Chiara Valgrande Mrs. DALLOWAY: TRA RICORDO E VISIONE

Chiara Valgrande
Mrs. DALLOWAY: TRA RICORDO E VISIONE
Il 14 ottobre 1922 Virginia Woolf decise di scrivere un romanzo incentrato sul conflitto tra la vita e
la morte. Era stata malata e si sentiva invecchiata, oltre che sospesa tra queste due realtà, e così
scelse di affrontarle mediante la stesura di un libro che inizialmente fu intitolato Le ore. Lo scorrere
incessante del tempo è infatti uno dei temi principali dell'opera che descrive la giornata londinese
di Clarissa Dalloway, membro dell'alta società intenta a preparare una festa, e di Septimus Warren
Smith, reduce della prima guerra mondiale, ancora scosso dalla morte del suo migliore amico,
evento che gli causa continue crisi e visioni impedendogli non solo di dormire, ma anche di
condurre una vita normale. I due personaggi incarnano l'evoluzione, i cambiamenti di Virginia
Woolf, che da una parte fu un'originale scrittrice del Bloomsbury Group, amante della mondana
vivacità di Londra, ma dall'altra una persona malinconica, insoddisfatta e visionaria.
La scrittrice indaga l'animo e la storia dei personaggi connettendo il passato e il presente, cercando
di cogliere il ruolo della memoria nella quotidianità e le sue conseguenze sul futuro.
IL TEMPO
Anche se la trama si svolge in un solo giorno del mese di giugno dell’anno 1923, il lettore può
cogliere la storia che si cela dietro a ciascun personaggio poiché Virginia richiama continuamente
aneddoti e sentimenti passati, che così finiscono per intrecciarsi con considerazioni e riflessioni
attuali. In particolar modo nelle prime pagine sono ingarbugliati pensieri di numerose persone,
anche di poca importanza per la storia, e il passaggio dai pensieri di uno a quelli di un altro è dato
da piccoli particolari o eventi di cui entrambi sono spettatori, come ad esempio il volo di un aereo.
I personaggi si incontrano e si disperdono, a volte non si conoscono neppure, come nel caso di
Clarissa e Septimus. La trama risulta essere piuttosto frammentata, ma scandita dallo scorrere
delle ore che mancano all'inizio della festa in casa Dalloway. Il tempo si manifesta nell'assidua
presenza del Big Ben e la Woolf si sofferma a riflettere sul rapporto che i due personaggi principali
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hanno instaurato con il proprio tempo, con il proprio presente.
Innanzitutto che cos'è il tempo? Una minaccia oppure una possibilità?
Si sa che la Woolf era influenzata dalle teorie del filosofo antipositivista Bergson, il quale
distingueva il tempo della scienza e il tempo della vita, chiamato anche durata. Il primo, secondo
Bergson, è costituito da momenti ripetibili e in successione, mentre il secondo da momenti
qualitativamente differenti e irripetibili. Il filosofo paragona il tempo della vita ad un gomitolo di
lana che cresce e si rinnova, ma che continua a conservare se stesso. Abbandonata è l'opinione
della misurazione del tempo come fenomeno oggettivo: secondo Bergson è infatti la coscienza a
determinare entrambi i tempi.
Il suo pensiero era stato in parte anticipato da Sant'Agostino, vissuto tra il quarto e il quinto
secolo, che dedica al problema del tempo l'XI libro delle Confessioni.
Egli si chiede: "Ma di quei due tempi, passato e futuro, che senso ha dire che esistono, se il passato
non è più e il futuro non è ancora? E in quanto al presente, se fosse sempre presente e non si
trasformasse nel passato, non sarebbe tempo, ma eternità...".
Agostino ipotizzò che il tempo si manifestasse e misurasse nell'interiorità dell'uomo, così come per
Bergson la durata coincide con l'io spirituale.
Anche Seneca, filosofo dell'età Giulio-Claudia, nel De Brevitate Vitae riflette sul tempo perduto.
Egli afferma: "In realtà, non è che di tempo ne abbiamo poco: ne sprechiamo tanto". Seneca
afferma che si vive solo una breve parte della vita, mentre il resto è tempo. Gli uomini non si
accorgono della loro precarietà, inconsciamente pensano di essere quasi immortali, ma così
facendo sciupano energie e ore in attività futili e nel momento in cui cominciano a vivere è ormai
troppo tardi. La colpa è tutta dell'uomo, che è incapace di ascoltarsi e di chiedersi qual è il suo
scopo nella vita.
