GUERRA FREDDA (e non solo)
Sul finire degli anni Sessanta il processo di globalizzazione economica
all’insegna della logica del bipolarismo entra in crisi; le nuove generazioni,
figlie del benessere, sembrano scagliarsi contro il modello consumistico
occidentale
1971-74: difficoltà dell’economia USA provata anche da costi guerra Vietnam,
oltre che da un deficit commerciale (le importazioni superavano le
esportazioni); fine gold dollar standard; inizio di una fase di instabilità
monetaria. Al graduale disimpegno in Vietnam si accompagna la tendenza ad
una politica estera autonoma della Francia di De Gaulle e la Germania di
Brandt. L’anno dopo Nixon stringe con mosca il primo trattato SALT (Strategic
Armaments Limitation Talks) che congelava per cinque anni gli arsenali delle
due superpotenze. Segue un accordo per la fornitura di grano americano
all’URSS. Nel 1974 il SALT 2 prosegue il dialogo. Apertura anche con la Cina
(visitata da Nixon nel 1972, anno di riammissione della Cina all’ONU). Con lo
scandalo Watergate, che rivela le attività di spionaggio perpetrate dal suo staff
durante la campagna elettorale del 1972, Nixon è costretto a dimettersi nel
1974.
Intanto in Medio oriente si instaurano regimi militari (Gheddafi in Libia, Assad
in Siria, Saddam Hussein in Iraq) e l’OLP avvia una stagione di azioni
terroristiche con l’uccisione di 15 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del
1972. Il clima è ulteriormente esacerbato dalla guerra del Kippur scatenata da
Sadat, successore di Nasser in Egitto, per vendicare la guerra dei sei giorni. Il
conflitto vedrà Israele in difficoltà in quanto colto di sorpresa, ma il
contrattacco ben presto porta al cessate il fuoco. Si approda solo nel 1978 con
la supervisione USA alla pace di Camp David firmata da Sadat e il leader
israeliano Begin. Per la prima volta uno stato arabo riconosceva il diritto di
Israele di esistere, ma restava irrisolto il problema dello stato dello stato
palestinese. L’Egitto viene espulso dalla lega dei paesi arabi e Sadat ucciso da
estremisti islamici.
Nel 1973 si verifica lo shock petrolifero che porta a un aumento vertiginoso
del prezzo del greggio stabilito dal cartello dei paesi produttori (OPEC) in
seguito alla guerra arabo-israeliana. Ciò determina, insieme ad altri fattori,
l’avvio di una fase di stagnazione e inflazione (stagflazione) e disoccupazione;
si registra una crisi del welfare state, cresce la disoccupazione. Il sistema di
Bretton Woods ormai è in delcino.
Si comincia a parlare di deindustrializzazione e società post-industriale. Il
baricentro delle economie capitalistiche si sposta dall’industria al terziario
(terziarizzazione) con la crescita della società dell’informazione: mass media,
comunicazione telefonica, pubblicità e marketing; prende avvio la rivoluzione
informatica dal 1975, con la commercializzazione del primo PC Altair 8800. In
questo contesto Bill Gates fonda la Microsoft, mentre Steve Jobs e Wozniak
mettono a punto nel 1977 Apple II . Alla terziarizzazione si accompagna la
delocalizzazione dei posti di lavoro dalle aree più sviluppate a quelle più
povere, con manodopera più a buon prezzo, meno protetta e sindacalizzata; le
grandi aziende si trasformano in compagnie multinazionali con sedi e impianti
Anni
Settanta
in tutti i continenti. Il fenomeno comincia in questo decennio e mostra una
crescita impetuosa: nel 1960 i paesi in via di sviluppo detenevano il 38% dei
posti di lavoro industriali del pianeta, negli anni Novanta si arriva ai 2/3. L’URSS
rimane invece legata a un modello economico obsoleto, incentrato
sull’industria pesante.
1975: con la conferenza di Helsinki 33 paesi europei dell’est e dell’ovest
convengono sui principi dell’inviolabilità dei confini, della non ingerenza negli
affari interni, della rinuncia all’uso della forza nelle controversie internazionali.
L’Europa rivendica il diritto di non essere il semplice luogo di scontro di una
guerra fredda combattuta sopra la propria testa. Si delinea una idea di Europa
che si affranca dalla logica bipolare.
La presidenza Carter negli USA dal 1976 al 1980 sembra ammorbidire la
politica estera americana.
Nel 1979 lo shah Rezha Pahlavi, sostenuto per lungo tempo dagli USA, lascia
il paese sull’onda di manifestazioni guidate dall’ayatollah (autorità religiosa
sciita) Khomeini, portando alla fondazione di una repubblica islamica fondata
sui precetti del Corano. L’ambasciata USA a Teheran viene tenuta in ostaggio
da manifestanti antiamericani che richiedono l’estradizione dello shah fuggito
negli USA.
1979: Occupazione URSS dell’Afghanistan per timore che la rivoluzione
iraniana si espanda: disastro militare e raffreddamento dei rapporti con gli USA
dopo una fase di distensione. L’URSS si ritirerà nel 1988 lasciando il paese nella
morsa di una guerra civile, esacerbata dal sostegno USA ai mujahidin afghani,
la cui azione di guerriglia diventa uno strumento di propaganda e
mobilitazione del fondamentalismo del mondo arabo.
