Terzo capitolo Strutture accoppiate UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni Tesi di Laurea UN SISTEMA DI MISURA PER L’OTTIMIZZAZIONE DEL PROFILO DI CAMPO ACCELERANTE IN UN LINAC SC PER PROTONI RELATORI CANDIDATO Prof. Vittorio Giorgio Vaccaro Dr.ssa Maria Rosaria Masullo Giovanni De Michele Matr. 139/24 ANNO ACCADEMICO 49 Terzo capitolo Strutture accoppiate 2006/2007 50 Terzo capitolo Strutture accoppiate Non sempre il tempo la beltà cancella o la sfioran le lacrime e gli affanni; mia madre ha sessant'anni, e più la guardo e più mi sembra bella. Non ha un detto, un sorriso, un guardo, un atto che non mi tocchi dolcemente il core! Ah, se fossi pittore: farei tutta la vita il suo ritratto. Vorrei ritrarla quando china il viso perch’io le baci la sua treccia bianca, o quando, inferma e stanca, nasconde il suo dolor sotto un sorriso. Vorrei poter cambiar vita con vita, darle tutto il vigor degli anni miei, veder me vecchio e lei dal sacrificio mio ringiovanita. “A mia madre”, Edmondo De Amicis 51 Terzo capitolo Strutture accoppiate Indice Indice I Indice figure III Indice tabelle VI Introduzione 1 1. Progetto PALME 1.1 Introduzione ………………………………………………………….… 1.2 Radioterapia …………………………………………………………… 1.2.1 Strumenti della radioterapia convenzionale …………..….. 1.3 Adroterapia …………………………………………………………..… 1.4 Protonterapia ………………………………………………………..… 1.4.1 Centri di protonterapia ……………………………………… 1.4.2 Struttura di un centro di protonterapia ………………..…... 1.5 Progetto PALME-LIBO ……………………………………………….. 2. LINAC e Side Coupled LINAC 2.1 Introduzione …………………………………………………………… 2.2 Generalità sugli acceleratori……………………..…………………… 2.3 Acceleratori lineari (LINAC) …………………………………….……. 2.3.1 Struttura di un LINAC ………………...…………………….. 2.3.2 Principi di funzionamento di un LINAC RF…..…………… 2.3.3 Accelerazione di un LINAC …………………..………….… 2.3.4 Il campo nelle cavità……………………………………..….. 2.4 CCL e SCL……………………………………………………………… 2.5 Parametri principali di un LINAC……………………….............…… 3. Strutture accoppiate 3.1 Introduzione 6 6 6 10 11 12 15 18 20 24 24 25 28 29 30 33 35 43 45 49 49 52 Terzo capitolo Strutture accoppiate ................................................................................... 50 3.2 Cavità risonanti 51 55 .............................................................................. 3.3 Ottimizzazione della geometria di una 56 61 cavità.................................. 3.4 Accoppiamento tra cavità 64 risonanti................................................. 66 3.5 Analisi circuitale: struttura monoperiodica…................................... 3.5.1 N cavità accoppiate: i modi risonanti……………………… 3.6 La scelta del modo di lavoro negli SCL………................................ 3.7 Analisi circuitale: struttura biperiodica…….................................... 4. Misure in laboratorio:strumentazione hardware e software 77 4.1 Introduzione 77 ................................................................................... 78 4.2 L’analizzatore di rete 82 HP8720ES…………………………………….. 85 4.3 Automazione delle 85 misure……………………………………………. 88 4.4 Lo standard 90 GPIB……………………………………………………… 92 4.4.1 Configurazione hardware del bus 93 GPIB…………………... 95 4.5 LabVIEW………………………………………………………………. 96 97 . 98 4.5.1 Controlli e 98 indicatori…………………………………………. 4.5.2 Funzioni………………………………………………………. 4.5.3 Strutture………………………………………………………. 4.5.4 Costruzione del pannello frontale attraverso la tavola dei tools……………………………………………………… …… 4.5.5 Realizzazione del diagramma di flusso…………………… 4.5.6 Icona………………………………………………………….. 4.5.7 Esecuzione di un programma……………………………… 4.5.8 Acquisizione dati…………………………………………….. 5. Misure in laboratorio: procedure e programmi 101 5.1 101 53 Terzo capitolo Strutture accoppiate Introduzione................................................................................... . 5.2 Metodo della perlina scorrevole (BEADPULL)............................... 5.3 Procedura di accordo in frequenza per il modulo PALME.............. 5.4 Il programma TK1_BC_TK2………………………………………….. 5.5 Risultati delle misure……….………………………………….....…… Conclusioni 102 105 111 119 133 Appendice A 143 Appendice B 147 Bibliografia 151 Ringraziamenti Indice Figure 1. Progetto PALME Figura 1.1: Curva dose danni.………………………………………......... Figura 1.2: Diagramma dose-profondità di penetrazione relativo a ioni leggeri.…..................................................................... ........ Figura 1.3: Diagramma dose-profondità di penetrazione per vari tipi di particelle...................................................................... .... Figura 1.4: Picco di Bragg integrato...................................................... Figura 1.5: Picco di Bragg integrato per alcuni tipi di ioni e per i 8 9 12 13 14 20 22 23 54 Terzo capitolo Strutture accoppiate protoni.......................................................................... ....... Figura 1.6: Plastico della struttura complessiva impiegata per la pratica della protonterapia.................................................. Figura 1.7: Schema dell’acceleratore PALME-LIBO con relative possibili applicazioni........................................................... Figura 1.8: Schema di PALME.............................................................. 2. LINAC e Side Coupled LINAC Figura 2.1: Esempi di acceleratori circolari: (a) microtrone, (b) ciclotrone, (c) sincrotrone.................................................... Figura 2.2: Schema a blocchi di un LINAC........................................... Figura 2.3: Bunch in un LINAC.................................................................... Figura 2.4: Punti la cui fase rispetto alla cresta d’onda risulta stabile o instabile........................................................................ ....... Figura 2.5: Comportamento intorno al punto a fase sincrona............... Figura 2.6: Esempio di una curva di dispersione per una guida d'onda uniforme........................................ ......................... Figura 2.7: Struttura Irisloaded............................................................ Figura 2.8: Curva di dispersione per un modo in una struttura periodica...................................................................... ....... Figura 2.9: Modo 0 (a), modo π/2 (b), modo π (c).............................. Figura 2.10: Curva di dispersione per infinite celle a) e per N=7 celle b)................................................................................ ....... Figura 2.11: 3 pendoli accoppiati tramite molle..................................... Figura 2.12: Rappresentazione di un SCL............................................ Figura 2.13: Geometria del gap e distribuzione di campo nel gap........ 27 30 31 31 32 38 38 40 41 42 43 44 46 3. Strutture accoppiate Figura 3.1: Cavità pillbox con foro centrale per il passaggio del fascio e in corrispondenza di esso realizzazione di 55 Terzo capitolo Strutture accoppiate nasi conici per la riduzione del gap centrale e relativo aumento dell’impedenza di shunt...................................................... Figura 3.2: Andamento della frequenza in funzione del limite di Kilpatrick...................................................................... ....... Figura 3.3: Immagine di foro praticato sulle pareti delle cavità per realizzare un accoppiamento di tipo magnetico.................. Figura 3.4: Immagine di due mattonelle che formano una cavità di accelerazione ed una di accoppiamento............................. Figura 3.5: Circuito equivalente della singola cavità............................. Figura 3.6: Rappresentazione mediante circuiti elettrici accoppiati di una catena di cavità accoppiate magneticamente.............. Figura 3.7: Schematizzazione di un acceleratore lineare di lunghezza NL, costituito da N+1 cavità risonanti a distanza L l’una dall’altra....................................................................... ........ Figura 3.8: Diagramma di dispersione relativo ad una struttura accelerante formata da 7 cavità risonanti. In esso si possono facilmente individuare i modi 0, π/2 e π............... Figura 3.9: Andamento del campo nella struttura relativo al modo 0. Figura 3.10: Andamento del campo nella struttura, relativo al modo π................................................................................. ....... Figura 3.11: Andamento del campo nella struttura, relativo al modo π/2.............................................................................. ....... Figura 3.12: Esempio dei modi risonanti per un insieme di cavità accoppiate.................................................................. ....... Figura 3.13: Esempio di struttura biperiodica in cui k1=k, k2=ka, k3=kc. Figura 3.14: Rappresentazione schematica della struttura biperiodica in PALME....................................................................... ... Figura 3.15: Rappresentazione circuitale di una struttura biperiodica infinita......................................................................... 52 54 56 57 58 58 61 62 63 63 63 65 67 68 68 73 74 75 75 56 Terzo capitolo Strutture accoppiate ....... Figura 3.16: Digramma di dispersione di un struttura biperiodica, con evidente presenza di una stop band................................. Figura 3.17: Digramma di dispersione di una struttura biperiodica in cui è stata realizzata la compensazione della stop band.. Figura 3.18: Spettro di una struttura bi-periodica, con evidente presenza di una stop band................................................ Figura 3.19: Spettro di una struttura bi-periodica, con stop band chiusa......................................................................... ....... 4. Misure in laboratorio:strumentazione hardware Figura 4.1: Matrice dei parametri di diffusione...................................... Figura 4.2: Schema a blocchi del Network Analyzer............................ Figura 4.3: Analizzatore utilizzato per le misure................................... Figura 4.4: Tipologie di BUS e loro caratteristiche................................ Figura 4.5: Configurazioni di collegamento bus GPIB.......................... Figura 4.6: Connettore GPIB................................................................ Figura 4.7: Esempio di Diagramma a blocchi....................................... 5. Misure in laboratorio: procedure e programmi Figura 5.1: Disegno del Primo Modulo.................................................. Figura 5.2: Schema di un apparato per bead pulling............................ Figura 5.3: Bead pull sull’ intero modulo............................................... Figura 5.4: Tank con porta tuner inseriti……………………………........ Figura 5.5: a) Sonda di tipo elettrico b) Sonda di tipo magnetico......... Figura 5.6: Pick-up inseriti nelle endcell…………...…………………... Figura 5.7: Diagramma a blocchi del VI TK1_BC_TK2......................... Figura 5.8: Diagramma a blocchi del subVI DATACQ.......................... Figura 5.9: Diagramma a blocchi del subVI fSTARAMP....................... Figura 5.10: Catena di elaborazione dati del N.A. 8720ES.................. 79 80 82 84 86 86 96 102 104 105 106 108 109 112 112 113 114 116 116 117 118 119 122 123 124 57 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.11: Diagramma a blocchi del subVI seleziona........................ Figura 5.12: Diagramma a blocchi dei subVI SQM1BC2, SQM1BC2tk1, SQM1BC2tk2............................................ Figura 5.13: Diagramma a blocchi del subVI 2selezioni....................... Figura 5.14: Marker del subVI 2selezioni agganciati alla forma d’onda Figura 5.15: Diagramma a blocchi del subVI uniformità....................... Figura 5.16: Bead Pull.......................................................................... Figura 5.17: Bead Pull.......................................................................... Figura 5.18: Tank1…............................................................................ Figura 5.19: Tank1-Presenza del Bump e del Tilt nella misura della variazione di fase…………………………………………… Figura 5.20: Tank1-Compensazione del Tilt…………………………..... Figura 5.21: Tank1-Compensazione del Bump………………………… Figura 5.22: Tank2…............................................................................ Figura 5.23: Bead Pull.......................................................................... Figura 5.24: Bead Pull.......................................................................... Figura 5.25: Bead Pull.......................................................................... Figura 5.26: Bead Pull.......................................................................... Figura 5.27: Bead Pull.......................................................................... Conclusioni Figura 1: Tank1-Presenza del Bump e del Tilt nella misura della variazione di fase................................................................. Figura 2: Uniformità del primo TANK.................................................... Figura 3: Uniformità del secondo TANK................................................ Figura 4: Bead pull sull’intero modulo……............................................ Figura 5: Uniformità dell’intero modulo................................................. 125 126 126 128 129 130 131 131 132 137 138 139 140 141 58 Terzo capitolo Strutture accoppiate Indice Tabelle 1. Progetto PALME Tabella 1.1: Tipologie di tumori curabili con la protonterapia................ Tabella 1.2(a): Centri di adroterapia nel mondo.................................... Tabella 1.2(b): Recenti proposte di centri di adroterapia nel mondo.... Tabella 1.3: Patologia di Categoria A (cordoma della base cranica)-Confronto tra l’efficacia della radioterapia convenzionale e dei trattamenti chirurgici e l’efficacia della protonterapia effettuata presso il Massachussets General Hospital (MGH/HCL)........................................... Tabella 1.4: Patologia di Categoria A (condrosarcoma della base cranica) Confronto tra l’efficacia della radioterapia convenzionale e dei trattamenti chirurgici e l’efficacia della protonterapia effettuata presso il Massachussets General Hospital (MGH/HCL)............................................. 5. Misure in laboratorio: procedure e programmi Tabella 5.1: Frequenze di risonanza delle AC e giri di tuner................ 15 16 17 17 18 120 59 Terzo capitolo Strutture accoppiate Introduzione Questo lavoro di tesi si inserisce all’interno dell’esperimento PALME (Post Acceleratore Lineare a Media Energia), finanziato dal MIUR come Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per la realizzazione di un modulo di un acceleratore lineare (LINAC) per protoni per l’ adroterapia. L’ adroterapia è un particolare trattamento radio-oncologico che prevede l’utilizzo di fasci di adroni carichi, nel nostro caso protoni, che penetrano più in profondità rispetto a particelle più ‘leggere’, come gli elettroni. I fasci di protoni sono caratterizzati da una notevole selettività balistica: infatti essi rilasciano, al contrario degli elettroni e dei fotoni utilizzati nella radioterapia convenzionale, una modesta dose di energia nell’attraversare i tessuti, e solo alla fine del loro cammino, ad una profondità che dipende dall’energia iniziale del fascio, presentano un picco (il caratteristico picco di Bragg). In pratica la maggior parte dell’energia si esaurisce nel picco ed i tessuti sani circostanti vengono risparmiati: questa proprietà è particolarmente importante se nei dintorni del bersaglio sono presenti organi “nobili”. Con tale terapia sono stati trattati, fino ad oggi, oltre 48000 pazienti nel mondo, con risultati piuttosto soddisfacenti, poiché tale cura risulta non solo elettiva per alcuni tipi di tumori, ma in generale, dove applicata, migliora la qualità e l’aspettativa di vita del paziente in quanto riduce notevolmente i danni provocati alle cellule sane rispetto alla radioterapia convenzionale. PALME, in particolare, è un acceleratore da 30 a 62 MeV progettato per essere utilizzato come stadio post acceleratore dopo un ciclotrone a 30 MeV da solo o seguito da un secondo LINAC, chiamato LIBO (LInear BOoster) che porta i protoni da 62 MeV fino a 240 MeV. Una struttura di questo tipo consente diverse applicazioni: Il fascio a 30 MeV prodotto dal ciclotrone può essere utilizzato per la produzione di radionuclidi per la diagnostica medica di immagini 60 Terzo capitolo Strutture accoppiate (ad esempio la tomografia ad emissione di positroni PET) e per la Boron Neutron Capture Therapy (BNCT). Il fascio a 62 MeV può essere utilizzato per trattare tumori poco profondi (3 cm). Il fascio a 240 MeV dello stadio finale è indicato per la cura di tumori profondi (20-25 cm). La fase più delicata del progetto di un acceleratore lineare di particelle è la realizzazione del primo modulo (accelerazione di particelle a più bassa energia). Occorre iniziare lo studio a partire da tale modulo, per dimostrare la fattibilità dell’intero acceleratore. Questo lavoro di tesi si inserisce nella fase di misura e di verifica del progetto del primo modulo da 30 MeV a 35 MeV. Sia PALME che LIBO sono acceleratori lineari a radiofrequenza che lavorano ad una frequenza di 3 GHz usualmente scelta per gli acceleratori lineari di elettroni ma decisamente inusuale per i protoni. Una frequenza così alta, rispetto a quelle più basse solitamente usate nei LINAC per protoni, permette di ottenere un acceleratore più compatto con campi acceleranti più elevati e costi di realizzazione inferiori, un requisito importante per un acceleratore per protonterapia da utilizzare nei siti ospedalieri. Sia PALME che LIBO sono LINAC Side Coupled (SCL), un acceleratore ad onda stazionaria costituito da una catena biperiodica di cavità risonanti o celle accoppiate tra loro in modo che risuonino tutte alla stessa frequenza, con una certa differenza di fase tra le celle adiacenti che definisce il modo di lavoro della struttura. Le cavità, accoppiate magneticamente tramite opportuni fori, si differenziano in acceleranti (AC) poste in asse con il fascio e di accoppiamento (CC) poste fuori asse al fine di aumentare la compattezza del LINAC. Il progetto completo PALME sarà costituito da cinque moduli, ognuno formato da due tank ed un bridge coupler, fondamentale per l’allocazione, tra due tank, di quadrupoli magnetici (PMQ, Permanent Magnet Quadrupoles) per la focalizzazione del fascio e per l’accoppiamento tra un modulo accelerante e la sorgente di potenza RF. 61 Terzo capitolo Strutture accoppiate La struttura viene progettata per operare nel modo π / 2 : per esso il campo elettrico longitudinale è in opposizione di fase nelle cavità acceleranti adiacenti ed è praticamente nullo nelle cavità di accoppiamento. In un acceleratore a radiofrequenza, la condizione più importante da soddisfare è il sincronismo tra il campo accelerante e le particelle: la dimensione longitudinale delle cavità dei vari tank deve, perciò, adattarsi alla crescente velocità delle particelle. Per l’andamento stesso delle linee del campo elettrico all’interno di una cavità, tuttavia, le particelle che passano in essa subiscono un’azione defocalizzante nel piano trasverso. Per mantenere il fascio compatto si usano dei quadrupoli magnetici, posti tra i tank, che funzionano come le lenti con la luce (focheggiamento trasversale). Come detto in precedenza il mantenimento del sincronismo campoparticelle è essenziale per il buon funzionamento del LINAC. Tutto il progetto deve essere tale da garantire una accettabile uniformità di campo affinché il fascio non si degradi longitudinalmente tra cavità e cavità ad una data frequenza di lavoro, definita in uno stretto intervallo di frequenze legato all’alimentazione di potenza. Dagli studi specifici sull’argomento si evince che questa uniformità si ottiene se e solo se sono soddisfatte particolari relazioni che legano la frequenza di risonanza delle cavità acceleranti con quelle terminali e con quelle di accoppiamento. Risulta quindi importante non solo il progetto elettromagnetico del LINAC ma anche la realizzazione meccanica delle singole cavità che deve essere effettuata entro tolleranze costruttive molto strette. Gli studi effettuati sulla dinamica del fascio hanno mostrato che è sufficiente un’uniformità di campo assiale a meno del 3% lungo ogni modulo per garantire la corretta funzionalità del LINAC, cioè energia, corrente e dimensioni finali del fascio trasmesso. Poiché gli errori di frequenza delle singole cavità sono i principali artefici della disuniformità, occorre, per ottenere i livelli richiesti, sintonizzare prima le cavità nei singoli tank e poi agire sull’insieme dei due ovvero sull’intero modulo. 62 Terzo capitolo Strutture accoppiate Il profilo di campo viene misurato con l’Analizzatore di Reti tramite il Metodo Perturbativo della Perlina Scorrevole a cui fa seguito una procedura adeguata di sintonizzazione delle singole cavità inserendo in esse, dall’esterno, delle ‘spine metalliche’. Nel definire tale procedura, occorre tener conto del fatto che il profilo del campo dipende non solo da errori locali ma principalmente dal comportamento globale delle cavità accoppiate tra di loro. Per tale motivo è stato necessario definire un parametro che desse una misura reale ed affidabile del miglioramento o del peggioramento del grado di uniformità e che fosse anche sensibile alle piccole variazioni del livello di campo che si hanno nelle fasi finali e più delicate del processo di sintonizzazione. Quest’ultimo aspetto ha richiesto l’acquisizione e l’elaborazione dei dati di misura tramite dei programmi realizzati in linguaggio LabVIEW. A partire da tali dati e in base alle peculiarità del sistema SCL è stato possibile mettere a punto una metodologia per il raggiungimento dell’uniformità di campo richiesta. Essa, elaborata per il tank 1, è stata poi applicata al secondo tank e a tutto il modulo, e risulta utilizzabile per altri LINAC SC. Il lavoro svolto per la preparazione di questa tesi verrà presentato nel modo seguente. Nel primo capitolo verrà introdotta la protonterapia e ne verranno illustrati i vantaggi rispetto alla radioterapia convenzionale. Si proseguirà con una panoramica dei centri di protonterapia nel mondo e in Italia con particolare attenzione al progetto PALMELIBO. Nel secondo capitolo verranno descritti la struttura ed il funzionamento degli acceleratori lineari di particelle e, in particolare, dei LINAC di tipo SC. Nel terzo capitolo si affronterà lo studio di un insieme di cavità accoppiate, dedicando particolare attenzione alle strutture tipiche degli SCL. Si mostrerà inoltre l’utilità di una rappresentazione circuitale equivalente di tale struttura. 63 Terzo capitolo Strutture accoppiate Nel quarto capitolo verrà descritta la strumentazione hardware e software utilizzata in laboratorio. Alla descrizione dell’Analizzatore di Reti, seguirà una panoramica sul linguaggio di programmazione utilizzato per l’automazione delle misure. Nel quinto capitolo si descriverà la tecnica utilizzata per le misure di campo a partire dalla quale è stata sviluppata una metodologia per la sintonia delle cavità che ci ha consentito di definire e misurare in maniera affidabile il grado di miglioramento o peggioramento dell’uniformità del campo elettrico. Inoltre verranno descritti i programmi realizzati in LabVIEW per l’acquisizione e l’elaborazione dei dati che servono a caratterizzare il campo elettrico nelle cavità acceleranti dei due tank e dell’intero modulo. Vengono inoltre riportati i risultati ottenuti e la procedura di tuning adottata per raggiungere tali risultati. 64 Terzo capitolo Strutture accoppiate 1 Progetto PALME 1.1 Introduzione Questo capitolo illustra le principali caratteristiche ed i vantaggi della protonterapia comparandola con le altre tecniche della radioterapia convenzionale. In particolar modo si illustra come sia possibile, con questa nuova tecnica, ottenere un’elevata selettività nel trattamento di tumori profondi, limitando i danni ai tessuti sani circostanti. Sarà inoltre descritta la struttura dei centri di protonterapia, ed in particolare quella prevista per la realizzazione del progetto PALME-LIBO [1,2]. 1.2 Radioterapia Obiettivo principale della radioterapia è il controllo locale di un tumore e, in alcune situazioni, dei possibili cammini delle cellule tumorali, mediante irradiazione degli stessi con fotoni o con particelle (quali elettroni o ioni leggeri, tipo carbonio). Al focolaio tumorale, che in termini tecnici viene detto 65 Terzo capitolo “bersaglio”, viene Strutture accoppiate fatta assorbire un’ alta dose(1) di radiazione tale da distruggerli. L’energia della dose irradiata deve essere mantenuta entro limiti tali da non comportare complicazioni e danni gravi, o addirittura irreversibili, ai tessuti circostanti, inevitabilmente irradiati. A tale scopo, nella moderna radioterapia, il paziente è irradiato da direzioni diverse grazie all’uso delle testate rotanti degli strumenti di teleterapia. Attualmente la radioterapia, dopo la rimozione chirurgica del tessuto tumorale, è il più efficiente trattamento del cancro. Infatti si è riscontrato che il 90% dei pazienti guarisce grazie ad un controllo loco-regionale del tumore primario: nello specifico, il 50% delle guarigioni sono dovute alla chirurgia, il 25% alla radioterapia ed il 15% ad una combinazione di queste due terapie. Lo sviluppo e il progresso delle tecniche radioterapiche nascono, essenzialmente, dai seguenti fattori: Le cellule tumorali sono biologicamente simili alle cellule sane, tale mancanza di specificità costituisce un ostacolo per la ricerca e per lo sviluppo di trattamenti ad azione sistematica, quali terapia genica, immunoterapia, farmacologia mirata; Si è in possesso di adeguate competenze tecnologiche e scientifiche per costruire e gestire sofisticati acceleratori di particelle e strumenti necessari per l’irradiamento. Nell’ipotesi di una identificazione del bersaglio sufficientemente accurata è possibile valutare la probabilità di ottenere un controllo locale del tumore attraverso l’analisi delle cosiddette “curve dose-effetto”. Tali curve rappresentano: per i tessuti sani, la probabilità di provocare danni seri o irreversibili2 in funzione della dose assorbita dai tessuti stessi. per i tessuti tumorali, la possibilità di ottenere l’effetto desiderato in funzione sempre della dose assorbita. 1 La dose è la radiazione depositata per unità di volume e viene misurata in Gray (Gy) : 1 Gy = 1 J/Kg. Nella radioterapia convenzionale una dose tipica è compresa nell’intervallo da 40 a 70Gy ed è applicata in un periodo di 10-30 giorni. 2 Gli effetti biologici delle radiazioni sono dovuti essenzialmente alle ionizzazioni e alle eccitazioni di atomi e di molecole della materia attraversata dalla radiazione. Questi processi danno vita successivamente ad una catena di eventi che possono portare a modifiche chimiche di alcune importanti biomolecole (DNA). 66 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 1.1 : Curva dose-danni. In Figura 1.1 la linea continua rappresenta, in funzione della dose assorbita dal tumore, una ipotetica curva dose-effetto per un generico tessuto tumorale e la linea tratteggiata una curva dose-danni per un tessuto sano: per una dose assorbita, alla quale corrisponde circa il 100% di probabilità di avere controllo locale sul focolaio tumorale, si ha una probabilità troppo alta di provocare danni a tessuti sani che ricevono la stessa dose. Per tale motivo si cerca, di norma, un compromesso espresso dal “rapporto terapeutico” : rapporto tra la dose che dà il 50% di probabilità di provocare danni (D2) e la dose che ne da il 50% di controllare il tumore (D1). E’ evidente quindi che la probabilità di guarigione di un tumore aumenta con la selettività balistica o conformità del fascio irradiato. L’ottimizzazione della dose assorbita è soltanto una parte del piano di trattamento di un tumore perché bisogna tener conto di altri parametri quali: il modo di trasferire energia dalla radiazione al tessuto in termini di densità di energia ceduta lungo il percorso: LET (Linear Energy Transfer). il contenuto di ossigeno dei tessuti irradiati, che è generalmente scarso, e gli effetti biologici che diminuiscono con il ridursi del contenuto di ossigeno. 