LA MEMORIA
Strettamente connessa al tempo è la memoria, che cattura e conserva sensazioni. Le neuroscienze
cognitive hanno eseguito numerosi studi sul suo funzionamento e sulla sua posizione. Si è scoperta
l'importanza di alcune strutture, come ad esempio l'ippocampo, nell'archiviazione di nuovi eventi e
nozioni, oppure che essa può essere esplicita o implicita, a breve termine o a lungo termine.
Ma qual è il ruolo della memoria nel corso della vita? Essa ha una funzione ambigua, poiché può
fornire un appiglio nei momenti peggiori, ma può causare anche dolore e impedire così di vivere i
momenti presenti. La scrittrice Nadia Fusini, che ha studiato attentamente il romanzo della Woolf,
afferma che la memoria ha una funzione positiva, ovvero di propiziazione, per Clarissa (infatti
l'arricchisce e l'accompagna), mentre per Septimus svolge una funzione negativa, di lamentazione,
perché non gli concede di elaborare e superare il passato. La Fusini intravede dei rimandi alla
tragedia eschilea Le Coefore, sulla quale non a caso Virginia aveva preso numerosi appunti: nel
caso di Clarissa la memoria può essere paragonata alle Eumenidi, per Septimus alle Erinni, le
terrificanti divinità del sangue invendicato che compaiono al termine della tragedia eschilea, dopo
che Oreste ha vendicato il padre Agamennone macchiandosi di matricidio. Nella tragedia
conclusiva della trilogia dell’Orestea, rappresentata nel 458 a.C., le Erinni, che con rabbia
continuano a perseguitare e ad accusare il giovane, si tramutano alla fine in Eumenidi, divinità
della giustizia, alle quali Atena promette venerazione eterna in Atene.
Come sosteneva anche Bergson, la memoria archivia anche ciò di cui non siamo consapevoli e solo
in parte si occupa dei ricordi. Spesso è responsabile di fenomeni enigmatici, come nel caso dei falsi
ricordi, dell’amnesia o del déjà vu, per cui non è stata fornita ancora nessuna spiegazione
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plausibile, pur trattandosi di un fenomeno psichico di particolare interesse per gli studiosi.
Il termine déjà vu fu coniato Emile Boirac, filosofo e psicologo francese, e significa letteralmente
“già visto”. Questo fenomeno è portatore di un senso di familiarità e stranezza nel contempo: si ha
la netta impressione di rivivere una determinata situazione, di solito però accompagnata alla
consapevolezza razionale di non aver mai vissuto quel momento prima d’ora; è proprio
quest’ambivalenza a lasciare turbati coloro che provano un’esperienza di tal genere. Platone nel
Fedro spiega questo fenomeno con l'anàmnesi (reminiscenza), cioè con l'improvviso e fugace
riconoscimento di ciò che l'anima ha già visto nel mondo iperuranio prima di incarnarsi, sensazione
non a caso associata spesso all'innamoramento, che riaccende nell'uomo il ricordo del Bello. Molto
più prosaicamente, la scienza odierna tende a spiegare il fenomeno come un’alterazione ictale
della memoria nei soggetti epilettici, mentre nei soggetti sani si tratterebbe di un “inganno
emotivo” dovuto forse a un’alterazione di un “network” talamo-corteccia temporale, in particolare
dell’ippocampo. In altre parole, nessuno sa cosa sia.
Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931
Esistono poi dei disturbi che modificano le funzioni intellettive andando a danneggiare
irreparabilmente non solo la memoria, ma anche il pensiero e l’orientamento spazio-temporale; ne
è un esempio il tremendo morbo di Alzheimer, demenza degenerativa che non ha ancora una
cura.
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Umberto Eco in una conversazione disse: "Noi, nella misura in cui possiamo dire io, siamo la nostra
memoria; cioè la memoria è l'anima. Se uno perde la memoria, non ha più l'anima".
L'individuo è forse la sua memoria? E che cosa comporta la sua perdita? Può un uomo definirsi
ancora tale dopo aver perso la memoria, oppure la sua disgregazione coincide con la disgregazione
dell'individuo stesso? Dunque l'anima non esiste, perché di fatto coincide con la memoria? Sono
domande terribili, che mettono a dura prova ogni credo religioso.
