicendevolmente. Il campo elettrico
può essere univocamente determinato a partire dalla distribuzione di carica e il campo magnetico è
solo una conseguenza del campo elettrico che genera una corrente elettrica.
Le equazioni appena scritte sono delle relazioni puntuali perché valgono per ciascun punto dello
spazio. Esse sono dette essere in forma differenziale appunto perché coinvolgono gli operatori
Derivazione del modello circuitale
9
Pietro Testoni
10
differenziali rotore e divergenza. Solitamente si è interessati nel valutare il campo dovuto ad un
aggregato di cariche o a una certa corrente, ciò è possibile se si considerano le stesse equazioni in
forma integrale anziché differenziale. E’ infatti possibile integrando le equazioni di Maxwell in
forma differenziale su una superficie aperta o su un volume arrivare alla loro corrispondente forma
integrale:
H
∫ ⋅ dl = I
[1.3.1.9]
C
∫ E ⋅ dl
=0
[1.3.1.10]
∫ B ⋅ ds = 0
[1.3.1.11]
C
S
D
∫ ⋅ ds = Q
[1.3.1.12]
S
Ed anche
∫ J ⋅ ds = 0
[1.3.1.13]
S
Le prime due sono le equazioni della circuitazione rispettivamente del campo magnetico e del
campo elettrico.
La prima equazione dice che l’integrale di H lungo la linea chiusa C è pari alla corrente con essa
concatenata. Questa equazione, che è nota come legge di Ampere, è molto utile quando è possibile
individuare un percorso chiuso lungo il quale il campo magnetico è costante e tangente al percorso
stesso.
La seconda equazione dice che l’integrale di E lungo una qualunque linea chiusa C è nullo, che è
anche un modo per dire che il campo elettrostatico è conservativo. Risulta infatti facile a partire da
questa equazione dimostrare che l’integrale del campo elettrico lungo un percorso che unisce due
punti, non dipende dal particolare percorso seguito, ma solo dagli estremi del percorso.
Le ultime due equazioni sono note con le leggi di Gauss del campo magnetico e del campo elettrico
rispettivamente.
La terza equazione esprime il fatto che il flusso di B attraverso una qualunque superficie chiusa S è
zero e che quindi le linee di campo magnetico sono sempre delle linee chiuse.
L’ultima equazione ci dice che il flusso di D attraverso una qualunque superficie chiusa S eguaglia
la carica Q all’interno del volume racchiuso dalla superficie stessa. Questa equazione consente in
Derivazione del modello circuitale
10
Pietro Testoni
11
maniera semplice di determinare il vettore spostamento elettrico se si riesce ad individuare una
superficie chiusa tale che il vettore spostamento elettrico sia uniforme in ogni punto della superficie
e sia diretto perpendicolarmente alla superficie stessa. Una superficie cosi fatta è chiamata
Gaussiana.
Nell’ipotesi di regime stazionario dalla equazioni di Maxwell e dalle equazioni costitutive è
possibile determinare senza approssimazioni il funzionamento di un circuito e quindi le equazioni
del modello circuitale.
La prima legge di Kirchhoff, detta anche legge delle correnti, può essere ricavata facilmente dalla
equazione [1.3.1.13]. Basta infatti considerare (Fig. 1.3) una superficie chiusa S che racchiude il
nodo A di un circuito in cui confluiscono per esempio tre rami.
I1
S
I3
I2
A
Fig. 1.3
La sola corrente che esce dalla superficie S è quella nei rami, risulta quindi facile scrivere dalla
equazione [1.3.1.13]:
3
∑I
i =1
i
= − I1 + I 2 + I 3 = 0
[1.3.1.14]
ossia la somma algebrica delle correnti uscenti dal nodo è nulla.