67 Terzo capitolo Si definisce OER (Oxygen Enhancement Ratio) Strutture accoppiate il rapporto tra la dose necessaria per produrre un effetto nel tessuto reale e la dose che produrrebbe lo stesso effetto se il tessuto fosse completamente ossigenato in aria a pressione normale. Si introduce inoltre un parametro indicatore degli effetti biologici l’RBE (Relative Biological Effectiveness) definito come il rapporto tra la dose assorbita di una radiazione di riferimento (fotoni), e la dose relativa alla radiazione in esame, a parità di effetti biologici. E’ stato provato che l’efficacia nel danneggiamento delle cellule tumorali è maggiore per radiazioni con ioni pesanti (alto LET), rispetto a quelli leggeri (basso LET), ed inoltre aumenta l’ossigenazione dei tessuti irradiati da parte dei primi rispetto ai secondi. La radiazione a basso LET inoltre è caratterizzata da un percorso massimo nel tessuto, dipendente dall’energia iniziale del fascio, al di là del quale si ha una coda di bassa intensità. In Figura 1.2 si riporta l’andamento della dose di radiazioni rilasciata,a basso LET, a varie energie in funzione della profondità di penetrazione: Figura 1.2 : Diagramma dose-profondità di penetrazione relativo a ioni leggeri. Il percorso massimo, espresso in cm, corrisponde a metà dell’energia iniziale, espressa in MeV(3), del fascio. 3 MeV ( Mega elettronVolt ) : unità di misura dell’ energia cinetica acquisita dalla particella durante l’accelerazione. 68 Terzo capitolo Strutture accoppiate Per questa loro caratteristica i fasci di particelle leggeri sono più adatti al trattamento di focolai superficiali. 1.2.1 Strumenti della radioterapia convenzionale Attualmente nella radioterapia convenzionale si usano acceleratori lineari di elettroni che permettono di ottenere: Fasci di elettroni, praticamente monoenergetici, a energia variabile tra 3-4 MeV e 20-25MeV e sezione compresa tra alcuni cm2 e alcune decine di dm2 alla distanza di trattamento. Gli elettroni, essendo particelle a basso LET, rilasciano la maggior parte della loro dose all’ingresso dei tessuti, come visto in Figura 1.2, fino ad un massimo di profondità oltre il quale la dose rilasciata, per unità di lunghezza LET, è quasi nulla. Grazie a queste caratteristiche i fasci di elettroni sono particolarmente adatti alla cura di tumori superficiali o semiprofondi; Fasci di fotoni, sono ottenuti rallentando gli elettroni accelerati in un bersaglio spesso, con energia massima e sezione pari a quelle dei fasci di elettroni. I fasci di fotoni rispetto a quelli di elettroni rilasciano meno energia a livello cutaneo e presentano un massimo a pochi centimetri di profondità, seguito da assorbimento di tipo esponenziale. A causa di tali caratteristiche, i fasci di fotoni risultano adatti per il trattamento di tumori poco profondi. In questo tipo di irradiazione si colpiscono inevitabilmente anche i tessuti sani circostanti. Per limitare tali danni, si utilizzano sofisticati strumenti che permettono di irradiare il paziente da direzioni differenti con un fascio focalizzato in corrispondenza del centro geometrico del bersaglio. Tale tecnica viene detta isocentrica e si utilizzano fasci multipli di particelle. Il fascio viene conformato da ogni direzione di incidenza alla forma ed alle dimensioni del bersaglio usando collimatori ad apertura variabile . Le tecniche citate consentono di ottenere un buon livello di irradiazione conformazionale, ma non quello ottimale. Questo costituisce un limite per il trattamento di molti tipi di tumori, in particolare per quelli sviluppatisi in 69 Terzo capitolo Strutture accoppiate prossimità di organi critici come il cervello, il midollo spinale, gli occhi ed altri per i quali l’esposizione alla radiazione è particolarmente rischiosa ed il rapporto terapeutico non è soddisfacente. Nasce quindi la necessità di usare nuove tecniche per ottenere una maggiore selettività nel trattamento dei tumori profondi. 1.3 Adroterapia L’adroterapia è la figlia più giovane della radioterapia convenzionale effettuata con fotoni ed elettroni. L’adroterapia utilizza fasci di protoni (ioni idrogeno), di ioni carbonio e di neutroni, che sono tutte particelle più pesanti degli elettroni e sono dette "adroni". Tale terapia era stata inizialmente indicata per i tumori localizzati nella base cranica, sul fondo dell'occhio e lungo la colonna vertebrale. Recentemente anche i tumori pediatrici, i tumori del sistema nervoso centrale, della prostata, del fegato, dell'apparato gastroenterico e del polmone sono stati trattati con successo con tale trattamento. Fra i vari adroni, i fasci di neutroni veloci hanno una curva dose-profondità molto simile a quella dei fotoni. Non sono però adatti ad una terapia conforme in quanto possono essere difficilmente collimati. La caratteristica fondamentale dei protoni e degli ioni carbonio è che rilasciano la massima dose distruttiva solo alla fine del loro percorso in una zona molto ristretta (Picco di Bragg Figura 1.3) nel corpo del paziente, interagendo poco durante il percorso iniziale: la dose rilasciata al tumore può essere quindi molto elevata mentre i tessuti sani vengono risparmiati. L'adroterapia con protoni e ioni carbonio, rilasciando la dose al tumore con gran selettività, reca meno danni ai tessuti sani circostanti rispetto alla radioterapia convenzionale. 70 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 1.3 : Diagramma dose-profondità di penetrazione per vari tipi di particelle; è mostrato inoltre un esempio di picco di Bragg relativamente ai protoni Questa proprietà è particolarmente importante nei casi in cui il tumore è localizzato presso organi vitali che non devono essere irradiati. Un trattamento di particolare importanza è la Protonterapia. 1.4 Protonterapia La terapia dei tumori solidi profondi per mezzo di nuclei atomici, prodotti da acceleratori di particelle elementari, ha inizio negli USA nel 1951: essa ha dimostrato di possedere rilevanti vantaggi clinici derivanti dalla minimizzazione dei danni collaterali ai tessuti a monte e a valle del bersaglio. Prende il nome di adroterapia o, nel caso in cui sono utilizzati protoni quello di protonterapia. Il principale vantaggio della protonterapia rispetto alla radioterapia convenzionale deriva dalla possibilità di ottenere un trattamento di tumori che è conforme al bersaglio, attraverso fasci ben collimati. Questa proprietà è conseguenza del fatto che le curve dose-profondità di fasci di protoni sono completamente differenti da quelle dei fotoni e dei nuclei di atomi leggeri; rilasciando dosi più elevate alla fine del loro percorso nei tessuti come 71 Terzo capitolo Strutture accoppiate mostrato in Figura 1.3. La profondità del picco di Bragg dipende dall’energia iniziale dei protoni e la sua larghezza dipende dalla dispersone energetica del fascio: giocando su questi due fattori è possibile arrivare a varie profondità e trattare tumori di diverse dimensioni insediati anche in organi nobili. In generale essendo la larghezza del picco di Bragg piccola è necessario allargarlo per poter raggiungere anche tumori che si estendono oltre i 10 cm di profondità: la tecnica che viene utilizzata è la sovrapposizione di più picchi stretti per ottenere un picco di Bragg integrato o allargato (Spread-Out Bragg Peak o SOBP)(Figura 1.4). Figura 1.4 : Picco di Bragg integrato. In Figura 1.5 sono messe a confronto le curve dose-profondità per alcuni tipi di ioni e per i protoni. Per tutte le particelle si evidenziano 3 zone: il plateau, il picco di Bragg integrato e la presenza di una coda che si estende oltre il picco nel caso degli ioni più leggeri ed è trascurabile nel caso dei protoni. La coda è dovuta al fenomeno della frammentazione dei nuclei incidenti: i frammenti più leggeri percorrono un tragitto più lungo rispetto agli ioni progenitori e, di conseguenza, aumenta la dose assorbita oltre il picco. Poiché la dose assorbita in quest’ultima regione aumenta con la massa degli ioni, per terapie conformi non si possono utilizzare ioni più pesanti dell’ossigeno. 72 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 1.5: Picco di Bragg integrato per alcuni tipi di ioni e per i protoni. Si comprende quindi il motivo della scelta della protonterapia per realizzare terapie conformi molto accurate: con fasci di protoni di energie comprese tra 60-70 MeV e 200-250 MeV si possono trattare efficientemente sia tumori superficiali sia tumori profondi. Inoltre è possibile controllare la distribuzione laterale del fascio per ottenere fasci diretti con grande precisione mediante applicazione di campi magnetici perpendicolari alla loro traiettoria. 73 Terzo capitolo 1.4.1 Strutture accoppiate Centri di protonterapia Le tipologie di tumori curabili con la protonoterapia vengono classificate in due categorie (A e B) riportate nella Tabella 1.1 Categoria A Melanoma uveale Cordoma della base cranica e della colonna vertebrale Condrosarcoma dell’estremità cefalica e del tronco Tumori paraspinali Meningioma della base cranica Schwannomi dei nervi cefalici Adenomi ipofisari Categoria B Tumori cerebrali neuroepiteliali Metastasi cerebrali Tumori del distretto cervico-cefalico Tumori indifferenziati della tiroide Tumori polmonari non a piccole cellule Timomi Tumori dell’esofago Tumori del tratto biliare Tumori del fegato Tumori del pancreas Tumori del collo dell’utero Tumori della vescica Tumori della prostata Recidive pelviche dopo chirurgia Tumori solidi pediatrici Patologie non neoplastiche MAV Tabella 1.1 : curabili con la Degenerazione maculare retinica Tipologie di tumori protonterapia. La differenziazione in due categorie indica con il primo caso (A) quelle patologie per le quali tale trattamento è quello elettivo, con il secondo (B) quelle patologie per cui la cura non è risolutiva, ma è comunque garantita una migliore aspettativa di vita in seguito al trattamento. 74 Terzo capitolo Strutture accoppiate Nella Tabella 1.2(a,b) si riportano i dati relativi alla terapia adronica applicata in diversi centri nel mondo [3]. WORLD WIDE CHARGED PARTICLE PATIENT TOTALS July 2005 WHO WHERE WHAT Berkeley 184 Berkeley Uppsala (1) Harvard Dubna (1) ITEP, Moscow Los Alamos St. Petersburg Berkeley Chiba TRIUMF PSI (SIN) PMRC (1), Tsukuba PSI (72 MeV) Uppsala (2) Clatterbridge Loma Linda Louvain-la-Neuve Nice Orsay iThemba LABS MPRI (1) UCSF - CNL HIMAC, Chiba TRIUMF PSI (200 MeV) G.S.I Darmstadt H. M. I, Berlin NCC, Kashiwa Dubna (2) HIBMC, Hyogo PMRC (2), Tsukuba NPTC, MGH HIBMC, Hyogo INFN-LNS, Catania WERC Shizuoka MPRI (2) CA. USA CA. USA Sweden MA. USA Russia Russia NM. USA Russia CA. USA Japan Canada Switzerland Japan Switzerland Sweden England CA. USA Belgium France France South Africa IN USA CA USA Japan Canada Switzerland Germany Germany Japan Russia Japan Japan MA USA Japan Italy Japan Japan IN USA China p He p p p p π p ion p π π p p p p p p p p p p p C ion p p C ion p p p p p p C ion p p p p p (WPTC) Wanjie DATE FIRST RX 1954 1957 1957 1961 1967 1969 1974 1975 1975 1979 1979 1980 1983 1984 1989 1989 1990 1991 1991 1991 1993 1993 1994 1994 1995 1996 1997 1998 1998 1999 2001 2001 2001 2002 2002 2002 2003 2004 2004 DATE LAST RX — 1957 — 1992 — 1976 — 2002 — 1996 — 1982 — 1992 — 1994 — 1993 — 2000 – 1993 – 1999 TOTAL RECENT PATIENT TOTAL 30 2054 73 9116 124 3833 230 1281 433 145 367 503 700 4182 418 1372 10324 21 2861 2805 475 34 632 1796 98 230 198 604 300 318 617 656 1167 39 82 19 195 21 33 1100 4520 42766 48386 DATE OF TOTAL July-05 May-05 Apr-02 July-05 Jan-04 Dec-04 July-05 July-05 Dec-03 May-05 June-04 Feb-04 July-05 July-05 Dec-03 July-05 Oct-04 July-05 May-05 June-05 July-05 May-05 Oct-04 Oct-04 July-05 July -04 Jun-05 pions ions protons all particles Tabella 1.2(a) : Centri di adroterapia nel mondo. 75 Terzo capitolo Strutture accoppiate Tabella 1.2(b) : Recenti proposte di centri di adroterapia nel mondo Per mostrare ulteriormente l’efficienza della protonterapia rispetto alla radioterapia convenzionale ed ai trattamenti chirurgici, si riportano due tabelle relative a due patologie di categoria A (Tabella 1.3 e Tabella 1.4) : Cordoma della base cranica U. Michigan 1986 R. Marsden 1988 Mallinckrodt 1991 Mayo Clinic 1995 Princess Margaret 1996 Protonterapia al MGH/HCL (1996) Numero di pazienti OS OS PFS PFS (5 anni) (10 anni) (5 anni) (10anni) 21 25 21 51 13 50% 44% 74% 51% - 20% 17% 46% 35% - 33% 30% 33% 15% 20% 24% 169 80% 54% 64% 42% OS: sopravvivenza complessiva (percentuale di sopravvissuti con o senza sintomi). PFS: sopravvivenza senza seguiti (percentuale dei soli sopravvissuti senza sintomi). 76 Terzo capitolo Strutture accoppiate Tabella 1.3 : Patologia di Categoria A (cordoma della base cranica)-Confronto tra l’efficacia della radioterapia convenzionale e dei trattamenti chirurgici e l’efficacia della protonterapia effettuata presso il Massachussets General Hospital (MGH/HCL). Condrosarcoma della base cranica MSKCC 1992 UCLA 1993 Grenoble 1995 Mayo Clinic 1995 Protonterapia al MGH/HCL (1996) Numero di pazienti 28 18 14 56 165 OS OS PFS PFS (5 anni) (10 anni) (5 anni) (10 anni) 43% 68% 90% 81% 99% 65% 65% 99% 56% 97% 92% OS: sopravvivenza complessiva (percentuale di sopravvissuti con o senza sintomi). PFS: sopravvivenza senza seguiti (percentuale dei soli sopravvissuti senza sintomi). Tabella 1.4 : Patologia di Categoria A (condrosarcoma della base cranica) Confronto tra l’efficacia della radioterapia convenzionale e dei trattamenti chirurgici e l’efficacia della protonterapia effettuata presso il Massachussets General Hospital (MGH/HCL). Per quanto riguarda il panorama italiano, attualmente il primo trattamento di protonterapia è stato effettuato presso i Laboratori Nazionali di Fisica Nucleare del Sud (INFN) a Catania, dove, dal 2001, vengono trattate patologie relative agli occhi, melanoma uveale, mediante un fascio di protoni a 62 MeV, quindi tumori a profondità non superiore ai 3cm. In questo caso si utilizza un fascio proveniente da un ciclotrone preesistente generalmente utilizzato per esperimenti di fisica nucleare. Un’ altra importante iniziativa è il progetto per il centro della fondazione CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica) nata per il progetto specifico di un Centro Nazionale di Adroterapia oncologica per la terapia di tumori profondi con protoni e ioni di carbonio in cui sono coinvolte la fondazione TERA (TERapia Adronica) e l’INFN . Tale centro sarà costruito a Pavia nelle vicinanze del Policlinico San Matteo, uno dei cinque ospedali che sono, insieme a TERA, fondatori della 77 Terzo capitolo Strutture accoppiate CNAO: è previsto che tratterà 3400 pazienti l’anno ed il primo intervento è stato stimato per la fine del 2007. 1.4.2 Struttura di un centro di protonterapia Il fulcro di un centro di protonterapia è il dispositivo per l’erogazione del fascio di protoni ad alta energia. Le macchine impiegate a tale scopo sono gli acceleratori di particelle: attualmente si utilizzano ciclotroni e sincrotroni, che permettono di accelerare fasci fino a 60 MeV ed oltre, che corrispondono a penetrazioni di circa 3 cm nel tessuto. Per la protonterapia più profonda è necessario accelerare fasci di protoni ad energia più elevata, centinaia di MeV, e ciò richiede l’utilizzo di ciclotroni di grandi dimensioni e quindi molto costosi. Tale scelta, ad esempio, è stata utilizzata al PSI (Paul Scherrer Institut) dove si utilizza un fascio di protoni a 250 MeV [4]. Una proposta alternativa potrebbe essere sviluppata adottando le seguenti soluzioni: • in molti centri medici esistono già ciclotroni che producono fasci fino a 30 MeV per la produzione di radionuclidi, impiegati nella diagnostica medica per immagini (PET e SPECT), e per il trattamento di tumori superficiali. Se ad essi si fa seguire uno stadio separato di accelerazione (post-acceleratore), si può ottenere il fascio dell’energia desiderata (fino a 250 Mev) aumentando le possibilità di utilizzo del centro. • utilizzando come post-acceleratore una macchina lineare compatta a radiofrequenza, si risolve anche il problema dell’ingombro in quanto tale tipo di acceleratore, rispetto a quelli ad anello, occupa minor spazio. In tal caso anche i costi risulterebbero più contenuti rispetto all’utilizzo, ad esempio, di un sincrotrone. 78 Terzo capitolo • Strutture accoppiate per l’alimentazione (RF di potenza) sono generalmente utilizzati i klystron; si potrebbero invece utilizzare i magnetron, corredati di un opportuno sistema di messa in fase, relativamente poco costosi. Nella Figura 1.6 è illustrato un progetto di struttura completa impiegata per la protonterapia a partire da tali soluzioni. Un ciclotrone a 30 MeV viene fatto seguire da un acceleratore lineare che è costituito da un insieme di due acceleratori: il PALME (Post Acceleratore Lineare a Media Energia) che accelera da 30 a 62 MeV e il LIBO (LInear BOoster) che accelera da 62 MeV a 240 MeV. La scelta di cosiffatto progetto nasce in vista della doppia funzionalità (generazione dal ciclotrone, di notte, di radionuclidi per la PET e protonterapia, profonda e non, di giorno) e per un risparmio economico in quanto un ciclotrone a 240 MeV è molto più costoso come detto in precedenza. Figura 1.6 : Plastico della struttura complessiva impiegata per la pratica della protonterapia. 79 Terzo capitolo 1.5 Strutture accoppiate Progetto PALME-LIBO Al mondo quasi 43.000 pazienti sono stati sottoposti alla protonterapia, per la maggior parte negli Stati Uniti ed in Russia, in strutture specifiche; queste si stanno diffondendo, inoltre, anche in Giappone (Tabella 1.2(a)). In Italia, uno studio epidemiologico ha riscontrato che circa 16.000 persone all’anno potrebbero trarre un sostanziale beneficio da questo tipo di terapia, sia per aspettativa che per qualità di vita, per 800 di esse potrebbe perfino significare la sopravvivenza. Per soddisfare un simile bisogno ci vorrebbero nel territorio nazionale altri 4-5 centri per l’adroterapia, oltre quello già esistente a Catania, presso i laboratori dell’INFN, e quello già approvato a Pavia (CNAO) che disporrà di fasci di carbonio e di protoni. Da qui la proposta, nata dalla collaborazione tra le Università e le sezioni dell’INFN di Milano, Napoli e Bari di un centro per la protonterapia e per la produzione di radionuclidi di uso diagnostico e farmacologico, da realizzare in Campania in una struttura autosufficiente che operi in collegamento con le strutture ospedaliere e capace di trattare fino a 800 pazienti l’anno. La messa in opera di un centro medico dotato di un tale dispositivo sarebbe molto vantaggioso per vari motivi, tra i quali: da un punto di vista pratico, perché sarebbe possibile concentrare in un'unica struttura ciò che allo stato attuale viene realizzato in centri medici diversi; da un punto di vista economico, perché è stato stimato che il costo di realizzazione non è eccessivo, specialmente se confrontato con la costruzione di due siti diversi per la produzione di radionuclidi e per la terapia, ed in ogni caso verrebbe ammortizzato nell’arco di pochi anni; da un punto di vista occupazionale, la realizzazione creerebbe nuovi posti di lavoro in molti settori : medico, fisico, ingegneristico ecc. 80 Terzo capitolo Strutture accoppiate In tale progetto è inclusa la realizzazione di un LINAC che acceleri protoni uscenti da un ciclotrone a 62 MeV fino a oltre 200 MeV, detto LIBO (LInac BOoster). Quest’ultimo acceleratore è nato dalla collaborazione tra la Fondazione TERA, il CERN e le Università e sezioni INFN di Milano e Napoli. In seguito ai buoni risultati conseguiti si è avviato il secondo progetto per la realizzazione di un acceleratore lineare che possa essere posto tra un ciclotrone a 30 MeV e LIBO: inizialmente, si prevedeva come stadio iniziale un ciclotrone commerciale a 62 MeV seguito dall’acceleratore LIBO, fino a 240 MeV per la terapia dei tumori profondi; la sperimentazione su LIBO ha dato lo spunto per lo sviluppo di un nuovo disegno meccanico del LINAC in base al quale studiare la possibilità di utilizzare un ciclotrone da 30 MeV, più economico, già disponibile sul mercato e che richiede minor manutenzione. Lo stadio successivo è stato, quindi, diviso in due: un primo LINAC PALME (Post Acceleratore Lineare a Media Energia), basato sulla nuova idea, che porta i protoni a 62 MeV, per i trattamenti dei tumori non profondi, in particolare il melanoma uveale (tumore dell’occhio), seguito da LIBO per raggiungere i 240 MeV , per la protonterapia profonda (Figura 1.7). Nel complesso, la struttura dovrebbe essere lunga circa 20 m ed occupare una superficie di 400 m2 circa. Figura 1.7 : Schema dell’acceleratore PALME-LIBO con relative possibili applicazioni. 81 Terzo capitolo Strutture accoppiate Come detto in precedenza, il ciclotrone è utilizzabile anche per la produzione di nuclei radioattivi per la diagnostica medica per immagini, come ad esempio la tomografia a emissione di positroni (PET), e per la produzione di traccianti radioattivi da usare in farmacologia. È possibile, inoltre, utilizzare una linea del fascio a 30 MeV per la terapia per cattura neutronica del boro (BNCT). Attualmente in fase sperimentale, questo trattamento sfrutta l’accumulo di boro in certi tumori, in particolare quelli del cervello; irradiati con neutroni, gli atomi di boro li catturano e danno luogo ad un atomo di litio ed ad una particella α, particelle ad alta energie ma che si muovono nel tessuto al massimo di un millimetro, rilasciando, quindi, tutta la loro energia nel tumore. L’istallazione della struttura PALME-LIBO non influenzerà la produzione di radionuclidi poiché il ciclotrone verrà impiegato per tale scopo durante le ore notturne mentre il trattamento dei pazienti si farà, ovviamente, durante il giorno. Sia PALME che LIBO sono acceleratori lineari compatti e modulari. La realizzabilità di tale struttura è stata dimostrata con la costruzione e le prove di funzionamento del prototipo di un modulo di LIBO che accelera da 62 a 74 MeV. Ogni modulo è costituito da una serie di cavità risonanti alimentate da un generatore a radiofrequenza (klystron o magnetron di potenza) a 3 GHz. PALME, in particolare, è un LINAC di tipo SC suddiviso in cinque moduli da due tank l’uno (Figura 1.8). Figura 1.8 : Schema di PALME. 82 Terzo capitolo Strutture accoppiate Ogni modulo ha una sua linea di alimentazione RF tramite una particolare struttura di raccordo tra i tank, detta bridge, e due quadrupoli per il focheggiamento trasverso del fascio. 83 Terzo capitolo Strutture accoppiate 2 LINAC e Side Coupled LINAC 2.1 Introduzione Gli acceleratori di particelle sono nati prima della seconda guerra mondiale, nell’ambito della ricerca sulla fisica nucleare per ottenere reazioni nucleari completamente controllate. Da allora ad oggi, queste macchine sono state sviluppate in forme e dimensioni diverse in funzione dell’energia finale del fascio, del tipo di particelle e dell’ambito di applicazione. Gli utilizzi sono anch’essi ormai molteplici: il settore della ricerca (produzione di antiparticelle e particelle instabili, studio ed utilizzo delle radiazioni elettromagnetiche emesse dalle particelle in moto, luce di sincrotrone, fusione nucleare inerziale), quello medicale (dalla radioterapia alla produzione di radioisotopi utilizzabili come marcatori, alla sterilizzazione dei materiali), quello militare, l’elettronica (per esempio per il drogaggio dei semiconduttori) e persino l’industria alimentare (sempre per la sterilizzazione). Alcune di queste macchine, basate su progetti ed applicazioni standard, sono prodotte a livello industriale; altre, invece, utilizzate per nuovi esperimenti ed applicazioni innovative, necessitano di studi e progettazioni ad hoc. Nel seguito riportiamo una breve descrizione degli acceleratori, soffermandoci nello specifico su quelli lineari e sulle caratteristiche delle cavità risonanti che li compongono [5,6,7,8,9]. 2.2 Generalità sugli acceleratori 84 Terzo capitolo Strutture accoppiate Il meccanismo base in un acceleratore è l’interazione tra le particelle ed un campo elettromagnetico esterno. Essa è espressa tramite la forza di Lorentz: r dpr r r r F = = q E +ν × B dt ( ) (2.1) r r r dove q è la carica delle particelle, v la velocità, E e B sono, rispettivamente, il campo elettrico e l’ induzione magnetica. Un acceleratore è caratterizzato dalle seguenti proprietà del fascio di particelle: • l’accelerazione dipende dal rapporto carica/massa q m : la grande differenza tra tali rapporti rende incompatibili tra loro acceleratori per elettroni o positroni con quelli per protoni; • l’energia; • l’intensità, definita come numero di particelle per unità di tempo o come corrente; • la dispersione energetica, definita in percentuale, esprime il fatto che non tutte le particelle guadagnano la stessa energia; • l’emittanza, legata alle proprietà geometriche del fascio e funzione della sezione del fascio. Gli acceleratori possono essere classificati in base al principio di funzionamento: elettrostatici, circolari, lineari ed ad induzione. Gli acceleratori elettrostatici sfruttano un campo elettrico statico generato da elettrodi (che forniscono anche una piccola forza focheggiante) o da condensatori (dei diodi caricano i condensatori e ne impediscono la scarica) (acceleratori di CockcroftWalton), oppure da cariche trasportate fisicamente (acceleratori di Van de Graaff). Questo tipo di macchina non permette un buon compromesso tra guadagno ed intensità del fascio e, soprattutto, ha il notevole svantaggio di essere soggetto a scariche distruttive dovute alle differenze di potenziale, spesso imprevedibili. Alcuni di questi sono usati per i primi stadi di accelerazione. Gli acceleratori circolari, come quelli lineari, invece, usano un campo variabile (RF); non è, infatti, possibile usare un campo elettrostatico per una macchina circolare perché tale campo è conservativo e, quindi, la sua circuitazione lungo una linea 85 Terzo capitolo Strutture accoppiate chiusa è nulla: dopo un giro le particelle avrebbero la stessa energia di partenza. Solitamente si utilizza un campo RF localizzato in una zona della macchina, ad esempio in una cavità risonante, che la particella attraversa più volte lungo la sua traiettoria venendo ogni volta accelerata. Le particelle sono immerse in un campo magnetico che curva le loro traiettorie permettendo di sfruttare un’unica struttura di accelerazione per un numero imprecisato di volte, ottenendo in questo modo energie altissime. In Figura 2.1 sono schematizzati alcuni esempi di acceleratori circolari: il microtrone (a), il ciclotrone (b) e il sincrotrone (c). Il primo usa un unico grande magnete per curvare la traiettoria delle particelle che, passando nella cavità accelerante, acquistano energia ed aumentano il raggio dell’orbita. In un ciclotrone, invece, i magneti sono due semicilindri cavi a forma di D, per questo detti “dee”, separati da un gap in cui si forma il campo elettrico oscillante; le particelle seguono traiettorie a spirale. In queste due macchine il sincronismo è mantenuto se il periodo di rivoluzione delle particelle è un multiplo intero del periodo RF. Un sincrotrone, invece, sfrutta una serie di piccoli magneti che agiscono localmente sul fascio che, tra un elemento ed un altro, viaggia in modo rettilineo, ricalcando sempre la stessa traiettoria; per garantire il sincronismo, in questo caso, si varia il campo magnetico in proporzione al momento delle particelle. a) b) c) Figura 2.1 : Esempi di acceleratori circolari: (a) microtrone, (b) ciclotrone, (c) sincrotrone. Negli acceleratori circolari l’equazione del moto delle particelle può essere scritta come: 86 Terzo capitolo Strutture accoppiate p = mv = qBρ (2.2) dove ρ è il raggio di curvatura. Il termine Bρ = p q prende il nome di rigidità magnetica e lega il campo magnetico al momento delle particelle e, quindi, alla loro massa. A parità di carica e di velocità e per un dato campo B , particelle con massa diversa, saranno deviate su orbite diverse. La condizione fondamentale per il funzionamento di queste macchine è la sincronizzazione tra la particella che gira e il campo elettrico che oscilla (problema di sincronismo), ovvero il periodo del campo deve essere uguale al periodo di rivoluzione della particella (o un sottomultiplo di questo). Gli acceleratori ad induzione sfruttano la legge di Faraday per creare il campo elettrico: E =− dΦ dt (2.3) Degli acceleratori lineari parleremo nel seguente paragrafo. 