valori e attualita` della costituzione italiana

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VALORI E ATTUALITA’ DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di Savino Pezzotta
Relazione tratta dal libro
LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA – Come è, come la vorrebbero modificare
Cisl Ust Como
Sono fermo nella convinzione che la Carta Costituzionale non sia da utilizzare secondo fini di parte,
lasciandosi in pratica trascinare dalla logica predominante del dibattito politico: essa appartiene
a tutti e pertanto esige un profondo rispetto. L’uso strumentale della Costituzione è assai
pericoloso perché rischia di trasformare il documento in una delle tante variabili del quadro
politico, riducendolo ad un momento puramente documentario e, pertanto, datato.
Con ciò non voglio per nulla “imbalsamare” la Costituzione, né penso che essa debba essere scissa
dal dibattito pubblico, poiché, proponendo un progetto globale di società e d’istituzioni, essa non
può essere considerata una variabile del quadro politico da manipolare secondo le esigenze di
parte.
Siamo in una situazione delicata in cui va ristabilito un “ordine”; rispetto a un quadro contingente
così mutevole ed altalenante va affermato con assoluta convinzione che la Costituzione viene prima
di tutto, sia come fatto storico, che come elemento culturale ed orientativo.
Oggi, purtroppo, mi sembra di veder prevalere un pragmatismo politico di gestione, piuttosto che
un impegno alla costruzione sociale, alla messa in pratica di quella organica proposta di società e di
Repubblica contenuta nella Carta del 1948.
L’aver ceduto alle lusinghe di una sorta di Federalismo, aver intrapreso, per andare verso di esso,
modifiche costituzionali, anche a colpi di maggioranza, ed ora, con le stesse modalità, procedere
verso ulteriori cambiamenti costituzionali è, a mio parere, andare oltre la Costituzione. Mutare così
in profondità l’ordinamento costituzionale è sostanzialmente accogliere una idea istituzionale che
non è quella elaborata e proposta nel 1947 e approvata e applicata nel 1948. Ho l’impressione che
queste esperienze legislative vadano a configurare un assetto formale (giuridico, amministrativo e
anche politico in senso stretto) difforme dai principi costituzionali e pertanto da respingere.
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Con questo non voglio sostenere che la Costituzione debba essere sacralizzata e resa intoccabile: al
contrario voglio affermare che essa è viva, vitale, ricca di linfa e pronta ad accogliere le sfide del
tempo presente. La Carta costituzionale, a mio modesto parere, rappresenta, per la società italiana
del nuovo millennio, un’autentica carica di rinnovamento mantenendo sempre viva una dinamica
forza propulsiva. Tutti dovrebbero sentirsi impegnati alla sua realizzazione politica e sociale.
Non possiamo non sottolineare che essa è basata su un’intelaiatura che interagisce con l’essere
umano; non va intesa come un’importante affermazione di principio, ma assunta come criterio
programmatico tendente costantemente a sviluppare una tensione positiva tra libertà e giustizia
sociale, tra autonomia dell’uomo e autorità istituzionale, poiché è su questo terreno che si pone il
senso della democrazia e pertanto la necessità di non far prevalere un individuo rispetto ad un
altro. In pratica siamo di fronte all’affermazione che le istituzioni, lo Stato esistono per tutelare la
persona, e non viceversa. Bisogna dunque ricordare che questo è e deve rimanere il principio guida
della nostra Costituzione.
Da questo principio ne derivano alcuni ben precisi e che vale la pena riprendere e ribadire:
1) Esiste un limite fondamentale all’azione dello Stato, una qualificazione del Governo e del
cittadino.
2) Il soggetto è la persona che si afferma come preminente rispetto alla società; ne consegue
che lo Stato (inteso come organizzazione della società e come apporto istituzionale e
amministrativo) si arresta di fronte a quella serie di diritti che si riconoscono come
originariamente appartenenti alla persona e alle esigenze che essa ha di svilupparsi in
pienezza.
3) La Repubblica, in questo suo assestarsi, ha l’obbligo di tutelare quei diritti e di rimuovere
quegli ostacoli che si oppongono allo sviluppo della persona.
Siccome tale sviluppo non avviene fuori della storia ma si realizza nella comunità, la Repubblica è
allora impegnata a promuovere l’autonomia dei corpi sociali, delle associazioni e delle aggregazioni
primarie in quanto libere espressioni della persona. In quest’ambito rientra il sindacato, come
aggregazione di persone liberamente associate, esso deve essere difeso nella sua autonomia e
garantito nel suo ruolo.
Ogni forma di antisindacalismo dichiarato o praticato che ne negano il ruolo e la sua funzione di
rappresentanza, come è avvenuto ad esempio nel dibattito sulla finanziaria 2006, è in contrasto
con lo spirito della nostra Costituzione; con questo non voglio dire che esso debba essere esente da
critiche, anche aspre se necessarie, ma ne deve essere comunque riconosciuta la funzione.
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Quanto vale per il sindacato deve valere anche per l’insieme delle forme della rappresentanza e
dell’associazionismo scaturente dalla persona, dai suoi bisogni e dalle sue speranze.
A questo proposito mi sembra che l’art. 2 della Costituzione sia di una chiarezza esemplare, per noi
esso è l’articolo fondamentale, quello che pone i principi radicali e che si pone a fondamento di
speranza.