La seconda legge di Kirchhoff, detta anche legge delle tensioni, può essere ricavata facilmente dalla
equazione [1.3.1.10]. In regime stazionario il campo elettrico è irrotazionale, cioè ∇ × E = 0 e può
dunque essere espresso attraverso il gradiente di un potenziale che è chiamato potenziale scalare
elettrico:
E = −∇ϕ
[1.3.1.15]
infatti, per una qualunque funzione scalare ϕ sufficientemente differenziabile vale sempre la
relazione vettoriale ∇ × ∇V = 0 .
La tensione elettrica tra due punti A e B e si può definire come l’integrale del campo elettrico lungo
il percorso L che congiunge i due punti:
Derivazione del modello circuitale
11
Pietro Testoni
12
V ALB =
∫
E ⋅ dl
[1.3.1.16]
ALB
Sostituendo l’espressione del campo elettrico in funzione del potenziale si trova che:
V ALB = ∫ E ⋅ dl = ϕ ( B ) − ϕ ( A)
[1.3.1.17]
ALB
e quindi che nel caso del campo elettrostatico la tensione tra due punti è indipendente dal percorso
che unisce i due punti, ma dipende solo dai suoi punti estremi. Tale fatto era gia stato accennato
quando si erano introdotte le equazioni di Maxwell.
Considerata, dunque, una maglia chiusa e indicate con V le tensioni applicate ai capi di ciascun
componente, si può scrivere dalla [1.3.1.10]:
4
∑V
i =1
i
= V1 + V 2 + V 3 + V 4 = 0
[1.3.1.18]
V1
V2
V4
V3
Fig. 1.4
Ossia la somma algebrica delle cadute di potenziale lungo una maglia è nulla.
Nel caso di regime stazionario è dunque facile dimostrare l’esistenza di bipoli definiti come dei
sistemi delimitati da una superficie chiusa (limite) che comunicano con l’esterno attraverso due
terminali che terminano su due morsetti e che godono delle seguenti proprietà:
1. la corrente entrante in un morsetto è uguale a quella uscente dall’altro.
2. la tensione tra i morsetti non dipende dal particolare percorso seguito.
Partendo da questa definizione si può dunque costruire il concetto di rete di bipoli e una teoria
completa delle reti che soddisfano alle leggi di Kichhoff.
Derivazione del modello circuitale
12
Pietro Testoni
13
1.3.2
Le equazioni di Maxwell in regime dinamico
Nel caso dinamico, ossia nel caso in cui le grandezze del modello elettromagnetico variano
nel tempo, le leggi viste per il caso statico devono essere modificate per tenere conto del fatto che i
campi elettrico e magnetico non sono disaccoppiati, ma si influenzano vicendevolmente. In regime
dinamico, un campo elettrico variabile nel tempo da luogo ad un campo magnetico e viceversa.
In regime dinamico l’equazione ∇ × E = 0 [1.3.1.2] deve essere modificata nella seguente maniera:
dB
∇× E = −
[1.3.2.1]
dt
Da questa equazione si evince che in presenza di un campo magnetico variabile nel tempo il campo
elettrico non è conservativo in quanto non può essere espresso come il gradiente di una funzione
scalare.
Anche in questo caso è possibile scrivere la corrispondente equazione in forma integrale, integrando
la [1.3.2.1] su una qualsiasi superficie aperta:
dΦ
C∫ E ⋅ dl = − dt
[1.3.2.2]
Questa relazione è nota come legge di Faraday ed afferma che la forza elettromotrice (la tensione)
indotta in un circuito chiuso eguaglia la variazione nel tempo, cambiata di segno, del flusso
magnetico concatenato con il circuito stesso. La variazione nel tempo del flusso concatenato è
riferita al caso più generale di un circuito che si muove in un campo magnetico variabile nel tempo,
ma vale anche per i casi particolari di un circuito fermo in presenza di un campo magnetico
variabile nel tempo e di un circuito che si muove in un campo magnetico stazionario. Il segno meno
che compare nell’equazione si spiega con la legge di Lentz secondo la quale in un circuito chiuso la
fem indotta è tale da generare una corrente indotta che ha verso tale da opporsi alla causa (alla
variazione di flusso magnetico) che la ha generata.