2.3 Acceleratori lineari (LINAC) LINAC è l’acronimo di LInear ACcelerator, ovvero acceleratore lineare. E’ così chiamato perché accelera le particelle lungo una traiettoria lineare. In genere è costituito da un insieme di celle risonanti in cui si instaura un campo elettrico variabile nel tempo, ed accoppiate tra loro elettricamente e/o magneticamente. La dimensione longitudinale delle celle deve adeguarsi alla crescente velocità delle particelle per conservare il loro sincronismo con il campo, condizione fondamentale per l’accelerazione. Il vantaggio principale di un LINAC è la sua capacità di produrre fasci di particelle cariche ad alte energie ed intensità, con bassa dispersione di energia e piccolo diametro, dunque fasci di alta qualità. Inoltre, rispetto ad altri acceleratori presenta notevoli aspetti interessanti: 87 Terzo capitolo Strutture accoppiate • l’iniezione e l’estrazione sono semplici; • c’è bassa radiazione di sincrotrone4, per cui il sistema, non dovendo compensare l’energia irradiata, risparmia potenza e ci sono meno problemi di radioprotezione; • l’energia massima raggiungibile dalle singole particelle è in parte limitata da effetti di breakdown elettrico5 anche se in misura minore rispetto agli acceleratori in continua; • il contenimento di fasci ad alta intensità è facilmente realizzabile; • il fascio attraversa la struttura una sola volta, evitando così il ripetersi di eventuali condizioni di errore che inficiano la stabilità del fascio come invece accade nelle macchine circolari; aumenta, dunque, il limite di corrente e si possono avere fasci ad alta intensità; • può operare con un duty factor, ovvero la frazione di tempo in cui l’accelerazione è attiva, del 100% o con onde continue (CW). La struttura e le applicazioni degli acceleratori cambiano molto a seconda delle particelle, elettroni o ioni, per cui sono progettati. Gli elettroni, infatti, diventano immediatamente relativistici e creano essenzialmente problemi all’inizio dell’accelerazione. Gli ioni, invece, cambiano la loro velocità in maniera significativa durante l’accelerazione: per tale motivo, i LINAC per ioni si compongono in unità di lunghezze diverse per mantenere il sincronismo fra campo accelerante e particelle. Gli acceleratori lineari sono impiegati come iniettori per sincrotroni ad alta energia nella fisica delle particelle elementari, nei collider, per la ricerca della fisica nucleare, per applicazioni medicali o per drogare i semiconduttori. 2.3.1 Struttura di un LINAC La struttura di un LINAC è costituita da un insieme di cavità acceleranti e di magneti per la focalizzazione del fascio. 4 RADIAZIONE DI SINCROTRONE : tipica delle traiettorie curvilinee, è dovuta al fatto che la carica, percorrendo appunto una traiettoria curvilinea, emette forte radiazione in un cono di emissione tangente all’orbita, perdendo energia. L’energia della radiazione emessa viene quantificata in base all’angolo conico da essa formato. 5 BREAKDOWN ELETTRICO : elevata scarica elettrica che si verifica nella cavità, determinata da un eccessivo campo E superficiale che causa estrazione degli elettroni dalle pareti, e che può provocare rotture nella cavità. 88 Terzo capitolo Strutture accoppiate Il dispositivo è alimentato da un generatore esterno di potenza a radiofrequenza (klystron o magnetron), opportunamente controllato, che fornisce la potenza necessaria anche per elevate accelerazioni del fascio. Il fascio viene generalmente iniettato nel LINAC da un sistema di iniezione DC, il quale può essere una sorgente diretta di particelle o da un altro acceleratore, ad esempio un ciclotrone, come avviene nel PALME. Per ottenere una buona trasmissione del fascio, nella struttura viene creato il vuoto mediante un opportuno sistema da vuoto fino a 10-8 -10-9 Torr. Tutta la struttura è raffreddata da un opportuno sistema di raffreddamento necessario per la rimozione del calore generato dalle perdite resistive nelle pareti. Uno schema a blocchi della struttura completa è mostrato in Figura 2.2. Figura 2.2 : Schema a blocchi di un LINAC. 2.3.2 Principi di funzionamento di un LINAC RF (dinamica del fascio) Un particolare tipo di LINAC è quello a radiofrequenza (RF), in cui le celle sono sezioni di guide d’onda o cavità risonanti che contengono campi elettromagnetici sinusoidali con frequenze che vanno dalle centinaia di MHz ai GHz. Un generatore a radiofrequenza alimenta le cavità attraverso una linea di trasmissione od una guida d’onda. Il campo elettromagnetico che si instaura nelle cavità, per poter accelerare, deve avere la componente del campo elettrico diretta lungo la direzione di propagazione delle particelle. Inoltre, essendo il campo sinusoidale, è necessario che vi sia una corretta relazione di fase rispetto al fascio 89 Terzo capitolo Strutture accoppiate entrante in ogni cavità affinché esso riceva la giusta quantità di energia ad ogni passaggio nella cavità. In realtà, il fascio si presenta in cavità con una certa dispersione spaziale e energetica e quindi a diverse fasi rispetto al campo. La particella ‘ideale’ che ha la fase giusta è detta sincrona. Se questa fase è stabile, le particelle si raggruppano intorno a quella sincrona in pacchetti (o bunch) distanti tra loro di un periodo del campo RF e si muoveranno approssimativamente nella stessa direzione con quasi le stesse posizioni, fasi ed energia (Figura 2.3). Figura 2.3 : Bunch in un LINAC. Le particelle, così raggruppate, partendo con la corretta velocità iniziale, in virtù della giusta energia assorbita, riusciranno a mantenere il sincronismo con l’onda. Vediamo nel dettaglio come avviene il meccanismo della stabilizzazione. Per un valore di campo al di sotto di una certa soglia ci sono due valori di fase che consentono di avere il giusto tasso di accelerazione: uno prima ed uno dopo il valore di cresta ( punti A e B della Figura 2.4). Fase successiva Fase instabile Fase stabile B Fase precedente A 90 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 2.4 : Punti la cui fase rispetto alla cresta d’onda risulta stabile o instabile. Il valore di fase che precede la cresta è un punto stabile A ed è detto fase sincrona in quanto le particelle che raggiungono tale valore sperimentano un campo accelerante tale da produrre su esse una forza che tende a conservare questa fase lungo tutta la struttura. Supponiamo che φ0 (Figura 2.5) sia la fase sincrona e che il punto corrispondente sulla curva si trovi sul lato ascendente di questa; sia V0 = Vmaxsen φ0 il valore corrispondente del potenziale. La particella fa parte di un fascio che ha una sua distribuzione di velocità e di posizione, di conseguenza ci saranno particelle che arriveranno con un certo anticipo ed altre con un certo ritardo rispetto al punto a fase sincrona. Consideriamo una particella più veloce; essa arrivando in anticipo rispetto a φ0 , e cioè alla fase φ1 , vedrà un campo accelerante V1 = Vmaxsen φ1 < V0 per cui sarà accelerata meno rispetto alla particella sincrona. Essa arriverà quindi al gap seguente con una fase φ3 ∈ (φ1,φ0) avvicinandosi man mano alla fase φ0 dopo ogni passaggio in cavità. Se consideriamo invece una particella più lenta rispetto a quella sincrona, questa arrivando in ritardo sarà caratterizzata da una fase φ2 > φ0 e vedrà un campo accelerante V2 = Vmaxsen φ2 > V0. Questa volta la particella sarà accelerata di più e giungerà al prossimo gap con una fase φ4 ∈ ( φ0,φ2) . Il risultato complessivo, quindi, è quello di un compattamento del fascio in quanto le particelle tendono ad avvicinarsi al punto di fase sincrona; se invece avessimo preso φ0 sul lato discendente della curva avremmo avuto un effetto di dispersione del fascio. Figura 2.5 : Comportamento intorno al punto a fase sincrona. 91 Terzo capitolo Strutture accoppiate Ci sono due tipi di LINAC: 1) ad onda viaggiante, in cui il campo elettromagnetico viaggia lungo la struttura, che funge da guida d’onda, con velocità di fase pari alla velocità del fascio (la velocità di fase, che nelle guide circolari è maggiore della velocità della luce, viene abbassata con un sistema di caricamento periodico del LINAC, come vedremo in seguito); 2) ad onda stazionaria, in cui il campo è una combinazione di un’onda incidente e di una riflessa sulle estremità della struttura, formata da cavità risonanti. Cioè tale onda può essere sempre considerata come la sovrapposizione di due viaggianti in direzioni opposte. Nel primo caso l’accelerazione è fornita in modo continuo dalla componente longitudinale del campo, mentre nel secondo le particelle attraversano cavità acceleranti, in cui ricevono un guadagno in energia, alternate a zone di drift, in cui la loro velocità rimane costante. La corretta relazione di fase delle particelle con il campo stazionario dipende dalla fase RF e, nel caso di una struttura a molte celle, anche dalla relazione di fase tra le cavità adiacenti. Per applicazioni prolungate è preferibile usare una macchina ad onda stazionaria in quanto dissipa meno potenza, tuttavia, se i tempi di pulsazione sono brevi, è più efficiente una struttura ad onda viaggiante, poiché in essa il campo si instaura in meno tempo, con conseguente minor spreco di energia, e non vi è dissipazione su carichi esterni a causa della riflessione di potenza dal generatore. 2.3.3 Accelerazione in un LINAC Le particelle in presenza di un campo elettromagnetico sono soggette alla forza di r Lorentz. Per una particella di carica q, massa m e velocità ν l’equazione del moto è: r r r r (2.4) dp = q E +ν × B dt ( ) 92 Terzo capitolo Strutture accoppiate Se chiamiamo ν z la velocità longitudinale della particella ed s l’ascissa del fascio lungo il LINAC6, l’equazione del moto diventa: r r r r dp E +ν × B =q ds νz ( ) (2.5) Proiettando sugli assi di un sistema di riferimento cartesiano otteniamo7: dγβ x E q y ′B z − B y + x = νz ds mc dγβ y E q B x − x ′B z + y = νz ds mc E dγβ z q x ′B y − y ′B x + x = ds mc νz dγβ z x ′ ds dγβ z y ′ = ds = (2.6) dove x′ = β dx = x ds βz (2.7) y′ = βy dy = ds βz (2.8) e Dalle equazioni (2.6) si ricava che il guadagno di energia (relativistica) è: 6 s e non z per evitare qualunque confusione con la posizione longitudinale della particella nel bunh. 7 Richiami di relatività r Consideriamo una particella di massa m e velocità ν . In termini relativistici, la massa, la quantità di moto, l’energia totale e l’energia cinetica diventano, rispettivamente: 1 m→ m =γ ⋅m 1− β2 r p → mcγβ 2 E = mc + W = mγ ⋅ c 2 (b) (c) W = (γ − 1)mc v β = , con c velocità della luce ed mc 2 energia a riposo della particella. c 2 dove (a) 93 (d) Terzo capitolo Strutture accoppiate dγβ y dγβ x dγβ z dγ = β z x ′ + y′ + ds ds ds ds (2.9) da cui: dγ q (x′E x + y ′E y + E z ) = ds mc 2 (2.10) Troviamo, quindi, che solo il campo elettrico contribuisce al guadagno energetico. 2.3.4 Il campo nelle cavità In uno spazio libero i campi elettromagnetici sono onde trasverse del tipo TEM, in cui il campo elettrico e quello magnetico sono perpendicolari tra loro e alla direzione di propagazione dell’onda. In uno spazio limitato da un conduttore perfetto le onde TEM non possono sussistere: per soddisfare alle condizioni al contorno una delle componenti del campo deve essere parallela alla direzione di propagazione. In questo caso l’onda si dice del tipo TE o TM a seconda di quale è il campo trasverso, rispettivamente quello elettrico o quello magnetico, alla direzione di propagazione. I modi del campo in una guida d’onda sono identificati tramite due pedici: TMmn e TEmn; in coordinate cilindriche, m rappresenta il numero di periodi azimutali, mentre n indica il numero degli zeri del campo longitudinale nella direzione radiale, assi esclusi. In una cavità risonante, invece, oltre a n ed m, vi è un terzo indice che identifica il modo, p, che rappresenta il numero di semiperiodi longitudinali. Possiamo vedere le cavità come spazi vuoti, privi di cariche libere e chiusi da superfici equipotenziali. Il campo elettromagnetico in esse, quindi, deve soddisfare le r equazioni di Maxwell. Da esse, per densità di carica ρ e di corrente j nulle, otteniamo le equazioni delle onde: r r 1 ∂2E =0 ∇ E− 2 c ∂t 2 (2.11) r 2 r 1 ∂ B ∇2 B − 2 =0 c ∂t 2 (2.12) 2 94 Terzo capitolo Strutture accoppiate Queste, in coordinate cilindriche (gli acceleratori hanno solitamente sezioni circolari), diventano: 1 ∂ ∂ 1 ∂ 2 ∂2 1 ∂2 r + 2 − 2 2 E = 0 r + 2 2 c ∂t ∂z r ∂r ∂r r ∂ϑ (2.13) Per il campo magnetico si ha un’equazione analoga. Le condizioni al contorno, supponendo che le pareti siano dei conduttori perfetti, sono che la componente tangenziale del campo elettrico e quella normale del campo magnetico siano nulle. Le equazioni d’onda, sviluppate per ogni componente del campo, portano a soluzioni che possono essere espresse come prodotti di funzioni di una singola variabile; per esempio, per un modo TM il campo elettrico longitudinale può essere scritto come: E z (r , ϑ , z , t ) = R(r ) ⋅ Θ(ϑ ) ⋅ Z ( z ) ⋅ T (t ) (2.14) Questa soluzione è valida per ogni componente del campo. Se il campo varia sinusoidalmente abbiamo che: T (t ) ∝ e jω t Z (z ) ∝ e − jk z z dove ω è la velocità angolare e k z = 2π λ è l’avanzo di fase per unità di lunghezza ( λ è, appunto, la lunghezza d’onda) o numero d’onda. L’equazione (2.14) diventa: E z (r , ϑ , z , t ) = AR(r ) ⋅ Θ(ϑ ) ⋅ e j (ωt − k z z ) (2.15) Questa, inserita nell’equazione delle onde, separando le variabili, fornisce: 1 d 2Θ + m2 = 0 2 Θ dϑ (2.16) d 2 R 1 dR ω 2 m2 2 R = 0 + + − k − z dr 2 r dr c 2 r 2 (2.17) Θ(ϑ ) è una funzione trigonometrica con periodo azimutale m; R(r ) , invece, è soluzione dell’equazione di Bessel del primo tipo ed è detta, appunto, funzione di Bessel di ordine m: 95 Terzo capitolo Strutture accoppiate R (r ) = EJ m (Kr ) (2.18) dove E è una costante e K è l’argomento. Per il modo TM010, il modo solitamente utilizzato nelle cavità dei LINAC, K è uguale a (ω c )2 − k z2 . Il campo, allora, avrà la forma: E z (r , ϑ , z , t ) = EJ m (Kr )Θ(ϑ )e j (ωt − k z z ) (2.19) La maggior parte delle cavità risonanti usate nei LINAC derivano da semplici cavità cilindriche o pillbox, supponiamo di raggio a ; sulla loro superficie, E z deve essere nullo, per cui abbiamo J m (Ka ) = 0 , con K fissato. In realtà, il campo elettromagnetico che si propaga nel LINAC non è un’onda monocromatica, ma un pacchetto di onde formato dalla sovrapposizione di onde, dette modi, con frequenze f (e, dunque, velocità angolari ω ) e numeri d’onda k z diversi. I vari fronti d’onda, a fase costante, si muovono ognuno con una velocità di fase ω k , mentre il pacchetto si muove con una velocità di fase media: vp = <ω > < kz > Una caratteristica più rilevante del pacchetto è la velocità del picco, detta velocità di gruppo, data da: vg = dω dk z che corrisponde alla velocità con cui si propaga l’energia ed è la vera grandezza fisica. Queste due velocità coincidono solo se c’è una relazione lineare tra la velocità angolare ed il numero d’onda come accade nelle linee di trasmissione ideali. La curva di dispersione in guida è un grafico di ω versus k z (diagramma di Brillouin) come mostrato in Figura 2.6 La relazione di dispersione , che lega il comportamento della velocità di fase e di quella di gruppo nel punto P sulla curva, per una guida uniforme è: ω 2 = k z2 c 2 + ωc 2 (2.20) 96 Terzo capitolo Strutture accoppiate dove ωc = Kc è la frequenza angolare del modo a frequenza più bassa (frequenza di soglia) propagatasi nella struttura, corrispondente a k z = 0 . La pendenza della linea che unisce l’origine ad un qualunque punto della curva rappresenta la velocità di fase, mentre la pendenza della tangente in quel punto è la velocità di gruppo. Ad ω c , quindi, la velocità di gruppo v g è nulla, mentre quella di fase v p è infinita. Figura 2.6 : Esempio di una curva di dispersione per una guida d'onda uniforme. Per accelerare un fascio, l’onda elettromagnetica deve avere una velocità di fase pari alla velocità delle particelle. Nel vuoto, tuttavia, le onde elettromagnetiche si propagano con v p > c , per cui vanno rallentate inserendo periodicamente nella struttura degli ostacoli, detti carichi, come si può notare ad esempio in Figura 2.7. Questi ostacoli delimitano delle zone delle celle, ognuna delle quali funge da singolo risonatore, accoppiato a quelli adiacenti tramite il foro centrale detto iride (per il tipo di modo scelto, l’accoppiamento è elettrico). Figura 2.7 : Struttura Iris-loaded. Poiché la propagazione dell’onda lungo la struttura dipende dall’interferenza costruttiva dell’onda incidente e di quella riflessa sui carichi, si ottiene, quindi, un rallentamento dell’onda; detto l il periodo di posizionamento del carico, per il teorema di Floquet, per una data frequenza ed un dato modo di oscillazione, la 97 Terzo capitolo Strutture accoppiate funzione d’onda varia tra due periodi consecutivi per un fattore e − jk zl . Le nuove condizioni al contorno, inoltre, non possono essere soddisfatte da un solo modo ma da un insieme di modi, detti armoniche spaziali, con ampiezza costante E n indipendente da z , con uguale frequenza ma differenti numeri d’onda. Si dimostra che il campo può essere scritto come: E z (r , z , t ) = ∑ E J (K r )e (ω j n 0 t − kn z ) n n (2.21) con k n = k z + 2πn l (2.22) e 2 2πn ω K = − kz + l c 2 2 n (2.23) Le onde con n > 0 viaggiano nella direzione positiva dell’asse, quelle con n < 0 , ovviamente, in quella negativa. Solo l’onda sincrona agisce su un fascio di particelle, mentre l’effetto delle altre è mediamente nullo e può essere ignorato. Dalla (2.22) ricaviamo facilmente che la velocità di fase è: vp = Per n ω kn = ω k z + 2π n l (2.24) sufficientemente grande, possiamo ottenere una velocità di fase arbitrariamente piccola. Per v p < c , abbiamo che K n2 < 0 , per cui l’argomento delle funzioni di Bessel risulta immaginario, in tal caso le funzioni sono dette di Bessel modificate: a n (r ) = E n I 0 (K n r ) (2.25) L’onda principalmente usata come onda sincrona è, in genere, quella con l’ampiezza maggiore, corrispondente ad n = 0 , per cui abbiamo che: v p s / c s = ω (k z c ) = β s (2.26) dove v ps è la velocità di fase sincrona. 98 Terzo capitolo Strutture accoppiate La componente longitudinale effettiva del campo elettrico, quindi, è data dalla parte reale dell’onda con n = 0 : E z (r , z , t ) = E0 I 0 (K 0 r ) cos φ (2.27) con K0 = K 02 = (ω c )2 − k z2 = 2π λβ S γ S (2.28) e φ = ωt − k z z = ωt − 2π λ 1 ∫ β (z ) dz (2.29) S Per questa struttura periodica la curva di dispersione sarà, ovviamente, diversa dal caso di una singola cavità e dovrà rispecchiare la periodicità stessa del LINAC come è mostrato in Figura 2.8. Figura 2.8 : Curva di dispersione per un modo in una struttura periodica Le cavità si comportano come un sistema di oscillatori armonici accoppiati, ognuno risonante ad una propria frequenza caratteristica (modi normali o propri). In un tale sistema tutte le cavità vengono fatte risuonare singolarmente nello stesso modo proprio (TE o TM), con una certa differenza di fase tra le celle adiacenti. Una struttura accoppiata di N cavità presenterà, però, N modi, detti modi di struttura, che sono diversi dai modi normali e che differiscono per la distribuzione di fase ed ampiezza da cavità a cavità. Ogni modo è identificato dall’avanzo di fase per cella. Per ogni modo proprio della struttura esiste, quindi, un intervallo di possibili frequenze (passa-banda) tra ω c ( ω 0 ), che corrisponde ad un campo con stessa ampiezza e fase in tutte le cavità (modo 0), e ωπ , per cui il campo ha stessa ampiezza in ogni cella ma uno sfasamento di π tra celle adiacenti (modo π ). Le onde associate ai modi con frequenze nella 99 Terzo capitolo Strutture accoppiate banda passante possono propagarsi. Al centro dell’intervallo di frequenze c’è il modo π 2 , caratterizzato da celle, non eccitate, in cui il campo è nullo alternate a celle eccitate sfasate di π fra di loro (Figura 2.9). La larghezza di tale intervallo, infine, dipende dall’accoppiamento: più questo è forte, più la banda è larga. Le differenze fra i tre modi saranno trattate più in dettaglio nel Capitolo III. a) b) Figura 2.9 : Modo 0 (a), modo c) π 2 (b), modo π (c). Dalla Figura 2.8 si evince che per ogni data frequenza esistono infinite armoniche spaziali ( − ∞ < n < ∞ ) che hanno tutte la stessa v g , ma diversa velocità di fase (pendenza della retta che unisce l’origine con un punto della curva di dispersione). Quando le velocità di fase e di gruppo sono concordi l’onda è progressiva, altrimenti è regressiva: l’onda con n = 0 , che viaggia in direzione positiva, corrisponde all’intervallo 0 < k z < π l , l’onda con n = 1 , che viaggia in direzione positiva, corrisponde all’intervallo 2π l < k z < 3π l e così via; l’onda con n = −1 , che viaggia in direzione negativa, corrisponde all’intervallo π l < k z < 2π l , e così via. Se l’onda si propaga in una sola direzione (tratto di curva continua della Figura 2.8) il LINAC è ad onda viaggiante (TW), se c’è sia un’onda incidente che una riflessa (sia la curva solida che quella tratteggiata) l’onda risultante è stazionaria (SW). Essendo la curva di dispersione una funzione periodica di k z , possiamo restringere l’analisi del grafico al solo intervallo 0 < k z < π l . Ogni modo di struttura è rappresentato da un punto della curva. Se ci fosse un numero infinito di cavità i modi sarebbero infiniti e la banda passante sarebbe una linea continua come in Figura 2.10a); ma, in realtà, il numero di modi, pari al numero di celle, è finito per cui la curva di dispersione è un grafico del tipo in Figura 2.10b), dove per esempio le cavità sono sette. 100 Terzo capitolo Strutture accoppiate a) b) Figura 2.10 : Curva di dispersione per infinite celle a) e per N=7 celle b). I LINAC ad onda viaggiante, solitamente usati per particelle relativistiche, lavorano vicino il centro della banda ωπ 2 (punto A della Figura 2.8), dove la velocità di gruppo è massima e la spaziatura tra i modi è maggiore, mentre gli acceleratori ad onda stazionaria, utilizzati per particelle lente, lavorano alle frequenze limite della banda ω 0 e ωπ (punti B e C) cui corrispondono una velocità di gruppo nulla e le onde incidente e riflessa hanno la stessa velocità di fase e, quindi, contribuiscono entrambe all’accelerazione. È possibile, in effetti, considerare un’analogia tra una catena di cavità accoppiate ed una catena di pendoli accoppiati tramite molle. Come risulta evidente dalla Figura 2.11, un sistema di N oscillatori, quando accoppiati, può oscillare solamente in N modi (i.e. presenta N frequenze di risonanza) e ciascun modo risonante sarà caratterizzato da una propria velocità di fase. 101 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 2.11 : 3 pendoli accoppiati tramite molle.8 2.4 CCL e SCL I LINAC Coupled-cavity (CCL) costituiscono una vasta famiglia di strutture acceleranti formate da un insieme lineare di cavità risonanti accoppiate tra loro. Essi sono usati per accelerare fasci di elettroni e protoni ad alta velocità nell’intervallo 0.4< β <1.0. Le cavità sono spesso chiamate celle ed ognuna opera, in genere, nel modo TM010. In questo caso l’accoppiamento avviene tramite fori praticati sulle pareti divisorie fra le cavità. L’accoppiamento può essere molto forte. Questi LINAC sono in realtà suddivisi in sotto-strutture acceleranti a multicavità, dette tank, ognuna alimentata da un proprio alimentatore di potenza. Il numero di cavità per tank dipende dalla potenza richiesta, da quella disponibile dai generatori e dalla possibilità di garantire un campo E uniforme lungo tutto l’insieme di cavità tenendo conto degli errori di costruzione. Un esempio di struttura accoppiata è fornito dal Side-coupled LINAC (SCL) rappresentato in Figura 2.12. 8 Il sistema di tre pendoli può oscillare solamente in tre modi differenti: nel modo 0 tutti e tre i pendoli sono in fase, nel modo π /2 il pendolo è fermo mentre quelli laterali oscillano in opposizione di fase, nel modo π , infine, tutti e tre i pendoli oscillano in opposizione di fase l’uno con l’altro. 102 Terzo capitolo Strutture accoppiate In tale figura sono evidenziate le cavità d’accoppiamento (coupling cavity) spostate lateralmente rispetto al fascio; in tal modo le dimensioni dell’acceleratore vengono notevolmente ridotte. L’accoppiamento tramite fori laterali è mostrato in Figura 2.12b) e si distingue in tre diverse tipologie: quello principale fra cavità acceleranti (AC) e di accoppiamento (CC), altri due più piccoli, fra le singole cavità CC e fra le cavità AC. Le celle CC, insieme alle acceleranti, formano così due catene periodiche alternate a frequenze leggermente diverse che conferiscono alla struttura una doppia periodicità. Come detto in precedenza, tali cavità, quando accoppiate, perdono la loro individualità e risuonano a frequenze di modo caratteristiche dell’intero sistema. a) b) Figura 2.12 : Rappresentazione di un SCL. L’idea di base del SCL, così come in altre strutture CCL, è quella di evitare di collocare i quadrupoli di focheggiamento nei drift tube ponendoli invece tra i tank che costituiscono la struttura. In questo modo attraverso delle celle accoppianti ad hoc si consente al flusso di potenza di passare da un tank al successivo. La struttura SCL viene progettata per operare nel modo π / 2 : per esso il campo elettrico longitudinale è in opposizione di fase nelle cavità acceleranti adiacenti ed è 103 Terzo capitolo Strutture accoppiate praticamente nullo nelle cavità di accoppiamento; d’altra parte, essendo spostate lateralmente rispetto all’asse del fascio, non contribuirebbero in alcun modo all’accelerazione dello stesso. Le cavità CC, però, contribuiscono al flusso di potenza fra le cavità AC limitando la potenza RF di alimentazione necessaria (è come se si avesse la metà delle cavità) e inoltre la loro presenza stabilizza il livello del campo nei tank adiacenti. Le caratteristiche del modo di lavoro π / 2 verranno ben descritte nel Capitolo III. 2.5 Parametri principali di un LINAC Come detto in precedenza, per quanto attiene alla questione del sincronismo fra particelle e onda viaggiante lungo la struttura, esiste un intervallo di stabilità, piuttosto che un solo punto di stabilità che è dato dall’insieme delle fasi delle particelle che oscillano intorno alla fase sincrona con una frequenza minore di quella a RF. L’ampiezza di tale intervallo è detta accettanza di fase, esso è un parametro importante per i LINAC in quanto individua la dispersione massima di un fascio di particelle affinché esse possano essere accelerate. Oltre all’accettanza di fase, esistono diverse figure di merito che caratterizzano un LINAC ed in particolare le cavità risonanti che lo costituiscono. Consideriamo il caso in cui una particella viene accelerata da un’onda stazionaria all’interno di una struttura risonante a RF (come per LIBO-PALME). Figura 2.13 : Geometria del gap e distribuzione di campo nel gap. 104 Terzo capitolo Strutture accoppiate La componente E z del campo elettrico è data da: E z ( r , z , t ) = E ( r , z ) cos (ω t + Φ ) (2.30) In Figura 2.13 è riportata la distribuzione del campo E ( r , z ) e la geometria del gap dove a è il raggio del foro della cavità detto bore radius. Una particella di carica q avente velocità ν sperimenta sull’asse del gap, all’istante t(z ) nella posizione z , il campo: E z (r = 0, z , t ) = E (0, z ) cos[ωt (z ) + Φ ] (2.31) Se il campo è confinato in una distanza L contenente il gap, il guadagno di energia di una particella arbitraria q che attraversa il gap sull’asse è (equazione di Panofsky): ∆W = qVOT cos Φ (2.32) dove abbiamo introdotto un potenziale assiale RF: L 2 L − 2 ∫ VO ≡ E (0 , z )dz (2.33) V0 è equivalente alla variazione di potenziale di una particella che attraversa un campo elettrostatico di ampiezza pari a quella del campo nel gap all’istante t = 0. Il parametro T è detto tempo di transito e può essere definito sotto particolari ipotesi come: L 2 L − 2 ∫ T = 2 πz E (0 , z ) cos βλ L 2 L − 2 ∫ dz (2.34) E (0 , z )dz 105 Terzo capitolo Strutture accoppiate Tali ipotesi prevedono che la variazione della velocità della particella nel gap sia piccola rispetto alla velocità iniziale, avendo così ωt ≈ ωz 2π z dove βλ è la = ν βλ distanza che la particella percorre in un periodo RF. In molti casi pratici tali ipotesi sono veritiere. Dalla (2.34) si vede che il fattore tempo di transito è il rapporto tra il guadagno di energia di una particella in un campo tempo-variante a RF e il guadagno di energia in un campo DC: esso è sempre minore di uno, misura cioè la riduzione del guadagno di energia causata dalla variazione sinusoidale del campo nel gap. Tale parametro tiene conto della velocità delle particelle ed è indipendente da E z ; il suo valore aumenta se il campo è più concentrato intorno all’asse. La soluzione adottata, nel nostro caso, per aumentare tale parametro è l’introduzione dei nasi conici sull’asse in modo da creare, in corrispondenza del passaggio del fascio, una regione di campo elettrico assiale più intenso. Un altro parametro di un risonatore è il fattore di qualità Q, dato dal rapporto tra l’energia immagazzinata e la potenza media persa in cavità per una data frequenza di lavoro: Q= ωU P (2.35) Tale parametro indica, quindi, la capacità della cella di immagazzinare energia per una data potenza dissipata per ciclo. Un parametro che si svincola dal livello di eccitazione della cavità e misura la capacità di produrre un potenziale assiale V0 per una data potenza dissipata è l’impedenza di shunt, espressa in megahoms e definita come: R sh V02 = P Il guadagno di energia massimo si ha, [MΩ ] (2.36) dalla (2.32), quando Φ = 0 , ottenendo ∆W = qVOT . Per avere una misura dell’energia effettiva ceduta alle particelle, che si muovono con una velocità finita e sperimentano un campo elettrico variabile lungo l‘asse della cavità, si definisce l’impedenza di shunt efficace di una cavità che misura la capacità di fornire energia alla particella per unità di potenza persa: 106 Terzo capitolo Strutture accoppiate Rsheff ∆W Φ = 0 = q 2 1 (V0T )2 = [MΩ ] P P (2.37) Per cavità lunghe si preferisce spesso usare una figura di merito indipendente sia dal livello del campo che dalla lunghezza della cavità: l’impedenza di shunt efficace per unità di lunghezza. Rsheff L (E0T)2 = = PL MΩ m (2.38) Nel progetto di una cavità, uno degli obiettivi principali, è scegliere la geometria che massimizza Rsheff , che equivale a massimizzare il guadagno di energia per una lunghezza fissata e per una data potenza persa. Un ulteriore parametro importante che caratterizza il risonatore è il rapporto r tra la impedenza di shunt Rsheff e il fattore di qualità Q . Esso è indipendente dall’ampiezza del campo, dalla potenza dissipata e dipende solo dalla geometria della cavità. Tale parametro indica l’entità dell’accelerazione per una data energia immagazzinata ad una certa frequenza. 