Aldo Moro, presentando questa formulazione dell’articolo richiamato, aveva affermato che, nel
riconoscere il rilievo originario - e quindi l’autonomia - delle formazioni sociali “Lo Stato
veramente democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell’uomo isolato, che sarebbe
in realtà un’astrazione, ma i diritti dell’uomo associato secondo una libera vocazione sociale”. La
“libera vocazione sociale” è qualche cosa di profondamente diverso dai discorsi che oggi sono messi
in circolazione, mi riferisco al riconoscimento d’inesistenti identità padane.
Nella nostra Costituzione non c’è posto per particolarismi, localismi o corporativismi, essa esige la
promozione permanente di un complessivo disegno generale tendente al bene comune che
s’incentri sulla dimensione personale dell’uomo e della sua capacità di relazione, d’incontro e di
riconoscimento di sé nell’altro. In pratica, attraverso l’affermazione netta dei principi del
personalismo e del pluralismo, di fatto, si respingono, da una parte le tensioni e le pratiche
dell’individualismo economicista e, dall’altra, si esclude l’invadenza dello Stato-apparato che
accentra su di sé la gestione esclusiva di troppe questioni.
Quello che è disegnato è uno stato democratico pluralista, fondato e impegnato a conseguire
l’uguaglianza tramite la giustizia sociale. Siamo di fronte ad un’idea di democrazia che riconosce
alle formazioni sociali un ruolo importante e fondamentale. La concertazione è una forma
compiuta del partecipare, del coinvolgere, della responsabilità.
La nostra Costituzione propone una democrazia che assuma, riconosca e valorizzi la storia di un
popolo, delle sue istituzioni intermedie, come le Regioni, le Province ed i Comuni. E’ impossibile
immaginare il nostro Paese senza i Comuni e senza una rivitalizzazione aggiornata del
municipalismo. La Costituzione apre in modo forte alla partecipazione che, come recita l’articolo
3, deve essere effettiva, in modo da garantire ad ogni cittadino l’esercizio di diritti e doveri, intesi
quest’ultimi come opportunità. Si legge all’art. 4 secondo comma che l’individuo ha il “dovere di
svolgere, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, un’attività e una funzione che concorra al
progetto materiale e spirituale della società”.
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L’idea dei doveri presenti nella nostra “Carta” non ha nulla di moralistico, ma esprime
un concetto di partecipazione che non si limita all’ambito politico e sociale, ma che si spinge con
chiarezza anche sul terreno economico. La democrazia economica è parte della nostra
Costituzione, anche se dobbiamo rilevare che dal punto di vista normativo ben poco si è fatto per
tradurre le indicazioni dell’art. 46 in norme propositive.
Per ultimo il tema della giustizia sociale, un bene che oggi sembra essere messo un poco in
disparte, quasi non esistano più problemi che esigano l’affermazione di questo concetto.
Sono convinto che oggi sia invece di grande attualità, perché crescono le emarginazioni, si
consolidano le povertà, in pratica, si avverte il crescere delle disuguaglianze.
Se la Repubblica non fosse quotidianamente impegnata a sanare e ridurre le situazioni di
disuguaglianza fra i cittadini, democrazia e partecipazione resterebbero parole vuote.
Il tema dell’uguaglianza deve tornare a camminare sui sentieri della politica.
La nostra Costituzione afferma che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali
davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di condizioni personali
e sociali” (art. 3).
Su questo principio di uguaglianza siamo tutti d’accordo, ma esso, di per sé, non avrebbe una gran
capacità di cambiamento se non fosse intessuto da un’azione politica ben determinata verso il
principio della giustizia sociale come delineato all’art. 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo delle persone umane e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Vorrei porre l’accento come quest’articolo stabilisca una stretta correlazione tra libertà e
uguaglianza, quasi che l’una sia dipendente dall’altra e pertanto come il permanere delle
disuguaglianze sia limitazione della libertà. Non a caso, il dispiegarsi della libertà s’individua nella
rimozione degli ostacoli economici e sociali.
Il problema è che molti dei principi della carta costituzionale non sono stati applicati dalla pratica
politica; se la nostra Carta ha bisogno di qualche adeguamento, bisogna anche affermare che essa
ha ancora ampie esigenze d’applicazione.
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Su questo terreno servirebbe un salto qualitativo capace di rompere gli indugi verso maggiori
libertà, verso la partecipazione: occorre perciò rompere l’ottusa difesa degli interessi costituiti.
Se dovessi coniare uno slogan direi: “Far vivere concretamente la Costituzione”; per me
significa:
a) Non considerare il cittadino come utente.
b) Favorire sempre la partecipazione popolare.
c) Avanzare sul terreno della democrazia economica.
d) Garantire un sistema di servizi che valorizzi la persona umana in tutte le sue dimensioni,
che la tuteli nelle difficoltà, che consideri la vita come un bene ineluttabile, che faccia del
lavoro una condizione di libertà e che consideri i giovani speranza del Paese, gli anziani
soggetti dinamici, attivi ed intraprendenti, le donne fruitrici di una effettiva parità.
e) Essere un Paese capace d’ospitalità verso chi viene a lavorare e a vivere, e verso chi è
costretto ad abitarci per difendere la sua libertà. Un Paese che non ha paura di confrontarsi
con culture diverse.
f) Mantenere alto il “ripudio della guerra” ed essere protagonisti della pace.
In questo senso bisogna “far vivere la Costituzione”, fare della Carta un punto di riferimento
comune e su di essa costruire un sentire civile che generi quelle “VIRTU’ REPUBBLICANE” di cui
oggi più che mai il nostro Paese ha maggiormente bisogno.
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