Si tratta ora di vedere se anche l’altra equazione [1.3.1.1] scritta per il regime stazionario che
coinvolge il rotore del campo magnetico ( ∇ × H = J ) debba essere modificata o meno. Si noti che il
sistema delle equazioni di Maxwell deve essere consistente (deve verificare) l’equazione di
∂ρ
continuità della densità di corrente ∇ ⋅ J = −
, che come si è visto discende dal postulato di
∂t
conservazione della carica elettrica.
Derivazione del modello circuitale
13
Pietro Testoni
14
Si noti che se si considera la divergenza di entrambi i membri della [1.3.1.1] e si tiene conto che per
un qualunque vettore C sufficientemente derivabile vale la relazione vettoriale ∇ ⋅ (∇ × C ) = 0 , si
ottiene:
∇ ⋅∇ × H = ∇ ⋅ J = 0
che sicuramente, nel caso dinamico, non soddisfa l’equazione di continuità della densità di corrente.
Si tratta quindi di modificare la [1.3.1.1] in maniera tale che in regime variabile essa sia consistente
con l’equazione di continuità della densità di corrente aggiungendogli il termine della derivata del
vettore spostamento elettrico:
∂D
∇× H = J +
∂t
[1.3.2.3]
∂D
E’ facile notare che il termine
ha le dimensioni di una densità di corrente e prende il nome di
∂t
densità di corrente di spostamento
Si nota che in questo caso, considerando la divergenza di entrambi i termini della [1.3.2.3]
l’equazione di continuità risulta verificata:
∂D
∇ ⋅∇ × H = 0 = ∇ ⋅ ( J +
)
∂t
da cui:
∂∇ ⋅ D
∂ρ
∇⋅J = −
=−
∂t
∂t
L’equazione [1.3.2.3] è nota come equazione di Ampere-Maxwell e lega il rotore del campo
magnetico alla densità di corrente, sia essa di conduzione o di spostamento. Essa esprime il fatto
che un campo elettrico variabile nel tempo produce un campo magnetico, anche quando la densità
di corrente di conduzione è nulla.
E’ possibile esprimere la [1.3.2.3] in forma integrale integrandola su una superficie aperta:
∂D [1.3.2.4]
∫ H ⋅ dl = I + ∫S ∂t ⋅ dS
C
dalla quale si evince che l’integrale di H lungo la linea chiusa C è pari alla corrente con essa
concatenata, sia essa corrente di conduzione o corrente di spostamento.
Per capire meglio quanto appena affermato, si consideri un semplice circuito elettrico costituito da
un generatore ideale di tensione alternata connesso in serie ad un condensatore. Si può considerare
un percorso chiuso C ed applicare la [1.3.2.4]. Si è liberi di scegliere una qualunque superficie S che
abbia come contorno C. Si potrebbe considerare la superficie piana S1 che si appoggia su C e notare
Derivazione del modello circuitale
14
Pietro Testoni
15
che questa superficie è attraversata dalla corrente di conduzione i. Si potrebbe però considerare la
superficie S2 che passa tra le armature del condensatore e notare che questa superficie non taglia
nessun conduttore e quindi non è attraversata da alcuna corrente di conduzione. Sappiamo però che
il campo elettrico oscillante nel tempo genera una corrente di spostamento che per [1.3.2.4]
eguaglia quella di conduzione.