107 Terzo capitolo Strutture accoppiate 3 Strutture accoppiate 3.1 Introduzione In questo capitolo si affronta lo studio di un insieme di cavità accoppiate, rivolgendo particolare attenzione ai Side Coupled LINAC. Come precedentemente descritto, nel Capitolo II, un SCL è realizzato mediante una sequenza di cavità accoppiate; il suo corretto funzionamento si ottiene se la frequenza di risonanza delle cavità che costituiscono l’acceleratore aggancia la frequenza del generatore a RF, entro le tolleranze del generatore stesso, e se le particelle mantengono il sincronismo con il campo lungo tutta la macchina. In quest’ottica vogliamo andare a studiare il comportamento della nostra struttura alla frequenza di lavoro e capire il perché di determinate scelte relativamente al campo che si propaga in essa. Si presentano, inoltre, le caratteristiche dei modi del sistema accoppiato e si mostra l’utilità di una rappresentazione circuitale equivalente per il progetto di tali strutture [6,10,11]. 3.2 Cavità risonanti 108 Terzo capitolo Strutture accoppiate L’elemento base di un LINAC è una singola cavità risonante progettata per operare come cella accelerante. Una cavità risonante ideale è un volume V, racchiuso in una superficie metallica S perfettamente conduttrice, in cui è presente un campo elettromagnetico. Nel caso reale, le cavità presentano perdite nelle pareti e/o nel dielettrico di cui sono riempite; inoltre, poiché devono essere alimentate e devono consentire il passaggio delle particelle, bisognerà realizzare fori nella struttura, attraverso i quali: • fare fluire l’energia elettromagnetica. • fare passare il fascio. Un insieme formato da tali elementi prende il nome di cavità accoppiate in quanto la presenza dei fori crea accoppiamento fra cavità poste in serie e con il sistema di alimentazione esterna. All’interno di una generica cavità, il campo ammette una rappresentazione in termini di funzioni di base, dette modi risonanti: E = ∑ Vn e n n H = ∑ I n hn n (3.1) con e n ed h n funzioni vettoriali e V n , I n coefficienti scalari indipendenti dalle coordinate. Per determinare i campi9 bisogna quindi valutare en, hn, Vn, In a partire dalle equazioni di Maxwell. Dato il legame tra campo elettrico e magnetico si ha che : kn hn = ∇ × en 9 (3.2) In Appendice B è riportato tale studio per una cavità isotropa ed omogenea. 109 Terzo capitolo Strutture accoppiate I valori kn vengono detti autovalori, mentre e n, h n sono le autofunzioni associate ai rispettivi autovalori. In pratica per ogni n si ha una distribuzione di campo elettromagnetico che viene detto modo. Per una data frequenza di lavoro del LINAC viene prescelto un dato modo che sarà quello fondamentale. La sua distribuzione di campo è sufficiente a descrivere la catena di cavità accoppiate. In tali ipotesi, inoltre, il ricorso ad una rappresentazione ben descrive il comportamento della struttura intera. 3.3 Ottimizzazione della geometria di una cavità Nella progettazione della geometria delle singole cavità occorre tener conto delle proprietà, richieste da tutta la catena, quali l’impedenza di shunt, il fattore di qualità, la frequenza di risonanza ed il fattore di accoppiamento tra cavità. Supponiamo, ad esempio, che il nostro obiettivo sia quello di massimizzare l’impedenza di shunt di una singola cavità. Si parte dalla cavità più semplice formata da un cilindro schiacciato coassiale al fascio (cavità pillbox, Figura 3.1) con appositi fori sulle pareti laterali centrati sull’asse longitudinale, realizzati per il passaggio del fascio. Il diametro di tali fori è generalmente scelto per soddisfare le specifiche della dinamica del fascio per elevate trasmissioni; allargando il raggio del foro aumenta l’accettanza traversa della macchina, cioè più particelle percorrenti traiettorie diverse sono intrappolate nel fascio. Grandi aperture danno però luogo a bassi valori del fattore tempo di transito ed inoltre all’aumentare del raggio il campo elettrico assiale decresce per un dato campo superficiale prossimo all’apertura con conseguente diminuzione dell’impedenza di shunt, in generale, quindi, si sceglie un valore di compromesso per il foro di passaggio delle particelle. 110 Terzo capitolo Strutture accoppiate Come detto nel precedente capitolo, l’aggiunta di nasi conici sull’asse, aumentando il campo elettrico nella regione assiale dove passa il fascio, consente di ridurre il gap al centro della cavità, aumentare il fattore tempo di transito e quindi l’impedenza di shunt efficace. Se le dimensioni del gap sono troppo piccole, il guadagno in energia cinetica per un dato campo elettrico superficiale di picco si riduce. Inoltre al diminuire del gap, aumentano sia la capacità tra i nasi che il rapporto tra la corrente sulle pareti e la tensione assiale; si ha di conseguenza una diminuzione della frequenza di risonanza e del fattore di qualità. Figura 3.1 : Cavità pillbox con foro centrale per il passaggio del fascio e in corrispondenza di esso realizzazione di nasi conici per la riduzione del gap centrale e relativo aumento dell’impedenza di shunt. Si evidenzia quindi una difficoltà nell’ottimizzare tutti i parametri contemporaneamente. Il progetto per l’ottimizzazione dei parametri, può procedere per gradi : dapprima si scelgono le dimensioni del gap e la forma dei nasi in modo da massimizzare la grandezza: Rsh Q che rappresenta il tasso di accelerazione rapportato all’energia immagazzinata; in seguito, con una opportuna scelta delle pareti della cella, si provvede a massimizzare il valore di Q così da minimizzare la dissipazione di energia per unità 111 Terzo capitolo Strutture accoppiate di energia immagazzinata. Quest’ultimo passo conduce, di solito, alla scelta di una superficie sferica per la cavità, che garantisce, a parità di volume, la minor superficie possibile. Il contorno, caratterizzato da forme arrotondate, riduce il cammino delle correnti superficiali e quindi massimizza il fattore di qualità. Il campi superficiali massimi elettrico e magnetico costituiscono un vincolo importante nel progetto di una cavità in quanto campi elettrici superficiali troppo elevati possono provocare effetti di breakdown elettrico. Inoltre il valore del campo elettrico assiale è legato al massimo campo superficiale Es ; per una cella, con nasi conici o tubi di drift, il rapporto tra il picco di Es ed il campo assiale medio Eo, risulta solitamente : Es =6 E0 (3.3) Il criterio di Kilpatrick si rivela di grande utilità per determinare il massimo campo superficiale sulle pareti della cavità. Nel 1950 W.D. Kilpatrick [5], esaminando i risultati di una scarica a RF, riuscì a definire le condizioni per garantire l’assenza di scariche elettriche. I risultati raggiunti furono adeguatamente espressi dalla relazione : 2 k f = 1.64 E e − 8.5 Ek [MHz] (3.4) dove f è la frequenza di lavoro ed il termine Ek , espresso in MV/m, è noto come il limite di Kilpatrick. Va sottolineato che per un’assegnata frequenza, l’equazione deve essere risolta iterativamente per Ek ed inoltre risulta che il suo valore aumenta con la frequenza (Figura 3.2). 112 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.2 : Andamento della frequenza in funzione del limite di Kilpatrick. La formula di Kilpatrick si basa su dati sperimentali non recenti ed è attualmente usata, corretta con l’introduzione del fattore di confidenza b (bravery factor), per tener conto di nuove tecniche di costruzione e di nuovi materiali; Il campo di picco superficiale E s viene quindi espresso come E s = bE k , e b è scelto nell’intervallo da 1 a 2. Si evince dall’eq. (3.4) che alle alte frequenze, aumentando il campo massimo sostenibile, si può trascurare il contributo dell’esponenziale e la formula può essere invertita in modo semplice: Ek = 1.28 f 0.5 [MV/m] (3.5) Adottando un bravery factor dell’ordine di 1.3, il campo massimo nel progetto PALME è circa 100 MV/m, per f=3*103 MHz. Inoltre, anche variando il volume nelle zone a campo magnetico più elevato, si può agire sulla frequenza di risonanza. Per aumentare il Q della cavità, le basi e la parete laterale del cilindro vengono raccordate in modo da avvicinare la forma della cavità ad una sfera. In questa configurazione il campo massimo assiale è circa 60 MV/m. Tenendo conto che la lunghezza della cella è 12.6 mm, 113 Terzo capitolo Strutture accoppiate assumendo un fattore di tempo di transito 0.88 e che la particella sincrona è sfasata rispetto al campo massimo di 26°, il guadagno in energia per cavità sarà di circa: 199 K eV Questo implica che per raggiungere un’energia di 35 MeV c’è bisogno di circa 26 cavità. 3.4 Accoppiamento tra cavità risonanti L’accoppiamento tra più cavità e/o con l’esterno può avvenire in vari modi. Si rende necessario l’accoppiamento verso l’esterno o per la misura e la caratterizzazione del campo in cavità o per l’alimentazione della stessa. Nel primo caso si pratica un foro di piccole dimensioni atto all’inserimento di una sonda di misura. Se essa è formata da una spira, si parla di accoppiamento magnetico, oppure si utilizza una sonda di tipo elettrico realizzata, ad esempio, con l’anima di un cavo coassiale, in tal caso si parla di accoppiamento elettrico. La scelta del posizionamento delle sonde va fatta in funzione di dove il campo (magnetico o elettrico) è massimo, onde massimizzare il rapporto segnale-rumore. Per quanto concerne, invece, l’accoppiamento tra cavità e linea di alimentazione si collegano le cavità con una guida d’onda tramite un foro, ottenendo così un accoppiamento elettromagnetico dipendente dalle dimensioni del foro stesso. Solitamente il foro è praticato lungo il lato stretto della guida così da avere massimo campo magnetico per il modo TE01 . Per quanto riguarda l’accoppiamento tra cavità, l’accoppiamento elettrico si ottiene praticando un’ iride che metta in comunicazione le celle laddove è presente un forte campo elettrico. L’accoppiamento magnetico si ottiene invece praticando un’ iride nelle cavità, sulla parete comune, laddove è il campo magnetico ad essere predominante. Anche in tal caso l’accoppiamento dipende dalle dimensioni dell’iride e dal valore dei campi ai due lati dello stesso. 114 Terzo capitolo Strutture accoppiate Per le cavità in esame nel nostro caso viene sfruttato l’accoppiamento magnetico tra cavità accelerante e di accoppiamento, ottenuto praticando un foro sulla parete in comune cosicché le cavità possano “parlare” tra loro. Un esempio è mostrato nella Figura 3.3 dove si nota una parte di cavità accelerante al centro, una parte di cavità di accoppiamento in basso ed il foro di connessione tra le due. Figura 3.3 : Immagine di foro praticato sulle pareti delle cavità per realizzare un accoppiamento di tipo magnetico. 3.5 Analisi circuitale: struttura monoperiodica Abbiamo detto che molte proprietà dei sistemi accoppiati possono essere capite studiando un modello di oscillatori accoppiati. Di seguito analizzeremo prima il comportamento di strutture monoperiodiche e poi di quelle biperiodiche utilizzando proprio questi modelli. Ogni cavità è costituita dall’unione di due mattonelle (Figura 3.4) ed è caratterizzata da un intenso campo elettromagnetico E tra i due nasi della cavità e da un flusso di corrente J lungo le sue pareti. 115 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.4 : Immagine di due mattonelle che formano una cavità di accelerazione ed una di accoppiamento. Consideriamo una singola cavità risonante ad una determinata frequenza; essa può essere rappresentata da un circuito equivalente RLC a parametri concentrati, in cui la resistenza R rappresenta le perdite ohmiche sulle pareti della cavità, l’induttanza L rappresenta l’energia magnetica immagazzinata all’interno della cavità e la capacità C rappresenta l’effetto del forte campo elettrico intorno ai nasi tipici delle cavità. Le relazione che legano i parametri circuitali alle figure di merito della cavità (vedi Capitolo II) sono: 1 ω o = LC ωo L Q = R (ω o L) 2 R = LQ = ω sh o R (3.6) La Figura 3.5 mostra un circuito RLC rappresentante una singola cavità risonante. 116 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.5 : Circuito equivalente della singola cavità. Anche per le cavità risonanti accoppiate, molte delle loro proprietà, come ad esempio l’analisi degli errori sulle frequenze di risonanza delle singole cavità o la curva di dispersione dei modi del sistema, possono essere meglio studiate se si utilizza un modello a circuiti accoppiati. Volendo utilizzare un’unica alimentazione per tutta la catena di cavità, si sfrutta l’accoppiamento principale fra le cavità vicine che viene descritto da una costante k. In generale in strutture SCL si realizza, come detto in precedenza, un accoppiamento di tipo magnetico tramite iridi poste sulla parete divisoria tra due celle della mattonella attraverso le quali l’energia passerà da una cella all’altra. Dopo aver fissato la frequenza di risonanza del dispositivo e la costante di accoppiamento tra cavità, la struttura monoperiodica sarà descritta da un modello a circuiti elettrici accoppiati tra loro del tipo mostrato in Figura 3.6 : Figura 3.6 : Rappresentazione mediante circuiti elettrici accoppiati di una catena di cavità accoppiate magneticamente. 117 Terzo capitolo Strutture accoppiate Il modello descritto nella nostra analisi termina con due mezze cavità (half-cell), ognuna delle quali viene chiusa con un piano conduttore che funziona da specchio elettromagnetico e rende la struttura infinita [12]. In questo modo le proprietà elettriche di N+1 cavità accoppiate possono essere assimilate alle proprietà elettriche di N+1 circuiti accoppiati. Stabilito ciò, le equazioni di Kirckhoff relativamente ai suddetti circuiti sono : 1 + jω k Ln i n−1 Ln−1 + i n+1 Ln+1 E n = i n 2 jωLn + Rn + j C ω n { } n = 1,2,........., N − 1 (3.7) R 1 + jω k L0 i1 L1 E 0 = i 0 jωL0 + 0 + 2 2 j C ω 0 (3.8) E N ha un’espressione analoga ad E 0 . In tali relazioni Ln è l’induttanza del circuito, Rn è la resistenza del circuito, C n la capacità e ω n = 2πf n è la pulsazione. E n rappresenta la tensione pilota nell’ nesimo circuito e in la corrente circolante. Dividendo l’ eq.(3.7) per jω 2 Ln e la (3.8) per L0 si ottiene : ω 0 ω 02 k ≡ I n = X n 1 + − 2 + ( X n −1 + X n + 1 ) jQ ω ω 2 jω 2 Ln En (3.9) n = 1,2,........., N − 1 ω0 ω02 ≡ I 0 = X 0 1 + − 2 + kX 1 jQ ω ω jω L0 E0 2 (3.10) 118 Terzo capitolo Strutture accoppiate ω 0 ω 02 ≡ I N = X N 1 + − 2 + kX N −1 jQ ω ω EN 2 jω L N (3.11) dove : ω 0−2 = 2 LC , X n= i n 2 Ln , QR = 2ω 0 L Queste equazioni così riscritte, non avendo nessun riferimento a L, R e C potrebbero essere applicate, nel caso più generale, ad una catena di risonatori accoppiati di natura arbitraria. I sono le incognite e possiamo definire 1 X n2W (n ) come In questa nuova forma le 2 l’energia immagazzinata nella n-esima cella dove W(n)=1 W(n)=1/2 n = 1,2,...,N-1 n = 0,N Nel caso particolare di un fattore di merito molto elevato, ci sono N+1 soluzioni dell’equazione omogenea associata ( I n =0) nella forma : X n(q ) = (const ) cos πqn N e jωq t (3.12) dove q è l’identificativo del modo, n è identificativo del circuito (o della cella) e: 2 ω o ω = πq 1 + k cos N 2 q q = 0,1,…….N (3.13) sono le frequenze dei modi. Quest’ ultima è la relazione di dispersione relativa ad una semplice sequenza di N+1 risonatori accoppiati. Si vede come la frequenza della singola cavità (ω0) varia nell’accoppiamento con le altre (alla stessa frequenza) e come si formi la banda passante dei modi (ωq). 119 Terzo capitolo 3.5.1 Strutture accoppiate N cavità accoppiate: i modi risonanti Nel Capitolo II abbiamo visto che per una struttura risonante reale, quindi finita, la curva di dispersone non sarà continua ma costituita da un numero finito di punti corrispondenti alle cavità e quindi ai modi. Consideriamo una struttura costituita da N+1 cavità accoppiate, lunga NL con periodo L e terminata con due mezze cavità chiuse, quindi equivalente ad N celle intere, come mostrato in Figura 3.7: Figura 3.7 : Schematizzazione di un acceleratore lineare di lunghezza NL, costituito da N+1 cavità risonanti a distanza L l’una dall’altra. Dal diagramma di Brillouin chiaramente non sarà più continuo ma campionato, presentando tanti punti quante sono le cavità. Da esso per ricavare la curva di dispersione, si possono utilizzare delle opportune forme di interpolazione. Nella Figura 3.8 seguente, ad esempio, è stato ricavato, mediante interpolazione, il diagramma di dispersione relativo ad una struttura costituita da 7 celle. 120 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.8 : Diagramma di dispersione relativo ad una struttura accelerante formata da 7 cavità risonanti. In esso si possono facilmente individuare i modi 0, π/2 e π. + In condizioni di risonanza saranno presenti nella struttura un’onda progressiva E z − ed un onda regressiva E z ; dalle condizioni al contorno si ricava : z=0 z = NL − + E z (0) = E z (0), − + E z (NL) = E z (NL) → − z → E (0)e -jN φ = E (0)e φ + z (3.14) jN dove φ è l’avanzamento di fase per ogni periodo L, cioè da una cavità all’altra. Le suddette condizioni ammettono (N+1) valori per la fase: φ ( n) = (n − 1)π N (3.15) n =1,…N+1 φ (n ) assume valori discreti indicati dalla precedente relazione (3.15). Ognuno dei modi risonanti della struttura accoppiata, sarà caratterizzato dalla propria fase e dalla propria frequenza data dalla (3.13). In particolare evidenziamo il modo 0 (per 121 Terzo capitolo Strutture accoppiate φ =0), il modo π (per φ = π ), il modo π /2 (per φ = π /2) che sono solitamente utilizzati per strutture accoppiate acceleranti. Considerando una dipendenza temporale di tipo sinusoidale, i vettori del campo E pulseranno oscillando tra il valore massimo in un verso, il valore nullo e il valore massimo nell’altro verso. Le lunghezze dei gap tra celle consecutive vanno quindi opportunamente scelte in modo che, durante il loro moto, le particelle incontrino una componente di campo lungo l’asse con verso tale da esserne sempre accelerate. Al fine di meglio intendere la scelta del modo di lavoro mettiamo a confronto l’andamento del campo per il modo 0, modo π, modo π/2, del quale risulterà in seguito chiara l’importanza. Figura 3.9 : Andamento del campo nella struttura relativo al modo 0. Figura 3.10 : Andamento del campo nella struttura, relativo al modo π. Figura 3.11 : Andamento del campo nella struttura, relativo al modo π/2. Iniziamo con il modo 0 (Figura 3.9) per il quale lo sfasamento dei vettori E(t) tra due cavità adiacenti sarà pari a zero per un fissato istante di osservazione. In tal caso la condizione di sincronismo è soddisfatta se il tempo impiegato dalle 122 Terzo capitolo Strutture accoppiate particelle nel passaggio da una cavità all’altra è pari ad un periodo della radiofrequenza. Nel modo π (Figura 3.10) invece bisognerà aspettare che il campo nella cavità successiva cambi segno e quindi è necessario che le particelle impieghino mezzo periodo della radiofrequenza per percorrere il gap. Per il modo π/2 (Figura 3.11), considerata la cavità n, è necessario che il campo presente nella cavità (n+2) cambi segno; le particelle devono quindi impiegare mezzo periodo della radiofrequenza per attraversare due cavità. Da questo si deduce come, al variare del modo utilizzato, varia la dimensione lineare dell’acceleratore. Se come modo di oscillazione si sceglie il π/2, notiamo che la componente del campo lungo l’asse è nulla nelle cavità pari quindi queste non partecipano all’accelerazione delle particelle ma solo all’accoppiamento elettromagnetico della struttura, si denominano infatti celle di accoppiamento. Per ridurre l’ingombro della struttura, mediante la riduzione della lunghezza della stessa, negli SCL le cavità di posto pari vengono poste fuori asse. 3.6 La scelta del modo di lavoro negli SCL Nella costruzione di un acceleratore lineare, è necessario porre grande attenzione alle distribuzioni di campo che sono molto sensibili ad errori di frequenza delle singole cavità, derivanti dalle lavorazioni meccaniche ed ad altre perturbazioni. Nelle strutture accoppiate monoperiodiche il modo di lavoro prescelto è quello 0 o π. Le distribuzioni dei campi relativi a questi modi sono però molto sensibili ad errori di costruzione. Per il modo π/2, invece, la tolleranza agli errori aumenta di molto. Ciò rende particolarmente attraente questo modo, anche se in una struttura monoperiodica comporta un abbassamento dell’impedenza di Shunt (metà dello spazio del LINAC sarebbe occupato da cavità non eccitate). La geometria SCL (catena biperiodica) risulta invece adatta per mantenere un’ alta Rsh, il sincronismo e contemporaneamente i vantaggi del π/2. 123 Terzo capitolo Strutture accoppiate Va ricordato che per quanto riguarda il sincronismo l’SCL, per le particelle, continua ad essere una struttura che opera sul modo π mentre solo l’energia elettromagnetica vedrà la struttura a π/2. I vantaggi della scelta del π/2 come modo di lavoro cioè di eccitazione per un SCL, possono essere così descritti: 1) Distanza tra i modi normali dello spettro Dal diagramma sotto riportato (Figura 3.12) [11], si vede come le frequenze dei diversi modi si addensano agli estremi della curva presentando, invece, una distanza maggiore nell’intorno del modo π/2 (modo centrale). Figura 3.12 : Esempio dei modi risonanti per un insieme di cavità accoppiate. Poiché i modi 0 e π risultano distanziare poco dai rispettivi modi vicini, è possibile eccitare questi ultimi durante la fase di alimentazione. L’effetto sarà quello di avere due vettori campo elettrico ( di ampiezza A1 e A2 rispettivamente) aventi fasi diverse. Il campo totale sarà ottenuto dalla risultante dei due modi e quindi presenterà una fase tanto diversa da zero quanto più l’ampiezza A2 del modo vicino è elevata, ossia quanto meno i modi risultano distinti in frequenza. Intorno al modo π/2 le distanze in frequenza fra due modi vicini, sono maggiori e quindi il disturbo in fase sarà trascurabile. 124 Terzo capitolo Strutture accoppiate 2) Dimensioni Un ulteriore vantaggio deriva dall’andamento del campo nell’intera struttura che, come vedremo, porterà ad una compattazione della stessa, con conseguente recupero di spazio. Ciò è fondamentale considerando che l’obiettivo è porre il dispositivo in una struttura ospedaliera, eventualmente già esistente e non costruita appositamente. 3) Stabilità di campo Un altro vantaggio del modo π/2 è la buona stabilità del campo accelerante nella struttura ben adattata, intesa in termini di mantenimento di ampiezza e fase dello stesso entro certi limiti: il campo nelle AC, almeno al primo ordine, non viene modificato da errori di costruzione. Inoltre la stabilità di fase determina una elevata efficienza rappresentata da una consistente conversione della potenza a radiofrequenza in energia delle particelle che non varia da cavità a cavità. 3.7 Analisi circuitale: struttura bi-periodica Consideriamo ora una catena biperiodica infinita di cavità accoppiate come quella riportata in Figura 3.13. Nel caso in esame N è pari e le cavità di posto dispari sono acceleranti, mentre quelle di posto pari sono di accoppiamento. Circuitalmente, questo sistema si traduce in una catena di N+1 circuiti risonanti accoppiati, aventi i seguenti parametri: (R, Lc, Cc) per n =2i, i=1,...,N/2; (R, La, Ca) per n =2i+1, i=1,…, N/2-1; (R /2, La /2, 2Ca) per n=1 e N+1. (3.16) 125 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.13 : Esempio di struttura biperiodica in cui k1=k, k2=ka, , k3=kc . Le cavità acceleranti saranno caratterizzate da una frequenza di risonanza fa, mentre quelle d’accoppiamento da una frequenza di risonanza fc, il numero delle prime è N/2+1, quello delle seconde è N/2. La costante relativa all’accoppiamento di primo ordine AC-CC è k1, quella relativa all’accoppiamento di secondo ordine AC-AC è ka , infine quella relativa all’accoppiamento di terzo ordine CC-CC è kc. La struttura termina sempre con due mezze cavità. Nella struttura Side Coupled considerata per PALME, le cavità acceleranti sono allineate lungo l’asse longitudinale (direzione di propagazione delle particelle), mentre le cavità di accoppiamento vengono poste fuori asse, così da ridurre notevolmente le dimensioni dell’acceleratore, come si può ben vedere in Figura 3.14. 126 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.14 : Rappresentazione schematica della struttura biperiodica in PALME. Dalla figura è evidente che gli accoppiamenti tra le cavità non hanno tutti lo stesso peso; mentre nel caso precedente (cavità tutte in asse) si poteva considerare k a ≅ k c , per un SCL l’accoppiamento tra le due cavità acceleranti ka è più grande di quello tra due cavità di accoppiamento kc di un ordine di grandezza (ad es. per PALME k 1 ≅ 3 × 10 −2 , k a ≅ 6 × 10 −3 , k c ≅ 3.5 × 10 −4 ), per tale motivo è necessario considerare una rappresentazione circuitale che tenga conto di queste differenze (Figura 3.15, dove è riportata una catena infinita). Figura 3.15 : Rappresentazione circuitale di una struttura biperiodica infinita. 