FISICA per Scienze Biologiche

A.A. 2002-03
Appunti del corso di
FISICA per Scienze Biologiche
M.Taiuti
M.T.Tuccio
Versione 0.3
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
Le Grandezze Fisiche
La descrizione quantitativa del mondo cui apparteniamo si basa sulla formulazione di
espressioni matematiche (leggi fisiche) che legano tra loro le varie grandezze fisiche.
Grandezze fisiche scalari: molte grandezze fisiche di cui abbiamo già esperienza dalla vita quotidiana quali per esempio di lunghezza, area, volume, tempo, energia, pressione sono grandezze scalari, ovvero è necessario per definirle un solo numero e l’unità
di misura appropriata.
Le grandezze fisiche scalari soddisfano alle seguenti proprietà:
- non è possibile sommare fra loro due diverse grandezze fisiche;
- la somma di due valori s 1 ed s 2 della stessa grandezza fisica ha come risultato un
nuovo valore pari semplicemente ad s 1 + s 2 ;
- il prodotto del valore s di una grandezza fisica scalare per un numero adimensionale
k ha come risultato un nuovo valore ks della stessa grandezza fisica;
- il prodotto di due grandezze fisiche scalari è una nuova grandezza fisica scalare.
Grandezze fisiche vettoriali: altre grandezze fisiche hanno invece bisogno di tre numeri oltre all’unità di misura appropriata per essere descritte. Esempio tipico è la velocità: se noi vogliamo descrivere il movimento di un’automobile dovremo non solo dire
il valore della velocità letto sul tachimetro ma anche la direzione in cui sta viaggiando.
Altri esempi sono l’accelerazione, la forza, la superficie, il campo elettro-magnetico.
r
Per descrivere una grandezza fisica vettoriale è ne-
z
cessario definire tre numeri che possono essere le tre
r
r
r
componenti lungo gli assi x , y e z con la stessa uni-
Vz φ
tà di misura oppure il modulo del vettore ed i due angoli θ e φ indicanti la direzione. Le tre componenti ed
Vx
r
x
r
V
Vy
r
y
θ
il modulo del vettore sono legate tra loro dalla relazione pitagorica V
2
= Vx2 +Vy2 +Vz2 . In due dimensioni
2
Fig. 1. Esempio di grandezza vettoriale.
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(Vz = 0 ) le relazioni si semplificano: V
2
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= Vx2 +Vy2 , Vx = V cosθ e Vy = V sin θ . Una
possibile notazione per rappresentare le tre componenti del vettore è la seguente:
r
V = Vx ,Vy ,Vz .
(
)
Le grandezze fisiche vettoriali soddisfano alle seguenti proprietà:
- non è possibile sommare fra loro due diverse grandezze fisiche;
r
r
- la somma di due valori V1 e V2 della stessa grandezza fisica ha come risultato un
r
nuovo valore V della grandezza vettoriale le cui componenti sono pari alla somma delle
r
componenti dei due vettori di partenza, cioè V = V1x +V2x ,V1y +V2y ,V1z +V2z ;
(
)
r
- il prodotto del valore V di una grandezza fisica vettoriale per un numero adimensior
nale k ha come risultato un nuovo valore kV della stessa grandezza fisica le cui comr
ponenti sono pari alle componenti iniziali moltiplicate per k cioè kV = kVx , kVy , kVz ,
(
)
inoltre la direzione non cambia ( θ e φ rimangono gli stessi) ed il modulo diventa kV ;
r
- il prodotto del valore V di una grandezza fisica vettoriale per una grandezza scalar
re s ha come risultato un nuova grandezza vettoriale W le cui componenti sono pari
r
alle componenti iniziali moltiplicate per s cioè W = sVx , sVy , sVz , inoltre la direzione
(
)
non cambia ( θ e φ rimangono gli stessi) ed il modulo diventa sV ;
r
r
- il prodotto di due grandezze fisiche vettoriali V1 e V2 può essere a sua volta una
grandezza vettoriale oppure scalare. Nel primo caso si parla di prodotto vettoriale
r r
r
V1 ×V2 il cui risultato è un vettore V3 perpendicolare ai primi due, il cui modulo vale
V3 = V1V2 sin ϑ dove ϑ è l’angolo formato dai due vettori. Nel secondo caso si parla di
r r
prodotto scalare V1 •V2 il cui risultato è una grandezza scalare s il cui valore è pari a
s = V1V2 cos ϑ . Si noti che il valore del modulo assume il valore massimo nel prodotto
vettoriale quando le direzioni dei due vettori formano tra loro un angolo di 90° ed è
nullo se sono allineati a 0° o 180° ; nel prodotto scalare, invece, il valore massimo si
raggiunge quando i due vettori sono paralleli ed è nullo quando sono orientati a 90° .
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Le Forze e le Tre Leggi della Dinamica
Il nostro mondo esiste come tale perchè ci sono le forze. La forma stessa dei corpi è
determinata dalla presenza delle forze. Questa prima parte del corso è dedicata a
studiare alcuni tipi di forze e come esse possano modificare il movimento di un corpo.
Secondo Principio della Dinamica: la legge fisica che mette in relazione le forze che
agiscono su un corpo ed il movimento di quest’ultimo è la seguente:
r
r
∑ Fi = Ma
i
l’accelerazione che il corpo subisce, è proporzionale alla somma vettoriale (risultante)
di tutte le forze che agiscono sul corpo stesso.
Primo Principio della Dinamica: nel caso particolare in cui la risultante delle forze è
r
zero il movimento del corpo non subisce alcuna variazione (accelerazione = 0 ). Più pre-
cisamente il corpo o sta fermo, oppure si muove di moto rettilineo uniforme.
Del Secondo Principio della Dinamica dobbiamo osservare le seguenti proprietà: a) le
forze sono sommate vettorialmente e non si fa cenno alla loro natura; b) la costante di
proporzionalità M è una proprietà intrinseca del corpo soggetto alle forze e prende il
nome di massa.
Nel sistema di misura SI le unità di misura di forza, massa ed accelerazione sono rispettivamente il Newton ( N ), il chilogrammo (kg ) ed il metro su secondo al quadrato
( m/s 2 ), mentre nel sistema cgs sono il dina, il grammo ( g ) ed il centimetro su secondo al quadrato ( cm/s 2 ). Più ovviamente i vari multipli e sottomultipli. E’ possibile pas-
sare da un sistema di misura ad un altro applicando opportuni coefficienti moltiplicativi (vedi Appendice I).
Vediamo ora di descrivere le forze di cui facciamo esperienza quotidiana.
r
Forza peso P : è l’effetto diretto della forza di attrazione che la Terra esercita sui
corpi posti presso la superficie. E’ rivolta sempre verso il basso (ovvero verso il centro
della Terra) e, nel caso sia l’unica forza ad agire, induce sui corpi liberi di cadere
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un’accelerazione costante g pari, al livello del mare, a g = 9.8 m/s 2 . Quindi l’intensità
della forza peso varia a seconda del valore della massa M del corpo e vale: P = Mg . Il
valore di g si ricava dall’espressione della forza di gravità FG ponendo M1 = M ,
M2 = MT (massa della Terra) e R12 = RT (raggio della Terra) da cui g = G
MT
.
RT2
r
Reazione vincolare (o forza di contatto) N : è
presente ogni volta che un corpo solido V (per
esempio un pavimento od una parete) si oppone
al possibile movimento di un altro corpo C. La
r
N
C
V
forza esercitata da V è sempre perpendicolare
r
P
alla sua superficie, e l‘intensità non è costante
bensì varia secondo il valore delle altre forze
Fig. 2. Esempio di reazione vincolare.
applicate al corpo C.
r
r
Nell’esempio riportato in figura deve valere N = −P affinché il corpo stia fermo appoggiato sulla superficie. Vedremo successivamente altri esempi più complessi.
r
Tensione T : è il tipo di forza che si applica utilizzando per esempio una fune. Altri
esempi possono essere un braccio che sostiene una valigia (il braccio esercita la tensione, la valigia è il corpo su cui è applicata la forza), gli elastici di una fionda tesa (gli
elastici esercitano la tensione mentre la pietra è il corpo su cui la forza è applicata) e
così via. Nel caso della tensione, la forza è diretta lungo la direzione della “fune” orientata in modo da allontanarsi dal corpo su cui è applicata e l’intensità può variare
secondo le situazioni.
r
Forza elastica Fk : questa forza si manifesta
ogni volta che si stira un corpo che tende poi a
ritornare alla sua forma iniziale (per esempio
un elastico oppure una molla). In questo caso la
forza è proporzionale alla deformazione x
r
x
r
N
C
r
Fk
r
P
Fig. 3. Esempio di forza elastica.
5
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del corpo rispetto alla sua forma a riposo ed è orientata in modo da riportare il corpo
r
r
alla sua forma originale secondo la legge di Hooke F = −kx . La costante k propria di
ogni corpo è detta costante elastica e si misura in N/m .
r
r
Forza di attrito statico fs e dinamico fd :
r
questo tipo di forze si genera dal contatto fra
N
due superfici ruvide quando una delle superfici
r
C
fs
è in movimento rispetto all’altra o quando si
cerca di spostarne una. Il processo è mostrato
in figura: non appena sul corpo C fermo viene
r
applicata una forza F// parallela alle superfici
r
F//
r
P
Fig. 4. Esempio di forza di attrito statico.
r
di contatto, a causa della loro ruvidità, si instaura una forza fs , di verso opposto al
r
tentativo del movimento, la cui intensità e direzione annulla la forza applicata F// .
r
Come risultato il corpo rimane fermo in quanto vale ∑ Fi = 0 ed in particolare
i
r
r
fs + F// = 0 . L’intensità della forza d’attrito statico non è costante, ma varia in funzione delle altre forze applicate al corpo; l’intensità e la direzione sono sempre tali da
annullare la risultante delle altre forze parallela alla superficie di contatto.
A causa della natura della forza d’attrito statico,
l’intensità non può crescere indefinitamente, ma
raggiungerà un valore massimo pari a fs = µ s N .
f
µs N
µd N
Raggiunto questo limite, l’attrito statico non è più
F//
in grado di contrastare l’azione delle altre forze
ed il corpo inizierà a muoversi.
Fig. 5. Intensità della forza di attrito.
Rimane una forza d’attrito residua, d’intensità inferiore ma costante. Tale forza
prende il nome di attrito dinamico, è orientata come l’attrito statico ed ha una intensità pari a fd = µ d N con ovviamente µd < µ s . Le due costanti adimensionali µ s e µ d
si chiamano rispettivamente coefficiente d’attrito statico e dinamico.
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Altre forze d’attrito che saranno analizzate nella “Dinamica dei fluidi reali” sono:
Forza di attrito viscoso nello scorrimento di fluidi reali.
Forza di Stokes nel movimento di un corpo in un fluido reale.
Nel capitolo dedicato all’”Elettrostatica” analizzeremo la forza d’attrito legata alla
Resistenza al passaggio della corrente elettrica.
r
Spinta di Archimede FA : vedi “Statica dei fluidi ideali”.
r
Forza di gravità FG : questa forza viene esercitata da un corpo di massa M1 su un secondo corpo di massa M2 . La direzione della forza è lungo la linea immaginaria che unisce i due corpi ed è orientata in modo che i corpi si muovano l’uno verso l’altro.
L’intensità è invece data dall’espressione FG = G
M1 M2
dove R12 è la distanza tra i due
R122
corpi e G è la costante di gravitazione universale e vale G = 6.67 • 10 −11 N • m 2 /kg 2 .
Normalmente i corpi hanno una dimensione finita (non sono dei punti), pertanto bisogna essere più precisi nella formulazione dell’intensità della forza, specificando che la
distanza R12 va calcolata fra i centri di massa dei due corpi (vedremo più avanti il significato di questo concetto).
Forza di Coulomb: vedi “Elettrostatica”.
Forza di Lorentz: vedi “Magnetismo”.
Terzo Principio della Dinamica: la forza di gravità ci permette adesso di introdurre il
Principio noto anche come Principio di Azione e Reazione. Dall’espressione del modulo
r
di FG si vede chiaramente che il corpo 2 esercita sul corpo 1 una forza di intesità pari
a quella della forza che il corpo 1 esercita sul corpo 2! In realtà questo è vero per tutte le forze; come abbiamo visto nei casi precedenti, l’azione della forza richiede oltre
al corpo su cui si applica, la presenza di un secondo corpo che la generi (la Terra per la
forza peso, il pavimento per la reazione vincolare, la fune per la tensione e così via).
Pertanto ogni volta che un corpo 1 esercita sul corpo 2 una forza di intensità F , subisce dal corpo 2 una forza di pari intensità ed orientata nella direzione opposta.
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Esempi
1. Calcolare l’accelerazione generata dalla risultante delle forze nel sistema riportato in figura.
Soluzione: questo è un problema classico e riportiamo qui la procedura necessaria per impostarlo
correttamente. Occorre anzitutto ruotare la figura in modo da portare il piano inclinato parallelo
all’asse x . In questo modo è facile verificare che
tutte le forze sono parallele ad uno degli assi, eccetto la forza peso che forma un angolo α (uguale
all’inclinazione del piano inclinato) con l’asse y .
L’espressione
r
prima della rotazione
r
r
fs
∑i Fiy
r
F
r
dopo la rotazione
r
∑ Fi = Ma può quindi essere scom-
r
fs
posta nelle due componenti:
∑i Fix
C
P
i
x :


y :

N
N
che diventano, osservando che a y = 0 (il corpo
r
x
F
α
= Ma y
y
r
C
= Ma x
α
r
P
Fig. 6. Problema del piano inclinato
NON si stacca dal piano inclinato) e ricordando la definizione della forza di attrito statico
fs = µ s N :
x : F + Mg sin α − fs = Ma x


da cui
y : N − Mg cos α = 0


fs = µ s N
F + Mg (sin α − µ cos α )

a x =
M


a y = 0

2. Un corpo di massa M = 50 g si trova su un piano inclinato con coefficiente di attrito dinamico µ d = 0.2 . Calcolare la risultante delle forze e l’accelerazione con cui scende il corpo sa-
pendo che l’angolo d’inclinazione del piano è α = 30° .
Soluzione: è sufficiente applicare le formule dell’esempio precedente osservando che F = 0
e che µ = µ d :
x :




y :

∑i Fix
= Mg sin α − fd = Mg (sin α − µ d cos α ) =
∑i Fiy
=0
= 50 • 10 −3 kg × 9.8 m/s 2 × (sin 30° − 0.2 × cos 30°) = 0.16 N
l’accelerazione è diretta parallela al piano inclinato e vale:
a = g (sin α − µ d cos α ) = 9.8 m / s 2 × (sin 30° − 0.2 × cos 30°) = 3.2 m/s 2
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3. Un pallina di massa M = 30g è sospesa ad una molla di costante k = 3N/m . Calcolare
l’allungamento della molla.
Soluzione: la pallina è soggetta alla forza peso diretta verso il basso ed alla forza di richiamo
della molla diretta verso l’alto. Affinché rimanga ferma occorre che la risultante delle forze
sia nulla. Pertanto kx − Mg = 0 da cui
x =
Mg 30 • 10 −3 kg × 9.8 m/s 2
=
= 9.8 • 10 −2 m
3N/m
k
4. Spiegare perché un corpo di massa M appoggiato su un piano è soggetto alla reazione vincolare?
Soluzione: il corpo esercita sul piano una forza verso il basso di intensità pari a Mg e per il
Terzo Principio della Dinamica riceve dal piano l’azione di una forza uguale e contraria.
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Il Moto
Moti rettilinei - Come abbiamo visto nel capitolo precedente, un corpo su cui sono ap-
plicate delle forze è soggetto ad un’accelerazione proporzionale all’intensità della risultante delle forze applicate. Vediamo ora alcuni casi semplici.
- La risultante delle forze è nulla: in questo caso come si è visto precedentemente il
movimento del corpo non subisce nessuna variazione. Questa condizione può essere
riassunta come segue: in assenza di forze esterne il corpo o rimane nel suo stato di
quiete oppure continua a muoversi di moto rettilineo uniforme ovvero il vettore velo-
cità rimane costante nel tempo. Per descrivere questo moto conviene scegliere un sistema di riferimento con l’asse x orientato nella stessa direzione del vettore velocità
r
v 0 . In queste condizioni è facile capire che il moto proseguirà lungo l’asse x e la posizione del corpo in ogni istante è descritta dall’equazione oraria:
x (t ) = x 0 + v 0t
avendo chiamato con x 0 la posizione iniziale (all’istante t = 0 ) del corpo mentre v 0 è il
r
modulo della velocità preceduto dal segno meno se il vettore v 0 è orientato in direzione opposta all’asse x . E’ facile convincersi che in questo tipo di moto il corpo percorre in un certo intervallo di tempo ∆t sempre la stessa distanza ∆x = v 0 ∆t (spazi
uguali in intervalli di tempo uguali).
r
- La risultante delle forze ∑ Fi è costante nel tempo in modulo e direzione: per la sei
conda legge della dinamica anche il vettore accelerazione è costante nel tempo. In
questo caso il moto del corpo è più complesso e per descriverlo dovremo procedere
per gradi. Anzitutto immaginiamo che la velocità del corpo nell’istante in cui le forze
iniziano ad essere applicate sia parallela alla risultante delle forze. Il moto che ne deriva è un moto rettilineo uniformemente accelerato ed anche in questo caso conviene
scegliere un sistema di riferimento con l’asse x orientato nella stessa direzione dei
r
r
vettori velocità v 0 ed accelerazione a . Per descrivere il moto è necessario adesso dire come variano nel tempo lo spazio percorso e la velocità del corpo. Le equazioni ora10
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1
x (t ) = x 0 + v 0t + at 2
rie diventano
dove il modulo a dell’accelerazione è preceduto
2
v (t ) = v 0 + at
r
da un meno se a è orientato in direzione opposta all’asse x
E’ facile convincersi che in questo tipo di moto la velocità del corpo varia in un certo
intervallo di tempo ∆t sempre della stessa quantità ∆v = a∆t . Le due equazioni precedenti possono essere combinate in modo da eliminare la dipendenza esplicita dal
1 2 1 2
2
2
tempo: a (x − x 0 ) = v − v 0 oppure v = v 0 + 2a (x − x 0 )
2
2
Queste equazioni hanno delle conseguenze che verrano discusse nel capitolo relativo
all’energia. Per motivi di semplicità non analizzeremo altri tipi di moto unidimensionale.
Moti piani - E’ sempre possibile scomporre il moto nelle sue componenti lungo le dire-
zioni individuate dagli assi cartesiani, basta immaginare che il punto proietti un’ombra
sull’asse x ed un’altra ombra sull’asse y : le due “ombre” si muoveranno di concerto
con il corpo ed il loro moto potrà essere descritto usando uno dei due tipi descritti
precedentemente.
Come esempio consideriamo il moto
y
r
di un proiettile: dalla figura a fianco
vy
r
v
r
si vede che in ogni punto del moto la
r
velocità v può essere scomposta nelr
r
le due componenti v x e v y . Poiché la
r
vx
r
g
vx
r
g
r
r
v
vy
componente a x dell’accelerazione è
nulla il moto lungo x sarà rettilineo
uniforme, mentre lungo y , dove la
x
componente a y = g è costante e rivolta verso il basso, il moto sarà ret-
Fig. 7. Moto di un proiettile in due dimensioni.
tilineo uniformemente accelerato ed è possibile dimostrare, eliminando il tempo dalle
due equazioni orarie, che la traiettoria che percorre il proiettile è una parabola:
11
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x (t ) = x 0 + v 0 xt
y (t ) = y + 1 v t − gt 2
0

2 0y
⇒
y = y0 +
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g
1 v 0y
(x − x 0 ) − 2 (x − x 0 )2
2 v 0x
v ox
Moto circolare uniforme; è generato da una qualunque
r
forza F orientata verso un punto fisso O e
r
v
r
F
d’intensità costante (forza centripeta). Esempi pos-
r
ac
sono essere la forza di gravità esercitata dal Sole sul-
R
la Terra, la normale alle pareti del cestello della lava-
O
trice, la tensione dello spago che tende la fionda. Per
la seconda legge della dinamica anche l’accelerazione,
come la forza, sarà orientata verso il punto O ed ha
intensità costante pari a ac = F M .
Fig. 8. Moto circolare uniforme.
L’accelerazione aC prende il nome di accelerazione centripeta.
I moduli della velocità radiale v e di aC sono costanti nel tempo, sono inoltre legati
tra loro ed al raggio R dall’espressione aC =
v2
.
R
Si noti che il moto può avvenire se e solo in il corpo è soggetto alla forza centripeta
r
F e possiede una velocità radiale v che soddisfa alla relazione precedente: aC =
v2
.
R
Nel moto circolare uniforme il corpo si muove lungo la circonferenza percorrendo in un
tempo t un arco di lunghezza s (t ) = vt . E’ possibile ancora introdurre il periodo di rotazione T0 , la frequenza ν di rotazione e la velocità angolare ω . Il periodo è definito
come il tempo necessario per compiere una rivoluzione completa, quindi T0 =
2πR
v
; la
frequenza è semplicemente l’inverso del periodo ν = 1  e viene misurata in Hertz
T0 