C
S1
i
S2
Fig. 1.5
1.4 Dalle equazioni di Maxwell a quelle dei circuiti
Riepilogando le quattro equazioni di Maxwell sono:
∂D
∇× H = J +
∂t
dB
∇× E = −
dt
∇⋅B = 0
∇⋅D = ρ
e le corrispondenti in forma integrale:
∂D ∫ H ⋅ dl = I + ∫S ∂t ⋅ dS
C
∫ E ⋅ dl
=−
C
[1.3.2.3]
[1.3.2.1]
[1.3.1.3]
[1.3.1.4]
[1.3.2.4]
dΦ
dt
[1.3.2.2]
B
∫ ⋅ ds = 0
[1.3.1.11]
S
∫ D ⋅ ds = Q
[1.3.1.12]
S
Derivazione del modello circuitale
15
Pietro Testoni
16
Uno dei due di questi insiemi di equazioni, assieme alle equazioni di continuità, possono essere
utilizzate per spiegare e predire tutti i fenomeni elettromagnetici.
Si è detto che in regime stazionario è facile costruire una teoria completa delle reti che discenda
direttamente dalle equazioni di Maxwell particolarizzate per il caso stazionario.
Il problema nasce quando si ha a che fare con grandezze elettromagnetiche che variano nel tempo,
perchè in questo caso le leggi di Kirchhoff non sono piu’ leggi esatte, ma solo approssimate. In
regime dinamico la presenza del termine che coinvolge il vettore spostamento elettrico nella
[1.3.2.3]
 ∂D 
=0
∇ ⋅  J +
∂t 

[1.3.2.5]
fa si che il campo densità di corrente di conduzione non sia piu’ solenoidale.
La presenza della derivata del campo magnetico nella:
dB
∇× E = −
dt
[1.3.2.1]
fa si che il campo elettrico non sia piu’ irrotazionale e quindi non sia piu’ possibile confondere
tensioni e differenze di potenziale.
Si analizzino piu’ in dettaglio questi due fatti: si consideri il sistema delimitato da una superficie
limite che è accessibile solo tramite i due morsetti agli estremi dei due terminali.
I1
S
I2
Fig. 1.6
Se si suppone di considerare una superficie chiusa che racchiuda la superficie limite del sistema e
che tagli i suoi due terminali, avremo che la corrente entrante in un morsetto differirà da quella
uscente nell’altro del termine dipendente dal vettore spostamento elettrico che compare nella:
(
∂
∇⋅J = − ∇⋅D
∂t
)
Derivazione del modello circuitale
[1.3.2.5]
16
Pietro Testoni
17
ossia:
∂D
I1 − I 2 = ∫
⋅ dS
∂t
S
Analogamente, le tensioni lungo due linee che congiungono i due morsetti A e B del sistema
differiranno del termine proporzionale alla variazione di campo magnetico attraverso la superficie
delimitata dalle due linee.
A
L2
L1
B
Fig. 1.7
Si potrà allora scrivere:
∂B
V1 − V2 = ∫
⋅ dS
∂t
SL
In conclusione, le condizioni che dovranno essere rispettate perchè anche in regime dinamico un
sistema possa essere trattato, in una certa approssimazione, come un bipolo sono:
∂D
I >> ∫
⋅ dS
∂t
S
[1.4.1]
e
∂B
V >> ∫
⋅ dS
∂t
SL
[1.4.2]
Ossia il sistema potrà essere considerato con buona approssimazione un bipolo se la corrente
circolante in uno dei due morsetti risulterà essere molto maggiore del flusso attraverso la superficie
chiusa S del vettore spostamento elettrico e se la tensione misurata lungo un qualunque percorso
congiungente i suoi due morsetti è molto maggiore del termine legato alla variazione del flusso
concatenato. Si tratta di vedere quando queste condizioni siano verificate. Si vedrà che è ancora
possibile usare le equazioni di Kirchhoff quando le variazioni temporali delle grandezze elettriche e
magnetiche sono sufficientemente lente rispetto ai tempi di propagazione elettromagnetica. In
questa situazione molti problemi di campo lentamente variabile possono essere risolti attraverso
delle approssimazioni a partire da un regime stazionario.