Iniziati all’insegna della distensione, gli anni Settanta si chiudono con rinnovati
segnali di guerra e instabilità, accentuati dalla crisi petrolifera che aveva
evidenziato le debolezze dello sviluppo impetuoso dell’età dell’oro.
Movimenti femministi e diritti delle donne
La conquista del diritto di voto per le donne (tra i primi paesi troviamo la Nuova Zelanda nel 1893,
la Finlandia nel 1906, la Norvegia nel 1913) fu un traguardo raggiunto faticosamente dalle
suffragiste. La prima guerra mondiale segnò una tappa cruciale, in quanto il coinvolgimento delle
donne nel lavoro di fabbrica ne legittimò le rivendicazioni. Dopo il conflitto infatti molti paesi
concessero il voto alle donne (GB, Austria, Germania, Polonia, USA, Russia). Il secondo conflitto
mondiale, che ancora una volta coinvolse in molte forme le donne, consentì di allargare
ulteriormente il diritto di voto in altri paesi come l’Italia, ma ciò non impedì l’affermazione di un
modello tradizionalista che privilegiava il ruolo femminile di moglie e madre, modello codificato
anche a livello giuridico. A metà degli anni Sessanta il voto alle donne era una conquista
generalizzata in tutti i continenti, con l’eccezione della Svizzera e del Bangladesh, di alcuni paesi
del Medio Oriente e africani. Negli anni Sessanta e Settanta le rivendicazioni delle donne si
estesero alla conquista di diritti di cittadinanza quali il diritto all’istruzione, la tutela del lavoro
femminile, l’acquisizione della piena capacità giuridica, in considerazione anche del dato di fatto
dell’ingresso strutturale e non contingente delle donne nel mercato del lavoro, in particolare nei
settori dei servizi.
Il femminismo di questi anni si ispirava a un testo di Betty Friedan del 1963, La mistica della
femminilità, un successo editoriale che costituì il punto di partenza di un nuovo movimento
femminista dopo quello avviato dalle suffrgiste a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il libro
esprimeva la frustrazione delle donne del ceto medio chiuse tra le mura domestiche e condannate
al ruolo di mogli e madri consumatrici nella società del benessere (un romanzo poi diventato film
sul tema è Revolutionary Road di Richard Yates) e aveva come interlocutrici le donne che avevano
fatte proprie le rivendicazioni dei movimenti per i diritti civili degli afro-americani e dei gruppi
pacifisti. La Friedan rivendicava la parità tra i sessi (non era ancora stata acquisita la differenza tra
sesso e genere) con lo slogan “il personale è politico”, che evidenzia come il movimento
femminista mettesse in discussione la dicotomia tradizionale pubblico-privato, fondata anche sulle
distinzioni di genere.
Costumi sessuali, ruoli familiari, convenzioni quotidiane furono sottoposti a critica serrata. Negli
anni Settanta il concetto di differenza sessuale consentì il superamento dell’orizzonte
emancipazionista della parità dei diritti, cogliendo la dimensione della valorizzazione delle
differenze all’insegna di un progetto di società che tenesse conto dei tempi e della sensibilità
femminile. Si moltiplicarono le esperienze di promozione della conoscenza di sé attraverso i gruppi
di “autocoscienza” che puntavano ad affrancarsi dagli schemi maschili.
In Italia nel 1970 furono introdotti matrimonio civile e divorzio, quest’ultimo confermato dal
referendum del 1974. Nel 1975 una riforma del diritto di famiglia sancì l’uguaglianza dei coniugi e
furono istituiti i consultori familiari. Nel 1977 si stabilì per legge la parità tra uomo e donna in
ambito lavorativo. Nel 1981 un referendum ratificò la legalizzazione dell’aborto, approvata nel
1978. Analoghi provvedimenti vennero presi in altri paesi occidentali.
L’ONU lanciò, dopo l’anno internazionale della donna (1975), il decennio della donna (dal 1976),
avviando molteplici iniziative contro la discriminazione. I convegni internazionali di Copenhagen
nel 1980 e Nairobi nel 1980, con la partecipazione di donne di 150 paesi, denunciarono il silenzio
sullo sfruttamento sessuale, lo stupro, l’incesto, l’abuso di autorità, il lavoro sottopagato,
l’analfabetismo, i matrimoni forzati, gli infanticidi e le mutilazioni sessuali. (Ad esempio, nel 1980
le donne svolgevano i 2/3 delle attività lavorative del pianeta, ma guadagnavano il 10% dei redditi
e possedevano l’1% dei patrimoni immobiliari e mobiliari.)
Negli anni Novanta si inclusero tra i diritti umani i diritti delle donne e l’uguaglianza dei generi (con
le conferenze internazionali di Vienna e Pechino); le violenze contro le donne furono considerate
violazioni dei diritti umani. Resta da allora lo snodo del relativismo culturale che, nel nome del
rispetto delle differenze, si traduce spesso in forme di tolleranza nei confronti di pratiche che
alcuni giudicano negatrici dei diritti delle donne. (In Italia è solo dal 1996 che lo stupro non è più
considerato un reato contro la morale (come prevedeva il codice Rocco che risaliva al periodo
fascista), ma contro la persona.)