( Hz ) dove 1 Hz = 1 s −1 , la velocità angolare è ω =
2π
T0
= 2πν .
La velocità radiale e l’accelerazione centripeta sono legate alla velocità angolare me2
diante le relazioni v = ωR e aC = ω R .
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Esempi
1. Un’automobile percorre un tratto rettilineo alla velocità costante v 0 = 60 km/h . Calcolare
quanti minuti impiega a percorre uno spazio di 15 km .
Soluzione: il moto è rettilineo uniforme, quindi: t =
s
15 × 10 3 m
=
= 15 min .
v 60 / 3.6 m/s
2. Calcolare la distanza dalla Terra a cui si trova un satellite geo-stazionario (compie
un’orbita in 24 ore). (Massa della Terra MT = 5.97 • 10 24 kg )
Soluzione: il satellite è soggetto alla forza di attrazione gravitazionale esercitata dalla Terra
F =G
MT MS
, pertanto per muoversi di moto circolare uniforme lungo un’orbita circolare di
R2
raggio R (rispetto al centro della Terra) deve possedere una velocità radiale non nulla. Per il
Secondo Principio della Dinamica vale relazione G
MT MS
= MS aC . Il satellite possiede quindi
R2
MT
(non dipende dalla massa del satellite). RicorR2
2πR
dando infine che il periodo di rotazione è definito come T0 =
e che la velocità del satelv
v2
lite è legata all’accelerazione centripeta dalla relazione ac =
ovvero v = ac R , avremo
R
un’accelerazione centripeta pari a aC = G
che T0 =
2πR
3
2
GMT
T GMT 

R = 0
 2π



. Da questa espressione possiamo ricavare:
2
3
 24 × 3600 s × 6.67 • 10 −11 N • m2 /kg 2 × 5.97 • 10 24 kg 

=


2π


2
3
= 4.22 • 10 7 m
3. Un auto percorre a velocità costante v 0 = 60 km/h una curva di raggio R = 60 m . Calcolare il coefficiente di attrito statico fra le ruote e l’asfalto.
Soluzione: l’attrito statico è la forza centripeta che genera il
moto circolare uniforme. Quindi deve valere fs = Mac . Ricor-
r
N
r
dando le definizioni di forza di attrito statico e di accelerazione
centripeta l’equazione precedente diventa µ s Mg = M
((60 / 3.6)m/s )
v2
µs =
=
= 0.472
Rg 60 m × 9.8 m/s 2
2
fs
v
da cui:
R
2
r
P
Fig. 9. Problema 3.
13
r
ac
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4. Un’auto percorre a velocità costante v 0 = 60 km/h una curva parabolica di raggio
R = 60 m ed inclinata di α = 10° verso l’interno. Calcolare il coefficiente d’attrito statico
fra le ruote e l’asfalto.
Soluzione: in questo caso è la risultante di tutte le forze
r
r
r
α
r
applicate F = N + P + fs la forza centripeta che genera il
r
N
moto circolare uniforme. Occorre quindi risolvere il sistema
x :


y :

∑i Fix
∑i Fiy
= Mac
=0
cioè
r
N
r
α
F
r
N sin α + fs cos α = Mac

N cos α − fs sin α − Mg = 0
r
P
fs
r
fs
r
P
Ricordando che vale la relazione fs = µ s N , il sistema di
equazioni diventa
r
ac
α
Fig. 10. Problema 4.
N sin α + µ s N cos α = Mac

N cos α − µ s N sin α = Mg
dal cui rapporto si ricava la relazione
tan α + µ s
a
= c .
1 − µ s tan α
g
Ricordando la definizione di accelerazione centripeta l’equazione precedente diventa
v 2 − Rg tan α ((60 / 3.6)m/s ) − 60 m × 9.8 m/s 2 × tan 10°
=
= 0.273
µs =
Rg + v 2 tan α 60 m × 9.8 m/s 2 + ((60 / 3.6)m/s )2 × tan 10°
2
Si osservi che questo problema comprende il precedente nell’ipotesi α = 0° .
Si osservi inoltre che in certe condizioni cinematiche la soluzione potrebbe assumere valori negativi. Questo significa che
la forza d’attrito è orientata nella direzione opposta a quella
rappresentata nel disegno.
Questa osservazione ci permette di comprendere la soluzione
dell’altro caso particolare in cui α = 90° (basti pensare agli
acrobati che percorrono in moto le pareti circolari di un cilindro verticale). In questo caso, poiché tan 90° → ∞ la solu-
g
=
ac
Rg
Più precisamente µ s = 2
v
zione diventa: µ s = −
−
Rg
.
v2
con la forza d’attrito orientata ver-
so l’alto.
14
r
fs
r
N
r
ac
r
P
Fig. 11. Problema del moto lungo
le pareti circolari di un cilindro.
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Il Lavoro e la Conservazione dell’Energia
Lavoro di una forza costante: nell’esempio ri-
r
portato in figura la risultante delle forze è
non nulla ed il corpo si muove verso destra.
Immaginiamo che le forze applicate rimangano
costanti per un intervallo di tempo ∆t durante il quale il corpo si sposta di una quantità
r
s . Il moto sarà uniformemente accelerato con
N
r
fd
r
F
C
r
s
r
P
Fig. 12. Definizione di lavoro di una forza.
l’accelerazione orientata nella stessa direzione della risultante delle forze.
r r
Possiamo definire per ogni forza la seguente quantità scalare Li = Fi • s = Fi s cos ϑ ,
r
r
come il lavoro fatto da una forza Fi durante lo spostamento s . Nell’esempio precer
r
dente la forza F essendo orientata nella stessa direzione di s farà un lavoro positivo
pari a LF = Fs cos 0° = Fs , la forza di attrito statico farà invece un lavoro negativo
pari a Lfs = fs s cos 180° = −fs s mentre il lavoro delle due forze perpendicolari allo spo-
stamento sarà nullo: LN = Ns cos 90° = 0 e LP = Ps cos 270° = 0 . Il lavoro totale è la
somma dei lavori delle singole forze L =
∑i Li
.
Lavoro di una forza non costante: se la forza non si mantiene costante in modulo e
direzione per tutta la durata dello spostamento è necessario dividere il moto in tanti
r
piccoli spostamenti ∆si in modo tale che per ciascuno di essi la forza applicata sia costante. Il lavoro totale L si otterrà quindi come la somma dei lavori calcolati sui singoli
r
r
r
spostamenti ∆si : L = ∑ Li = ∑ F • ∆si .
i
La potenza P =
i
L
rappresenta il lavoro fatto nell’unità di tempo. Si misura in Watt
∆t
( W ) nel sistema SI ed in erg/s nel sistema CGS.
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Teorema della conservazione dell’energia: nell’esempio precedente, sfruttiamo
l’equazione oraria del moto uniformente accelerato. Poiché vale la relazione cinematica
a (xf − x i ) =
1
v
2 f
2
−
1
v
2 i
2
, moltiplicando per la massa M i due membri dell’uguaglianza
ed usando il Secondo Principio della Dinamica otteniamo:
r r
Ma (xf − x i ) = ∑ Fi • s ≡ L = 1 2 Mv f2 − 1 2 Mv i2 ⇒
i
dove abbiamo definito l’energia cinetica K come K =
1
2
L = Kf − K i
Mv 2 .
r
Il lavoro L delle forze che agiscono sul corpo durante lo spostamento s , è pari alla
differenza di valori che l’energia cinetica assume alla fine ed all’inizio dello spostamento. Possiamo quindi affermare che l’effetto (lavoro) dell’azione di forze applicate
ad un corpo che compie uno spostamento, si manifesta nella variazione dell’energia cinetica del corpo.
Proprietà (vedi figura): a) per una qualunque traiettoria, il lavoro fatto dalla forza du-
rante uno spostamento da un punto A ad un punto B lungo una traiettoria è uguale ma
di segno opposto al lavoro fatto durante lo spostamento inverso da B ad A lungo la
stessa traiettoria: LA(a→) B = −LB(a→) A ; b) il lavoro è additivo: LA(a→) B = LA(a→) C + LC(a→) B .
Forze conservative: consideriamo lo sposta-
mento raffigurato in figura dal punto A fino al
b
punto B lungo l’itinerario a e ritorno ad A lungo
r
l’itinerario b in presenza di una forza F . Se il
lavoro
della
forza
calcolato
lungo
tutto
l’itinerario è nullo LA(a→) B + LB(b→) A = 0 , e tale rimane anche cambiando uno dei due itinerari o
r
la posizione del punto B allora F è conservativa.
B
A
C
a
Fig. 13. Traiettorie e lavoro di una forza.
Energia potenziale: per una forza conservativa valgono le seguenti proprietà:
a) il lavoro NON dipende dall’itinerario che collega A a B, cioè LA(a→) B = LA(b→) B ;
b) dati i tre punti A, B e C dell’esempio precedente vale la seguente relazione:
∆U AB = ∆U AC + ∆UCB .
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c) si può definire l’energia potenziale in un qualunque punto dello spazio come una
funzione delle coordinate del punto U (x , y , z ) ;
d) l’espressione dell’energia potenziale dipende dalla forza;
e) se sono presenti più forze conservative, l’energia potenziale in un punto è la
somma delle energie potenziali di ogni singola forza;
f) il lavoro dipende solo dalla differenza dei valori dell’energia potenziale calcolata
nei punti A e B : LA(a→) B = U (A ) − U (B ) ≡ − ∆UBA
g) teorema della conservazione dell’energia meccanica K A + U (A) = K B + U (B )
In tabella sono riportati alcuni esempi di forze conservative.
U (h ) = Mgh
Forza peso
Forza gravitazionale
U (r ) = −G
M1 M2
r
U (x ) = 1 2 kx 2
Forza elastica
Forza di Coulomb
U (r ) =
q 1q 2
4πε 0 r
1
In presenza anche di forze non conservative il teorema della conservazione
dell’energia può essere riscritto sostituendo, per tutte le forze conservative,
l’espressione del lavoro con la differenza d’energia potenziale:
∆K = Ltot = ∆U + Lnc ovvero ∆K + ∆U = Lnc
dove U rappresenta la somma delle energie potenziali di tutte le forze conservative
presenti, mentre Lnc rappresenta il lavoro di tutte le forze non conservative. Se definiamo l’energia E come E = K + U l’espressione precedente diventa: E f − E i = Lnc .
Conseguenza: in assenza di forze non conservative l’energia E si conserva, E f = E i .
Energia cinetica, energia potenziale e lavoro si misurano in Joule ( J ) nel sistema SI
ed in erg nel sistema CGS. Vedremo nella parte dedicata alla termodinamica come
l’energia trasformata in lavoro delle forze d’attrito non sia perduta, ma semplicemente trasformata in altra forma (Calore).
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Esempi
1. Calcolare il lavoro della forza centripeta nel moto circolare uniforme.
Soluzione: bisogna spezzare il moto in modo che, per ogni singola parte, il movimento lungo
l’arco di circonferenza possa essere approssimato con il segmento tangente di pari lunghezza
e la forza sia costante in direzione oltre che in modulo. In questo modo si vede subito che,
r
r
poiché ϑ = 90° , il lavoro ∆L = FC • ∆s = FC ∆s cos ϑ è nullo.
2. Una molla di costante k = 3 N/m è posta in verticale ed al suo estremo è sospesa una
massa M = 30 g . La molla è inizialmente a riposo ( x i = 0 ) e la massa viene lasciata libera di
cadere con velocità iniziale v i = 0 . Calcolare il massimo allungamento della molla.
Soluzione: poiché siamo in presenza di forze conservative (forza peso e forza elastica della
molla) è sufficiente calcolare l’energia del sistema E pari alla somma dell’energia cinetica e
delle energie potenziali E = 1 2 Mv 2 + Mgh + 1 2 kx 2 , imporre che E rimanga costante
E f = E i ed osservare che il massimo allungamento della molla corrisponderà a v f = 0 .
U molla
istante iniziale
1
istante finale
1
U peso
K
2
kx i2
Mghi
1
2
kx f2
Mghf
1
2
Mv i2
2
Mv f2
Avremo quindi 1 2 Mv f2 + Mghf + 1 2 kx f2 = 1 2 Mv i2 + Mghi + 1 2 kx i2 da cui imponendo le condizioni iniziali x i = 0 , v i = 0 ed v f = 0 si ricava Mg hf − hi + 1 kx f2 .
2
(
)
A questo punto è necessario osservare che la differenza di altezza del peso hf − hi è pari al
massimo allungamento della molla x f e l’equazione avrà come soluzione non nulla:
xf =
2Mg
k
=
2 × 30 • 10 −3 kg × 9.8 m/s 2
= 0.196 m .
3 N/m
3. Un corpo di massa M = 1 kg si muove lungo un piano orizzontale con velocità iniziale
v 0 = 100 cm / s . A causa dell’attrito dinamico il corpo percorre uno spazio s = 10 cm prima di
fermarsi. Calcolare il coefficiente di attrito dinamico µ d .
Soluzione: il corpo subisce una variazione d’energia cinetica e questa è pari al lavoro fatto dalle forze d’attrito. Quindi:
(100 • 10 −2 m/s )
v2
⇒ − 1 2 Mv = − µ d Mgs ⇒ µ d =
=
= 0.51
2 gs 2 × 9.8 m/s 2 × 10 • 10 −2 m
2
Kf − K i = Lattrito
2
0
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I Sistemi di Punti
Finora abbiamo visto il comportamento di un singolo corpo in presenza di forze. Vediamo ora cosa succede quando consideriamo più corpi in movimento e soggetti a forze. Ovviamente vedremo il caso semplice del moto unidimensionale di due corpi di massa M1 e M2 . Il moto di ogni singolo corpo è definito, come abbiamo già visto, non appena siano in grado di descrivere la posizione x , la velocità v e l’accelerazione a in ogni
istante di tempo. E’ opportuno a questo punto introdurre delle variabili che permettano di descrivere alcune proprietà comuni al moto dei due corpi. Iniziamo col definire la coordinata del Centro di Massa ( CM ) che si ottiene dalla media pesata delle
coordinate dei singoli corpi:
x CM =
M1
M1 + M2
x1 +
M2
x
M1 + M2 2
x CM è la coordinata di un punto che si trova sulla linea che congiunge i due corpi. La
posizione è determinata dal valore delle due masse: il punto CM si troverà più vicino al
corpo di massa maggiore e nel caso particolare in cui le due masse sono uguali si troverà esattamente a metà strada. Allo stesso modo potremo definire la velocità v CM e
l’accelerazione aCM del centro di massa come:
M2
v
M1 + M2
M1 + M2 2
M2
M1
=
a
a1 +
M1 + M2 2
M1 + M2
v CM =
aCM
M1
v1 +
In particolare l’espressione dell’accelerazione è molto utile, perché adesso la possiamo
mettere in relazione con le forze che agiscono sui due corpi sostituendo al prodotto
Mi ai la risultante di tutte le forze agenti:
aCM =
∑i Fi
(1 )
M1 + M2
+
∑j Fj
( 2)
M1 + M2
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L’espressione può ancora essere riscritta come
∑i Fi
(1 )
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+ ∑ Fj (2) = (M1 + M2 )aCM dove è
j
possibile semplificare la somma delle forze agenti applicando il Terzo Principio della
Dinamica: se il corpo
esercita una forza sul corpo
, questi eserciterà sul corpo
una forza uguale in intensità e direzione ma opposta in verso. Quindi al momento di
effettuare la somma
∑i Fi
(1)
+ ∑ Fj (2) dovremo ricordarci che le forze esercitate tra i
j
due corpi danno contributo totale uguale a zero e nelle due somme sopravvivranno solo
le forze esercitate dall’esterno. Questo si traduce nella nuova scrittura:
∑i Fi est
(
)
= (M1 + M2 )aCM
L’espressione afferma che, indipendentemente dal moto individuale delle due masse, la
coordinata del Centro di Massa si muove con un’accelerazione dovuta solo alle forze
esterne al sistema. Se per esempio la risultante delle forze esterne lungo una direzione x qualsiasi è nulla allora anche la componente x di aCM risulterà essere uguale a
zero e di conseguenza il moto del Centro di Massa lungo quella direzione sarà rettilineo uniforme.
Conservazione della quantità di moto: questa proprietà ha una conseguenza diretta
sulla velocità dei corpi, infatti poiché vale la relazione v CM =
M1
M1 + M2
v1 +
M2
v si
M1 + M2 2
avrà che la somma M1v 1 + M2v 2 = (M1 + M2 )v CM risulterà costante quando la risultante
delle forze esterne è nulla. La quantità Mv prende il nome di Quantità di Moto.
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Gli Urti
Caso particolare di interazione di durata molto breve tra due corpi in presenza di forze interne molto grandi per cui le forze esterne quali per esempio forza peso ed attrito possono essere trascurate e possiamo considerare
∑ Fest
= 0 . Per semplicità
tratteremo il problema in una sola dimensione. In un urto possiamo individuare un
“prima” quando i due corpi si muovono senza esercitarsi vicendevolmente nessuna forza, un “durante” quando i due corpi “interagiscono” tra di loro per la presenza di forze
interne ed un “dopo” quando l’azione delle forze termina ed i due corpi tornano a muoversi indisturbati. Potremo inoltre avere un urto “elastico” quando l’energia cinetica
del sistema si conserva, oppure un urto “completamente anelastico” quando i due corpi
si muovono dopo l’urto con pari velocità nella stessa direzione.
Prima e dopo l’urto, per quanto abbiamo visto nel capitolo precedente, la quantità di
moto rimane costante (le forze esterne hanno risultante nulla):
M1v 1i + M2v 2i = M1v 1f + M2v 2f
Urto elastico: l’energia cinetica iniziale e finale sono uguali, quindi:
M v + M v = M v + M v
2 2i
1 1f
2 2f
 1 1i

 1 M1v 12i + 1 M2v 22i = 1 M1v 12f +
2
2
 2
1
2
M2v 22f
Urto completamente anelastico: la velocità finale dei due corpi è la stessa e pertanto
uguale alla velocità del centro di massa v 1f = v 2f ≡ v CM , quindi:
M1v 1i + M2v 2i = (M1 + M2 )v CM
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Esempi
1. Un proiettile di massa Mp = 20 g si muove lungo l’asse x con velocità v p = 200 m/s e si
conficca in un blocco di legno di massa MB = 500 g libero di scorrere senza attriti lungo
l’asse x . Si calcoli la velocità con cui il sistema “blocco + proiettile” si muove dopo l’urto e
l’energia cinetica persa nell’urto.
Soluzione: l’urto è completamente anelastico pertanto si deve applicare l’equazione
Mpv p + MBv B = Mp + MB v f da cui
(
vf =
)
Mpv p + MBv B
Mp + MB
=
20 • 10 −3 kg × 200 m/s + 0
= 7.69 m/s
20 • 10 −3 kg + 500 • 10 −3 kg
L’energia iniziale e finale del sistema valgono rispettivamente
Ki =
1
1
1
2
Mpv p2 + MBv B2 = × 20 • 10 −3 kg × (200 m/s ) + 0 = 400 J e
2
2
2
Kf =
1
1
1
2
Mpv f2 + MBv f2 = × (20 • 10 −3 kg + 0.5 kg ) × (7.69 m/s ) = 15.4 J da cui
2
2
2
∆K = 15.4 J − 400 J = −384.6 J
2. Immaginando che il blocco di legno sia soggetto ad una forza d’attrito dinamico con coefficiente µ d = 0.4 , si calcoli la massima distanza raggiunta dal sistema “blocco + proiettile” dopo l’urto.
Soluzione: dobbiamo immaginare che la forza d’attrito inizi ad agire dopo che l’urto è avvenuto, e successivamente per il teorema della conservazione dell’energia, calcolando l’energia
cinetica K I con la velocità v f ottenuta dall’esempio precedente, imponiamo:
fd s cos π = 0 − 1 2 (MP + MB )v f2 e tenuto conto che fd = µ d (Mp + MB )g si
1 (M + M )v 2
v2
(7.69 m/s )2
P
B f
= f
=
= 7.54 m
ricava s = 2
µ d (MP + MB )g 2µ d g 2 × 0.4 × 9.8 m/s 2
L = KF − KI
⇒
3. Un cannone di massa M1 = 10 3 kg libero di scorrere senza attriti lungo l’asse x spara o-
rizzontalmente una palla di massa M2 = 10 2 kg con una velocità v 2 = 100 m/s . Calcolare il
modulo e la direzione della velocità finale del cannone.
Soluzione: poichè il sistema è soggetto solo a forze interne la quantità di moto si conserva:
0 = M1v 1 + M2v 2
⇒ v1 = −
10 2 kg × 100 m/s
M2v 2
=−
= −10 m/s
M1
10 3 kg
quindi il cannone si muove in direzione opposta alla palla con velocità v 1 = 10 m/s .
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4. Una bilia di massa M1 = 20 m si muove lungo l’asse x con velocità v 0 = 3 m/s ed urta e-
lasticamente una seconda bilia di massa M2 = 40 g ed inizialmente ferma. Calcolare la velo-
cità finale delle due bilie nell’ipotesi che entrambe si muovano lungo l’asse x .
Soluzione: bisogna applicare le equazioni dell’urto elastico ricordando che la velocità iniziale
della seconda bilia è zero.
M2

v 0 = v 1 + M v 2 = v 1 + kv 2
1
⇒ 
M2 2
2
2
1 Mv2
v 0 = v 1 +
v = v 12 + kv 22
2 2 2