Eco riflette non solo sulla memoria personale, ma si sofferma anche su quella collettiva, che,
secondo la sua opinione, forma l’identità, e poi sulla memoria “vegetale” che risiede nei musei e
soprattutto nelle biblioteche.
CLARISSA E SEPTIMUS
Clarissa e Septimus non si conoscono, ma alla fine del libro la protagonista viene a sapere del
suicidio del ragazzo da uno degli invitati alla sua festa.
Vanessa Redgrave interpreta Clarissa nel film del 1997
Il destino del giovane era già inscritto nel suo nome Septimus “Warren Smith” che significa
“martire di guerra”. Partito volontario per la Francia poiché animato da ideali romantici e
patriottici, quando la guerra termina si trova a Milano tra i pochi sopravvissuti; tuttavia non riesce
a superare il fatto che, a differenza di lui, molti altri soldati, tra cui l’amico Evans, sono stati
brutalmente uccisi. Septimus non sa più comunicare con un mondo che ormai ha perso il suo
colore e lentamente si abbandona alla follia, alle visioni che deteriorano il rapporto con la moglie
Lucrezia e soprattutto il suo rapporto con la realtà. Incapace di dimenticare e di dare un senso a
tutto ciò, sceglie di morire, come poi accadrà a Virginia Woolf, la quale, temendo di impazzire
nuovamente, preferì annegare nel fiume Ouse il 28 marzo 1941.
La morte del giovane, annunciata durante la festa in casa Dalloway, causa una spaccatura
nell'idilliaca serata di Clarissa: seppur con rammarico, ella non può impedire alla morte di entrare
nella sua vita.
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Scossa e assalita da numerosi pensieri, Clarissa si allontana dalle chiacchiere e dal rumore della
festa e, meditando sull'accaduto, diventa pienamente consapevole della propria finitezza in quanto
essere umano. Si affaccia ad una finestra come aveva fatto Septimus prima di lanciarsi giù; però
Clarissa compie la scelta opposta a quella del giovane: sceglie di contrastare l'angoscia generata da
questa consapevolezza, sceglie di vivere; comprende che la paura della morte si può superare
rendendosi conto della propria presenza. La signora Dalloway comincia poi ad osservare un'anziana
donna che nel suo appartamento dall'altra parte della strada ripete le medesime azioni tutte le
sere, e così comprende che la sua paura può essere sconfitta con la quotidianità. Accetta la vita
nella sua finitezza, nelle sue emozioni e nel suo essere un rischio continuo. Sceglie di risplendere,
come il suo nome suggerisce, e di continuare ad inebriarsi per ciò che cade sul suo cammino.
"Strano, incredibile. Non era mai stata tanto felice. Non c'era niente che fosse abbastanza lento,
niente che durasse abbastanza a lungo. Non c'è piacere, pensò, raddrizzando le sedie, rimettendo a
posto un libro nello scaffale, che eguagli il senso di averla fatta finita coi fasti della giovinezza, di
essersi persa nel corso della vita, per ritrovarla ora, con un brivido di gioia, al sorgere del sole, al
calare del giorno".
L’INQUIETUDINE DI VIRGINIA
Virginia Woolf nacque a Londra nel 1882. Era figlia di un critico letterario e trascorse la propria
infanzia in un ambiente molto colto; fu poi un grande riferimento per la scena culturale del tempo
e in quanto membro del Bloomsbury Group, di cui facevano parte anche Bertrand Russel e Th.S.
Eliot, cercò di rinnovare la cultura e la morale vittoriana: in particolar modo si batté per migliorare
la condizione femminile, come dimostra anche il saggio Una stanza tutta per sé, in cui rivendica la
possibilità anche per le donne di essere accettate come artiste e portatrici di cultura.