Derivazione del modello circuitale
17
Pietro Testoni
18
Si tratta per prima cosa di capire cosa si intende per regime lentamente variabile. Senza perdere di
generalità si può pensare a grandezze elettromagnetiche che variano nel tempo con legge armonica
ad una certa frequenza. Ricordiamo che è sempre possibile rappresentare leggi piu’ complicate di
variazioni delle grandezze attraverso la somma di funzioni sinusoidali.
Si dice che una grandezza elettrica varia ”lentamente” nel tempo quando gli effetti dei ritardi sono
trascurabili, ossia quando si fa l’ipotesi che i campi si propaghino istantaneamente nel circuito.
Questa ipotesi dipende sia dalle dimensioni geometriche del circuito che dalla frequenza di
variazione della grandezza elettrica. Si tratta allora di considerare il rapporto tra la dimensione
caratteristica del circuito e la lunghezza d’onda della grandezza elettrica interessata.
Si supponga di considerare un circuito la cui massima dimensione è Lc=10 cm e si supponga che
questo circuito sia immerso in un campo variabile con frequenza f=50 Hz, o che le grandezze
tensione e corrente abbiano quella frequenza.
Si trova che la lunghezza d’onda della grandezza elettrica o magnetica corrispondente è
λ=
c 3 ⋅ 10 8 [ m / s ]
=
= 6000km
f
50[1 / s ]
Si ha pertanto Lc<<λ ed in un qualunque istante si può considerare la grandezza considerata avente
lo stesso valore in un qualunque punto del circuito. E’ per questo motivo che il circuito è definito a
parametri concentrati. L’aggettivo “concentrati” indica che le dimensioni fisiche del circuito sono
sufficientemente piccole da potere ritenere che il campo elettromagnetico si propaghi attraverso il
circuito in modo istantaneo.
Se invece si considera una lunga linea di trasmissione in alta tensione (Lc=2000 km), considerando
sempre una frequenza di f=50 Hz si ha che Lc e λ avranno stesso ordine di grandezza ed allora il
modello della linea sarà chiamato a parametri distribuiti. Si avrà infatti che in un determinato
istante il valore della tensione in due punti della linea tra loro distanti potrà essere diverso.
Fig. 1.8
Derivazione del modello circuitale
18
Pietro Testoni
19
Molti problemi di campo lentamente variabile possono essere trattati e risolti attraverso delle
approssimazioni a partire da un regime stazionario. Il modello stazionario da cui partire dipende
dal sistema fisico in esame. In particolare si possono avere tre situazioni distinte di regime
stazionario:
1. Il campo magnetico tende a zero e il campo elettrico è diverso da zero.
2. Il campo elettrico tende a zero e il campo magnetico è diverso da zero.
3. Sia il campo elettrico che il campo magnetico sono diversi da zero.
Il primo caso è quello dell’elettrostatica, infatti non essendoci campo magnetico il campo di
corrente deve essere nullo. Quindi tra i conduttori dovrà esserci un dielettrico perfetto che
impedisca il passaggio della corrente di conduzione. Il nostro sistema sembra dunque avere le
caratteristiche di un condensatore.
Il secondo caso è quello della magnetostatica e non dovendoci essere campo elettrico la corrente
dovrà circolare in conduttori perfetti. Quindi all’interno del sistema in esame dovrà esistere un
percorso tra un morsetto e l’altro. Il nostro sistema sembra dunque avere le caratteristiche di un
induttore.
Il terzo caso è quello del campo stazionario di corrente in cui si ha un campo elettrico che genera
una corrente che circola in conduttori con resistività finita. Il fatto che la corrente di conduzione sia
diversa da zero implica la presenza di un conduttore, il fatto che si abbia anche un campo elettrico
implica che il conduttore non sia perfetto. Il nostro sistema sembra dunque avere le caratteristiche di
un resistore.
Il funzionamento di molti dispositivi elettromagnetici è descritto adeguatamente, anche se non
in maniera esatta, a partire da uno dei modelli stazionari che abbiamo illustrato anche
quando sia ha la presenza di grandezze lentamente variabili.