M1 2
Il sistema di equazioni ha come soluzione:
M v = M v + M v
1 1
2 2
 1 0

 1 M1v 02 = 1 M1v 12 +
 2
2
v1 =
20 g − 40 g
M1 − M2
v0 =
× 3 m/s = −1 m/s
M1 + M2
20 g + 40 g
v2 =
2 × 20 g
2M1
v0 =
× 3 m/s = 2 m/s
M1 + M2
20 g + 40 g
⇒
v 1 = v 0 − kv 2


v 02 = (v 0 − kv 2 )2 + kv 22
il valore negativo di v 1 significa che la bilia M1 si muove nella direzione opposta a quella iniziale.
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La Statica dei Fluidi
Un fluido non possiede forma propria ma si adatta a quella del contenitore che lo contiene. Può essere nella fase liquida (es. acqua) o gassosa (es. un gas). Anche se non
possiede una forma propria, una massa M di fluido possiede un volume V . Inoltre se,
a parità di condizioni, consideriamo una massa 2M dello stesso fluido, questa occuperà un volume 2V .
La densità del fluido è definita come il rapporto ρ = MV . Si misura in kg/m 3 oppure
g / cm3 ( 1 g/cm 3 = 10 3 kg/m 3 ). Per la proprietà precedentemente vista, la densità di un
fluido, a parità di condizioni, è costante indipendentemente dal valore della massa
considerata.
Altra caratteristica del fluido è di esercitare la forza nella direzione perpendicolare
ad una qualunque superficie toccata dallo stesso. Esempi:
a) l’acqua contenuta in una bottiglia esercita una forza verso l’esterno normale alla parete della stessa;
b) l’acqua del mare esercita sui pesci una forza diretta verso l’interno del corpo;
c) l‘aria esercita su di noi una forza diretta verso l’interno del nostro corpo.
La pressione è definita come il rapporto p = F⊥ S tra la componente della forza ortogonale alla superficie e la superficie su cui la forza è applicata. La pressione è quindi
una grandezza scalare che ci dice quale può essere la forza esercitata dal fluido su
una superficie (anche immaginaria in mezzo al fluido!) con cui si trova in contatto. Può
variare da punto a punto. Nel sistema SI si misura in Pascal ( 1 Pa = 1 N/m 2 ). Altre unità di misura utilizzate nella pratica sono l’atmosfera ( atm ), il bar con il sottomultiplo
millibar
( mbar ) ed il torr. Sono legate tra loro dalla seguente relazione:
1 atm = 760 torr = 1013 mbar = 1.013 • 10 5 Pa .
24
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Secondo il principio di Pascal se in un punto di un fluido la pressione p è variata per
qualunque motivo di una quantità ∆p , questa variazione si trasmette in ogni altro punto del fluido: p1 → p1 + ∆p
⇒
p2 → p2 + ∆p
Secondo la legge di Stevino la pressione in un fluido dipende dalla profondità a cui
viene misurata: p2 = p1 + ρg (h1 − h2 ) ovvero se due punti si trovano a diversa altezza
nel fluido la pressione sarà maggiore nel punto di profondità maggiore, inoltre in due
punti che si trovano alla stessa altezza nel fluido la pressione è la stessa. Questa equazione ci dice che una delle cause della pressione è la forza peso esercitata dagli
strati di fluidi sovrastanti il volume interessato. La legge di Stevino se scritta nella
forma p2 + ρgh2 = p1 + ρgh1 = costante assume un significato profondo. Moltiplicando
il termine p + ρgh per il volume V pari ad una massa m = ρV di fluido, si ottiene
l’espressione pV + mgh dove pV rappresenta il lavoro necessario per liberare il volume nel fluido pre-esistente mentre mgh rappresenta l’energia potenziale.
Secondo il principio di Archimede un corpo di volume V immerso in un fluido di densità ρ è soggetto ad una forza da parte del fluido diretta verso l’alto e d’intensità
pari al peso del volume Vim di fluido spostato FA = ρVim g . Se il corpo galleggia avremo
Vim < V mentre se è completamente immerso V e Vim coincidono.
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M.T., M.T.T.
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Esempi
1. Calcolare la pressione in una piscina piena d’acqua ( ρ = 10 3 kg/m 3 ) alla profondità di 2 m .
Soluzione: non appena conosciamo il valore della pressione in un punto 1 della piscina, potremo
applicare la legge di Stevino. Questo punto è la superficie dove l’acqua è in contatto con l’aria
(altro fluido). Quindi sulla superficie la pressione è pari alla pressione atmosferica
p0 = 1023 mbar = 1.023 • 10 5 Pa . A due metri di profondità la pressione è di conseguenza
p = p0 + ρg (h1 − h2 ) = 1.023 • 10 5 Pa + 10 3 kg/m 3 × 9.8 m/s 2 × (0 + 2 m) = 1.22 • 10 5 Pa
(si noti che ogni 10 metri di profondità la pressione nell’acqua aumenta di 1 atmosfera).
2. Calcolare la differenza di pressione tra pA nel volume in figura e quella atmosferica sapendo che l’altezza della colonna di
acqua è h = 10 cm e che l’estremità superiore del tubo è aperta.
Soluzione: non appena conosciamo il valore della pressione in un
punto
della colonna d’acqua, potremo applicare la legge di
Stevino. Questo punto è la superficie dove l’acqua è in contatto
con l’atmosfera per cui p1 = p0 . Quindi
1
p0
h
pA
2
pA + ρgh2 = p0 + ρgh1
pA − p0 = ρgh = 10 3 kg/m 3 × 9.8 m/s 2 × 0.1 m = 908 Pa
Fig. 14. Problema 2.
3. Descrivere il funzionamento del barometro di Torricelli.
Soluzione: il barometro di Torricelli è costituito da un tubo di
1
vetro di altezza superiore ad 1 metro, riempito di mercurio e
posto in verticale in una vasca colma di mercurio e con
h
p0
l’estremità superiore sigillata in modo che non ci sia contatto
diretto tra il mercurio contenuto nel tubo e l’atmosfera. Per
conoscere l’altezza cui si dispone il livello del mercurio nel tu2
bo, è necessario applicare la legge di Stevino fra i due punti
e
dove la pressione del liquido è nota. Il punto
è la superficie dove il mercurio è in contatto con i vapori di mercurio (altro fluido) dove la pressione è pari alla tensione di vapore e
Fig. 15. Problema 3.
pertanto talmente piccola da poter essere trascurata
( p1 = 0 Pa ) mentre il punto
è quello in contatto con l’aria (altro fluido) e pertanto la pressione è pari a quella atmosferica ( p2 = p0 ). Pertanto:
p2 = p1 + ρ Hg g (h1 − h2 )
1.023 • 10 5 Pa − 0 Pa
p2 − p1
da cui h =
=
= 0.768 m
ρ Hg g
1.36 • 10 4 kg/m 3 × 9.8 m/s 2
26
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4. Descrivere il comportamento del barometro di Torricelli quando si trova in un contenitore
sigillato in cui viene fatto il vuoto.
Soluzione: poiché la pressione sulla superficie libera del mercurio (fuori dal tubo) adesso è
nulla ( p2 = 0 ) il livello del mercurio all’interno del tubo scenderà allo stesso livello del mercurio nella vaschetta.
5. Spiegare il significato del prodotto pV per un fluido incomprimibile (densità costante).
Soluzione: dimostriamo che pV rappresenta il lavoro necessario
per svuotare il volume V . Consideriamo per semplicità un fluido a
pressione p posto all’interno di un volume V di forma cubica.
r
F
Immaginiamo inoltre che allo scorrere della superficie S il fluido
possa fuoriuscire attraverso la superficie opposta mantenendo
costante la pressione idrostatica p . Per svuotare il volume V dal
p
fluido è necessario, quindi, esercitare sulla superficie S una for-
S
l
r
za F tale da annullare l’effetto pS della pressione ( F = pS ) e
fare in modo che la parete S possa scorrere per il tratto l fino
r
a raggiungere la parete opposta. Il lavoro compiuto dalla forza F
è quindi pari a L = Fl = pSl = pV .
Fig. 16. Problema 5.
6. Calcolare la pressione a 20 cm dal tappo in una bottiglia sigillata e colma d’acqua.
Soluzione: non appena conosciamo il valore della pressione in un punto
della bottiglia, potremo applicare la legge di Stevino. Questo punto è la superficie dove l’acqua è in contatto con
il vapore d’acqua (altro fluido) dove la pressione è pari alla tensione di vapore. In questo caso,
poiché l’acqua ha una temperatura lontana dal suo punto di ebollizione la tensione di vapore
talmente piccola da poter essere trascurata: p1 = 0 Pa . Ad una profondità di 20 cm la pressione è quindi
p = p1 + ρg (h1 − h2 ) = 0 + 10 3 kg/m 3 × 9.8 m/s 2 × 0.2 m = 1.96 • 10 3 Pa
7. Dimostrare il principio di Archimede.
Soluzione: consideriamo un contenitore riempito con un fluido di densità ρ , ed un volumetto
V di fluido posto ad una qualunque profondità nel contenitore. Poiché il sistema è in equilibrio
e pertanto il volumetto non si muove, occorre che ci sia una forza FA rivolta verso l’alto che
annulli la forza peso P del volumetto, quindi FA − Mg = 0 da cui FA = ρVg . La forza FA è
esercitata dal resto del fluido sul volumetto V e non dipende da cosa c’è in V , pertanto sostituendo nel volume V un altro corpo questi subirà la stessa spinta verso l’alto.
27
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8. Sapendo che un blocco di ghiaccio immerso in acqua galleggia e che la frazione del volume
che rimane immersa è 2 , calcolare la densità del ghiaccio ρ gh .
3
Soluzione: posto V il volume del blocco di ghiaccio, l’equilibrio delle forze a cui è soggetto si
può scrivere come la somma vettoriale della forza peso e della spinta di Archimede generata
r
r
dalla parte di ghiaccio immersa nell’acqua P + FA = 0 da cui
ρVim g − ρ ghVg = 0
⇒
ρ gh = ρ
Vim
2
= 1 g/cm 3 × = 0.67 g/cm 3
V
3
9. In quali condizioni un corpo immerso in un fluido di densità ρf galleggia?
Soluzione: per poter galleggiare occorre che la risultante delle forze che agiscono sul corpo
r
r
sia positiva, cioè P + FA ≥ 0 . Posti V e ρ rispettivamente il volume e la densità del corpo,
occorre osservare che la massima intensità della spinta di Archimede si ha quando il corpo è
completamento immerso ovvero quando Vim = V , quindi ρfVg − ρVg ≥ 0 . Questa condizione è
soddisfatta se la densità del corpo è minore della densità del fluido in cui è immerso ρ < ρf .
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La Dinamica dei Fluidi Ideali
Un fluido ideale in movimento può essere immaginato costituito da tante lamine sottili
in grado di scorrere l’una sull’altra senza attrito. Il movimento del fluido è sempre parallelo alla superficie delle lamine. Esempi:
- in un fiume il movimento dell’acqua, supposta un fluido ideale, può essere scomposto
nello scorrimento di tante lamine orizzontali sovrapposte che si muovono parallele al
letto del fiume;
- in un condotto di sezione cilindrica il movimento può essere scomposto in tante lamine circolari concentriche con raggio crescente a partire dall’asse centrale del condotto che si muovono parallele all’asse del condotto.
Il movimento è descritto da due equazioni che devono essere soddisfatte contemporaneamente.
L’equazione di continuità stabilisce che la quantità di fluido che attraversa nell’unità
di tempo una qualunque sezione del condotto (portata), è costante (il fluido non si perde per strada!). Può essere scritta in due forme:
portata volumetrica:
Q = Sv = costante
nel sistema SI si misura in m3 /s
portata massica:
Qm = ρSv = costante
nel sistema SI si misura in kg/s
L’equazione di Bernoulli: p +
1
ρv 2 + ρgh = costante
2
fissa il valore della pressione, della velocità e dell’altezza di una qualunque parte del
fluido in movimento. Si ricava direttamente dalla conservazione dell’energia.
In conseguenza all’equazione di Bernoulli, la pressione idrostatica p di un fluido può
essere diversa secondo lo stato di quiete o di moto del fluido. Si rimanda agli esempi
riportati di seguito.
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Esempi
1. Calcolare la velocità v con cui l’acqua inizia ad uscire dal
foro di scarico di una vasca da bagno dove il livello iniziale
dell’acqua è h = 30 cm .
2
Soluzione: dobbiamo applicare l’equazione di Bernoulli sul punto
dello scarico ed in un altro punto
della vasca dove conoin questione è il lisciamo il valore per p , v e h . Il punto
h
vello superiore dell’acqua dove p2 = p0 , h2 = h e v 2 = 0 perché non appena l’acqua inizia a defluire dal fondo, quella posta
sulla superficie è ancora praticamente ferma. Al punto
vale
invece h1 = 0 , v 2 = v e p1 = p0 perché la superficie del fronte d’acqua che sta uscendo dallo scarico si trova in diretto contatto con l’atmosfera. Quindi:
1
Fig. 17. Problema 1.
1
1
ρv 12 + ρgh1 = p2 + ρv 22 + ρgh2
2
2
1
2
p0 + ρv = p0 + ρgh ⇒ v = 2 gh = 2 × 9.8 m/s 2 × 30 • 10 −2 m = 2.425 m/s
2
p1 +
2. Spiegare qualitativamente perché la sezione del filo d’acqua che fluisce da un rubinetto
diminuisce con l’aumentare della distanza dal rubinetto.
Soluzione: l’acqua nella caduta aumenta la propria velocità secondo l’equazione di Bernoulli
1
1
ρv 12 + ρgh1 = ρv 22 + ρgh2 essendo la pressione uguale in tutti i punti a quella atmosferica.
2
2
Deve inoltre valere l’equazione di continuità Sv = costante per cui i punti dove la velocità è
maggiore sono i punti in cui la sezione sarà minore.
3. Spiegare qualitativamente cosa succede quando in un’arteria è presente un aneurisma.
Soluzione: in presenza di un aneurisma la sezione dell’arteria S2 è maggiore di quella naturale
S1 e dovendosi conservare la portata dell’arteria, la velocità v 2 sarà minore di quella naturale
S
v 1 (v 2 = 1 v 1 ). Supponiamo per semplicità che l’arteria sia orizzontale. In queste condizioni la
S2
pressione sanguigna p2 all’altezza dell’aneurisma sarà maggiore di quella naturale p1 in accordo all’equazione di Bernoulli
1
1
ρv 12 + p1 = ρv 22 + p2 .
2
2
30
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4. Spiegare qualitativamente cosa succede quando in un’arteria è presente una stenosi.
Soluzione: in presenza di un stenosi la sezione dell’arteria S2 è minore di quella naturale S1 e
con un procedimento simile a quello seguito nell’esempio precedente si può dimostrare che la
pressione sanguigna p2 all’altezza della stenosi sarà minore di quella naturale p1 .
5. Due punti di un tubo orizzontale che trasporta acqua hanno diverse sezioni, con raggio
R1 = 1.2 cm e R2 = 0.5 cm , mentre la differenza di pressione tra di loro è pari a un dislivello
di h = 5.0 cm d’acqua. Calcolare:
a) le velocità dell’acqua v 1 e v 2 ;
b) la portata del tubo.
Soluzione: la prima relazione che possiamo ricavare dalle
condizioni iniziali è quella fra le due pressioni e la differenza
d’altezza nei tubi verticali: p1 − p2 = ρgh .
I punti
e
si trovano sull’asse del tubo per cui hanno la
stessa altezza h1 = h2 . Questo semplifica l’equazione di Bernoulli che diventa p1 +
1
1
ρv 12 = p2 + ρv 22 . Poiché le in2
2
h
Si tratta ora di risolvere il sistema:
S2
S1
1
cognite sono due (v 1 ,v 2 ) è necessario trovare un’ulteriore
condizione che è data semplicemente dall’equazione di continuità S1v 1 = S2v 2 essendo note le due sezioni del tubo.
2
Fig. 18. Problema 3.

S1v 1 − S2v 2 = 0


1
1

2
2
 p1 − p2 + 2 ρv 1 − 2 ρv 2 = 0

2
v = S1 v = R1 v
 2 S2
R22 1
⇒

2
2


1
1 R
 ρgh + ρv 12 − ρ  12 v 1  = 0
2
2  R2 


2

 R1 
 v1
v 2 = 


 R2 

−1

 R  4
 2
v = 2 gh  1  − 1
1
 R2 


−1

 1.2  4
 2
−
2
2
v = 2 × 9.8 m/s × 5 • 10 m × 
= 0.17 m/s
 − 1
1

con soluzione 
 0.5 
2

 1.2 
=
v
 2  0.5  × 0.17 m/s = 1.0 m/s



La portata è data semplicemente da
Q = S2v 2 = πR22v 2 = 3.14 × (0.5 • 10 −2 m) × 1.0 m/s = 7.85 • 10 −5 m3 /s
2
Si noti che in assenza di movimento del fluido la pressione idrostatica sarebbe costante:
p1 = p2 .
31
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Dinamica dei fluidi reali I
A differenza del caso ideale, nel fluido reale in movimento (in regime laminare) le lamine sottili, di cui possiamo ancora immaginare essere costituito, non sono più in grado
di scorrere l’una sull’altra senza attrito. Anche in questo caso il movimento del fluido è
sempre parallelo alla superficie delle lamine ma stavolta, proprio a causa della presenza dell’attrito nel movimento sarà speso del lavoro. L’intensità di queste forze
d’attrito può essere espressa secondo la seguente espressione: F = η
è la superficie di contatto fra due lamine contigue,
dv
∆S dove ∆S
dy
dv
il gradiente di velocità fra le
dy
due lamine ed infine η la viscosità del fluido. La viscosità viene misurata in Pa • s nel
SI oppure in poise ( P ) nel sistema CGS ( 1 Pa • s = 10 P ).
Esempio: in un condotto di sezione cilindrica il movimento può essere scomposto in
tante lamine circolari concentriche con raggio crescente a partire dall’asse centrale
del condotto che si muovono parallele all’asse del condotto. A causa della maggiore superficie di contatto la forza d’attrito sarà maggiore verso le pareti del condotto quindi la velocità crescerà verso il centro del condotto.
Legge di Hagen-Poiseuille: per mantenere in movimento un fluido reale con portata Q
costante, è necessario fare un lavoro, occorre cioè mantenere una differenza di pressione fra i punti d’ingresso e d’uscita. Nel caso di un condotto di raggio costante R e
lunghezza l
la portata del condotto è legata alla differenza di pressione
dall’equazione: Q =
π R4
∆p . Si definisce inoltre perdita di carico di un condotto la
8 ηl
variazione di pressione per unità di lunghezza del condotto
sistenza
R
del condotto è data da
R=
8ηl
πR 4
∆p
l
=
8ηQ
πR 4
, mentre la re-
pertanto l’espressione diventa
∆p = RQ . Si noti l’analogia con la legge di Ohm dell’Elettromagnetismo.
32
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Per stabilire se un fluido reale in movimento possa essere considerato in regime laminare occorre calcolare il numero di Reynolds NR =
2 ρv R
η
dove v =
Q
è la velocità
πR 2
media nel condotto, e verificare che sia NR < 1000 . Per valori maggiori a 3000 il moto
è sicuramente turbolento mentre per valori intermedi il regime è instabile.
33
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Esempi
1. Un fluido di densità ρ = 1.0 g/cm 3 e viscosità η = 0.1 P
h
scorre in un condotto di raggio costante R = 1 cm . Calcolare la
portata sapendo che la differenza di altezza tra le due colonne
poste ad una distanza l = 30 cm è h = 3 cm .
p1
Soluzione: dobbiamo applicare l’equazione di Hagen-Poiseuille
poichè Bernoulli non vale più, sapendo inoltre che la differenza
di pressione fra i due punti vale: ∆p = p1 − p2 = ρgh .
p2
Fig. 19. Problema 1.
(1 cm)
π R4
π
Q=
∆p =
1.0g/cm 3 × 9.8 • 10 2 cm/s 2 × 3 cm = 384.8 cm3 /s = 0.38litri/s
8 ηl
8 0,1 P × 30 cm
4
2. Calcolare la perdita di carico e la caduta di pressione nell’aorta sapendo che il raggio è
R = 9 mm , la lunghezza L = 30 cm e la portata volumetrica Q = 83 cm3/s . Viscosità del sangue a 37° η = 2.08 • 10 −2 P .
Soluzione: applichiamo la definizione di
∆p
l
=
8ηQ
πR
4
=
∆p
l
passando al sistema SI:
8 × 2.08 • 10 −3 Pa • s × 83 • 10 −6 m3 /s
π × (9 • 10 m)
4
−3
= 67 N/m 3 ;
la caduta di pressione è data da ∆p = 67 N/m 3 × 30 • 10 −2 m = 20.1 Pa
3. Calcolare la perdita di carico e la caduta di pressione in un capillare di raggio R = 20 µm , e
lunghezza L = 1 cm e portata volumetrica Q = 4.1 • 10 −7 cm3/s . Confrontare infine con il risultato dell’esercizio precedente. Viscosità del sangue a 37° η = 2.08 • 10 −2 P .
Soluzione: applichiamo la definizione di
∆p
l
=
8ηQ
πR
4
=
∆p
l
passando al sistema SI:
8 × 2.08 • 10 −3 Pa • s × 4.1 • 10 −13 m3 /s
π × (20 • 10 m)
−6
4
= 1.35 • 10 4 N/m 3 ;
la caduta di pressione è data da ∆p = 1.35 • 10 4 N/m 3 × 1 • 10 −2 m = 1.35 • 10 2 Pa .
Nel capillare la caduta di pressione è
1.35 • 10 4 N/m 3
= 200 volte quella nell’aorta.
67 N/m 3
34
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4. Calcolare il numero di Reynolds per il sangue che scorre con velocità media v = 10 cm/s in
un’arteria di raggio R = 2 mm . Densità del sangue a 37° ρ = 1.05 g/cm 3 e viscosità
η = 2.08 • 10 −2 P
Soluzione: è sufficiente applicare la definizione di NR
NR =
2 ρv R
η
=
2 × 1.05 g/cm 3 × 10 cm/s × 0.2 cm
≈ 200
2.08 • 10 −2 P
con flusso laminare.
5. Calcolare il numero di Reynolds nell’ipotesi che nell’arteria dell’esercizio precedente sia
presente una stenosi che riduca il raggio dell’arteria a R '= 0.3 mm .
Soluzione: occorre anzitutto ricalcolare la velocità media del sangue nell’ipotesi che la portata
dell’arteria sia costante:
2
2
 2 mm 
R 
 × 10 cm/s = 4.4 • 10 2 cm/s
v 'πR ' = v πR ⇒ v '=   v = 