Alcuni membri del Bloomsbury Group
La Woolf incarna nei suoi scritti l'inquietudine e l'ansia tipica dell'uomo del primo Novecento: un
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uomo che è catapultato in una società di massa, in una metropoli industrializzata nella quale però
stenta a riconoscersi e finisce così con l’isolarsi; un uomo che è portatore di un’immensa sofferenza
causata dalle perdite della Prima Guerra Mondiale. Gli anni ’20 del Novecento portarono la Gran
Bretagna, fino ad allora banchiere del mondo, a perdere il suo primato economico in seguito al Big
Crash del ’29. Inoltre in quel periodo si assistette anche al tramonto del colonialismo. L’Inghilterra,
che da sempre deteneva numerosi territori, dovette assecondare i desideri dei coloni che si
ispiravano al principio di autodeterminazione dei popoli, enunciato da Wilson nel 1918. Volendo
comunque mantenere l’egemonia sulle colonie, la Gran Bretagna decise di adottare politiche più
flessibili, supportando la nascita dei dominions, cui poi nel 1926 subentrò il Commonwealth,
ovvero una libera federazione di stati che avrebbe assicurato il legame economico tra la
madrepatria e le ex colonie.
TECNICHE NARRATIVE E PSYCHIC PHENOMENA
In Mrs. Dalloway, così come in Gita al faro, si assiste ad una moltiplicazione dei punti di vista, che
alla fine convergono nello stream of consciousness, annoverato fra i cosiddetti psychic
phenomena, mediato dalla Woolf con l'utilizzo della terza persona, come accade anche in Dubliners
di James Joyce, che condivide con la Woolf non solo alcune tecniche letterarie, ma anche l’anno di
nascita e quello di morte. Joyce porterà poi lo stream of consciusness alle estreme conseguenze
nell’Ulysses, nel monologo finale di Molly Bloom.
Nel romanzo della Woolf la voce narrante cede la parola ai vari personaggi, che sono i protagonisti
dei vari stream, collegati l’uno all’altro mediante eventi di passaggio: ad esempio la partenza
rumorosa di un'auto fa nascere la curiosità nella folla che si domanda chi sia il conducente e
richiama sia l’attenzione di Clarissa, intenta a comprare dei fiori, sia di Septimus, che in compagnia
della moglie cammina per la strada. L’eliminazione della voce del narratore onnisciente comporta
una maggiore attenzione ai dati soggettivi, tanto che la Woolf mise a punto il tunnelling process, il
cui obiettivo, come il nome ci dice, è scavare delle miniere dentro i personaggi, indagando in
profondità anche le loro parti più nascoste.
CONCLUSIONI
“Che cosa provo per ciò che scrivo? Questo libro, cioè Le Ore, se questo sarà il titolo? Voglio
rappresentare la vita e la morte, la sanità e la pazzia…”.
Così scriveva Virginia Woolf nel suo diario il 19 giugno dell’anno 1923 mentre si sbrigava a
completare quel libro che poi sarebbe diventato Mrs. Dalloway.
Che cosa proviamo noi mentre leggiamo il suo romanzo?
L’originalità della sua opera, relativa non solo alle tecniche narrative, ma anche alla combinazione
di sensazioni, percezioni e ricordi, continua a rimanere intatta anche a molti anni dalla data di
pubblicazione. Virginia, seguendo le vicissitudini di due personaggi apparentemente diversissimi,
ma in realtà due facce della stessa medaglia, è riuscita nel suo intento di raffigurare il conflitto
irrisolvibile tra la vita e la morte, che porta l’uomo a domandarsi quale sia il senso di tutto ciò e a
compiere una scelta per lui decisiva.
L’amore per il presente e il rifiuto del presente, che animano rispettivamente Clarissa e Septimus,
costituiscono la contraddizione attorno alla quale è incentrata la vita umana e sulla quale l’uomo
continua ad interrogarsi.
Chiara Valgrande
Mrs. DALLOWAY: TRA RICORDO E VISIONE
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:
Virginia Woolf, La signora Dalloway, Feltrinelli, Milano 1993.
Nadia Fusini, Introduzione de “La signora Dalloway”, Feltrinelli, Milano 1993.
Lucio Anneo Seneca, La brevità del tempo, Einaudi, Torino 2013.
Agostino, Le confessioni, Garzanti, Milano 2011.
Platone, Fedro, Editori Laterza, Roma, 2016
Cristina Tognaccini, Il dejà vù? E’ un inganno emozionale,
www.linkiesta.it/it/article/2015/01/04/il-deja-vu-e-un-inganno-emozionale/24109/,
consultato il 10/05/2016.
Umberto Eco, Sulla memoria. Una conversazione in tre parti, regia di Davide Ferrario, 2015.