1.4.1 Regime quasi stazionario elettrico
Nel caso 1 si dimostra che anche considerando delle grandezze lentamente variabili gli
effetti dovuti al termine che coinvolge il vettore spostamento elettrico dell’equazione di AmpereMaxwell non possono essere trascurati. Possono invece essere trascurati i termini che coinvolgono
la derivata del campo magnetico dell’equazione di Faraday.
Questo modello prende il nome di modello quasi stazionario elettrico. Le equazioni che
caratterizzano questo modello sono:
∇×E = 0
(
[1.3.1.1]
)
∂
∂ρ
∇⋅J = − ∇⋅D = −
∂t
∂t
Derivazione del modello circuitale
[1.3.1.2]
19
Pietro Testoni
20
Possiamo allora pensare ad un sistema in cui la tensione tra i morsetti è indipendente dal percorso
seguito perchè risulta verificata la [1.4.3], ma ancora non possiamo affermare che le correnti
circolanti nei due terminali siano uguali ed opposte. Per esempio riferiamoci al sistema
condensatore (Fig 1.9). Se si considera una superficie chiusa che taglia un morsetto e il dielettrico
allora i due termini della [1.4.1] hanno lo stesso ordine di grandezza e la disequazione stessa non
risulta verificata. In questo caso infatti integrando la [1.4.5] sulla superficie S si ottiene:
∂Q
∂D
I1 = ∫
⋅ dS =
∂t
∂t
S
I1
S
I2
Fig. 1.9
Se però si racchiude il sistema con una superficie limite, che caratterizza la dimensione complessiva
del sistema, e ci si limita a considerare superfici S che taglino solo i morsetti del sistema e che siano
esterne a quella superficie si ottiene che anche la seconda disuguaglianza è soddisfatta. Infatti in
quest’ultimo caso la variazione di carica totale all’interno della superficie è nulla e quindi risulta:
∂D
∂Q
I1 − I 2 = ∫
⋅ dS =
=0
∂t
∂t
S
I1
S
I2
Fig. 1.10
Si può dunque determinare la caratteristica elettrica, cioè il legame tensione-corrente, del
condensatore. Se si considera il caso della Fig. 1.9, si è trovato che la I è proporzionale alla derivata
Derivazione del modello circuitale
20
Pietro Testoni
21
del campo elettrico. D’altra parte il campo elettrico è proporzionale alla tensione ai morsetti. Quindi
la corrente risulterà proporzionale alla derivata della tensione.
∂E ∂V
I∝
∝
∂t
∂t
ovvero:
I =C
1.4.2
∂V
∂t
Regime quasi stazionario magnetico
Nel caso 2 si dimostra che anche considerando delle grandezze lentamente variabili gli
effetti dovuti al termine che coinvolge la derivata del campo magnetico dell’equazione di Faraday
non possono essere trascurati. Possono invece essere trascurati i termini del vettore spostamento
elettrico dell’equazione di Ampere-Maxwell. Questo modello prende il nome di modello quasi
stazionario magnetico. Le equazioni che caratterizzano questo modello sono:
dB
∇× E = −
dt
∇× H = J
[1.3.2.1]
[1.3.2.2]
In questo caso la condizione [1.4.1] sulle correnti è certamente verificata infatti la [1.4.2.3] è
verificata per qualunque superficie chiusa che tagli il conduttore. Invece non si può ancora dire che
la tensione tra i morsetti sia indipendente dal percorso seguito e quindi che sia verificata la [1.4.2].
Se ci si riferisce al sistema induttore (Fig 1.11), si capisce che la tensione indotta per la legge di
Faraday-Newman
dΦ
E
C∫ ⋅ dl = − dt
[1.3.2.2]
lungo un percorso chiuso che si sviluppa in parte all’interno Li dell’avvolgimento e in parte
all’esterno Le dipende dal particolare percorso chiuso.