R
'
0
.
3
mm
 


2
2
è quindi applicare la definizione di NR
NR =
2 ρv 'R '
η
=
2 × 1.05 g/cm 3 × 4.4 • 10 2 cm/s × 0.03 cm
≈ 1300
2.08 • 10 −2 P
con flusso prossimo ad essere turbolento.
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Dinamica dei fluidi reali II
Vediamo ora l’effetto della viscosità sul moto di un corpo all’interno del fluido reale.
La forza di Stokes è la forza che il fluido reale oppone ad un corpo in movimento con
velocità v . Nel caso in cui il corpo abbia forma sferica con raggio r vale: FS = 6πrηv .
Questa relazione è valida solo se il movimento non crea turbolenze nel fluido ovvero
che il numero di Reynolds N R =
ρvr
sia minore di 0.2. Se NR > 1000 il moto è sicuη
ramente turbolento e FS ∝ v 2 , mentre per valori intermedi il regime è instabile.
Conseguenza diretta è la sedimentazione. Immaginiamo dei corpuscoli di forma sferica
di densità ρ in sospensione in un liquido di densità ρ' . Le forze cui sono soggetti sono
inizialmente forza peso e spinta di Archimede la cui somma, se rivolta verso il basso,
genera un moto accelerato che porta il corpuscolo a scendere verso il fondo. A causa
dell’aumento della velocità la forza di Stokes, inizialmente nulla, cresce d’intensità fino ad equilibrare le prime due. A questo punto la risultante delle forze è nulla e la velocità del corpuscolo raggiunge il valore limite fissato dalla condizione:
r
∑F
=0
⇒
P − FA − Fs = 0
⇒
ρVg − ρ ′Vg − 6πrηv s = 0
⇒
vs =
V ( ρ − ρ ′)g
.
6πηr
Lo stesso principio può essere usato per la centrifuga. Immaginiamo dei corpuscoli di
forma sferica in sospensione in un liquido posto in una provetta in rotazione intorno ad
un asse verticale con velocità angolare ω . In questo caso, trascurando la forza peso,
si può dimostrare che il corpuscolo in sospensione ad una distanza R dall’asse di rotazione è soggetto ad una forza centripeta FC = ρ ′Vω 2R ed applicando il Primo Principio
della Dinamica si ottiene:
FC + Fs = Mω 2R
⇒
ρ ′Vω 2R + 6πrηv s = ρVω 2R
⇒
vs =
V ( ρ − ρ ′)ω 2R
6πrη
espressione simile a quella per la velocità di sedimentazione dove al posto di g è stata
sostituita l’accelerazione centripeta ω 2R .
36
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Esempi
1. Approssimando un globulo rosso ad una sferetta di raggio r = 2 • 10 −4 cm e densità
ρ = 1.3 • 10 3 kg/m 3 , determinare il tempo necessario affinché si abbia un sedimento di 1 mm
nel plasma ( ρ 0 = 1.0 • 10 3 kg/m 3 ) alla temperatura T = 37 °C (coefficiente di viscosità
η = 1.26 • 10 −3 Pa • s ): a) nel campo gravitazionale, b) in una centrifuga in cui l’accelerazione è
a = 13 • 10 5 g .
Soluzione: lo spessore s del sedimento è funzione della velocità di sedimentazione v s e del
V ( ρ − ρ ′)g
per cui:
tempo t secondo la formula s = v st . Nel caso a) avremo v s =
6πηr
t =
s
=
4
vs
3
6πηrs
πr 3 (ρ − ρ 0 )g
=
9 × 1.26 • 10 −3 Pa • s × 10 −3 m
= 482 s ,
2 × 4 • 10 −12 cm × (1.3 • 10 3 kg/m 3 − 1.0 • 10 3 kg/m 3 ) × 9.8 m/s 2
mentre nel caso b) avremo v s =
t =
6πηrs
4 3
πr (ρ − ρ 0 )a
3
=
V ( ρ − ρ ′)ω 2R V ( ρ − ρ ′)a
=
da cui
6πrη
6πrη
9 × 1.26 • 10 −3 Pa • s × 10 −3 m
= 1.6 • 10 −3 s
2 × 4 • 10 −12 cm × (1.3 • 10 3 kg/m 3 − 1.0 • 10 3 kg/m 3 ) × 3 • 10 5 × 9.8 m/s 2
2. Una sfera d’alluminio di densità ρ = 2.7 • 10 3 kg/m 3 cade in un recipiente contenente olio
( ρ 0 = 1.0 • 10 3 kg/m 3
lubrificante
e
η = 0.6 Pa • s ) raggiungendo la velocità limite
v = 12 cm/s . Determinare il raggio r della sfera ed il numero di Reynolds.
Soluzione: la velocità limite della sfera è data dell’espressione v s =
legato al raggio della sfera da V =
r =
9ηv s
=
2( ρ − ρ ′)g
V ( ρ − ρ ′)g
, il volume è
6πηr
4 3
πr , per cui il raggio della sfera vale
3
9 × 0.6Pa • s × 0.12 m/s
= 4.4 • 10 −3 m
3
3
3
2
2 × (2.7 • 10 kg/m − 1.0 • 10 kg/m ) × 9.8 m/s
3
2
ρv R 1.0 • 10 3 kg/m 3 × 0.12 m/s × 4.4 • 10 −3 m
=
= 0.44
infine N R =
0.6 Pa • s
η
3. Dimostrare che in una centrifuga le particelle in sospensione nel liquido di densità ρ ′ sono
soggette alla forza centripeta FC = ρ ′Vω 2R .
Soluzione: basta osservare che se al posto delle particelle ci fosse un pari volume di liquido,
questi rimarrebbe in rotazione alla distanza R . Affinché questo avvenga è necessaria la presenza di una forza centripeta il cui modulo soddisfi a FC = ρ ′Vω 2R . Poiché questa forza è
esercitata dal resto del fluido non dipende da cosa occupa il volume V , pertanto inserendo
ora la particella questa subirà la stessa forza centripeta.
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Fenomeni di superficie dei liquidi
Consideriamo due molecole di un liquido come riportato in
2
figura: quella immersa in profondità nel liquido ( ) è sog-
1
getta alle forze attrattive da parte di tutte le altre molecole che la circondano e che si trovano dentro la sfera il
cui raggio è pari al raggio d’azione della forza di coesione.
Poiché queste forze sono esercitate da tutte le direzioni
ed hanno in media la stessa intensità, la risultante è nulla e
la molecola può muoversi liberamente all’interno del volume.
Fig. 20. Effetto di superficie.
Le molecole considerate nel
testo si trovano al centro dei
circoletti.
Nei pressi della superficie ( ), invece, venendo a mancare una parte del liquido che
circonda la molecola la forza di attrazione esercitata dalle molecole contenute nella
parte grigia del volume non è più compensata e l’effetto è una forza che attira la molecola verso l’interno. Poiché questa forza attrattiva F agisce su tutta la superficie
S del liquido, possiamo definire una pressione superficiale come ps =
F
. Si noti che
S
lo stesso fenomeno avviene lungo le pareti di contatto; in questo caso la molecola subisce una forza attrattiva da parte della parete del contenitore. Se questa forza risulta
maggiore di quella esercitata dal fluido stesso, le molecole tenderanno ad accumularsi
presso la parete e di conseguenza si osserva nel punto di contatto fra superficie e parete del contenitore un innalzamento del livello del liquido (es.: acqua), mentre in caso
contrario le molecole tendono ad allontanarsi generando nel punto di contatto una diminuzione di livello (es.: mercurio).
Per portare molecole verso la superficie del liquido e di conseguenza per aumentare la
superficie stessa è necessario fare un lavoro contro questa forza superficiale. Questo
meccanismo spiega la tendenza di un liquido a ridurre la propria superficie libera. In
particolare, la forma di una goccia tende ad essere sferica perchè questo è il solido
38
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
che presenta la minore superficie a parità di volume contenuto. La grandezza fisica
che descrive questa proprietà del liquido è la tensione superficiale τ . Questa grandezza compare in diverse proprietà delle superfici:
- lungo i bordi estremi della superficie (per esempio a contatto coi bordi del recipiente) agisce una forza parallela alla superficie, perpendicolare alla linea di contatto
e d‘intensità F = τl dove l è la lunghezza della linea di contatto;
- una qualunque superficie sferica esercita una forza diretta verso il centro della sfera ed a questa forza è associata una pressione di contrattilità data dalla legge di Laplace pc =
2τ
R
. In particolare per una superficie piana pc = 0 , mentre per una sfera
di raggio infinitamente piccolo pc → ∞ .
Legge di Jurin. La pressione di contrattilità origina il fe-
nomeno di capillarità. Consideriamo un tubicino immerso
nel liquido e con un raggio R sufficientemente piccolo af-
2
1
h
finché la superficie libera del liquido (menisco) sia sferica,
ovvero che formi nel punto di contatto con il capillare, un
angolo α = 0° . A causa della curvatura nel punto
ci sarà
una forza rivolta verso l’alto, e pertanto una pressione minore rispetto a quella atmosferica pari a p2 = p0 −
punto
2τ
R
Fig. 21. Effetto di capillarità.
. Secondo la Legge di Stevino il
non può trovarsi alla stessa altezza della superficie libera del liquido. Per-
tanto il livello del liquido nel capillare salirà fino ad una altezza h in modo tale che nel
punto
ci sia correttamente la pressione p0 . Poiché deve valere p2 − p1 = ρgh , oc-
corre che sia
2τ
R
= ρgh .
39
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Esempi
1. Determinare il raggio minimo di una goccia d’acqua che si può formare senza evaporare (si
assuma la tensione di vapore dell’acqua pari a pV = 2 • 10 3 Pa e la tensione superficiale
dell’acqua τ = 7.12 • 10 −2 N/m ).
Soluzione: la pressione di contrattilità pc =
2τ
R
della superficie sferica della goccia d’acqua,
che tende a contenere le molecole d’acqua nella goccia, deve contrastare la tensione di vapore
che spinge le molecole a staccarsi dalla goccia, per cui pc = pV
R =
2τ
pV
=
2 × 7.12 • 10 −2 N/m
= 7.12 • 10 −5 m .
3
2 • 10 Pa
2. Un dischetto di metallo di raggio r = 1 cm e spessore h = 2 mm galleggia sull’acqua contenuta in un bicchiere. Nell’ipotesi che le superfici del dischetto siano perfettamente lisce, determinare la massima densità del dischetto affinché lo stesso possa galleggiare sull’acqua (si
assuma la tensione di vapore dell’acqua pari a pV = 2 • 10 3 Pa e la tensione superficiale
dell’acqua τ = 7.12 • 10 −2 N/m ).
Soluzione: la pressione esercitata dal peso del dischetto deformerà la superficie dell’acqua in
modo che la stessa eserciti lungo il bordo di contatto tra dischetto e superficie (circonferenza del dischetto), una forza parallela alla superficie e proporzionale alla tensione superficiale F = 2πrτ , la cui componente perpendicolare equilibra il peso del dischetto. Nelle condizioni di massimo sforzo la superficie di contatto diventerà perpendicolare per cui
2πrτ = mg = πr 2hρg .
La massima densità vale: ρ =
2τ
rhg
=
2 × 7.12 • 10 −2 N/m
= 0.73 • 10 3 kg/m 3
10 −2 m × 2 • 10 −3 m × 9.8 m/s 2
3. Determinare l’innalzamento dovuto alla capillarità in un tubo di vetro di diametro
d = 4 • 10 −3 cm con un estremo immerso in acqua. Si assuma l’angolo di raccordo sia uguale a
zero e che la tensione superficiale dell’acqua sia τ = 7.12 • 10 −2 N/m .
Soluzione: l’altezza raggiunta dall’acqua nel capillare è data dall’espressione
h=
2τ
ρg d 2
=
2 × 7.12 • 10 −2 N/m
= 0.726 m .
10 3 kg/m3 × 9.8 m/s 2 × 0.5 × 4 • 10 −5 m
40
2τ
R
= ρgh .
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L’Elettrostatica
I costituenti elementari della materia possiedono, oltre alla massa, la carica elettrica.
La carica elettrica si misura in Coulomb ( C ) ed il valore più piccolo finora osservato è
la carica dell’elettrone pari a qe = −1.61 • 10 −19 C . In natura esistono corpi dotati di carica elettrica positiva, altri negativa, altri ancora nulla.
Forza di Coulomb: un corpo puntiforme dotato di carica elettrica q1 esercita su un
secondo corpo puntiforme dotato di carica elettrica q2 una forza d’intensità:
FC =
q 1q 2
dove r12 è la distanza tra i corpi
4πε 0 r122
1
mentre ε 0 = 8.86 • 10
−12
C
2
N•m
2
l’espressione
4πε 0
= 8.98 • 10 N • m
9
A
2
C2
.
La forza si esercita lungo la direzione che unisce
i due corpi e per il Terzo Principio della Dinamica
r
B
•
q1
è la costante
dielettrica del vuoto. E’ utile ricordare anche
1
r
F2
F2
•
q1
r12
r12
r
•
F1
q2
r
F1
•
q2
Fig. 22. Esempi di forza di Coulomb:
A - cariche dello stesso segno si respingono,
B - cariche di segno opposto si attraggono.
il secondo corpo esercita sul primo una forza di
pari intensità ma verso opposto. I corpi dotati di carica elettrica dello stesso segno
esercitano l’uno sull’altro una forza repulsiva, mentre i corpi dotati di carica di segno
opposto esercitano l’uno sull’altro una forza attrattiva. Per esempio, nel caso A riportato in figura le due cariche hanno lo stesso segno e la carica q1 esercita sulla carica
r
q2 la forza repulsiva F1 mentre q2 esercita su q1 la forza anch’essa repulsiva
r
r
F2 = −F1 . Nel caso B le due cariche hanno segno opposto ed esercitano l’una sull’altra
r
r
una forza attrattiva ed anche in questo caso vale F2 = −F1 .
La forza elettrostatica agisce a distanza. Possiamo quindi immaginare che una qualunque carica elettrica Q “estenda” la sua presenza al volume che la circonda. E’ come se
la singola carica elettrica posta nel punto P abbia depositato in tutti gli altri punti
41
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dell’Universo l’informazione della sua presenza in P . Non appena una seconda carica q
viene ad occupare un punto del volume questa presenza si manifesta sotto forma di
una forza agente sulla carica q pari a F =
qQ
. Per descrivere questa presenza
4πε 0 r 2
1
r
F
utilizziamo la grandezza vettoriale campo elettrico E definito come E =
. Nel caq
r
r
so di una carica puntiforme il campo elettrico ha le seguenti proprietà:
- è diretto radialmente verso la carica Q che lo ha generato se Q < 0 , oppure è diretto in direzione opposta se Q > 0 , ed
- il suo modulo in un punto distante r vale E =
Q
.
4πε 0 r 2
1
Il campo elettrico viene misurato in N/C oppure Volts/metro (V/m ).
In generale per calcolare la forza esercitata da una distribuzione qualunque di cariche
su una carica q posta in un punto P è sufficiente calcolare il valore del campo eletr
trostatico E come somma vettoriale dei campi elettrici generati dalle singole cariche
della distribuzione nel punto P (Principio di sovrapposizione) e ricavare la forza eletr
r
trostatica moltiplicando il valore del campo per q: F = qE .
E’ possibile rappresentare graficamente la presenza nello
spazio del campo elettrico mediante la tracciatura di linee, dette linee di campo, con la condizione che in ogni
r
r
E
E
punto dello spazio il campo elettrico sia tangente alla linea di campo che passa per quel punto. La maggiore densità di linee corrisponde ad una maggiore intensità del campo elettrico.
Fig. 23. Linee di campo e campo
elettrico.
Non è possibile che due linee di campo si intersechino.
Le linee di campo sono uscenti dalle cariche positive ed entranti verso quelle negative.
42
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Il dipolo elettrico è formato da due cariche puntiformi q di segno opposto e mantenute alla distanza
q
fissa d . La forma del campo elettrico, riportata in
figura, è radiale vicino alle singole cariche come nel
r
P
caso di una carica puntiforme libera, mentre allonta−q
nandosi dalle cariche le linee di campo risentono della presenza dell’altra carica e piegano in modo tale
che ogni linea che parte dalla carica q finisce sulla
Fig. 24. Campo elettrico generato da un
dipolo
carica − q . La grandezza vettoriale che lo descrive è
r
r
il momento di dipolo P = qd orientato come in figura. Il valore del campo elettrico
generato dal dipolo si può calcolare in ogni punto dello spazio come somma dei campi
r
r
r
generati dalle singole cariche E = E q + E −q .
Il dipolo elettrico è una buona approssimazione del
comportamento di molte molecole (esempio H2O) che
presentano una distribuzione di cariche positive e
negative. In condizioni normali i dipoli delle singole
molecole sono orientati in modo casuale mentre in
r
presenza di un campo elettrico esterno E est gli stesr
si ruotano in modo da orientare P parallelamente al
r
campo E est , In questo modo il campo elettrico all’inr
terno del materiale risulta minore di E est .
r
E est
Fig. 25. Polarizzazione dei dipoli molecolari in presenza di un campo elettrico esterno.
Materiali che si comportano in questo modo vengono detti dielettrici e le loro proprietà elettriche vengono descritte mediante la costante dielettrica relativa ε r semr
pre maggiore di 1. In particolare l’intensità del campo elettrico esterno E e assume
r
r
r E
all’interno del dielettrico il valore (minore di E e ) E = e .
εr
43
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La forza elettrostatica è conservativa e pertanto è possibile definire l’energia poten-
q1 q 2
. In particolare l’energia
4πε 0 r
r
r r
potenziale per un dipolo in presenza di un campo esterno E è U = −P • E .
r
r
Analogamente alla relazione F = qE che lega il campo elettrico alla forza elettrosta-
ziale U che per la forza di Coulomb vale: U (r ) =
1
tica, è possibile scrivere la relazione U = qV che lega l’energia potenziale U al potenziale elettrico V . Questa grandezza fisica scalare ha come unità di misura nel si-
stema SI il Volt ( V = J/C ) e pertanto il campo elettrico si misura in V/m . Nel caso di
una carica puntiforme vale la relazione V (r ) =
Q
mentre per configurazioni più
4πε 0 r
1
complicate rimandiamo alla tabella successiva. Al pari del campo elettrico, il potenziale
elettrostatico è definito in tutti i punti dello spazio e dipende dalle cariche elettriche
presenti e può essere calcolato con il principio di sovrapposizione V =
∑i Vi .
Per calcolare la variazione dell’energia potenziale ∆U per una carica che si muove da
un
punto
x1
ad
un
punto
x2
è
quindi
sufficiente
valutare
l’espressione
∆U = q [V (x 2 ) −V (x 1 )] dove V (x ) è il potenziale elettrico generato dalle altre cariche
presenti. La carica q in presenza di un potenziale elettrico V
acquista quindi
un’energia potenziale U = qV e tenderà a muoversi verso il punto di minima energia
potenziale.
Si osservi che per calcolare il campo elettrico generato da una distribuzione di cariche è conveniente calcolare prima il potenziale elettrico mediante l’espressione
r
V = ∑Vi somma di grandezze scalari e successivamente calcolare E mediante la relai
zione E x = −
dV
che lega ciascuna delle tre componenti del campo elettrico al potendx
ziale elettrico.
44
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Partendo dalla legge di Coulomb ed utilizzando il teorema di Gauss è possibile calcolare il campo elettrico generato da una qualunque configurazione di cariche. Nella tabella seguente sono riportati alcuni casi particolari.
Configurazione
Campo elettrostatico
carica
forme
E =
punti-
dipolo
componente
lungo l’asse //
p = qd
mo-
mento di dipolo
(C • m )
dipolo
componente
sfera uniformemente carica di raggio R
Ey =
ρ = densità di
carica ( C/m3 )
Q =
4
πR 3 ρ =
3
carica totale
superficie sferica uniformemente carica
Q 1
4πε 0 r 2
Ex =
lungo l’asse ⊥
densità
σ =
superficiale di
carica ( C/m2 )
Q = 4πR 2σ =
carica totale
il campo è radiale
V (r ) =
Q 1
4πε 0 r
V ( ∞) = 0
p (2y 2 − x 2 )
1
4πε 0 (x + y
2
)
5
2
p cos θ 1
4πε 0 r 2
V (r , θ ) =
2
3pxy
1
4πε 0 (x 2 + y 2 )5 2
ρ
r
3ε 0
ρ R3
E =
3ε 0 r 2
Q 1
=
4πε 0 r 2
E =
E =0
r ≤R
r ≤R
σ R
E =
ε0 r 2
Q 1
=
4πε 0 r 2
λ = densità lineare di carica
( C/m )
E =
λ 1
2πε 0 r
cilindro di raggio R uniformemente carico
ρ = densità di
E =
ρr
2πε 0
E =
ρ R2
2πε 0 r
il campo è radiale rispetto
al centro della
sfera
r >R
2
filo
infinito
uniformemente
carico
carica ( C/m3 )
Potenziale elettrostatico
r >R
r ≤R
r >R
superficie cilindrica di raggio R uniformemente carica
densità
σ =
superficiale di
carica ( C/m2 )
E =0 r ≤R
σ R
E =
r >R
ε0 r
piano infinito
uniformemente
carico
densità
σ =
superficiale di
carica ( C/m2 )
E =
σ
2ε 0
45
 2 r2 
 R −

