Capitolo settimo COMMERCI E CERAMICHE Di solito si associa la civiltà medievale con le chiese e i castelli, mentre si finisce per sottovalutare quello mercantile, trasferito anche dagli studiosi all’epoca moderna. A lungo infatti si è ritenuto che quanto è utile alla vita quotidiana, dalle derrate alimentari al vestiario, dai materiali da costruzione ai mezzi di trasporto, si produca e raccolga all’interno della curtis medievale. La pretesa assenza dell’oro limiterebbe pochi esempi di compravendita a livello di scambio. Le armi sarebbero scambiate con donazioni di terre. Nella maggior parte dei casi può essere vero; tuttavia vi sono acquisti di prodotti che la curtis della Basilicata non possiede, per ogni tipo di oggetto e di cultura. Infatti, nonostante le difficoltà economiche in ogni momento, pur durante le invasioni barbariche e le carestie, nelle città e nei villaggi permangono fiorenti i mercati. Continuando la tradizione del periodo classico anche in Basilicata abbiamo la presenza di alcune fiere o mercati periodici dove può esservi lo scambio di qualsiasi prodotto. Tra quelli alimentari si ricordano il pane, documentato indirettamente nel 494 dal pontefice Gelasio I che, scrivendo alle comunità monastiche greche e latine, documenta che queste a volte possedevano, oltre al monastero, anche una biblioteca, un giardino, un mulino ed un forno. Si attestano, quindi, campi di segala, orzo, miglio, alberi da frutta e vigneti, insieme all’allevamento di suini, ovini, bovini, api e cavalli. Durante la Seconda colonizzazione bizantina avviene uno sviluppo continuo del territorio e si attestano fra i primi posti la coltura della vigna, dell’olivo, dei cereali e del gelso, quest’ultimo utile per l’allevamento dei bachi da seta. 139 La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo Non sempre tutti i raccolti andavano a buon fine: ad Acerenza, nel 990, una grandine danneggiò tutti i canti coltivabili, e ad essa si aggiunse un lungo periodo di piogge nel 991, carestie nel 992, per cui «mancò il frumento e l’orzo, le fave e i legumi e tutti mangiavano erbe selvatiche». Nel 1000 i Saraceni assediati dai Longobardi nella fortezza di Castelsaraceno si arresero poiché stremati dalla fame e dalle pestilenze. Nel corso del XII sec., con l’afflusso e lo sviluppo delle Crociate, sono documentati anche nuovi prodotti alimentari, per gustare i quali era costume, in Oriente, che si servissero «tre o quattro piatti che venivano portati in tavola», per cui si poteva scegliere cosa mangiare. Appaiono così i cavoli, gli spinaci, l’acetosella, il prezzemolo, il cerfoglio e la melanzana. Il tutto veniva servito in stoviglie di ogni tipo, dalla terracotta sino a quelle metalliche. Escludendo per un attimo queste ultime, di cui non sembra sia rimasto nulla, la ceramica è da considerare un elemento utile per Pietrapertosa. In questo castello erano in uso tegole a margini ricurvi ed incavati comprendere la diversità etnica e sociale dei fruitori, come nel caso della ceramica “stampigliata” longobarda. Certo, è difficile che qualsiasi elemento ceramico possa essere davvero una indicazione certa: si pensi che in epoca tardoimperiale, quando un patrizio si convertiva al cristianesimo, utilizzava le stesse ceramiche di quando era pagano. 140 Commerci e ceramiche Badia di Sant'Ippolito a Monticchio. Il Vulture fu sempre al centro dei traffici commerciali ed umani nella regione 141 La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo Resta comunque il fatto che soprattutto i corredi tombali pochi, a dire il vero- indicano lo status economico del defunto, o i depositi archeologici di castelli e chiese segnalano l’economia prevalente in un certo periodo. Non si conoscono i motivi profondi della trasformazione della cultura materiale dall’età tardoantica a quella altomedievale, ma abbiamo tra V e VI sec. una massiccia presenza di prodotti d’importazione come le ceramiche del tipo “sigillata tarda”, anfore africane e siriache. Con il trascorrere del VI secolo e con l’inizio del successivo, la ceramica assume delle forme locali e, in teoria, scade di qualità o viene utilizzata materia prima recuperata in loco; addirittura le argille sono malcotte e ritorna l’uso del tornio lento. Abbiamo, in sostanza, una evoluzione che si riconduce ad una progressiva perdita delle produzioni in serie e, soprattutto, delle vernici sintetiche, da quelle a “vernice nera” alle “sigillate” rinvenute in moltissimi insediamenti della Basilicata. Appaiono invece Lucerna, brocchetta e boccale dal castello di Melfi, del XIV sec. 142 Commerci e ceramiche Brocca policroma smaltata con scena di caccia dal castello di Melfi 143 La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo decorazioni indigene come le broad line wares, ovvero le terracotte dipinte a bande rosse larghe, e le narrow line wares, cioè quelle dipinte a bande strette, entrambe in un periodo che va dal VIIVIII sec. sino al pieno XIII sec., quando appare anche un tipo di terracotta ricoperta da una vetrina trasparente all’ossido di stagno. Quest’ultima, cui viene dato il nome di “protomaiolica”, è praticamente l’antenata della maiolica, e venne inizialmente prodotta, Coppa dipinta ed invetriata su piede ad anello, in uso nelle mense del castello melfitano nel XIV sec. con tutta probabilità, in Puglia e in Campania, in coincidenza con l’importazione di ceramiche vetrinate allo stagno dell’Africa settentrionale e del Maghreb; si tratta di brocche e ciotole tipicamente dipinte in policromia con vari animali e stemmi, sia sotto rivestimento vetroso piombifero che stannifero, il che indica una ripresa dei commerci ed un’influenza dei vasai islamici come la colonia musulmana di Lucera. La Basilicata non restò certo isolata da questi traffici, se si pensa che a Montescaglioso i monaci del famoso monastero si servirono di ceramiche sopraffini del XII secolo magrebine e prodotti a “doppia immersione” (double-dipped ware) dipinte con croci rinvenute anche a Policoro ed Anglona e Torre di Mare. 144