natura e caratteristiche della luce - Digilander

NATURA E CARATTERISTICHE DELLA LUCE
È noto che il fenomeno denominato radiazione luminosa esprime il fatto che dell’energia
si propaga nello spazio. Circa la natura di tale fenomeno esistono due teorie : la teoria
corpuscolare e la teoria ondulatoria. Nessuna delle due spiega in modo esauriente il
comportamento della luce e a volte è opportuno riferirsi all’una, a volte all’altra teoria.
Teoria corpuscolare
Secondo tale teoria l’emissione di luce da parte di una sorgente luminosa corrisponde
all’espulsione di un numero elevatissimo di piccolissimi “corpuscoli” o “pacchetti” di
energia chiamati fotoni. Quando essi investono la materia, possono essere assorbiti
(assorbimento), riflessi (riflessione) e rifratti (rifrazione); nel caso dell’assorbimento i
fotoni scompaiono e la loro energia viene convertita in calore, nella riflessione si ha un
urto elastico mentre nella rifrazione i corpuscoli attraversano la materia cambiando però
direzione di propagazione. L’energia “portata” da un singolo fotone, cioè la sua
grandezza, cambia in base al tipo di luce; ad esempio un singolo fotone della luce di
colore azzurro possiede più energia di uno relativo alla luce di colore giallo. Quindi una
radiazione luminosa ha tanto più energia quanto più grandi sono i suoi fotoni. Invece una
radiazione è più intensa (intensità I) di un’altra quando, a parità di tipo di fotoni, questi
ultimi sono presenti in maggiore quantità. Non tutti però i fenomeni connessi con
l’interazione tra luce e materia trovano completa giustificazione mediante questa teoria.
Teoria ondulatoria
Secondo tale teoria la radiazione luminosa è un’onda elettromagnetica, cioè nello spazio
in cui essa si propaga vi è un campo elettrico Q oscillante e a 90° un campo magnetico H
oscillante . Trascurando il campo magnetico, essa può essere così schematizzata:
Q
λ
+
Tempo o spazio di propagazione
-
Le grandezze caratteristiche di un’onda elettromagnetica sono la lunghezza d’onda λ
(lambda), la frequenza ν (ni) e la velocità di propagazione c .
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• La lunghezza d’onda rappresenta la distanza che intercorre tra due creste d’onda o,
fisicamente, lo spazio percorso dalla radiazione nel tempo occorrente per il compiersi
di un ciclo (periodo T) e può assumere valori entro un campo amplissimo ( circa da 1015
m a 105 m) . L’insieme di delle lunghezze d’onda di tutte le radiazioni conosciute
prende il nome di spettro completo delle onde elettromagnetiche e può essere così
schematizzato:
Visibile
Raggi Cosmici
λ in nm:
10-4
Raggi γ
Raggi X
10-2
UV
10
Microonde
Infrarosso
380
780
106
Onde Radio
108
Un fascio luminoso comprendente tutte le λ comprese nel “visibile” è denominato
“luce bianca” . Essa è costituita dall’insieme di tutti i colori percepiti dall’occhio
umano; a partire da 380 nm e spostandosi verso 780 nm la sequenza dei principali
colori è la seguente: viola, azzurro, verde, giallo, rosso.
L’unità di misura adoperata dipende dal campo di applicazione; nell’ultravioletto e nel
visibile viene, ad esempio, usato il nanometro nm (1 nm=10-9 m).
• La frequenza esprime il numero di oscillazioni complete, ciascuna evidenziata da λ
nel disegno, che si hanno nell’unità di tempo. Essa si misura in cicli al secondo, detti
anche Hz (hertz). Nell’analisi strumentale normalmente si ha a che fare con valori
molto grandi di frequenza per cui, come unità di misura, si usa il megahertz Mhz ( 1
MHz=106 Hz)
• La velocità con cui la luce si propaga dipende dalla natura del mezzo che sta
attraversando. Nel vuoto essa assume il massimo valore e cioè circa 300.000 Km/s
(108 m/s) . Anche la lunghezza d’onda, per una data radiazione luminosa, non rimane
invariata durante la propagazione e così come per la velocità il suo valore decresce al
passaggio dal vuoto ad un qualsiasi mezzo ottico.
Le tre grandezze λ, ν e c non sono indipendenti tra di loro ma collegate matematicamente
mediante la seguente relazione: λ ⋅ ν = c . La frequenza è un grandezza caratteristica di
un certo tipo di luce e quindi costante mentre la lunghezza d’onda e la velocità variano in
modo direttamente proporzionale. Ovviamente nel vuoto anche la velocità diventa
costante e nota per cui una data onda elettromagnetica può essere contraddistinta sia dalla
frequenza che dalla lunghezza d’onda.