3 

V (r ) =
ρ
2ε 0
V (r ) =
ρ R3
Q 1
=
3ε 0 r
4πε 0 r
r ≤R
r >R
V ( ∞) = 0
il campo è radiale rispetto
al centro della
sfera
V (r ) =
σ
R
ε0
V (r ) =
σ R2
Q 1
=
ε0 r
4πε 0 r
r ≤R
r >R
V ( ∞) = 0
λ
il campo è radiale al filo
V (r ) = −
il campo è radiale all’asse
del cilindro
V (r ) = −

r 
ρ
R 2 1 +   
4πε 0
 R  
V (r ) = −
ρ
2πε 0
2πε 0
ln r
2
 2
r
R + ln R

il campo è radiale all’asse
del cilindro
V (r ) = 0
r ≤R
V (r ) = −
σ
r
R ln 
ε0
R 
il campo è
perpendicolare al piano
V (d ) = −
V ( 0) = 0
σ
2ε 0
d



r >R
r ≤R
r >R
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Esempi
1. Una carica puntiforme q1 = 5 µC è fissata nell'origine ed una se-
y
conda carica q2 = −2 µC è posta sull'asse x , ad una distanza
d = 3 m , come in figura. Calcolare:
P
a) il campo elettrico in un punto P , sull'asse y , a una distanza
di 4 m dall'origine;
b) il potenziale nel punto P ;
c) il lavoro richiesto per portare una terza carica puntiforme
q3 = 4 µC dall'infinito al punto P ;
θ
q1
d) l'energia potenziale totale del sistema costituito dalle tre cariche nella configurazione finale.
q2
x
Fig. 26. Problema 1.
Soluzione:
a) Il campo elettrico è la somma vettoriale dei campi elettrici generati dalle due cariche. Per
semplicità conviene calcolare le due componenti E x ed E y .
− 2 µC
q2
1
cos θ = −
2
2
2
12
−
(4 + 32 )m2
4πε 0 r2P
4π × 8.86 • 10 C
2
N•m
1 q1
1 q2
+
Ey =
sin θ =
4πε 0 r1P2 4πε 0 r22P
Ex = −
=
1
1
4π × 8.86 • 10 −12 C
2
N • m2
 5 µC
− 2 µC
 2 2 + 2
4 m
(4 + 32 )m2

3
4 + 32
2
= 431 V/m

 = 2232 V/m

4 2 + 32 
4
b) Il potenziale è la somma dei potenziali generati dalle singole cariche VP = V1 +V2 .
5 µC
q1
1
=
= 11.2 kV
2
−12 C
4πε 0 r1P
4
m
4π × 8.86 • 10
N • m2
− 2 µC
1 q2
1
V2 =
=
= −3.6 kV
2
2
2
4πε 0 r2P
4
+
3
m
4π × 8.86 • 10 −12 C
2
V1 =
1
da cui VP = 11.2 kV − 3.6 kV = 7.6 kV
N•m
c) Il lavoro è dato da L = ∆U = U P − U ∞ = q3 (VP −V∞ ) = 4 µC × (7.6 kV − 0 kV ) = 30.4 mJ
d) Il modo migliore per calcolare l’energia potenziale è di costruirla immaginando di portare al
proprio posto le tre cariche una alla volta, partendo da una situazione iniziale priva di cariche
elettriche.
U1 = 0 : q1 non risente di alcun potenziale elettrico;
U2 = q2V1 (r12 ) =
q1 q 2
: q2 risente solo della presenza di q1 .
4πε 0 r12
1
U3 = q3V1 (r13 ) + q3V2 (r23 ) =
U = U1 + U 2 + U3 =
=
 q 1 q 3 q 2q 3 
 : q risente della presenza di q1 e q2 . Da cui:

+
4πε 0  r13
r23  3
1
 5 µC × (− 2 µC ) 5 µC × 4 µC − 2 µC × 4 µC 

 = 0.6 mJ
+
+
2
2
−12 C 2

3
m
4
m
4 + 3 m 
4π × 8.86 • 10
N • m2 
46
1
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La Capacità Elettrica
Immaginiamo una sfera metallica di raggio R in cui è stata depositata una certa carica Q costituita da un certo numero di portatori di carica (per esempio elettroni).
Questi esercitano l’uno sull’altro una forza elettrostatica repulsiva, e potendosi muovere solo all’interno del conduttore si dispongono sulla superficie della sfera in modo
tale da ridurre al minimo le forze esercitate. Si può dimostrare con il Teorema di
Gauss che in questa configurazione il campo elettrostatico all’interno del conduttore è
nullo e tutti i punti della superficie sono allo stesso potenziale V =
che il rapporto C =
Q
. Si osservi
4πε 0 R
1
Q
= 4πε 0R non dipende dalla carica depositata ma solo dalla geoV
metria del conduttore.
Questa proprietà è generale e possiamo definire il rapporto C =
Q
capacità eletV
trica. Nel sistema SI la capacità si misura in Farad ( F ).
Un tipo di condensatore di uso comune è il condensatore a facce piane parallele dove
due superfici conduttrici di forma identica e superficie S sono affacciate l’un l’altra
ad una distanza d . In questo caso è possibile dimostrare che la capacità vale
C = ε0
S
e che il campo elettrico all’interno del volume del condensatore è costante
d
in ogni punto e vale E =
V
. Il volume delimitato dalle armature del condensatore cond
tribuisce al valore della capacità, infatti inserendo un materiale dielettrico con una
costante dielettrica relativa ε r la capacità diventa C = ε 0 ε r
S
.
d
E’ possibile inoltre dimostrare che per depositare la carica Q sulla superficie di un
1 Q2 1
= CV 2 . L’energia è accucondensatore è necessario fare un lavoro pari a L =
2 C
2
47
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mulata nel volume del condensatore e può essere riutilizzata permettendo la scarica
del condensatore attraverso un conduttore collegato verso massa.
In circuiti elettrici complessi è possibile dimostrare (vedi esempi) che due o più condensatori in serie sono equivalenti ad un condensatore il cui valore è dato da
1
CS
=
1
∑i C
i
mentre più condensatori in parallelo sono equivalenti ad un condensatore il
cui valore è dato da C // =
∑i C i
. Questo significa che sostituendo in un circuito un
gruppo di condensatori con il loro condensatore equivalente, le prestazioni del circuito
non cambiano, cioè applicando al circuito di partenza ed al condensatore equivalente la
stessa differenza di tensione ∆V viene indotta la stessa carica elettrica Q .
48
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Esempi
1. Verificare la formula dell’energia accumulata in un condensatore a facce piane parallele.
Soluzione: è necessario partire dal condensatore completamente scarico e caricarlo lentamente spostando di volta in volta cariche δq molto piccole (per esempio elettroni)
dall’armatura
aumentando così la carica positiva + q sull’armatura
all’armatura
stessa quantità la carica negativa − q sull’armatura
e della
fino al raggiungimento del valore finale
Q . Il lavoro per portare la prima carica è ovviamente nullo, ma per tutte le altre occorre ora
superare la differenza di potenziale ∆V = C • q generata dalle cariche q precedentemente
spostate. Per farlo è necessario compiere il lavoro δL = δq • ∆V ovvero δL = Cδq • q . Per
trovare il lavoro totale è sufficiente a questo punto sommare tutti i lavori individuali
L = δL = C δq • q .
∑
∑
Il modo più diretto per effettuare il calcolo è trasformare la somma in un integrale di cui è
Q
nota la primitiva L = C qdq =
∫
0
Q
1
1
C q 2 0 = CQ 2
2
2
2. Calcolare la capacità equivalente di due condensatori in serie.
Soluzione: occorre trovare il valore della capacità sulla quale viene
indotta la stessa carica Q una volta che viene applicato la stessa
differenza di potenziale ∆V cioè C =
Q
∆V . Basta quindi osser-
vare che poiché due armature sono collegate tra loro ma isolate dal
resto del circuito la carica indotta deve essere la stessa per i due
condensatori, inoltre deve valere ∆V = ∆V1 + ∆V2 :
C =
Q
Q
=
∆V
∆V1 + ∆V2
⇒
1
C
=
∆V1 + ∆V2
Q
=
1
C1
+
1
C1
C2
∆V1
∆V2
∆V
Fig. 27. Problema 1.
C2
3. Calcolare la capacità equivalente di due condensatori in parallelo.
Soluzione: occorre trovare il valore della capacità sulla quale
viene indotta la stessa carica Q una volta che viene applicato la
stessa differenza di potenziale ∆V
cioè C =
Q
∆V
. Basta
quindi osservare che le armature dei due condensatori che sono
collegate tra loro sono allo stesso potenziale (se così non fosse
ci sarebbe uno spostamento di cariche dall’una all’altra armatura fino all’annullamento di tale differenza) e che la carica totale indotta è pari alla somma Q = Q1 + Q2 :
Q + Q2
Q
Q
Q
= 1
C =
= 1 + 2 = C1 + C2
∆V
∆V
∆V
∆V
Q1
C1
Q2
C2
∆V
Fig. 28. Problema 2.
49
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4. Una goccia di olio carica e di massa m = 2.5 • 10 −4 g si trova fra le due armature di un
condensatore a facce piane e parallele orizzontali distanti d = 0.5 cm
e di area
A = 200 cm . Si osserva che la goccia è in equilibrio quando l'armatura superiore possiede
2
una carica q = 4 • 10 −7 C e quella inferiore una carica uguale ed opposta. Calcolare:
a) la capacità del condensatore;
b) il valore del campo elettrico all'interno del condensatore;
c) la carica elettrica sulla goccia.
Soluzione:
a) La capacità è data dalla formula C = ε 0
S
da cui
d
200 • 10 −4 m2
= 36 • 10 −9 F = 36 pF
−2
N•m
0.5 • 10 m
q
V
4 • 10 −7 C
=
=
= 2.2 • 10 6 V m
b) Il campo è dato semplicemente da E =
−2
d Cd 36 pF × 0.5 • 10 m
C = 8.86 • 10 −12 C
2
2
×
c) La carica elettrica Q sulla goccia deve giustificare l’equilibrio fra forza peso e forza elettrostatica:
mg + QE = 0
⇒
mg mgCd 2.5 • 10 −7 kg × 9.8 m/s 2 × 36 pF × 0.5 • 10 −2 m
Q=
=
=
= 1.1 pC
E
q
4 • 10 −7 C
50
M.T., M.T.T.
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La Corrente Elettrica
In natura esistono dei materiali detti conduttori che contengono elettroni che possono spostarsi abbastanza liberamente al proprio interno. Esempi tipici sono i metalli
ed in particolare il rame, l’alluminio, l’argento e l’oro. In generale se fra due punti di un
conduttore esiste una differenza di potenziale elettrico ∆V , una parte degli elettroni
del conduttore inizia a spostarsi verso il punto d’energia potenziale minore. Si instaura
in questo modo un passaggio di cariche nel tempo per cui possiamo definire la corrente
elettrica I come I =
∆Q
. I nel sistema SI viene misurata in Ampere ( A ). Questo
∆t
movimento si mantiene per tutto il tempo in cui esiste una differenza di potenziale
∆V la corrente I risulta proporzionale a ∆V . Nel caso di correnti costanti nel tem-
po il conduttore oppone una resistenza R al movimento delle cariche descritto dalle
due Leggi di Ohm ∆V = RI e R = ρ
l
essendo l la lunghezza del conduttore, S la
S
sezione e ρ la resistività propria di ogni materiale. Questo significa che per far scorrere una corrente I è necessario mantenere una differenza di potenziale ∆V ai due
estremi del conduttore e se vogliamo far variare di un fattore k la corrente dobbiamo
variare dello stesso fattore la differenza di potenziale. Questa legge ci dice altresì
che: se osserviamo un passaggio di corrente attraverso un conduttore si può affermare che agli estremi dello stesso è presente una differenza di potenziale elettrico. Nel
sistema SI la resistenza si misura in Ohm ( Ω ).
Cerchiamo di comprendere più a fondo questo fenomeno: in un intervallo di tempo ∆t
attraverso la resistenza R passerà una carica totale pari a Q = I∆t e poiché ai due
estremi della resistenza è presente una differenza di potenziale ∆V i portatori di
carica elettrica (per esempio gli elettroni) subiranno una variazione di energia potenziale pari a ∆U = Q∆V . Per il teorema della conservazione dell’energia avremo che
∆K + ∆U = Lnc dove Lnc è il lavoro fatto dalla resistenza R opponendosi al passaggio
51
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
della corrente elettrica. Poiché in un conduttore gli elettroni si muovono con velocità
circa costante e pertanto non subiscono una variazione di energia cinetica, avremo che
il lavoro necessario per far passare una corrente I in un intervallo di tempo ∆t è pari a Lnc = ∆U = I∆V∆t . La potenza dissipata è pertanto P =
2
le). In un conduttore ohmico vale anche P = I R =
∆V
R
2
.
Il circuito elettrico più semplice è quello rappre-
I
sentato in figura, ed è costituito da un conduttore con resistenza R e da una forza elettromotrice f costante nel tempo (per esempio una pi-
Lnc
= I∆V (Effetto Jou∆t
R
f
∆V
la). La forza elettromotrice permette di mantenere agli estremi della resistenza R la diffeFig. 29. Circuito elettrico elementare.
renza di potenziale elettrico ∆V .
In queste condizioni nel circuito scorre una corrente I =
f
data dalla legge di Ohm.
R
In circuiti elettrici più complessi è possibile dimostrare (vedi esempi) che due o più
resistenze in serie sono equivalenti ad una resistenza il cui valore è dato da
RS = ∑ Ri mentre più resistenze in parallelo sono equivalenti ad una resistenza il cui
i
valore è dato da
1
R//
=
1
∑i R
i
. Questo significa che sostituendo in un circuito un grup-
po di resistenze con la loro resistenza equivalente, le prestazioni del circuito non cambiano, cioè applicando al circuito di partenza ed alla resistenza equivalente la stessa
differenza di tensione si osserva il passaggio della stessa corrente.
52
M.T., M.T.T.
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Esempi
1. Calcolare la resistenza equivalente di due resistenze in serie.
I
Soluzione: occorre trovare il valore della resistenza
attraverso la quale scorre la stessa corrente I una
volta che viene applicato la stessa differenza di po-
R1
R2
I . Basta quindi osservare
∆V1
∆V2
tenziale ∆V cioè R = ∆V
che ∆V = ∆V1 + ∆V2 ed applicare la legge di Ohm alle
∆V
singole resistenze:
R =
∆V
I
=
∆V1 + ∆V2
I
=
∆V1
I
+
∆V2
I
= R1 + R2
2. Calcolare la resistenza equivalente di due resistenze
in parallelo.
Soluzione: occorre trovare il valore della resistenza attraverso la quale scorre la stessa corrente I una volta
che viene applicato la stessa differenza di potenziale ∆V
cioè R = ∆V
I . Basta quindi osservare che I = I 1 + I 2
ed applicare la legge di Ohm alle singole resistenze:
R =
∆V
I
=
∆V
I1 + I2
⇒
1
R
=
I1 + I2
1
1
=
+
R1 R2
∆V
53
Fig. 30. Problema 1.
I1
R1
I2
R2
∆V
Fig. 31. Problema 2.
I
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Il Magnetismo
r
Una corrente elettrica genera nello spazio un campo magnetico B in grado di eserci-
tare una forza su altre cariche elettriche in movimento. L’intensità del campo viene
misurata nel sistema SI in Tesla ( T ). In analogia al campo elettrico possiamo rapprer
sentare il campo B mediante vettori tangenti alle linee di campo. Si può dimostrare
r
r
che le linee del campo B , diversamente da E , sono sempre linee chiuse.
r
Filo rettilineo infinito: le proprietà del campo B
I
sono in generale complicate da calcolare ma in
questo caso al passaggio di una corrente I viene
r
indotto un campo B la cui intensità è legata alla
r
r
r
B
distanza r dal filo mediante la legge di Ampere
B =
µ0 I
dove la costante µ 0 è la permeabilità
2π r
magnetica del vuoto e vale µ 0 = 4π • 10 −7 A G • m .
Fig. 32. Campo magnetico generato da
un filo rettilineo infinito percorso da
corrente.
Inoltre le linee di campo sono delle circonferenze di raggio r con centro sul filo e por
ste su un piano perpendicolare alla direzione del filo stesso mentre la direzione di B
r
in ogni punto è tangente alla circonferenza. La direzione del campo B si può ricavare
graficamente mediante l’uso della mano destra: tenendo la mano destra aperta con il
pollice rivolto nella stessa direzione della corrente si chiudano le altre quattro dita a
pugno; il movimento di chiusura della mano indica la direzione d’orientamento del campo magnetico.
Solenoide: è costituito da un filo avvolto a spirale attorno
r
ad un cilindro cavo di sezione S . Per un solenoide ideale
B
si genera in ogni punto all’interno del volume cilindrico un
I
campo magnetico d’intensità uniforme pari a B = µ 0nI ,
dove n è il numero di spire per unità di lunghezza.
54
Fig. 33. Solenoide.
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r
La direzione del campo B si ottiene usando la regola della mano destra: chiudendo le
quattro dita della mano destra con un movimento uguale a quello della corrente nelle
spire del solenoide il pollice indica la direzione del campo magnetico. In questo caso le
linee di campo all’interno del solenoide sono parallele all’asse dello stesso.
r
Forza di Lorentz: una carica elettrica q in movimento con velocità v in un campo mar
r r
gnetico è soggetta ad una forza pari a F = qv × B . L’intensità della forza è data dal
prodotto F = qvB sin ϑ dove ϑ è l’angolo formato fra la velocità della carica ed il
campo magnetico per cui l’intensità è massima quando la carica elettrica si muove perr
pendicolarmente al campo B ed è nulla quando si muove parallelamente. La direzione è
r
r
perpendicolare al piano individuato dai vettori v e B . Pertanto se i due vettori sono
r
perpendicolari tra loro e B è costante, il moto sarà circolare uniforme.
Forza su un filo percorso da corrente: Un filo rettilineo di lunghezza l percorso da
r
corrente I immerso in un campo magnetico B
r r
r
I1
F
=
I
l
×B .
subisce una forza pari a
Forza fra due fili paralleli percorsi da corrente: sia d la distanza tra i due fili, la corrente I 1
del primo filo genera un campo magnetico
B =
d
I2
r
F1
l
r
r
B1
µ 0 I1
che esercita su un tratto l del secon2π d
do filo una forza pari a
r
r
r
F1 = I 2l × B orientata
Fig. 34. Forza esercitata tra due fili
rettilinei percorsi da corrente.
come in figura ed il cui modulo, secondo la legge
di Ampere, vale F1 =
µ 0 I 1I 2l
.
2π d
Il risultato del prodotto vettoriale è tale per cui la forza è attrattiva se il verso delle
due correnti è concorde come in figura e repulsiva in caso contrario. Inoltre per il
r
Terzo Principio della Dinamica sul primo filo agisce una forza F2 di pari intensità e dir
r
rezione opposta di modo tale che F1 e F2 siano entrambe attrattive o repulsive.
55
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Esempi
1. Un protone ( q = +1.6 • 10 −19 C
e
m = 1.67 • 10 −17 kg ) si muove con una velocità
v = 8 • 10 6 m/s lungo la direzione positiva dell'asse x ed entra in una regione di spazio dove
e' presente un campo magnetico B = 2.5 T diretto nel verso positivo dell'asse y . Calcolare:
a) intensità e direzione della forza di deflessione che agisce sul protone;
b) il raggio della traiettoria circolare percorsa dal protone;
c) la corrente che dovrebbe percorrere un solenoide di lunghezza l = 50 cm , formato da
1000 spire, per generare un campo B = 2.5 T .
Soluzione:
a) Il protone è soggetto alla forza di Lorentz la cui intensità vale F = qvB sin ϑ , da cui
F = 1.6 • 10 −19 C × 8 • 10 6 m/s × 2.5 T = 3.2 • 10 −12 N con direzione positiva lungo l’asse z .
F
ed il raggio di curvatura è dato da
b) L’accelerazione centripeta è data da aC =
m
2
v 2 mv 2 1.67 • 10 −17 kg × (8 • 10 6 m/s )
R =
=
=
= 3.34 cm .
aC
F
3.2 • 10 −12 N
2.5 T
B
=
= 10 3 A .
c) La corrente del solenoide è data da I =
−7 A
1000
µ 0n 4π • 10
G • m×
0.5 m
56
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L’Induzione Magnetica
Per introdurre il fenomeno dell’Induzione Magnetica
occorre aver ben chiaro il concetto di flusso di un
ϑ
r
vettore attraverso una superficie. Consideriamo una
S
r
B
superficie di area S delimitata da un filo chiuso su
se stesso (il caso più semplice può essere un cerchio
delimitato dalla circonferenza), l’orientamento della
Fig. 35. Flusso del campo magnetico.
r
superficie può essere dato da un vettore S perpendicolare alla superficie e di modulo
pari a S .
r
Regola della mano destra: con il pollice rivolto parallelo ad S il movimento di chiusura
a pugno del palmo della mano fissa il senso di percorrenza del filo.
Se nello spazio dove si trova questa superficie è presente un campo magnetico B , uniforme in tutti i punti che compongono la superficie, si definisce il flusso concatenato
r r
Φ B come Φ B = B • S = BS cos ϑ . Nel sistema SI il flusso Φ B si misura in Weber
( Wb ).
La legge di Faraday-Neumann-Lenz afferma che una variazione ∆Φ B del flusso induce una forza elettromotrice nel filo pari a ε = −
∆Φ B
. Per avere una variazione del
∆t
flusso è sufficiente che cambi valore una delle tre grandezze fisiche B , S o ϑ .
Se il filo è un conduttore con resistenza R
I =
nel filo circolerà una corrente
ε
1 ∆Φ B
=−
. Il segno di I definisce il verso della corrente rispetto al senso di
R
R ∆t
r
percorrenza del filo. Il verso della corrente è tale da indurre un campo magnetico BI
il cui flusso concatenato si oppone alla variazione ∆Φ B .
Consideriamo un solenoide di lunghezza l e sezione S formato da N spire e percorso
da una corrente I : il campo magnetico all’interno del solenoide è dato da B = µ 0nI ed
ad ogni spira è associato il flusso Φ B = BS = µ 0nSI per cui il flusso totale è pari a
57
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ΦT = NBS = µ 0n 2lSI . Ad una variazione della corrente circolante corrisponde per la
legge di Faraday-Neumann una forza elettromotrice pari a ε = −
∆Φ B
∆I
= − µ 0n 2lS
.
∆t
∆t
∆I
dove l’induttanza L
∆t
viene misurata in
In generale la relazione si scrive ε = −L
Henry ( H ) e dipende dalle proprietà fisiche del circuito. Nel caso del solenoide avre2
mo L = µ 0n lS . In analogia a quanto visto per il condensatore, è possibile dimostrare
che in una induttanza L percorsa da una corrente I è immagazzinata una quantità di
energia pari a E =
1
LI 2 .
2
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Esempi
1. Una bobina, formata da ns = 25 spire di raggio r = 2 cm e di resistenza totale
R = 5.3 Ω , è disposta ortogonalmente alla direzione del campo magnetico all'interno di un lungo solenoide rettilineo ( n = 100 spire/cm ), percorso da una corrente I = 10 A . Calcolare:
a) il valore del flusso di B attraverso la bobina;
b) la f.e.m. media indotta nella bobina quando la corrente nel solenoide è portata a zero in
un tempo ∆t = 0.2 s .
c) la potenza media dissipata nella bobina per effetto Joule.
Soluzione:
a) Il flusso è pari a Φ B = n s SB = ns πr 2 µ 0nI da cui
Φ B = 25 × π × (0.02 m) × 4π • 10 −7 A
2
b) La f.e.m. media è data da ε = −
G•m
× 10 4 spire/m × 10 A = 3.9 • 10 −3 Wb .
(0 − 3.9 • 10 −3 )Wb = 19.7 mV .
∆Φ B
=−
∆t
0.2 s
c) La potenza media è data da P = εI =
2
ε 2 (19.7 mV )
=
= 7.35 • 10 −5 W .
5.3 Ω
R
2. Un solenoide è formato da N = 1000 spire di un filo conduttore di sezione s = 2.5 mm 2
e resistività ρ = 1.7 • 10 −8 Ωm . Il solenoide è lungo L = 30 cm ed ha un raggio R = 2.5 cm .
Ai suoi capi è applicata una differenza di potenziale. Calcolare:
a) la resistenza totale del solenoide;
b) la corrente circolante;
c) il campo magnetico indotto dal solenoide;
d) l’induttanza
e) l’energia immagazzinata.
Soluzione:
a) La resistenza è data dalla legge di Ohm:
R = NRspira = Nρ
2πR
= 10000 × 1.7 • 10 −8 Ωm ×
s
b) La corrente è data da: I =
∆V
R
c) Il campo magnetico è dato da:
B = µ 0nI = µ 0
=
12V
= 1.2 A .
10Ω
2 × 3.14 × 2.5 • 10 −2 m
= 10 Ω .
2.5 • 10 −6 m2
10 4 spire
N
I = 4π • 10 −7 A G • m ×
× 1.2 A = 5.0 • 10 −2 T .
L
0.3 m
d) L’induttanza vale:
2
 10 4 spire 
2
 × 0.3 m × π × (2.5 • 10 −2 m) = 0.82H
L = µ 0n lS = 4π • 10 A G • m × 