127 Terzo capitolo Strutture accoppiate A partire da tale rappresentazione e utilizzando le equazioni di Kirckhoff si ha il sistema (3.17), in cui le quantità V2i-1,2i e I2i-1,2i sono, rispettivamente, le tensioni di alimentazione e le correnti nei circuiti. I termini I0, I-1 che compaiono nella prima equazione, analogamente ai termini IN+2 e IN+3 dell’ultima, sono necessari per tener conto della condizione di continuità che i campi devono avere nella struttura. Senza questi termini, le funzioni Ii che soddisfano a coppie le equazioni centrali del sistema non soddisferebbero le prime due e le ultime due equazioni del sistema, segno di una discontinuità nei campi della struttura non giustificabile fisicamente10 [13]. R La 1 I 1 + jΩM ac ( I 0 + I 2 ) + jΩM aa ( I 3 + I −1 ) + V1 = + jΩ 2 jΩ 2C a 2 LLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLL 1 I 2 i −1 + jΩM ac I 2 i − 2 + jΩM ac I 2 i + jΩM aa I 2 i − 3 + jΩM aa I 2 i +1 V 2 i −1 = R + jΩLa + jΩC a V = R + jΩL + 1 I + jΩM I c 2i ac 2 i − 1 + jΩM ac I 2 i + 1 + jΩM aa I 2 i − 2 + jΩM aa I 2 i + 2 2 i jΩC c LLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLL R L 1 V I N +1 + jΩM ac ( I N + I N + 2 ) + jΩM aa ( I N −1 + I N + 3 ) = + jΩ a + N +1 2 2 jΩ 2C a (3.17) dove M è il coefficiente di mutuo accoppiamento tra i circuiti. Si definiscono i seguenti coefficienti di accoppiamento: 2M ac k1 = La Lc 2 M aa ka = La 2 M cc kc = Lc (3.18) Dal legame esistente tra la frequenza di risonanza ed i parametri circuitali di una cavità si ha inoltre: 10 Vedi [14]. In tale articolo si fa riferimento al SCL e vengono affrontati i problemi che comporta una struttura siffatta qualora si introduca uno specchio e.m. come è mostrato nella relazione (3) del suddetto articolo. 128 Terzo capitolo Strutture accoppiate ω a = ω c = 1 La C a (3.19) 1 Lc C c La Qa = ω a R Lc Qc = ω c R (3.20) quindi le equazioni possono essere riscritte: k ω a2 ω a A1 k 1 + ( A0 + A2 ) + a ( A3 + A−1 ) E 1 = 1 − 2 + jΩ Q a 2 2 2 Ω LLLLLLLLLLLLLLLLLLL k k ω a2 ωa E A2 i −1 + 1 ( A2 i − 2 + A2 i ) + a ( A2 i − 3 + A2 i +1 ) 2 i −1 = 1 − 2 + jΩ Q a 2 2 Ω 2 k k ω ωc E 2i = 1 − c + A2 i + 1 ( A2 i −1 + A2 i +1 ) + c ( A2 i − 2 + A2 i + 2 ) 2 jΩQc 2 2 Ω LLLLLLLLLLLLLLLLLLLL 2 E N + 1 = 1 − ω a + ω a AN + 1 + k 1 ( AN + A N + 2 ) + k a ( AN − 1 + AN + 3 ) 2 jΩQa 2 2 2 Ω con: An = I n Ln En = Vn jΩ L n (3.21) per n=1,….., N+1; Si considera il caso senza perdite (Q a,c → ∞ ). Le soluzioni Ω m del sistema sono le frequenze di risonanza della struttura completa, cioè quelle che appaiono nello spettro misurato. Il sistema può essere riscritto nella forma: E = KA − ΛA con: 129 Terzo capitolo Strutture accoppiate E1 L E E = 2i −1 E 2i L E N +1 ω a2 2 Ω 0 K Λ= 0 0 K 0 0 ω c2 Ω2 K A1 L A A = 2i −1 A2i L A N +1 K K K K K K 0 K K K K K K K K 0 K K ω c2 K K K K K K 0 ω a2 K K K K K 0 K K K K Ω2 K K K K K K ka 2 k1 2 K ka 2 K 0 k1 1 2 k 1 1 + kc 2 2 K K K=0 K K K 0 K 0 K K K 0 Ω2 K kc 0 K 2 K K K k1 k1 1 2 2 K K K k K K c 2 K K K K K 0 K K K K (3.22) 0 0 K 0 0 K ω a2 Ω 2 K K ka K 2 K K k1 k 1+ c 2 2 ka k1 2 2 0 0 K 0 K k1 2 1 (3.23) (3.24) Le soluzioni del problema omogeneo (E=0) danno i modi normali di oscillazione (Am) e le frequenze di risonanza ( Ω m ). In questo caso si risolve un problema agli autovalori del tipo: K −Λ A=0 130 Terzo capitolo Strutture accoppiate Quindi gli autovalori sono le frequenze dei modi risonanti e gli autovettori sono i modi normali di oscillazione. Nel caso di una catena monoperiodica ω a = ω c = ω 0 e ka= kc=0 si hanno le soluzioni: ω 02 Ω = 1 + k1 cos ϕ m Aim = A cos((n − 1)ϕ m ) con n=1, …, N+1 2 m (3.25) ϕ m rappresenta l’avanzamento di fase del campo da cavità a cavità ed è : ϕm = (m − 1)π N con m=1, …, N+1 (3.26) Come già osservato in precedenza, ritroviamo che per il primo e l’ultimo modo le fasi valgono: ϕ1 = 0 , ϕ N +1 = π si tratta rispettivamente del modo 0 e del modo π . Nel caso generale, per una doppia catena di risonatori, le autosoluzioni devono essere separate per i risonatori pari e dispari. La relazione di dispersione risulta la seguente: ω a2 ω c2 k1 cos ϕ m = 1 − + k cos 2 ϕ 1 − + k cos 2 ϕ a m c m 2 2 Ω m Ω m 2 2 (3.27) Da essa si ricavano gli autovalori Ω m . Le autofunzioni sono: A2mi−1 = A m cos((2i − 2 )ϕ m ) A2mi = B m cos((2i − 1)ϕ m ) con n=1, …, N+1 (3.28) Lo studio della relazione (3.27) porta ad alcune interessanti conclusioni; esistono due soluzioni per ϕ = π / 2 : • ω a2 1 − 2 Ω π / 2 − ka = 0 131 Terzo capitolo • Strutture accoppiate ω c2 1 − 2 Ω π / 2 − kc = 0 che forniscono le frequenze del modo π/2, relativamente alle cavità AC ed alle CC, le seguenti relazioni danno tali valori : f πac/ 2 = f πcc/ 2 = f ac 1 − ka f cc 1 − kc dove f ac = ω a / 2π , (3.29) (3.30) f cc = ω c / 2π sono le frequenze di risonanza delle singole cavità AC e CC. Se i valori di f π / 2 ricavati da queste due relazioni sono diversi c’è, allora, una discontinuità nella relazione di dispersione, la regione compresa tra le due soluzioni è chiamata stop-band (Figura 3.16). Figura 3.16 : Digramma di dispersione di un struttura bi-periodica, con evidente presenza di una stop band. 132 Terzo capitolo Strutture accoppiate In Figura 3.17 è riportata la curva di dispersione dove appaiono evidenti i modi Ω m e la stop-band è chiusa. Figura 3.17 : Digramma di dispersione di una struttura bi- periodica in cui è stata realizzata la compensazione della stop band. L’obiettivo che bisogna perseguire nella progettazione delle cavità risonanti, acceleranti e di accoppiamento, è di uguagliare le frequenze del modo a π/2 rendendole uguali a quella di alimentazione in modo da compensare la stop band (vedi Figura 3.17). Una conseguenza diretta della stop-band aperta, sta nel fatto che i modi del sistema accoppiato si addensano maggiormente da un lato della banda, come mostrato in Figura 3.18 [15], perdendo così uno dei pregi del π/2 in quanto facilmente un modo vicino può essere eccitato con una conseguente perdita di potenza e di stabilità della struttura. In Figura 3.19 è mostrato lo spettro di una struttura in cui la stop-band è chiusa. 133 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3.18 : Spettro di una struttura bi-periodica, con evidente presenza di una stop band. Figura 3.19 : Spettro di una struttura bi-periodica, con stop band chiusa. 134 Terzo capitolo Strutture accoppiate Quindi affinché la stop-band sia chiusa, ovvero affinché le due f π / 2 (accelerante e di accoppiamento) siano uguali, le frequenze di singola cella devono essere adattate in modo che valga: f cc = f ac 1 − kc 1 − ka (3.31) Si osserva, infine, che per lo studio di sistemi di cavità accoppiate, oltre al modello half cell, si può utilizzare il modello full cell, che corrisponde al caso reale. Anche ora si fa uso del modello circuitale equivalente della struttura che si può risolvere in maniera analoga al caso ad half cell. Questa struttura non è però infinita, pertanto il sistema presenterà una discontinuità alle estremità che implica un’espressione diversa per l’avanzamento di fase cella-cella: ϕm = mπ N +2 con m=1, …, N+1 (3.32) A = Am sin (iϕ m ) m i Per le strutture full cell, non esisteranno dunque il modo 0 e π ma, essendo in generale elevato il numero N di celle, si avranno dei modi pseudo-0 e pseudo- π . Inoltre a differenza dell’half cell che presenta dei campi uniformi all’interno della struttura, conseguenza del fatto che essa eguaglia una struttura infinita di cavità, il full cell presenta, invece, un abbassamento del valore dei campi alle estremità della catena. È necessario dunque “terminare” correttamente la struttura full cell perché abbia un campo uniforme lungo tutta la sua lunghezza come accade per una catena infinita di cavità. La condizione di adattamento è ottenuta terminando la catena con una AC particolare, detta end cell, la cui frequenza è data da: ka 2 1 − ka 1− f end = f ac (3.33) 135 Terzo capitolo Strutture accoppiate 4 Misure in laboratorio: strumentazione hardware e software 4.1 Introduzione Il punto centrale di questa tesi sono state le misure di uniformità di campo elettrico sull’asse nel primo modulo di PALME. La dinamica delle particelle, che attraversano i gap delle cavità, è strettamente legata al profilo di campo che esse incontrano lungo tutto l’acceleratore. Le perturbazioni alla dinamica del fascio ideale trasmesso (in termini di energia e correnti finali) dipendono, fortemente, dall’uniformità del livello di tale campo nel passaggio da una cavità all’altra e da un tank all’altro. Studi appositi hanno mostrato che risulta accettabile una disuniformità del 3%. Scopo delle nostre misure era quindi quello di acquisire il profilo di campo elettrico nelle singole cavità e di rendere i livelli quanto più uniformi possibili. A tal fine è stato utilizzato il metodo perturbativo della perlina scorrevole (misure alla Slater) accompagnato da apposite sintonizzazioni delle cavità. Questa metodologia ha richiesto acquisizioni dei dati sia nel dominio del tempo che in quello della 136 Terzo capitolo Strutture accoppiate frequenza. Lo studio incrociato dei risultati nei due domini ci ha consentito di migliorare le caratteristiche del nostro prototipo. In questo capitolo viene descritta la strumentazione utilizzata in laboratorio e la metodologia utilizzata per le misure. Esse sono state effettuate con l’ausilio di un Analizzatore di Reti e di un calcolatore per acquisire e trattare i dati in maniera automatica tramite codici sviluppati con il programma grafico LabVIEW. L’automazione delle misure è stata fondamentale per ottenere un grado di uniformità accettabile e per garantirci delle misure affidabili. Infatti l’elaborazione dei dati acquisiti ci ha consentito di definire un parametro tale da fornirci una misura reale ed affidabile del miglioramento o del peggioramento dell’uniformità. La definizione di tale parametro ci ha consentito, inoltre, di mettere a punto una procedura di misura utilizzabile per altri SCL. Questa verrà mostrata nel capitolo successivo insieme ai dati acquisiti sul nostro modulo. 4.2 L'analizzatore di rete HP8720ES La caratterizzazione di cavità RF risonanti passa attraverso la misura dei parametri di diffusione che forniscono nel dominio della frequenza la risposta del sistema ad un segnale di ingresso. Per poter misurare i parametri di diffusione del nostro acceleratore e caratterizzare il comportamento elettromagnetico delle cavità in esame è stato utilizzato un analizzatore di reti costruito dalla HEWLETT PACKARD con sigla HP8720ES. Tale strumento consente la misura dei parametri di diffusione del dispositivo sotto test (DUT) al variare della frequenza e la loro rappresentazione nei vari formati come ampiezza, fase, ritardo di gruppo, parte reale ed immaginaria, o come impedenze sulla carta di Smith. In esso, il segnale trasmesso e/o riflesso dal componente sotto test viene misurato confrontandolo con uno noto sinusoidale, in ingresso, generato da una sorgente a radiofrequenza interna all’analizzatore stesso. La risposta viene fornita in ampiezza e fase, al contrario di un Analizzatore di Spettro in cui le informazioni sulla fase si perdono. Vediamo ora brevemente cosa si intende per parametri di diffusione Sij di un dispositivo a due porte. Su una delle due porte si ha un segnale incidente, mentre dall’altra porta il segnale è uscente. I parametri Sij indicano il rapporto tra la 137 Terzo capitolo Strutture accoppiate potenza uscente dalla porta (i) quando si alimenta il dispositivo della porta (j), in termini di onda entrante ed uscente. Essi consentono di formulare il problema per mezzo di uno schema a matrici fra ingresso, dispositivo ed uscita. Possono essere definiti per un dispositivo lineare a n-porte e il loro numero va come n al quadrato. Nel caso di due porte si hanno dunque quattro parametri, i coefficienti S11 ed S22 sono i coefficienti di riflessione delle porte di ingresso e di uscita, mentre S12 ed S21 sono i parametri di trasmissione fra le due. Tali parametri sono legati all’impedenza in riflessione ZR dalla relazione: Z R = Z0 1 + S11 1 − S11 Mentre in trasmissione si ha per ZT: ZT = Z 0 2(1 − S 21 ) S 21 con Z 0 impedenza caratteristica. Figura 4.1 : Matrice dei parametri di diffusione. Un discorso più approfondito su tali parametri è riportato in Appendice A. Lo schema a blocchi dell’analizzatore di reti in forma semplificata è mostrato nella Figura 4.2. Figura 4.2 : Schema a blocchi del Network Analyzer. 138 Terzo capitolo Strutture accoppiate Tale strumento è in generale un sistema costituito da una sorgente di segnale, da un dispositivo per la sua separazione e da un sistema per ricevere, misurare e rappresentare il segnale stesso. La sorgente sintetizzata è formata da un oscillatore di alta qualità a tensione controllata agganciato in fase con l’analizzatore vero e proprio. Inoltre essa consente la generazione di un segnale a frequenza variabile o continua in un dato intervallo che, per il caso del nostro Analizzatore HP 8720ES, risulta compreso tra i 50 MHz ed i 20 GHz con una risoluzione in frequenza di 100 kHz. È importante osservare che la potenza in uscita dalla sorgente è mantenuta costante al livello prescelto da un controllo automatico di livello (ALC). Il controllo di potenza è discreto, con incrementi di 0.05 dB; il campo di funzionamento del controllo ALC è di 20 dB e le potenze erogabili sono comprese nell’intervallo -65 dBm ÷ 5 dBm. Un elemento fondamentale di strumenti come l’Analizzatore di Reti è il filtro a frequenza intermedia (IF), la cui larghezza di banda lega la precisione della misura alla sua durata: una banda piccola implica necessariamente uno “spazzolamento” in frequenza più lento. Il separatore di segnale contiene un divisore di potenza, un commutatore e due o tre accoppiatori direzionali. Il divisore di potenza preleva parte del segnale dalla sorgente e lo invia al campionatore R in modo da utilizzarlo come riferimento: questo segnale viene trasmesso dal ricevitore nuovamente alla sorgente dopo essere stato agganciato in fase; ciò assicura accuratezza nella misura in frequenza e in fase. Il commutatore e gli accoppiatori direzionali vengono usati per ottenere contemporaneamente i parametri in trasmissione e riflessione in entrambe le direzioni diretta e inversa. I segnali, trasmesso e riflesso, dal DUT vengono mandati al campionatore B e a quello A rispettivamente e da qui confrontati con R. Il ricevitore che contiene i tre campionatori (A, B, R) converte i segnali provenienti dall’oggetto sotto test in due passi. Nel primo passo si ha la conversione dei segnali ad alta frequenza dell’oscillatore locale in segnali a bassa frequenza tramite un mixing di frequenza con un segnale 139 Terzo capitolo Strutture accoppiate a RF noto (tecnica ad eterodina), nel nostro caso a 4 kHz, mantenendo inalterate le caratteristiche di fase e ampiezza del segnale originario. La misura è tanto più accurata quanto più la banda usata per campionare le frequenze da analizzare è piccola (IF bandwidth). Il motivo di questo passaggio dalle alte alle basse frequenze è dovuto al fatto che l’elettronica necessaria risulta molto più semplice ed economica; la larghezza di banda del filtro IF può arrivare fino a 10 Hz. Nel secondo passo si ha la trasformazione dei segnali analogici in uscita dal convertitore, in digitale attraverso un convertitore analogico-digitale (ADC). Dopodiché ogni segnale può essere elaborato matematicamente dal microprocessore per ottenere i parametri S: il segnale numerico è rappresentato da una serie di punti, ogni punto rappresenta una misura al singolo valore di frequenza. I coefficienti di diffusione, come già detto, sono calcolati dall’Analizzatore di Reti confrontando la potenza del segnale mandato originariamente in ingresso con quello rilevato all’uscita e poi mostrato su scala logaritmica o lineare. L’elaborazione dei dati, rappresentati da un vettore, è affidata ad un microprocessore che può correggere l’errore sistematico, dovuto al rumore introdotto dai cavi di collegamento tra le porte del dispositivo sotto test e le porte dell’analizzatore, attraverso l’operazione di calibrazione dello strumento effettuata dal pannello frontale da parte del misuratore. L’operazione di calibrazione viene effettuata, in un dato intervallo di frequenze, collegando ai cavi alcuni dispositivi la cui risposta in frequenza è nota (cortocircuiti, circuiti aperti, carichi). È possibile, dunque, calcolare l’errore introdotto dal sistema di collegamento riferendo i dati acquisiti a quelli privi di errore, cosa che l’analizzatore fa in maniera automatica. L’ insieme dei dati misurati durante l’operazione di calibrazione, in una data configurazione, può essere salvato ed utilizzato per misure successive[16,17] 140 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 4.3 : Analizzatore utilizzato per le misure. 4.3 Automazione delle misure Le misure che abbiamo effettuato passano attraverso l’individuazione, quanto più precisa possibile, dei valori delle frequenze di risonanza e delle loro variazioni in funzione di perturbazioni locali nelle cavità. A tal fine è necessario individuare dei punti particolari sul grafico dei parametri di diffusione al variare della frequenza. Alcuni di tali punti, come ad esempio massimi e minimi assoluti, possono essere rilevati in maniera precisa attraverso i vari comandi dell'analizzatore di reti. Gli altri però devono essere individuati attraverso l'utilizzo manuale dei cursori che possono essere traslati utilizzando la manopola dello strumento. Ciò comporta una incertezza di misura dovuta alla sensibilità della manopola stessa e al misuratore. Infatti, risulta difficile spostare il cursore punto per punto e quindi è facile confondere il valore cercato con quello dei punti immediatamente adiacenti. Questo, oltre a comportare un aumento dell'incertezza, fa aumentare anche il tempo necessario per effettuare la misura a causa della maggiore attenzione richiesta nell'individuazione dei punti. Il maggiore tempo richiesto dall'analisi manuale così posta, può indurre un ulteriore aumento dell'incertezza dovuta al fatto che si possono avere in tale intervallo variazioni dei parametri che influenzano la misura stessa. Altre difficoltà risiedono nell'acquisizione ed elaborazione dei dati, soprattutto nel caso di misure iterative. Infatti, in questi casi bisogna leggere i valori di riferimento, trascriverli e poi inserirli in un foglio di calcolo elettronico per 141 Terzo capitolo Strutture accoppiate elaborarli. Questa successione di fasi richiede molta attenzione poiché gli errori di lettura del dato sullo schermo dello strumento, di trascrittura o inserimento nel foglio di calcolo, possono alterare il valore della misura. Quindi una misura completa richiede sia del tempo necessario per la visualizzazione della curva sullo strumento, sia quello necessario ad ottenere un dato quanto più insensibile agli errori di individuazione dei punti e a quelli di trascrizione. Il modo per eliminare questi inconvenienti e ridurre i tempi è quello di ricorrere ad un sistema automatizzato, in cui l'analizzatore può trasferire i dati direttamente ad un calcolatore che, ricevendo i valori d'interesse in maniera precisa entro un intervallo di errore minore di quello dovuto alla metodologia di misura stessa, può elaborarli senza l'intervento dell'operatore. Per creare un sistema automatizzato di tale tipo bisogna disporre di schede d'acquisizione e controllo da installare sui vari strumenti che ne fanno parte e sull’ elaboratore elettronico. I vari componenti il sistema di misura vengono collegati attraverso un bus che può essere di vari tipi. Lo standard utilizzato stabilisce il numero di strumenti collegabili tra di loro, i protocolli di comunicazione e tutto ciò che riguarda l'architettura dei sistemi: SCSI (Small Computer Systems Interface), è un bus ad alta velocità per collegare dispositivi in maniera lineare, cioè uno di seguito all'altro. Questo vuole dire che si può utilizzare un dispositivo alla volta sia per la comunicazione calcolatorestrumento che per il viceversa. Tipicamente il bus SCSI viene utilizzato per il controllo delle periferiche di un calcolatore , ma può essere impiegato in maniera efficiente, data l'elevata velocità di trasferimento dati, anche nei sistemi di misura. Il numero di dispositivi collegabili, compresa la CPU di controllo è pari ad otto. RS-232 per comunicazioni seriali. Tale bus permette collegamenti tra calcolatore e strumenti a distanze molto grandi. Però, attraverso esso, è possibile collegare un solo dispositivo alla volta con una velocità di trasferimento dati inferiore ai 20 kB/s. RS-485 è una evoluzione del bus precedente. Tale bus è anch'esso di tipo seriale ma consente un collegamento fino a 1220 m. Il numero di dispositivi collegabili è pari a 32 ed il collegamento può essere sia half che full duplex. 142 Terzo capitolo Strutture accoppiate Nella Figura 4.4 si mostrano le principali caratteristiche dei bus visti precedentemente. Figura 4.4 : Tipologie di BUS e loro caratteristiche. Dello standard GPIB si parlerà nel prossimo paragrafo in maniera più estensiva, essendo quello utilizzato nel nostro caso. Per effettuare le misure in modalità automatica, oltre ai sistemi hardware, bisogna disporre anche dei sistemi software per potere programmare gli strumenti attraverso il calcolatore e gestire l'elaborazione. Nel nostro caso è stato utilizzato il pacchetto software LabVIEW di cui si parlerà più avanti. 4.4 Lo standard GPIB (General Purpose Interface Bus) Tale standard deriva dall'evoluzione del bus HP-IB (Hewlett-Packard Interface Bus) del 1960, creato dalla HP per controllare e programmare gli strumenti da essa costruiti. Con il diffondersi dei calcolatori elettronici e della tecnologia numerica, il bus ha subito un'evoluzione che nel 1975 ha portato allo standard IEEE 488 (Institute of Elettrical and Electronic Engineers Standard Digital Interface for 143 Terzo capitolo Strutture accoppiate Programmable Instrumentation), il quale conteneva le specifiche elettriche, meccaniche e funzionali del sistema. Poiché il documento originale dello IEEE 488 non conteneva le linee guide per la sintassi e le convenzioni sul formato dei dati, si è provveduto ad una evoluzione dello standard introducendo lo IEEE 488.2 in cui si sono introdotti i codici, i formati, i protocolli e i comandi per l'uso dello standard. Nel 1990 le specifiche dello IEEE 488.2 sono state integrate con lo SCPI (Standard Commands for Programmable Instrumentation) che specifica i comandi che ogni classe di strumenti, di qualsiasi costruttore, deve eseguire. Questo garantisce la compatibilità e la configurabilità tra i vari strumenti. Lo GPIB è un'interfaccia di comunicazione parallela ad otto bit, con una velocità di trasferimento dati superiore ad 1 MB/s. Il bus supporta un controllore, tipicamente dato da un calcolatore elettronico, e più di 14 strumenti. 4.4.1 Configurazione hardware del bus GPIB Un sistema hardware GPIB consta di due o più dispositivi collegati tra di loro attraverso un cavo schermato a 24 poli, con possibilità di utilizzare connettori maschio/femmina ad ogni capo. Questo consente di utilizzare una configurazione lineare, a stella o mista (Figura 4.5). Figura 4.5 : Configurazioni di collegamento bus GPIB. 144 Terzo capitolo Strutture accoppiate Le 24 linee del bus ne comprendono 16 per il segnale ed 8 per le masse: ogni dispositivo collegato condivide le 24 linee. Le 16 linee del segnale si dividono in tre gruppi, 8 per il trasferimento dati, 5 per la gestione dell'interfaccia e 3 per il protocollo handshake. Le otto linee per il trasferimento dati in Figura 4.6 sono indicate con le sigle da DI01 a DI08 e trasferiscono tutti i comandi e i dati in formato ASCII o ISO utilizzando 7 bit. L'ottavo bit viene utilizzato per il controllo di parità. Le linee per la gestione dell'interfaccia inviano cinque comandi: Figura 4.6 : Connettore GPIB. IFC (interface clear), quando si attiva tale comando i dispositivi si portano in uno stato disattivo; ATN (attention), tale comando viene inviato per specificare se sulla linea dei dati è presente un comando o un dato; SRQ (service request), tale linea viene attivata quando un dispositivo richiede un servizio; REN (remote enable), quando la linea è attiva il dispositivo è controllato in remoto, non appena viene disattivata lo strumento ritorna nello stato locale; EOI (end or identify), questa linea viene utilizzata da un dispositivo in trasmissione per indicare l'ultimo byte trasmesso. Tre linee asincrone vengono utilizzate per il controllo dei messaggi attraverso un protocollo handshake. Le linee sono così indicate: 145 Terzo capitolo Strutture accoppiate NRFD (not ready for data), il dispositivo non è pronto al trasferimento dati; NDAC (not data accept), il dispositivo ha ricevuto i dati ma ha riscontrato degli errori; DAV (data valid), il dispositivo ha ricevuto correttamente i dati. Questo schema garantisce che il dispositivo trasmetta e riceva i dati correttamente. In aggiunta allo IEEE 488.1, la National Instrument ha brevettato il protocollo HS 488 per il trasferimento dati ad alta velocità per lo GPIB in modo da avere trasferimenti dati superiori a 8 MB/s. Tale protocollo è utilizzabile su interfacce GPIB operanti con chip TNT 4882. Per raggiungere elevate velocità, bisogna limitare il numero di strumenti utilizzabili e le distanze tra di essi. La massima distanza tra due dispositivi collegati allo stesso bus non può superare i 4m, inoltre la distanza media non può superare i 2m. Il cavo non può essere più lungo di 20m. Il massimo numero di strumenti collegabili ad ogni bus è di 15. Tali limiti possono essere superati con degli opportuni accorgimenti. Per evitare che gli strumenti utilizzino simultaneamente il bus, i dispositivi vengono suddivisi in controller (controllore), talker (parlante) e listener (ascoltatore). Ogni qualvolta uno strumento trasferisce i dati, esso deve essere un talker mentre tutti gli altri devono essere dei listener. In generale, un sistema è composto da più strumenti collegati ad un calcolatore che opera come controller, tuttavia alcuni dispositivi possono operare essi stessi da controller. In questi casi solo un controller può essere attivo per ogni fase di misura o acquisizione, e sarà detto CIC (controller in charge). Il controller ha quattro mansioni principali: • definire i collegamenti della comunicazione; • rispondere alle richieste di servizio dei dispositivi; • inviare i comandi GPIB; • passare e ricevere il controllo. 146 Terzo capitolo Strutture accoppiate Ogni dispositivo collegato al bus viene individuato da un indirizzo. Alcuni strumenti possono avere dei moduli indipendenti cui si può accedere attraverso dei sottoindirizzi. 4.5 LabVIEW LabVIEW (acronimo di Laboratory Virtual Instrument Engineering Workbench) è un'applicazione per lo sviluppo di programmi ad alto livello di tipo G, ossia di tipo grafico, che tramite la costruzione di strumenti virtuali (Virtual Instrument) consente di controllare strumenti reali e di acquisire i dati. A differenza degli usuali linguaggi di programmazione basati su linee di codice composte tramite un testo scritto, i linguaggi di tipo grafico utilizzano oggetti grafici. Ognuno di tali oggetti esegue un'istruzione che coinvolge i dati al suo ingresso ed in uscita fornisce dei valori che, tramite una linea di connessione grafica, possono essere connessi ad altri operatori per l'esecuzione di nuove istruzioni o per la visualizzazione dei risultati. Viene a crearsi in questo modo un diagramma di flusso per i dati in cui si evidenziano i nodi del programma rappresentanti le istruzioni eseguibili. Mentre negli usuali linguaggi di programmazione le istruzioni vengono eseguite rispettando la sequenza cronologica, in LabVIEW ogni nodo viene eseguito quando sono disponibili tutti i dati al suo ingresso. Il pacchetto può essere impiegato con le piattaforme più comuni, quali PC, Macintosh, Linux. In questo lavoro di tesi si farà riferimento alla versione 6i utilizzata su sistemi Macintosh e PC. Gli oggetti grafici si dividono in controlli, indicatori ed icone: i controlli rappresentano i valori in ingresso e possono avere varie forme a seconda del tipo di dato, ad esempio un pulsante per un booleano o una manopola per un numerico; gli indicatori mostrano i risultati del programma eseguito e possono essere rappresentati con dei led, delle stringhe numeriche ecc.. .; le icone rappresentano un sottoprogramma e possono appartenere alla libreria del programma o essere creati dall'utente. Alla libreria di LabVIEW appartengono programmi per la gestione di schede di controllo ed acquisizione dati di strumenti collegati ad un calcolatore. 