UN UOMO UNA PIANTA Rafinesque, Giuseppina e il chinotto di Palermo Quando si legge il nome botanico latino di un albero non bisogna mai dimenticare di leggere la sigla o abbreviazione (può essere anche un nome completo) che segue al nome della specie. Una sigla che oltre ad indicarci il botanico che per la prima volta ha nominato quell’albero, ci dà preziose informazioni sulla sua provenienza e talvolta può regalarci anche sorprese di omonimia come quella che riguarda il botanico di cui ci occupiamo oggi “Raf”. che anche se sembrerebbe rimandarci al nome d’arte di un famoso cantante italiano corrisponde invece al botanico Constantine Samuel Rafinesque-Schmaltz. Eccentrico e poliedrico personaggio. Umanista, filologo e naturalista, poliglotta con una vastità di interessi che spaziano dalla zoologia alla botanica, la malacologia la letteratura e l’archeologia, Constantine Samuel Rafinesque-Schmaltz nasce il 22 Ottobre del 1783 a Galata, un sobborgo di Costantinopoli. Suo padre è un mercante francese e sua madre (Madeleine Schmaltz) appartiene a una famiglia di commercianti tedeschi che risiede da diversi anni in Oriente. L’anno seguente alla sua nascita la famiglia si trasferisce in Francia da dove, per sfuggire alle conseguenze della Rivoluzione Francese, viene mandato in Toscana a studiare presso dei parenti. Nel 1802 in seguito alla morte del padre, avvenuta a Philadelphia nel 1793, per una febbre gialla contratta durante un viaggio commerciale in Cina, si trasferisce in America a Philadelphia, dove nel 1802 diventa apprendista nella casa mercantile dei fratelli Clifford. Nei successivi due anni inizia a girovagare, insieme al fratello, tra i campi e i boschi dalla Pennsylvania alla Virginia collezionando piante e animali e conoscendo e 50 - Il Forestale n. 67 intrecciando un’ampia corrispondenza con i più importanti botanici americani. Nel 1805 si trasferisce in Italia a Palermo, al seguito di un console americano come segretario, dove vi rimarrà per dieci anni sviluppando un commercio internazionale di piante medicinali, esplorando l’isola e scoprendo piante (e pesci) fino ad allora mai nominati. Ad attenderlo a Palermo ci sarà anche il suo grande amore Giuseppina Vacarro che diventerà la sua compagna e dalla quale avrà due figli, ma che non potrà sposare perché lui protestante e lei cattolica. Nel 1815 in seguito alla morte del suo primo figlio (chiamato Carol Linneus come il padre della nomenclatura binomia) ritorna negli Stati Uniti per non ritornare mai più in Italia (rimarrà invece in contatto per corrispondenza con sua figlia Emilia, mentre Giuseppina si sposerà con un attore). Lo strano gioco del destino, o, usando un termine Linneano, di “nemesi divina”, che contraddistinguerà anche successivamente la sua vita (così come quando nel 1826, dopo esser stato costretto a lasciare l’insegnamento all’Università della Transylvania per un litigio col Rettore, lancerà nei confronti dell’Istituto una maledizione “sorprendentemente efficace”: il presidente dell’Università, infatti, morirà successivamente di febbre gialla e il principale edificio verrà distrutto da un incendio) fa sì che la nave (la “Union”) con il quale viaggia la sua collezione (60.000 conchiglie) e i suoi manoscritti (cinquanta casse di libri) non ancora pubblicati faccia naufragio sulle coste del Connecticut facendogli perdere tutto. Una volta in America si stabilisce a New York, fino al 1818, dove fonda un Liceo di Storia Naturale e scrive il suo primo testo (al quale seguiranno ben 266 lavori, tra saggi e scritti), la “Florula ludoviciana”, che subisce molte critiche dalla comunità scientifica internazionale per gli errori presenti nel testo (è divenuta famosa, nella Storia della Scienze Naturali la sua prolifica fecondità nel creare nuovi nomi scientifici, talvolta anche completamente inventati, ben 6.700 solo in botanica, molti dei quali poi considerati obsoleti). Dopo il periodo passato dal 1819 al 1826 all’Università della Transylvania insegnando botanica, (ma anche ripetizioni di francese e italiano) ritornerà a Philadelphia dove si dedicherà a mettere a posto le sue collezioni (ben quaranta contenitori ricchi di innumerevoli specie) fino al 1840 quando morirà per un cancro allo stomaco a soli cinquantasette anni. Botanico americano quindi (diventa cittadino americano nel 1832) ma con forti legami con l’Italia, gli alberi e la flora siciliana, Constantine Samuel RafinesqueSchmaltz nel 1838, nella sua più importante pubblicazione la “Sylva tellurana. Mantis synopt. New genera and species of trees and shrubs of North America, and other regions of the earth, omitted or UN UOMO UNA PIANTA mistaken by the botanical authors and compilers, or not properly classified, now reduced by their natural affinities to the proper natural orders and tribes” è il primo botanico a nominare un piccolo albero sempreverde, appartenente alla famiglia delle Rutaceae, dai profumatissimi fiori, delle zagare bianche, molto diffuso nelle coste assolate dell’Italia, chiamandolo Citrus myrtifolia. Citrus, nel nome del genere, perché è un agrume dai frutti simili a arance ma più piccoli, schiacciati alle estremità e di colore arancio intenso a maturità, con la polpa amara e acida, un ibrido o secondo alcuni una mutazione dell’arancio amaro, e myrtifolia, in quello della specie, per le sue foglie piccole leggermente appuntite che ricordano appunto quelle del mirto. Un albero il cui nome botanico quindi è Citrus myrtyfolia Raf., ma che è più conosciuto in Italia (anche se sono in pochi quelli ad averlo mai visto) per il suo nome comune Chinotto, il cui significato (anche in francese è chiamato Chinois) starebbe per “proveniente dalla Cina” (alcuni pensano portato in Italia da livornesi o savonesi) anche se sulla sua origine non c’è una documentazione esauriente. E il nome Chinotto è lo stesso della bevanda, oggi tornata di nuovo in gran voga “Non c’è otto se non c’è chinotto” questo è lo slogan che si usava in Italia negli anni trenta, in piena autarchia, per promuovere una bevanda analcolica dolce e italiana in concorrenza con le stesse bevande di provenienza americana, che oltre ad acqua zucchero e coloranti dovrebbe contenere tra i suoi ingredienti, in contenuto limitato, una modesta percentuale del frutto dell’agrume. Ricco di storia è anche il Chinotto di Savona, divenuto oggi presidio slowfood, il cui frutto ricco di vitamina C veniva attraverso un laborioso procedimento (messo a punto già nell’ottocento, dalla ditta Besio di Savona) prima messo in salamoia e poi candito e servito insieme al maraschino come liquore aperitivo o digestivo. Antimo Palumbo