 0.3 m 
1 2 1
e) L’energia immagazzinata vale: E = Li = × 0.82H × 1.2 A = 0.49 J
2
2
2
−7
59
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La Luce
Le leggi dell’elettromagnetismo prevedono che i campi elettrico e magnetico generati
da cariche elettriche in movimento possano propagarsi nello spazio trasportando energia sotto forma di onde elettromagnetiche.
Proprietà delle onde elettromagnetiche:
r
r
- i vettori E e B sono tra loro perpendicolari;
- la direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica è perpendicolare al piano inr
r
dividuato da E e B , si tratta quindi di onde trasversali;
- la velocità di propagazione nel vuoto dell’onda elettromagnetica è finita e vale
c =
1
ε0µ0
= 3.0 • 10 8 m/s ;
- i moduli dei vettori sono legati dalla relazione E = cB .
L’energia media trasportata nell’unità di tempo e per unità di superficie (intensità
dell’onda elettromagnetica) è data da I =
1
2µ 0
r
Il campo E di una radiazione elettroma-
E
gnetica che si propaga nella direzione x
E Max BMax e si misura nel SI in W/m 2 .
λ
con oscillazioni di frequenza costante ν
x
è data, nella forma più semplice, dalla e-
x − ct

spressione E (x ,t ) = E 0 cos 2π 
  λ



Fig. 36. Onda sinusoidale.
dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione, corrispondente alla distanza tra due
massimi di intensità. Lunghezza d’onda λ e frequenza di oscillazione ν sono legate
dalla relazione λν = c . Al diminuire del valore della lunghezza d’onda la radiazione elettromagnetica assume i seguenti nomi: onde radio, microonde, infrarossi, luce visibile, luce ultravioletta, raggi X , raggi γ .
60
M.T., M.T.T.
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La luce visibile è la parte dello spettro elettromagnetico rivelabile dall’occhio umano
ed il colore che percepiamo è legato alla lunghezza d’onda. Ad esempio per il violetto
vale λ = 380 nm = 3800 Å (Angstrom) mentre per il rosso vale λ = 760 nm = 7600 Å .
Leggi di Snell: quando un raggio luminoso incide
obliquamente sulla superficie che separa due mezzi
otticamente trasparenti, una frazione dell’intensità
i
viene riflessa con un angolo rispetto alla normale
i
r
uguale a quello di incidenza i , mentre una seconda
frazione viene rifratta nel secondo mezzo lungo
una direzione che forma un angolo r rispetto alla
normale secondo la relazione
sin i
= n12 .
sin r
Fig. 37. Legge della riflessione e della
rifrazione.
La costante n12 è detta indice di rifrazione del secondo mezzo relativo al primo, e corrisponde al rapporto tra le velocità della luce nei due mezzi. Nel caso in cui il primo
mezzo sia il vuoto (o con buona approssimazione l’aria) la costante prende il nome di
indice di rifrazione assoluto del mezzo
e vale in generale n2 =
c
≥ 1 . Per l’acqua ad
v
esempio n = 1.33 . Inoltre secondo la definizione precedente vale la relazione n12 =
n2
.
n1
Riflessione totale: se la luce passa da un mezzo
me-
più rifrangente ad un mezzo
 1 
 al di sono rifrangente ( n1 > n2 ) esiste un angolo limite di incidenza i 0 = arcsin

n
 12 
pra del quale non si avrà rifrazione nel mezzo
bensì il raggio luminoso verrà to-
talmente riflesso dalla superficie di separazione. Nel caso della superficie di contatto
tra acqua ed aria l’angolo limite per un raggio luminoso proveniente dall’acqua vale
 1 
 = 49°20' .
 1.33 
i 0 = arcsin 
L’indice di rifrazione è una funzione decrescente della lunghezza d’onda ed è massima
per la luce violetta e minima per la luce rossa.
61
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Gli Specchi
Per costruire l’immagine occorre che il sistema ottico sia in grado di concentrare gli
infiniti raggi luminosi che l’oggetto emette da tutti i suoi punti in altrettanti punti coniugati il cui insieme formi l’immagine cercata. La verifica di tale costruzione può essere fatta graficamente disegnando fra tutti i raggi luminosi emessi, due raggi di cui
conosciamo il modo con cui vengono riflessi o rifratti.
Nel caso dello specchio piano riportato in figura
consideriamo anzitutto la punta della freccia nera.
Di tutti i raggi emessi seguiamo quello che incide
perpendicolarmente allo specchio (e che viene ri-
h
p
α
α
h'
q
flesso all’indietro nella stessa direzione) e quello
che incide nel punto in cui lo specchio interseca il
piano orizzontale (e che viene riflesso con lo stesso
Fig. 38. Specchio piano.
angolo di incidenza).
I raggi divergono dopo la riflessione, ma se prolungati all’indietro, oltre la superficie
dello specchio, le linee s’incontrano nel punto corrispondente alla punta della freccia
grigia. Si potrebbe verificare facilmente che in questo punto s’incontrano i prolungamenti di tutti i raggi emessi dalla punta della freccia nera. Un qualunque altro punto
della freccia nera emetterà raggi luminosi i cui prolungamenti andranno ad incontrarsi
nel punto equivalente della freccia grigia ricostruendo così completamente l’immagine
della freccia. Se l’oggetto è posto nel punto di ascissa p a sinistra dello specchio dove
è fissata l’origine degli assi, l’immagine si formerà nel punto di ascissa q = − p .
L’immagine ricostruita in questo modo è un’immagine virtuale perchè per porterla vedere è necessario uno strumento ottico (per esempio l’occhio) che la osservi. Al contrario, nel punto in cui si forma un’immagine reale è possibile mettere un foglio di carta (od una pellicola fotografica) e su questo vedere il formarsi dell’immagine.
62
M.T., M.T.T.
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Consideriamo ora uno specchio sferico convesso
di raggio R . In analogia al caso precedente, tracciamo due raggi che si dipartono dalla punta della
freccia nera, quello diretto verso il centro di cur-
p
α
α
q
r
vatura dello specchio (e che verrà quindi riflesso
all’indietro nella stessa direzione) e quello che incide nel punto in cui lo specchio interseca il piano
Fig. 39. Specchio sferico convesso.
orizzontale (e che viene riflesso con lo stesso angolo di incidenza).
Anche in questo caso i raggi dopo la riflessione divergono, ma se prolungati
all’indietro, oltre la superficie dello specchio, le linee si incontrano nel punto corrispondente alla punta della freccia grigia. Si può verificare facilmente che in questo
punto si incontrano i prolungamenti di tutti i raggi emessi dalla punta della freccia nera. L’immagine che si forma è virtuale e la sua posizione è compresa tra lo specchio ed
il centro di curvatura.
Consideriamo infine uno specchio sferico concavo di
raggio R ed una freccia nera posta alla distanza
p < r . Tracciamo i due raggi che si dipartono dalla
p
punta della freccia nera, quello diretto verso il centro di curvatura dello specchio (riflesso all’indietro
r
q
nella stessa direzione) e quello che incide nel punto in
Fig. 40. Specchio sferico concavo.
cui lo specchio interseca il piano orizzontale (riflesso
con lo stesso angolo di incidenza).
I raggi dopo la riflessione si incontrano in un punto di ascissa q . Si può verificare facilmente che in questo punto si incontrano tutti i raggi emessi dalla punta della freccia
nera. Il tipo di immagine che si forma è reale e capovolta ma in generale dipende dalla
posizione dell’oggetto. E’ possibile dimostrare che è
63
1
q
+
1
p
=−
2
R
.
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La relazione che lega la posizione dell’oggetto e dell’immagine ricostruita detta anche
legge dei punti coniugati può essere riassunta per i tre specchi dalla relazione
1
q
+
1
p
=
1
f
dove la coordinata del fuoco f =
r
2
è legata all’ascissa r del centro di
curvatura per cui nel caso dello specchio piano avremo
1
f
= 0 . Il rapporto G tra le di-
mensioni dell’immagine reale h e dell’oggetto h' è detto ingrandimento e vale
G = qp .
64
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La lente sottile
Una lente è costituita da un mezzo trasparente alla
luce con indice di rifrazione n2 , delimitato da due su-
n1
perfici di cui almeno una sferica. Una lente sottile ha
r2
uno spessore piccolo in confronto ai raggi di curva-
n2
R2
tura delle due superfici. Similmente allo specchio, una
R1
n1
r1
lente sottile è in grado di ricostruire in un punto q
(posto sull’asse ottico) l’immagine di un oggetto posto
Fig. 41. Lente sottile biconvessa.
in un punto di ascissa p .
La legge dei punti coniugati di una lente ha una forma più complessa, perché deve
tenere conto delle due superfici della lente e del diverso indice di rifrazione. Nel caso
di una lente sottile la legge dei punti coniugati vale
1
q
−
1
p
=
1
f
dove l’espressione per
la coordinata del fuoco f o lunghezza focale è legata alla posizione dei centri di curvatura delle due superfici r1 e r2 ed all’indice di rifrazione n1 del mezzo dove è immersa la lente secondo la relazione
n
 1
1
=  2 − 1  −  . Dalla legge dei punti coniuf  n1
 r1 r2 
1
gati si ricava la seguente proprietà comune a tutte le lenti: nel caso di un oggetto posto a distanza infinita ( p → −∞ ), l’immagine si forma nel fuoco ( q = f ) indipendentemente dal fatto che si tratti di immagine reale ( q > 0 ) o virtuale ( q < 0 ).
Fig. 42. Proprietà di rifrazione di una lente sottile.
f
65
f
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Questa proprietà fa sì che i raggi luminosi che incidono sulla lente paralleli all’asse ottico abbiano una direzione, una volta rifratti dalla lente, passante per il fuoco della
stessa. Inoltre un raggio che passi per il centro della lente subisce una doppia rifrazione che lascia inalterata la sua direzione.
Le proprietà di convergenza della lente variano a seconda del tipo di curvatura delle
superfici,
Possiamo ora vedere come una lente sottile ricostruisce un’immagine. Tracciamo due
raggi emessi dalla punta della freccia nera, il primo parallelo all’asse ottico che sappiamo essere rifratto lungo una direzione che passa per il fuoco della lente, ed il secondo che passi per il centro della lente in modo tale che la sua direzione rimanga inalterata. I raggi rifratti (od i loro prolungamenti all’indietro a seconda dei casi)
s’incontrano in un punto di ascissa q il cui valore è dato dalla legge dei punti coniugati.
f
p
q
p
f
q
Fig. 43. Ricostruzione dell’immagine da una lente sottile.
Si può verificare che tutti i raggi emessi dalla punta della freccia nera (od i loro prolungamenti) si incontrano in questo punto. Un qualunque altro punto della freccia nera
emetterà raggi luminosi i cui prolungamenti rifratti dalla lente andranno ad incontrarsi
nel punto equivalente della freccia grigia, ricostruendo così completamente l’immagine
dell’oggetto. L’immagine sarà reale se q > 0 mentre nel caso in cui q < 0 l’immagine
sarà virtuale.
Si definisce potere risolutivo di un sistema ottico la minima separazione osservabile
tra due oggetti.
66
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L’occhio umano, in prima approssimazione, è un sistema ottico costituito da una lente
convessa (il cristallino) ed uno schermo (la retina) su cui si forma l’immagine. Poiché la
distanza tra la retina ed il cristallino ( q ) è fissa, per poter formare l’immagine sulla
retina (messa a fuoco) l’occhio possiede mediante l’azione dei muscoli ciliari la proprietà di variare la lunghezza focale f (accomodazione). La distanza ottimale (visione
distinta) fra oggetto ed occhio è di 25 cm .
67
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Esempi
1. Immaginando di usare in aria una lente sottile biconvessa con indice di rifrazione n = 1.45
e raggio di curvatura R = 10 cm calcolare la lunghezza focale.
Soluzione: la lunghezza focale si ottiene dalla formula
n
 1
1
=  2 − 1  −  osservando che
f  n1
 r1 r2 
1
n2 = 1.45 , n1 = 1 , r1 = R = 10 cm e r1 = −R = −10 cm quindi:
n
 1
1
1 
1   1.45
 1
 = 0.45 cm −1 ⇒ f = 11.11 cm
=  2 − 1  −  = 
− 1 
+

f  n1
5
 10 cm 10 cm 
 r1 r2   1
1
2. Ponendo un oggetto alla distanza di 20 cm dalla lente dell’esercizio precedente calcolare il
punto di formazione dell’immagine e specificare il tipo di immagine.
Soluzione: bisogna applicare la legge dei punti coniugati
1
q
−
1
p
=
1
f
osservando che
p = −20 cm quindi:
1
q
−
1
p
=
1
f
⇒
1
q
=
1
p
+
1
f
=
− 20 cm + 11.11 cm
p +f
=
⇒ q = 25 cm
pf
− 20 × 11.11 cm2
poichè q è positivo l’immagine sarà reale e capovolta.
3. Considerate una bolla sferica d’aria di raggio R = 5 cm posta in acqua ( nAcqua = 1.333 ),
calcolare la lunghezza focale nell’approssimazione di lente sottile e specificare il tipo di lente.
Soluzione: la lunghezza focale si ottiene dalla formula
n
 1
1
=  2 − 1  −  osservando che
f  n1
 r1 r2 
1
n2 = 1 , n1 = 1.333 , r1 = R = 5 cm e r1 = −R = −5 cm quindi
n
 1
1
1 
1  1
 1
 = −0.25
=  2 − 1  −  = 
− 1 
+
cm −1 ⇒ f = −10 cm

f  n1
2.5
 5 cm 5 cm 
 r1 r2   1.333
1
e poiché f è negativo la lente sarà divergente.
68
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
Il Microscopio
E’ costituito nel caso più semplice da una prima lente convergente con focale fob (obiettivo) e da una seconda lente con focale foc che può essere convergente (oculare
positivo) o divergente (oculare negativo) montate all’estremità di un tubo di lunghezza
16 cm .
obiettivo
Fig. 44. Ricostruzione dell’immagine
da un microscopio
con oculare positivo.
A ′′
•
A fob
oculare
fob
•
foc
•
A′
foc
•
25 cm
Poiché l’oggetto è posto ad una distanza − 2fob < A < fob , l’obiettivo forma un’immagine
reale capovolta nel punto A ′ . La posizione dell’oculare è tale per cui il punto A ′ si trova ad una distanza dall’oculare inferiore alla distanza focale. In questo modo osservando attraverso l’oculare è possibile vedere formarsi nel punto A ′′ ad una distanza di 25 cm dall’oculare l’immagine virtuale ingrandita. L’ingrandimento lineare definito come il rapporto tra le dimensioni dell’immagine e dell’oggetto è dato dalla formula G =
16 cm − foc  25 cm