147 Terzo capitolo Strutture accoppiate Gli standard di collegamento e di comunicazione supportati dall'applicazione sono GPIB, VXI, PXI, RS-232, RS-485. In pratica, attraverso programmi realizzati in LabVIEW, si possono collegare più apparecchiature elettroniche in modo automatizzato. Ciò consente di realizzare dei veri e propri sistemi di misura e controllo in modo versatile ed economico rispetto ad apparecchiature dedicate. Per questo motivo ogni programma viene definito VI, strumento virtuale, ed ogni sottoprogramma subVI. I VI hanno un interfaccia interattiva con l'utente, un equivalente codice sorgente e accettano parametri in ingresso da VI di livello superiore. Ogni VI è costituito da un pannello frontale, un diagramma a blocchi ed un'icona rappresentativa del programma. Il pannello frontale è la maschera dello strumento virtuale. Su di esso prendono posto gli indicatori ed i controlli in modo da rappresentare quelli che sono i possibili dati in ingresso ed uscita dallo strumento, più i possibili comandi eseguibili. Il pannello frontale può anche simulare il pannello di uno strumento reale che viene utilizzato in remoto. Il diagramma a blocchi é il listato del programma, contiene i blocchi relativi ai vari oggetti disposti sul pannello frontale, gli indicatori delle varie funzioni, le icone dei vari sottoprogrammi utilizzati e le linee grafiche che li collegano. I VI seguono una certa gerarchia e sono modulari. Le icone e i connettori consentono di passare dati da un VI all'altro o ai subVI. LabVIEW è quindi un insieme di programmazione modulare. L'applicazione finale (VI) può essere suddivisa in una successione di passi (subVI) che possono essere controllati, corretti ed eseguiti separatamente. Di seguito si riporta una breve descrizione di LabVIEW dove saranno specificate le differenze di utilizzo per sistemi MAC e PC laddove esistenti [18]. 4.5.1 Controlli ed indicatori Come detto, controlli ed indicatori rappresentano i dati in ingresso ed uscita del programma. Si dividono in base al tipo del dato ed alla sua struttura: si hanno controlli di tipo numerico, booleano, carattere, enumerativo e d'indirizzamento; esistono poi controlli per strutture quali vettori, cluster e grafici. Nei diagrammi a 148 Terzo capitolo Strutture accoppiate blocchi, vengono rappresentati con dei rettangoli di colore diverso per ogni tipo e con all'interno delle sigle d'identificazione. Per i controlli il bordo del rettangolo è più evidente di quello degli indicatori. Ad ogni oggetto è associato un menu nascosto (pop up), cui si accede posizionandosi con il cursore del mouse sul simbolo e schiacciando i tasti control mela ed il tasto del mouse (solo tasto destro del mouse su PC). Da questo menu è possibile eseguire varie operazioni, quali mutare l'oggetto da indicatore a controllo o viceversa, nascondere l'etichetta associata ecc…. Il tipo numerico è rappresentato dal colore blu per valori interi, giallo per gli altri formati possibili. Il cambio di formato avviene tramite menu nascosto. Sul pannello frontale,esso può assumere varie forme a seconda dell'utilizzo. Può essere rappresentato da una riga in cui inserire il valore, da una manopola graduata, da un indicatore analogico di tipo tachimetrico, da un visualizzatore a scala termica ecc…. Il tipo carattere è associato al colore rosa. Ogni controllo o indicatore individua una stringa di caratteri. Sul pannello frontale viene rappresentato da una zona bordata che può essere dimensionata opportunamente attraverso l’uso del mouse. Si può anche ricorrere all'inserimento di una barra di scorrimento se il messaggio è troppo lungo. I dati di questo tipo possono anche essere visualizzati su di una tabella opportunamente organizzata. Il tipo logico è caratterizzato dal colore verde. Gli oggetti vengono rappresentati con dei led, degli interruttori o dei pulsanti. Per quanto riguarda questi ultimi è possibile farli operare in modalità latch, cioè dopo essere stati utilizzati ed aver cambiato stato, ritornano immediatamente a quello precedente. Il tipo enumerativo è associato al colore blu. Può essere rappresentato da una stringa con dei cursori per evidenziare il valore di riferimento. Il controllo può essere costruito inserendo od eliminando i vari campi attraverso il menu nascosto. La colorazione del vettore è quindi rappresentativa del tipo degli elementi che lo costituiscono. Ad esempio un vettore di interi avrà un colore blu. Sul pannello frontale viene rappresentato da una stringa affiancata da un indice variabile che mostra quale elemento del vettore si sta osservando. Variando con il mouse le dimensioni della stringa si possono visualizzare più elementi dello stesso vettore. 149 Terzo capitolo Strutture accoppiate Un vettore si crea inserendo sul pannello frontale il controllo del tipo desiderato all'interno del simbolo vettore. Un cluster è costituito dall'aggregazione di dati di tipo diverso: è simile ad un vettore e può avere come elementi costituenti anche dei vettori di vario tipo. A differenza dei vettori, però, il cluster ha una dimensionalità finita. Un cluster, inoltre, non può contenere contemporaneamente controlli ed indicatori. Un indicatore grafico traccia un grafico bi o tridimensionale a partire da dati acquisiti od elaborati. Sul diagramma a blocchi è rappresentato da un cluster, mentre sul pannello frontale appare un oggetto simile ad uno schermo. Le dimensioni di tale schermo possono essere variate attraverso il mouse, inoltre è possibile aggiungere uno o più cursori attraverso il menu nascosto. E' possibile tracciare contemporaneamente anche più di un grafico di colore diverso. Le rappresentazioni possono avvenire anche attraverso l'uso di mappe termiche. 4.5.2 Funzioni Per realizzare un programma oltre ai dati bisognerà utilizzare delle funzioni con cui eseguire le operazioni richieste. Esistono funzioni che operano sul tipo dei dati e funzioni per particolari operazioni. Anche le funzioni sono rappresentate da icone raffiguranti la particolare operazione che svolgono. Le funzioni di tipo numerico contengono, oltre alle operazioni fondamentali, operatori per la generazione casuale di numeri e per approssimazioni di frazionari. Sono implementate anche le più comuni funzioni trigonometriche e logaritmiche ed esiste un insieme di operatori per il passaggio da coppie di numeri reali a numeri complessi e viceversa. Le funzioni per il tipo booleano sono quelle relative alla logica binaria, operanti su singoli valori o su vettori. Esistono anche funzioni comparative il cui risultato è di tipo logico nonostante l'ingresso sia di natura diversa. Per il tipo carattere sono previste funzioni per l'estrazione di una sequenza di caratteri da una stringa o la concatenazione tra più di esse. Esistono anche funzioni per calcolare il numero di caratteri appartenenti alla stringa o per 150 Terzo capitolo Strutture accoppiate l'inserimento della data corrente. Di particolare interesse sono le funzioni per la trasformazione da carattere a tipo numerico nelle varie rappresentazioni e viceversa. Le funzioni relative ai vettori prevedono l'opportunità di inizializzare, costruire, rimpiazzare un elemento, estrarre un sottovettore o aumentarne le dimensioni. Altre funzioni importanti sono la decimazione per due, l'estrazione di massimo e minimo valore presenti all'interno del vettore e la loro posizione. Relative ai cluster sono le funzioni che offrono la possibilità di impacchettamento o decomposizione dell'oggetto e di costruire vettori di cluster. Esiste anche una libreria di funzioni utile al trattamento di segnali. In tale libreria si hanno delle sottolibrerie riguardanti la generazione dei più comuni segnali, il filtraggio numerico, l'elaborazione dei segnali, le interpolazioni e la simulazione delle variabili aleatorie di più largo uso. Altre funzioni che possono essere particolarmente utili sono quelle di temporizzazione. Queste, infatti, possono permettere una migliore sincronizzazione tra strumento ed apparecchiature di controllo. Esistono inoltre delle librerie contenenti funzioni avanzate per l'acquisizione dei segnali analogici o numerici, per la calibrazione e per il condizionamento dei segnali riguardanti particolari DAQ (dispositivi d'acquisizione). 4.5.3 Strutture Come tutti i linguaggi di programmazione, anche LabVIEW è dotato delle usuali strutture d'iterazione e controllo. Tali strutture sono allocate nel menu funzioni e sono di vitale importanza nella programmazione. Anche queste istruzioni hanno una veste grafica ed in particolare i comandi da eseguire prendono posto all'interno della rappresentazione visiva della struttura. La prima struttura che si esamina è la sequence. Come già detto, il programma non segue l'ordine cronologico delle istruzioni ma segue il flusso di dati. Per evitare che un nodo del programma venga eseguito prima di un altro si può ricorrere a tale struttura. In pratica l'istruzione sequenza esegue parti di programma seguendo un ordine cronologico imposto dal programmatore. La veste grafica della sequenza è 151 Terzo capitolo Strutture accoppiate simile ad un fotogramma di una pellicola. L'area del fotogramma può essere dimensionata opportunamente in base alla grandezza del tronco di programma che prende posto al suo interno. Per aggiungere o eliminare spezzoni della sequenza si può ricorrere al menu nascosto. Quando si inserisce una sequenza nel diagramma a blocchi si ha un solo frammento, aggiungendo altri fotogrammi questi si sovrappongono e vi si può entrare in ciascuno di essi tramite un indicatore con dei cursori posto in capo al fotogramma; tale indicatore individua quale fotogramma si osserva. In pratica si può osservare un solo frammento alla volta e si ci può spostare da uno spezzone all'altro con i cursori. E' possibile trasferire dati calcolati in un segmento della sequenza ad un altro inserendo da menu nascosto una variabile locale individuata da una freccia racchiusa in un quadrato addossato al bordo della struttura. La struttura case esegue dei frammenti di programma allorquando si verifica una determinata condizione. Tipicamente questa condizione è di tipo logico con valori vero o falso. Per passare da un valore all'altro si possono utilizzare i cursori posti nella zona di controllo in capo alla struttura. Graficamente è rappresentata come una cornice al cui interno collocare le istruzioni. Se si usa, per selezionare i casi, un valore logico si potranno avere solo due alternative di percorso per il flusso dati. Se si vuole aumentare il numero di casi previsti, cosa fattibile tramite menu nascosto, si deve ricorre ad un selettore dato da un numero reale. I vari casi sono sovrapposti l'uno all'altro e ne sarà visibile solo uno alla volta. I dati in ingresso ed uscita alla struttura passano attraverso dei tunnel nella cornice rappresentativa del case. Se in un caso escono dei dati, il tunnel dovrà essere attraversato anche in tutti gli altri casi. La situazione particolare in cui si ha una sola alternativa è assimilabile all'istruzione if-then quella con due casi ad una if-then-else di un normale linguaggio di programmazione. Il ciclo for è una struttura iterativa che ripete l'istruzione al suo interno un numero predefinito di volte N. Graficamente si presenta come una sovrapposizione di fogli in cui in alto è indicato il numero di iterazioni attraverso il simbolo N cui viene legato un numero intero, costante o fornito dall'elaborazione. In basso prende posto l'indice d'iterazione i che individua l'iterazione in corso. Qualora si voglia 152 Terzo capitolo Strutture accoppiate aggiornare un registro ad ogni iterazione, è possibile inserire, sui bordi della struttura, dei registri di scorrimento attraverso il menu nascosto. Il ciclo while è una struttura iterativa che esegue le istruzioni al suo interno finché resta verificata una data condizione logica. Graficamente si presenta come una cornice al cui interno prendono posto un indicatore logico, cui legare la condizione di esecuzione del ciclo, ed un indice d'iterazione. I dati che si estraggono dal ciclo, collegando l'interno del while con un indicatore esterno alla struttura, si riferiscono all'ultima iterazione eseguita. Anche in questa struttura è possibile passare i dati da un'iterazione all'altra attraverso dei registri di scorrimento. L'ultima struttura in esame è la formula node. Tale struttura permette di esprimere in modalità testo le formule matematiche in modo da rendere più agevole e leggibile la scrittura di tali istruzioni, non dovendo ricorrere alle funzioni descritte tramite icone. Si presenta come una finestra al cui interno inserire le espressioni. Sul bordo della finestra, tramite menu nascosto, si possono inserire le lettere associate alle variabili utilizzate nella formula per collegarle ai dati in ingresso ed in uscita. 4.5.4 Costruzione del pannello frontale attraverso la tavola dei tools Il primo passo nella realizzazione di un VI è la creazione del pannello frontale. Su di esso prenderanno posto tutti i controlli, per la gestione dello strumento virtuale e dei dati da elaborare, e gli indicatori per mostrare i dati acquisiti e/o elaborati. Per costruire il pannello si ricorre alla tavola dei tools, attrezzi. Anche tali attrezzi vengono rappresentati graficamente con delle immagini che ricordano le operazioni svolte. Di questi attrezzi si ricorda quello per il posizionamento rappresentato da una freccetta. Il suo utilizzo permette di prendere dalla tavola dei controlli i vari oggetti e posizionarli nella locazione desiderata. Attraverso tale dispositivo è anche possibile spostare gli oggetti già posizionati, ridimensionarli o selezionarli per poi rimuoverli dal pannello tramite il tasto di cancellazione. 153 Terzo capitolo Strutture accoppiate L'attrezzo per inserire i valori nei controlli è identificato dall’indice di una mano. Tale oggetto permette di inserire i dati o di cambiare le scale sui controlli grafici quali manopole o visore grafico. Il tool editore di testo permette l'inserimento di commenti o di indicazioni particolari sia sul pannello che all'interno degli oggetti che lo compongono. E' individuato sulla tavola dei tools dalla lettera A. L'oggetto popup serve a mostrare il menu nascosto, detto appunto popup, semplicemente schiacciando il tasto del mouse. Esistono poi tools per la colorazione dei vari oggetti presenti sul pannello frontale al fine di migliorare l'aspetto estetico dello stesso. Grazie a tali attrezzi la realizzazione del pannello frontale di un VI può essere abbastanza agevole; la maggiore difficoltà risiede nella realizzazione grafica del pannello, ossia nel dargli un impatto visivo migliore, simile a quello che si può avere con uno strumento reale. Per cercare di superare tali difficoltà, oltre alla possibilità di dimensionare e colorare opportunamente gli oggetti del pannello, esistono una serie di oggetti decorativi presenti in un sottomenu della tavola dei controlli. Si ha anche la possibilità di importare sul pannello immagini memorizzate in file di vario tipo quali JPEG, BITMAP ecc…. 4.5.5 Realizzazione del diagramma di flusso Il diagramma di flusso costituisce il vero e proprio programma da eseguire. Allorché sul pannello frontale si posizionano i vari controlli ed indicatori, sulla finestra del diagramma vengono creati i vari identificatori grafici (Figura 4.7). Gli oggetti nel diagramma possono essere associati ai dispositivi sul pannello oltre che dal colore indicativo del dato, dall'etichetta ad essi assegnati. Anche nella costruzione del diagramma si utilizzano i vari oggetti della tavola dei tools. 154 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 4.7 : Esempio di Diagramma a blocchi. L’attrezzo più importante è il cablatore: in pratica il diagramma viene realizzato collegando i vari blocchi tra di loro attraverso dei fili che assumono il colore caratteristico dei dati che trasportano. Non è consentito collegare oggetti di tipo diverso. Il collegamento avviene posizionando il “rocchetto”, simbolo del cablatore, sull'oggetto da connettere, si schiaccia il tasto del mouse e lo si tiene premuto fino a quando non si perviene sull'altro blocco da legare. Per collegare le uscite e gli ingressi dei sottoprogrammi si ci può spostare con il rocchetto sull'icona. In questo modo si evidenziano le varie zone d'allaccio ai dati, identificate oltre che con dei fili di colore appropriato anche dalle etichette associate agli ingressi e alle uscite. Per eliminare un filo di collegamento si può usare l'attrezzo di posizionamento, freccetta. Tale utensile può essere utilizzato per trasportare nel diagramma le funzioni da inserire o per eliminare le icone già presenti. Gli identificatori di controlli ed indicatori vengono eliminati soltanto cancellando i corrispettivi oggetti sul pannello frontale. Questo stesso attrezzo consente di spostare i vari oggetti grafici ed i vari fili di collegamento al fine di rendere più leggibile il programma. A tale fine è possibile ricorrere all'inserimento di commenti sempre tramite la tavola degli attrezzi. 4.5.6 Icona Una volta realizzato il programma si crea la propria icona. All'atto dell'apertura di un nuovo programma, al VI viene associato un'icona di default che può essere cambiata utilizzando l'editore d'icona cui si accede tramite il menu nascosto della stessa. Tale editore permette di costruire una nuova veste grafica per l'icona, in bianco e nero o a colori, e di inserire una stringa di caratteri identificativa del 155 Terzo capitolo Strutture accoppiate programma. L'icona può essere realizzata oltre che con gli oggetti del menu, anche importando un'immagine dall'esterno. La parte più importante della creazione dell'icona è la realizzazione dei connettori cui collegare i dati in ingresso ed in uscita; tale operazione permette di utilizzare il VI come subVI ovvero come sottoprogramma. Questa operazione può essere svolta attraverso il menu nascosto evidenziando i connettori. L'icona inizialmente apparirà vuota, ma tramite il menù nascosto la si può dividere in un congruo numero di zone in cui posizionare i connettori. L'associazione fra zona e connettore avviene selezionando l'oggetto con il mouse e successivamente indicando, allo stesso modo, la zona dell'icona prescelta. Finita tale operazione il programma è completo e potrà essere utilizzato anche come un sottoprogramma semplicemente trasportando, con l'attrezzo freccetta, l'icona del pannello frontale sul diagramma a blocchi del programma principale. 4.5.7 Esecuzione di un programma Per eseguire un programma si utilizza il menu situato sopra il pannello del VI. Questo menu contiene il tasto run che lancia il programma: tale tasto è rappresentato con una freccia. Una volta schiacciato, tale tasto resta attivo finché il programma non viene terminato o si verifica un errore durante l'esecuzione. E' possibile terminare l'elaborazione anche grazie ad un pulsante di fine esecuzione. Tale pulsante durante l'esecuzione si presenta come un led acceso e se schiacciato determina l'immediato stop del programma. C'è anche un pulsante per sospendere momentaneamente il programma. Oltre al tasto run è previsto un tasto di esecuzione continua. In questa modalità il programma una volta terminato riprende immediatamente l'elaborazione che potrà essere sospesa tramite il tasto di fine esecuzione. Se la freccia del tasto run risulta non continua significa che in fase di compilazione del programma sono stati riscontrati degli errori. Per visualizzare la lista degli errori bisogna pigiare lo stesso tasto. Selezionando l'errore dalla lista si può accedere alla zona del diagramma in cui si è verificato 156 Terzo capitolo Strutture accoppiate l'errore. Quando un programma viene eseguito richiama tutti i sottoprogrammi. Se i pannelli di tali VI sono visualizzati sullo schermo, i risultati alla fine dell'elaborazione saranno mostrati anche dai sottoprogrammi. In questo modo, se i dati finali non sono congruenti, è possibile risalire a quale subVI è imputabile l'errore. 4.5.8 Acquisizione dati La peculiarità principale di LabVIEW è quella di potere acquisire ed elaborare i dati disponibili su altri strumenti. Questo permette di integrare, facendo interagire tra di loro, più apparecchiature diverse, consentendo la creazione di nuovi sistemi più complessi e difficili da gestire se non in maniera automatizzata. Il programma oltre ad essere in grado di operare con i più comuni standard di comunicazione in modalità parallela, può essere utilizzato anche con interfacce seriali. E’ prevista una libreria di driver detta VISA che è una API (Application Programming Interface) standard per I/O utilizzabile con strumenti programmabili. Attraverso tali driver è possibile inviare comandi ad un'interfaccia alloggiata nello strumento. Tali comandi sono rappresentati da stringhe di caratteri ASCII che sono proprie dello strumento da controllare. Le istruzioni VISA sono contenute nella tavola delle funzioni, accessibile quando si lavora sul diagramma a blocchi. Per collegare la macchina al calcolatore la prima istruzione da utilizzare è la open. Tale istruzione attiva il dialogo tra calcolatore adibito a controllore e strumento. L'istruzione richiede l'utilizzo di almeno cinque parametri, un controllo per aprire la sessione VISA ed un indicatore per chiuderla, due cluster per la segnalazione di errori, uno in ingresso e l'altro in uscita, ed una stringa di indirizzamento. Dato che è possibile collegare il calcolatore a più strumenti attraverso un bus, bisognerà specificare di volta in volta a quale strumento sono inviati i comandi. Una volta stabilito il contatto si possono impartire i vari comandi attraverso l'istruzione write. Tale istruzione ha sei terminali, il controllo VISA ed i cluster d'errore, i dati in ingresso possono essere legati a quelli in uscita dall'istruzione open, o comunque a quelli uscenti dalla precedente istruzione VISA, quelli in uscita possono essere legati a quella successiva o chiusi su degli indicatori. Altro 157 Terzo capitolo Strutture accoppiate ingresso è la stringa di caratteri costituente l'ordine impartito, secondo il linguaggio di programmazione dello strumento. Per acquisire i dati si utilizza l'istruzione read. Per quanto riguarda i cluster d'errore e le sessioni VISA si procede come per l'istruzione write. Bisogna però in questo caso specificare il numero di byte che si intendono acquisire. I dati in uscita sono visualizzati come una stringa di caratteri, con rappresentazione dipendente dallo strumento. I dati acquisiti possono poi essere elaborati in maniera da ottenere la rappresentazione voluta. La sessione può essere conclusa con l'istruzione close. Tale istruzione richiede in ingresso la sessione VISA ed il cluster d'errore, in uscita sarà collegata ad un indicatore d'errore. In questo modo se si verifica un errore d'invio o di ricezione dei dati lungo il percorso il cluster indicatore d'errore visualizza il tipo d'errore occorso e la sua posizione. Una volta acquisiti i dati d'interesse, si può poi passare alla fase di elaborazione, per estrarne dei parametri particolari o più semplicemente per ottenerne una rappresentazione migliore. I dati possono anche essere trasferiti ad un altro dispositivo della rete ed essere utilizzati per altre misure. La possibilità d'elaborazione dei dati è affidata alle librerie di funzioni per il trattamento, filtraggio ed interpolazione dei segnali. La gestione dei file è possibile tramite un'apposita libreria di funzioni. E' possibile la registrazione in tre formati differenti. In formato testo è possibile salvare i dati in modo da potere essere utilizzati da fogli di calcolo quali ad esempio excel. Se invece si vogliono solo immagazzinare dati ed utilizzarli con altri VI si può ricorrere al formato datalog, soprattutto per dati di tipo complesso. Se si desidera ridurre l'ingombro di memoria si può ricorrere al formato binario. In questo modo non solo è possibile esportare, ma anche importare i dati dall'esterno, per poi magari inviarli agli strumenti. Le indicazioni sul percorso da seguire per giungere ai vari file possono essere date attraverso un'apposita sezione della tavola dei controlli. Altra opportunità che può risultare utile è quella di utilizzare un calcolatore come controllore del sistema. Poi attraverso un collegamento in rete con un altro calcolatore provvisto del solo VI utilizzato dal controllore, acquisire i dati a distanza. 158 Terzo capitolo Strutture accoppiate 5 Misure in laboratorio: procedure e programmi 5.1 Introduzione Come già detto nel capitolo precedente, l’argomento centrale del lavoro di tesi svolto è stato lo sviluppo di una metodologia di misura e di ottimizzazione dell’uniformità di campo elettrico nel primo modulo di PALME attraverso un processo di sintonizzazione delle cavità stesse dell’ acceleratore. La tecnica utilizzata per le misure di campo è quella perturbativa basata sul teorema di Slater11 (bead pull) [19,20]. A partire da ciò è stata poi sviluppata una metodologia per la sintonia delle cavità che ci ha consentito di definire e misurare in maniera affidabile il grado di miglioramento o peggioramento dell’uniformità del campo elettrico. Per ottenere un livello di uniformità a meno del 3% lungo tutto il LINAC si è deciso di ottimizzare prima singolarmente i due tank e poi l’intero modulo comprensivo di Bridge Coupler. In questo capitolo vengono descritti le procedura di misura utilizzate e i programmi LabVIEW per l’acquisizione e l’elaborazione dei dati che servono a caratterizzare il 11 Vedi Appendice B 159 Terzo capitolo Strutture accoppiate campo elettrico nelle cavità acceleranti dei due tank e dell’intero modulo (Figura 5.1). Vengono inoltre riportati i risultati ottenuti e la procedura di tuning adottata per raggiungere tali risultati. Figura 5.1 : Disegno del Primo Modulo 5.2 Metodo della perlina scorrevole (BEAD-PULL) La misura di BEAD-PULL è stata effettuata separatamente sui due tank che formano il primo modulo di PALME e poi sul modulo intero. Per l’intera struttura il parametro di interesse è la distribuzione del campo elettrico lungo l’asse longitudinale che è il campo visto dalle particelle durante il loro percorso attraverso l’acceleratore. E’ molto importante che il livello del campo elettrico sia uniforme tra una cavità accelerante e l’altra entro una certa tolleranza. Infatti una distribuzione di campo che presenta grandi differenze relative tra le cavità, portando a valori diversi dei tassi di accelerazione, comporterebbe una dinamica longitudinale delle particelle diversa rispetto a quella calcolata teoricamente con un degrado del fascio in termini di energia, dimensione e corrente trasmessa [21]. 160 Terzo capitolo Strutture accoppiate Tutto questo significa che è richiesta una misura RF capace di acquisire la distribuzione dei campi elettrici relativi tra le cavità; ciò è possibile usando la tecnica del bead pulling . Con l’aiuto di un piccolo oggetto perturbante, una perlina (bead), dielettrica o metallica, è possibile determinare la variazione della frequenza di risonanza della cavità e quindi del campo nei dintorni della bead. Utilizzando una perlina metallica che viaggia lungo l’asse della struttura multicella dove il campo magnetico è nullo per il modo TM01 di lavoro, si può acquisire solo il campo elettrico. In particolare l’uniformità della distribuzione del campo elettrico è determinata misurando la variazione di fase Φ, che dipende da quella di frequenza, introdotta dalla perlina stessa che attraversa le cavità. La struttura multicella viene eccitata ad una determinata frequenza di risonanza che nel nostro caso è il modo accelerante (π/2). Alla risonanza, l’energia elettrica, in una cavità, uguaglia l’energia magnetica: quando la bead entra nella cavità perturba la distribuzione del campo elettrico lungo l’asse; a questo punto la cavità accelerante reagisce in modo tale da ristabilire l’uguaglianza tra energia elettrica e magnetica comportando così una variazione della frequenza di risonanza (solitamente un aumento di frequenza ) e quindi della fase del segnale misurato dall’analizzatore. Perciò, intorno alla risonanza, il quadrato della variazione relativa del campo elettrico è proporzionale alla fase relativa che è possibile prelevare dall’analizzatore di rete. La relazione, valida per ogni cavità, è la seguente: ∆E 2 ∆Φ ∝ Φ E2 La procedura per misurare il livello relativo del campo elettrico in una struttura multicella può essere descritta nel seguente modo. 1. un filo di nylon, teso lungo l’asse longitudinale della struttura, è collegato ad un motorino per il suo movimento. Si noti che la frequenza di risonanza è modificata dal filo stesso essendo esso un dielettrico (il filo di nylon abbassa la frequenza poiché è presente in una zona dove il campo elettrico è forte e, come in un condensatore, canalizza le linee del campo). E’ 161 Terzo capitolo Strutture accoppiate necessario un buon allineamento tra il filo e l’asse delle cavità in modo da avere la stessa perturbazione per tutte le cavità. 