I1
Li
Le
I2
Fig. 1.11
Derivazione del modello circuitale
21
Pietro Testoni
22
Se però si fa in modo che il percorso Li attraverso il quale è calcolato il flusso si appoggi sulla
superficie limite del sistema e se si suppone che per ragioni costruttive il flusso al di fuori della
superficie limite sia trascurabile rispetto a quello che si avrebbe se la Li fosse all’interno, si trova
che anche la:
∂B
V >> ∫
⋅ dS
∂t
SL
[1.4.2]
è verificata.
Per determinare la caratteristica elettrica dell’induttore si considera che la tensione ai morsetti
risulta proporzionale al flusso concatenato e quindi alla derivata del campo magnetico. Ed essendo
il campo magnetico proporzionale alla corrente, si trova:
∂Φ ∂B ∂I
V =
∝
∝
∂t
∂t
∂t
ovvero:
V =L
∂I
∂t
1.4.3
Regime quasi stazionario di corrente
Nel caso 3 si dimostra che considerando delle grandezze lentamente variabili sono
trascurabili sia gli effetti dovuti al termine che coinvolge la derivata del campo magnetico
dell’equazione di Faraday, sia i termini del vettore spostamento elettrico dell’equazione di AmpereMaxwell. Questo modello prende il nome di modello quasi stazionario di corrente. Le equazioni
che caratterizzano questo modello sono:
∇× H = J
∇×E = 0
[1.3.1.1]
[1.3.1.2]
Il fatto di avere contemporaneamente un campo elettrico ed un campo di corrente implica che si
considera un conduttore non perfetto.
Le equazioni in questo caso coincidono con quelle del campo stazionario, ma si ricordi che le
grandezze variano nel tempo, seppur in maniera lentamente variabile.
Sicuramente in questo caso le due disuguaglianze saranno verificate, non avendosi nelle equazioni
del modello termini contenenti derivate delle grandezze rispetto al tempo.
Derivazione del modello circuitale
22
Pietro Testoni
23
In questo caso è possibile determinare la caratteristica del sistema considerando un modello in cui
la densità di corrente sia proporzionale al campo elettrico tramite la conducibilità del materiale con
il quale il conduttore è realizzato.
J = σE
[1.3.1.8]
In questo caso la caratteristica dipenderà dalla geometria del sistema e dalla conducibilità del
materiale. Si avrà allora:
V ∝E∝J∝I
in altri termini
V=RI
ed il sistema sarà un resistore ideale.
1.5 Campi di applicazione dei modelli quasi-stazionari
Per individuare quale sia il modello quasi-stazionario che approssimi il funzionamento di un
dato sistema nell’ipotesi che le grandezze varino “lentamente” si può far tendere a zero la frequenza
di variazione delle grandezze elettromagnetiche. Se accade che il campo magnetico tende a zero e il
campo elettrico resta diverso da zero, allora il modello che approssima il funzionamento nel limite
lentamente variabile è quello quasi-stazionario elettrico. Se invece il campo elettrico tende a zero e
il campo magnetico è diverso da zero il modello che approssima il funzionamento nel limite
lentamente variabile è quello quasi-stazionario magnetico. Esistono poi dei casi in cui sia campo
magnetico che campo elettrico sono diversi da zero e sono comunque trascurabili i fenomeni di
induzione sia elettrica che magnetica e l’unico fenomeno è quello della conduzione elettrica.
Quando ciò accade il modello da considerare è quello del campo stazionario di corrente.
È importante osservare che generalmente non tutte le parti di un sistema elettromagnetico possono
essere descritte attraverso lo stesso modello approssimato.
Bibliografia:
1) David K. Cheng: Field and Wave Electromagnetics
2) Luciano De Menna e Giovanni Miano: Dai campi ai circuiti.
3) Pietro Testoni e Piergiorgio Sonato: Appunti dalle lezioni di Progettazione Automatica di
dispositivi elettrici e magnetici.
Derivazione del modello circuitale
23
Pietro Testoni