+ 1  .
fob

 foc
Il potere risolutivo, ovvero il reciproco della minima distanza d fra due punti osservati, è limitato dalla natura ondulatoria della luce e si può dimostrare essere pari a
1
d
=
2n sin ϕ
λ
dove n è l’indice di rifrazione dell’elemento in cui l’oggetto è immerso, ϕ
l’angolo massimo di raccolta della luce e λ la lunghezza d’onda della luce utilizzata.
Pertanto per migliorare il potere risolutivo il volume tra l’oggetto e l’obiettivo viene
riempito di solito con Balsamo del Canadà ad elevato indice di rifrazione.
69
M.T., M.T.T.
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La Calorimetria
Ogni corpo fisico è costituito da atomi in continuo movimento e legati fra loro mediante forze elettrostatiche. Secondo l’intensità delle forze di legame i corpi possono
assumere forma solida, liquida od aeriforme. Ogni corpo possiede un’energia interna
U somma dell’energia cinetica e potenziale di tutti i suoi costituenti.
A grammi ( A = peso molecolare della sostanza) di materia costituiscono una mole formata da N 0 = 6.022 • 10 23 atomi ( N 0 è il numero di Avogadro). Nonostante il grande
numero di costituenti si possono descrivere le proprietà macroscopiche del corpo fisico (sistema termodinamico) mediante un numero limitato di variabili fisiche (variabili
di stato): il volume V , la pressione p , il numero di moli n =
m
e la temperatura T
A
espressa in gradi Kelvin (K). Per ogni stato di equilibrio del sistema i valori assunti da
queste grandezze sono legati tra di loro da una relazione detta equazione di stato, ad
esempio per il gas perfetto vale pV = nRT ( R = 8.31 J
mole • K
è la costante dei gas
perfetti). Nei casi in cui n è costante è possibile rappresentare lo stato del sistema
come un punto in un piano cartesiano le cui coordinate corrispondono rispettivamente
a V e p (piano p −V ).
La temperatura è un indicatore dell’energia interna di un corpo. Quando due corpi con
energia interna diversa sono messi in contatto avviene un trasferimento di energia dal
corpo a temperatura minore a quello a temperatura maggiore fino al raggiungimento
dell’equilibrio termico quando le due temperature diventano uguali. L’energia scambiata prende il nome di calore ( Q ), positivo se viene assorbito e negativo se ceduto.
Nel sistema SI la temperatura si misura in gradi Kelvin (K) (ovvero assoluti) ed il calore in Joule. Nella pratica si usano anche i gradi Celsius ( °C ) (gradi centesimali) per
la temperatura e le calorie (cal) per il calore. La caloria è definita come la quantità di
calore (energia) necessaria per innalzare di un grado centesimale la temperatura di
una massa d’acqua pari ad 1g da 14.5°C a 15.5°C . Vale la relazione: 1 cal = 4.18 J .
70
M.T., M.T.T.
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La trasmissione di calore: può avvenire attraverso tre differenti processi:
- conduzione quando si ha uno scambio diretto di energia tra due corpi messi in contatto, dal corpo a temperatura maggiore a quello a temperatura minore. Per un corpo
di lunghezza l e sezione S ed alle cui estremità è presente una differenza di temperatura ∆T , la quantità di calore che fluisce in un intervallo di tempo ∆t è pari a
Q = K1
∆T
l
S∆t dove K 1 è la costante di conducibilità termica;
- convezione quando il trasferimento di calore avviene mediante lo spostamento di materia. Per un corpo di superficie S e temperatura TC investito per un intervallo di
tempo ∆t da un flusso di aria a temperatura TA , il calore scambiato è pari a
Q = K 2 (TA −TC )S∆t dove K 2 è una costante che dipende dai due mezzi fra cui avviene
lo scambio termico;
- irraggiamento mediante emissione di radiazione elettromagnetica (principalmente
raggi infrarossi). Il calore ceduto dipende dalla quarta potenza della temperatura as4
soluta del corpo secondo la legge di Stefan-Boltzmann Q = K 3T S∆t . La costante K 3
è data dal prodotto della costante di Stefan-Boltzmann σ = 5.67 • 10 −8 W
m2 • K 4
per
il potere emissivo sempre compreso tra 0 e 1 .
Per un corpo di massa m , l’effetto sulla temperatura del calore assorbito o ceduto è
descritto da Q = mc∆T dove ∆T è la variazione di temperatura (positiva se il calore
è assorbito, negativa se ceduto) e c il calore specifico del corpo (definito come il calore necessario per aumentare di 1°C la temperatura di un corpo di massa m = 1 g di
una data sostanza); il prodotto C = mc è detto capacità termica del corpo. Poiché la
maggior parte dei processi termodinamici avviene a pressione costante (per esempio il
metabolismo) o volume costante ci sono due tipi di calore specifico: cP calore specifico a pressione costante e cV calore specifico a volume costante. Per i corpi solidi e
liquidi le due costanti assumono valori simili, mentre per i gas assumono valori sensibilmente diversi. Inoltre vale sempre la relazione cP > cV .
71
M.T., M.T.T.
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Per i gas perfetti si usa definire il calore molare a pressione costante ( C P ) o volume
costante ( CV ) pari al calore necessario per variare di 1K la temperatura di una mole di
gas. I due valori sono legati dalla relazione di Mayer C P − CV = R e valgono:
CP =
5
3
7
5
R e CV = R (gas monoatomico), C P = R e CV = R (gas biatomico).
2
2
2
2
Il comportamento di un corpo inizialmente alla temperatura Ti quando viene fornita o
sottratta una certa quantità di calore Q può essere il seguente:
- il corpo subisce la variazione di temperatura ∆T = Tf −Ti = mc Q , non cambia il proprio stato ma, lasciato libero di espandersi o di contrarsi, subisce una variazione di volume secondo la legge ∆V = βVi ∆T dove β è il coefficiente di dilatazione cubica (la
stessa espressione con coefficiente di dilatazione lineare pari a α ≈ 1 3 β si applica ad
ogni dimensione ∆l = αli ∆T - il termometro a mercurio si basa su questo effetto);
- il corpo subisce un cambiamento di stato mantenendo costante la propria temperatura ed il calore scambiato durante il processo vale Q = mλ dove λ è il calore latente per unità di massa e m la massa che subisce il cambiamento di stato.
In tabella sono riportati i possibili
cambiamenti di stato; si noti come i
Tipo trasformazione
Calore latente
λF
solido → liquido
fusione
calori latenti di solidificazione e di li-
liquido → solido
solidificazione
quefazione assumano un valore nega-
liquido → gas
evaporazione
λE
gas → liquido
liquefazione
− λE
solido → gas
sublimazione
λS
tivo perché in queste trasformazioni il
corpo cede calore.
− λF
Le trasformazioni termodinamiche più semplici sono quelle quasi-statiche e reversibili.
La trasformazione quasi-statica reversibile è una trasformazione da uno stato iniziale A ad uno finale B , costituita da una serie di passaggi consecutivi fra stati di equilibrio, che avviene così lentamente che la variazione è quasi trascurabile (quasistatica) e la direzione di evoluzione è impercettibile (reversibile). Si osservi che in
questo tipo di trasformazioni il valore delle variabili di stato è sempre definito.
72
M.T., M.T.T.
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Per comprendere il significato basti pensare a come scaldare una pentola piena d’acqua
fino a portarla alla temperatura di ebollizione. La procedura più semplice è quella di
mettere la pentola su una fonte di calore a temperatura almeno pari a quella di ebollizione dell’acqua. Questa chiaramente non è una trasformazione reversibile. Per poter
scaldare l’acqua in modo reversibile occorre avere una successione di fonti di calore a
temperatura leggermente superiore ciascuna rispetto alla precedente che copra
l’intervallo di temperatura da quella iniziale dell’acqua fino alla temperatura di ebollizione e mettere in contatto la pentola con ciascuna fonte di calore in successione aspettando ogni volta che l’acqua raggiunga l’equilibrio termico con la sorgente di calore. In questo modo la differenza di temperatura tra pentola e sorgente di calore è
molto piccola e quasi trascurabile, quindi la quantità di calore ceduto all’acqua è così
piccola da non alterare l’equilibrio termico del sistema.
Le trasformazioni termodinamiche più semplici possono essere definite come:
isocora
p = costante segmento orizzontale nel piano p −V
isobara
V = costante segmento verticale nel piano p −V
isoterma
T = costante dipende dal sistema considerato
adiabatica Q = 0
dipende dal sistema considerato
73
M.T., M.T.T.
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Esempi
1. Una quantità di calore pari a Q = 300 kJ viene fornita ad una massa m = 720 g di ghiaccio posta inizialmente alla temperatura − 10°C . Calcolare la temperatura finale dell’acqua.
Soluzione:
per comodità convertiamo anzitutto in calorie il calore a disposizione:
Q = 300 kJ /(4.18 J/cal) = 71.8 kcal .
Per scaldare il blocco di ghiaccio fino alla temperatura di 0°C è necessaria la quantità di ca-
lore Q1 = c ghiaccio m∆T = 0.5 cal
g • °C
× 720 g × (0°C + 20°C ) = 7.2 kcal . Poiché questo valore
è minore della quantità Q il blocco di ghiaccio, non appena raggiunta la temperatura di 0°C ,
inizierà a fondere. Il calore necessario per la fusione di tutto il blocco è pari a
Q2 = λ ghiaccio m = 79.7 cal/g × 720 g = 57.4 kcal . Infine l’ultima frazione di calore disponibile
pari a Q3 = Q − Q1 − Q2 = 7.2 kcal verrà utilizzata per scaldare l’acqua fino ad una temperatura Tf tale che ∆T = Tf − 0°C =
Q2
cacqua m
=
7.2 kcal
= 10°C .
1.0 cal
× 720 g
g • °C
2. Un litro di acqua viene versato in un recipiente tenuto a pressione p = 1 atm e mantenuto
a temperatura costante da un termostato a T = 373K . In tali condizioni tutta l'acqua evapo-
ra e va ad occupare l'intero volume del recipiente. Conoscendo il calore di evaporazione
λ = 539 cal/g e la densità dell'acqua liquida ρ = 1 g/cm 3 , trovare:
c) la massa e il numero di moli di H2O (peso molecolare M = 18 );
d) il calore scambiato;
e) il volume del recipiente (si tratti il vapore acqueo come un gas perfetto).
Soluzione:
a) La massa è m = Vρ = 10 3 cm3 × 1 g/cm 3 = 10 3 g = 1 kg e le moli n =
b) Il calore scambiato è Q = mλ = 10 3 g × 539 cal/g = 5.39 • 10 5 cal
c) Nell’ipotesi di gas perfetto vale pV = nRT da cui
V =
55.6 moli × 8.31 J
× 373K
nRT
mole • K
=
= 1.72 m3
5
p
10 Pa
74
m 10 3
=
= 55.6
M
18
M.T., M.T.T.
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3. Una sbarra di ferro lunga L = 20 cm e sezione S = 3 cm2 ha un'estremità in un bagno di
acqua e ghiaccio a T1 = 0°C e l'altra in acqua bollente e vapore a T2 = 100°C . La conducibilità
termica della sbarra di ferro è K = 0.16 cal
cm • s • °C
. Assumendo che il calore sia tra-
smesso per conduzione solo attraverso la lunghezza della sbarra, si calcoli:
a) quanto calore viene trasmesso nell'unità di tempo lungo la sbarra;
b) la quantità di calore trasferita dal vapore d'acqua al ghiaccio in 10 min;
c) la quantità di ghiaccio che fonde in 10 min.
Soluzione:
a) E’ sufficiente applicare la formula Q = K 1
∆T
L
S∆t ponendo ∆t = 1 s da cui si ricava:
100°C − 0°C
× 3 cm 2 × 1 s = 2.4 cal
20 cm
b) In questo caso ∆t = 10 min = 600 s . Quindi
100°C − 0°C
Q = 0.16 cal cm • s • °C ×
× 3 cm 2 × 600 s = 1440 cal
20 cm
Q = 0.16 cal cm • s • °C ×
c) Poiché il ghiaccio si trova già alla temperatura di fusione, tutto il calore assorbito sarà utilizzato per fondere una massa di ghiaccio pari a m =
Q
λ ghiaccio
=
1440 cal
= 18 g
79.7 cal/g
4. Calcolare di quanto deve aumentare la temperatura di una sbarra di acciaio di lunghezza
l 0 = 2 m affinché sia più lunga di 1 mm rispetto al valore iniziale ( α = 11 • 10 −6°C −1 ).
Soluzione: dalla legge dell’espansione termica: ∆T =
75
1 ∆l
α l0
=
1
10 −3 m
= 45.5°C
11 • 10 −6 °C −1 2 m
M.T., M.T.T.
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Il Primo Principio della Termodinamica
Un corpo può variare la propria energia interna mediante lo scambio di calore oppure
compiendo un lavoro L . Non è sempre possibile stabilire il valore assoluto dell’energia
interna, però la conservazione dell’energia nelle sue tre forme presenti in termodinamica permette di calcolare la variazione di energia interna in una trasformazione termodinamica come ∆U = Q − L . ∆U al contrario di Q ed L non dipende dal tipo di
trasformazione termodinamica ma solo dal valore che le variabili termodinamiche assumono allo stato iniziale e finale. Pertanto l’energia interna U può essere scritta come una funzione delle variabili di stato ed è detta funzione di stato.
Il modo più semplice con cui un sistema termodinamico può compiere un lavoro è mediante una variazione di volume ∆V a pressione costante L = p∆V . Come esempio
consideriamo una sbarra cilindrica di sezione S immersa in aria che si allunga di una
quantità ∆l : per vincere la forza esercitata dalla pressione atmosferica p0 la sbarra
deve compiere un lavoro pari a L = F∆l =
F
S∆l = p0 ∆V . Nel caso più generale in cui
S
p varia durante la trasformazione avremo L = ∑ pi ∆Vi che al limite di piccole variai
B
zioni successive di volume diventa l’integrale L = ∫ pdV . Questa formula è generale.
A
Usando il piano cartesiano p −V , è possibile rappresentare graficamente il passaggio da uno sta-
p
B
to iniziale A ad uno finale B come una linea che
congiunge i punti corrispondenti a tutti i valori
che lo stato del sistema termodinamico assume
nella transizione. La freccia indica il verso di percorrenza. In questa rappresentazione il lavoro è
l’area sottesa dalla curva.
76
A
L
V
Fig. 45. Rappresentazione sul piano p-V
di una trasformazione termodinamica e
del lavoro associato.
M.T., M.T.T.
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Esempi
1. Calcolare il lavoro fatto da una sbarra di ferro di sezione S = 10 cm2 che subisce a seguito della dilatazione termica una variazione di lunghezza ∆l = 1 mm .
Soluzione: l’espansione della barra avviene contro la pressione atmosferica che possiamo assumere costante, per cui il lavoro è dato semplicemente da L = p0 ∆V = p0S∆l .
L = 10 5 Pa × 10 • 10 −4 m2 × 10 −3 m = 0.1 J .
2. Una massa m = 1 kg d’acqua è trasformata in vapore. Conoscendo il calore di evaporazione
λ = 539 cal/g e la densità del vapore ρV = 0.6 kg/m 3 , determinare quale frazione
dell’energia assorbita viene impiegata nell’espansione del vapore d’acqua per vincere la pressione atmosferica p0 = 1 atm .
Soluzione: occorre anzitutto calcolare il calore assorbito durante l’evaporazione:
Q = mλ = 1 kg × 539 kcal/kg × 4.18 J/cal = 2.25 • 10 6 J ,
mentre il lavoro fatto nell’espansione a pressione costante è pari a
m
m
L = p0 ∆V = p0 (VV −VA ) = p0 
−
ρA
 ρV

=




1
1
 = 1.7 • 10 5 J
= 10 5 Pa × 1 kg × 
− 3
3
3 
10 kg/m 
 0.6 kg/m
L
1.7 • 10 5 J
da cui la frazione
=
= 7.5% .
Q 2.25 • 10 6 J
3. Una mole di gas perfetto biatomico subisce una trasformazione lineare dal punto A con VA = 10 l e TA = 293K al
punto B con VB = 6.2l e TB = 309K . Calcolare il lavoro fatto
L ed il calore scambiato Q .
Soluzione: occorre anzitutto calcolare il valore della pres-
nRT
sione nei due punti usando l’equazione p =
:
V
pA =
pB =
1mole × 8.31 J
× 293 K
1 mole × 8.31 J
× 309 K
mole • K
10 • 10 −3 m 3
mole • K
6.2 • 10 −3 m 3
( pB
+ pA )(VB −VA )
2
=
B
4
3
A
2
1
= 2.4 • 10 5 Pa = 2.4 atm
0
5
6
7
8
= 4.1 • 10 Pa = 4.1 atm
5
Il lavoro è dato dall’area del trapezio mentre il calore si ricava dal Primo Principio della Termodinamica:
L=
p (atm)
5
(2.4 + 4.1) • 10 5 Pa × (6.2 − 10 ) • 10 −3 m 3
2
Q = ∆U + L = nCV (TB −TA ) + L = 1 mole × 5 2 × 8.31 J
mole • K
77
9
10
11
12
V (litri)
Fig. 46. Problema 3
= −1.23 • 10 3 J
× (309 K − 293 K ) − 1.23 • 10 3 J = −897 J
M.T., M.T.T.
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Il Secondo Principio della Termodinamica
T1 = costante
Q1
Il Secondo Principio della Termodinamica delimita le possibilità di scambio di calore e del suo impiego come energia meccanica (lavoro). Le definizioni utilizzano il concetto di mac-
macchina
termica
china ciclica, ovvero di una macchina capace di tornare al
Q2
T2 = costante
proprio stato termodinamico iniziale ( ∆U = 0 ) dopo aver
Fig. 47. Esempio di funzionamento di una macchina termica
scambiato calore e lavoro con l’esterno.
Per tale macchina si definisce il rendimento come la frazione
di lavoro prodotto rispetto al calore assorbito η =
L
Q − Q2
Q
L
= 1
=1− 2
Q1
Q1
Q1
Enunciato di Kelvin-Planck: è impossibile realizzare una macchina che, lavorando cicli-
camente, trasformi in lavoro meccanico il calore scambiato con un’unica sorgente.
Enunciato di Clausius: è impossibile realizzare una macchina che, lavorando ciclica-
mente, trasformi in lavoro meccanico il calore scambiato con un’unica sorgente.
Teorema di Carnot: date due sorgenti di calore
alle temperature T1 e T2 < T1 , tutte le macchine
p
1
termiche reversibili funzionanti con le due sorgenti
isoterma T=T
1
(per esempio il ciclo di Carnot) hanno lo stesso
rendimento η rev = 1 −
T2
mentre ogni altra macchiT1
na termica irreversibile che funziona con le stesse
adiabatiche
2
4
3
isoterma T=T
sorgenti ha rendimento minore.
2
Fig. 48. Ciclo di Carnot
78
V
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
L’Entropia
Dal Secondo Principio della Termodinamica deriva che per ogni sistema termodinamico
esiste la funzione di stato entropia S . Quindi per ogni trasformazione da uno stato
iniziale A ad uno finale B che il sistema subisce, la variazione di entropia dipenderà
solo dai valori iniziali e finali delle variabili termodinamiche ( ∆S = SB − SA ) ma non dal
tipo di trasformazione. S ha la seguente proprietà: se la trasformazione è una adiabatica reversibile gli stati iniziale e finale hanno lo stesso valore di entropia cioè
∆S = SB − SA = 0 , mentre ogni altra trasformazione porta il sistema in uno stato finale con entropia maggiore ∆S = SB − SA > 0 . S si misura in J/K oppure cal/K .
Se due stati del sistema molto vicini fra di loro sono collegati da una trasformazione
reversibile infinitesima la differenza di entropia è pari al rapporto tra il calore δQrev
scambiato e la temperatura assoluta (in K ) a cui avviene lo scambio: dS =
Nel caso in cui la trasformazione avvenga da uno
stato iniziale A ad uno finale B è possibile per-
S
δQrev
.
T
B
tanto scrivere il Secondo Principio della Termodinamica come: SB − SA ≥
B
∫
A
dQ
T
dove la relazione
di uguaglianza vale solo se la trasformazione è
reversibile cioè ∆S = SB − SA =
B
∫
A
dQrev
.
T
A
Qrev
T
Fig. 49. Rappresentazione sul piano T-S
di una trasformazione termodinamica reversibile e del calore associato.
In generale è possibile utilizzare la nuova coppia di variabili S e T per rappresentare
graficamente le trasformazioni termodinamiche reversibili: l’area sottesa dalla curva
rappresenta il calore totale Q scambiato nella trasformazione.
Poiché possiamo considerare l’universo in cui viviamo un sistema isolato (non c’è nulla al
di fuori con cui scambiare calore), possiamo formulare il Secondo Principio della Termodinamica dicendo che per ogni trasformazione termodinamica deve valere la rela79
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
zione ∆SU ≥ 0 dove l’uguaglianza ∆SU = 0 vale solo nel caso di trasformazioni reversibili.
In generale per calcolare la differenza di entropia fra due stati del sistema è necessario trovare una trasformazione reversibile che li collega e per questa trasformazione calcolare l’integrale ∆S =
B
∫
A
dQrev
.
T
Nel caso dei gas perfetti è possibile dimostrare che la differenza di entropia fra due
TB
V
+ nR ln B .
TA
VA
stati A e B è data da ∆S = nCV ln
Per una trasformazione reversibile isoterma ∆S =
Qrev
T
dove Qrev è tutto il calore
scambiato. Per esempio in un cambiamento di stato si ha ∆S =
mλ
.
T
Nel caso in cui un corpo di massa m e calore specifico c ed inizialmente alla temperatura Ti , scambia calore con l’esterno e subisce una variazione di temperatura fino al
valore Tf , la variazione dell’entropia del corpo è data dall’espressione (vedi Esempio 1):
Tf
.
Ti
∆SA = mc ln
Per calcolare la variazione di entropia dell’universo occorre sommare la variazione di
entropia dei singoli sistemi che partecipano allo scambio di calore (vedi Esempio 1).
80
M.T., M.T.T.
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Esempi
1. Una massa m = 1 kg di acqua inizialmente alla temperatura Ti = 10°C viene posta in contatto con un termostato con Tf = 90°C . Calcolare la variazione d’entropia del sistema.
Soluzione: per calcolare la variazione di entropia dell’acqua occorre trovare una trasformazione reversibile che porti l’acqua dallo stato iniziale Ti = 10°C a quello finale Tf = 90°C . La
trasformazione si ottiene immaginando di mettere in contatto l’acqua con un termostato con
temperatura leggermente maggiore, e ripetendo l’operazione fino al raggiungimento della temperatura finale. Ad ogni passo viene scambiata la quantità di calore dQ = mcdT e la variazione di entropia corrispondente si può calcolare come dS =
Kelvin.
mcdT
con T espresso in gradi
T
T
mcdT
= mc ln f .
T
Ti
Q − mc (Tf −Ti )
dove il calore scambiato è
Per il termostato vale semplicemente ∆ST =
=
T
Tf
Il processo completo corrisponde alla variazione ∆SA =
f
∫i
pari a quello ceduto dall’acqua cambiato di segno. In totale si ha:
T
mc T
( f −Ti ) 3
 363K 363K − 283K 
 = 28.57 cal/K
∆SA + ∆ST = mc ln f −
= 10 g × 1 cal/g • Kln
−