2. l’oggetto perturbante (bead) è inserito. Le dimensioni della perlina devono essere piccole per perturbare il meno possibile la distribuzione del campo, ma sufficienti a dare un buon rapporto segnale rumore. Usando una forma cilindrica (per esempio un pezzettino di ago), la perturbazione agisce sull’asse e solo la componente longitudinale del campo elettrico è perturbata. 3. E’ fondamentale che le misure vengano fatte scegliendo una frequenza di alimentazione nell’intervallo di linearità della fase in modo tale da avere una relazione di proporzionalità tra la fase stessa e la frequenza. 4. La misura è fatta nel dominio del tempo. Il motorino muove il filo e la perlina attraverso le cavità ed il Network Analyzer misura la variazione di fase del campo elettrico cavità per cavità. La precisione della misura è dovuta a vari fattori. Oltre a scegliere una zona di linearità, per ridurre il rumore viene impostata una IF bandwidth piccola. Ciò comporta un automatico aumento del tempo di spazzolamento dell’analizzatore. Questo tempo deve essere confrontato con quello necessario alla bead per attraversare la struttura in modo che i due intervalli siano uguali. Ciò può essere ottenuto regolando la velocità del motore. La Figura 5.2 mostra un apparato schematico di bead pulling: Figura 5.2 : Schema di un apparato per bead pulling. Nella Figura 5.3 si può notare la tecnica di bead-pulling realizzata in laboratorio sull’intero modulo cioè sull’insieme del primo, secondo tank e bridge: 162 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.3 : Bead pull sull’ intero modulo. 5.3 Procedura di accordo in frequenza per il modulo PALME In questo paragrafo viene presentata la procedura di accordo in frequenza per l’ottimizzazione del campo elettrico (tuning) da noi effettuata per il primo dei cinque moduli del PALME. Le misure di bead pulling riportate in seguito, fatte prima della brasatura12 , si riferiscono al tank1, al tank2 e all’insieme dei due compreso il bridge (intero modulo). Il goal delle misure è quello di trovare il giusto accordo fra le cavità operando su delle ‘spine’ metalliche (tuner), due per cavità, introdotte lateralmente (Figura 5.4). Esse non sono direttamente inserite sulle mattonelle ma indipendentemente alloggiate in tubicini di acciaio che vengono in seguito brasati contemporaneamente alle mattonelle. Questa scelta consente di effettuare operazioni di accordo sia prima che dopo la brasatura del modulo. Infatti i tuner, indipendenti dalle mattonelle, vengono utilizzati prima della brasatura per un accordo grossolano e dopo la brasatura dei tank per uno fine. Essi saranno poi 12 La brasatura consiste nella saldatura dei pezzi metallici (nel nostro caso ‘mattonelle’ di rame) con l'ausilio di un metallo d'apporto senza la fusione dei pezzi da assemblare. Il metallo d'apporto penetra per capillarità fra i pezzi da assemblare. 163 Terzo capitolo Strutture accoppiate fissati nella posizione finale solo dopo la brasatura dell’intero modulo. Inoltre la flessibilità dell’uso dei tuner ha permesso anche la misura dei parametri “nascosti“ della struttura assemblata, quali coefficienti di accoppiamento e frequenze delle singole cavità, in modo da verificare la bontà del progetto [15]. Figura 5.4 : Tank con porta tuner inseriti. L’uniformità della distribuzione del campo, alimentando al modo π/2, dipende principalmente dagli errori di frequenza nelle celle. Tale uniformità può essere assicurata effettuando un’operazione di accordo (tuning) che equalizzi le frequenze delle celle acceleranti mantenendo chiusa la stop band. L’operazione di tuning è stata effettuata sul primo modulo del PALME, accordando prima i singoli tank separatamente e poi l’intero modulo. Il singolo tank è un SCL costituito da 13 celle acceleranti e 12 di accoppiamento. Come già detto nel Capitolo II, il numero delle celle è legato alla potenza necessaria per sostenere un dato campo all’interno delle cavità e alla disponibilità di avere un generatore di potenza adeguato. Il numero delle celle è inoltre tale da poter utilizzare un’unica lunghezza di cella (quella centrale) senza inficiare il sincronismo particella-campo. I tank, come il modulo, sono stati progettati per lavorare ad una frequenza di 3 GHz. 164 Terzo capitolo Strutture accoppiate Data la difficoltà di accesso alla struttura, per la misura del campo elettrico lungo l’asse longitudinale di accelerazione, si fa ricorso alla misura di bead pull descritta sopra. La bead utilizzata è un cilindretto metallico cavo di diametro 0.70 mm e lunghezza 3 mm. Tale dimensione è stata scelta in modo da introdurre la minima perturbazione mantenendo, però, un buon rapporto segnale-rumore. Alla variazione di frequenza indotta dalla bead nelle 13 celle acceleranti corrisponde una variazione di fase del campo elettrico. Come detto in precedenza, affinché questa sia, durante il movimento della bead, nella stessa direzione in tutte le cavità rispetto al caso imperturbato, nella misura (che si effettua nel dominio del tempo) poniamo l’alimentazione ad un valore di circa 300 kHz maggiore rispetto alla frequenza di lavoro di π/2. Inoltre spostandoci di circa 300 kHz ci mettiamo in una zona di lavoro lineare cosicché ad una variazione di frequenza di risonanza nelle singole celle possa corrispondere una variazione proporzionale di fase del campo elettrico longitudinale della struttura. La variazione di fase viene acquisita tramite un Network Analyzer. Si misura, nel dominio del tempo, la fase del parametro di diffusione S21 . Tale misura si effettua con l’uso di due sonde inserite nella struttura per prelevare il parametro di scattering desiderato. Per la difficoltà di accesso alla struttura, sono state utilizzate sonde di tipo sia magnetico che elettrico. Ad esempio per la misura dello spettro sul tank1 sono state utilizzate due configurazioni di sonde: una di tipo magnetico inserita nella prima end-cell insieme ad una di tipo elettrico inserita nell’ultima cavità accelerante; la stessa sonda magnetica nella prima end-cell insieme ad un’altra dello stesso tipo inserita nell’ultima cavità di accoppiamento. Tale cavità, che serve ad interfacciare, in un secondo momento, il tank1 col Bridge Coupler, viene, per le misure su singolo tank, cortocircuitata così da non partecipare allo spettro dei modi acquisito. Essa infatti, essendo una cavità di accoppiamento, presenta alla frequenza di lavoro un campo bassissimo al suo interno; contemporaneamente però è necessaria poiché così si può effettuare la misura con la cavità AC terminale vera con due fori di accoppiamento. Per misurare il parametro di diffusione, viene inviato il segnale dalla sonda magnetica e viene prelevato da quella elettrica o magnetica. La sonda di tipo 165 Terzo capitolo Strutture accoppiate elettrico (Figura 5.5 a)) verrà inserita sull’asse della cavità dove il campo elettrico è massimo; occorre fare attenzione nel non creare un forte accoppiamento che porterebbe ad una perturbazione della situazione elettromagnetica in cavità. Dall’altro lato, la sonda magnetica (Figura 5.5 b)) verrà inserita lateralmente lontana dai nasi in modo tale che il loop si trovi su una sezione ortogonale alle linee del campo magnetico in cavità così da avere un buon accoppiamento ed un buon rapporto segnale-rumore; l’accoppiamento con il campo magnetico è in generale più basso di quello con il campo elettrico poiché quest’ultimo è maggiormente concentrato in una zona precisa della cavità. Per tale motivo, abbiamo preferito l’utilizzo delle sole sonde magnetiche; inoltre l’accoppiamento elettrico risulta molto più sensibile a piccoli spostamenti dell’antenna che d’altra parte può essere posizionata solo sull’asse del fascio data la geometria delle cavità. a) b) Figura 5.5 : a) Sonda di tipo elettrico b) Sonda di tipo magnetico Sottolineiamo che l’acquisizione del parametro S21 utilizzando le due differenti coppie di sonde è equivalente se si considera il modulo (mag S21) mentre se si considera la parte immaginaria (imag S21) si riscontra una variazione tra le due configurazioni. Per tale motivo, nella acquisizione dei valori del modo di lavoro e per il calcolo della stop band si è fatto riferimento al modulo del parametro di diffusione. Si precisa, inoltre, che la lettura delle frequenze considerando la parte immaginaria sarebbe stata più accurata in quanto avremmo preso i passaggi per lo zero e non i massimi relativi come nel caso del modulo; ciò però non ci preoccupa 166 Terzo capitolo Strutture accoppiate in quanto anche con la nostra scelta si rientra ampliamente nell’accuratezza che esige la misura. Prima della misura del parametro S21 viene richiamata la calibrazione dell’analizzatore dopodiché si imposta la frequenza di START a 2940 MHz e quella di STOP a 3070 MHz: in tale banda saranno presenti tutti i modi della nostra struttura. La struttura, come abbiamo detto, “comunica” con l’analizzatore tramite due pickup inseriti nelle end-cell (Figura 5.6). Il primo passo è l’acquisizione, tramite il parametro di scattering S21 dello spettro delle risonanze. Da questo si va a leggere con un marker la frequenza del modo π/2, valore prossimo al quale si alimenterà la struttura passando nel dominio del tempo per l’acquisizione della variazione di fase del campo nelle cavità. Nel dominio della frequenza, inoltre, si prelevano anche le frequenze dei modi adiacenti al modo π/2 per il calcolo delle stop-band. Si è visto, sperimentalmente, che la struttura risponde bene al tuning se presenta inizialmente una stop-band alta (intorno ad 1 MHz); solo dopo il tuning si può chiudere la stop-band. Quest’ultima è calcolata tramite la seguente relazione: SB = f π − 2 f+ + f− 2 (5.1) dove f + e f − sono le frequenze adiacenti al modo π/2. Figura 5.6 : Pick-up inseriti nelle end-cell. In realtà esistono due stop-band relative a due comportamenti diversi del campo nelle cavità: la stop-band di bump così chiamata perché la misura di campo presenterà un massimo localizzato (bump) e la stop band di tilt in quanto la misura 167 Terzo capitolo Strutture accoppiate di campo presenterà un’inclinazione (tilt). La formula per calcolare le due SB sarà la (5.1), ma, per il bump, le f + e f − saranno le seconde frequenze più vicine al modo π/2 (che chiameremo f + + e f − − ), mentre nel caso del tilt le f + e f − saranno le prime vicine. Benché sia quindi possibile distinguere due tipi principali di disuniformità (bump e tilt) non sono sempre univocamente determinate le cavità sulle quali agire per correggere il profilo di campo, questo poiché il comportamento complessivo della struttura dipende non solo dalle frequenze delle singole cavità ma anche dai coefficienti di accoppiamento fra di loro. Sperimentalmente, si è però visto che è possibile agire in modo differenziato sulla nostra struttura: in particolare, per il tilt, modificando essenzialmente le due end-cell e le CC contigue, mentre il bump diminuirà sintonizzando le cavità acceleratrici speculari, rispetto al centro del tank, a quelle che si trovano intorno al massimo localizzato. La concorrenza di tutti i parametri (frequenze di singola cavità e coefficiente di accoppiamento) alla determinazione della frequenza di lavoro e la non netta distinzione fra i due bump rende non immediata ed affidabile la lettura delle variazioni della disuniformità a seguito delle singole operazioni di sintonia. Non è cioè spesso individuabile se c’è stato un reale miglioramento o meno dalla semplice acquisizione del grafico dal bead-pull. Abbiamo quindi misurato e confrontato dopo ogni tuning un parametro D (disuniformità) definito come il seguente scarto quadratico medio: 1 N s i − s0 − s i − s0 ∑ i =1 N 2 (5.2) si − s0 dove si è la variazione di fase del campo nelle singole cavità e s0 è il valore medio del livello di zero al di fuori delle cavità. Di seguito descriviamo i vari programmi sviluppati al fine di misurare e confrontare tale quantità. 5.4 Il programma TK1_BC_TK2 La Figura 5.7 mostra il diagramma a blocchi dello strumento virtuale per la misura del livello di campo e per il calcolo della sua uniformità sull’intera struttura 168 Terzo capitolo Strutture accoppiate (tank1+BC+tank2). Esso presenta vari subVI, controlli e indicatori. Il programma è stato progettato per fare misure sia sul singolo tank sia sul modulo completo, con parti in comune alle due modalità e parti separate. Nel diagramma a blocchi si distinguono delle funzioni principali rappresentate da subVI appositamente costruiti: acquisizione delle forme d’onda (DATACQ), selezione delle parti di interesse (seleziona e 2selezioni), calcolo dell’uniformità (SQM1BC2). Ogni subVI principale rappresentato da un’icona nella Figura 5.7 contiene a sua volta degli altri subVI sia appositamente realizzati sia di libreria. Per capirne il funzionamento procediamo con ordine descrivendo i vari subVI con i relativi diagrammi a blocchi. Seguendo il flusso del programma “incontriamo” il subVI DATACQ (Figura 5.8): esso serve per l’acquisizione del segnale visualizzato sul Network Analyzer. Come detto nel capitolo precedente è necessario, come prima operazione, aprire il collegamento tra il calcolatore e l’analizzatore e ciò viene fatto tramite l'istruzione VISA open. In ingresso a tale istruzione vi sono il cluster d'errore e l'indirizzo GPIB dello strumento. 169 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.7 : Diagramma a blocchi del VI TK1_BC_TK2. Figura 5.8 : Diagramma a blocchi del subVI DATACQ. 170 Terzo capitolo Strutture accoppiate Attraverso l'istruzione VISA write si inviano all'analizzatore il comando FORM213, per selezionare il formato dei dati da acquisire, e l'interrogazione POIN?, per conoscere il numero di punti su cui è effettuata la misura. L'istruzione read legge il numero di punti in formato carattere, quindi si esegue la trasformazione nel formato numerico. Il subVI DATACQ contiene il sottoprogramma fSTARAMP (Figura 5.9), che tramite l'istruzione VISA write, invia i comandi STAR? e STOP? per la richiesta degli estremi dell'intervallo di frequenza utilizzato per la visualizzazione. In uscita a tale sottoprogramma si hanno l'ampiezza dell'intervallo e la frequenza iniziale Fstart. Figura 5.9 : Diagramma a blocchi del subVI fSTARAMP. Questi dati consentono, con il programma DATACQ, il calcolo del valore di frequenza ( o il tempo nel caso di misura nel dominio del tempo ) associata ad ogni punto della curva data da AMPIEZZA DELL' INTERVALLO i + Fstart e ottenuta NUMERO PUNTI - 1 tramite un ciclo for. Seguendo il ramo superiore del diagramma si ha l'istruzione write attraverso la quale si richiede la trasmissione dell'intero vettore dati (tramite il comando OUTPFORM) che viene acquisito tramite l'istruzione read al cui ingresso viene inserito il numero di byte da acquisire pari a (NUMERO PUNTIx8+4). Il comando OUTPFORM preleva il segnale all’ultimo passo della catena di elaborazione dati del N.A. come mostrato in Figura 5.10. 13 Formato IEEE 32-bit a virgola mobile, 4 byte per numero, 8 byte per il dato (coppia parte reale e immaginaria); il dato è preceduto da un header di 4 byte. Ad ogni numero è associato 1 bit per il segno, 8 bit per l’esponente della base di numerazione, 23 bit per la mantissa. FORM2 è il formato che si sceglie se il computer non è un PC e supporta numeri a virgola mobile a singola precisione. 171 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.10 : Catena di elaborazione dati del N.A. 8720ES. All'uscita dell'istruzione read, i dati vengono inviati ad un blocco per la conversione in formato numerico che prevede l'estrazione della parte reale dei dati, quelli di nostro interesse, e una parte immaginaria nulla che occupa le posizioni dispari del vettore. L'uscita del subVI è data dal vettore dei dati, prelevato all'uscita del decimatore, e da quello delle frequenze (o dei tempi), che vanno entrambi in ingresso al sottoprogramma successivo. Il vettore acquisito e quello delle frequenze sono inviati al ciclo for per la costruzione del cluster grafico con cui si rappresenta la curva acquisita sul pannello frontale. Il programma principale consente a questo punto di effettuare misure ed analisi sul primo tank tramite i primi due subVI che si incontrano nel diagramma a blocchi o, saltando questi, sul modulo completo. Per quanto riguarda il singolo tank, seguendo il flusso del programma principale abbiamo il subVI seleziona la cui icona si mostra come una forma d’onda che ricorda quella della misura di campo che appare sul Network Analyzer. Tale subVI restituisce il valor medio del livello di zero e il vettore della forma d’onda relativa al singolo tank. Tali informazioni si aggiungono agli ingressi del subVI SQM1BC2 che calcola il parametro D, indicativo dell’uniformità del campo, secondo la relazione 5.2. Descriviamo più dettagliatamente i due subVI suddetti. In Figura 5.11 è mostrato il diagramma a blocchi del sottoprogramma seleziona. Esso presenta gli 172 Terzo capitolo Strutture accoppiate ingressi vettore dei tempi, il vettore ampiezza e i quattro marker markerT1, markerT2, T1, T2 (pulsanti di controllo nel pannello frontale del programma principale) dove i primi due sono relativi all’inizio e alla fine della forma d’onda quando la bead entra nel tank e quando fuoriesce da esso; gli altri due indicano l’ingresso e l’uscita della bead rispettivamente dalla prima all’ultima cavità cioè prima che la bead “veda” il primo gap e appena dopo abbia “visto” l’ultimo. I quattro cicli while servono per agganciare i quattro marker alla forma d’onda cosicché prelevando gli indici indicativi della posizione dei marker nel vettore dei tempi, è possibile, tramite un sottoprogramma della libreria (Array Subset), prendere solo una parte dell’array ampiezza. Sono presenti quattro sottoprogrammi Array Subset: due servono a prelevare i sottovettori dei vettori tempo e ampiezza che sono poi mandati al ciclo for per essere visualizzati nel cluster grafico; gli altri due servono a prelevare due sottovettori del vettore ampiezza ovvero il livello di zero indicato dai marker T1 e T2. Questi due vettori vengono poi concatenati e ne viene calcolata la media che risulta essere una delle uscite del subVI insieme al cluster grafico e al sottovettore del vettore ampiezza. Quest’ultimo sottovettore sarà l’ingresso, insieme alla media, del subVI SQM1BC2. Nel diagramma a blocchi di tale subVI (Figura 5.12) si notano 2 cicli while che effettuano un taglio della forma d’onda e un sottoprogramma della libreria peak detector. Tale sottoprogramma viene impostato per trovare i minimi (valleys) della forma d’onda ed ha in ingresso un valore di soglia (pulsanti di controllo thresholdVtk1 e thresholdVtk2 nel pannello frontale del programma principale) che dà indicazione al subVI da quale livello partire per trovare i minimi. La parte inferiore del diagramma a blocchi presenta vari operatori matematici per il calcolo dell’uniformità secondo la relazione 5.2. 173 Terzo capitolo Strutture accoppiate 14 Figura 5.11 : Diagramma a blocchi del subVI seleziona . Figura 5.12 : Diagramma a blocchi dei subVI SQM1BC2, SQM1BC2tk1, SQM1BC2tk2. In maniera analoga a quanto fatto per il singolo tank sono stati creati dei subVI che relazionano i punti per il calcolo dei livelli e che ricavano il grado di uniformità dell’intero modulo. Seguendo il flusso di Figura 5.7 del programma principale si ha il subVI 2selezioni (Figura 5.13) la cui icona, che presenta il testo plot1 e plot2, ricorda che il subVI opera sui bead pull dei due tank. Esso ha in ingresso sei marker agganciati alla forma d’onda del bead pull come si vede in Figura 5.14. 14 Il subVI seleziona permette di selezionare solo uno dei due tank: è utile quando, pur avendo il bead pull dell’intero modulo, si vuole conoscere solo l’uniformità del campo relativa ad uno dei due tank. 174 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.13 : Diagramma a blocchi del subVI 2selezioni 175 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.14 : Marker del subVI 2selezioni agganciati alla forma d’onda. Il diagramma a blocchi del subVI 2 selezioni presenta sei cicli while per l’aggancio di ciascuno dei sei marker, due per ogni livello di zero dentro il modulo. Inoltre sono presenti sette Array Subset tra i quali due coppie servono per graficare separatamente i bead pull relativi ai due tank e i restanti tre Array Subset, quelli relativi al valore di zero, vengono concatenati e ne viene calcolata la media. Le uscite del subVI 2selezioni sono i due cluster grafici (visualizzano i due bead pull separatamente), i due vettori delle ampiezze dei due bead pull, il valore medio del livello di zero e l’array del livello di zero. I due vettori delle ampiezze entrano in ingresso a due subVI SQM1BC2tk1 e SQM1BC2tk2 (Figura 5.12) per il calcolo separato dell’uniformità del campo dei due tank. Infine il subVI uniformità (Figura 5.15) calcola l’uniformità dell’intero modulo. Esso ha in ingresso l’array dei ventisei minimi dei due tank, l’ array del livello di zero e il valor medio del livello di zero. Essenzialmente, elabora la relazione 5.2 calcolando così l’uniformità dell’intero modulo, la deviazione standard e la deviazione standard del rumore. 176 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.15 : Diagramma a blocchi del subVI uniformità 5.5 Risultati delle misure Di seguito vengono riportate le misure di bead pulling effettuate sul primo, sul secondo tank e quelle finali sull’intero modulo. La fase di misura è stata più vasta di quella qui presentata in quanto, specialmente sul primo tank, è stato necessario mettere a punto una metodologia generale di misura. I dati sperimentali di seguito riportati, che seguono una precisa cronologia, sono stati scelti in quanto esplicativi della metodologia finale necessaria per ottenere il livello di uniformità di campo ottimale. In principio, poiché le misure sono state effettuate singolarmente sui due tank è stato necessario che essi conservassero quelle caratteristiche elettromagnetiche che li caratterizzano quando montati insieme al Bridge Coupler per formare l’intero modulo. A tale scopo, è stato fondamentale progettare in maniera opportuna, per le misure, la parte terminale dei tank verso il Bridge Coupler. Per il primo tank si usano due mattonelle, la 17 e la 58, riportate nella sequenza seguente che presentano una geometria e un settaggio particolare. La 17 (che fa parte del tank) è costituita da una mezza AC che compone l’intera cavità accelerante insieme alla 177 Terzo capitolo Strutture accoppiate 21/4 e una mezza CC che viene completata e chiusa su uno specchio elettrico utilizzando la 58. Questa è poi cortocircuitata longitudinalmente con l’inserimento di un cilindro metallico lungo i nasi della cavità stessa. Quest’ultimo settaggio garantisce di ottenere una situazione molto vicina a quella vera quando si monta l’intero modulo ovvero quando la mattonella 17 si interfaccia direttamente con il Bridge Coupler. La stessa cosa è stata fatta col secondo tank dove le mattonelle in questione sono la 59 e la 26. Inoltre inizialmente abbiamo preferito usare al posto della end vera terminale, la mattonella 57 al posto della 15 (la mattonella utilizzata sull’intero modulo) per evitare possibili danneggiamenti durante le varie prove. La sequenza di mattonelle è stata formata con l’intento di avere delle cavità acceleranti che rispondessero in modo molto simile tra loro; la sequenza delle mattonelle del primo tank è la seguente [15]: 57 19 21/9 21/3 21/7 21/2 21/6 21/10 21/1 21/11 21/5 21/8 21/4 15 A partire dalle frequenze misurate e mostrate in Tabella 5.1, i tuner 17 58 vengono inseriti nelle singole cavità come riportato nella stessa tabella16 affinché le AC abbiano tutte circa la stessa frequenza di risonanza (prossima a 3007 MHz)[15]. Cavità centrale 19/21-9 21-9/21-3 21-3/21-7 21-7/21-2 21-2/21-6 21-6/21-10 21-10/21-1 21-1/21-11 21-11/21-5 21-5/21-8 21-8/21-4 fac(MHz) (--) 3007.160 3006.490 3006.444 3007.439 3006.547 3005.436 3007.546 3006.758 3005.855 3007.668 Giri tuner/lato +1/2 +1/2 +1 +1 +1/2 +3/2 +2 +1/2 +1 +2 (--) Tabella 5.1 : Frequenze di risonanza delle AC e giri di tuner. 15 L’inserimento di un tuner nella cavità fa innalzare la frequenza di risonanza delle AC di 600 kHz/giro e quella delle CC di circa 440 kHz/giro. 16 Ai giri di tuner riportati in tabella vanno aggiunti 5/2 giri che sono necessari affinché i tuner si portino, a partire dall’ingaggio, all’inizio del bordo della cavità. 178 Terzo capitolo Strutture accoppiate Nel seguito, poiché le misure di campo saranno effettuate sui singoli tank conservando la stessa sequenza di mattonelle dell’intero modulo, si è scelto di chiamare, per il primo tank, le cavità acceleranti terminali rispettivamente END1 quella verso la sorgente di protoni e END2 quella verso il BC. Per il secondo tank si denominano END1 e END2 rispettivamente quella verso il BC e quella verso il secondo modulo. Per il primo tank le frequenze delle END1 e END2 sono risultate rispettivamente 3002.400 MHz e 3001.750 MHz. La misura della frequenza delle singole celle è stata effettuata cortocircuitando, con delle barre metalliche, tutte le altre AC e CC. Per uguagliare le due END si è agito sui tuner della END2. Dalla misura dello spettro, visualizzando il parametro S21, è possibile leggere sul N.A. il valore del modo π/2 pari a 2996.490 MHz. Inoltre si sono calcolate le stopband di bump e di tilt secondo la relazione 5.1. Per avere dei risultati coerenti è buona norma avere le stop-band con lo stesso segno; si è quindi entrati coi tuner nelle CC ottenendo: SBt=-161 kHz SBb=-645 kHz Posta l’alimentazione a 2997 MHz, il bead pull appare come in Figura 5.16. 179 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.16 La Figura 5.16 mostra la variazione di fase (che è proporzionale al quadrato della variazione di campo elettrico) nelle 13 cavità acceleranti del primo tank. Ogni minimo corrisponde al passaggio della bead in una cavità, nella zona dove il campo elettrico è massimo. La frequenza del modo π/2 ( f π ) da raggiungere, tenendo conto delle condizioni 2 reali finali (effetto del vuoto, temperatura di lavoro reale, riscaldamento in potenza) ovvero quando l’acceleratore alimentato in potenza lavorerà con il fascio, risulta essere prossima a 2998 MHz17. Per aumentare la f π si è agito sulle AC. 2 Quest’azione però porta inevitabilmente alla chiusura della stop-band senza riuscire ad ottenere un valore accettabile dell’uniformità del campo. Quindi per 17 Il valore della f π desiderata ( fgoal ) viene calcolato con la seguente formula: 2 fgoal =[2998-0.975+0.4+(31-T)*0.07] MHz dove il secondo e terzo addendo tengono conto rispettivamente del vuoto e dell’incremento di temperatura nella struttura in presenza del fascio, mentre l’ultimo addendo (T è la temperatura dell’ambiente di misura) tiene conto della differenza di temperatura tra l’ambiente in cui funzionerà la struttura (31°C) e l’ambiente di misura in laboratorio. 