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Dal punto di vista energetico, secondo la teoria ondulatoria un’onda elettromagnetica
trasferisce numerosissimi “pacchetti” di energia, equivalenti ai fotoni della teoria
corpuscolare, per ciascuno dei quali si ha un valore di energia ricavabile dalla relazione di
Einstein-Plank : E = h ⋅ ν dove h è la costante di Plank e vale 6,6.10-34 Joule.sec . Oppure,
dalla relazione λ ⋅ ν = c , si ha che
E=
h
. Dal confronto tra le due relazioni che
cλ
esprimono il contenuto energetico di una radiazione, si può osservare che ad elevate
frequenze corrispondono elevate energie mentre ad elevate lunghezze d’onda
corrispondono basse energie. Quindi, ad esempio, la luce UV (con λ<400 nm) contiene
più energia della luce visibile ( con λ>400 nm ).
Un altro aspetto importante delle radiazioni è che un fascio luminoso può essere costituito
da un insieme piuttosto ampio di lunghezze d’onda, e allora si parla di luce policromatica,
oppure da una ben definita lunghezze d’onda, e allora si parla di luce monocromatica. In
realtà anche quest’ultimo tipo di luce, che poi spesso è quella che più viene utilizzata
nell’analisi strumentale, non è mai perfettamente monocromatica anche se l’intervallo dei
valori di λ è relativamente molto stretto. Per ottenere luce monocromatica è necessario far
interagire quella policromatica con dei dispositivi chiamati monocromatori; i più
importanti sono i filtri, i prismi e i reticoli di diffrazione.
• I filtri sono dei materiali che se attraversati da luce policromatica lasciano emergere
luce con λ compreso in un intervallo abbastanza stretto che, nella migliore delle
ipotesi, può risultare di circa 40 nm (banda passante). Sono usati in generi per
strumenti poco costosi. Esistono anche dei particolari filtri, a interferenza o a
diffusione, con cui si può ottenere una banda di 10-20 nm però sono molto costosi per
cui tanto vale far uso dei reticoli di diffrazione.
• Nei prismi, l’ottenimento di luce monocromatica si basa sul fenomeno della
rifrazione: quando la luce policromatica, ad esempio la luce bianca, attraversa il
prisma, subisce il cosiddetto fenomeno della
dispersione ottica il quale corrisponde alla
scomposizione in tante piccole bande. Tale
fenomeno è dovuto al fatto che l’indice di
Luce bianca
Rosso
V erde
V iola
rifrazione di un dato materiale (prisma) è legato alla lunghezza d’onda della radiazione
incidente, dalla relazione di Cauchy :
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n=A+
B C
+
λ2 λ4
dove A, B, e C
sono delle costanti che dipendono dalla
natura chimica del mezzo. Ne consegue che quando un fascio di luce policromatica (
luce cioè costituita da un insieme di λ diverse) investe un prisma si avranno tanti
valori di n (e quindi angoli di rifrazione diversi) quanti sono quelli di λ contenute nel
fascio. La relazione di Cauchy, come si può osservare matematicamente, fornisce
anche la spiegazione su un aspetto negativo presentato dai prismi cioè quello di fornire
una dispersione delle λ non lineare. Associando una fenditura ad apertura variabile ad
un prisma, si realizza in sistema di monocromatizzazione in grado di selezionare una
banda strettissima delle λ disperse. Ruotando il prisma è possibile inviare il raggio con
λ voluto sull’oggetto in esame. Si possono così ottenere bande passanti fino a 0,1 nm.
Il materiale di cui è costituito il prima, a seconda dell’uso, può essere il quarzo, il
vetro, NaCl, KBr, o CsI. Un aspetto negativo dei prismi risiede nel fatto che la
dispersione non è lineare in quanto a valori di lunghezze d’onda più elevate
corrispondono angoli di separazione più piccoli, cioè nella zona dell’ultravioletto si ha
una dispersione maggiore.
• Nei reticoli, l’ottenimento di luce monocromatica è basato sul fenomeno della
diffrazione. Essi possono essere di due tipi: a trasmissione e a riflessione. Quelli a
trasmissione sono costituiti da un numero elevato, da 600 a 2500 circa per millimetro,
di fenditure piccolissime ed equidistanti, di dimensioni dello stesso ordine di
grandezza di λ. In quelli a riflessione, che sono i più usati, invece al posto delle
fenditure si hanno dei solchi paralleli tracciati su una superficie riflettente. In ambedue
i casi la luce che investe tali dispositivi subisce una buona risoluzione, normalmente
superiore ai prismi e con dispersione lineare, però hanno lo svantaggio che il “range”
di lunghezza d’onda che possono risolvere dipende dalle loro dimensioni. Quelli a
riflessione sono comunque i più usati in quanto viene restituita la maggior parte della
radiazione incidente. Si preferisce, a proposito di questi ultimi, usare il tipo concavo
anziché piano perché all’effetto di dispersione della luce si aggiunge anche quello di
focalizzazione dei raggi dispersi.
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