363K
Ti
Tf
 283K

La variazione d’entropia del sistema è positiva perché la trasformazione è irreversibile.
2. Un contenitore adiabatico di volume V = 1litro è diviso a metà da un diaframma. In una
metà è contenuta una mole di gas perfetto a temperatura T = 300 K mentre nell’altra metà è
fatto il vuoto. Rimovendo il diaframma si permette al gas di espandersi liberamente nel contenitore. Calcolare la variazione di entropia del sistema.
Soluzione: il processo è chiaramente irreversibile, inoltre la temperatura non cambia perché
nell’espansione libera adiabatica non viene fatto lavoro L = 0 e non viene scambiato calore
Q = 0 . Pertanto ∆U = 0 e la temperatura del gas non cambia. La trasformazione reversibile
che lega gli stati iniziali e finali del gas è quindi un’espansione a temperatura costante. In realtà per calcolare la variazione d’entropia è sufficiente utilizzare la formula per i gas perfetti
TB
V
+ nR ln B = 1 × 8.31 J
× ln 2 = 5.76 J K .
mole • K
VA
TA
∆S = nCV ln
81
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08/11/2002
3. Una massa m = 1 kg di acqua a Ti = 20°C viene raffreddata alla pressione atmosferica
fino ad ottenere ghiaccio a Tf = 0°C . Calcolare la variazione d’entropia del sistema.
Soluzione: abbiamo due processi: il raffreddamento ed il passaggio di stato. Per il primo vale
T
(0 + 273)K
∆S1 = mc ln f = 1 kg × 1 kcal
× ln
= −70.7 cal/K mentre per il secondo
kg • °C
(20 + 273)K
T
i
∆S2 =
mλ 1 kg × (− 79.7 kcal/kg )
=
= −291.9 cal/K . In totale ∆S = −362.6 cal/K .
(0 + 273)K
T
82
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Il Gas Perfetto
E’ costituito da molecole che non interagiscono tra loro ma solamente con le pareti del
contenitore che le confinano nel volume V . Gli urti delle molecole contro le pareti sono la causa microscopica della pressione p esercitata dal gas. L’equazione di stato che
descrive il gas perfetto è pV = nRT con R = 8.31 J
mole • K
. Il calore molare a pres-
sione ( C p ) o volume costante ( CV ) pari al calore necessario per variare di 1K la temperatura di una mole di gas valgono per un gas monoatomico C P = 5 2 R e CV = 32 R ,
per uno biatomico C P = 7 2 R
C P − CV = R . La costante γ =
5
Cp
CV
e CV = 5 2 R . Sussiste la relazione
di
Mayer
interviene nelle trasformazioni adiabatiche e vale
7
3 per i gas monoatomici e 5 per quelli biatomici.
La differenza di energia interna tra due stati A e B è pari a ∆U = nCV (TB −TA ) .
TB
La differenza di entropia tra due stati A e B è pari a ∆S = nCV ln
TA

V
 + nR ln B

VA

 .

Le trasformazioni del gas ed il valore di calore scambiato, lavoro fatto e variazione di
energia interna sono descritte dalle seguenti relazioni:
isocora
isobara
isoterma
adiabatica
VA = VB
TA pA = TB pB
pA = pB
−1
−1
TAVA = TBVB
TA = TB
−1
−1
pAVA = pBVB
pAVAγ = pBVBγ
TV
γ −1
A A
=T V
γ −1
B B
L=0
Q = ∆U = nCV (TB −TA )
L = p (VB −VA )
Q = nC p (TB −TA )
V
L = nRT ln B
VA
Q =L
L = −∆U = −nCV (TB −TA )
Q =0
83
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Esempi
1. Una mole di gas perfetto monoatomico alla temperatura TA = 243K
e pressione
pA = 2 atm , esegue un ciclo reversibile costituito dalle seguenti trasformazioni:
espansione isobara AB ;
espansione adiabatica BC fino a pC = 1 atm , e TC = TA ;
compressione isoterma CA fino a ritornare allo stato A .
Calcolare:
a) i parametri p , V , T di ogni stato e disegnare il ciclo in un piano ( pV );
b) il calore scambiato in ogni trasformazione;
c) il rendimento del ciclo
d) la variazione di entropia del gas lungo la trasformazione isoterma CA .
Soluzione:
a) Il volume degli stati A e C si ricava dall’equazione di
stato dei gas perfetti pV = nRT
VA =
nRTA
=
pA
1 mole × 8.31 J
mole • K
2 • 10 5 Pa
3
−2
= 10 m = 10 litri
× 243K
p
(atm)
=
adiabatica
isoterma
1
= 2 • 10 −2 m3 = 20 litri
0,5
p
VB =  C
 pB
1
si
2
1,5
J
B
1
2
nRTC 1 mole × 8.31 mole • K × 243K
=
=
VC =
pC
1 • 10 5 Pa
Il volume dello stato
dell’espansione adiabatica
isobara
ricava
dall’equazione
3
 1 atm  5
 γ

 VC = 
 2 atm  20 litri = 13.2litri .




pBVB 2 • 10 5 Pa × 13.2 • 10 −3 m3
Di conseguenza TB =
=
= 317.7 K
nR
1 mole × 8.31 J
mole • K
3
5
10
15
20
V (litri)
Fig. 50. Problema 1
b) Il calore scambiato nelle varie trasformazioni è pari a
5
QAB = nC p (TB −TA ) = 1 mole × 8.31 J
isobara
× (317.7 K − 243K ) = 1552 J
mole • K
2
QBC = 0
adiabatica
10
litri
VA
QCA = nRT ln
isoterma
= 1 mole × 8.31 J
× 243K × ln
= −1400 J
mole • K
VC
20 litri
c) Noto il calore scambiato e ricordando che in un ciclo ∆U = 0 , il lavoro ottenuto è pari a
152 J
L
L = ∑Q = 1552 J − 1400 J = 152 J e di conseguenza η =
=
= 9.8%
Qassorbito 1552 J
T 
V 
d) La variazione d’entropia è data dalla formula ∆S = nCV ln B  + nR ln B  da cui
T
V

∆SCA

 A
T 
V 
10 litri
= nCV ln A  + nR ln A  = 1 mole × 8.31 J
= −5.76 J/K .
J / mole • K × ln
mole
K
•
20 litri
TC 
VC 
84
A
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I Potenziali Termodinamici
A partire dalle due funzioni di stato U ed S è possibile costruire alcune funzioni
dette potenziali termodinamici che ci permettono in alcuni casi di calcolare l’energia di
un sistema termodinamico e di prevederne l’evoluzione spontanea calcolando eventualmente la condizione di equilibrio stabile verso cui tende il sistema.
L’entalpia H = U + pV
è utile per descrivere le trasformazioni che avvengono a p
costante, per esempio reazioni chimiche. In questo caso la variazione di entalpia è data da ∆H = ∆U + p∆V = ∆U + L che per il Primo Principio della Termodinamica diventa ∆H = Q , cioè la variazione di entalpia è pari al calore scambiato nella reazione.
L’energia libera di Gibbs G = U + pV −TS è invece utile per descrivere le trasformazioni che avvengono a p e T costanti. Questo è un caso di estremo interesse per la
biologia perchè è la condizione in cui avvengono tutte le reazioni chimiche in una cellula. La variazione ∆G = ∆U + p∆V −T∆S = ∆H −T∆S si ricava direttamente dalla definizione. In termini di calore scambiato ed usando la relazione tra entropia e calore
Qrev scambiato in una trasformazione reversibile che unisca i punti iniziale e finale,
∆G diventa ∆G = Q − Qrev . Applicando il Secondo Principio della Termodinamica si ha
che ∆G ≤ 0 dove l’uguaglianza vale solo se la trasformazione è reversibile. Nel caso di
reazioni chimiche irreversibili questa relazione ci dice che il processo avverrà nella
direzione che riduce G fino a raggiungere, all’equilibrio, il valore minimo.
La quantità di lavoro che può essere ottenuto dalla reazione vale − ∆G .
La spontaneità della reazione è legata al segno relativo di ∆H e ∆S ed al valore della
temperatura T . I vari casi sono riassunti nella tabella seguente.
∆H
∆H
∆H
∆H
<0
<0
>0
>0
∆S
∆S
∆S
∆S
>0
<0
>0
<0
reazione spontanea esotermica
reazione spontanea esotermica a T bassi
reazione spontanea endotermica a T alti
reazione non spontanea
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Esempi
1. Calcolare il calore prodotto dalla reazione 2C 2H 6 + 7O2 = 4CO2 + 6H 2O a pressione e
temperatura standard ( p = 1 atm e T = 25°C = 298K ).
Soluzione: il processo avviene a pressione costante quindi il calore di reazione è semplicemente la variazione di entalpia fra gli stati iniziale e finale. Poiché il valore non dipende dal
percorso fatto dalla reazione, per calcolarlo è sufficiente immaginare di scomporre a pressione costante i composti chimici nei singoli componenti per poi ricomporli nello stato finale
calcolando la variazione totale dell’entalpia come la somma delle variazioni di entalpia intermedie legate alle entalpie standard di formazione ∆Hf° delle singole molecole. Immaginando che
a reagire siano 2 moli di etano e 7 di ossigeno si ha:
2C 2H 6 = 4C + 6H 2
∆H = −2∆Hf° = 2 × 20.2 kcal
4C + 4O2 = 4CO2
∆H = 4∆Hf° = 4 × −94.1 kcal
6H 2 + 3O2 = 6H 2O
∆H = 6∆Hf° = 6 × −57.8 kcal
da cui ∆H = 2 × 20.2 kcal − 4 × 94.1 kcal − 6 × 57.8 kcal = −682.8 kcal .
2. Calcolare il calore latente di evaporazione dell’acqua T = 25°C a pressione standard
( p = 1 atm ).
Soluzione: il processo avviene a pressione costante ma ad una temperatura diversa da quella
di ebollizione. Poiché ∆H non dipende dal percorso fatto dalla reazione, per calcolarlo è sufficiente immaginare di scaldare l’acqua a pressione costante fino al punto di ebollizione, fare
avvenire il cambiamento di stato e raffreddare il vapore fino alla temperatura T = 25°C . Sapendo che i calore specifici di acqua e vapore a pressione costante sono rispettivamente
ca = 1 kcal kg • °C e cv = 0.45 kcal kg • °C , ∆H per una massa unitaria di acqua sarà pari alla
somma dei calori scambiati nei tre passaggi della reazione.
λT = ca (Tebollizione −T ) + λebollizione + cv (T −Tebollizione )
λT = 1 kcal kg • °C × (100°C − 25°C ) + 540 kcal/kg + 0.45 kcal kg • °C × (25°C − 100°C )
λT = 581.3kcal/kg
86
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3. Calcolare il rendimento nel metabolismo di una mole di glucosio.
Soluzione: il processo avviene a pressione costante ed alla temperatura corporea T = 310 K .
L’ossidazione di una mole di glucosio C 6H 12O6 + 6O2 = 6CO2 + 6H 2O è descritta dall’entalpia
standard
di
formazione
∆Hf° = −673kcal
e
dall’entropia
standard
di
formazione
∆Sf° = −0.042 kcal/K per cui
∆Gossidazione = −673kcal − 0.042 kcal/K × 310 K = −686 kcal .
All’interno dell’organismo umano una frazione di ∆Gossidazione è utilizzata per alimentare il Ciclo
di Krebs che coinvolge il ciclo dell’acido tricarbossilico. Per ogni mole di glucosio si formano 32
moli di ATP secondo la reazione ADP + fosfato = ATP con ∆G = 304 kcal La reazione inversa ATP = ADP + fosfato produce la contrazione muscolare con rendimento 50% . Quindi
di tutta l’energia a disposizione solo 152 kcal vengono utilizzate come lavoro mentre il resto è
disperso sotto forma di calore. Il rendimento è quindi η =
152 kcal
≈ 22% .
686 kcal
4. Descrivere la sintesi del saccarosio.
Soluzione: glucosio e fruttosio possono dar luogo ad una molecola di saccarosio secondo la reazione glucosio + fruttosio = saccarosio + H 2O . Poiché ∆G = 5500 kcal la reazione non è
spontanea in condizioni normali e richiede una seconda reazione con ∆G ′ < 0 che possa fornire l’energia necessaria. La reazione che gli organismi viventi utilizzano è la rottura della molecola di ATP secondo ATP + H 2O = ADP + fosfato con ∆G ′ = −7000 kcal .
87
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Appendice I
Grandezza
Unità SI
Unità SI
Unità cgs
lunghezza
metro
m
cm
tempo
secondo
s
s
m/s
cm/s
velocità
SI → cgs
cgs → SI
1 m = 102 cm
1 cm = 10-2 m
1 m/s = 102 cm/s
1 cm/s = 10-2 m/s
frequenza
Hertz
Hz (= s-1)
Hz (= s-1)
massa
chilogrammo
kg
g
1 kg = 103 g
1 g = 10-3 kg
forza
Newton
N (= kg•m/s2)
dina (= g•m/s2)
1 N = 105 dine
1 dine = 10-5 N
energia
Joule
J (= N•m)
erg (= dina•m)
1 J = 107 erg
1 erg = 10-7 J
potenza
Watt
W (= J/s)
erg/s
1 W = 107 erg/s
1 erg/s = 10-7 W
kg/m3
g/cm3
1 kg/m3 = 10-3 g/cm3
1 g/cm3 = 103 kg/m3
Pascal
Pa (= N/m2)
dina/cm2
1 Pa = 10 dine/cm2
1 dine/cm2 = 0.1 Pa
bar
bar
1 Pa = 10-5 bar
atmosfera
atm
1 Pa = 0.976•10-5 atm
densità
pressione
portata
m3/s
cm3/s
litro/s
1 m3/s = 106 cm3/s
1 cm3/s = 10-6 m3/s
1 m3/s = 103 litri/s
1 cm3/s = 10-3 litri/s
viscosità
Pa•s
poise (P)
1 Pa•s = 10 P
1 p = 0.1 Pa•s
tensione
superficiale
N/m
dina/cm
1 N/m = 103 dine/cm
1 dine/cm = 10-3 N/m
88
M.T., M.T.T.
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08/11/2002
Appendice II
Grandezza
Unità SI
Unità SI
Carica elet.
Coulomb
C
Corrente el.
Ampere
A
Potenziale el.
Volt
V
Campo elet.
Volt•m
V•m
Resistenza
Ohm
Ω
Capacità
Farad
F
Induttanza
Henry
H
Campo magn.
Gauss
G
Flusso B
Weber
Wb
Unità cgs
89
Unità cgs
SI → cgs
M.T., M.T.T.
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Formulario di Meccanica
-
08/11/2002
Cinematica
r
r
r
r
Vettore posizione del punto materiale r (t ) = x (t )i + y (t ) j + z (t )k
r r
r
r r
Vettore spostamento del punto materiale ∆r = r (t2 ) − r (t1 ) = r2 − r1
r
r
r
r
r (t2 ) − r (t1 )
∆r
Velocità media v m =
=
∆t
∆t
r
r
r
r
r
r
dr
∆r
=
= v x (t )i + v y (t ) j + v z (t )k
Velocità istantanea v (t ) = lim
∆t →0 ∆t
dt
r
r
r
r
v (t2 ) − v (t1 )
∆v
Accelerazione media a m =
=
∆t
∆t
r
r
r
r
r
r
r
dv d 2r
∆v
Accelerazione istantanea a (t ) = lim
a
(
t
)
i
a
(
t
)
j
a
(
t
)
k
=
=
=
+
+
x
y
z
∆t →0 ∆t
dt
dt 2
r
r
r
1 r
2
Moto con accelerazione costante (scelto t 0 = 0 ) sr = sr0 + vr0t + 2 a t
v = v0 + at
Moto di un proiettile (posto a x = 0 e a y = − g )

 2
g
x
y = x tan ϑ0 −  2
traiettoria
2

2
cos
v
ϑ
0 
 0
v 02
sin 2ϑ0
R =
gittata
g
(v 0 sin ϑ0 )2
hmax =
altezza massima
2g
Moto circolare ( R = cost )
modulo della velocità angolare di rotazione attorno ad un asse fisso (all'istante t):
ω =
dθ
dt
La direzione di ω è quella dell'asse di rotazione, mentre il suo verso è quello in cui avanza una vite che ruota nello stesso senso del corpo
periodo T =
2π
ω
frequenza =
1
T
relazioni tra grandezze lineari ed angolari
s = Rθ s = coordinata curvilinea sulla circonferenza
90
M.T., M.T.T.
Appunti di Fisica per Scienze Biologiche
08/11/2002
θ = posizione angolare di un punto materiale.
ω=
dθ
dt
v = ωR
α =
dω
dt
a = αR
modulo dell’accelerazione angolare di rotazione attorno ad un asse fisso (all'istante
t):
α =
dω
dt
stessa direzione di ω , stesso verso se è un moto accelerato, verso contrario se è
un moto ritardato )
• componenti
radiale e tangenziale dell’accelerazione nel moto circolare:
v2
= ω 2R
accelerazione centripeta aT =
R
accelerazione tangenziale aT =
dv
dt
91