180 Terzo capitolo Strutture accoppiate riaprire la stop band abbiamo abbassato la frequenza di tutte le CC ottenendo così stop band alte e positive (importante è mantenerle dello stesso segno). Si è giunti ad una situazione intermedia non ancora soddisfacente in quanto abbiamo una f π =2997.738 MHz ancora bassa e le stop band seppur 2 accettabilmente chiuse di segno opposto: SBt=206 kHz SBb=-179 kHz In queste condizioni, alimentando a f alim =2998 MHz si ottiene un’uniformità a meno del 3.02% (Figura 5.17), valore accettabile. Figura 5.17 Lo scopo della misura è però quello di ottenere una buona uniformità di campo con stop-band chiuse e f π al valore circa di 2998 MHz. Per tale motivo, si è riaperta la 2 stop band, si sono fatte variazioni opportune delle AC e CC (per far salire la frequenza di lavoro si è agito uniformemente sulle AC, per ottenere una stop-band accettabile si sono ‘tunate’ uniformemente le CC e infine per ottenere una migliore 181 Terzo capitolo Strutture accoppiate uniformità del campo si è agito principalmente sulle AC prossime alla END1) ottenendo: f π =2998.224 MHz 2 SBt=-140 kHz SBb=-338 kHz Con f alim =2998.5 MHz otteniamo un’uniformità a meno del 3.09% (Figura 5.18). Con l’alimentazione sulla f π ovvero a 2998.230MHz otteniamo un’uniformità a 2 meno del 3.39%. Figura 5.18 : Tank1 Le misure sul primo tank hanno sofferto di due problemi: uno legato alla messa a punto della metodologia ottimale di misura e l’altro al fatto che esso non è stato lavorato in maniera ottimale dalla ditta chiamata a realizzarlo. Inoltre il lavoro sul primo tank ha consentito la messa a punto di una tecnica di tuning per correggere il bump e il tilt. Ad esempio in Figura 5.19 è evidente 182 Terzo capitolo Strutture accoppiate un’apertura della SB sia di bump che di tilt; si noti il tilt dalla AC1 alla AC8 e il bump dalla AC8 alla AC13. Field Uniformity % Figura 5.19 : Tank1-Presenza del Bump e del Tilt nella misura della variazione di fase. Agendo sulle end-cell si ottiene una compensazione del tilt passando da un’uniformità al meno del 7.30% ad una del 4.61% (Figura 5.20). 183 Terzo capitolo Strutture accoppiate Field Uniformity % Figura 5.20 : Tank1-Compensazione del Tilt. Il bump mostra una simmetria intorno alla AC10. Esso può essere compensato agendo sulla AC4 come mostra la Figura 5.21. Field Uniformity % Figura 5.21 : Tank1-Compensazione del Bump. 184 Terzo capitolo Strutture accoppiate Il grafico precedente mostra un’uniformità a meno del 2.60%, valore ottimo se si pensa solo all’uniformità di campo. Per quanto riguarda il secondo tank è stata ottenuta una migliore uniformità del campo in poco tempo (circa una settimana rispetto ai 30 giorni di lavoro richiesti dal primo tank) vuoi per l’esperienza acquisita dal tuning del primo tank, vuoi per la migliore lavorazione meccanica delle mattonelle costituenti il secondo. La sequenza scelta delle mattonelle è la seguente: 59 26 40/6 40/1 40/8 40/9 40/10 40/4 40/7 40/11 40/5 40/3 40/2 23 16 La mattonella 26 si affaccia sul Bridge Coupler ed è stata utilizzata in maniera analoga a quanto fatto con la 17. Siamo partiti dalla condizione iniziale in cui tutti i tuner, sia nelle CC che nelle AC, sono estratti. Abbiamo misurato le frequenze delle END: 3002.075 MHz per la END2 (END lato Bridge Coupler) e 3000.856 MHz per la END1. Agendo sui tuner della END1 si è portata la frequenza a 3002.156 MHz uguagliando così le END. Tale tank presentava: f π =2995.492 MHz 2 SBt=-580 kHz SBb=-1019 kHz Con una alimentazione a 2995.6 MHz otteniamo il bead pull, entrando dalla END1, in Figura 5.22. 185 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.22 : Tank2 Sebbene tale bead-pull mostri una buona uniformità del campo (a meno del 2.64%), non è soddisfacente dal punto di vista della f π in quanto vogliamo che il 2 suo valore sia prossimo a 2998 MHz. Prima di agire sulle AC per ottenere la frequenza ottimale, aumentiamo la frequenza delle CC per aprire le stop-band: SBt=-1046 kHz SBb=-1536 kHz A questo punto è possibile aumentare la f π del sistema, variando di ugual misura 2 la frequenza di tutte le AC con i tuner. In questa situazione abbiamo un’uniformità a meno del 1.87% con la f π pari a 2 2998.113 e le stop-band: SBt=-194 kHz SBb=-635 kHz 186 Terzo capitolo Strutture accoppiate Inoltre, in quest’ultima situazione, abbiamo agito anche sulla END1 abbassandone la frequenza18. Alimentazione a 2998.3 MHz, otteniamo la misura mostrata in Figura 5.23. Figura 5.23 L’ultima misura di campo è stata effettuata sull’intero modulo, comprensivo di un tratto di guida d’onda per l’alimentazione, che è stato montato mantenendo il tuning definito in precedenza sui singoli tank. La procedura di tuning eseguita sull’intero modulo è simile a quella dei casi precedenti: si mantengono le SB aperte e dello stesso segno, si ‘tunano’ le cavità e poi si richiudono le SB. In una situazione iniziale non ancora ottimizzata abbiamo ottenuto il bead pull come mostrato in Figura 5.24. 18 In presenza di tilt, bisogna agire sulle END per avere un livellamento del campo lungo tutto il tank. 187 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.24 In Figura 5.24 si nota uno sbilanciamento tra i due tank. La presenza del Bridge Coupler squilibria il sistema dal lato della END2 del tank1 e della END1 del tank2. L’andamento della fase mostra per entrambi i tank un tilt verso il centro. Lo sbilanciamento può essere ridimensionato agendo quindi sul BC che è formato da 3 cavità (CC1/AC/CC2). In particolare, l’operazione principale è stata quella di variare, aumentandola, la frequenza della CC1 del BC (cavità di comunicazione tra tank1 e BC). Inoltre si è anche aumentata la frequenza della AC del BC. Con una f π =2998.838 MHz19, f alim =2998.850 MHz otteniamo i risultati mostrati in 2 Figura 5.25 (tank1), Figura 5.26 (tank2), Figura 5.27 (modulo). 19 Alla temperatura del modulo pari a T=21.64°C la fgoal è pari a 2998.710 MHz. 188 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.25 189 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5.26 Figura 5.27 L’uniformità così ottenuta (3.04%) risulta soddisfacente mostrando come sia possibile, utilizzando i tuner, ottimizzare il livello di campo nel modulo. Il modulo è, a questo punto, pronto per la fase di brasatura (chiusura per la tenuta da vuoto). A seguito di tale operazione saranno poi reinseriti i tuner che hanno portato ad un’uniformità a meno del 3.04% e si dovrà poi passare ad una fase di tuning più fine poiché con la chiusura del modulo ci si aspetta un’ulteriore variazione delle condizioni di lavoro ( f π ). 2 190 Terzo capitolo Strutture accoppiate Conclusioni Questo lavoro di tesi si inserisce nella fase finale delle misure RF a freddo sul primo modulo dell’acceleratore PALME, in particolare lo scopo ultimo è stato l’ottimizzazione del livello del campo elettrico longitudinale prima della brasatura (saldatura) finale. Uno dei problemi legati alla costruzione di un acceleratore lineare (LINAC) è il mantenimento lungo tutta la struttura del sincronismo tra il campo accelerante RF e le particelle affinché quest’ultime possano essere accelerate nel migliore dei modi. L’efficienza di accelerazione del LINAC dipende, inoltre, dal grado di uniformità del campo elettrico longitudinale fra cavità e cavità (dette anche celle) che è a sua volta legato al comportamento cooperativo dell’insieme delle celle accoppiate formanti il modulo. Gli studi effettuati sulla dinamica del fascio hanno mostrato che è sufficiente un’uniformità di campo assiale a meno del 3% lungo ogni modulo per garantire la corretta funzionalità del LINAC. Poiché gli errori di frequenza delle singole cavità sono i principali artefici della disuniformità di campo, occorre, a tal fine, sintonizzare prima le cavità nei singoli tank e poi sull’insieme dei due ovvero sull’intero modulo. Il profilo di campo è stato misurato con l’Analizzatore di Reti tramite il Metodo Perturbativo della Perlina Scorrevole (misure alla Slater) in connessione con un’adeguata procedura di sintonizzazione delle singole cavità inserendo in esse, dall’esterno, delle ‘spine metalliche’. Nel definire tale procedura, occorre tener conto del fatto che il profilo del campo dipende non solo da errori locali ma principalmente dal comportamento globale delle cavità accoppiate tra di loro. Questa molteplice dipendenza ha imposto la definizione del parametro D (disuniformità di campo) ricavato secondo la seguente formula: 191 Terzo capitolo Strutture accoppiate s 1 i − 1 ∑ N i =1 s i 2 N dove si è la variazione di fase del campo, rispetto al livello imperturbato nelle singole cavità, che risulta proporzionale alla variazione di frequenza. E’ bene notare anche in questo contesto che il segnale si è proporzionale al quadrato del campo elettrico longitudinale. Il procedimento di tuning viene effettuato con molteplici passi successivi ognuno dei quali comporta l’acquisizione di un gran numero di dati. Questo ha imposto la realizzazione di un procedimento di acquisizione e di elaborazione dei dati che è stato effettuato in ambiente LabVIEW. Data la complessità del sistema costituito da ben 53 cavità, risulta conveniente parzializzare il sistema (modulo) e procedere prima ad un accordo delle cavità di ciascun sottosistema (tank) e poi a quelle dell’intero sistema. E’ chiaro che la parzializzazione introduce comunque una perturbazione: infatti, dopo aver ‘tagliato’ il sistema in due o più parti, bisogna intervenire con provvedimenti ad hoc per tener conto che almeno una cavità è stata tagliata dalla parzializzazione. Dopo aver proceduto quindi al tuning del tank1 e poi a quello del tank2, i due elementi sono stati montati in sequenza per una verifica iniziale del campo; infine è stato inserito il Bridge Coupler a formare l’intero modulo. Ricordiamo che tre sono gli elementi fondamentali dei quali tener conto nella procedura di ottimizzazione del livello di campo: la frequenza del modo π/2 e le due stop-band di bump (SBb) e di tilt (SBt). Queste ultime sono legate a due comportamenti singolari osservabili nell’andamento del campo da cella a cella denominati appunto ‘tilt’ e ‘bump’ (vedi paragrafo 5.5). La metodologia messa a punto per l’ottimizzazione del livello di campo è stata il frutto sia dell’esperienza acquisita sul primo tank sia di tutte quelle indicazioni “tramandate” a voce su questo tipo di misura. Essa, per ogni singolo tank, può essere riassunta tramite i seguenti punti: • Vengono misurate le frequenze delle singole cavità acceleranti terminali (END1, END2) e si eguagliano. 192 Terzo capitolo • Strutture accoppiate Si procede alla misura dello spettro dal quale è possibile ricavare la frequenza del modo π/2 e il valore delle stop-band (vedi paragrafo 5.3). • Per la misura di bead-pull si sceglie la frequenza di alimentazione, prossima a quella del modo π/2, dalla fase del parametro S21. Ricordiamo che occorre scegliere una zona di variazione lineare della fase con la frequenza. Fino a questo punto si effettuano misure in funzione della frequenza. • Fissata la frequenza di alimentazione si utilizza il Network Analyzer come un oscilloscopio. Nella scelta della scala temporale il tempo di spazzolamento del N.A. deve essere confrontato con quello necessario alla bead per attraversare la struttura in modo che i due intervalli siano uguali. Ciò può essere ottenuto regolando la velocità del motore. • Una volta misurato l’andamento della variazione di fase lungo il tank si decide se e come agire sulla struttura. • Una volta misurata la disuniformità, se questa non è accettabile, occorre aprire le stop-band in modo da rendere le modifiche del livello di campo realmente sensibile a variazioni minime delle singole cavità. Per far ciò si variano uniformemente le CC in modo da ottenere stop-band alte e dello stesso segno. • Per chiudere le stop-band si è agito in modo differenziato sulla nostra struttura: quella di tilt viene chiusa agendo essenzialmente sulle due endcell mentre quella di bump diminuisce essenzialmente a seguito di una variazione di frequenza apportata alle cavità acceleratrici che si trovano nella zona simmetrica, rispetto al centro tank, a quella centrata sul bump. • La frequenza del modo π/2 va a questo punto confrontata col valore atteso nelle reali condizioni di lavoro quando l’acceleratore, alimentato in potenza, lavorerà con il fascio (effetto del vuoto, temperatura di lavoro, riscaldamento dovuto all’alimentazione di potenza). Tenendo conto delle condizioni finali la f π risulta essere prossima a 2998 MHz20. Lo scopo della misura è quindi 2 20 Il valore della f π desiderata ( fgoal ) viene calcolato con la seguente formula: 2 193 Terzo capitolo Strutture accoppiate quello di ottenere una buona uniformità di campo con stop-band chiuse e f π al valore circa di 2998 MHz. 2 • Per variare la frequenza di lavoro si agisce sulle AC. Azione questa che porta inevitabilmente ad una variazione della stop-band senza in generale variare l’uniformità del campo. Dopo quest’operazione è possibile agire per migliorare l’uniformità del campo; poi si ricontrolla il valore della f π e quello 2 delle stop-band in un processo iterativo che si ferma al raggiungimento dell’uniformità desiderata. Per quanto riguarda il tank1, la misura iniziale della variazione di fase forniva una disuniformità di campo pari al 7.30% alla frequenza di alimentazione di 3GHz (Figura 1). In tale misura è evidente un’apertura della stop-band sia di bump che di tilt; si noti il tilt dalla AC1 alla AC8 e il bump dalla AC8 alla AC13. fgoal =[2998-0.975+0.4+(31-T)*0.07] MHz dove il secondo e terzo addendo tengono conto rispettivamente del vuoto e dell’incremento di temperatura nella struttura in presenza del fascio, mentre l’ultimo addendo (T è la temperatura dell’ambiente di misura) tiene conto della differenza di temperatura tra l’ambiente in cui funzionerà la struttura (31°C) e l’ambiente di misura in laboratorio. 194 Terzo capitolo Strutture accoppiate Field Uniformity % Figura 1 : Tank1-Presenza del Bump e del Tilt nella misura della variazione di fase. Da questo andamento della variazione di fase, agendo sulle cavità specifiche, secondo la metodologia precedente, siamo giunti ad un’uniformità a meno del 3.09% con f alim =2998.5 MHz e con f π =2998.224 MHz, SBt=-140 kHz, SBb=- 2 338 kHz (Figura 2). 195 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 2 : Uniformità del primo TANK. Le misure sul primo tank hanno sofferto di due problemi: uno legato alla messa a punto della metodologia ottimale di misura e l’altro al fatto che esso non è stato lavorato in maniera ottimale dalla ditta chiamata a realizzarlo. Ciò è dimostrato anche dal fatto che sul secondo tank, invece, si è riusciti ad ottenere una migliore uniformità del campo in poco tempo vuoi per l’esperienza acquisita dal tuning del primo tank, vuoi per la migliore lavorazione meccanica delle mattonelle costituenti il secondo. Di seguito vengono riportati i risultati finali ottenuti sul secondo tank; con f π pari 2 a 2998.113 MHz, f alim =2998.3 MHz , SBt=-194 kHz, SBb=-635 kHz. otteniamo un’uniformità a meno del 1.75% (Figura 3). 196 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 3 : Uniformità del secondo TANK. L’ultima misura di campo è stata effettuata sull’intero modulo, formato dai due moduli con al centro il Bridge Coupler al quale è collegato un tratto di guida d’onda per l’alimentazione; è stata conservata la sintonia raggiunta per ognuno dei due tank separatamente in precedenza. La procedura di tuning eseguita sull’intero modulo è simile a quella dei casi singoli: si mantengono le SB aperte e dello stesso segno, si ‘tunano’ le cavità per raggiungere la frequenza di lavoro desiderata e poi si richiudono le SB tentando di eliminare il tilt ed il bump. In una situazione iniziale non ancora ottimizzata abbiamo ottenuto il bead pull come mostrato in Figura 4. 197 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 4 : Bead pull sull’intero modulo. Si nota uno sbilanciamento tra i due tank per la presenza del Bridge Coupler che squilibria il sistema dal lato della END2 del tank1 e della END1 del tank2. L’andamento della fase mostra per entrambi i tank un tilt verso il centro del modulo. Lo sbilanciamento è stato ridimensionato agendo quindi sul BC che è formato da 3 cavità (CC1/AC/CC2). In particolare, l’operazione principale è stata quella di variare, aumentandola, la frequenza della CC1 del BC (cavità di comunicazione tra tank1 e BC). Inoltre si è anche aumentata la frequenza della AC del BC. Con una f π =2998.838 MHz21, f alim =2998.850 MHz otteniamo (Figura 5) i 2 seguenti risultati per l’uniformità del campo (la metodologia sviluppata ci consente di ricavare separatamente anche le uniformità dei singoli tank): 21 tank1 tank2 Modulo 3.37% 2.51% 3.04% Alla temperatura del modulo pari a T=21.64°C la fgoal è pari a 2998.710 MHz. 198 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura 5 : Uniformità dell’intero modulo. L’uniformità così ottenuta (3.04%) risulta soddisfacente mostrando come sia possibile, utilizzando i tuner, ottimizzare il livello di campo nel modulo. Il modulo è, a questo punto, pronto per la fase di brasatura (chiusura per la tenuta da vuoto) che verrà effettuata togliendo tutti i tuner inseriti. Dopo la chiusura del modulo, saranno reinseriti i tuner che hanno portato ad un’uniformità a meno del 3.04% e si dovrà poi passare ad una fase di tuning più fine poiché con la chiusura del modulo ci si aspetta un’ulteriore variazione delle condizioni di lavoro ( f π ). 2 La metodologia sviluppata in questa tesi potrà essere utilizzata anche per i moduli successivi e per altri tipi di Side Coupled LINAC. In definitiva con questo lavoro si è definita una metodologia completa di misura del campo accelerante nelle cavità a radiofrequenza. I risultati ottenuti sono stati incoraggianti e pongono le basi per un’ulteriore automazione del sistema per misure ancor più accurate. E’ possibile effettuare un controllo a ciclo chiuso della 199 Terzo capitolo Strutture accoppiate velocità del motore DC per debellare anche l’eventuale errore di misura dovuto alla possibile variazione della sua velocità: si potrebbe utilizzare un encoder incrementale per misurare la velocità attuale del motore e implementare un controllo PID, per l’azzeramento dell’errore tra la velocità attuale e quella di riferimento, la cui uscita in tensione piloterebbe, con qualche accorgimento, il motore in continua. Inoltre si potrebbe sincronizzare, in modo automatico, lo start e lo s 200 Terzo capitolo Strutture accoppiate top del motore con l’acquisizione dei dati tramite l’analizzatore vettoriale. Appendice A Parametri S: linee di trasmissione. Consideriamo le proprietà delle linee di trasmissione perché con queste alimentiamo la nostra struttura per conoscere la risposta al segnale incidente nello spettro di frequenza che decidiamo di investigare. Assumendo la linea uniforme e con perdite, possiamo definire, per unità di lunghezza, impedenze in serie e ammettenze in parallelo. In particolare, assumendo la linea senza perdite resistive, otteniamo una induttanza L in serie e una capacità C in parallelo. Da ciò ricaviamo l’impedenza caratteristica della linea come : Z = LC (A.1) Chiamate Einc l’onda incidente e Erif l’onda riflessa, in un dato punto x della linea troviamo il potenziale V (x) e la corrente I(x) : V(x) = Einc + Erif I(x) = Einc + Erif Z (A.2) (A.3) A questo punto definiamo anche il coefficiente di riflessione : Γ= Erif Z L − Z = Einc Z L + Z (A.4) 201 Terzo capitolo Strutture accoppiate Γ è una quantità complessa e, selezionando un’impedenza di carico ZL uguale all’impedenza caratteristica della linea si elimina l’onda riflessa. Considerando ora un elemento a due porte: esisteranno onde incidenti e riflesse su tutte e due le porte; se l’indice i indica l’onda in ingresso all’elemento da una delle due porte e l’indice r l’onda riflessa e i pedici 1 e 2 distinguono l’ingresso e l’uscita avremo : V1 = Ei1 + Er1 (A.5) V2 = Ei2 + Er2 I1 = Ei 1 + Er1 Z I2 = Ei 2 + Er2 Z (A.6) dove V1, I1, V2, I2 sono, rispettivamente, potenziale e corrente totale alle porte di ingresso ed uscita. Possiamo quindi relazionare le quattro onde E viaggianti attraverso i quattro parametri ibridi h : V1 = h11I1 + h12 V2 (A.7) I 2 = h 21I1 + h 22 V2 (A.8) Riarrangiando queste equazioni, in modo che le onde Ei siano le variabili indipendenti e quelle Er le dipendenti, abbiamo: Er1 = f 11 (h)Ei 1 + f 12 (h)Ei 2 (A.9) Er2 = f 12 (h)Ei 1 + f 22 (h)Ei 2 (A.10) dove le f sono funzioni dei parametri ibridi h. Dividendo ogni onda E per la radice dell’impedenza caratteristica troviamo (Figura A.1) : 202 Terzo capitolo Strutture accoppiate Figura A.1 : Matrice di scattering a1 = Ei1 Z a2 = b1 = Er1 Z b2 = Ei 2 (A.11) Z Er2 Z (A.12) da cui: b1 = S11a1 + S12a2 b2 = S21a1 + S22a2 I parametri Sij sono dei parametri di scattering in quanto legano le onde trasmesse o riflesse dal componente in esame da quelle incidenti sulle due porte. Essi vengono misurati dal Network Analyzer imponendo delle condizioni sulle a ovvero: b S11 = 1 a 1 a 2 =0 (A.13) b S12 = 1 a 2 a1 = 0 203 Terzo capitolo Strutture accoppiate b S 21 = 2 a 1 a 2 =0 (A.14) b S 22 = 2 a 2 a1 = 0 Visto che i parametri S sono funzione dell’impedenza Z che, a sua volta, è funzione della frequenza, un’ analisi dei parametri di scattering ci consente di ricavare le frequenze risonanti, frequenze in corrispondenza delle quali è presente un picco de 204 Terzo capitolo Strutture accoppiate llo spettro. Appendice B 1.1.1.1Il teorema di Slater Questo teorema riguarda la valutazione dello spostamento in frequenza di una cavità risonante sottoposta ad una piccola deformazione. Si ricordi che alla risonanza l’energia elettrica massima accumulata nella cavità eguaglia quella magnetica e che il raggiungimento del massimo dell’una coincide con il raggiungimento del minimo dell’altra in modo da avere un continuo palleggiamento energetico. Se nella deformazione si determina uno squilibrio di queste due energie, la frequenza si sposta verso un valore tale da determinare una nuova configurazione di campo in grado di riportare le due energie al riequilibrio. Slater empiricamente ipotizzò che lo spostamento in frequenza relativo dovesse essere direttamente proporzionale allo squilibrio energetico e inversamente al contenuto energetico totale: ∆ω ω = κ 4U ∫ (µΗ 2 (B.1) ) − εΕ 2 dV ∆V dove U= 1 µΗ 2 + εΕ2 dV ∫ 4V ( è l’energia media immagazzinata nella cavità, ∆V ) κ (B.2) è una costante da determinare e è il volume deformato. Per il volume deformato si utilizza l’espressione: 205 Terzo capitolo Strutture accoppiate ∆V = nˆ ⋅ δldA dove n̂ è la normale uscente dalla superficie e δl (B.3) è il vettore deformazione. Il suo teorema dimostra la veridicità dell’ipotesi e fornisce il valore della costante κ . Si fa ricorso a una rappresentazione dei campi elettrico e magnetico in termini di autofunzioni ortonormali, secondo le espressioni che seguono: Ε = ∑ ea Εa ; H = ∑ ha H a (B.4) Le autofunzioni soddisfano le equazioni e le relative condizioni miste al contorno che seguono: (B.5) ka H a = ∇ × Εa ; kaΕa = ∇ × H a nˆ × Ε a = 0 su S ; (B.6) nˆ × H a = 0 su S ' La superficie totale A è definita nel modo seguente: A = S ∪ S' (B.7) I coefficienti dello sviluppo si possono esprimere come: ea = ∫∫∫ Ε ⋅ Ε a dV ≡< Ε, Ε a > (B.8) V ha = ∫∫∫ Η ⋅ Η a dV ≡< H, H a > (B.9) V Tali espressioni sono introdotte nelle equazioni di Maxwell che possono essere riformulate componente per componente come segue: 206 Terzo capitolo Strutture accoppiate (B.10) − εµω 2 ∫∫∫ Η ⋅ Η a dV + k a2 ∫∫∫ Η ⋅ Η a dV = V V = − k a ∫∫ (nˆ × Η ) ⋅ Ε a dA − jωε ∫∫ (nˆ × Ε ) ⋅ Η a dA S′ S Supponiamo che la deformazione consista in uno spostamento di parte della parete verso l’interno: nel piccolo volume incluso tra la parete perturbata e quella originaria i campi Ε e Η saranno nulli. Pertanto vi sarà una discontinuità della componente tangenziale di Η sulla parete deformata. Questo implica che bisogna (nˆ × Η ) ⋅ Ε a dA su tale parete ( S ′′ che risulta essere la deformata di S ′ ) anche se essa non faccia più parte della superficie S ′ originaria tenere l’integrale di mentre l’integrale sulla parete S può essere trascurato essendo la componente tangenziale di Ε pari a zero. Inoltre il campo perturbato Η sarà quasi uguale al campo imperturbato Ηa , naturalmente moltiplicato per il coefficiente di sviluppo ha = ∫ Η ⋅ Η a dV . Pertanto possiamo scrivere: V − εµω 2 ha + k a2 ha = − k a ha ∫ (nˆ × Η a ) ⋅ Ε a dA ≡ (B.11) S′ ≡ k a ha ∫ (Ε a × Η a ) ⋅ nˆ dA S′ La superficie S ′′ può essere chiusa con la parete S ′ sulla quale l’integrale è nullo. ∫ ∫ S V Applicando il teorema della divergenza ( A ⋅ dS = divA dV ) all’ultimo membro della precedente equazione, l’integrale di superficie diventa un integrale di volume S ′ e S ′′ . Inoltre esteso alla regione elementare ∆V inclusa tra la superficie tenendo conto della relazione di algebra vettoriale che segue e della proprietà degli autovalori: ( ∇ ⋅ (Ε a × Η a ) = Η a ⋅ ∇ × Ε a − Ε a ⋅ ∇ × Η a = k a Η 2a − Ε 2a ) (B.12) 207 Terzo capitolo Strutture accoppiate si ottiene il risultato finale del teorema di Slater: ( ) (B.13) − εµω2 + ka2 = −ka2 ∫ Η2a − Ε2a dV ∆V La formula precedente può essere riscritta (B.14) ∆ω 1 = ∫ Η2a − Ε2a dV ω 2 ∆V ( ) È facile riconoscere che: µΗ 2 Η = 2 ∫ µ Η dV 2 a V (B.15) εΕ 2 Ε = 2 ∫ ε Ε dV 2 a V Per cui si ottiene: ( ( ) ) 2 2 µ ε Η − Ε dV ∫∆V ε Ε2 ∆ω 1 µΗ2 dV = = − ω 2 ∆∫V ∫ µΗ2dV ∫ ε Ε2dV µΗ2 + ε Ε2 dV ∫ V V V (B.16) Da queste equazioni si deduce che risulta essere: κ =1 208 Terzo capitolo Strutture accoppiate Ringraziamenti Grazie immenso a miei genitori per avermi accompagnato fino alla conclusione di questa tappa appoggiando sempre le mie scelte e ai miei fratelli Luigi e Enrico per il sostegno non solo morale durante il mio cammino fin qui. Grazie ai miei parenti e ai miei Nonni (per gli altri tre spero che da lassu’ possiate ascoltare) per l’appoggio e la fiducia che mi hanno sempre dimostrato. Grazie ai miei amici Alessio, Antonio Marinaro, Oreste Catena Lupin, Nicola Poldino per gli anni spensierati trascorsi insieme e ai GIGA, il primo nucleo di amici universitari coi quali ho condiviso ansie e gioie e con i quali avrò per sempre un bellissimo rapporto. Peppe ma quando leggeremo la tua autobiografia???...in particolare il Capitolo IV??? Grazie agli amici Christian, Raffaella, Pasquale, Imma, Daniele, Amelia, Manuela, Salvatore De Maria, Enzo Guarino e alla piccola Giovanna per aver portato un pò di ‘colore’ nei GIGA. Grazie a Marco Cifariello per le ore di studio ma anche di piacere trascorse insieme. Grazie ai miei amici del liceo Pasquale&Rocco Di Conza, Vincenzo De Luca per il rapporto iniziato al liceo e tuttora vivo. Un grazie di cuore alla Dottoressa Maria Rosaria Masullo per la sua immensa disponibilità e per tutte le spiegazioni e i suggerimenti durante il lavoro di tesi. Un grazie particolare al Professor Vittorio Giorgio Vaccaro che mi ha dato la possibilità di partecipare al suo progetto e per l’aiuto, le idee e la pazienza durante questo lavoro di tesi. E’ stato per me un piacere oltre che un onore lavorare con voi. Ringrazio, inoltre, tutti i ragazzi del laboratorio: Rita per le tantissime ore trascorse insieme (“davvero è passata tanta acqua sotto ai ponti”); Stefania che è stata la prima persona che mi ha seguito nelle fasi iniziali del mio lavoro quando mi ritrovai in una selva oscura; Makko per le spiegazioni sul Network Analyzer; Nando per le spiegazioni sul CST Microwave Studio. Chiuderei questo capitolo della mia vita con un grazie sentito a tutte le persone che mi sono state vicine durante la mia esperienza al CERN: Barbiero Andrea, Coccoli Mirko, Conte Giuseppe, D’Elia Alessandro, Lanzone Sara, Masi Alessandro. Un grazie particolare a Martino Michele e Pasini Matteo per l’immensa disponibilità e al mio Boss Ramberger Suitbert che nei primi tempi ha subito il mio pseudo-inglese! 209 Terzo capitolo Strutture accoppiate Giovanni!!! Bibliografia [1] U. Amaldi and M. Silari editors: “The TERA project and the Centre for Oncological Hadrontherapy”, The TERA Collaboration, Frascati, 1994 [2] V.G. Vaccaro, G. Canale Cama, A. D’Elia, R. Pacelli, P. Russo, M. Salvatore, R. Solla, P. 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